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Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia (in carica per il biennio 2001/2003) Direttore Lucio Carbonara Direttore Responsabile Amedeo Schiattarella Hanno collaborato a questo numero i redattori: Valeria Caramagno, Luisa Chiumenti, Stefano Giuliani, Massimo Locci, Paolo Martegani, Giorgio Peguiron, Alessandro Pergoli Campanelli, Valentina Piscitelli, Barbara Pizzo, Christian Rocchi, Elio Trusiani Segreteria di redazione e consulenza editoriale Franca Aprosio Edizione Ordine degli Architetti di Roma e Provincia Servizio grafico editoriale: Prospettive Edizioni Responsabile: Claudio Presta www.edpr.it - [email protected] Direzione e redazione Acquario Romano Piazza Manfredo Fanti, 47 - 00185 Roma Tel. 06 97604560 Fax 06 97604561 http://www.rm.archiworld.it [email protected] [email protected] Progetto grafico e impaginazione Artefatto/ Manuela Sodani, Mauro Fanti Tel. 06 61699191 Fax 06 61697247 Stampa Ditta Grafiche Chicca s.n.c. Villa Greci - 00019 Tivoli Distribuzione agli Architetti iscritti all’Albo di Roma e Provincia, ai Consigli degli Ordini provinciali degli Architetti e degli Ingegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali degli Ingegneri e degli Architetti, agli Enti e Amministrazioni interessati. Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano l’Ordine né la Redazione del periodico. Spediz. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1.DCB - Roma Aut. Trib. Civ. Roma n. 11592 del 26 maggio 1967 In copertina: “Ortus Artis” Tiratura: 13.000 copie Chiuso in tipografia il 29 novembre 2004 Presidente Amedeo Schiattarella Vice Presidenti Andrea Mazzoli Silvio Luigi Riccobelli Segretario Pietro Ranucci Tesoriere Alessandro Ridolfi Consiglieri Piero Albisinni Giovanni Bulian Lucio Carbonara Rolando De Stefanis Valter Macchi Mauro Mancini Maria Letizia Mancuso Fabrizio Pistolesi Luciano Spera Benedetto Todaro segue EDITORIALE Salviamo Villa Leopardi 3 Lucio Carbonara ANNO XXXIX SETTEMBRE-OTTOBRE 2004 55/04 BIMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI ROMA E PROVINCIA ARCHITETTURA PROGETTI Teatro di Villa Torlonia 5 Luisa Chiumenti Automobili come opere d’arte 12 Valentina Piscitelli a cura di Giorgio Peguiron - NUOVE TECNOLOGIE La qualità ambientale delle architetture di interno 16 Alessandra Battisti EVENTI Intervista a Mario Botta 20 Luisa Chiumenti Biennale di Venezia 2004 23 Alessandro Pergoli Campanelli a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli - REST AURO Il Teatro “Caesar” a San Vito Romano 26 Anelinda Di Muzio a cura di Lucio Carbonara e Barbara Pizzo - P AESAGGIO “Ortus Artis” alla Certosa di Padula 29 Valeria Caramagno Il Parco della Rocca di Todi 37 Barbara Pizzo

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Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia

(in carica per il biennio 2001/2003)

DirettoreLucio Carbonara

Direttore ResponsabileAmedeo Schiattarella

Hanno collaborato a questo numero i redattori:

Valeria Caramagno, Luisa Chiumenti,Stefano Giuliani, Massimo Locci,

Paolo Martegani, Giorgio Peguiron,Alessandro Pergoli Campanelli,

Valentina Piscitelli, Barbara Pizzo, Christian Rocchi, Elio Trusiani

Segreteria di redazione e consulenza editoriale

Franca Aprosio

EdizioneOrdine degli Architetti

di Roma e ProvinciaServizio grafico editoriale:

Prospettive EdizioniResponsabile: Claudio Presta

www.edpr.it - [email protected]

Direzione e redazioneAcquario Romano

Piazza Manfredo Fanti, 47 - 00185 RomaTel. 06 97604560 Fax 06 97604561

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Progetto grafico e impaginazioneArtefatto/

Manuela Sodani, Mauro FantiTel. 06 61699191 Fax 06 61697247

StampaDitta Grafiche Chicca s.n.c.

Villa Greci - 00019 Tivoli

Distribuzione agli Architettiiscritti all’Albo di Roma e Provincia, ai Consigli degli Ordini provinciali

degli Architetti e degli Ingegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali

degli Ingegneri e degli Architetti, agli Enti e Amministrazioni interessati.

Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non

impegnano l’Ordine né la Redazione del periodico.

Spediz. in abb. postale D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1

comma 1.DCB - RomaAut. Trib. Civ. Roma

n. 11592 del 26 maggio 1967

In copertina: “Ortus Artis”

Tiratura: 13.000 copieChiuso in tipografia il 29 novembre 2004

PresidenteAmedeo Schiattarella

Vice PresidentiAndrea Mazzoli

Silvio Luigi Riccobelli

SegretarioPietro Ranucci

TesoriereAlessandro Ridolfi

ConsiglieriPiero Albisinni

Giovanni BulianLucio Carbonara

Rolando De StefanisValter Macchi

Mauro ManciniMaria Letizia Mancuso

Fabrizio PistolesiLuciano Spera

Benedetto Todaro

segue

EDITORIALE

Salviamo Villa Leopardi 3Lucio Carbonara

ANNO XXXIXSETTEMBRE-OTTOBRE 2004

55/04BIMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI ROMA E PROVINCIA

A R C H I T E T T U R A

PROGETT I

Teatro di Villa Torlonia 5Luisa Chiumenti

Automobili come opere d’arte 12

Valentina Piscitelli

a cura di Giorgio Peguiron - NUOVE TECNOLOGIE

La qualità ambientale dellearchitetture di interno 16

Alessandra Battisti

EVENTI

Intervista a Mario Botta 20

Luisa Chiumenti

Biennale di Venezia 2004 23

Alessandro Pergoli Campanelli

a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli - R E S T A U R O

Il Teatro “Caesar” a San Vito Romano 26Anelinda Di Muzio

a cura di Lucio Carbonara e Barbara Pizzo - P A E S A G G I O

“Ortus Artis” alla Certosa di Padula 29

Valeria Caramagno

Il Parco della Rocca di Todi 37

Barbara Pizzo

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U R B A N I S T I C A - a cura di Elio Trusiani

44 Bilancio sociale e bilancio partecipativoManuela Ricci

47 COLLOQUI SULLA RICERCA URBANISTICA:

Territori inesplorati: sul futuro della pianificazione in EuropaFrancesca Sartorio

Nuovi temi di ricerca per la pianificazione:uno sguardo dalla prospettiva europeaMichele Nicola Ruggiero

Nuove tendenze della ricerca in urbanistica:colloquio con Alain BourdinBarbara Pizzo

Focus su due seminari: Bellicini e PiroddiLaura Forgione

D E S I G N - a cura di Paolo Martegani

52 Design e cooperazionePaolo Martegani

P R O F I L I

57 Sergio PetruccioliMarco Maria Cupelloni

S P O R T E L L O G I O V A N I - a cura di Christian Rocchi

59 Dieci mesi a Parigi: tre domande ricorrentiGiulia Scaglietta

R U B R I C H E

61 WEB & CAD - a cura di Stefano Giuliani

62 LIBRI

63 ARCHINFO - a cura di Luisa Chiumenti

MOSTREIl riuso dell’antico.Horsaison, un paesaggio da conoscere, di Anna Pogliaga.Il Satiro Danzante per i non vedenti, di Valentina Piscitelli.Bolzano 1700-1800. La città e le arti, di Alessandro Pergoli Campanelli.

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Salviamo Villa Leopardi

Editorialedi Lucio Carbonara

355/04

Apprendiamo che a Villa Leopardi sono iniziati ilavori di demolizione del progetto realizzato perl’Amministrazione Comunale da Franco Zagarinel 1992.

La notizia ci colpisce anzitutto perché si demolisce così unadelle poche testimonianze di architettura del giardinocontemporaneo presenti a Roma, proprio in un momento nelquale l’Amministrazione di questa città manifesta interesseverso le evoluzioni recenti della cultura del progetto delpaesaggio e dello spazio pubblico urbano, di cui il progettodi Villa Leopardi costituisce un antecedente significativo.Ci stupiscono le modalità, le motivazioni e i tempidell’intervento.La notizia appare su un periodico, peraltro non di ampiadistribuzione, il n. 6 di “Torsanlorenzo Informa”, distribuitoper abbonamento nello scorso mese di luglio. In un articolo,con firma “a cura del Comune di Roma”, al termine di unlungo racconto sulla storia e il ruolo della Villa, si informache sono in atto le procedure per avviare un progetto diristrutturazione, che prevede la demolizione delle opere

realizzate nel 1992, senza alcun riferimento al progettista eall’origine di tali opere, che sono state oggetto di uncomplesso iter di approvazioni prima della realizzazione. Pensiamo che, qualora esistesse realmente la necessità di unadeguamento di tale entità, che va ben oltre lamanutenzione, la correttezza avrebbe imposto di ricorrerealla consultazione dell’autore dell’opera o eventualmenteprocedere attraverso una consultazione pubblica, secondole modalità correnti.Le motivazioni addotte ci appaiono non coerenti con lelinee di innovazione e di comportamento intrapresedall’Amministrazione. Motivare la demolizione con il “fortecontrasto tra aspetto naturalistico del parco e la fortegeometria di questi elementi architettonici”, sembrariportarci ad una condizione di ripristino finto antico ormaicomunemente superata. Significa inoltre non considerare gliinterventi del moderno come ulteriori testimonianze estratificazioni di un processo che è proprio della storia diVilla Leopardi e di tutta la nostra città.Ci colpisce il fatto che si sia ritenuto necessario e tantourgente l’intervento, da non sottoporre la decisione adalcun confronto pubblico.

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Si demolisce quindi, senza quasi concedere alcuno spazioalla reazione, una struttura che è ormai un patrimoniopubblico, entrato positivamente a far parte della vita di unquartiere e di quella dei suoi abitanti. Un percorsoattrezzato, nel verde, che costituiva un’alternativa valida perl’attraversamento da via Nomentana al quartiere Africano.Invitiamo pertanto i colleghi a firmare l’appello per fermarel’intervento in corso (www.architettiroma.it).

Nel riquadro a fianco è pubblicato un breve testo di Zagariche riassume il senso dell’intervento.

VILLA LEOPARDI, 1992Franco Zagari

Progetto eseguito nell’ambito di una ricerca del Dipartimento di Biologia Vegetale di Roma “La Sapienza” per il Comune di Roma (direttore Franco Bruno).

ProgettoFranco Zagari con: Gianpiero Donin, Rodolfo Palma, Carlo D’Ubaldo Consulenza storicaArnaldo BruschiConsulenza botanica Giovanni De Marco

Villa Leopardi è un fondo rustico sulla via Nomentana messo adimora nei primi anni del Novecento, poi abbandonato einfine trasformato in spazio pubblico. Il luogo è interessanteper la morfologia e per la vegetazione, ma soprattutto per unfitto reticolo di catacombe sotterranee (S.Agnese). Dunque unaidentità ibrida, di suolo archeologico, giardino-non giardino,enclave di selva nella città. A lungo quattro diverseSoprintendenze, tutte al principio ostili, mi hanno tenuto allaprova, incerte se stessero difendendo i resti di una villascomparsa, o una preziosa enclave naturalistica nel cuoredella città. Prima dell’intervento il massimo degrado: la vegetazioneimpenetrabile accoglieva un maneggio abusivo, unosfasciacarrozze, e ogni sorta di turpe commercio illecito. Il progetto rispetta il carattere “selvatico” del luogo, limitandosia una bonifica, e allo stesso tempo lo rende vivibile,tracciando una spina dorsale “dolce”, una passeggiatapavimentata in mattoni, di larghezza sempre variabile, confrequenti occasioni di sosta e un commento continuo almovimento del pubblico: muri bassi si alzano e abbassano perforzare o alleggerire le prospettive. La trama sotterranea delle catacombe, che ha un disegnoorganico molto bello, è proiettata fedelmente in superficie daun parterre di rose rosse. Questa idea rabdomantica, un po’pop, di raccontare in scala reale la straordinaria ricchezzasotterranea per lo più sconosciuta ai visitatori del giardino,parve ad alcuni addirittura blasfema e costò per affermarsiuna durissima battaglia. Dopo l’inaugurazione, dove produsseun magnifico effetto, accadde l’imprevedibile: scomparve nelnulla in due soli giorni per un raptus fulminante dicleptomania collettiva del pubblico. Da questo effimero trionfoho tratto una bella lezione per me sull’importanza di unprogramma saggio nel progetto dello spazio pubblico e sulladurata dell’architettura nel contemporaneo. Ancora: nelprogetto due fontane a terra, pensate come polle affioranti sulabirinti policromi, alti appena cinque centimetri, segnavanodue mete intermedie del percorso. Durante la costruzione capiiche nessuno le avrebbe mai curate. Mi parve opportunotrasformarle in mosaici, sotto ai quali giace tuttora in sonno unimpianto idraulico perfettamente funzionante, un piatto ghiottoper gli archeologi del futuro (molto prossimo, a quanto pare).

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Siamo nel giardino di quella che èforse una delle più affascinantiville storiche che affacciano sullaVia Nomentana: Villa Torlonia

e, nella successione degli spazi in cui si im-mergono i diversi edifici che hanno vistorecenti, accurati restauri (come la Casinadelle Civette e il Casino del Principe), ec-co annunciarsi ora il ripristino di un com-plesso architettonico ambientale origina-le e complesso, colmo di fascino nella va-riegata stesura dei suoi diversi elementi: ilTeatro Torlonia.La partecipazione all’intervento di restau-ro e di recupero funzionale da parte della

Teatro di Villa

Torlonia

Luisa Chiumenti

a cura di Massimo Locci

Progetto di restauro e direcupero funzionale di uncomplesso architettonico

ambientale originale ecomplesso, il Teatro Torlonia,

destinato a divenire uno spazioculturale polifunzionale ed un

polo di riferimento scenograficoa basso impatto ambientale,

nella preziosa cornicepaesaggistica della Villa.

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ferimento mondano” per la Roma dell’e-poca, mentre da un lato riflette la tipicaimpostazione eclettica ottocentesca edevidenzia altresì (particolarmente nel pro-spetto nord), i tratti di un’impronta rigo-rosamente accademica (peraltro anche vi-gente in quegli anni), dall’altro presentaelementi innovativi di notevole interesse. Infatti, l’arch. Q. Raimondi, allievo di R.Stern, che aveva progettato ex-novo l’edi-ficio negli anni fra il 1841 e il 1874, appa-re essenzialmente aperto anche a queglielementi innovativi e tecnologicamenteavanzati che venivano conclamati dallegrandi architetture in ferro e vetro deiPaesi del Nord Europa dei primi anni del-l’Ottocento e ne fa tesoro particolarmen-te nella architettura delle grandi serre delprospetto principale.Ed è veramente di fondamentale interessee fascino scenografico il recupero del si-

stema delle serre sulla facciata principale,in quanto il prospetto sud del teatro è in-teramente interessato da una serra a galle-ria al livello del palcoscenico (la “serra ver-ticale” scandita da colonne in travertino)mentre una serra inferiore (la cosiddetta“serra da muro“) risulta addossata alla fac-ciata nel piano sottostante. Le due serreseguono un andamento quasi ellittico alcentro (in 11 campate) e rettilineo (in trecampate ciascuna), nei due corpi laterali.I lucernari apribili, che chiudono le cam-pate della serra verticale ed il telaio che so-stiene le vetrate, sono in ghisa sagomatacon i ferma vetro composti da piattine inferro. Il telaio in ghisa è inoltre sagomatoin modo da suddividere la campata in no-ve riquadri modulari (tre riquadri in oriz-zontale per tre in verticale) separati dallecolonne in travertino da un distacco di unquarto di modulo circa.

Società Pirelli Cultura S.p.a. si è articolatanon soltanto su un contributo al proget-to complessivo di restauro e di allestimen-to (in risposta ad un bando pubblico delComune di Roma dell’agosto 2002), maanche nella gestione del complesso, che èstata prevista per un periodo di 6 anni(“in linea” con la strategia di sponsorizza-zioni della Pirelli, che ha già visto impe-gnato il gruppo nell’anno 2000 nel recu-pero della Pinacoteca del Campidoglio.Ed è di particolare fascino percorrere, al-l’interno, i circa 3000 mq. di pitture pa-rietali (ad olio e a tempera su muro), già inavanzata fase di recupero, grazie ad unproject financing pubblico-privato.Eretto accanto al Casino Nobile, il TeatroTorlonia, che fu voluto dal principe Ales-sandro Torlonia per 240 posti, perché po-tesse essere usato non solo privatamentema anche dal pubblico romano, quale “ri-

• Due vedute della Villa

Nella pagina a fianco, dall’alto:• Particolare degli affreschi del foyer• Particolare della decorazione dell’arco

scenico

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essa). Così anche il numero di spettatori èflessibile (fino a 271, con il palcoscenico “aplatea gradonata”, allorché la graticcia ap-pare come un vero e proprio “soffitto tec-nico” attrezzato per la movimentazionedelle scene e degli apparati).Le scelte di progetto, mirate al manteni-mento della struttura storica degli spazidel teatro e degli ambienti limitrofi (zonaricevimento e giardini d’inverno) hannocomunque adattato alle nuove esigenzegli spazi museali e teatrali attraverso un re-stauro filologico e “conservativo” dei ma-teriali e dei componenti (particolarmentelegno e stucco) costituenti l’involucrodell’ambiente teatrale al fine di non alte-rarne l’acustica, usufruendo di particolariaccorgimenti tecnici. I collegamenti verticali, garantiti dai duecorpi scala esistenti affrescati e da una sca-la di servizio (che mette in comunicazioneil sottopalcoscenico, i camerini ed il palco-scenico), si completano con una coppia discale a chiocciola in peperino esistenti sullato sud, oltre ai due ascensori collocatinelle chiostrine e a due piattaforme eleva-trici sui lati est ed ovest (utili rispettiva-mente al collegamento della caffetteria/ri-storazione con i servizi igienici e della bi-glietteria con il guardaroba).Non potendo in questa sede addentrarcimaggiormente in ogni interessante parti-colare del progetto, vorremmo comunquesottolineare l’assoluto rispetto della geo-metria e stereometria della platea e del pal-coscenico attuali, fino ad usare, per il con-solidamento delle strutture (interno dellecolonne in legno, solai delle due gallerie,consolidamento della volta) materiali deltutto simili agli originali (ovviamente ri-

Il restauro filologico, che ha salvaguarda-to tutto l’apparato, ha tuttavia previsto,accanto al ripristino della superficie delteatro con le sue due gallerie di 500 mq,anche il recupero di 1500 mq di spazioespositivo, per l’arte contemporanea, nelpiano sottostante il teatro, oltre ad un’areadi servizi annessi alle attività culturali(caffetteria, bookshop, guardaroba e de-positi) di circa 400 mq, assicurando inogni ambiente il controllo della tempera-tura e dell’umidità relativa dell’aria.Ma ora diamo uno sguardo alla interessan-te “macchina” costituita dal palcoscenico,in grado di trasformarsi a seconda dei di-versi spettacoli e rappresentazioni. Suddi-viso in quattro sezioni, esso ha un piano diposa che si può elevare per 120 cm e quin-di porsi a livello con i due appartamentidestinati all’esposizione, garantendo unamaggiore flessibilità degli spazi espositivi(anche lo spazio scenico può trasformarsiin platea a gradoni quando la rappresenta-zione è collocata nella platea, o in parte di

TEATRO DI VILLA TORLONIAProgetto di restauro e recupero funzionale

progettista-capogruppoArch. P. Crachi

co-progettistiArch. S. Baiani e ing. E. Currà

collaboratoreM. Petrucci

consulente per le ricerche storiche e il restauro delle superfici parietaliArch. O. Muratore

opere di consolidamento strutturaleProf. ing. A. Michetti

impianti di climatizzazione Prof. ing. A. Calandrelli, Ing. P. Baiani(co-progettista)

impianti elettrico e antintrusioneIng. M. Agostinelli

impianti di estinzione e rilevazione incendiMPM Engineering Consulting

spettando le normative vigenti), come ilripristino in legno dei pavimenti della pla-tea e del palcoscenico, e delle mattonelle diceramica dipinta (restaurate e reintegrate).Di particolare fascino, come “museo di sestesso”, appare anche il lavoro di ripristinodedicato al complesso degli ambienti af-frescati, in cui in particolare una adeguatailluminazione nelle cornici di imposta del-le volte è tesa a valorizzare l’edificio, men-tre un secondo tipo di corpi illuminanti(su piccoli cavi di acciaio tesi tra due pare-ti) è utile alle eventuali esposizioni tempo-ranee o ad una particolare illuminazione

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pavimento (per sottolineare i percorsi) siacon binari a soffitto adatti a portare corpiilluminanti con diverse curve fotometri-che e differenti toni di luce per una giustailluminazione delle opere d’arte. L’illumi-nazione esterna si basa invece su due tipidi intensità luminosa: da quello più paca-to da utilizzare quotidianamente, a quellopiù dettagliato per “le grandi occasioni”.

Il teatro di villa Torlonia è destinato quin-di a divenire uno spazio culturale polifun-zionale dove concerti e piccoli spettacolidi teatro leggero si affiancheranno alleesposizioni di arte, ai dibattiti culturali etavole rotonde, ma anche un polo di rife-rimento scenografico a basso impatto am-bientale, nella preziosa cornice paesaggi-stica della Villa.

d’accento. La sala del teatro presenta sia leluci in cornice, per illuminare le pittureparietali, che una illuminazione puntualeper valorizzare i gruppi statuari e i compo-nenti architettonici della plastica minore. Il piano seminterrato, dedicato esclusiva-mente alle esposizioni temporanee pre-senta una illuminazione di tipo più “tec-nico” realizzata sia con corpi illuminanti a

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La Pinacoteca dei MuseiCapitolini: intervento direstauro e riallestimento

È interessante fermarci su un’altra operache ha visto come progettista incaricatol’arch. Piercarlo Crachi: l’intervento di re-stauro e riallestimento della Pinacoteca deiMusei Capitolini (con il prof. ing. AnnioCalandrelli, progettista per gli impianti diclimatizzazione, l’arch. Silvio De Ponte,consulente per l’illuminazione, e coproget-tista l’arch. Gilda Stella) cui abbiamo fattocenno nel n. 50/03 di AR.Nel rispetto dell’impianto museale che laPinacoteca ha assunto a mano a mano neltempo, il progetto ha avuto come obiettivol’intero complesso degli impianti tecnologi-ci, del controllo della luce artificiale, di va-ri oggetti di design.In particolare l’aspetto tecnologico ha rea-lizzato il comfort ambientale di cui oggifruisce ogni visitatore, che può fruire deipiù avanzati requisiti tecnici di illuminazio-ne e di climatizzazione tali da garantire laconservazione delle opere d’arte nel tem-po. Infatti, essendo stati riaperti i lucernari,si è ritenuto opportuno che le sale venisse-ro dotate di una illuminazione naturale-ar-tificiale, che potesse essere controllabile(per mezzo di “sonde crepuscolari”) inconcomitanza con l’avvicendarsi delle sta-gioni e del colore del cielo. Particolare inoltre il progetto delle nuove“sedute” che, volta a volta, possono essereraccolte in determinate “isole di sosta” op-pure utilizzate per l’allestimento della “SalaPietro da Cortona” in cui si svolgono incon-tri, tavole rotonde e conferenze stampa. Ed è ancora da segnalare (nell’attuazionedelle norme di sicurezza ora in vigore) lasistemazione della preziosa collezione di

Dall’alto:• La Sala Pietro da Cortona dopo l’intervento• Vista della seduta• Restauro della struttura portante dell’opera

“Seppellimento di S. Petronilla” del Guercino (nella foto a destra la macchina espositiva resatotalmente alla vista)

porcellane della Galleria Cini, all’interno divetrine con una nuova illuminazione a fibreottiche, pregevolissima sia ai fini della con-servazione che a quelli della visibilità e leg-gibilità delle opere. Non è possibile in questa sede approfondireulteriormente l’intervento, ma riteniamoestremamente interessante ed anche visiva-mente molto suggestivo segnalare il partico-lare recupero che è stato effettuato, dellastruttura in travi di legno e chiavarde di ferroposta a sostegno della Pala di Santa Petro-nilla. Tale intervento ha valorizzato in certomodo anche la visibilità dell’opera, distac-candola dalla parete. Infatti, eliminando ipannelli di tamponamento in legno, l’inter-vento non solo ha reso visibile al pubblico ilcontrotelaio del quadro, ma anche l’unicatraccia rimasta del pavimento originario incotto della Pinacoteca.

