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1 30 settembre 2013 Numero 47 Foglio trimestrale interno , riservato ai soli soci, di notizie, informazioni, idee e tante altre cose della ASSOCIAZIONE DEI MARCHIGIANI E UMBRI DI MILANO “E. MATTEI” dal 1950 E’ iscritta all’Albo Regionale delle Associazioni dei marchigiani residenti in altre Regioni italiane. Premiata con l’Ambrogino d’oro nell’anno 2001 SEDE : Via Peschiera ,1 – 20154 Milano REDAZIONE : presso G.B. Ortenzi, via Raffaello Sanzio,20 -20094 Corsico - Milano Recapiti telefonici : tel.02- 44 05 683 – Fax 02 – 44 06 175 Siti Internet : www.ilciavarro.it www. marchigianieumbrienricomattei.eu L’ASSOCIAZIONE E LA NOSTRA AMICIZIA Il “segreto” di un percorso insieme che costantemente si rinnova Ricominciamo serenamente la vita dell’Associazione, al rientro dalla pausa estiva, senza farci condizionare da nubi passate e presenti. Da sempre il periodo estivo ci consente di concentrarci e godere del benefico influsso dei nostri affetti, dei nostri interessi , dei nostri “luoghi dell’anima”. Questo ci ha “ricaricato” e ci spinge con rinnovato vigore ad organizzare le nostre attività associative : culturali, ricreative, sociali, enogastronomiche. Io penso che la continuità delle nostre azioni ci dia quella forza interiore di cui abbiamo bisogno per affrontare tutte le evenienze della vita. Prendiamo esempio dal nostro socio decano, l’amico Mario Mancigotti, che, alla soglia dei suoi 91 (!!) anni, continua, indomito, le sue battaglie culturali (All’interno un ampio resoconto dell’ultima “fatica” pesarese). Il nostro ritrovarci, progettare iniziative comuni e proporle agli amici e conoscenti, non è un modo di “fuggire dalla realtà”, ma , viceversa, vivere la realtà vera, umana, “normale”. In questo senso la nostra attività associativa ha persino una valenza “etica” : vogliamo dimostrare che, pur non dimenticando quanto accade nel mondo, la vita va avanti, con i suoi ritmi regolari e con la coltivazione dei migliori valori che ci contraddistinguono. Per questo vogliamo organizzare iniziative, in questo autunno, che ci facciano sentire in grande sintonia, al nostro interno e verso le realtà esterne. Vorremmo che tutti i soci e gli amici dell’Associazione si sentissero partecipi di questo progetto che continua da anni di grande apertura e di rilancio : il Consiglio Direttivo è l’organismo associativo che ha il compito di fare da punto di riferimento e di organizzazione, ma i suoi componenti, io per primo, aspettano la vicinanza e la partecipazione di chiunque abbia idee, proposte suggerimenti da esporre. Così facendo continueremo a costruire il “miracolo della normalità” : in un mondo ed in una società che spesso ci deludono e ci preoccupano, un gruppo di persone, di amici, continuano a coltivare i valori veri dell’umanità : il dialogo, la solidarietà, il progresso sociale, economico e culturale, le radici della propria civiltà. Se vi sembra poco…… Vi aspettiamo numerosi ed entusiasti! Pierfrancesco Fodde Il CIAVARRO ANNO

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30 settembre 2013 Numero 47

Foglio trimestrale interno , riservato ai soli soci, di notizie, informazioni, idee e tante altre cose della ASSOCIAZIONE DEI MARCHIGIANI E UMBRI DI MILANO “E. MATTEI”

dal 1950 E’ iscritta all’Albo Regionale delle Associazioni dei marchigiani residenti in altre Regioni italiane.

Premiata con l’Ambrogino d’oro nell’anno 2001

SEDE : Via Peschiera ,1 – 20154 Milano

REDAZIONE : presso G.B. Ortenzi, via Raffaello Sanzio,20 -20094 Corsico - Milano Recapiti telefonici : tel.02- 44 05 683 – – Fax 02 – 44 06 175

Siti Internet : www.ilciavarro.it www. marchigianieumbrienricomattei.eu

L’ASSOCIAZIONE E LA NOSTRA AMICIZIA

Il “segreto” di un percorso insieme che costantemente si rinnova

Ricominciamo serenamente la vita dell’Associazione, al rientro dalla pausa estiva, senza farci condizionare da nubi passate e presenti. Da sempre il periodo estivo ci consente di concentrarci e godere del benefico influsso dei nostri affetti, dei nostri interessi , dei nostri “luoghi dell’anima”. Questo ci ha “ricaricato” e ci spinge con rinnovato vigore ad organizzare le nostre attività associative : culturali, ricreative, sociali, enogastronomiche. Io penso che la continuità delle nostre azioni ci dia quella forza interiore di cui abbiamo bisogno per affrontare tutte le evenienze della vita. Prendiamo esempio dal nostro socio decano, l’amico Mario Mancigotti, che, alla soglia dei suoi 91 (!!) anni, continua, indomito, le sue battaglie culturali (All’interno un ampio resoconto dell’ultima “fatica” pesarese). Il nostro ritrovarci, progettare iniziative comuni e proporle agli amici e conoscenti, non è un modo

di “fuggire dalla realtà”, ma , viceversa, vivere la realtà vera, umana, “normale”. In questo senso la nostra attività associativa ha persino una valenza “etica” : vogliamo dimostrare che, pur non dimenticando quanto accade nel mondo, la vita va avanti, con i suoi ritmi regolari e con la coltivazione dei migliori valori che ci contraddistinguono. Per questo vogliamo organizzare iniziative, in questo autunno, che ci facciano sentire in grande sintonia, al nostro interno e verso le realtà esterne. Vorremmo che tutti i soci e gli amici dell’Associazione si sentissero partecipi di questo progetto che continua da anni di grande apertura e di rilancio : il Consiglio Direttivo è l’organismo associativo che ha il compito di fare da punto di riferimento e di organizzazione, ma i suoi componenti, io per primo, aspettano la vicinanza e la partecipazione di chiunque abbia idee, proposte suggerimenti da esporre. Così facendo continueremo a costruire il “miracolo della normalità” : in un mondo ed in una società che spesso ci deludono e ci preoccupano, un gruppo di persone, di amici, continuano a coltivare i valori veri dell’umanità : il dialogo, la solidarietà, il progresso sociale, economico e culturale, le radici della propria civiltà. Se vi sembra poco…… Vi aspettiamo numerosi ed entusiasti!