L.C.

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Automobili come opere d’arte

La nuova sede della Tirrena Auto ad Ostia è un’architettura/vetrina, un edificio natocome spazio espositivo di oggetti inmovimento che, superando il fine commerciale,ha aperto le sue porte ad eventi culturali.

Anche Ostia ha la sua “GrandeArche”, porta simbolica dellacittà sull’antica Via Ostiensis;la nuova sede della Tirrena

Auto ha inaugurato quattro anni fa unastagione felice per l’architettura contem-poranea dell’antica città portuale romana,dopo un periodo di interruzione di oltre70 anni che risale alla stagione dei concor-si degli anni ’30.Nonostante i piani ed i progetti per tra-sformarla da città giardino, satellite dellacapitale, in quartiere organicamente rela-zionato con la struttura urbana, Ostia è ri-masta una “città interrotta”. Ciò è dovutoalla episodicità degli interventi pubblicistrutturanti e in parte per la permanenzadella configurazione della trama viaria,una scacchiera orientata parallelamentecon piccoli lotti, che era funzionale alla ti-pologia a villino e alle infrastrutture bal-neari e che ha impedito processi significa-tivi di trasformazione urbana. La fisionomia della città è ancora legataall’immagine originaria, anche se le siste-matiche sostituzioni edilizie l’hanno tra-sformata in quartiere residenziale ad altadensità abitativa. La dotazione di servizi edi attrezzature pubbliche è estremamente

Valentina Piscitelli

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verso la qualità del segno e la destinazionepolifunzionale.Il progetto rivela che la qualità è una scel-ta voluta e perseguita dal committenteche ha colto l’importanza di creare nuovee più complesse opportunità funzionali almanufatto, soluzioni che nascono da unavisione strategica più evoluta del modo di

carente: i pochi interventi significativi,anche sotto il profilo della qualità archi-tettonica, sono degli anni ’30 del secoloscorso. L’intervento realizzato per la Tir-rena Auto rappresenta una sorta di “sup-plenza” interessante per una serie di aspet-ti: il ruolo della committenza, la capacitàdi creare una forte polarità urbana attra-

condurre la propria attività commerciale,tanto da essere inserito nella segnalazioneper il premio Dedalo-Minosse alla com-mittenza di architettura per l’anno2003/2004. Soprattutto per uno spazio-mostra di autoveicoli il successo commer-ciale è legato alla capacità di attribuire al-l’ambito di vendita connotazioni simbo-

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liche come l’idea di modernità, prestigio eun apparentamento con le arti e la culturain genere. È parso naturale ipotizzare unacollocazione del tutto all’interno di unaarchitettura/vetrina che affaccia diretta-mente sul margine di un’arteria cittadinaad alto scorrimento; un segno forte, visibi-le che conferisce lustro al marchio di fab-brica. Ne è conseguito che l’attività com-merciale stessa si è incrementata ponendoil rivenditore ai livelli più alti nella classifi-ca di vendita della Volkswagen Italia. Nato come spazio espositivo per “oggettiin movimento” la sede ha aperto le sueporte ad una serie di eventi culturali: mo-stre di pittura, concerti di musica classica,perfino lezione di un Master in gestionedei beni culturali dell’Università di TorVergata.L’idea è quella di esporre le auto come ope-

re, con la sensibilità riservata ai pezzi spe-ciali di una galleria d’arte. L’edificio sicompone di due parti: una ipogea, illumi-nata da ampie aperture che si affacciano sulpiano stradale, l’altra, emersa e continua,interamente visibile in tutta la sua estensio-ne soprattutto per chi giunge da Roma.Linguisticamente parlando l’edificio ri-sente delle commistioni tra arte e scienza,care al progettista, il quale si diverte adesercitare con sufficiente ironia e manierale gestualità decostruttiviste, con commi-stioni di rigore e purezza razionalista, rela-zionandosi alle tracce testimoniali dell’ar-chitettura novecentesca di Ostia.La grande vetrina rettilinea, posta ad unaquota di poco più alta rispetto al pianostradale, consente di esporre le auto dinuova generazione; una bolla curvilineaospita il pezzo più rappresentativo, inol-tre, raccordando le due quote, è anchetorre di luce per il garage sotterraneo cherisulta, di conseguenza, perfettamente il-luminato e di grande piacevolezza per laqualità spaziale. L’uso coraggioso dei materiali crea un in-sieme di contrasti che conferiscono all’in-sieme un carattere originale allo stessotempo relazionato al luogo.“I tedeschi – afferma il progettista Giulia-no Fausti – sono maestri nel dettagliohigh tech, mentre noi ci avvaliamo delcontributo della nostra grande tradizioneartigianale”; nasce da questa specificità “labolla”, omaggio alla vetrata del museodelle poste e delle telecomunicazioni diBehnish & Partners. La struttura vetratacurvilinea, alta circa quattordici metri, dinotte è illuminata come un faro; è statarealizzata in opera da un artigiano di Fia-

TIRRENA AUTOProgetto architettonicoarch. Giuliano FaustiArchitetti Coppola Fausti Architetti AssociatiProgetto strutturaleing. Danny CannitoDirezione Tecnicaarch. Marco IschiboniDirezione Lavoriarch. Giuliano FaustiCommittenteRuggero PicchiImpresaLuigi PaolettiStruttura vetrataGennaro GiacintaCollaboratoriNicola Bellemo, Emma Fausti, SimonettaFraschetti, Andrea Pianta, Fabrizio ProperziProgetto 1994Realizzazione1998/2000

Sezionelongitudinale epianta del pianorialzato

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nella ricerca spaziale, attenta alla qualità ealla durata del prodotto. Provate a chiede-re a Giuliano Fausti quali siano i suoi duearchitetti favoriti, vi risponderà: Costanti-no Dardi, cioè il teorico e il poeta di unacondizione manierista, e Carlo Scarpa,cioè il manipolatore di spazi e materiali”. Non dissimile la lettura critica di AmedeoSchiattarella: “Le forme appaiono giocatesu una serie di incastri sorprendenti e maiscontati, che creano un sapiente gioco dicontrasto tra convessità e concavità, vuotie pieni, tra la rigidità delle linee rette e lamorbidezza delle superfici curve, tra lastereometria dei volumi e l’improvvisa ro-teazione/cedimento di intere parti dell’e-dificio. L’architettura delle sue opere sem-bra essere sgombera da concessioni a prio-ri, da dogmi ideologici, da teorie da inse-

no Romano, responsabile anche delle par-ti in rame. L’edificio non ha una facciataprincipale, la si scopre girandole intorno,curiosando. L’amore per la propria città ètestimoniato, ancora una volta, dalla cita-zione del palazzo delle Poste di AngioloMazzoni del 1934, cui l’architetto si ispi-ra per l’impianto planimetrico e, in parte,per il corpo scala in mattoni.Luigi Prestinenza Puglisi, presentando ilvolume “Tirrena Auto”, rileva: “La fram-mentazione per piani ricorda l’architetturaolandese degli anni Venti e Trenta di Riet-veld e Dudok: serve per legare spazio inter-no ed esterno garantendo continuità diforme e materiali. Vi è in questo approcciouna condizione tipicamente italiana, spe-rimentale ma problematica, innovativama timorosa di un salto nel buio, felice

guire, per puntare piuttosto su una prassiansiosa e coerente, sulla verifica puntualee sistematica delle infinite possibilità chegli accostamenti tra forme consentono achi opera nel nostro campo”. L’architetto Fausti aggiunge: “Con il co-struttore abbiamo sin dal principio con-diviso l’idea di realizzare un’opera signifi-cativa. Dall’esecuzione delle fondazioni aipiù piccoli dettagli costruttivi si riscontraun amore per il proprio lavoro che le mae-stranze tutte hanno espresso. Quella fidu-cia che il Committente ha concesso a mesi è riverberata nel cantiere innescando uncircuito positivo unico ed emozionante”.

Foto di Luigi Filetici, disegni di Giuliano Fausti

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L’urgenza di affrontare il problemaambientale degli spazi indoor sipone nel quadro dei tentativi chel’uomo ha compiuto e compie

nel campo dello sviluppo di strategie e ca-pacità di adattamento per formare e pla-smare al meglio il suo spazio vitale, defi-nendo un approccio metodologico che as-segna un ruolo privilegiato nella modifi-cazione artificiale delle interazioni e rela-zioni con l’ambiente all’ottimizzazionedei rapporti tra micro-ambiente interno emacro-ambiente esterno al mutare dellediverse condizioni climatico ambientalinel corso della giornata, dell’anno, finan-che dell’arco di vita dell’organismo edili-zio stesso e dell’uomo che lo abita, nell’in-tento di rispondere sempre più in sensoflessibile agli stessi cambiamenti igienici,psicologici, sociologici e culturali.

La qualitàambientale delle architetturedi interno

Alessandra Battisti*

La flessibilità di usi e funzioni nell’arcodi vita dell’edificio deve costituire ilprimo passo per arrivare all’impiego di apparati tecnologici sostenibili ed innovativi, con la garanzia di unagestione che controlli le conseguenzedell’innovazione sulle costruzioni el’integrazione delle tecnologie.

a cura di Giorgio Peguiron

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La modificazione dei fattori locali e mi-croclimatici così definita si delinea secon-do due linee di ricerca ed intervento stret-tamente interrelate e fortemente connes-se, una nei termini di ottimizzazione diun globale comfort ambientale, che im-plica una particolare connotazione adatti-va delle caratteristiche morfologiche eprestazionali dell’architettura di interniper l’ottenimento di un controllo e di unaregolazione dei fattori termico, igienico,acustico, visivo e luminoso.L’altra linea di ricerca si configura nei ter-mini di un buon adattamento tra il fruito-re di uno spazio, l’involucro che questospazio definisce tanto all’interno quantoall’esterno, lo spazio indoor e l’ambientein senso più ampio, considerazione che vaben oltre gli intrinseci meccanismi delrapporto dimensionale e materico tra in-volucro ed edificio, ed implica la soddisfa-zione di ogni requisito ambientale simul-taneamente ed in senso sostenibile.Anche se non esistono dei metodi stan-dardizzati per valutare le caratteristicheecologiche degli spazi interni nel lorocomplesso, tuttavia ci sono metodi di va-lutazione della qualità ecologia dei pro-dotti e degli apparati tecnologici di cui sifa normalmente uso, messi a punto da va-rie istituzioni americane, dalla comunitàeuropea, e da associazioni svizzere e tede-sche, nonché standard di qualità igienicadell’aria, standard di illuminazione e dicomfort acustico. In senso stretto le con-dizioni di comfort ambientale indoor so-no determinate dai “livelli di benessere”climatico raggiungibile (termico, sonoro,igrometrico, luminoso), per i quali la ma-nualistica di settore e la normativa, fissa-

no specifici limiti e intervalli da rispettare.Ci fa notare Adriana Baglioni, tuttavia,che questi limiti ed intervalli, non posso-no in genere essere assunti come valori as-soluti da considerare rigidamente, datoche sono il risultato di indagini statisti-che, per lo più riferite ad aree centro-nordeuropee. Queste ricerche condotte percampione, rispettano realtà medie o tipi-che, cioè situazioni che solo teoricamentesono assimilabili alla situazione specificadi ciascuna utenza da soddisfare1.Garantire una qualità ambientale signifi-ca allora adottare sistemi tecnologici cherisultino essere il frutto dell’integrazionetra le prescrizioni manualistiche e le con-venzioni consolidate filtrate attraversoun’attendibile valutazione dello specificostatus locale e delle attese effettive dei de-stinatari, al fine di assicurare condizionisalutari ed operare la selezione dei fattoriambientali atti a garantire ad ognuno losvolgimento del proprio abitare e lavora-re, sia sotto il profilo della produttivitàche dell’equilibrio psicologico e mentale.Un medesimo spazio, infatti, con identiciparametri di comfort, può determinare ri-sposte molto diverse a seconda dei suoiutenti. Queste condizioni personali ven-gono classificate in gruppi diversi a secon-da che si tratti di: condizioni biologico-fi-siologiche (ereditarietà, sesso, età, etc.),condizioni sociologiche (tipo di attività,educazione, ambiente familiare, moda, ti-po di alimentazione, etc.) e condizionipsicologiche di ciascuno degli utenti.In quest’ottica, scopo precipuo dell’archi-tettura è quello di prospettare quella tipo-logia di involucro che l’autorevole criticoR. Banham definisce di tipo selettivo2,

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In queste pagine:• Institut feur Optick Lasertechnick a Berlino

Adelsdorf, Architetti: Sauerbruch & Hutton• Sistema di ventilazione naturale

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con una capacità di reazione del suo siste-ma di comando e controllo che permettain maniera veloce, efficace ed efficiente dipercepire il cambiamento attraverso unsistema di sensori, elaborare i dati e tra-smetterli agli attori che influenzano ilcontrollo impiantistico dell’edificio, se-condo un assetto di sistema di rilevamen-to-elaborazione-metabolizzazione-azionemolto simile a quello del sistema neuro-vegetativo umano.I sensori registrano le modifiche del climaesterno o dell’utilizzo interno, trasmetten-doli agli elementi di comando program-mato che valutano le informazioni ed im-partiscono gli ordini di comando ai siste-mi che pongono in funzione il sistema diriscaldamento, di climatizzazione, di illu-minazione, di sicurezza, etc. In un appara-to così congegnato è di importanza rile-vante l’integrazione impiantistica dell’in-tero edificio, la comunicazione tra i singo-li sottosistemi e il loro coordinamento.Ogni abitante può scegliere il suo climamicroambientale ottimale modificando iparametri di luce e calore all’interno del-l’ambiente che abita, si vengono così acreare zone a climi differenti che si disco-stano dal modello ideale di edificio per uf-fici o per il commercio di alcuni decennior sono che imponeva un modello energe-tico, di ventilazione, illuminazione e ri-scaldamento omogeneo. Questo cambia-mento del modello di microclima internorichiede un’impiantistica più sofisticata,strutturata come una centrale per potergestire ogni ambiente interno abitato daun diverso occupante con un differentemicroclima.C’è un effettivo interesse e domanda

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• Torre per gli uffici della Commerzbank aFrancoforte, Architetto: N. Foster

• Schemi di funzionamento dell’involucro

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commerciale che spinge gli operatori delsettore a sondare e a estendere la ricercanell’indagare fino a dove i parametri dicomfort totale ed individuale in relazionefra loro possono essere direttamente con-trollati e regolati tramite un progetto cor-retto e telematizzato dell’involucro edili-zio. L’attenzione si rivolge al controllodella temperatura dell’aria interna e quel-la media radiante delle superfici comeprodotto dello scambio di apporto termi-co interno ed esterno, da una parte, e allaperdita di calore per trasmissione e venti-lazione, dall’altra. Così come al ricambiod’aria e alla luminosità e densità luminosache sono influenzate e possono essere otti-mizzate dal tipo, posizione e dimensionedelle aperture nell’involucro. Analoga-mente, indipendentemente dal coeffi-ciente d’isolamento termico di una faccia-ta trasparente, il posizionamento di siste-mi di protezione solare comporta una de-cisiva influenza sul consumo energetico diun edificio. Da quando questi sistemi so-no protetti dall’inquinamento e dalle pol-veri, essi permettono inoltre l’uso di ele-menti con superfici sensibili, cioè alta-mente riflettenti per reindirizzare la lucedel sole. Con elementi installati nelle cavi-tà tra i vetri atermici, per esempio micro-griglie e sistemi prismatici, la fatica per lapulizia e la manutenzione è potenzialmen-te ridotta e il ciclo vitale aumentato.In maniera analoga i sistemi antiabbaglia-mento prevengono contrasti estremi del-l’intensità luminosa, per assicurare ilcomfort visivo all’interno. Una varietà disistemi differenti può essere usata per mu-tare e diffondere la luce intensa. Ogni vol-ta che questi sistemi sono usati è impor-

tante evitare la riduzione della trasmissio-ne della luce solare a tal punto da doverutilizzare la luce artificiale, o di impedireun contatto visivo tra interno ed esterno.Se da un lato infatti è importante scher-marsi dall’irraggiamento solare, dall’altrol’uso della luce naturale diurna è semprepiù importante sia in termini di comforted appagamento dell’utente che riguardoalla riduzione della richiesta di luce artifi-ciale. Misure per ottimizzare l’uso dellaluce naturale dovrebbero essere semprestrettamente integrate con qualsiasi siste-ma di protezione solare per elevare lacomponente di luce diurna della radiazio-ne solare e diminuire lo spettro della ra-diazione solare compreso tra le onde cortee lunghe (alcuni sistemi adatti per soddi-sfare queste richieste sono: vetri con rive-stimenti selettivi; riflettori che deviano laluce nel fondo della stanza; sistemi di mi-cro-griglie con rivestimenti altamente ri-flettenti; sistemi prismatici; vetri diffuso-ri; sistemi di lamelle vitree; sistemi diffrat-tivi olografici).Diventa allora un fronte di ricerca la tara-tura del progetto dell’involucro architet-tonico e della sua intelligenza sulla defini-zione dei margini di compatibilità tra gliinterventi garantendo una corretta rego-lazione di ciascun parametro di benessereambientale e la flessibilità e intercambia-bilità di usi e funzioni nell’arco di vita del-l’edificio, risolvendo i problemi che na-scono dal confronto tra le modificazioninel tempo e le aspettative degli abitanti.Ma la flessibilità non è che un primo mo-mento di un più generale processo di im-piego di apparati tecnologici sostenibilied innovativi. In altre parole è necessario

garantire una gestione che non perda ilcontrollo delle conseguenze che l’introdu-zione dell’innovazione può provocare sul-le diverse parti della costruzione e sul loromodo di funzionare, e che garantisca l’in-tegrazione delle tecnologie in modo taleda pervenire a risultati di qualità che nonprivilegino alcune prestazioni su altre.

* Professore a contratto presso la Prima Facoltà di Archi-tettura “La Sapienza” di Roma, ha conseguito in prece-denza la Specializzazione in “Tecnologie ecocompatibili”al Politecnico di Monaco di Baviera, il Dottorato e Post-Dottorato in “Progettazione Ambientale” presso il Dipar-timento I.T.A.C.A.

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1 Adriana Baglioni, Costruzione e salute – Criteri, nor-me e tecniche contro l’inquinamento interno, FrancoAngeli, Milano, 19932Banham definisce tre tipologie di edifici, in relazionealla qualità della risposta dell’ambiente esterno di tuttol’organismo involucrato che costituisce l’architetturad’interno: quello di tipo conservativo, in cui l’involucroesterno assume il ruolo di proteggere e chiudere gli am-bienti indoor dalla mutevolezza dei fattori climaticiesterni; quello di tipo selettivo che invece adopera l’in-volucro esterno come un filtro, per selezionare gliaspetti graditi e tralasciare quelli sgraditi; ed infinequello di tipo rigenerativo che tende a ricreare all’inter-no un microambiente autonomo dall’esterno grazie aisistemi meccanici ed impiantistico artificiali. Cfr Ro-ger Bahnam – Ambiente e tecnica nell’ArchitetturaModerna, Laterza, Bari, 1978

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• Sede centrale della GSW a Berlino,Architetti Sauerbruch & Hutton

•Schemi di funzionamentodell’illuminazione e della ventilazionenaturale

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Architettura, paesaggio e mo-stre sono stati gli eventi che sisono susseguiti a Pieve di Ca-dore, la città natale di Tizia-

no, affiancando le proiezioni del Film Fe-stival, dedicato, per il secondo anno con-secutivo, ai beni culturali. È così che, nella sala consiliare di Pieve, unincontro con l’architetto Mario Botta, co-ordinato dal giornalista e autore televisivoNino Criscenti, ha messo in luce, attraver-so specifiche domande, alcune tematicheparticolarmente connesse con l’architettu-ra e il territorio: “Come lavora un architet-to sul paesaggio? Come influiscono il con-testo, la storia, le vedute, l’economia di unluogo nell’ideazione di un progetto?”.“Se potessi farei solo chiese”, questo dicel’architetto Mario Botta, ospite del FilmFestival di Pieve di Cadore dove ha illu-strato le sue opere principali: dal Mart diRovereto alla casa museo Dürrenmatt,dalla biblioteca comunale di Bergamo al-le torri di Seul. “La costruzione delle chie-

Intervista a Mario Botta

In occasione del Film Festival di Pieve di Cadore, dedicato ai beni culturali,abbiamo incontrato Mario Botta che harisposto ad alcune domande sui modidell’integrazione fra architettura, natura,paesaggio.

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se”, ha affermato Botta intervistato da Ni-no Criscenti, “mi ha chiarito il concetto di‘limite’ nell’architettura”. E aggiunge:“…è la trasformazione del paesaggio… eil paesaggio ha bisogno dell’architetturaper trasformarsi in luogo umano”.A tal proposito Botta ha focalizzato l’at-tenzione sulla pianura veneta e sulla co-siddetta città diffusa, ovvero sull’intensaurbanizzazione che ha caratterizzato ilpaesaggio veneto nell’ultimo decennio:“La città diffusa, di per sé non è una cosanegativa, se raccordata al paesaggio”, diceBotta, “e la pianura veneta ha qualchepossibilità di recuperare il proprio, datodall’orografia modesta e dall’assenza digrandi emergenze. Abbiamo solo consu-mato il paesaggio agricolo, mentre com-pito dell’architettura è di sostituirlo. Miauguro che in questo senso ci sia una nuo-va consapevolezza che trovi un equilibriotra il costruito e il naturale. La pianura ve-neta ancora oggi sorregge il confronto ri-spetto ad altri paesaggi degradati”.

• Mario Botta, Mart, Museo di Arte Moderna eContemporanea, Rovereto

Nella pagina precedente:• Mario Botta, Museo Fredrick Dürrenmatt,

Neuchåtel, Svizzera

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Per quanto riguarda particolarmente i fil-mati del Festival, rinviando alla consulta-zione dei testi specialistici, ricordiamosoltanto che tra i film premiati (con il ri-conoscimento della “migliore opera pri-ma”), ha suscitato molto interesse “La Fe-nice, la rinascita” a cura di Alberto ZottiMinici e Leonella Grasso Caprioli con laconsulenza scientifica di Giampiero Bru-netta; regia di Antonio Andreetta; produ-zione Università degli Studi di Padova,Fondazione Teatro la Fenice, Istituto ve-neto di Scienze, Lettere e Arti.In quell’occasione l’architetto Botta ha ri-lasciato alla nostra rivista la seguente inter-vista raccolta dall’arch. Luisa Chiumenti.

D. Seguendo la sua architettura fino da-gli inizi, colpita dagli inserimenti nelpaesaggio attorno al lago di Lugano, hoparticolarmente captato nel progettistal’esigenza di un corretto inserimento,dettato dall’obiettivo dell’armonia tra

Natura e Arte, ma qual è per l’architettoBotta il “peso” che la storia sostiene ap-punto in uno specifico contesto riguardoalle scelte e alle modalità progettuali?R. Innanzitutto bisogna sottolineare il fat-to che l’architettura è “altro” rispetto allaNatura: non bisogna cercare di realizzareuna integrazione acritica. D’altro canto laqualità del paesaggio è proporzionale allaforza dell’intervento, che deve esprimersicome “altro”, come elemento di artificio,con tutte le caratteristiche specifiche del-l’Uomo (ragione, razionalità, etc.), nel-l’intento di realizzare un dialogo e non unaosmosi. Si deve realizzare un confronto tral’intervento e gli elementi della Natura, inun “dare-avere” reciproco: il paesaggio dàla sua identità e l’architettura dà l’apportodell’attività umana.D. È un momento in cui si sente forte l’e-sigenza di “comunicare l’architettura”(anche attraverso la serie delle trasmis-sioni de “Il terzo Anello” su Rai 3 (cfr.