Pierfrancesco Fodde

Il

CIAVARRO

ANNO X°

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Sabato 27 luglio u.s., il dott. Mario Mancigotti, uno dei soci più longevi dell’Associazione Marchigiani e Umbri “Enrico Mattei” di Milano, è tornato a parlare, presso la sala del Consiglio della Provincia di Pesaro e Urbino, di uno dei temi

che più gli stanno a cuore, l’opera pittorica di Simone Cantarini; l’incontro era intitolato dalla “Madonna del Rosario” di Candelara alla “Fuga in Egitto” di Sassoferrato. Rivendicata paternità di Simone Cantarini. Tutti noi sappiamo

come in questi anni il dott. Mancigotti, nonostante i suoi novantun’anni che compirà il prossimo 29 settembre, abbia speso molte energie per divulgare i suoi studi dedicati al pittore Cantarini, conosciuto con il soprannome “Il Pesarese”. Il suo amore per questo artista è iniziato nel 1946 quando ha dedicato a questo pittore la sua tesi di laurea, redigendo il primo catalogo, pubblicato poi nel 1975, in un’elegante monografia dalla Banca Popolare Pesarese. Da allora ha continuato i suoi studi, concentrando in particolare la sua attenzione

sulla tela raffigurante la “Madonna del Rosario” dipinta per la pieve di Candelara (piccolo paese collinare a pochi chilometri dalla città di Pesaro) e tutt’oggi qui conservata, perché dal 1994 è stata tolta dal catalogo del Cantarini per attribuirla al mediocre pittore veneto Claudio Ridolfi. Il dott. Mario Mancigotti ha ritracciato al museo del Louvre un disegno a sanguigna (70x75) che ritiene essere il disegno preparatorio della pala candelarese. Nell’ultimo anno, con nuovi studi, ha riattribuito al Cantarini con certezza un altro dipinto raffigurante la “Fuga in Egitto”, conservato nella collegiata di San Pietro di Sassoferrato (paese dell’Appennino nella provincia di Ancona al confine con quella di Pesaro) che la comunità scientifica ha attribuito ad Alessandro Turchi detto “l’Orbetto”, ritenendola una copia mediocre del più famoso dipinto conservato oggi al Prado. Lo storiografo Giovan Battista Passeri, nel 1772, descrive un quadro di analogo soggetto dipinto dall’Orbetto nell’oratorio di San Romualdo di Roma; leggendo attentamente la descrizione ci accorgiamo che questa composizione iconograficamente è diversa da quella di Sassoferrato. Inoltre, pittoricamente quest’opera ha tutto il lirismo della poetica cantariniana e nulla del drammatico linguaggio dell’Orbetto. Ci auguriamo che quest’incontro promosso a Pesaro dall’Associazione Marchigiani e Umbri abbia sensibilizzato la comunità scientifica a confrontarsi con gli studi ed i quesiti sollevati dal dott. Mancigotti.

Lorenzo Fattori

27 luglio 2013 Manifestazione artistico culturale presso la

sala della Provincia di Pesaro Urbino, promossa dalla nostra Associazione sul

tema: Rivendicata la paternità di Simone Cantarini “ Il Pesarese” (1612 – 1648), su due capolavori.

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Autunno: tempo di terme! Già negli anni venti “passare le acque” era sinonimo di curare il proprio fisico in modo naturale,piacevole,in luoghi che,oltre che le terme ,offrissero bellezze ambientali di tutto rispetto. La nostra prima tappa è in Umbria. SAN GEMINI e il suo territorio,la valle del Naia in provincia di Terni ne sono una testimonianza vivace,caratterizzata dalle sue fonti di acqua minerale che fuoriesce tra San Gemini e Carsulae,città romana costruita vicina alle fonti dai Romani che ne avevano individuato le proprietà terapeutiche.L’acqua infatti è ricca di calcio ed è particolarmente indicata per l’osteoporosi ,i convalescenti e

l’alimentazione dei bambini. Ma San Gemini è da visitare anche per le bellezze del suo borgo

medioevale caratterizzato dalla Chiesa di San Giovanni,dal Palazzo del Capitano del Popolo,dal Chiostro di San Francesco. Particolarmente emozionante è ammirare il paesaggio dall’alto della collina che domina il paese,in un ambiente tratteggiato da monti,boschi ed altri piccoli borghi dove si sono mantenute notevoli testimonianze storiche e di costume uniche nel loro genere. San Gemini non è però solo storia , Piero Angela ha qui fatto costruire un modernissimo Museo della Scienza:si tratta di un laboratorio interattivo per far scoprire ai giovani i segreti della nascita del nostro pianeta. Ed ora spostiamoci nelle Marche.

ACQUASANTA TERME Imboccando la Strada Salaria da Ascoli Piceno verso Roma,addentrandosi in una bellissima gola ricca di quercie e castagni,meta di cercatori di funghi e tartufi,si giunge,dopo una trentina di Km. ad Acquasanta,borgo che si è sviluppato nella sua parte moderna e meno interessante lungo la statale alla quale scorre parallela,leggermente in salita sulla costa della montagna, la “via principale” con case tutte in travertino,con scalinate vertiginose che portano alla parte più vecchia del paese dove domina la Chiesa di San Giovanni Battista. Purtroppo il vento della modernità in questi ultimi anni ha cancellato quasi tutte le vecchie botteghe artigiane che erano uno splendido contorno alla via principale. Nella parte bassa della gola c’è lo stabilimento