Archinfo in AR n. 51/04 pag. 52): è posi-tivo a tal fine il rapporto fra progettazio-ne architettonica e realizzazione dell’im-magine filmica?R. L’immagine cinematografica è uno sti-molante strumento, che va oltre la fotogra-fia in quanto, introducendo il movimento,travalica anche i limiti del tempo: puòquindi costituire uno strumento di comu-nicazione, divulgazione e sensibilizzazioneimportante verso l’obiettivo della realizza-zione di un migliore spazio per l’Uomo.D. Quale il giudizio sul fatto che si siadovuto “ricorrere” ad una “Legge” per la“Qualità dell’Architettura”?R. Creare una legge è stato positivo, per ilsemplice fatto di porre almeno il proble-ma sul tavolo e creare dibattito e discus-sione. Tuttavia, suscitato il problema, nonbisogna illudersi che esso sia stato subitorisolto! Comunque si tratta di ottimi se-gnali di una certa “attenzione” posta neiriguardi della organizzazione degli spazidi vita dell’Uomo.D. “Architettura e Arti Visive” : come sideve vedere questo rapporto? Conoscia-mo la stretta collaborazione “Botta –Cucchi”: nella Università di Mendrisio èattivo qualche Corso in relazione a que-sto rapporto?R. Sì, fin dall’inizio abbiamo introdottoCorsi obbligatori di Storia dell’arte anti-ca, ma anche di storia dell’arte contempo-ranea, perché il contemporaneo va vissutoe studiato su tutti i fronti. Artisti vengonochiamati a tenere conferenze e lezioni,perché del resto i giovani architetti lavora-no contemporaneamente ai giovani artistie con gli uni e gli altri “prosegue il suocammino l’Arte nel tempo attuale”.

• Mario Botta, Kyobo Tower, Seoul, Corea

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La 9° Mostra Internazionale di Ar-chitettura della Biennale di Veneziasi è articolata come sempre, negli ul-timi anni, in due diversi luoghi: nel-

le Corderie dell’Arsenale (con le opere diPeter Eisenman, Frank O. Gehry, AldoRossi e James Stirling sino alle ultime ten-denze e realizzazioni) e nei Giardini con lerealizzazioni proposte nel padiglione Ita-lia e dagli esponenti scelti per rappresen-tare i vari Paesi.

Biennale di Venezia

2004

Metamorph: con questo titolo impegnativo laMostra ha inteso documentare i principali

cambiamenti in atto nell’architettura contemporanea,indagando lo spazio architettonico nelle sue capacità di

vivere le trasformazioni e di utilizzare nuovi materiali.

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Alessandro PergoliCampanelli

L’esposizione anche questa volta si presen-ta con un titolo impegnativo: “Meta-morph”. Il curatore dice di voler docu-mentare con la scelta delle opere e degliautori esposti i principali cambiamenti inatto nell’architettura contemporanea.Nelle intenzioni di Kurt Foster, il tema daseguire è l’identificazione fra quanto av-

In alto:• Nobuyoshi Araki , Skyscapes, 2000

A sinistra:• Ben van Berkel, A life in the Day, 2004

Sotto e a destra:• Immagini della Biennale

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viene nell’architettura contemporanea (omeglio in una parte di essa) e l’evoluzionedegli organismi viventi con le loro “orga-niche” modalità di trasformazione. Lospazio architettonico è quindi indagatonelle sue capacità di vivere i mutamenti;nuovi materiali particolarmente adatti(per plastici e modelli? Ma come sarannouna volta realizzati? La loro presunta leg-gerezza e trasparenza non si scontrerà conle leggi della gravità creando impatti sulterritorio a dir poco imprevedibili?) accol-gono e sottolineano gli effetti atmosferici,rivestono di nuova pelle edifici preceden-temente realizzati secondo un’ottica seria-le (probabilmente di moda in precedentiedizioni della Biennale), strane reti mime-tizzano alla vista mostri urbanistici ed ingenerale i progetti esposti assumono ca-

ratteri più centrati sull’evoluzione del-l’ambiente circostante e sulla rappresenta-zione di forme fluide.Grazie alla ricerca di materiali che possie-dono qualità variabili e reattive, molte ar-chitetture stanno infatti cambiando natu-ra, assumono geometrie irregolari e tenta-no di assimilare le funzioni dei loro invo-lucri a quelle di membrane viventi. Spintadalle necessità della moda di rinnovarsicontinuamente, finalmente anche la ‘vec-chia’ gloriosa architettura organica sem-bra tornata a nuova vita nei molti proget-ti presentati. Tuttavia rispetto alle operedel passato, ed anche ai capolavori assolu-ti (Wright, Scharoun, Steiner ecc.) la sen-sibilità organica si identifica ora solo conun contemporaneo sentire ‘verde’: il con-cetto di minimo impatto, di rispetto am-

bientale, di autosufficienza energetica so-no le prime basi su cui fondare le opere at-tuali, che tuttavia sembrano ancora trop-po distanti dal vero concetto di architet-tura organica, perché anche in questa edi-zione della Biennale di Venezia ci si conti-nua a preoccupare troppo della forma,sempre più politicamente corretta, che deiprincipi fondanti dell’architettura; comese questi fossero scontati e non valesse lapena di provare, per una volta, a capirciqualcosa. Indubbiamente, rispetto alla precedenteedizione, che somigliava più ad una gran-de rivista di architettura che ad una mo-stra d’avanguardia, questa volta si è cor-retta molto la mira scegliendo un precisoindirizzo, che comunque è ahimè semprequello ‘vincente’. Massimiliano Fuksas,curatore di una precedente e fortunataedizione de La Biennale, in un ampio arti-colo pubblicato su La Repubblica del 29settembre, trova più interessante e vivaun’altra mostra, “Arte e architettura”, orain svolgimento a Genova a Palazzo Duca-le: come dargli torto?L’allestimento e l’immagine grafica de LaBiennale, come anche i tre libri/cataloghiche ne raccolgono i risultati, sono curatidallo studio newyorkese Asymptote (HaniRashid e Lise Anne Couture) e Omnivore.

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Nella pagina a fianco, dall’alto:• Juan Navarro Baldeweg Asociados SL

Sculptoric proposal for Italian Pavilion• Eisenman Architects

Ciudade de Cultura de Galicia Santiago de Compostela, Spain, 1999 in progress

In questa pagina, dall’alto:• Frank O. Gehry & Associates Inc

Walt Disney Concert HallLos Angeles, CA, USA, 1989 – 2003

• Zaha Hadid Architects Phaeno Science Centre Wolfsburg, Germany, 2000 under constructionPhoto credits Helene Binet

• Massimiliano Fuksas ArchitettoNuovo Polo Espositivo Fiera di Milano Milan, Italy, 2003Central axis glass roof, eastern view

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a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli

In generale, l’adeguamento alla norma-tiva d’una fabbrica condiziona moltola progettazione. D’altro canto talecondizionamento svolge un ruolo di

orientamento per la progettazione stessa espinge il progettista a conoscere in modoapprofondito e completo il manufattoprima di intervenire. Più che mai la cono-scenza acquista importanza e deve prece-dere la progettazione affinché l’adegua-mento alla normativa non comporti lostravolgimento irreversibile del manufat-to, sia che si agisca nel campo del restauroche in quello del recupero architettonico. Nel caso in questione soltanto l’adegua-mento alla normativa vigente ha consen-tito il pieno recupero di un luogo di cul-tura abbandonato da tempo e destinato aldecadimento più completo. Si è cercato peraltro di conseguire taleadeguamento tenendo presenti i più ag-giornati metodi e criteri del restauro e cer-cando di cogliere nell’edificio le vocazionie i suggerimenti affinché il rispetto dellanormativa non generasse soluzioni invasi-ve o deturpanti.

Stato di fatto prima dei lavoriIl teatro ‘Caesar’ è situato a San Vito Ro-mano in provincia di Roma. Negli anniSettanta tra Via Giovanni XXIII e Via Re-migio De’ Paolis, sorge un grande com-plesso condominiale costituito da una se-rie di abitazioni, da un centro sportivo conpiscina e da un teatro al quale viene datoun nome importante: Teatro ‘Caesar’.Nel 1990 il teatro, che aveva ospitato at-tori e rappresentazioni notevoli, viene ac-quistato dal Comune che inizia la sua ri-strutturazione.La ditta incaricata fallisce: il teatro vieneabbandonato fino al 1998, quando con unprimo finanziamento regionale ha inizio laprogettazione esecutiva di un primo lottodi lavori. Si tratta di un’architettura di nongrande pregio artistico, realizzata construttura in c.a. (telai in sala e pilastri nelresto degli ambienti) e tamponature in la-terizi, connotata comunque da un’impor-tante spazialità. L’edificio presenta unadistribuzione planimetrica molto raziona-le. Uno spazio piuttosto angusto delimital’area dell’entrata principale dalla quale si

Il progetto si qualifica quale recupero e riprogettazione di unacostruzione degli anni Settanta. In questo lavoro la normativaha condizionato la progettazione, ma ha posto anche delle sfide: quindi non solo adeguamento e rispetto degli obblighi di legge, maanche pensiero architettonico che tende a connotare e valorizzare deglispazi che necessitano di una riconoscibilità anche tipologica e formale.

Il Teatro “Caesar” a San VitoRomano

Anelinda Di Muzio

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sviluppa una hall completa di un botteghi-no con cassa e di un ambiente guardarobadefiniti da banconi alti in marmo lavora-to. Da qui si può entrare in sala e in un fo-yer laterale che costituisce anche l’accessoper il bar e per i bagni per il pubblico uo-mo-donna-portatore di handicap.Prima dei lavori la sala si presentava spo-glia: la parte basamentale delle pareti era ri-vestita da lastre di marmo, mentre la partealta era tappezzata con feltro non certifica-to. Il pavimento era costituito da teli di li-noleum sempre senza certificazione, cosìcome le poltrone presenti. Sui pilastri incalcestruzzo armato erano fissati dei farettida cantiere per l’illuminazione artificiale.Il boccascena aveva una decorazione ingesso, mentre sul palco era presente unastruttura realizzata con travi in ferro e roc-chetti da utilizzarsi come graticcio di ma-novra per l’alloggiamento dei tiri per lescene e per le luci. Lateralmente al palcoera ricavata la zona per gli attori, con ba-gni e camerini.

Progetto realizzatoIl progetto si qualifica quale recupero e ri-progettazione di una costruzione degli anniSettanta alla quale incompletezza di defini-zione tipologica prima e abbandono poi,non avevano tributato la giusta forma ar-chitettonica, che oggi finalmente ottieneessendosi riaperto il processo formativograzie alla riconsiderazione dell’importantefunzione culturale per la comunità locale.Lo stato di abbandono in cui versava e lesue potenzialità come luogo per la culturapostulavano il suo recupero con un ade-guamento alla normativa che regola la rea-lizzazione di sale per pubblico spettacolo.

Le modifiche sono state limitate allo stret-to necessario perseguendo l’adeguamentoalle esigenze attuali (per es. per la nuovadotazione di bagni).L’atteggiamento è stato conservativo mi-rato a cogliere dalle strutture esistenti glielementi per i completamenti e gli ade-guamenti progettuali. È stato necessarioun adeguamento normativo in particola-re alla legge 13/89 e successive (Disposi-zioni per favorire il superamento dellebarriere architettoniche negli edifici pri-vati) al D.M. 19 agosto 1996 (Approva-zione della regola tecnica di prevenzioneincendi per la progettazione, costruzioneed esercizio dei locali di intrattenimento,costruzione ed esercizio dei locali di pub-blico spettacolo), al D.M. 12 aprile 1996n. 74 (Regola tecnica di prevenzione in-cendi per la progettazione, la costruzionee l’esercizio di impianti termici alimentatida combustibili gassosi) e alla legge1086/71 (Norme per la disciplina delleopere di conglomerato cementizio arma-to, normale e precompresso, ed a struttu-ra metallica) con un intervento di miglio-ramento per sanare la precaria situazionestrutturale del balcone.Scendendo nel particolare, per quanto ri-guarda l’impiantistica “…di grande valorecivile, relativa alla rimozione delle barrierearchitettoniche” (G. Carbonara, 2001,Trattato di Restauro Architettonico, UTET,Torino, vol. V, p. 18), è stata realizzata unarampa nella hall, in sostituzione dei gradi-ni esistenti e il pavimento è stato fatto conlastre di travertino alternativamente liscioe bocciardato, materiale che ben si accordacon i rivestimenti in marmo esistenti nellahall e nel foyer. Sempre per la rimozione

delle barriere architettoniche è stato inse-rito un elevatore lateralmente all’uscita disicurezza del palco per permettere il colle-gamento tra questo piano e il palcosceni-co: con tale inserimento si è voluta rispet-tare l’architettura esistente scegliendoquindi una posizione laterale e di servizio.Per quanto riguarda l’impianto di riscalda-mento si sono utilizzati i passaggi esistentisostituendo le canalizzazioni soltanto dovesi rendeva necessario mentre è stato ade-guato il locale caldaia modificando il rap-porto altezza esterna e aggetto del balconecome previsto dalla normativa (D.M. 12aprile 1996 n. 74).Per quanto riguarda l’impianto elettrico sisono evitate tracce invasive nella muratu-ra e, tenendo anche presente il criteriodella reversibilità, è stato fatto passare, al-l’interno del controsoffitto, un condottoportacavi ad anello intorno alla sala utiliz-zabile anche successivamente per ulterioripassaggi di cavi.Relativamente al D.M. 19 agosto 1996, ilproblema più grande era rappresentatodall’esigenza di separare il teatro “da atti-vità non pertinenti ed a diversa destina-zione mediante strutture di resistenza alfuoco almeno REI 90 senza comunicazio-ni” (punto 2.2.1): il supermercato sopra-stante e le abitazioni laterali. Tale separa-zione è stata assicurata con la creazione diuna controparete che presenta anche par-ticolari caratteristiche fonoisolanti, essen-do montata con doppio strato nei lati ver-so le abitazioni. Inoltre, tra un pilastro el’altro la controparete contiene dei pan-nelli di lana di vetro (rivestimento fonoas-sorbente) rifiniti con dei tessuti in classe1. In questo modo si è tenuto conto sia

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ha condotto alla soluzione realizzata. Si so-no disposti dei pilastri in acciaio al limitedell’aggetto del balcone, sui quali è statapoggiata una trave longitudinale. Su que-sta sono appoggiate due travi trasversaliche abbracciando i montanti esistenti nesostengono il carico e permettono la loroeliminazione. Un sistema di bulloni ha as-sicurato la forzatura di queste due travi inmodo da eliminare qualsiasi assestamentoal momento del taglio del profilato scato-lare. È stata anche inserita una trave longi-tudinale in prossimità del muro di faccia-ta, in quanto ci si è accorti che le IPE delsolaio entravano nella muratura per pochicentimetri, in modo da conferire unamaggiore garanzia all’appoggio dei profi-lati dell’attuale solaio. Tale trave è sostenu-ta dalle travi trasversali che sono ancoratealla struttura in c.a esistente all’interno delmuro perimetrale. L’intervento proposto,oltre a migliorare sensibilmente la struttu-ra di sostegno della terrazza per il maggiordimensionamento delle singole membra-ture, non produce sostanziali modifichenel comportamento strutturale globaledell’edificio. Sui nuovi pali, inoltre, sonostati inseriti dei bracci con corpi illumi-nanti e degli elementi decorativi a chiusu-ra delle travi di sostegno aggiunte.In questo lavoro la normativa ha condi-

zionato la progettazione, ma spesso ha po-sto anche delle sfide. Ad esempio il mi-glioramento statico del balcone (Teatro‘Caesar’) non ha impedito che l’ideazionee la progettualità avessero un proprio spa-zio e consentissero la trasformazione delbalcone stesso in pensilina. In questo mo-do è stato possibile creare un’area di perti-nenza esterna che rendesse riconoscibile ilmanufatto come teatro. Lo stesso vantag-gio si è avuto all’interno dello spazio dove,pur rispettando la normativa, attraversol’uso dei materiali si è perseguito il rag-giungimento di un’espressività e di unaidentità di sala per rappresentazioni espettacoli. Quindi non solo adeguamentoalla normativa, rispetto degli obblighi dilegge, ma anche pensiero architettonicoche tende a connotare e valorizzare deglispazi spesso depauperati e impoveriti dainterventi precedenti condotti senza al-cun senso critico, e che necessitano di unariconoscibilità anche tipologica e formale.In accordo con Zander si è cercato di ope-rare una ‘sintesi architettura-restauro co-me unico momento artistico e operativo’,cercando di porre alla base delle scelte una“…corretta ricerca al tempo stesso pro-gettuale e creativamente ‘conservativa’”(G. Carbonara, 1997, Avvicinamento alrestauro, Liguori Editore, Napoli, p. 583).

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della separazione da attività non pertinen-ti, sia del rischio di inquinamento acusti-co nelle abitazioni soprastanti il teatro,eseguendo delle indagini previsionali infase progettuale ai sensi del D.P.C.M.1/03/1991 e della Legge 26/10/1995, n.447. La sala ha 302 posti più due per por-tatori di handicap. Il boccascena con de-corazioni in gesso, risalente agli anni Set-tanta, è stato conservato e restaurato.Per quanto riguarda la sicurezza antincen-dio è stato realizzato un impianto di rileva-zione fumi e un impianto idrico antincen-dio (punto 15.3.2 del D.M. 19.08.1996)con due serbatoi di accumulo di 16.000 li-tri complessivi, posizionati all’esterno as-sieme ad un gruppo di pompaggio di ali-mentazione della rete antincendio.Anche l’area di pertinenza esterna al tea-tro si presentava in uno stato di generaledegrado e abbandono. Il balcone, aggiun-to in epoca successiva poggiava su pilastri-ni in ferro con una stabilità precaria, cosìcome le travi IPE del solaio si appoggiava-no al muro per uno spessore molto ridot-to. Era necessario un intervento di rinfor-zo strutturale, per migliorare la strutturada un punto di vista statico.La necessità di sostituire gli attuali soste-gni del balcone con altri di dimensioni piùadeguate e in una posizione più razionale,

RISTRUTTURAZIONE E ADEGUAMENTONORMATIVO DEL TEATRO “CAESAR”

Localizzazione San Vito Romano (Rm) Via Remigio de’ Paolis 14-16

Destinazione d’uso Teatro-cinema

Proprietà dell’immobileComune di San Vito Romano

CommittenteComune di San Vito Romano

Progetto e Direzione lavoriArch. Anelinda Di Muzio

Imprese esecutriciDI GENNARO IMPIANTI s.r.l. (I lotto)COFIX s.r.l. (II-III lotto)

ImportoEuro 144.607,93 (I lotto)Euro 634.209,07 (II-III lotto)

Periodo di svolgimento dei lavori5/03/01- 6/11/01 (I lotto)8/07/02- 17/12/2003 (II-III lotto)

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Dal 18 giugno al 30 settembre2004 si è tenuta alla Certosa diSan Lorenzo a Padula (Saler-no), la terza edizione della Mo-

stra “Le Opere e i Giorni” arricchita dallasezione dedicata al paesaggio, “Ortus Ar-tis”, alla sua seconda edizione, sotto il pa-trocinio del Ministero per i Beni e le Atti-vità Culturali per il patrimonio storico,artistico e demoetnoantropologico di Sa-lerno e Avellino. Curatore dell’iniziativa Achille BonitoOliva che, per la sezione di paesaggio èstato coadiuvato dallo studio e.u. (PaolaCannavò, Maria Ippolita Nicotera, Fran-cesca Venier, architetti italiani che hannofondato il loro studio a Berlino), con il co-ordinamento della Soprintendenza per iB.A.P.P.S.A.D. di Salerno e Avellino.Alla grandiosità del complesso architetto-nico della Certosa – tra i più grandi mo-nasteri d’Europa e d’Italia, costruita a par-tire dal 1306 – si intrecciano i segni, le ci-tazioni e le suggestioni degli artisti, per lamostra “Le Opere e i Giorni” (ideata come

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a cura di Lucio Carbonara e Barbara Pizzo

“ORTUS ARTIS” alla Certosa

di Padula

La mostra ha messo architetti e paesaggisti a confronto, tra di loro e con gli artisti, sul tema

del giardino inteso come luogo per eccellenza del contatto tra uomo e natura. Un intervento culturale complessivo sul territorio

che avvia un’operazione di comprensione del paesaggio, e apre un dibattito sul tema nelle sue stratificazioni non solo naturali

ma anche storiche, artistiche ed antropologiche.

Valeria Caramagno

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tare prima artisti contemporanei, e poi an-che architetti e paesaggisti, a lavorare all’in-terno di questa splendida architettura, co-stituisce un passo esemplare e innovativorispetto alla cultura della conservazione deibeni monumentali, per la rivitalizzazionedi un territorio marginale e della Certosa,che dal prossimo anno diventerà così ancheMuseo di Arte Contemporanea.La sezione di paesaggio, in particolare, sifonda sulla consapevolezza, espressa daPaola Cannavò di studio eu., dell’impor-tanza che oggi il paesaggio ha assunto,poichè i progetti di trasformazione, sianoessi a scala urbanistica o architettonica,sono indissolubilmente legati al paesaggioche modificano e a quello che creano.La mostra “Ortus Artis” ha visto quest’an-no gli architetti paesaggisti Henri Bava(Francia), Bet Figueras (Spagna), GuidoHager (Svizzera), Joao Ferreira Nunes (Por-togallo), Stefan Tischer (Germania), che

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progetto triennale in cui gli artisti sonostati chiamati a riflettere sui temi: “Verbo”– “Precetto” – “Vanitas”), e dei paesaggistie architetti, per la mostra “Ortus Artis”.Così i grandi spazi architettonici e le partimonumentali della struttura con suoi pre-gevoli elementi decorativi, restaurati a curadella Soprintendenza per i B.A.A.A.S. diSalerno a partire dal 1982, si arricchisconodi un nuovo strato di storia, dei nuovi ger-mi vitali della cultura artistica contempora-nea, e suscitano nuove emozioni, inventanonuovi stimoli per il futuro di questi luoghi.L’iniziativa di Achille Bonito Oliva, di por-

• Henri Bava, “Passage” Giardino cella n. 7

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sono stati invitati a realizzare un giardinonegli hortus conclusus, parti integranti del-la struttura architettonica originale degliappartamenti dei monaci, nei cui internilavorano gli artisti. Accanto ai nuovi pro-getti e realizzazioni, si ritrovano ancora al-lestiti nella Certosa i giardini dei paesaggi-sti invitati durante l’edizione 2003 dellamanifestazione: Atelier Le Balto (Francia),Victor Beiramar Diniz (Portogallo), Hele-ne Hölzl (Italia), Topotek 1 (Germania),West 8 (Olanda).A questi si aggiunge, nel giardino della cel-la 17, la realizzazione del progetto vincito-re del workshop svoltosi nel settembre2003, selezionato da una giuria interna-zionale e aggiudicato agli studenti delCorso di Laurea in Architettura dei giardi-ni e paesaggistica della Facoltà di Architet-tura “L. Quaroni” dell’Università deglistudi di Roma “La Sapienza”. Progetto cheè stato anche giudicato meritevole di esse-

re presentato alla II Biennale del paesaggiotenutasi a Barcellona nel novembre 2003. Nei progetti di questi giardini è centrale ilconfronto tra la suggestione derivante da-gli spazi di meditazione e raccoglimentodello spirito certosino e la loro re-inter-pretazione nell’accezione più coerente delprocesso creativo di interazione tra ele-menti naturali e artificiali nel giardino.Lo spunto per la nascita di Ortus Artis,racconta Ippolita Nicotera dello studioeu., facendo seguito all’iniziativa di “LeOpere e i Giorni”, è legato alla volontà ditrasformare la Certosa da luogo poco co-

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• Bet Figueras, “Tra la cella e il paesaggio” Giardino cella n. 15

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uso dell’edificio storico. Del resto, la Cer-tosa nasce e opera storicamente a Padula(lo stesso toponimo ricorda lo stato palu-doso dei luoghi) per la bonifica del territo-rio. Sottolinea ancora Ippolita Nicotera,come se ne possa rileggere il legame con ilterritorio: un legame che è oggi tutto dareinventare, attraverso gli spunti creativiofferti dai paesaggisti intervenuti.Il giardino di Helene Holzl, richiama aldelicato rispetto per la vita della naturache si sviluppa e si evolve da pochi ele-menti primari: delle polle d’acqua affio-ranti, fiori e frutti spontanei, dei sentieri

appena accennati fatti di pezzi trovati,tracce di un artificio che è dedizione e cu-ra, la stessa che applicavano i monaci neiloro lavori e nei loro studi. All’opposto il giardino di West 8, come èproprio del lavoro del gruppo olandese,iconicizza la natura con elementi tutti ar-tificiali, o meglio, con un atteggiamentotutto artificiale di trattare anche gli ele-menti naturali.Il giardino di Beiramar Diniz, dall’atmosfe-ra di fresco ritiro, è fatto di un velo d’acquae di pietra bianca: riduzione all’essenziale diuno spazio di natura e richiamo meditativoall’origine stessa della vita, l’acqua.Lo spazio creato da Henri Bava, con la de-licata giocosità di pochi elementi, inventauno spazio vitale che oggi può anche di-ventare anche luogo di incontro. Simil-mente il giardino progettato da Bet Figue-ras ricorda un giardino domestico, unluogo di intimo piacere e serenità.Il singolare intreccio di pali di legno di Ste-fan Tischer, che con la crescita delle piante

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• Guido Hager, “Lost in paradise” Giardino cella n. 9

Nella pagina a fianco:• Joao Ferreira Nunes, “L’amore trionfa”

Giardino cella n. 16

nosciuto e frequentato, difficile da rag-giungere, in un luogo vivo, in museo diarte contemporanea, in evento. Progetti-sti diversi si trovano a confrontarsi tra lo-ro, con gli artisti e poi con gli studenti, nelcuore meditativo della Certosa, sul temadel giardino inteso come luogo per eccel-lenza del contatto tra uomo e natura. L’idea – proseguono gli architetti di studioe.u. – è quella di costituire un laboratorio,di seminare delle spore, vere e proprie trac-ce di paesaggio che veicolino idee e sentiredel luogo. Si può capire come il paesaggiopuò essere un elemento che crea un nuovo

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si trasformerà in una selva vegetale com-plessa, costruisce una tridimensionalitàquasi architettonica dello spazio dell’hor-tus conclusus: nasce un intricato labirintoin divenire.Il parterre reinterpretato da Guido Hager,richiama e nega la regola, in un gioco raf-finato e colto di omaggio e reinvenzionedel giardino all’italiana.Al paesaggista italiano Ippolito Pizzettiverrà affidato il compito di operare sul co-siddetto “giardino all’italiana”, situato nelparco, che nel suo disegno attuale risaleagli anni ’70 del secolo scorso ed è pertan-

to un’arbitraria interpretazione dell’anti-co “desertum”, del cui disegno originariosi hanno oggi solo poche tracce. Al proget-tista invitato verrà dunque richiesto di ri-pensare con spirito contemporaneo ad unnuovo disegno di quest’area. Pizzetti hapresentato il suo progetto in occasione delconvegno, dedicato al tema del giardino edel paesaggio più in generale, svoltosipresso la Certosa (vedi riquadro a pagina36). Il progetto sarà oggetto di discussioneed approfondimento durante il workshope verrà realizzato nel 2005, nella successivaedizione della manifestazione.Il dibattito avviato dai progettisti invitati

è proseguito nel workshop internazionalededicato alla progettazione del paesaggioche si è tenuto dal 5 al 12 settembre pressola Certosa. Studenti provenienti da uni-versità e scuole superiori di paesaggio ita-liane e straniere si sono confrontati con iltema della progettazione del giardino inun contesto unico. I gruppi di lavoro de-gli studenti sono stati seguiti nel loro iterprogettuale dai cinque progettisti, invita-ti a tornare questa volta in qualità di do-centi, al fine di esporre sui criteri adottatinella redazione del proprio progetto e sul-le loro più personali posizioni relative aldiscorso dell’architettura del paesaggio, di

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stimolare ed in qualche modo di indiriz-zare, attraverso il loro apporto critico e laloro esperienza, il lavoro degli studenti. “Ortus Artis” è dunque un intervento cul-turale complessivo sul territorio che, neisuoi singoli interventi, nei suoi diversiaspetti e attività, avvia un’operazione dicomprensione e confronto sul tema delpaesaggio, che sia anche occasione di di-battito nelle sue diverse sfaccettature, nel-le sue stratificazioni non solo naturali maanche storiche, artistiche ed antropologi-che. Il visitatore rimane stupito e irretito dallabellezza dell’architettura della Certosa, laattraversa affascinato e stimolato dagli in-terventi contemporanei, scopre dei picco-li misteri, si sente avvolto dalla meravigliadei luoghi; forse va via pensando che sipossono inventare modi nuovi di vivere,interagire e fare vivere un luogo, nel ri-spetto che la natura ci insegna e nel dialo-go che è il contenuto ideologico del giar-dino.Helene Hölzl, paesaggista italiana che la-vora prevalentemente tra l’Italia e l’Olan-da, con realizzazioni di parchi e giardinianche in Germania e altre parti d’Europa,

• Stefan Tischer, “Passiflora passion” Giardino cella n. 8

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invitata per la prima edizione di Ortus Ar-tis ad allestire il giardino “souvenir” dellacella 21 nei cui interni ha lavorato l’artistaNicola de Maria, così racconta la sua espe-rienza:“Il deserto chiamano i monaci certosini illoro stato di clausura: un’intera vita in si-lenzio e solitudine con lo scopo di avvici-narsi ai misteri metafisici. Anche oggi, cento anni dopo la partenzadell’ultimo monaco, arrivare alla Certosadi Padula è un’esperienza straordinaria. Al visitatore attento si rivela un’atmosferasuggestiva, in cui si scoprono le tracce cen-tenarie, testimonianze della storia passata,con un alto contenuto estetico e spirituale. Sono partita in aereo dall’affollatissimaAmsterdam per Roma, ho proseguito intreno per Salerno per poi finire in un pull-man vuoto che passa per l’entroterra fer-mandosi in paesi poco frequentati e infinesono arrivata a Padula. Ho potuto cosìsperimentare un lento processo di accli-

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• Università degli Studi di Roma "La Sapienza",Facoltà di Architettura "L. Quaroni"CdL in Architettura dei Giardini e PaesaggisticaProf. Flavio Trinca - Studenti: Ueli Ruefli, NataleGencarelli, Jorma Giannoccaro, Luca Sartor eMaya Alexandra Seppecher“Compost”, Giardino cella n.17 (vincitore Workshop 2003)

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matazione dall’alto volume e dalla veloci-tà della vita della metropoli, passo per pas-so verso l’introspezione e il silenzio. `Nihil praeter animum esse mirabile` scri-veva San Bruno, il fondatore dell’ordinedei Certosini, sentenza che è diventata il ti-tolo del giardino di Victor Beiramar Diniz. Nella solitudine il pensiero focalizzato sul-la ricerca intimistica scopre dentro l’animauna sorgente di sorprendente richezza. Il deserto diventa luce. Similmente i nuovi giardini delle celle so-no opere inaspettate nel contesto storico-monumentale della certosa. Chiusi da al-te murature, accessibili attraverso lun-ghissimi corridoi vuoti, dietro le celle ina-bitate: ecco un pezzo di terra che vive,scorrono acque, crescono piante, si na-scondono animali. L’esperienza del visitatore è forte, e deltutto personale. La chiusura degli orti rispetto all’esterno,riduce lo sguardo entro l’orizzonte limita-to delle celle, filtrandone il panorama datroppe informazioni. L’attenzione si con-centra nel piccolo spazio del giardino,consopra null’altro che la cupola del cielo. L’esperienza di lavorarvi è intima ed emo-zionante. Sono arrivata in questo luogo con piante eacqua come souvenir di vita per il geniusloci. Si è sviluppato un grazioso giardino.E sono ripartita con ammirazione per illuogo che mi ha regalato una nuova di-mensione della percezione”.

Si ringraziano: arch. Ippolita Nicotera, studio e.u. di Berli-no, architetto paesaggista Helene Holzl.Foto di Giulio Buono.

ORTUS ARTIS: IL CONVEGNO

L’iniziativa sottesa da “Ortus Artis”, che nella edizione del 2003 aveva come tema“costruire l’eterogeneo” secondo la necessità di realizzazione di giardini legati a nuove

esigenze, con il Convegno 2004 ha messo in luce, come ha sottolineato la prof.ssa PaolaCapone (Docente di Storia dell’Arte - Università di Salerno), che ha organizzato l’incontrocon l’ing. Miccio (Conservatore della Certosa, curatore e coordinatore di Ortus Artis-Soprintendenza di Salerno), il concetto del paesaggio come ambito importantissimo dellavita dell’Uomo, che deve stimolare tuttavia ad un contemporaneo intervento sul territoriocircostante, proponendo, nel caso specifico, il restauro della parte antistante la Certosa.Fondamentale quindi l’esigenza enunciata da Paola Capone, di uno studio per il ripristinodello spazio che si muove tra lo scalone monumentale e il monumento di San Bruno, sullabase anche di rappresentazioni storiche (incisioni e dipinti), che segnalano l’evidentepresenza di un asse che in tal senso attraversa la Certosa per giungere al monumento di SanBruno con un percorso di circa 500 metri: un segno forte che oltrepassa il muro di cinta.Così pure l’arch. De Caro (Direttore Generale per i Beni Ambientali Paesaggistici) ha messoin piena luce il rapporto fra storia umana e storia naturale, costituente la matrice formativadel paesaggio attraverso il tempo, con una forte conseguenza sulla struttura storica delterritorio, in modo particolare in Campania, per giungere ad un adeguato restauro delpaesaggio, conoscere l’incessante trasformazione che ha avuto luogo attraverso il tempo, eben comprendere “quale età ripristinare”, quale paesaggio ricostruire intorno a quell’assetto“metastorico” che si realizza in effetti al termine di uno scavo archeologico, in modo che“quel paesaggio” sia capace di “conservare” ed integrare sviluppo storico econtemporaneità.Il prof. Pizzetti (Università degli Studi di Ferrara) ha introdotto al restauro del “giardinoall’italiana” (presente oggi come fondale dello scalone monumentale della Certosa), con unavera e propria “enunciazione di principio”, nel senso di dare una indicazione di metodopossibile per una riconfigurazione dello spazio posto oltre lo scalone monumentale,riproponendo ad esempio, in luogo delle attuali conifere, essenze che si ricolleghinoall’originario assetto produttivo portato avanti dai certosini con due tipi di querce e unimpianto massivo di rose, mantenendo latente la presenza e la memoria di quanto c’eraprima, pur nelle inevitabili trasformazioni subite nel tempo.Ed ecco il tema dell’acqua, tanto presente in Certosa (si pensi alle numerosissime fontane edalle canalizzazioni ritrovate, manifesto collegamento con il grande acquedotto, che comparein molte storiche raffigurazioni), trova rispondenza tra gli affreschi del Chiostro, con cui icertosini “comunicavano “ il proprio senso del paesaggio e l’attuale territorio circostante(esempio fra tutti la rispondenza tra uno degli affreschi ed il vicino nucleo di san Giovanni inFonte).Rinviando, per ogni altro approfondimento, agli Atti che verranno successivamente pubblicati,desideriamo concludere con il concetto della “esteticità diffusa del paesaggio” (dagli affreschidel chiostro, al paesaggio reale sotteso dallo scenografico scalone), con quella “analisiinventiva” presentata acutamente dalla relazione del prof. Lassus (Conseil National duPaysage, Paris), destinata appunto a “ricomporre tutto ciò che è caduto nell’oblio,riproponendo attraverso un laboratorio di sperimentazione un progetto che recuperil’intreccio fra la vita attuale della Certosa e l’apertura verso l’antistante, storico “desertum”.Il vivace dibattito che, per il coordinamento dell’ing. Miccio, ha reso il Convegnoestremamente interessante, ha messo in evidenza la grande utilità di incontri interdisciplinaridi questo tipo, per uno stimolante scambio di esperienze e quindi di nuove prospettiveprogettuali che, sul tema del “paesaggio” interferiscano correttamente sul territorio. Così, sel’arch. Antonella Mosca (Direttore DARC), ha ribadito la posizione del Dipartimento, come“molto in linea” con il lavoro portato avanti a Padula, con “Ortus Artis”, tra artecontemporanea e questo concetto di paesaggio, l’intervento di Leonardo Cascini (ingegneregeologo – Università di Salerno) ha introdotto alle problematiche geologiche del contestoterritoriale e Michel Conan (Direttore Dumberton Oaks di Washington) ha portato la suaesperienza di sociologo, testimoniata dal suo recente testo su “L’invention des lieux”.

Luisa Chiumenti

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Il progetto presentato in queste pagine,riguarda la riqualificazione e la valoriz-zazione del Parco della Rocca di Todi,che occupa il punto più alto di uno dei

centri storici più rappresentativi e noti del-l’Italia centrale. È il progetto di uno spaziopubblico, perseguito puntando sulle po-tenzialità del parco come elemento di rela-zione e integrazione con il contesto, par-tendo dalla stretta connessione morfologi-ca e funzionale con la città storica. Il progetto del Piazzale Superiore ha rice-vuto il primo premio nella sezione opererealizzate al “Premio Camerino 2002” ed èstato selezionato tra i quattordici finalistialla 3° edizione della “Biennale Europeadel Paesaggio” di Barcellona del 2003.L’insieme coordinato degli interventi ha ri-cevuto una menzione al “Premio Gubbio-ANCSA 2003” e una segnalazione al “Pre-mio Città Verdi d’Italia 2004” promosso

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Il Parco della Rocca di Todi

La riqualificazione e lavalorizzazione di uno dei centri storici

più rappresentativi e noti dell’Italiacentrale, viene illustrata dal progettista

Fabrizio Toppetti che, nell’intervista,ripercorre le tappe principali del

percorso dal progetto alla realizzazione.

Barbara Pizzo

Quadro d’unione degli interventi

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D. Ho avuto la fortuna di partecipare apiù di una presentazione pubblica diquesto progetto. Mi è capitato di pensa-re che chiamarlo “progetto di parco” fos-se riduttivo. Se dovessi dare io una defi-nizione di questa esperienza, direi che sitratta di un progetto a scala urbana (senon di un progetto urbano in senso pro-

prio) con particolare attenzione alla di-mensione paesaggistica. L’approccio ar-chitettonico e quello urbanistico misembra abbiano lo stesso peso e, all’in-terno di questi, una particolare rilevanzaassumono i temi del paesaggio e del ver-de. Ma come è nato il progetto?R. Mi fa piacere che tu abbia sottolineato

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da PadovaFiere e Ente Fiera di Milano incollaborazione con “Il Verde Editoriale”.L’intervista a Fabrizio Toppetti, architettoromano impegnato nel campo della pro-fessione e della ricerca, protagonista diquesta operazione in corso di completa-mento ripercorre le tappe principali delpercorso dal progetto alla realizzazione.

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la dimensione paesaggistica del progettoed un approccio intermedio tra architet-tura e urbanistica, d’altra parte il Parcodella Rocca di Todi, che è l’unica penetra-zione compatta e incisiva dei sistemi na-turali che dalla valle del Tevere raggiungo-no la sommità del Colle, riveste un ruolodeterminante nell’equilibrio complessivodella città, per qualità intrinseca, per lasua centralità e per la continuità e aderen-za alla conformazione geomorfologica delsito di insediamento e alla struttura urba-na di origine medievale. Questa compe-netrazione è divenuta nel tempo elemen-to di riconoscibilità della figura e dell’im-pianto non solamente del centro storico;anche la trama principale dei percorsi in-terni mostra una sorprendente continuitàcon i tracciati urbani. Una occasione come questa non potevanon configurarsi come un progetto urba-no, seppure debole e interstiziale o meglio

“dell’esistente”. C’è da aggiungere chequando abbiamo cominciato a lavorareabbiamo lavorato parallelamente allo stu-dio di fattibilità e alla definizione del pri-mo stralcio esecutivo. Questa condizioneche sembrava di difficile gestione, si è ri-velata nei fatti una grande opportunità;ha richiesto una elevata flessibilità e un

approccio transcalare sempre a cavallo trastrategie generali e interventi puntuali, edha permesso di sperimentare e testare lescelte effettuate alla scala urbana median-te la definizione di soluzioni di dettaglio,la scelta dei materiali, delle lavorazioni,tenendo sempre sotto controllo anche laconcreta fattibilità e gli aspetti economici.

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• Riqualificazione del Piazzale Superiore

Nella pagina a fianco, dall’alto:• Progetto generale• Pianta dello stralcio relativo al Piazzale

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D. La riqualificazione del Piazzale supe-riore della Rocca è solo una parte di unprogetto più ampio, inizialmente nonprevisto. Come è nata l’idea del pro-gramma?R. Il risultato è il frutto di un percorso-processo non del tutto lineare che si è svi-luppato ed è cresciuto a partire da una oc-casione professionale che riguardava ini-zialmente la progettazione preliminaredefinitiva esecutiva per la riqualificazionedi una piccola parte del parco, il PiazzaleSuperiore, un’area senza dubbio strategicache però occupa una superficie inferioreal 10% di quella che abbiamo poi preso inesame all’interno del programma genera-le dei lavori. Rispetto a questa occasionedi grande interesse seppure modesta l’in-sistenza nei confronti dell’Amministra-zione per redigere uno studio di fattibilitàche riguardasse come “unità minima” laparte alta dell’intero settore sud-ovest delColle, inquadrando il problema in uncontesto ampio e in una azione comples-siva di rigenerazione, è stata determinan-te. La necessità e la centralità di questo la-voro non immediatamente riconducibilead una fase realizzativa, inizialmente in-comprensibile per i tecnici del Comune,si è chiarita successivamente anche in rela-zione al coordinamento operativo con glialtri interventi in corso.D. Su quali basi è stato costruito il pro-gramma di progetto?R. Il primo passo è stato quello della defi-nizione di un quadro conoscitivo il piùcompleto ed esaustivo attraverso la letturadelle fasi di formazione, il censimentodelle risorse, del degrado, delle condizionidi labilità, la individuazione della voca-

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• Riqualificazione del Piazzale Superiore

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zione relazionale dei luoghi oltre ad unaindagine sulla consistenza, qualità e statodi salute del sistema del verde. Contemporaneamente abbiamo avviatouna indagine sul campo, un dialogo tut-t’altro che sistematico con i cittadini conl’obiettivo di raccogliere più punti di vi-sta, e di misurare la “temperatura” di unevidente disagio rispetto alla condizionedi questi luoghi. Tra tutte le osservazioni,raccomandazioni, consigli, le parole chericordo e sulle quali ho riflettuto a lungosono quelle di una amica di vecchia datache avendo saputo che stavo lavorando aquesto progetto mi disse: “Il Parco dellaRocca non è più quello di una volta.Ovunque vai ti senti fuori posto”. Mentrela prima affermazione (che in un primomomento avevo condiviso) mi è sembratain seguito senz’altro “falsa”, la seconda misembrò e mi sembra di singolare pregnan-za. Il parco era rimasto lo stesso di allora.La forte accelerazione impressa ai muta-menti e alle dinamiche degli usi sociali lofaceva apparire diverso: a fronte di unastabilità della configurazione fisica dellospazio, era radicalmente mutato il sensodel luogo. Si potrebbe ampliare il discor-so, dicendo che questo problema interes-sa la gran parte dei centri storici minoridell’Italia centrale e che il restauro conser-vativo, la pedonalizzazione, la specializza-zione del commercio, il progressivo au-mento del fenomeno delle seconde case,rischiano di congelarne la vitalità. Insom-ma, tornando a parlare del parco, sembra-va essere venuto meno quel rapporto di“adeguatezza”, o senso di appartenenza,tra la dimensione fisica morfologica dellospazio pubblico e quella sociale.

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delle connessioni urbane e non ultimo ilmodificarsi generale dei ritmi di vita.È un fatto singolare e significativo che ilparco, potenziale luogo dell’attraversa-mento urbano, occasione di un collega-mento diretto e di qualità tra le due archi-tetture di maggior rilievo della città, San-ta Maria della Consolazione e San Fortu-nato e tra il centro storico e il sistema del-l’accessibilità veniva aggirato e non inte-ressato affatto dai flussi principali di resi-denti e turisti.D. Quale è il ruolo all’interno dellastruttura urbana complessiva che il pro-getto cerca di restituire al parco?R. Obiettivo principale era restituire alparco il rilevante ruolo urbano e relaziona-le strategico per la città di Todi che sem-brava aver perso. Il programma generale èorientato alla salvaguardia e valorizzazionedi tutta la parte alta del versante occiden-tale del Colle di Todi. Il progetto si propo-ne, nel pieno rispetto di specificità e risor-se locali, di integrare conservazione e tra-sformazione, e di inserirsi all’interno delprocesso storico culturale che ha formatoil paesaggio tuderte, considerando però l’i-dentità dei luoghi un fatto non statico, la-vorando quindi all’interno delle dinami-che coevolutive insite nel codice geneticodi questo paesaggio. In questo senso il te-ma centrale è la compatibilità delle scelteprogettuali con le regole di lunga duratache hanno agito nel conformare il sito evi-tando di puntare su un atteggiamento mi-metico e su una azione di profilo basso ca-pace esclusivamente di mantenere e salva-guardare i luoghi, operazione che seppureal momento del progetto sembrava esserela via “sicura”, quella maggiormente con-

divisa, nei fatti rispetto ai traguardi futurisi sarebbe configurata senz’altro comeun’azione necessaria ma non sufficienteper rilanciare e reimmettere questi luoghiall’interno della vita della città.D. In quale modo gli obiettivi generalisono diventati interventi di progetto?R. Il passaggio più delicato e difficile di unprogetto, soprattutto se si tratta di un pro-getto per uno spazio pubblico o per un si-stema di spazi pubblici come in questo ca-so, è proprio la traduzione in azioni deiprincipi e degli obiettivi di carattere gene-rale. Due sono stati i criteri che hanno ac-compagnato questo processo, natural-mente non così lineare e chiaro negli svi-luppi riconducibili ad altrettanti livelli dicontinuità: continuità nel tempo, conti-nuità nello spazio.Il primo riguarda la scelta di lavorare nelrapporto con la storia con un atteggia-mento rispettoso ma non remissivo. Que-sta scelta si traduce in una sostanziale con-ferma e valorizzazione dell’impianto ge-nerale preesistente e parallelamente nelladefinizione di un sistema spaziale di riferi-mento di debole entità formale capace pe-rò di una azione orientata a valorizzare lerisorse e sottolineare la tensione tra il nuo-vo e le preesistenze. Il secondo riguarda iltema della continuità morfologica e spa-ziale tra città e parco che pone come prio-ritario il tema del passaggio tra situazioniurbane e spazi verdi. In questo senso ilprogetto pone particolare cura alla defini-zione e segnalazione dei punti di contattoparco-città, evitando nette soluzioni dicontinuità, e recuperando anche attraver-so l’uso dei materiali e le soluzioni di det-taglio una continuità spaziale non limita-

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Il progetto si attiva per colmare questa di-stanza.D. Quindi, stai dicendo che in un certosenso il parco aveva perso gran parte delsuo ruolo proprio perché era rimasto, neltempo, uguale a se stesso. Puoi spiegaremeglio questo passaggio?R. Se da un punto di vista morfologico ilParco della Rocca si trova in stretta con-nessione con il tessuto urbano, dal puntodi vista funzionale e delle consuetudinid’uso sembrava al momento del progetto,relegato ad un ruolo di paradossale margi-nalità. La città storica, il cui impianto è tuttora ri-conoscibile, nasce e si sviluppa su un rilie-vo collinare caratterizzato da due emer-genze: la prima a nord-est occupata dalDuomo, la seconda a sud-ovest, dove sor-ge il Piazzale della Rocca. Dall’epoca ro-mana queste due aree (acropoli e foro) ave-vano un ruolo relazionale e simbolico, e ta-le ruolo si è consolidato in epoca medioe-vale con la realizzazione dei due complessisacri di maggior rilievo interni alla cittàmurata: la Cattedrale, con l’ala monu-mentale della sede vescovile, e il Tempio diSan Fortunato, realizzato insieme all’am-pliamento del convento dei Frati Minori.Insomma, una storia che racconta di unaintegrazione forte tra il parco e la città. Nonostante la evidente centralità fisica eun patrimonio di valori non solo ambien-tali ma anche storico-culturali il parco èstato negli ultimi anni soggetto ad un pro-gressivo e inesorabile declino, causa ed ef-fetto di un calo delle presenze. Questa per-dita di centralità è il risultato di un insiemedi motivi: il degrado, la mancanza di servi-zi e attrezzature, la scarsa intelleggibilità

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ta al sistema dei tracciati con il tessuto el’immagine della città.Un ragionamento a parte meritano gli in-terventi sul verde che comprendono valo-rizzazione e reimpianto di specie autocto-ne, graduale eliminazione di specie alloc-tone e/o infestanti, realizzazione di areetematiche verdi, oltre alla manutenzionedelle aree boscate, e dell’intero sistema delverde. Questi interventi sono stati perse-guiti con l’obiettivo di rafforzare la conti-nuità dei sistemi ecologici e ristabilire irapporti di reciprocità visuale alla scaladel paesaggio.D. Le immagini che illustrano questa in-tervista si riferiscono al Piazzale Superio-re. Puoi descrivere sinteticamente il pro-getto?R. Il progetto per il Piazzale Superiore ècentrato su un disegno di suolo articolatosu due sistemi: il tracciato principale (chedalla via di san Fortunato, con andamentoa “corda molla” si sviluppa costeggiando ilConvento e tagliando longitudinalmenteil piazzale raggiunge la parte bassa del par-co), e il secondo tracciato, che si appoggiasull’orientamento del terrazzamento adest (risalente al 1926), che definisce, insie-me con il muro di recinzione del Conven-to e alla mole del “Mastio” medioevale,l’assetto morfologico del piazzale.Il grande vuoto è risolto in una serie di“ambiti” debolmente identificati (il prato,le aree attrezzate, i campi in legno, il rose-to, la “camera d’ombra” dei pini), pensatiin modo da non precludere possibilità d’u-so e percezione totale dello spazio. Comedel resto in tutto il progetto, particolare at-tenzione, piuttosto che ricercare modi etrattamenti innovativi, è stata posta al

“montaggio”, ad accostamenti inediti stu-diati con cura, e soprattutto ad un elevatolivello qualitativo delle lavorazioni, sem-plicemente al loro essere “fatte bene”, co-niugando il saper fare locale con un dise-gno astratto e lineare capace di mettere invalore le potenzialità del luogo.D. All’inizio di questa conversazione haiaccennato al dialogo con la popolazionelocale e alla volontà di ascoltare per riusci-re a tradurre con il progetto i bisogni dellagente. In questi ultimi anni si è tornati aparlare molto di partecipazione, e questotema mi sembra molto dibattuto ma an-che molto critico per la nostra professio-ne. Quali sono state le scelte più discusse?R. Due sono stati gli aspetti sui quali ab-biamo incontrato difficoltà e resistenze. Ilprimo riguarda la scelta relativa all’inseri-mento di un segno c.d. “moderno” (con-temporaneo) in luoghi connotati da unaforte presenza della storia. Il secondo ri-guarda la strategia perseguita sul sistemadel verde, il diradamento seletttivo e la eli-minazione di specie non autoctone, asso-lutamente necessari anche alla rivitalizza-zione del patrimonio arboreo, che hannonon di rado suscitato allarmismi ingiusti-ficati. Due questioni delicate che fannoentrambe i conti con una cultura tenden-zialmente orientata ad una conservazionepervasiva e totalizzante e ad un ambienta-lismo disinformato e di maniera. Al di là del caso specifico credo sia neces-sario registrare da parte della gente un at-teggiamento generale di sospetto nei con-fronti del progetto assimilato, in linea diprincipio e fino a prova contraria, ad unsostanziale peggioramento dello stato del-le cose. Su questo occorre riflettere.