termale,recentemente rimodernato,delle acque sulfuree dove vengono praticati aerosol,inalazioni,bagni,massaggi ma soprattutto fanghi. Sono proprio i fanghi a dare rinomanza alle terme: è un fango “peloide naturale” che si deposita sul fondo della “Grotta Orsini” portato dal fiume termale. Questa grotta è unica nel suo genere per vastità ,proprietà terapeutiche ed è stata utilizzata fino a pochi anni fa come sauna naturale perfetta per temperatura,umidità e particelle solforate disperse. Oggi è in funzione una grotta,ancora più grandiosa, che ospita una piscina naturale per bagni sulfurei terapeutici. Paesaggisticamente vale la pena di segnalare nei dintorni la piccola ma splendida Abbazia di Valledacqua recentemente ristrutturata e il cinquecentesco Castello di Luco con la particolare pianta circolare che sembra avvolgere il blocco di travertino sul quale sorge. Non vale allora forse la pena di approfittare di questo primo assaggio di autunno per curare il corpo e lo spirito con queste meraviglie della natura,della storia, senza trascurare quelle dell’enogastronomia, in queste due regioni? Luisella Dameno

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di Antonio Gargiulo Rispetto alla Lombardia, è una sub-regione, disposta nel suo angolo sud-ovest. I suoi confini geografici sono abbastanza ben definiti. La Lomellina occupa infatti i territori compresi fra il Po, il basso Sesia e il basso Ticino. Oggi la Lomellina fa parte amministrativamente della regione Lombardia, e più esattamente della provincia di Pavia, ma non è stato sempre così. Fino al 1859, anno dell’annessione della Lombardia al Regno Italico, la Lomellina era annessa al Piemonte e soggetta al dominio sabaudo. Originariamente la Lomellina doveva essere una grande palude. Data la sua natura pianeggiante, le esondazioni dei suoi fiumi limitrofi e l’abbondanza di risorgive avevano generato una serie ininterrotta di acquitrini, che avevano finito per ricoprirne tutto il territorio. Nel Medio Evo però iniziò l’opera risanatrice dei monaci, che si adoperarono infaticabilmente per bonificare le terre paludose,incanalando i corsi d’acqua e aiutando il loro smaltimento ad opera dei fiumi principali. Successivamente i Visconti e gli Sforza favorirono ulteriormente le bonifiche, e così il territorio raggiunse a poco a poco l’aspetto attuale, con terreni asciutti e coltivati, attraversati però da corsi d’acqua grandi e piccoli. In epoca sforzesca iniziò poi anche quella che diventò poi la coltura prevalente, quella che dà la sua impronta al territorio, e cioè la coltura del riso. Iniziò con la messa a coltura di alcuni sacchi di sementi donati dal Marchese di Mantova a Ludovico il Moro. Oggi buona parte della Lomellina è coltivata a riso, e ciò dà origine al suo inconfondibile paesaggio. Specialmente in primavera, quando i campi vengono inondati, si possono vedere delle successioni interminabili di

specchi d’acqua, intersecati ad angolo retto da strisce di terra, che funzionano da argini e anche da

strade. Oggi la coltura del riso è completamente meccanizzata, e quindi non si ricorre più al lavoro delle mondine, che avevano essenzialmente il compito di trapiantare le giovani pianticelle in campi prima seminati a foraggio. La città più importante della Lomellina è Vigevano, appena oltre il Ticino per chi proviene da Milano. Vigevano è una città d’arte e i suoi monumenti principali sono la Piazza Ducale, il Castello Sforzesco e il Duomo. L’armonica Piazza è un vero gioiello architettonico del periodo rinascimentale, col suo contorno di portici colonnati dalle proporzioni razionali. E’ il tipico esempio di piazza rinascimentale concepita unitariamente, e non l’insieme di pezzi singoli aggregati successivamente gli uni agli altri. Per il disegno originale si parla di Leonardo o del

Bramante, anche se non ci sono elementi di prova a supporto di queste tesi.

Del Castello Sforzesco abbiamo già avuto modo di parlare, a proposito dei castelli rinascimentali. Sottolineiamo ancora la sua grandiosità, anche se oggi dalla Piazza non è molto visibile. Così non era una volta, quando il Castello si affacciava direttamente sulla Piazza, tramite una evidente rampa d’accesso.

Ma, nel Seicento, ciò non andava a genio al vescovo di Vigevano Juan Caramuel de Lobkovitz, che operò una radicale ristrutturazione della Piazza. La rampa d’accesso al Castello venne demolita, la corona di portici completata, e rifatta la facciata del Duomo. Questo, in realtà, era piccolo e spostato di lato rispetto alla Piazza. Allora,

il vescovo fece costruire una grande facciata barocca non in asse con le navate, ma in asse con la Piazza e tale da chiudere completamente tutto uno dei lati minori della stessa. Dava così grande risalto al Duomo ai danni del Castello. La Lomellina prende il suo nome da Lomello, che anticamente ne era il centro principale, situato all’incrocio di due strade romane. C’è un castello, e soprattutto una chiesa e un battistero di età molto antica. La chiesa odierna, costruita sul luogo di una più antica, è più corta di quella precedente, della quale sono rimaste in evidenza le arcate anteriori. Si ha perciò un curioso effetto ottico, con la nuova facciata arretrata rispetto alle vecchie arcate ancora in piedi. Da vedere poi alcuni castelli, soprattutto quelli di Sartirana e di Scaldasole. In Lomellina si può ben andare con propositi gastronomici, e non mancheranno luoghi dove poterli soddisfare. Fra le specialità, non si può dimenticare il salame d’oca. In una terra così acquatica, la cosa non ci può meravigliare.

Antonio Gargiulo

La Lomellina

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Fra i tanti campi in cui ho cercato nei momenti di distrazione dalla mia attività professionale c’è stata e c’è tuttora la botanica, Quando e perché sia nato in me questo amore per le piante è difficile dire. Sarà perché sono venuto alla luce in mezzo ai Sibillini così ricchi di vegetazione? Perché mia madre, grande conoscitrice di erbe campagnole mangerecce, da brava maestra, ad ogni primavera si sforzava a dirmene il nome italiano accanto a quello dialettale? Sarà perché ho trascorsa l’adolescenza in un ambiente campagnolo? E difficile dare una risposta . Con ogni probabilità questo amore viscerale non è altro che un sommesso, doveroso tributo di riconoscenza nei confronti del mondo vegetale per l’opera da esso

svolta nell’evoluzione della nostra specie e lo sviluppo delle civiltà di ogni tempo e luogo. Questa volta annoierò gli amici lettori con una notarella sull’Ailanto, un elegante albero d’alto fusto che tutti sicuramente hanno incontrato, ma che pochi, probabilmente, conoscono a fondo. I grandi alberi, con la loro imponenza e molto spesso la loro eleganza, come faggi, querce, pini, abeti, aceri, ecc. mi hanno sempre affascinato. Ricordo che nella mia prima infanzia attribuivo loro strani poteri come quello di produrre il vento con l’agitarsi di fronde e foglie. Avrò avuto non più di cinque anni e sostenevo con forza questa strampalata teoria di fronte agli amichetti mentre le folate di vento ci scompigliavano i capelli. L’Ailanto, nome scientifico “Ailanthus altissima” della famiglia delle “Simaroubaceae” è originario della Cina e sembra sia stato introdotto in Europa, verso la metà del Settecento, da missionari come albero ornamentale per la sua innegabile eleganza, E’ un albero con lunghe foglie impari pennate e infiorescenze gialle verdastre che può raggiungere i 25 metri di altezza . Come albero ornamentale non ebbe grande successo per lo sgradevole odore delle foglie e dei fiori. Uscì ben presto dai giardini e, per la straordinaria facilità di riproduzione e la capacità di adattamento a qualsiasi terreno, iniziò la sua lenta diffusione come pianta infestante. Ritengo, però, che un forte contributo alla sua espansione sia stato dato, nel corso dell’ottocento, dal progetto per l’allevamento di un lepidottero, la “sfinge dell’ailanto”, per la produzione della seta in sostituzione del nostro baco, soggetto a gravi epidemie che avevano messo in ginocchio tutto il settore. L’idea, ritenuta molto valida sotto l’aspetto economico (basta pensare che il lepidottero vive sull’ Ailanto nutrendosi delle sue foglie per cui sarebbero stati eliminati i costi della raccolta delle foglie di gelso usate per i nostri bachi) non ebbe, tuttavia, attuazione per motivi vari. Fece conoscere, però, la pianta presentata in termini entusiastici come l’albero ideale per rimboschire e creare, in poco tempo, l’ombra ove fosse necessario. I nostri contadini l’adottarono subito per ombreggiare negli assolati casolari, i letamai fonte, a quei tempi, dell’unico concime per i loro terreni. Mi sembra di poter dire che la loro soddisfazione è espressa dal nome con cui indicarono l’albero: Lu Paradisu.! Quale è la situazione oggi? Seguo la diffusione di questa pianta da decenni e ne sono fortemente allarmato. Lo faccio, in modo empirico, da un osservatorio certamente non ideale: le strade carrozzabili e le linee ferroviarie. Percorrendole vedo sfilarsi ai lati tutta la nostra vegetazione arborea. Anche se a macchia di leopardo l’Ailanto oramai è ovunque.. Non c’è argine o scarpata in cui non si veda una nuova piantina che nello spazio di qualche anno diventerà un bel boschetto che disseminerà con semi e polloni nuove piante a scapito di altre specie arboree Ho sperato che qualche voce si levasse dalle tante organizzazioni verdi: nulla! Soltanto la scorsa primavera, in occasione della giornata del FAI, un servizio televisivo riferiva che per la splendida poderosa fortezza settecentesca della Cittadella di Alessandria, è stato impostato un progetto di restauro per sottrarla allo sfacelo in cui l’ha portata un’invasione……. dell’Ailanto...E ce ne accorgiamo solo ora? Se non educhiamo ogni cittadino ad estirpare ogni piantina di Ailanto al suo apparire ridurremo tutto il nostro splendido paese come la Cittadella di Alessandria e dovremo prendere atto che a questo albero si addice meglio il nome di “Albero dell’Inferno”. Marco Micarelli

L’ailanto

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Corinaldo : il paese dei matti Non me ne vogliano i nostri soci e simpatizzanti di Corinaldo ma tutti sanno che questo borgo bello e simpatico era conosciuto, anche fuori dalle Marche, come il paese dei matti. E’ famoso il detto, parlando di Corinaldo, “ Se non sono matti non ce li vogliono !” E’ stato così che un famoso giornalista e fotografo locale, Mario Carafoli (1902 – 1986) foto a sinistra seduto a destra ha voluto raccogliere con grande passione tante storie curiose suscitate da questo popolo di simpatici mattacchioni aiutato anche dalla memoria del compianto Cav. Nicola Bolognini Bordi foto a sinistra vestito scuro , dando così vita a due preziosi volumi : “Storie e storielle di Corinaldo e dintorni” e “I matti di Corinaldo”. Dobbiamo alla gentilezza e disponibilità del nostro socio e Revisore dei Conti Gianfranco Lenci, se ci è stato possibile leggerli e scegliere per voi il seguente gustoso racconto certi della vostra approvazione.(La Redazione)

Il Signor Atàvico Quando chi riporta queste storielle vere era ancora ragazzo, gli anziani ricordavano un certo “Sor Atàvico”, vissuto presumibilmente intorno alla metà dell’Ottocento e quindi allora trapassato da un pezzo. L’indiretta memoria di costui non s’era però ancora del tutto spenta; benché si fossero perdute le sue generalità. Come si chiamasse veramente, dunque, non si sa. Atàvico doveva essere il suo soprannome, derivante dal fatto che costui, ultimo rampollo di una famiglia decaduta dove la passione della caccia s’era tramandata per generazioni , usava dire: “Io la caccia ce l’ho nel sangue, io sono un cacciatore atavico” . Diventato vecchio e non più in grado di imbracciare uno schioppo, Atàvico non rinunciava ad interessarsi della nobile attività venatoria. Si sentiva amico e consulente di tutti i cacciatori del paese e intendeva collaborare in qualche modo con loro , rendersi utile nei limiti delle sue ridotte capacità. E che faceva? Atàvico, come quasi tutti gli anziani, dormiva poco la notte e all’una era già sveglio (andava però a letto con le galline). Arrivati all’apertura della caccia, per lui era impossibile restare fra le lenzuola dopo quell’ora. Si alzava e si metteva in giro per il paese, scrutando il cielo e fiutando l’aria, al lodevole scopo di tenere informati i cacciatori concittadini del passare delle ore e dello stato del tempo. Si sa che in Spagna una simile funzione è stata da secoli istituzionalizzata. Chi – almeno fino a pochi decenni addietro – là va in giro la notte ed informa ad alta voce i dormienti del tempo che fa e dell’ora che volge, è un salariato comunale e viene chiamato el sereno.