D. Adesso che il progetto è stato comple-tato e il parco almeno in parte riaperto alpubblico, quale ti sembra il risultato piùimportante?R. Il “successo” sociale misurato in termi-ni di presenze e di graduale riappropriazio-ne dei luoghi non lascia spazio al dubbio:anche la resistenza iniziale nei confrontidelle scelte più delicate nelle consuetudinid’uso è stata brillantemente superata. Do-po le battaglie sostenute per una linea chesembrava essere troppo invasiva tra i tanticommenti dei cittadini successivi alla ri-apertura mi fa piacere ricordarne uno: “Ilprogetto non si vede, sembra che questoluogo sia sempre stato così”.

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INTERVENTI COORDINATI PER LAQUALIFICAZIONE E VALORIZZAZIONE DEL PARCO DELLA ROCCA E DELLA PARTE ALTA DEL SETTORE SUD-OVEST DEL COLLE DI TODI

CommittenteComune di Todi

Progettoarch. Fabrizio Toppetti (coord.) arch. Filippo Egidi

Direzione lavoriarch. Fabrizio Toppetti

Anni 1999/2004

Lo Studio di Fattibilità prevede larealizzazione degli interventi mediantequattro stralci esecutivi: 1. “Riqualificazione del piazzale superiore e

aree limitrofe all’interno del Parco dellaRocca”. I lavori sono completati e l’area èstata riaperta al pubblico nel 2001;

2. “Sistemazione del percorso pedonaleViale della Consolazione dei GiardiniOberdan e aree limitrofe”. I lavori sonocompletati e l’area è stata riaperta alpubblico nel settembre 2003;

3. “Riqualificazione dei viali e delle pendiciall’interno del parco della Rocca”. I lavori sono in corso di completamento,si prevede la riapertura per settembre2004;

4. “Riqualificazione del percorso della c. d.Serpentina e aree limitrofe”. Il progettopreliminare è approvato, è in corso dielaborazione la progettazione esecutiva.

Il programma prevede anche lariqualificazione del sistema del verde e dellearee boscate. Questi lavori, sono realizzatiin attuazione diretta attraverso un accordotra l’Amministrazione Comunale e la localeComunità Montana.

• Riqualificazione del Piazzale Superiore

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ma istanza sociali), la seconda concerne lavolontà di implementare il processo di pro-grammazione attraverso un dialogo con lacomunità.Non avendo carattere di obbligatorietà, cia-scuna amministrazione elabora il proprioBs secondo format autonomi, rispetto aiquali è comunque possibile rintracciare al-cune corrispondenze.Nella sua forma più elementare, il Bs è undocumento strutturato “per capitoli”; ognicapitolo, dedicato a un settore distinto (so-cio-assistenza, istruzione, ecc.), “rende con-to” di quanto fatto dall’amministrazione:spesa (con eventuali riferimenti agli stru-menti ufficiali della programmazione di bi-lancio, Bilancio finanziario, Piano econo-mico di gestione, Programma dei lavori

pubblici); auto-valutazione (nei casi piùcomplessi con elaborazione di indicatori re-lativi all’efficienza, efficacia ed economici-tà); descrizione quantitativa (e qualitativa)dei servizi erogati. Nei bilanci più comples-si i servizi si estendono da quelli più “tradi-zionali” a quelli più innovativi (ad es. spazipubblici). Nelle forme più complesse, non molto fre-quenti, il Bs si “avventura” per le strade del-l’integrazione tra settori e, molto raramente,su quelle dell’integrazione territoriale (cheinquadra i servizi in una visione complessi-va di territorio e di quartiere).Se si vuole evitare che il Bs sia soltanto undocumento sterile e di facciata, sostanzial-mente finalizzato a operazioni di marke-ting politico, è necessario un forte coinvolgi-

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Il Bilancio sociale (Bs) è uno strumento acui molte amministrazioni hanno fattoricorso negli ultimi anni per svariati or-dini di motivi. Va innanzitutto eviden-

ziato che si tratta di uno strumento “non ob-bligatorio”, non prescritto da alcuno stru-mento legislativo. Perché dunque caricarsidi un ulteriore onere che si aggiunge ai tantiche incombono sugli enti locali?In realtà il Bs costituisce “ricchezza” perun’amministrazione, soprattutto se intesocome momento di dialogo con le comunitàinsediate e con tutti i soggetti “portatori diinteresse”. Il Bs è uno strumento/documentoche può avere due finalità distinte e/o com-presenti. La prima riguarda il semplice ren-dicontare ai cittadini la propria attività e lescelte compiute in materia di servizi (in pri-

a cura di Elio Trusiani

Bilancio sociale e Bilancio partecipativo

Il Bilancio sociale è uno strumento “nonobbligatorio” che, però, costituisce “ricchezza”per un’amministrazione, soprattutto se inteso come momento didialogo con le comunità. Il Bilancio partecipativo consiste nelpasso successivo: la consultazione dei cittadini al fine di metterein evidenza i bisogni del territorio e di condividere alcune sceltelegate al miglioramento della vita quotidiana nei quartieri.L’esperienza dell’XI Municipio di Roma.

Manuela Ricci*

XI MUNICIP IO

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mento della popolazione locale (residenti,lavoratori, operatori) in due momenti di-stinti: nella fase di predisposizione e in quel-la di discussione a documento elaborato.Nel primo momento, il coinvolgimento deicittadini è legato ad alcune attività: l’espres-sione dei bisogni, la valutazione sui servizierogati; nel secondo riguarda la discussionesui risultati ottenuti dall’amministrazionenell’anno precedente. Il Bs può contenereanche indicazioni dell’amministrazione suifuturi investimenti, incrociandosi in questomodo con le previsioni della programmazio-ne di bilancio.Il Bilancio partecipativo (Bp) costituisce ilpasso immediatamente successivo al Bs, sel’amministrazione intende farne uno stru-mento di crescita della comunità. Il Bp, at-tivato ormai da numerosi enti locali, consi-ste in una consultazione molto estesa e diret-ta dei cittadini da parte dell’amministra-zione al fine di mettere in evidenza i bisognidel territorio e di condividere con i cittadinistessi alcune scelte di investimento legate almiglioramento della vita quotidiana neiquartieri.

L’esperienza dell’XI Municipio di Roma.Intervista a Luciano Ummarino,responsabile dell’Ufficio di BilancioPartecipativo

D. Quando e come è stata avviata questaesperienza?R. L’esperienza del Bilancio partecipativoè stata avviata dall’XI Municipio del Co-mune di Roma nel 2002, dopo essere sta-ta preceduta da una fase di studio e ricer-ca sul territorio e di formazione e infor-

mazione alla partecipazione (nel 2001 ilConsiglio aveva già programmato questaattività), compresa la redazione dei primiBilanci sociali di Municipio.Nei primi due anni l’attenzione è stata ri-volta a capire e ad apprendere da “altre”esperienze e da alcune specifiche pratichedi partecipazione all’interno dello stessoMunicipio: Contratto di quartiere dellaGarbatella; Piano sociale di zona; incontricon la Sta per il piano della viabilità, conl’Ama per il decoro urbano e, attualmen-te, con l’Atac per una rivisitazione del pia-no dei trasporti pubblici.D. Come si configura il percorso “istitu-zionale”?R. L’esperienza è partita concretamente nelmaggio 2003. Si è discusso e approvato,preliminarmente, il Regolamento delle As-semblee Territoriali (At): sono stati indivi-duati, all’interno del Municipio, 8 “quar-tieri sociali” (Ardeatino, Tormarancia,Garbatella, Ostiense, San Paolo-Marconi,Montagnola, Ottavo Colle-Tintoretto,Roma 70-Rinnovamento, Appia Antica) –invece di assumere, come tradizionalmen-te avviene in circostanze analoghe, le zoneurbanistiche – nel tentativo di ricostruirel’identità territoriale dei cittadini.In ogni quartiere è stata istituita un’assem-blea alla quale può partecipare la “cittadi-nanza allargata”: le persone con più di 14anni che abitano, lavorano e studiano nelquartiere stesso, considerando in tal modoanche la fascia giovanile esclusa dal voto.L’At è composta da un Consiglio dei Porta-voce e dai Gruppi di lavoro.Ogni assemblea nomina alcuni portavoce(ciascun gruppo di 15 abitanti ha diritto a1 portavoce), che hanno il ruolo di coor-

dinatori e “facilitatori”, e istituisce i grup-pi di lavoro sulle seguenti tematiche: lavo-ri pubblici, mobilità e viabilità, spazi ver-di di prossimità, attività culturali. In baseall’attività di gruppi l’At individua e ap-prova una priorità di intervento relativa-mente a ciascuna delle aree tematiche ci-tate. Le proposte d’intervento sono con-frontate, in corso di elaborazione, conl’Ufficio del Bilancio Partecipativo – chesvolge compiti di programmazione, pro-mozione, informazione, valutazione tec-nica – in ordine a coerenza, urgenza, rile-vanza, fattibilità sostenibilità.I portavoce costituiscono il Forum del bi-lancio partecipativo che, convocato dalMunicipio, valuta le priorità emerse e ap-provate dalle At e approva le priorità d’in-tervento a livello municipale.D. Quali sono state le fasce d’età mag-giormente coinvolte?R. Nel corso del processo è aumentata lapartecipazione delle fasce giovanili; all’i-nizio era molto più rappresentata la fasciadi età medio-alta. Comunque la variabileetà presenta caratteristiche diverse in rela-zione ai quartieri, ad esempio a Roma 70la maggior parte dei partecipanti è rappre-sentata dai giovani. Le persone che lavora-no sono quelle meno presenti.D. Può esemplificare alcune richieste di“servizi” emerse dal Bilancio partecipati-vo e inserite nel Programma dei lavoripubblici del Municipio?R. Tra le opere previste sono state inseritenumerose riqualificazioni di spazi pubbli-ci (via T. Levi Civita, via Efeso, zone adia-

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Garbatella, piazza Brin negli anni Venti

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- nel superamento dei conflitti che si sonomanifestati con i “corpi intermedi” (asso-ciazioni, comitati, ecc.) che consideranola partecipazione come un rischio e chenel bilancio partecipativo hanno attivatoanche azioni di boicottaggio.Il percorso parte dalla rilevazione dei biso-gni sul territorio (dalla manutenzione or-dinaria ai bisogni sociali). I gruppi di lavo-ro organizzano l’analisi dei bisogni, com-pongono le priorità e le portano all’atten-zione del Municipio per verificarne la fat-tibilità.

* Ordinario di urbanistica presso la Prima Facoltà di Ar-chitettura “Ludovico Quaroni” e direttrice del Master (IIlivello) in “Pianificazione e gestione dei centri storici mi-nori e dei sistemi paesistico ambientali”.

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centi piazza dei Navigatori, zone adiacen-ti circonvallazione Ostiense, pista ciclabi-le Garbatella-Tormarancia). Alcune prio-rità sono già partite, come la televisione diquartiere (è stato pubblicato il bando);con altro bando relativo alla legge 285 sista attivando un Centro di aggregazionegiovanile nel quartiere di Roma 70.D. Quali sono allo stato attuale le prin-cipali criticità?R. L’obiettivo è quello di allargare quantopiù possibile la partecipazione alle assem-blee che, inizialmente, hanno trovatoqualche difficoltà a decollare. L’Ufficioapposito, istituito presso il Municipio XI(unico nella città), ha intenzione di arti-colare e allargare le forme di comunica-zione attraverso diverse modalità: manife-sti, lettere di convocazione delle assem-blee, locandine nei condomini con l’indi-cazione delle priorità da votare, telefona-te, Sms. Il progetto di comunicazione pre-vede anche l’implementazione del sito In-ternet e l’attivazione di altre forme di e-government. Si ritiene che la partecipazio-ne de visu sia fondamentale per il dialogocon e tra i cittadini, ma il ricorso alle for-me di democrazia elettronica è anche fon-damentale per rispondere a difficoltà dipartecipazione legate ai tempi di vita.Ulteriori criticità possono essere rintrac-ciate:- nell’integrare il bilancio finanziario veroe proprio con quello partecipativo, inte-grazione che deve passare attraverso undialogo serrato tra gli uffici;- nel far apprendere ai cittadini i “tempi”non immediati della realizzazione delleopere “concordate” (di questo si occupa-no i gruppi di lavoro);

Dall’alto:• Valco S.Paolo• Ostiense negli anni Settanta

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Il Dipartimento di Pianificazione Terri-toriale ed Urbanistica (DPTU) dellaPrima Facoltà di Architettura “L. Qua-roni” dell’Università di Roma “La Sa-

pienza”, all’interno del Dottorato di Ricer-ca XIX ciclo, ha organizzato dal 27 maggioal 16 giugno 2004 una serie di incontri in-ternazionali sulla ricerca urbanistica.In queste pagine è pubblicato il resocontodei seguenti eventi e partecipazioni all’in-terno dei Colloqui:

• Il seminario “Territori senza ‘mappe’.Esplorazioni sul futuro della pianifica-zione in Europa” con ospite di eccezioneKlaus Kunzmann, Jean Monnet Professorper la pianificazione del territorio in Eu-ropa presso la scuola di pianificazionedell’Università di Dortmund, architettodi formazione e pianificatore per voca-zione, uno dei “padri” della disciplina inEuropa e tra i fondatori della Associazio-ne delle Scuole Europee di Pianificazio-ne (AESOP).

Francesca Sartorio

• L’intervento nella prima giornata deiColloqui del prof. A. Balducci, direttoredel DIAP (Politecnico di Milano), pro-fessore di Politiche Urbane e Territorialinello stesso ateneo e presidente dell’AE-SOP (Associazione Europea delle Scuo-le di Pianificazione).

Michele Nicola Ruggiero

• Le riflessioni in apertura del secondoColloquio del prof. Alain Bourdin, del-l’IFU (Institut Français d’Urbanisme)di Parigi.

Barbara Pizzo

• Il seminario curato da Lorenzo Bellici-ni, direttore tecnico del Centro Ricer-che economiche sociali e di mercato perl’edilizia e il territorio (CRESME) equello curato da Elio Piroddi professo-re di urbanistica presso il Dipartimentodi Architettura e Urbanistica per l’Inge-gneria dell’Università “La Sapienza” diRoma.

Laura Forgione

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Colloqui sulla ricercaurbanistica

Un ampio resoconto degli incontri internazionaliorganizzati dal DPTU della Facoltà Ludovico

Quaroni all’interno della scuola di Dottorato diRicerca in Pianificazione Territoriale e Urbanistica.

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La terza ha indagato le possibilità di futu-ro per la disciplina in Europa. Semprepiù la pianificazione sarà tesa alla reda-zione di direttive spaziali per lo svilupposociale, economico e culturale, articolatesecondo cinque livelli decisionali e dipianificazione (EU, nazione, regione,città e municipio) in partnership pubbli-co-privata e con la società civile, facendosempre più ricorso a strumentazione“morbida” piuttosto che tradizionale e“dura”. I dieci temi presentati come quelli su cuila ricerca in pianificazione nei prossimianni sarà chiamata a misurarsi hannospaziato ampiamente per campi di inte-resse, implicazioni e natura: competizio-ne per lo sviluppo territoriale in Europa;knowledge territories; cosmopolis; rappor-ti tra governo del territorio e società civi-le; società che invecchia; cultura, tempolibero e intrattenimento urbano; infor-mazione, comunicazione, moderazione emarketing urbano; mobilità e logistica;qualità urbana; cibo e circuiti regionali.

L a prima giornata dei Colloqui ha vi-sto come ospite il prof. A. Balducciche ha affrontato il tema: “uno sguar-

do dalla prospettiva europea” parlando diframmentazione, di nuove domande enuovi metodi di pianificazione nelle di-verse tradizioni europee ma soprattuttoquale tipo di ricerca è possibile immagi-nare partendo da questi fenomeni e te-nendo in considerazione l’agenda deicampi di ricerca che meglio si collocanelle politiche di riferimento dell’Unio-ne Europea.Ci sono alcuni fenomeni di convergenzache attraversano tutte le città in Europa.Cosi, parafrasando H. Lefebrve, ci si ac-corge che il fenomeno della polverizza-zione dell’organismo urbano nel conti-nente europeo si manifesta quale spec-chio della frammentazione della società. La perdita di rilevanza della dimensionespaziale come perdita di coesione è l’a-spetto più inquietante ma altri fenome-ni ci lasciano perplessi; la proliferazionedi funzioni specialistiche, l’ingresso diuna logica di tipo privatistico nelle am-ministrazioni ed infine processi di pol-verizzazione che sono legati alla scom-parsa della grande industria.Le nuove domande in tema di trasforma-zioni urbane sottolineano una tendenzaverso la costruzione del consenso intornoal progetto urbano ma anche l’attenzionealla sua fattibilità economica.C’è un crescente interesse sui temi deltempo libero e della cultura ma soprat-tutto una estrema attenzione ai temi del-l’esclusione sociale e della sicurezza.Tutti questi elementi, che troviamo inmodo abbastanza pervasivo nelle città

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“T erritori senza ‘mappe’. Esplora-zioni sul futuro della pianifica-zione in Europa”: questo il tito-

lo del seminario di Klaus Kunzmann,Jean Monnet Professor per la pianifica-zione del territorio in Europa presso lascuola di pianificazione dell’Universitàdi Dortmund.L´intervento si è articolato seguendo tredomande principali e sviluppando poidieci temi considerati “territori inesplo-rati” all’interno della ricerca e della pra-tica in campo urbanistico. Le prime due domande vertevano sutemi ed obiettivi relativi allo sviluppodel territorio europeo: quelli provenien-ti “dal territorio” e dai cittadini e quelliche risultano essere più a cuore di poli-tici e tecnici. Tra i primi senz’altro lavo-ro, abitazioni e mobilità – pubblica eprivata - economicamente accessibili;divertimento e cultura nelle città; acces-so ai servizi pubblici e sicurezza;ambiente sano e pulito; libertà indivi-duale e buon governo. Politici e planner sembrano invece fer-mare l´attenzione più sullo spopolamen-to di vaste zone rurali e la concentrazionedi popolazione ed attività economicheall’interno delle regioni metropolitane,nonché sulle disparità presenti all’inter-no di queste ultime; sull’invecchiamentodella società, la presenza crescente di mi-noranze etniche e sul cambiamento delsistema di valori sociali e culturali; sulla“macdonaldizzazione” del corpo urbanoe della sua materia; sulla riduzione del ri-schio e la conservazione delle risorse; sul-la complessità delle pratiche di gover-nance e sulla partecipazione.

Territoriinesplorati: sul futuro dellapianificazionein EuropaFrancesca Sartorio

Nuovi temi diricerca per lapianificazione:uno sguardo dalla prospettiva europeaMichele Nicola Ruggiero

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europee come nuovi elementi dell’agendadelle politiche pubbliche, sono temi ag-giuntivi rispetto all’agenda tradizionale,le amministrazioni continuano a fare ur-banistica, a produrre servizi per le personeetc… ed in più devono occuparsi di que-sti nuovi temi. L’agenda di ricerca della UE affronta i te-mi emersi nella lettura dei fenomeni diconvergenza pur tendendo ad una fortemodellizzazione e strutturazione. C’è unritorno ad un modello razional-compren-sivo che però non vuol dire un ritorno alpassato. La tradizione resta, è l’immagine dei pro-cessi decisionali, dei processi di costruzio-ne delle scelte, che va cambiata. Conti-nuiamo a porci le domande di sempre, lacittà pubblica, la qualità dello spazio, ilwelfare etc.La sensazione è che ci sia bisogno di tor-nare a guardare la città con occhi nuovi, acercare di capire il funzionamento dellenuove forme di aggregazione…a cercarele tracce di comunità.

E siste una “Ricerca in Urbanistica”,o non si tratta piuttosto di una“Ricerca per l’Urbanistica”? Con

questo interrogativo, insieme provoca-torio e retorico, il prof. Alain Bourdin,dell’IFU (Institut Français d’Urbani-sme) di Parigi, ha iniziato il secondo deiquattro Colloqui.L’assenza di una epistemologia sua pro-pria rende la nostra disciplina necessa-riamente “dipendente” da altri paradig-mi e la struttura da un lato intorno all’e-voluzione delle altre scienze, per primele scienze sociali, dall’altro intorno alladomanda di pianificazione, e all’evolu-zione delle pratiche. Se una “Ricerca inUrbanistica” esiste, è proprio quandoquesti due aspetti convergono, o meglio,quando si ragiona sui differenti esiti chela convergenza di questi due aspetti pro-duce. Tale premessa è stata anche la par-ticolare prospettiva assunta per trattare iprincipali temi che compongono il mo-saico della ricerca urbanistica in questianni. Così, l’evoluzione delle teorie del-la Complessità è stata discussa per il ruo-lo che riveste all’interno dell’approcciosistemico, per il tema dell’incertezza, peri diversi significati che essa assumequando si tratta di “governare” la com-plessità o di “generarla”.Tra gli sviluppi maggiormente rilevantiper l’evoluzione delle pratiche, è stato ri-cordato il “nuovo” ruolo dell’estetica, inparticolare come modo della conoscen-za, che sta progressivamente cambiandoil modo di intendere lo spazio: questoderiverebbe dall’evoluzione delle teoriedella Percezione e della Conoscenza.La crisi delle teorie della Razionalità e

dell’Azione – in particolare le critiche alconcetto di “azione razionale”–, connessaalla crisi del modello tayloriano, influenzadirettamente il campo delle politiche pub-bliche ed è stata riconosciuta come unadelle spiegazioni principali del passaggio“dal piano al progetto” (che comunquesottintende una diversa concezione di pro-getto rispetto al tradizionale approccio),dal governo alla governance, oltre ai temidella responsabilità e della concertazione. Più immediatamente riconoscibile è ilruolo, per la pianificazione, delle teorieche riguardano l’evoluzione dei modi del-l’esistenza, individuale e collettiva, rias-sunto in cinque principali punti, connes-si tra loro e con le altre teorie precedente-mente citate. Il nodo fondamentale sareb-be la crisi del modello sociale tradizionalee la concezione dell’individuo come con-sumatore (consumatore come portatore didomande: di beni, di servizi, di spazi…),anche in relazione al tema della domandasociale. Cinque, dunque, le questioni de-cisive: dello sviluppo sostenibile, della si-curezza e del rischio, della città diffusa e,insieme, della prossimità, della trasforma-zione degli spazi pubblici e, di nuovo, del-la concertazione, del partenariato e dellagovernance.Il consiglio con il quale il prof. Bourdin haconcluso il Colloquio, rivolto in primoluogo al dottorato, ma allargato a tutti co-loro che si occupano di ricerca in urbani-stica, è stato quello di cercare di essere vi-cini ai temi operativi ma aperti all’insiemedelle scienze (tanto per le teorie più gene-rali e consolidate, quanto per i temi piùspecifici o attuali), con particolare atten-zione per le teorie “di confine”.