Atàvico era il non salariato “sereno” di Corinaldo. Casa per casa, dove sapeva che c’era un amico cacciatore, egli bussava robustamente al portone e forniva le sue informazioni ad alta voce. “ Peppe! Enno le tre e’l tempo è bono. Poi dormì ancora n’oretta”. Oppure : “O Mariano! Enno le due! Bada a dormì, bada a dormì , che tanto piove. Te saprò dì qualcò fra ‘n par d’ore”. E via così , di casa in casa, gridando ogni volta se c’era la nebbia, se era nuvolo o stellato, se tirava la “curina” o altro vento. Tale non richiesto servizio pubblico, se era abbastanza gradito ai cacciatori (a quei tempi non suonavano le ore sul campanile di Sant’Agostino), non riusciva altrettanto ben accetto ai loro famigliari e soprattutto ai vicini di casa non cacciatori. Pare che talvolta si spalancasse qualche finestra , e finchè ne uscivano improperi o catinelle d’acqua, poco male: peggio quando su Atàvico veniva rovesciato il contenuto di quei recipienti che in quei tempi di più castigato parlare venivano chiamati “spregiate crete”. E qui finisce tutto quello che si sa del signor Atàvico. Lasciamo dunque che questa antica figura di “matto” corinaldese, appena delineata, rientri nelle ombre del suo tempo, si dissolva fra le memorie di una semplice irrevocabile forma di vita che le generazioni attuali non hanno conosciuto, non immaginano nemmeno e che quindi non hanno alcun motivo di rimpiangere. Mario Carafoli

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Tra S.Stefano e San Nazzaro il Brolo si trasforma (seconda parte) .  

A  parte  la  solenne  amatissima  Cà  Granda  poco  rimane  del  vecchio 

quartiere del Brolo: alcune antiche chiese, qui e là una statua, più spesso 

il toponimo di una strada; la contrada in 500 anni si rinnova di continuo.  

E  il disegno della  facciata  rispecchia questa  incessante  trasformazione; 

fino alla seconda guerra mondiale  infatti si allunga distendendosi su via 

dell’Ospedale, in seguito via Festa del Perdono in onore della tradizionale 

festa  dell’Annunciazione,  il  25 marzo  di  ogni  anno  dispari.  Durante  la 

cerimonia  è  concessa una  speciale  indulgenza  ai  visitatori  che  lasciano 

un’offerta  alla  chiesa dell’ospedale,  S. Annunciata.  La  festa non  è  solo 

religiosa:  libagioni,  luminarie, danze si svolgono con clamore all’esterno 

ed all’interno del nosocomio consentendo anche l’inopportuna partecipazione dei degenti.  

Nel  ‘200  in contrada S. Antonio, che dai  frati Antoniani prende  il nome, viene  fondato e si sviluppa sino al  ‘600 un 

ospedale per la cura del “sacro fuoco” o “fuoco di S. Antonio” che colpisce soprattutto i pellegrini di ritorno dalla Terra 

Santa e contro il quale viene usato un unguento a base di grasso di maiale. I porci degli Antoniani, contrassegnati da 

una grande  lettera “T”  impressa a fuoco, simbolo della stampella utilizzata dai malati, sono gli unici a permettersi di 

invadere indisturbati le contrade nutriti dalla carità pubblica, rispettati e incuranti di ogni ordinanza cittadina. Solo al 

monastero nel momento in cui un bisognoso bussa viene decisa la loro sorte: al malato l’unguento prodigioso, il resto 

ai confratelli ad ingrassarli spudoratamente anche nei periodi di carestia. E nel XXIX Canto del Paradiso Dante fa dire a 

Beatrice: “Di questo ingrassa il porco Sant’Antonio, ed altri assai che sono ancor più porci, pagando di moneta senza 

conio.” 

E via Bergamini? Gli ormai introvabili bergamini sono mungitori e mandriani che dalla bergamasca calano nel milanese 

a svernare con le vacche. Inizialmente vendono prodotti caseari stagionali, in seguito si stabiliscono definitivamente, 

aprono le botteghe da formagiatt dando anche il nome alla contrada.  

Molto  frequentato  per  la  posizione  vantaggiosa  è  il  loro  banco  di  vendita  Cassinotto  dell’Ospedale  posto  nella  

piazzetta all’estremo Sud dove confluiscono  le vie S. Antonio e Festa del Perdono: una rustica costruzione a portico 

utilizzata da quattrocento anni che nel 1848 viene demolito dagli insorti per farne barricate perché servito da riparo 

agli Austriaci nella prima delle 5 Giornate.  

Le strade sopraddette sono divise da un isolato di povere case attraversato dalla via G.B. Paletta, vicolo conosciuto per 

le rivendite delle sanguisughe, piccoli animaletti dei fondi melmosi che si nutrono succhiando sangue agli invertebrati , 

usate per fare salassi. 

G.B. Paletta è uno  stimato medico della Cà Granda vissuto a 

cavallo tra il ‘700 e l’800 del quale tutti approvano le diagnosi 

te doeur a toccà? Ben, tocca no! Il dottore è molto benvoluto 

anche  dai  pazienti  ipocondriaci  ai  quali  consiglia  altrettanto 

pazientemente  una  terapia  salutare  da  svolgere  in  cortile: 

camminare  a piedi  scalzi  in  inverno,  o  attaccarsi  alla  pompa 

dell’acqua in estate. 

Poco più in là, verso nord uno specchio d’acqua. 

 

 A destra :Il laghetto dell’Ospedale, nella prima metà dell’Ottocento

(Di anonimo) 

 

 Il  laghetto di  S.  Stefano  risale  al 1388, un  vero porto  a due passi dall’erigendo Duomo  i  cui marmi  vi  approdano 

trasportati dal lago Maggiore. Ai bordi della darsena sono le sostre, magazzini adibiti allo scarico di legna e carbone; gli 

addetti sporchi di fuliggine sono chiamati tencitt, da tenc annerito.  

Anche  la Cà Granda viene nel XIX secolo, per una ulteriore estensione del fabbricato, ad affacciarsi sulle sponde del 

Laghetto. Tra  le  imprecazioni dei tencitt al  lavoro,  le urla popolane e  il ristagno delle acque che putride sono spesso 

scambiate per latrine persino da infermieri, la degenza dei malati è  sempre più difficile, problematica. 

Piccoli segreti della Milano di ieri di Flora Biringhelli

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Andrea  Verga,  famoso  frenologo,  nel  1857  durante  la  visita  ufficiale  di  Francesco  Giuseppe  aprendo  le  finestre 

dell’Ospedale sulla darsena, non perde  l’occasione di  far sentire  il  tramestio,  il vociare e  il puzzo nauseabondo. Nei 

giorni successivi, emessa la delibera, inizia la copertura del Laghetto perché, come sostiene il dottor Verga: “bisogna 

risanare l’Ospedale”.  

 

Presso  la Cà Granda, sul  lato dei Navigli (via F.Sforza) dal ‘600 è attivo 

uno  dei  più  antichi mercati,  La  Sciostra  della  Luna,  ricordato  per  la 

singolarità dei  suoi prodotti,  salumi, agrumi, pesci  salati e  sottolio:  le 

inciode  (acciughe),  i  sarachi  (aringhe),  le  lumaghe  (chiocciole)  e  le 

anguille carpionate (fritte, poi messe sotto aceto con cipolle e spezie), i 

fighi  secchi,  i  naranzi  (arance).  Come  ci  tramanda O.Cima  “…  generi 

detti quaresimali col correttivo dei salami crudi e cotti, ma non caldi. Un 

misto, insomma, da poter soddisfare la Quaresima senza scontentare il 

Carnevale”. Questi generi dei quali la Luna ha il monopolio esigono una 

grande  tutela contro  i  recattoni  (rivenditori abusivi) che con  lusinghe, 

chiacchiere  e  il  pretesto  di  far  risparmiare  fatica  e  tempo  fermano  i 

conducenti  dei  carri  stracolmi  di  merce  comperando  tutto  per 

rivenderlo ai postari (salumieri) e ai fondegari (droghieri). Vita sempre 

più dura per  la Luna e per  la Milizia che ha  il compito di proteggerla, 

così quando ai tempi della Cisalpina se ne decide la sorte, il vecchio mercato,  è sconcertante, ma viene soppresso: alla 

Luna si conservano i generi quaresimali, essendo abolita la Quaresima non c’è più scopo di conservare la Luna.  

                                                                                                                                Flora Biringhelli     

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Neri Marcorè. 

Forse non tutti i nostri iscritti sanno che questo famoso attore marchigiano è anche un nostro socio onorario di cui ovviamente ci vantiamo. Del simpaticissimo e bravo personaggio vi vogliamo riproporre alcune risposte rilasciate a domande fattegli nell’intervista di una rivista (Io Donna dell’11 maggio 2013) .

Quale è il tuo film preferito ?    Andrei al cinema tutte le sere, ma non ci riesco  . 

Così finisco per vedere i film in dvd. Tra le mie commedie preferite metterei 

“Frankestein junior” ; tra i classici “Novecento”, tra i musical  “The  Blues Brothers “ . 

Un Pupi Avati inconsueto è quello di “La casa dalle finestre che ridono”.   

Che cosa ha nel guardaroba  ?   Non vado mai per negozi, non lo facevo neanche da ragazzo.Quando giro un film se 

mi piace il  vestito che indosso chiedo direttamente al costumista di comprarlo.      

Per rilassarsi fa…… Una volta alla settimana mi alleno al calcio con gli amici. Faccio parte della squadra Nazionale 

cantanti da sette anni. Gioco spesso a scacchi sia ” dal vivo “ , sia online. Preferisco però la partita tradizionale con un  

avversario  reale perché così l’incontro è più lungo e disteso. 

Il tuo luogo del cuore? Porto Sant’Elpidio, nelle Marche dove sono nato e dove vive mia madre. Sono rimasto là fino 

a 18 anni, poi mi sono iscritto alla Scuola interpreti di Bologna e non sono più tornato se non in vacanza. Mi ricordo un 

viale sbrecciato davanti all’ingresso di Villa della Marchesa: i miei nonni andavano là davanti a giocare a bocce.  

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Seconda parte

Festa di S.Venanzio — La rievocazione della Corsa alla Spada e disputa del Palio

di Preziosa Sileoni

ome promesso riprendo il discorso sui festeggiamenti in onore del Santo patrono di Camerino S.Venanzio Martire.(18 maggio). Questa volta vi parlerò dell’evoluzione di questa festa quando si pensò di