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Nuove tendenzedella ricerca inurbanistica:colloquio con Alain BourdinBarbara Pizzo

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rò, i processi di trasformazione urbana cisi rende conto di quanto oggi la situazioneè mutata: gli operatori del mercato, infat-ti, devono mettere in atto sistemi di parte-cipazione e di offerta sempre più comples-si rispetto al passato: individuando pro-getti concreti di intervento rapportandosicon soggetti pubblici e privati diversi traloro. L’altro aspetto emerso è il diffonder-si del fenomeno delle aziende speciali, lenuove multiutilities e multiservices. Sitratta di società che prima fornivano unsolo tipo di prodotto (comodities) e cheoggi, all’interno di un avviato processo diliberalizzazione, si trovano a perdere lecondizioni di monopolio e vivere la con-correnza di altri prodotti e di altri attori.Infatti, ai clienti a cui prima fornivano unsolo prodotto – elettricità, acqua, gas –oggi tendono ad offrire tutta una serie diservizi, partendo da quelli affini al prodot-to di partenza e poi allargati verso un nu-mero sempre più ampio di servizi differen-ziati: prima la fornitura di comodities, poila gestione e la manutenzione degli im-pianti collegati, infine tutti i servizi chepossono avere mercato.Infine, a conclusione del suo interventoBellicini si è soffermato su due ricerchesvolte dal CRESME all’interno del NPRGdi Roma: il “dimensionamento delle pre-visioni di piano” e le “microcittà”. Nellaprima ricerca la domanda posta dall’Uffi-cio del Nuovo Piano Regolatore era di di-segnare uno scenario delle dinamiche e undimensionamento della domanda di edi-lizia non residenziale a Roma per i prossi-mi dieci anni. In sintesi, il risultato pro-dotto ha consentito di rovesciare alcuneimmagini consolidate dell’economia ro-

mana fissando elementi utili alle scelte delpiano, facendo emergere come il modo ele forme di trasformazione della città sonoprofondamente cambiati, consegnandouna città che mostra una sorprendente vi-talità economica del settore privato ri-spetto a quello pubblico. La seconda ri-cerca ha riguardato un tema complesso:Identità, centralità e nuove municipalitànella metropoli romana. Il tema era legatoalla volontà del Comune di riflettere suicaratteri delle nuove Municipalità, dellefunzioni da delegare, sulle sedi di rappre-sentanza – i nuovi Municipi – sui temidell’identità e della centralità dei contesticircoscrizionali. Per rispondere alla do-manda la ricerca ha seguito la strada delcensimento sul campo, con indagine di-retta per capire “funzioni”, “nodi” in gra-do di “attrarre popolazione” o di costitui-re “polo di riferimento”. Il risultato finaleè stato una mappa di oltre 200 microcittà:un sistema di conoscenza del territorio ro-mano che può essere scomposto e ricom-posto attraverso piani di lettura diversi,che aiuta a leggere la città e a capire i suoibisogni.- Il seminario proposto da Elio Piroddi ènato sulla scia della contaminazione dellaricerca Morfogenesi dello spazio urbano.Storia, usi, progetto1. L’intervento riper-corre gli esiti della ricerca che ha intesoprivilegiare un’analisi diacronica dellamorfologia della città a due livelli di lettu-ra: quello delle parti riconoscibili alla sca-la urbana come morfologicamente omo-genee e quello di alcuni spazi e forme ur-bane strutturanti generati da tipi partico-lari di funzioni urbane. La metodologia adottata è stata quella

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L’ attenzione in queste pagine è ri-volta a due seminari svoltisi nel-l’ambito del Colloqui: il primo cu-

rato dal dott. Lorenzo Bellicini e l’altrodal prof. Elio Piroddi.- Il seminario curato da Lorenzo Bellici-ni, ha restituito un quadro generale sul-le potenzialità e criticità della ricerca ur-bana e territoriale. Dopo una breve pre-sentazione dell’attività del CRESME,l’intervento ha sottolineato l’importan-za di comprendere e studiare il valoredella produzione di mercato delle co-struzioni, poichè da questo è possibilecomprendere le trasformazioni urbane eterritoriali in atto. Misurare il valore del-le costruzioni significa, infatti, conosce-re aspetti rilevanti dello sviluppo econo-mico del nostro Paese in quanto questicomparti di attività altro non sono chegli indicatori principali degli investi-menti, svolgendo negli ultimi anni datraino allo sviluppo economico del no-stro Paese. La questione posta al centrodell’intervento è stata: come si proietta-no queste riflessioni su uno scenariotemporale più ampio? Cosa aspettarsi apartire dal 2004? Analizzando la rico-struzione delle dinamiche di mercatodagli anni ‘80 ad oggi, ciò che colpisce,fa notare Bellicini, è la forte e costantecrescita ancora in corso. Ricostruire lastoria dei cicli del settore delle costruzio-ni a partire dagli anni Cinquanta vuoldire verificare scientificamente quantol’esperienza insegna. Infatti, dal secondodopoguerra ad oggi, l’analisi degli inve-stimenti in costruzioni, mostra sei cicliedilizi. Oggi siamo nella fase espansivadel sesto ciclo edilizio. Esaminando, pe-

Focus su dueseminari:Bellicini ePiroddi

Laura Forgione

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dell’analisi comparata sul campo. Le fun-zioni prese in esame sono state alcune traquelle ritenute strategiche sotto il profilodella morfogenesi urbana (religiose, civili,commerciali, del tempo libero). Strategi-che perché sono in grado di generare, mo-dificare, stratificare lo spazio urbano eperché assumono o possono assumere inepoche diverse forme e modalità d’uso di-verse da parte della collettività. Di fatto si è trattato di una lettura, descri-zione e interpretazione della forma urba-na, del rapporto di questa con le funzioniche ne determinano genesi e trasforma-zioni, il cui esito conclusivo è un Atlanteurbano documentativo dell’evoluzione dialcune delle funzioni strategiche e dellaloro incidenza sui modi di formazionedella città.Dopo un breve quadro generale è statopresentato come esemplificazione il casodella città di Roma, dove l’ambito di stu-dio ha coinciso per la città premodernacon il perimetro della città murata al1748, per la città moderna e contempora-nea con l’ambito urbano delimitato dalconfine del Grande Raccordo Anulare.L’analisi ha preso in considerazione varielementi:- le parti urbane morfologicamente omo-genee;- gli assi infrastrutturali caratterizzati davalenza strutturante per la forma urbana;- le centralità urbane, distinte per caratte-re e contenuti specifici.Le classificazioni delle parti urbane mor-fologicamente omogenee si sono basatesu due macrocategorie principali di anali-si: tessuti urbani e forme aperte2. Sono sta-ti, inoltre, rilevati i caratteri quantitativi

della forma urbana a due differenti livellidi scala: misure effettuate su isolati cam-pione e misure su estese aree campionemorfologicamente omogenee. Le rifles-sioni conclusive hanno evidenziato comela città nasce, cresce, si trasforma per svol-gere alcune funzioni strategiche che costi-tuiscono la ragione d’essere; attraverso illoro costituirsi in spazio fisico queste fun-zioni generano spazio urbano; mettendo-si in relazione generano la struttura dellaforma urbana. L’analisi dei casi ha dimo-strato come la struttura della forma urba-na non è determinata solo dal situarsi e dalrelazionarsi delle funzioni strategiche, maspesso intervengono altri fattori, operazio-ni immobiliari, presenza di tracciati viari,e anche il puro caso. Si è evidenziato, quin-di, come il processo in atto nelle città èsoggetto a due tensioni contrapposte: daun lato quella che spinge alcune funzionistrategiche a dissociarsi in qualche mododalla città; dall’altro quella che tende aduna ristrutturazione dell’urbano attraver-so la reintegrazione delle funzioni.

1 La ricerca impegna nove unità di ricerca, in nove cittàitaliane il cui responsabile nazionale è il prof. Elio Pi-roddi.2 Tessuto urbano: forma insediativa nella quale è ricono-scibile una stretta complementarità tra impianto viarioe trama edilizia. Forme aperte: forme insediative privedella complementarità morfologica tra viaria-edificatocaratteristica del tessuto.

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a cura di Paolo Martegani - [email protected]

All’inizio degli anni Ottanta, lapolitica di cooperazione con iPVS, Paesi in Via di Sviluppo,nello specifico settore della

formazione universitaria, finanziata dalnostro Ministero degli Affari Esteri, haportato, tra le altre varie e numerose ini-ziative, alla fondazione (principale pro-motore il professore Salvatore Dierna) diuna Facoltà all’interno della “Universida-de Eduardo Mondlane” a Maputo (linguaportoghese). Due gli obiettivi principali, preparare ar-chitetti che contribuissero allo sviluppodel Paese e creare una struttura universita-ria all’inizio gestita da docenti italiani e daaffidare, in un tempo successivo e con ladovuta gradualità, ai migliori tra gli archi-tetti mozambicani.

“Formare i formatori”, è stata quindi la“mission” che tutti noi, docenti italianicoinvolti in questa faticosa, ma entusia-smante avventura, abbiamo cercato disvolgere. Personalmente considero unprivilegio avervi potuto partecipare e, neltentativo di condividere la nostra motiva-zione, richiamo un episodio: la cerimoniain occasione dell’affissione di una targa.Con questa si dava il nome di uno dei piùanziani colleghi, prematuramente scom-parso, all’ambiente principale della facol-tà chiamato, non senza una certa esagera-zione, anfiteatro. All’ombra di un grande albero tropicale, ilpreside, il professore José Forjaz, nel pro-prio discorso citava Vitruvio. Sentire le pa-role latine che trattavano di architettura, acosì tanti secoli dalla loro formulazione e in

Sono sempre più numerose e interessantile iniziative volte a favorire il confronto, lo scambio e la collaborazione.

Design ecooperazione

Paolo Martegani

un contesto così diverso dove tutto è rove-sciato – dalle stagioni che sono invertite, al-la posizione del sole che quando sta a nordè più caldo – sembrava veramente strano;contemporaneamente ci faceva sentire im-portanti. Si, perché noi architetti italianieravamo a quella latitudine per formare al-tri architetti: sembrava quasi avessimo unatestimonianza da trasmettere.Una esperienza simile ma con altre speci-ficità si è svolta parallelamente presso laUniversidade Agostinho Neto di Luanda,Angola.La caratteristica della cultura italiana,molto sensibile a tutte le manifestazioniartistiche, ha individuato le occasioni ecreato progressivamente le condizioni perlo sviluppo di numerose esperienze di co-operazione nell’ambito del design in varie

Il logo della mano aperta simbolo dellacooperazione italiana, che è particolarmenteattiva nel settore della formazione superiore

La segnalazione dellapropria partecipazionealla Biennale di Veneziapresente sull’home pagedel sito Internet dell’IILAIstituto Italo LatinoAmericano

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aree geografiche, privilegiando tuttavial’America Latina.La globalizzazione e la necessità di pro-muovere il made in Italy, fanno assumerealle iniziative di questo tipo un carattere dialto valore strategico che richiama su di es-se molta attenzione e porta inevitabilmen-te ad ampliare il dibattito sul rapporto traglobal e local. Infatti se è vero che tutti iPaesi hanno necessità di sviluppare la pro-pria produzione, é altrettanto evidente cheproduzioni industriali ad alto contenutotecnologico non sono adatte ad ogni con-testo. Tuttavia sarebbe riduttivo orientarele produzioni di tutte le aree geografiche,su prodotti in qualche misura uniformati;dove forse l’unico elemento di distinzionepotrebbe essere rappresentato dal prezzopiù basso, dovuto alla disponibilità di ma-no d’opera di costo inferiore. Per l’architettura il rischio di omologazio-ne è alto: un aeroporto, un ipermercato ouna sala operatoria a Singapore o a Mon-treal non sono molto diversi. Questo portavantaggi in termini di efficienza, ma con-temporaneamente una alienante omologa-zione. Il “genius loci”, la contestualizzazio-ne, è una qualità alla quale si sta ricono-scendo un valore primario. Nel campo deldesign il rischio è ancora più alto, ma laconsapevolezza acquisita in architetturapotrà essere di orientamento nel recuperodelle specificità proprie di ogni cultura nel-la propria area geografica di appartenenza.Nel servizio si dà conto di alcune iniziative,delle entità coinvolte e della testimonianzadi un architetto mozambicano, particolar-mente attento alle problematiche che col-legano la progettazione architettonica ed ildesign all’uso del mezzo informatico.

DESIGN E MANAGEMENT SISTEMI

DI PRODOTTI DESTINATI ALLO

SPAZIO DOMESTICO

Denominazione di un master internazio-nale che coinvolge entità italiane e partnerper la Rete Mercosur. Per l’Italia, Roma: - Dipartimento ITACA (Innovazione Tec-nologica nell’Architettura e Cultura del-l’Ambiente) con compiti di coordinamen-to e che svolge servizio di informazione esegreteria via Internet (www.disegnoindu-striale.net [email protected] );Centro Interuniversitario di Ricerca neiPaesi in via di Sviluppo dell’Università “LaSapienza”; Centro analisi sociale; Corso diLaurea in Disegno Industriale.- Camerino: Corso di Laurea in DisegnoIndustriale della locale Università.- Firenze: ISIA; Corso di Laurea in DisegnoIndustriale della Università; Polimoda.Partner per la Rete Mercosur:- Argentina FADU-UBA Facoltà di Ar-chitettura Design e Urbanistica - Univer-sità Nazionale di Buenos Aires; INTI-CIT Istituto Nazionale Tecnologia Indu-striale; Centro ricerche sul Tessile.- Brasile: CSPD Centro San Paolo De-sign; Università di Londrina.- Paraguay: Facoltà di Scienze e Tecnologia,Università Cattolica N.S. de Asunciòn.- Uruguay: Ministero di Educazione eCultura; Centro di Disegno industriale.Lo svolgimento dell’attività formativa èprevisto in parte in Sud America e in par-te in Italia.I posti disponibili sono riservati per unterzo a cittadini italiani e per due terzi acittadini Mercosur. L’iniziativa si svolge con l’appoggio dellaCooperazione Italiana del Ministero degli

Affari Esteri e con la collaborazione delCASP. Il Centro Analisi Sociale Progetti diRoma opera sia come S.r.l. (dal 1985), siacome associazione senza fini di lucro (dal1974), a seconda degli obiettivi relativi al-le attività da svolgere e dei requisiti giuri-dici richiesti, volta per volta, dall’organi-smo finanziatore (Commissione Europea,M.L.P.S., M.A.E., Enti Locali, ecc.).

MERCOSUR DESIGN

È la denominazione di una rete di entitàcoordinate che svolgono un programmaarticolato in cinque punti. Oltre al MasterInternazionale, Corsi post laurea, Stage inItalia, ALADI e ALFA. Particolarmente interessante risulta essereALADI, Asociaciòn Latinoamericana deDise_o. L’Associazione è in continuaespansione e per favorirne l’ampliamentole entità interessate ad aderire possonocontattare il CNA del proprio Paese.A livello comunitario è attivo il program-ma ALFA (Formazione Accademica conl’America Latina). Il Programma si inserisce nelle prioritàstabilite nel Regolamento (CEE) n.443/92 del Consiglio del 25 febbraio1992, riguardante l’aiuto finanziario, tec-nico e la cooperazione economica per iPaesi in via di sviluppo dell’America Lati-na e dell’Asia. La fase iniziale del Pro-gramma (ALFA I) ha coperto il periodo1994-1999 ed ha finanziato 846 progettiper un totale di 38,4 milioni di Euro.Attualmente è in vigore ALFA II che avràdurata di 6 anni (2000-2005). Il contri-buto comunitario ammonta a 42 milionidi Euro. Il Programma si articola in sotto-programmi tra cui:

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Da sinistra:• Logo dell’iniziativa del mercato

comune latino americano per ildesign che ha l’Italia comepartner

• Nella tabella sono riportati ireferenti delle singole nazioniall’interno del ComitésNacionales ALADI

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gners dell’area. La Cooperazione Italianaha finanziato, nel triennio 2000-2003, larealizzazione di numerosi corsi che ri-guardano svariati settori: dalla moda, alprogetto di mobili; dal packaging, al de-sign di oggetti per l’habitat.Per favorire la collaborazione tra il Centro ele istituzioni italiane promotrici dell’inizia-tiva sono designate in ciascuno dei Paesiaderenti, istituzioni di riferimento. Questeagiscono come coordinatori delle attivitàlocali, con funzioni anche di tipo ammini-strativo nei confronti degli studenti.

ARGENTINA

La professoressa Lucrecia Vega Gramuntdell’Università di Buenos Aires, FADU Fa-culdad de Arquitectura Diseño y Urbani-smo, svolge un fondamentale ruolo di con-tatto per lo sviluppo della collaborazione,nell’ambito del design, tra i due paesi. Particolarmente interessante è il progettoArgentina Esporta “Applicarte e Design”che si propone l’avvicinamento del mon-do della produzione a quello del design edell’arte e di inserire i concetti del designnel mondo della produzione locale se-guendo un assunto molto significativo:

“Il design è il supporto del prodotto e nedefinisce l’identità e la cultura”.Gli obiettivi di queste iniziative sono losviluppo delle attività produttive e l’e-sportazione verso i Paesi confinanti. Inqueste attività particolare attenzione vie-ne riservata a tutti i derivati della pelle checonferisce all’Argentina, una posizioneprivilegiata in questo comparto.

COOPERAZIONE, ARCHITETTURA

E DESIGN IN MOZAMBICO

Carlos Meneses*Varie sono state le ragioni che hanno orien-tato l’apertura della Faculdade de Arquitec-tura e Planeamento Físico (FAPF) dellaUniversità Eduardo Mondlane nel 1996.Dopo la fuga dei quadri a seguito dell’indi-pendenza del Mozambico nel 1975, FAPFsembrò uno strumento utile per superare iproblemi derivanti dalla scarsità di tecnicisuperiori nel campo dell’architettura e del-la progettazione: la creazione di know-hownazionale avrebbe ridotto il bisogno diesperti stranieri. La Facoltà fu concepitaanche come un strumento di responsabileconcezione e intervento nella modellazio-ne dello spazio e del territorio.

- Sotto-programma A: Cooperazione perla gestione istituzionale ed accademica. - Sotto-programma B: Formazione Scien-tifica e Tecnica - Mobilità di Studenti estudenti post laurea; Brevi corsi di forma-zione per Ricercatori.ALFA prevede un sistema di presentazionecontinua. Il programma si avvale di unastruttura realizzata nel 1994 dal CentroAnalisi Sociale Progetti e dal C.I.R.P.S.consistente in una Rete tra università eu-ropee e latinoamericane denominata “Ca-salfa”. La rete nasce appositamente per lapartecipazione ai programmi ALFA del-l’Unione Europea creando numerosi econtinui scambi tra Università europee edUniversità dell’America Latina. Attual-mente la Rete Casalfa conta un totale dicirca 60 Università ed Istituzioni aderenti,di cui circa la metà appartenenti ai Paesidell’Unione Europea e la restante dell’A-merica Latina.Dal 1994 ad oggi, sono state prese varie ini-ziative tra le Università della rete creandodegli appositi raggruppamenti settoriali.

CENTRO DE DISEÑO INDUSTRIAL

DE MONTEVIDEO

Il Centro supporta i corsi post laurea.Fondato nel 1987, in Uruguay, con l’ap-poggio della Cooperazione Italiana, di-pende direttamente dal Ministerio deEducación y Cultura Uruguayo. Il Centro ha acquisito una riconosciutaesperienza e notorietà sia nel Paese, sianella regione ed è progressivamente dive-nuto un punto di riferimento per i desi-

Logo del Centro Interuniversitario di Ricercaper lo Sviluppo Sostenibile

Le caratteristichericonoscibili diciascuna culturapossono trovarespecialmente nelsettore della graficae in campo tessileoccasione divalorizzazione

Una selezione di oggetti relativi al progetto“Applicarte e Design”; azione congiunta tral’Università di Buenos Aires e la sede localedell’Università di Bologna

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Tra i fondatori della FAPF, l’Italia ha svol-to un ruolo protagonista e fin dall’iniziol’Istituzione conta sull’appoggio di questopaese amico; più concretamente della Fa-coltà di Architettura dell’Università degliStudi di Roma “La Sapienza”. L’assistenzaè di carattere tecnico e finanziario ed hacome obiettivi generali lo sviluppo delladidattica, delle potenzialità intellettualidei ricercatori/docenti, dell’efficienza del-l’infrastruttura in generale. In questo sce-nario, poiché le tecnologie della informa-zione e della comunicazione occupanouna posizione importante, è nato e si è pro-gressivamente sviluppato, il Laboratorio diInformatica. In questo processo hannoavuto una funzione decisiva, inizialmentel’architetto Elena Mortola e più tardi gli ar-chitetti Ferdinando Recalde e Paolo Mar-tegani. Gli stessi hanno fatto parte del cor-po docente per le discipline informatichenel processo di avvio che è durato fino a1997, quando la FAPF acquisì autonomiadidattica con il contratto dei primi assi-stenti architetti mozambicani.Sono passati 18 anni di cooperazione.Che bilancio possiamo redigere? Qual èl’impatto della scienza del computer nel-l’architettura e nel design per i giovani ar-chitetti e per gli studenti mozambica-ni? Come è accaduto ovunque nel mon-do, varie sono state le conseguenze dell’in-troduzione dell’informatica, ma tra que-ste si evidenzia la comparsa di una formanuova di comunicazione che ha costrettoad un adeguamento mentale, materiale eculturale: è avvenuto un cambiamento

nella forma e nella velocità del pensiero; lacomunicazione è diventata istantanea eglobale, consentendo un’interazione con-tinua e dinamica, con risultati immediati.La metodologia di lavoro degli studi di ar-chitettura è stata ridefinita per essere piùcompetitiva. Grazie al mezzo informaticoè stata posta, anche, nelle mani degli ar-chitetti mozambicani, la possibilità dicompetere in concorsi internazionali, inuguaglianza con gli altri partecipanti;processo che non era possibile sei anni fa.Oggi si può dire che in Mozambico sonomolto pochi gli architetti che ancora dise-gnano a mano o con strumenti tradizio-nali. Questo è conseguenza della forma ri-voluzionaria di rappresentazione e di vi-sualizzazione dei disegni e dei progetti ar-chitettonici. Usando il PC è possibilecreare un ambiente sintetico tridimensio-nale, dove si può lavorare simultanea-mente nell’interno e nell’esterno con ri-sultati immediati. Virtualmente si puòanticipare il futuro e “trasportarlo” nelpresente in un modo istantaneo. Ci siamoappropriati di strumenti che danno lasensazione di essere degli dei.Probabilmente il più grande impatto del-l’ICT è stato l’accesso ad Internet. Questoha reso disponibile una fonte di cono-scenza potente; ha offerto agli studenti edai docenti un mezzo di grande utilità, conpossibilità infinite nell’interscambio diinformazioni e nel processo di insegna-mento (“insegnare-imparare”). È impor-tante ricordare che la maggiore parte deimozambicani non ha risorse economiche

per acquistare libri e che le poche bibliote-che nazionali sono modestamente dotate.Possiamo parlare di design mozambica-no? Personalmente direi timidamente disì, ma dividendo il tema in due ambiti. Ilprimo relativo agli addetti ai lavori. InMozambico non c’è ancora una industriaforte e dinamica capace di creare e distri-buire prodotti di design, di conseguenzac’è un ritardo nella preparazione di spe-cialisti del settore. Si pongono delle do-mande. Ogni imprenditore locale ricono-sce l’importanza del design? Chi fa designin Mozambico? Si noti queste domandepossono riferirsi anche all’architettura.Ed io posso rispondere che chi fa architet-tura in Mozambico ancora non è l’archi-tetto. Tuttavia la nuova professione del

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Un “murales” che esprime inmodo suggestivo alcunielementi riconoscibili dellacultura locale. Maputo,Mozambico

I componenti della costruzione che devonorispondere alle condizioni climatiche, anchemolto differenti, dei vari paesi, costituisconoun’opportunità per un design contestualizzato.Nelle illustrazioni elementi frangisole dellefacciate di Luanda, Angola

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ISTITUTO QUASAR - INSTITUTO SUPERIOR DE EURODISEÑO DE GUAYAQUIL

L’Istituto Quasar: una struttura agile eall’avanguardia nata dall’idea di un gruppodi progettisti appassionati e nonconvenzionali che operano dal 1973 neicampi del design, dell’architettura, delpaesaggio; che esplorano tra i primi, coninteresse, le valenze espressive e lepotenzialità produttive delle nuovetecnologie ma anche perseguono con attentointeresse il recupero delle tecnichetradizionali alle quali dobbiamo il nostroimmenso patrimonio storico-artistico,sensibili infine alle istanze globali dellamoderna civiltà multiculturale.Il lavoro di ricerca e formazione si compieattraverso studenti da tutto il mondo, unitidal comune interesse sul progetto e portatoridi valori ricchi e diversificati oltre ognidivisione culturale. Nessuna sorpresa se presto gli interessi e leattività si espandono oltre i limiti della città edello Stato, diffondendosi e cooperando conrealtà diverse, ma non meno affascinanti diquelle originarie.Guayaquil (Ecuador): grande più o menocome Roma, sulla costa equatoriale delPacifico, natura e cultura agli antipodi, trasottosviluppo e nuovi fermenti: nasce così inEcuador un esempio di cooperazione escambi culturali.Era il lontano 1990 quando un gruppo diimprenditori di Guayaquil, la seconda cittàper importanza dell’Ecuador e la prima perdimensione, terminava i suoi studi diarchitettura a Roma innamorandosi delnostro stile e dell’incredibile capacità creativadei nostri designer e progettisti. Desiderosi ditrasmettere passione e conoscenza ai propriconnazionali, tentano di avviare un centro diformazione privato nella propria città,riproducendo temi e contenuti dellaformazione che avevano ricevuto. Ma la capacità progettuale, si sa, nonsempre va d’accordo con la capacità ditrasmetterla ad altri ed il progetto nonsembra avere successo. Convinti che inEcuador esistesse invece una domanda moltoforte per questo tipo di formazione e troppoconsapevoli dell’assoluta affinità culturalecon il nostro Paese, decidono di nonrivolgersi ai vicini Stati Uniti, verso cuigravita la quasi totalità dei flussi economici eculturali, ma di tornare in Italia alla ricercadi un partner che potesse aprire la propriasede in Ecuador.Dopo numerosi colloqui, ricerche, trattative equalche porta chiusa, vengono a contattocon varie strutture tra cui una strutturaprivata, l’Istituto Quasar, fondata nel 1987con lo scopo di trasferire la capacità

professionale degli ideatori ai giovanidiplomati e laureati in Architettura nei temi delDisegno Industriale, dell’Arredamento e delPaesaggio: questa sembra fare al caso loro.L’intesa è immediata: la focalizzazionesull’attività progettuale, la scelta di docentivicini al mondo del lavoro, la solida strutturaculturale cui si fa riferimento e l’esperienzagià maturata convincono gli imprenditoriecuadoregni a scegliere l’Istituto Quasar comepartner ideale.La formula contrattuale sarà quelladell’affiliazione e non l’apertura diretta di unasede dell’Istituto perché ritenuta più stimolante,pratica e coerente all’idea di cooperazione.Un pool di formatori dei formatori, elaboratele necessarie modifiche ai programmi distudio e gli opportuni adattamenti al diversocontesto socio-culturale, partono per trasferireil proprio background professionale edidattico in Ecuador.Dopo l’opportuno rodaggio la struttura èpartita con successo ed oggi è operativa. Lascelta era giusta. La domanda di formazionedel “made in Italy” è forte, capace di spostaredefinitivamente il flusso di studenti solitamentediretto alle università americane, ed in più,grazie al taglio professionale dato ai corsi,l’inserimento del mondo del lavoro è rapidoed agevole, nonostante ci si trovi in un Paesein via di sviluppo, ma attento alla modernità.Per non perdere il necessario legame conl’Istituto Quasar e con l’evoluzione culturale etecnologica del nostro Paese, gli studentidell’“Instituto Superior de Eurodiseño” diGuayaquil, trascorrono l’ultimo semestreall’Istituto di Roma, dove svolgono gli esamifinali ed iniziano il tirocinio professionale.Una bella esperienza che l’Istituto Quasarintende replicare negli altri Paesi del SudAmerica e dell’Estremo Oriente.

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designer è frutto della forza del mercato edirei che esiste un design riconoscibile,particolarmente nella capitale Maputo,nell’area della pubblicità e in quantità mi-nore, nella decorazione e nei prodottid’imballaggio. Ma si deve rilevare chenonostante la Facoltà di Architettura ab-bia già laureato più di duecento architetti,la maggior parte di loro ancora non è co-involta in questo processo.Nel secondo ambito, che si riferisce allamaggioranza della popolazione del Mo-zambico, si deve considerare che il designè frutto dell’atmosfera culturale, delle ne-cessità socio economiche, delle brame edelle aspirazioni, dell’appello visuale,estetico e simbolico di ogni individuo.Ma ancora allo stato attuale quasi semprele soluzioni che si trovano per superarecerte difficoltà sono per risolvere un certoproblema in modo pratico ed immediato.Il bisogno crea il pensiero che è tradottoin una forma sperimentale. Per concludere, dirò che uno dei più gran-di frutti dei programmi della Cooperazio-ne Italiana in campo informatico è lo stabi-limento di un modo dinamico di comuni-cazione che avvicina le persone e le culturee che quindi, anche nelle tematiche del de-sign, potrà favorire un positivo sviluppo.

*Architetto laureatosi nella Facoltà di Maputo, responsabile del Laboratorio e dei servizi informatici.

INACAP (www.inacap.cl) è una istituzionecilena molto attiva nello sviluppo del design

Un lavoro di grafica di Priscilla Falconi Parker,Guayaquil, Ecuador: Designer che ha completatola propria preparazione nella “Carrera de Diseñode Interiores, Jardínes y Arts & Crafts, InstitutoSuperior EURODISEÑO, filial de la UniversidadQuasar, Roma, Italia”

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Sergio Petruccioli ha operato conpassione e grande vitalità in mol-ti ambiti; la sua attività è nota epresente: queste righe ne riper-

corrono, seppur con molti vuoti dovutialla brevità del testo, il percorso professio-nale grazie alle sue stesse affermazioniconservate in numerose pubblicazioni, inmodo da non descrivere una fredda bio-grafia di quello che ha fatto ma sottoli-neando gli aspetti fondamentali di comeintendesse a suo modo fare l’architettura.Sergio Petruccioli, il cui impegno nellascuola è sempre stato prima di tutto socia-le, descriveva così il programma del suoCorso di Composizione Architettonica alprimo anno: «L’obiettivo prioritario che mipongo è quello di mettere chi frequenta ilmio corso nelle condizioni di agire consape-volmente l’itinerario progettuale. La miaopinione è che il compito principale di unprofessore di Composizione sia quello di de-finire con chiarezza un terreno di interlocu-zione (e quindi un rapporto didattico) al-l’interno del quale ogni studente con cui sidialoga riesca ad esprimere, con convinzioneed in profondità e con la maggiore libertàpossibile le proprie naturali, direi quasi in-consce, procedure di comprensione dello spa-zio e a partire da queste, la propria eventua-

le vocazione ad inventare spazi» (La CasaNuova, luglio1992).Aveva scelto con entusiasmo e responsabili-tà di avere un rapporto con i giovani iscrittialla Facoltà; era sicuro che fornire “una gri-glia”, a chi si accostava alla progettazioneper la prima volta, servisse da guida senzaessere per questo schematica, e permettesseloro di operare liberamente le scelte fonda-tive dell’organismo architettonico.Sergio lasciava trasparire spesso, nei suoiocchi azzurri, la profonda soddisfazioneche provava quando tanti suoi studentidel primo anno tornavano a cercarlo perchiedergli di assisterli nella tesi di laurea.Si trattava di una soddisfazione personale,certo, ma anche per lui di un’altra stimo-lante occasione per un confronto nuovo ematuro sul tema del progetto.«Proprio quest’anno ho aperto il corso conuna lezione intitolata ‘La composizione ar-chitettonica e il mestiere dell’architetto’. So-no convinto che non esista Architettura senon come prodotto del mestiere di architettoe che di conseguenza si possa parlare di Ar-chitettura soltanto come esito concreto del-

Sergio Petruccioli

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«L’edilizia era una cosa affascinante, soprattuttoquando si aveva a che fare con Tom, mastro

costruttore, capace di spiegare ciò che faceva». (Ken Follett, I pilastri della terra)

Sergio Petruccioli nel suo studio

• Ristrutturazione dell’ex Consorzio Agrario in viaFermi, Roma (1998-2003). Veduta dell’edificiodalla piazza interna

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l’insieme delle procedure che si attivano inquesto mestiere per tradurre un’idea di for-ma dai contorni ancora largamente appros-simativi, in un oggetto spaziale fruibile edinserito in un contesto reale» (Fotogrammidi architetture 1972-1992).Sergio fece parte con impegno, tra il 1992ed il 1996, del Consiglio dell’Ordine de-gli Architetti di Roma, occupandosi deirapporti con gli Ordini Europei e delCentro Studi.Era convinto che l’Ordine di Roma, crean-do un rapporto sinergico di attività con leassociazioni delle altre capitali europee,potesse assumere maggiore peso e visibili-tà perdendo quel carattere “introverso”che fino ad allora lo aveva contraddistinto.«L’architetto è il professionista cui la colletti-vità dovrebbe affidare il ruolo di risponderealle domande di spazio che scaturiscono dal-le più diverse necessità prodotte dall’evolu-zione della vita dei singoli cittadini e dellasocietà nel suo complesso. A questo compitoegli non può rispondere che prefigurandoun’idea di spazio (generata allo stesso tempoda quelle necessità e dall’attivazione deipropri codici espressivi ed estetici) e rappre-sentandola attraverso il progetto in un ogget-to materialmente costruito nel rispetto del-l’insieme delle norme e delle leggi che regola-

no l’attività di crescita e di trasfor-mazione del nostro terri-

torio» (Altrimmagine, n. 18-19 /1993). La sensibilità progettuale di Sergio Pe-truccioli emerge ancora nella descrizionedei molti interventi. Tra questi il comples-so per servizi di interesse pubblico realiz-zato a San Marino con Gregotti e Cervel-lini: «…le mura che delimitano la frontierafra storia e natura, fra cultura e natura, ca-ricando l’immagine di particolari valoristorici e culturali: al di là delle mura non c’èstoria ma natura. Cosicché l’insediamentoforma col suo intorno un corpo inseparabilela cui descrizione più intima e veritiera staproprio nel binomio spazio urbano-spazionaturale» (L’industria delle Costruzioni n.236/1991).Nel corso dei lavori per il Teatro Ambra-Jovinelli, molto vissuti per la complessitàdel tema e certamente per la prossimitàcon i luoghi legati alla sua infanzia e al la-voro del padre ferroviere, alle forti critichePetruccioli rispondeva così: “Il mio proget-to ha piena dignità scientifica…..ricostrui-remo il teatro dov’era e com’era, ma con stru-menti al passo con i tempi.…Chi lavora siritrova sempre a che fare con le schiere dei‘negatori’, i teorici che trovano inelegante la-vorare e lavorare troppo» (Sette, suppl. alCorriere della Sera del 24.06.99).In un altro dei temi ricorrenti della sua at-tività, il recupero funzionale di contenito-ri dismessi, Sergio ha operato sempre conresponsabilità sociale, considerando fon-damentali nel progetto le necessità del

contesto da assolvere proprio con latrasformazione del manu-

fatto esistente.

Nel caso dell’ex-Consorzio Agrario in ViaFermi: «Si trattava di recuperare una vec-chia struttura industriale per destinarla nonsolo a funzioni terziarie, ma anche a puntodi ritrovo di un quartiere popolarissimo, ca-rente di servizi» (Corriere della Sera,29.09.02). A studio, ogni volta che impostava unnuovo progetto, prima o poi citava l’ope-ra di Louis I. Kahn; una in particolare su-scitava in Sergio numerosi riferimenticreativi: «…Lou mi disse che di tutti gli edi-fici a cui aveva lavorato, quello (IstitutoSalk, La Jolla) era l’unico che, una volta rea-lizzato, avesse superato le sue aspettative»(Jonas Salk,1984).Nella sua monografia il testo intitolato ‘Vi-vere il progetto’ conclude così: «C’è infineun altro aspetto per me di notevole importan-za; quello che per anzianità di servizio mimette sempre più spesso nelle condizioni di la-vorare insieme ad architetti che si sono forma-ti o che si sono laureati con me. E di viverel’appagante condizione di riconoscimentodell’altrui identità, senza la necessità di me-diazioni né di codici interpretativi per trova-re la chiave del dialogo: con loro il discorsosull’ Architettura è anche un discorso sulla Vi-ta, sulla Conoscenza, sull’Arte; un discorso digrandissima soddisfazione personale» (Foto-grammi di architetture 1972-1992). Sergio Petruccioli si è spento la notte diSan Lorenzo di questa estate, ci lasciaemozioni, testimonianze concrete a Ro-ma e in Italia, e soprattutto il senso di un«mestiere il cui obiettivo è quello di produr-re spazi che vengono fruiti sia come organi-smi funzionali che come opere d’arte» (Fo-togrammi di architetture 1972-1992).

Marco Maria Cupelloni

Dall’alto:• Centro Commerciale in Via Anagnina,

Roma (1999-2004). Ingresso alla hall dal piano superiore

• Lottizzazione ‘Torrino Mezzocammino’,Roma (2000-2004). Ponte in acciaio sustrada 6

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1.Ska sotto la pioggiaSottofondo musicale – parte una coverska della canzone tormentone dei film

di James Bond.“Chi sono questi che suonano?” – Chiedo almio coinquilino.Ecco la prima domanda ricorrente. Il coinqui-lino francese si chiama Ludovic, alloggia nellastanza accanto alla mia di fronte alla cucina econosce la musica.Sono nel quattordicesimo arrondissement,sud di Parigi, vicino a Montparnasse, è sabatomattina, fuori dalla finestra piove e balliamoin corridoio scherzando sul sole giamaicanoche vorremmo anche qui nel cuore della Fran-cia, ma non c’è.“Sono gli Skatalites” risponde ondeggiando ilcapo.Ed ecco la prima risposta.Capitano periodi nella vita in cui si raccolgo-no risposte. Poco più di dieci mesi a Parigi so-no serviti per accumulare qualche certezza masoprattutto tante domande. Alcune, comequesta, ricorrenti.

2. Linea 4 e poi…Soggiorno assolato. Mappa della metropolita-na in mano:“Come ci arrivo fino a lì?” – chiedo a Manon.Lei è la terza coinquilina di questo quarto pia-no colorato. È bretone e ama il mare ma, insette anni trascorsi nella capitale, è diventataesperta dei cambi più veloci da effettuare nelsottosuolo parigino.“Prendi la quattro fino a Chatelet e poi cambicon la 14. Il cambiamento è più rapido checon la sei a Denfert. Mi raccomando mettitinei vagoni centrali così hai la coincidenza perla 14 davanti a te all’uscita della 4”.Tutto calcolato per non perdere tempo. Forseper questo la Francia è la patria delle abbrevia-zioni: Unif al posto di università; Coloc al po-sto di colocataire; Archi al posto di architectu-re; A plus al posto di a plus tard. La 4 al postodi la ligne 4 du métro.Capitano periodi nella vita in cui ci si adden-tra in sottosuoli ignoti. Ci sono voluti diecimesi a Parigi per abituarmi alla metropolitanae alle abbreviazioni-scorciatoie francesi. Senzaguida.

3. Cip et ciopIl Dipartimento di Sviluppo Urbano si trova alsecondo piano dell’edificio “Miollis”, a brevedistanza dalla Sede Centrale dell’UNESCO(United Nation Educational Social and Cul-tural Organisation), progetto di MarcelBreuer e Pierluigi Nervi.

“Ma cosa ci fa un Architetto all’UNESCO?” –chiedo a me stessa una volta vinta la BorsaLeonardo. E parto per scoprirlo.Lo Sviluppo Urbano è un dipartimento inter-no al Settore di Scienze Umane e Sociali. Èuno dei più piccoli dipartimenti di tale Setto-re, sia come personale coinvolto che come fon-di distribuiti. Ma c’è un gran da fare.Il principale obiettivo, come si evince dal no-me stesso, è di favorire lo Sviluppo Urbano inquelli che oggi vengono denominati i “Paesidel Sud”: Asia, Africa e Sud-America.Attraverso il lancio e la gestione di programmiintersettoriali e internazionali, il Settore si pre-figge l’ambizioso scopo di predisporre e guida-re progetti di recupero urbano e sociale in va-rie aree del mondo, spalleggiati dal nome pre-stigioso dell’Organizzazione.In soldoni questo significa che al secondo pia-no dell’edificio Miollis, il Signor Solinis e ilsuo team si occupano del Sud-America, la Si-gnora Colin invece concentra la sua attivitànei Paesi del Nord-Africa e dell’Asia.Io atterro il primo giugno alle dipendenze diMadame Brigitte Colin. Mi carica di pubbli-cazioni da studiare per conoscere le modalitàdi intervento e le persone coinvolte.“È soprattutto un lavoro di gestione di ampiprogrammi. Serve una buona dimestichezzanelle lingue e facilità nei rapporti umani.Niente progettazione dunque. È un lavoro digestione”. Questa è l’introduzione un po’ brusca dellamia responsabile.La stanza B-2.37 si trova in fondo al corridoiodel dipartimento, ha due pareti completa-mente vetrate dalle quali si può ammirare laTour Eiffel.

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Dieci mesi a Parigi:tre domandericorrenti

Pubblichiamo di seguito leimpressioni dell’architettoGiulia Scaglietta che hatrascorso un periodo di diecimesi, in qualità di borsista delprogramma Leonardo“Cornelius Hertling”, negliuffici dell’UNESCO di Parigi.Il racconto dell’esperienza ele riflessioni ad essa connessesono descritte in parallelo conepisodi della vita quotidianae dei rapporti umani.

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Ia cura di Christian Rocchi

La sede dell’Unesco a Parigi

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Regionali di Venezia e Beirut) per il supportofinanziario e alcune Università francesi e bel-ghe (Nantes, La Rochelle, Gembloux) per ilsostegno tecnico.Alla fine di novembre dunque partiamo inmissione in Marocco per visitare i cantieri eorganizzare questa riunione che è decisiva peril futuro del Programma. Sono sei giorni difuoco, l’attività è intensa, le persone presentisono cariche di aspettative, la posta in ballo èalta: si devono valutare i risultati ottenuti dalProgramma in questi anni, decidere se conti-nuerà nel futuro e con quali modalità o indi-rizzi. I pareri sono discordi, ma dopo tre gior-ni di dibattito vengono enunciate delle racco-mandazioni da parte di esperti internazionali el’UNESCO decide di continuare a sostenere iprogetti. È un successo, abbiamo vinto.Ecco dunque cosa fa un Architetto all’UNE-SCO. Mette le proprie competenze e cono-scenze al servizio di programmi internaziona-li. Non fa progettazione. Non fa concorsi. Malavora in collaborazione con molte personeprovenienti da campi diversi con in mente unobiettivo comune, lo sviluppo urbano e laconservazione del patrimonio esistente, in tut-ti i Paesi, in tutte le condizioni, soprattuttoquelle meno favorevoli.Personalmente è stata un’esperienza che mi haaperto gli occhi su molte situazioni mondiali,politiche, sociali, economiche ma anche urba-ne che conoscevo poco e male. Non ho cam-biato il mondo, ma ho imparato altri aspettidell’essere architetto che all’università nessu-no mi aveva mostrato.

Capitano volte nella vita in cui si fanno espe-rienze che lasciano addosso insegnamenti spe-ciali. I miei dieci mesi a Parigi sono stati fattidalle persone incontrate, dai contatti di lavo-ro, dalle scoperte con le colleghe, da qualcheconcorso di idee fatto con lo spirito di chi sivuole divertire e soprattutto dalle domande -ricorrenti o meno - che ho imparato a non te-mere.

Di fronte alla mia piccola scrivania lavora Loa-na, ragazza rumena impegnata nei problemimondiali delle (scarse) risorse di acqua. Allemie spalle Synnove, norvegese altissima spe-cializzata nelle migrazioni umane urbane. In-fine Sandra, francese dai capelli lunghissimi,alle dipendenze anche lei di Madame Colin.Il primo impatto con loro tre è freddo e distac-cato. Niente a che fare con le atmosfere cui so-no abituata negli studi di architettura, in cui siè un po’ tutti nella stessa barca, con le stessecompetenze e background similari. Qui sonola sola ad aver studiato architettura, l’unica ita-liana e l’ultima arrivata.Il mio compito consiste nel lavorare insieme aSandra per l’organizzazione di un’importanteriunione in Marocco a fine novembre 2003.Ma non solo. Cominciamo subito con il par-tecipare a diverse conferenze come rappresen-tanti del Settore Urbano. Si prendono appun-ti, si stabiliscono contatti per cercare nuovipartners e alla fine a quattro mani viene redat-to un resoconto per la responsabile.Così io e Sandra impariamo a conoscerci, acollaborare e a intrecciare le nostre conoscenzein modo costruttivo. Presto ci soprannomina-no Cip et Ciop.La missione da organizzare in Marocco è unacosa grossa. Verranno riuniti tutti i capi pro-getto di un vasto Programma intersettoriale –Petites Villes Cotières Historiques – e i Sinda-ci e le Ong saranno invitati a parlare delle lorocittà. Dobbiamo gestire i rapporti con le per-sone presenti, vegliare al buon funzionamentodella Riunione e preparare la documentazionenecessaria, tra cui una brochure di presenta-zione del Programma e un Rapporto di Valu-tazione in stretta collaborazione con l’Arch.Rachid Sidi Boumedine, urbanista esperto inpaesi arabi.Il Programma “Petites Villes Cotières Histori-ques” – piccole cittadine costiere storiche – èstato lanciato nel 1996 per tutelare e indirizza-re lo sviluppo di alcune piccole cittadine sulleCoste del Mediterraneo che presentavano uninteresse storico e architettonico pregiato mache, in conseguenza dell’emigrazione degliabitanti verso centri più grandi, venivano ab-bandonate. Allo stato attuale il programmacomprende 5 casi di studio: Essaouira (Maroc-co), Saida (Libano), Mahdia (Tunisia), Omi-salj(Croazia) e Jableh (Siria).Per le diverse problematiche presenti (erosionemarina, conservazione dei centri storici di inte-resse architettonico e urbanistico, tutela di atti-vità artigianali e difficoltà sociali come disoc-cupazione e povertà) sono coinvolti diversiSettori interni all’UNESCO (IHP, CSI, Uffici

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Pubblicare i progetti su WEB. 7Analizziamo l’inserimento di contenuti grafici

Gli oggetti Flash sono file graficiSWF di piccole dimensioni che èpossibile creare direttamente inDreamweaver. In particolar modoè possibile creare testo e pulsantiFlash.

Oggetti di testo FlashGli oggetti di testo flashconsentono di creare e inserire inun documento caratteri nonstandard senza doversipreoccupare dei caratteri installatisui computer degli utenti.Scegliere Inserisci > ImmaginiInterattive > Testo flash

Selezionare un carattere dal menùa comparsa Carattere.Specificare eventuali attributi distile, quali grassetto o corsivo, el’allineamento del testoutilizzando i pulsanti appropriati.Nel campo Colore specificare ilcolore del testo e nel campoColore Rollover impostare il colorein cui viene visualizzato il testoquando il puntatore passasull’oggetto.Inserire le informazionedesiderate nel campo Testo edassociargli un eventualecollegamento.Nel campo Colore di Sfondospecificare il colore dello sfondodel testo ed infine ciccare su Ok.