tornare a ritroso nel tempo per rivivere i fasti del passato, ritornando precisamente al periodo d’oro della Signoria dei Duchi Da Varano, famiglia che resse le sorti di questa città con alterne vicende per circa tre secoli. E’ una festa religiosa a cui si unisce il risveglio della corte con dame, cavalieri, popolani, che sfilano in vari cortei; artisti che si esibiscono in spettacoli per le vie; atleti che si affrontano in disfide. Fu agli inizi dell’anno 1982 che un gruppo di persone interessate alla storia di Camerino si riunì e, dopo vari studi sulla storia, costumi, usanze, l’idea della rievocazione divenne una realtà che pian piano con il passare del tempo si andò affinando e migliorando. L’idea fu di mons.Giuseppe Scuppa, parroco di S.Venanzio e nel gruppo si trovarono lo storico, ricercatore di storia locale Mons.Giacomo Boccanera che fornì le notizie riguardanti i festeggiamenti religiosi e folcloristici del periodo dei Da Varano, Mons. Antonio Bittarelli che aveva pubblicato sul giornale locale “ L’Appennino camerte” cenni storici sulla città, il dott .Angelo Raponi, Mario Antolini ed Emma Magini. Ed è proprio dal testo “ Antico folclore nella festa patronale di San Venanzio a Camerino “ di G. Boccanera e dagli scritti di storia di Mons. Bittarelli che ho tratto tante notizie su questa antica celebrazione. Lo scopo della rievocazione storica, infatti, è quello di valorizzare e riscoprire le tradizioni storico-culturali di un popolo per cui si cercò di ricostruire la storia attraverso abiti, utensili, armi, attingendo da fonti storiche, manoscritti quadri, icone, antichi atti notarili con varie descrizioni della festa. Si costituì poi un comitato organizzatore e con la supervisione di Giovanni Cito, si confezionarono i costumi dell’epoca, le bandiere e i drappi da mettere alle finestre per abbellire la città. La popolazione prese parte attiva anche se ancora non era ben conspevole dell’importanza dell’avvenimento, ma con il passare degli anni la sua partecipazione divenne sempre più importante e furono superati ostacoli e problemi col lavoro silenzioso di tanti volontari e soprattutto con tanta dedizione e sacrificio.Ogni anno furono aggiunti o migliorati alcuni spettacoli,sempre graditi ai numerosi visitatori. Il più antico ricordo di festeggiamenti in onore di San Venanzio Martire risale ad un documento notarile del 1264 ed insieme ad altri successivi, fece pensare che la corsa del palio si svolgeva già alla fine del ‘200. Dovete sapere che la città era divisa in tre terzieri:

Sossanta (da sub sancto, sotto il duomo fino a Borgo S.Venanzio; i suoi colori sono il rosso e il bianco con la colomba come emblema)

di Mezzo (che comprendeva la parte centrale della città; i suoi colori sono il verde e il nero con un ceppo legato)

Muralto (da muro alto cioè la rupe fortificata, che comprendeva la parte sud e l’estremità ovest della città; i suoi colori sono il bianco e l’azzurro con le spighe di grano).

Ad ognuno di questi terzieri erano collegati castelli e ville dei dintorni che facevano parte del territorio di Camerino.                                                                                                                     Dal 1982, nella città ducale, ogni anno, dal 16 al 26 maggio, si susseguono riti e cerimonie: dall’offerta dei ceri all’accensione del grande falò davanti alla basilica; dal palio degli arcieri alla corsa alla spada;dagli spettacoli di musica antica, ai giocolieri per le vie della città, all’apertura delle taverne dei terzieri nei punti più caratteristici del centro storico:,piazzette, antiche cantine o sotterranei restaurati dagli stessi abitanti dei Terzieri, dove i cuochi fanno a gara per preparare deliziosi manicaretti che naturalmente si rifanno all’epoca antica. Tutto inizia la sera del 17 maggio, quando nella chiesa di Santa Maria in Via si procede alla pesatura dei ceri che saranno portati alla Basilica di S. Venanzio. Poi ad un rullo di tamburi si spengono le luci della città e solo le torce portate da figuranti o accese lungo le vie al posto dei lampioni, illuminano lo sfarzoso corteo che, con vessilli, chiarine e tamburi, con autorità civili e religiose, nell’ordine indicato dalla storia, attraversa tutta la città per arrivare alla basilica del Santo.

C

A Camerino

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Alla stessa meta arrivano i cortei degli altri due terzieri: quello di Mezzo che è partito dalla piazza Garibaldi e quello di Sossanta che è partito dal quartiere Le Mosse. Nella Basilica ha luogo la cerimonia dell’offerta dei ceri e la presentazione dei dieci atleti scelti dai singoli terzieri per disputare la Corsa alla Spada. Poi tutti i figuranti e le numerose persone che sono venute ad assistere a questa manifestazione si riuniscono sul sagrato della chiesa per ascoltare il proclama del Gran Ciambellano e i nomi degli atleti che prenderanno parte alla gara. Ora è il momento di accendere il grande falò propiziatorio ed è compito degli atleti lanciare sulla grande catasta di legna le fiaccole che faranno sprigionare alte lingue di fuoco tra il rullo dei tamburi, gli squilli delle chiarine e le urla della gente festosa. Allo spegnersi del falò i cortei si ricompongono per ritornare alle loro sedi. IL 18 maggio si svolge la vera festa religiosa del Santo con il pontificale cui presenzia l’arcivescovo e la processione con la statua del Santo. Nei giorni successivi tante sono le manifestazioni previste per allietare i visitatori. Oltre all’apertura delle taverne dove i palati più raffinati trovano grande soddisfazione grazie al lavoro e alla disponibilità di tanti volontari, per le vie si alternano musici, giocolieri, sbandieratori, gare degli arcieri, mentre nelle sale dell’università o al teatro Marchetti si svolgono conferenze, approfondimenti storico-scientifici e importanti spettacoli teatrali e musicali. Finalmente si arriva alla domenica dopo la festa del Patrono. In questo giorno si disputa la tanto attesa Corsa alla spada e Palio. Ritorna il corteo storico con il Duca e la Duchessa, che da alcuni anni vengono impersonati da attori o vip della televisione, dame con sontuosi vestiti, messeri avvolti in sfarzosi mantelli, cavalieri con prestigiose cavalcature, popolani, armigeri, arcieri, sbandieratori, musici e danzatrici. Questo corteo, partito dalla basilica del Santo e arrivato davanti al Palazzo ducale in piazza Cavour, attende la discesa della corte dei Da Varano dalla scalinata del palazzo nel quadriportico.

Sulla piazza i Duchi assistono allo spettacolo degli sbandieratori e delle danzatrici poi il corteo si ricompone e, dopo aver attraversato tutto il centro storico, si ferma nella piazza di Santa Maria in Via in attesa dell’arrivo del vincitore della Corsa alla Spada.