Oggetti pulsanti FlashGli oggetti pulsanti flashconsentono di personalizzare einserire in un documento unaserie di pulsanti Flash forniti indotazione con Dreamweaver.Scegliere Inserisci > ImmaginiInterattive > PULSANTE FLASHDall’elenco Stile selezionare lo

stile di pulsante che si desideracreare.Il campo Esempio riporta uncampione del pulsante, che,quando selezionato, riproduce ilfunzionamento del pulsanteall’interno del browser. Tuttavia, ilcampo Esempio non riproduceautomaticamente il pulsante inbase all’eventuale nuovo testo ocarattere selezionato dall’utente.Gli aggiornamenti vengonovisualizzati in tempo realeunicamente nella vista Struttura.Nel campo Testo pulsante inserireil testo che deve esserevisualizzato sul pulsante.Nel campo Carattere specificareuna dimensione e selezionare uncarattere dal menù a comparsaed eventualmente impostare unCollegamento.Per avere un’anteprimadell’aspetto del pulsante ènecessario inserire il pulsante inuna pagina facendo clic suApplica.Nel campo Colore di Sfondospecificare il colore dello sfondodel filmato o meglio ancora ilcolore di sfondo della pagina Html.

Modificare oggetti FlashPer cambiare il contenuto di unoggetto Flash è necessario aprirela finestra di dialogo Inseriscitesto/pulsante Flash procedendosecondo uno dei seguenti metodi:fare doppio clic sull’oggetto;selezionare l’oggetto flash eall’interno della finestra diIspezione Proprietà fare clic suModifica.(Note: Salvare il documentoprima di inserirvi un oggettopulsante o un oggetto testo Flash.Poiché i collegamenti relativi nonsono accettati dai browser inquanto non vengono riconosciutiall’interno dei filmati flash, epoiché l’interpretazione di talicollegamenti varia da browser abrowser è consigliabile salvare glioggetti Flash nella stessa directoryin cui si trova il file Html).

Verifica e Pubblicazione di un SitoWeb con FTPPrima di caricare il sito su unserver e considerarlo pronto per lavisualizzazione, è consigliabileprovarlo a livello locale. È buonanorma provare spesso il suofunzionamento durante lacostruzione (tramite una serie dianteprime) per individuare intempo eventuali problemi. Occorrecontrollare che nei browser didestinazione le pagine abbiano ilfunzionamento e l’aspettodesiderati, che non siano presenticollegamenti non funzionali e cheil tempo di caricamento dellepagine non sia troppo lungo.Inoltre, è possibile eseguire unrapporto per controllare l’interosito. Tale rapporto, denominatoControllo Browser di destinazione(che potrà essere effettuato su unsingolo documento, su unadirectory o sull’intero sito) ,è ingrado di rilevare la presenza diproblemi come ad esempiodocumenti senza titolo, tag vuoti,meta tag inesistenti, etc.Procedere nel seguente modo:Salvare il documento e scegliereFile > Controlla browser didestinazione (se non è statostabilito un browser, ci verràchiesto di farlo ora,selezionandone uno dall’elenco);Fare clic su Controlla e salvare ilrapporto nel browser.

Verifica delle dimensioni e deitempi di caricamentoLe dimensioni e il tempo dicaricamento previsto per unapagina vengono indicati nellaparte inferiore della finestra deldocumento.- Le dimensioni vengono calcolatein base all’intero contenuto dellapagina.(NB. Il peso di ogni pagina deveessere di circa 50 /60 Kb).- Il tempo di caricamento vieneinvece calcolato in base allavelocità di connessione ad Internetspecificata nelle preferenze Barradi stato (pulsante destro /Modifica preferenze).(NB. Quando si controllano itempi di caricamento di unapagina Web bisogna tenerepresente che gran parte degliutenti non attendono ilcaricamento di una pagina per

più di otto secondi). Detto ciò analizziamo l’effettivapubblicazione del sito, cioè ilrenderlo attivo sul Web. Taleprocesso può essere eseguito indiversi modi.Esistono molti protocolli ditrasmissione, ciò significa che nontutti i dati viaggiano con gli stessiprotocolli.Il protocollo Internet per laspedizione di dati (file e cartelle)da e per Server Web è ilcosiddetto Protocollo FTP (filetransfer protocol).Esempi di programmi cheutilizzano tale protocollo sono:- FTP Explorer; - WS FTP; - Cute FTP.

Requisiti richiestiIndirizzo del server Web al qualespedire i dati (ftp. …);Cartella Host - Password e Nomeutente forniti dal server peraccedere ad esso;Un programma specifico per FTP.Dreamweaver ha un software FTPinstallato nel suo interno quindiprocedere nel modo seguente:Scegliere Visualizza > ColonneVista File e selezionare l’opzioneInformazioni su REMOTO

Inserire:in Accesso: FTPHost FTP: indirizzo server webCartella HOST: la cartella delserver che conterrà i file del sitoNome utente: …Password: …Selezionare: Usa FTP passivo eciccare su Ok.A questo punto non rimane cheaprire la connessione con l’Hostremoto (ossia il server) dallaBarra degli Strumenti e caricarel’intero sito.

Stefano Giuliani

Questo articolo chiude la seriededicata al tema Pubblicare iprogetti su web. I precedenti sonopubblicati sui seguenti numeridella rivista: 47/03 p. 58; 48/03p. 59; 51/04 p. 47; 52/04 p.49; 53/04 p. 57; 54/04 p. 54.

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Claudia, Mattogno, (a cura di)Idee di spazio, lo spazio nelleidee. Metropoli contemporanee e spazi pubbliciFranco Angeli, Roma

Nel volume vengono descritti inmodo lucido e dettagliato i diversimutamenti della cittàcontemporanea e la polisemicitàdel concetto di spazio pubblico. I saggi di Claudia Mattogno, ElioPiroddi, Patrizia Gabellini, PaoloColarossi, Enzo Scandurra,Massimo Ilardi, Massimo Bruschi,Ida Faré, Massimo Canevacci e diRichard Bender introducono illettore in un viaggio all’internodella città; viaggio affrontatosecondo diverse ottiche, alcunerelative ad una visione piùprogettuale e tecnica, altreorientate alle moltepliciinterpretazioni sociologiche edantropologiche. Leggendo con attenzione ecuriosità questo libro sorgonospontanee una serie di domande.Nell’ambito della cittàcontemporanea, al di fuori dellacittà consolidata, nella città diffusa,cosa significa spazio pubblico? Perquale utente progettarlo? E comepuò essere utilizzato da chi lo vive?Ha ancora, infine, un sensopensare allo spazio pubblico comead uno spazio univocamenteinterpretabile? Questi sono anche i primi dubbiche ci poniamo quandoattraversiamo una metropoli,quando passiamo dal centrostorico, compatto e definito, allaperiferia storicizzata e da questa,successivamente, all’estensioneperiferica della città. Durantequesto attraversamento gli spazi

pubblici si trasformano, via via checi si allontana dal centro. In questoandare si modifica il modo diviaggiare, si passa dall’andamentolento di una passeggiata allavelocità dell’automobile; ilpaesaggio si trasforma, la cittàdiventa “megalopoli, suburbia,conurbazione o nebulosa urbana,sprawl urbano, post metropoli ocittà policentrica” e lo spazio vuoto,da sottrazione del costruito, diventa“entità spaziale che assume valoree configurazione autonoma. (…) Ilvuoto: un paesaggio spoglio dicostruzioni, privo di destinazionid’uso originarie..”. Infatti lo spaziovuoto diventa uno spazio che nonha o non ha più una sua identità,come lo sono le aree dismesse o learee residuali. Queste cittàconnotate dal frammento, dalladispersione generano nuovi stili divita, improntati sulla mobilità e sunuovi modi di percepire il fuori danoi.

Giovanna Donini

Gianpaolo BuccinoIL GRATTACIELOstrutturalmente consideratoProspettive [email protected]

Nonostante l’attacco dell’11settembre e l’aspro dibattitoseguito sulla sicurezza degli edificia torre, in questo periodo, in tuttoil mondo, si assiste ad unamoltiplicazione di progetti pergrattacieli, dalla Cina alGiappone, da New York a Londra.Perfino in Italia, soprattutto aMilano, è in atto un rilancio diquesta tipologia edilizia,affascinante per una serie dimotivi strettamente relazionati coni valori della contemporaneità:forte capacità simbolica edevocativa, presenza eclatante nelpanorama urbano, valenza

comunicativa dei linguaggiespressivi, emblema dellatecnologia, dell’organizzazioneproduttiva e della capacitàfinanziaria. È un fenomeno anchedi moda: praticamente tutti i piùimportanti studi internazionali nehanno in cantiere o in programmaalmeno uno, inoltre si moltiplicanopubblicazioni e saggisull’argomento. La Biennale del2002 ha dedicato al temaun’intera sezione e il MOMA diNew York nel 2004 haorganizzato la mostra “Tallbuildings”, che racconta come sisiano raggiunte altezzestraordinarie, sperimentandonuove tecnologie e materiali,coniugando ricerca e creatività. Il libro di Gianpaolo Buccinopubblicato da Prospettive edizioni,la casa editrice dell’Ordine degliArchitetti di Roma e Provincia, sisegnala innanzitutto per la messedi informazioni, analisi,correlazioni e materialiiconografici che è, forse, eccessivaper un libro formato tascabile. Unvolume di 495 pagine densissimoche prende in considerazione 430opere, anche non realizzate, dialtrettanti autori in un arcotemporale di 130 anni, 800immagini, una vasta bibliografia,una banca dati su 400 edifici conla localizzazione, l’anno dicompletamento, l’altezza, iprogettisti e la classificazione pertipo di struttura (acciaio, c.a.,mista). La documentazione e laricchezza degli approfondimentiavrebbero consentito di realizzarealmeno due tomi, entrambi densi ecorposi. Per poter ospitare tantomateriale iconografico si è dovutoovviamente ridurlo nelledimensioni; le foto non sonosignificative per lo specifico valoreinterpretativo ma illustrazioni,prese da precedenti pubblicazioni,che vanno considerate comesemplici riferimenti, memorieconsolidate. In tal senso questolibro può considerarsi ilcontraltare di altri volumi, usciti inquesto stesso periodo, che,viceversa, hanno puntatosoprattutto sulla capacitàevocativa delle immagini percomunicare la sostanzadell’elaborazione critica.Il lavoro di Buccino, che integra la

propria tesi di laurea in architetturadel 1994, si prefigge di analizzarela logica del grattacielo proprionella sua specificità strutturale.Dopo aver definito preliminarmentei concetti che sono fondanti latipologia e i primi esempi di edificioalto (a gabbia), in quattroponderosi capitoli affronta iprincipali sistemi costruttivi (a telaio,a setti, a nucleo, a tubo), a lorovolta distinti per il materialecostruttivo (in c.a., in acciaio,misto). L’indagine, seppurefinalizzata alla evidenziazione dellediverse concezioni strutturali, non silimita alla classificazione egerarchizzazione delle soluzioni,ma ne spiega la “genealogia”teorica e le relative tecnologiecostruttive, il motivo per cuiciascuna di esse si è sviluppata o èstata abbandonata. Ne discende unragionamento che appare benstrutturato sulla possibilità disviluppo delle attuali metodologiecostruttive e di variazione dirapporto tra superficie di base ealtezza dell’edificio (ormaiconsolidato in uno a sette). Buccinoavvalora la tesi che, fino alle torriPetronas Di Kuala Lumpur, si eragiunti alle altezze massimeraggiungibili. Oggi, rileva, “il piùalto grattacielo sul tavolo dadisegno dovrebbe raggiungere, conla torre del 7 South Deaborn diChicago che il Team SOM siappresterebbe a realizzare entro il2004, l’altezza di 108 piani per472 metri, prolungati da unaantenna di sommità fino a 609metri complessivi da terra; ma inOriente è già in programma datempo la costruzione – la cuiultimazione è prevista per il lontano2008 – della Centre of India Towerdi Katangi, un grattacielo ispiratoai Templi antichi di ben 224 pianiper 677 metri di altezza totale. Inquesta sfida verso le alte quoteforse un giorno si realizzeràl’utopia di F. L. Wright del 1956,l’Illinois Mile Skyscraper diChicago, un edificio-città altoaddirittura un miglio”.La riflessione critica si rivolge inoltrealla logica insediativa e urbanisticadi questa tipologia, finoraconcepita come monofunzionale, ealle motivazioni della crisi di questomodello a favore di cittàconcentrate in verticale.

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Il riusodell’anticoLa Mostra fotografica “Il riusodell’antico”, allestita alle “OleariePapali, Terme di Diocleziano” ecurata da Gabriele Borghini,Paola Callegari e Leila Nista ènata da un progetto scaturito dauna collaborazione tra l’IstitutoCentrale per il Catalogo e laDocumentazione e il CentroSperimentale di Cinematografia. La mostra, realizzata avvalendosidell’impegno della Soprintendenzaper i Beni Archeologici di Roma,rappresenta in modo assaiefficace come, attraverso il riusodegli spazi urbani, dei monumentie degli apparati decorativi antichi,sia possibile ripercorrereidealmente una sorta di “itinerariourbano” che, partendo damonumenti-simbolo dell’effettivo“riuso” di Roma antica, possaseguire un iter topografico che dalcentro storico porta, ad esempio,fino al complesso delle Terme diDiocleziano, illustrando i piùimportanti complessi monumentali.L’esposizione ha offerto così unaricca e accurata selezione diimmagini fotografiche afferentialle collezioni storiche dell’IstitutoCentrale per il Catalogo.Un aspetto particolarmentesignificativo per l’occupazionedegli spazi urbani e per le lorotrasformazioni è rappresentatodalle fasi tardo-antiche e alto-medievali, durante le quali ilpotere papale si è riappropriato

dei simboli monumentali dell’Urbe,rivitalizzandoli ideologicamente econtribuendo significativamentealla conservazione e allatrasmissione del patrimonioartistico.Una seconda sezione, di tipotematico, è dedicata ai palazziromani dal Rinascimentoall’Ottocento, nei quali l’arredo sioffre quale esempio di “capacitàdi riappropriazione e di riutilizzodi “spolia” dall’antico, secondo ilgusto del collezionismo antiquariodel tempo. Tale sezione èulteriormente arricchita dalleimmagini di obelischi, acquedotti,ponti, porte urbiche e, infine, vieconsolari, che concludono, al di làdelle mura, l’itinerario iniziato conl’Arco di Costantino.In una terza sezione (coordinata daAntonella Felicioni), organizzatacon materiali provenienti dagliarchivi della Cineteca Nazionale, sipuò cogliere l’importante, specificocontributo dato alla Mostra dalCentro Sperimentale diCinematografia, con il tema del

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La spiccata valenza hight-tech gliconsente infine una comparazionedei diversi linguaggi espressivi.Il volume ospita chiari e pertinentisaggi introduttivi di TommasoGiura Longo, Mario Panizza,Enzo Siviero, Luigi PrestinenzaPuglisi, Giovanni Via.Quest’ultimo, in qualità di relatoredella tesi di laurea, spiega leragioni teoriche e le finalità diquesto studio. Riferendosi allecittà nord americane Giura Longoevidenzia le motivazioni legate al”processo di illimitata e rapidacrescita, non è la sola pecularietàdi queste metropoli. Infatti è datenere presente la sconfinatamutevolezza dell’immagineurbana e della dislocazione delleattività e delle funzioni. Si puòquasi dire che i grattacieli, acausa della loro intrinsecapropensione alla competitività,abbiano il potere di generare dicontinuo altri grattacieli. A questoproposito lo storico George J.Lankevich ha potuto scrivere:“New York famigerata per la suaprovvisorietà è da sempreinvidiata e, nel contempo,disprezzata per il fatto di esserecostantemente in rifacimento”.Mario Panizza, autore delfortunato saggio “MisterGrattacielo” del 1990, si soffermasul rapporto forma-struttura edefinisce il grattacielo un“protagonista” della cittàcontemporanea per la fortevalenza tecnologica. “Tra le duecategorie – forma e struttura –esistono infinite possibilitàcombinatorie, ma cercare diordinarle è del tutto impossibile esoprattutto inutile, perchè alcunescelte formali possono esseresostenute da più soluzionistrutturali, così come alcune sceltestrutturali possono determinareconfigurazioni molteplici, talvoltaanche a sviluppo nonprevalentemente verticale. Incomune le due classificazionihanno le linee del loro processoevolutivo: le famiglie formali e imodelli strutturali si sonosucceduti negli anni con ampimargini di sovrapposizione enessun modello, sia formale chestrutturale, ha mai sostituito deltutto quello precedente. Con essoha convissuto a lungo e, solo

analizzando il fenomeno sutempi lunghi, è possibile metterea fuoco la successione delle“figure”.Enzo Sivieri evidenzia l’adesioneai valori della complessità e delleinterrelazioni disciplinari “Ilgrattacielo è la fotografia di unbilancio tra conoscenzescientifiche e convenienzeeconomiche in un particolaremomento storico: un ponte versoil cielo che continua a spostaresempre, oltre ogni attesa, ilpunto di sbarco. Ma è ancheuna torre di Babele dove tutti glioperatori ed i progettisti devonoparlare una stessa lingua, quelladell’efficienza e del calcolorigoroso.”Luigi Prestinenza Puglisi,ragionando sulla metafora delcorpo e il mito della bellezza,sull’organicità intrinseca inquesta tipologia, si interrogasulle motivazioni ulteriori chesostanziano la scelta di costruireun grattacielo. In particolare,riferendosi alla ricostruzione diGround Zero, rileva: “a un attodi forte impatto simbolico, qualela distruzione di una icona, si èdeciso di rispondere con un attodi eguale o superiore forzasimbolica, quale la costruzionedi un grattacielo ancora più alto;attraverso le filosofie dei progettiin concorso si sono viste intrasparenza logiche econtraddizioni della nostrasocietà, della nostra ideologia,dei nostri modelli di sviluppo. Enon poteva essere altrimenti. Infondo non c’è niente di menotecnico della tecnica, con buonapace di coloro che neipostatizzano il concetto,attribuendogli vita autonoma edisegni imperscrutabili”.Una risposta la fornisce, nellaquarta di copertina, ClaudioPresta: “Ci rimane oggi ilsimbolo di un furore antico:bisogna andare molto indietronel tempo e il limite è lacurvatura terrestre. Bisognaessere sempre più in alto perpoter guardare sempre più in là,più lontano, dove il mondofinisce. Salire sempre più perriuscire a scorgere l’imboccaturadella caverna delle ombre”.

Massimo Locci

Castel Sant’Angelo verso i Prati di Castello, 1853 ca

Porta Tiburtina, 1860-1890

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scorso settembre alla GalleriaCà D’Oro (piazza di Spagna81), ha costituito una occasione,specialmente agli architetti, perrinnovare acquisite riflessioni intema di paesaggio utilizzandostimoli culturali di matrice, percosì dire, esterna. L’approcciopittorico al paesaggio è infatti,come noto, diverso da quellodella “solita” (almeno per iprogettisti del territorio) scuolapercettivista, che lo intendecome l’insieme sensibile delleforme naturali e dell’operaumana, e delle loro reciprocherelazioni. La differenza staprincipalmente nella varietàdella gamma delleinterconnessioni tra i caratteridella natura e gli elementi dellastoria umana, moltiplicate dallapittrice attraverso un originaletracciato mentale e culturale.“Pilar scava nei suoi ricordi, enei paesaggi, tra terra ventomare e rocce, senza dolcezza,né cedimenti sentimentali allamemoria. Al contrario, con unasorta di insistenza feroce”.(dalla presentazione delcatalogo della mostra, diMiriam Mafai). I suoi paesaggiesprimono immagini mentali,emozioni evocate nel freddoatelier parigino: poche sagomedecise, incassate nella tela o inrilievo, accennano quel pocoche basta a liberare ricordi esensazioni dal calore tuttomediterraneo. I sistemi verdi chenoi architetti siamo abituati amanovrare progettando (boschi,aree incolte, fasce riparali,territorio agricolo, etc.), sonoper Pilar spazi caldi e freddi,luoghi umani, insediamentiverdi, zone residuali di ambientiinfantili: nella vegetazione edentro rocce scurissime sinascondono forme e relazionisegrete da scoprire pianopiano, osservando i quadri insolitudine.L’indelebile “statuto dei luoghi”dipinto da Pilar suggerisce uninteressante esempio di comequalsiasi essere umano,insediato o meno che sia (o siastato) in un luogo, conserva diesso idee, immagini, ricordi chevale la pena conoscere.

Anna Pogliaga

Bolzano 1700-1800. La città e le artiNel corso del Settecento la città diBolzano vive un momento digrande espansione dell’attivitàcommerciale, caratteristicaindispensabile per favorire unmecenatismo di alto livello che siriflette poi su tutta la produzioneartistica, grazie alla committenzadelle famiglie più in vista, chetrasformano le proprie dimore invere e proprie “case museo”. Il periodo fortunato della città diBolzano iniziò con la decisionedel reggente del Tirolo, Claudiade’ Medici, di istituire nel 1635 ilMagistrato Mercantile. Anche ilmagistrato infatti contribuìall’accrescimento del patrimonioartistico della città, in particolarmodo con ingenti donazioni afavore di chiese e ordiniconventuali.La mostra – alla Galleria Civicafino al 16 gennaio 2005 – siarticola in due distinte sezioni, dicui una, per noi architetti piùinteressante, rivolta all’immaginedella città e alla suarappresentazione attraversopiante, disegni, stampe e dipinticelebrativi dei grandi avvenimentipubblici e religiosi checaratterizzarono la vita cittadina;la seconda parte dell’esposizione,invece, mostra i dipinti realizzatiin città nella prima metà delsecolo con artisti poco conosciutial di fuori della loro areageografica e ingiustamente pocopubblicati (Ulrich Glantschnigg,Unterperger, Giuseppe AntonioDelai, Carl Henrici, MartinKnoller, Josef Schöpf ecc.). Come in molte altre rassegnecontemporanee, intelligentementeanche qui è suggerito, a fineesposizione, un percorsocittadino a completamento dellamostra, attraverso la visita dipalazzi, portali, stucchi, fontane,e molte sculture della città chesarà particolarmente gradito achi visiterà la città per la primavolta in questa occasione.

Alessandro Pergoli Campanelli

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riuso degli spazi urbani inambito cinematografico.Il cinema in effetti, nel corsodella sua storia, dal muto alsonoro, ha sempre avuto unrapporto intenso e simbioticocon la città ed è ciò che il CentroSperimentale di Cinematografiaha saputo mettere in evidenza,attraverso un videoclip(realizzato per l’evento), in cuisono montate varie sequenze difilm del cinema italiano, in unasorta di “viaggio” attraverso lacittà. Concetto felicementedefinito dalla stessa curatrice(A. Felicioni “il cinema, arte nellearti”) con queste parole: “Ilcinema testimonia il suo essernelle arti, i registi e i fotografi discena si tramutano in attori, imonumenti e le architettureemergono come soggetti dellerappresentazioni, la città diRoma, poesia unica, si declamacome sfondo d’autore, in cui ci sismarrisce nel distinguo tra le suerealtà e le sue finzioni”.Molti gli approfondimenti chel’esposizione ha stimolato neglistudiosi e che sono stati raccoltinel bel Catalogo (BononiaUniversity Press), curato daGabriele Borghini, PaolaCallegari e Leila Nista, acominciare dall’analisi propostada Maria Rita Sanzi Di Mino,dal titolo “Il senso del Riuso aRoma”, a quella condotta daSalvatore Settis su “Riusarel’antico, mutare il presente”.Ma si può anche seguire moltobene lo sviluppo della città,attraverso l’analisi offerta daPatrizio Pensabene con il testo:“Trasformazione urbana ereimpiego tra la seconda metàdel IV secolo e l’età carolingia”.

Interessanti confronti sono statiinvece offerti dall’indagine di A.Letizia Pani Ermini nel testo:“Reimpiego di spazi, reimpiegodi strutture, reimpiego dimateriali”, come pure, dal testodi Paolo Liverani “Il reimpiegonelle fonti tardo-antiche”possiamo apprendere fra l’altro,come Alessandro Severo siastato il primo ad introdurre unalimitazione di carattereurbanistico ed estetico: lapossibilità di demolizioni e ditrasferimento di materiali dacostruzione preesistenti, infatti,non deve compromettere il“publicus adspectus”.

Horsaison, un paesaggioda conoscereHorsaison è la mostra deipaesaggi “fuori stagione” diPilar Saltini, una giovane pittricetoscana che vive e lavora aParigi da 14 anni. La mostra,che si è tenuta a Roma nello

Foro Boario, cosiddetto Tempio di Vesta, 1865-1890 ca

Pilar Saltini, Tracce I