Questa è la rievocazione storica di un’antica competizione e, delle quattro gare che si svolgevano

nei tempi antichi, questa è l’unica che veniva disputata a piedi mentre le altre: la Corsa al Palio, la

Corsa alla Quintana, la Corsa all’Anello erano disputate a cavallo. I protagonisti della Corsa alla

Spada sono trenta atleti, dieci per ogni Terziero, i quali si contendono allo spasimo la vittoria

percorrendo circa 1130 metri, quasi tutti in ripida salita. La partenza è situata in piazza S.Venanzio

e si sale per 500 metri lungo un tratto che toglie il fiato, fino alla piazza Cavour, poi, lungo il Corso

V. Emanuele la salita si fa meno dura e si arriva all’imbocco di via C.Lili dove iniziano gli ultimi

quattrocento metri di discesa. Questo tratto non è per niente facile poiché gli atleti sono ormai allo

stremo delle forze e devono stare molto attenti a non cadere.

La gente dietro le transenne, per tutto il percorso, incita a gran voce i propri favoriti.

L’atleta che arriva per primo al traguardo e sfila la spada dal ceppo è il vincitore assoluto ed ha in premio la spada. Tutto

si è concluso nel giro di tre minuti o poco più, dopo una preparazione durata nove mesi.

Gli atleti sfiniti cadono a terra. Quanta emozione! Quanti sogni che solo per alcuni si sono avverati!

Inevitabile è la delusione degli altri terzieri che si consolano facendo già progetti per l’anno venturo.

Il Palio invece, cioè quel prezioso drappo in velluto rosso ricamato e dipinto, viene assegnato al Terziero vincitore, per

tempo di arrivo dei suoi corridori e lo custodirà fino all'anno successivo. Quindi è necessario l’impegno di tutti gli atleti per

la conquista di questo magnifico cimelio che viene alzato al cielo per le vie della città fino a tarda notte, tra il tripudio di

tutti gli abitanti del terziero vincitore.

La premiazione avviene nella stupenda cornice della Rocca Borgesca, alla

presenza dei Duchi, di tutti i figuranti del corteo e di centinaia di visitatori,

anche stranieri, che sono venuti per assistere a questa manifestazione. Gli

sbandieratori offrono a tutti ancora un avvincente spettacolo e le bandiere

salgono verso il cielo,incrociandosi, piegandosi, roteando per essere riprese

velocemente,dopo varie acrobazie,dagli Alfieri.

Pian piano poi con il passar delle ore le voci si affievoliscono e sulla città

scende il silenzio. Solo i drappi alle finestre e le bandiere colorate e gioiose

sventolano ancora lungo le vie quasi a voler prolungare quella festa che

ormai è giunta alla sua conclusione, almeno per questo anno.

Preziosa Sileoni  

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San Benedetto una cena di… pesce ! Il giorno 8 agosto 2013 simpatico incontro tra soci al mare!!!

E’ stato ripetuto anche quest’anno in quel di San Benedetto del Tronto l’appuntamento per la cena a base di pesce in un ottimo e caratteristico ristorante del porto dei motopescherecci di questo bellissimo e conosciutissimo centro di villeggiatura adriatico. Una dozzina di nostri soci infatti, provenienti dal fermano , da Grottammare ecc.. si è riunita all’insegna della buona tavola e ha gustato del superbo pesce locale cucinato da cuochi abilissimi.

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MicMuseo interattivo del Cinema : Visita del 25 settembre 2013 Con molta curiosità un bel gruppo di nostri soci ha visitato questo museo che parecchi non conoscevano. Aperto già da tempo nell’ex Manifattura Tabacchi in Via Fulvio Testi a Milano, accompagnati dalla guida ufficiale messaci a disposizione dalla Direzione (sig. Valerio Moccia) ci sono state fatte vedere e spiegato per somme linee il funzionamento di alcune tra le più vecchie attrezzature che hanno fatto nascere il moderno cinema. A conclusione di questa interessante presentazione, siamo stati fatti accomodare in una accogliente sala di proiezione dove abbiamo assistito a tre cortometraggi sulla musica di Rossini relativi alle composizioni : L’Italiana in Algeri – La Gazza ladra – Pulcinella , con animazione di Luzzati. La presentazione si è poi conclusa con la proiezione di una piccola animazione del marchigiano Simone Massi. (Sotto alcune foto dell’evento)

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Campionessa Italiana !!!!! La nostra cara amica Ines Sabbatinelli, madre di Neri Marcorè (vedi articolo a pag.8) ha conquistato il titolo di Campionessa Italiana di bocce, categoria B, specialità individuale il giorno 10 settembre c.a. . Aveva già avuto in passato diversi riconoscimenti in questa disciplina, ma questa volta è stata veramente la più forte! Brava Ines tutti i tuoi amici di Milano sono fieri e fanno tifo per te!

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Curiosità! Automobilismo. Non tutti sanno che le Marche hanno avuto un team addirittura in Formula 1 . E’ accaduto nel 1992 per iniziativa di un imprenditore calzaturiero ascolano, Andrea Sassetti, che aveva rilevato le monoposto del team Coloni. Purtroppo l’iniziativa non ebbe fortuna ed il team si sciolse dopo appena una stagione e solo una gara disputata (Gran Premio di Monaco) con il pilota brasiliano Roberto Moreno. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Festival Internazionale del Brodetto e delle zuppe di Pesce. Fano Lido 12 – 15 settembre 2013

Notizie dalle nostre Regioni

a cura di G.B. Ortenzi

IL CIAVARRO Direttore responsabile Pierfrancesco Fodde

REDAZIONE

Direttore responsabile G.B. Ortenzi

Segretaria di Redazione Luisella Dameno Consulente redazione Enzo Capocasa

Redattori Antonio Gargiulo Marco Micarelli Preziosa Sileoni

Impaginazione, grafica e foto G.B. Ortenzi

Hanno collaborato a questo numero Flora Biringhelli Lorenzo Fattori