Anno scolastico 2004/2005 - Avis Provinciale Perugia · settimanali ogni mercoledì dall'8-11-2005...

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Anno scolastico 2004/2005

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Anno scolastico 2004/2005

AVIS

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IL LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA

FIOR DI PAROLE: giocare con le parole per fabbricare storie, è stato portato avanti per due ore settimanali ogni mercoledì dall'8-11-2005 all'8-2-2006.

In questo laboratorio, come previsto, si sono analizzati, manipolati e creati testi narrativi.

Gli alunni, provenienti da tutte e quattro le sezioni della sede centrale della Scuola Media Moneta, erano inizialmente 25 e ad essi, dopo due lezioni, se ne sono aggiunti altri 3 provenienti dagli altri laboratori.Il laboratorio di scrittura creativa era aperto a chiunque desiderasse esercitarsi nell'arte dello scrivere testi di narrativa. Il laboratorio e' un'esperienza comune attorno alla letteratura nella doppia veste dello scrivere e del leggere.L'obiettivo era di favorire lo sviluppo delle capacità espressive dei partecipanti attraverso l'approfondimento dei principali aspetti del processo creativo e degli elementi costitutivi della narrazione.

Il lavoro all'interno del laboratorio ha offerto ai partecipanti la possibilità di:- Acquisire una maggiore consapevolezza della propria scrittura e della propria voce

narrante- Migliorare la propria scrittura (in termini di accuratezza, coerenza e profondità

dell'espressione)- Sviluppare la propria capacità di invenzione- Accrescere la sensibilità necessaria a gustare e a valutare testi di narrativa- Sviluppare la propria capacità di ascolto e di visione della realtà

A ciascun partecipante è stata proposta la scrittura di racconti la cui progressiva elaborazione è stata condivisa e analizzata criticamente dal gruppo di lavoro. Il percorso di formazione si fondava sulla convinzione che il talento si costruisce attraverso un costante e paziente lavoro sul proprio modo di scrivere attuato attraverso:

1. L'ascolto e l'analisi di testi di narrativa2. L'ascolto e l'analisi di modelli di narrazione prodotti attraverso altri linguaggi (cinema,

musica e pittura)3. Esercizi di scrittura4. L'ascolto della propria e altrui scrittura5. La verifica periodica del racconto breve che rappresenta il testo principale di lavoro di

ciascun partecipante6. La lettura di riflessioni, consigli di scrittura e di altri testi di approfondimento di autori noti e di

insegnanti di scrittura creativa sul senso e sulle tecniche dell'arte dello scrivere

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L’ANELLO

La bara era coperta da un drappo nero, quando all’improvviso delle ragazze si avvicinarono per profanare la tomba. Guardarono dentro e spuntò fuori Undertaker che le uccise tutte succhiandogli il sangue. Undertaker aveva un punto debole: se guardava la luna piena moriva. Aveva un nemico di nome Spike: egli era l’unico che poteva ucciderlo.Undertaker lo andò a cercare in tutte le gallerie sotterranee che conosceva. Una notte, quando il cielo era oscurato dalle nubi i due si incontrarono. I due si guardarono attentamente come per studiarsi. Poi decisero il luogo e la data del duello: si sarebbero scontrati la settimana seguente a mezzanotte al cimitero.Nel corso della settimana Undertaker e Spike si allenarono molto duramente. Arrivò così il giorno del duello: i due avversari erano pronti per la sfida. I due si trovavano faccia a faccia. Spike si lanciò verso il suo avversario e così il duello ebbe iniziò. Undertaker e Spike erano stesi al suolo stanchi per il lungo combattimento. Le nubi coprivano ancora la luna anche se non molto bene; ma non ce n’era bisogno perché Undertaker portava il suo anello protettivo. Oramai Spike stava per essere sconfitto: pensò che l’unico modo per sconfiggere il suo avversario fosse quello di farlo colpire dai raggi della luna. Così escogitò un piano e con un inganno prese l’anello dalle dita di Undertaker. Finalmente era spuntata la Luna e Undertaker senza più il suo anello preso da Spike fu colpito dai raggi lunari e morì.

Hendry Alessandri

LA NEVE COPRE TUTTO

Dopo il pranzo il padrone dell’albergo ci venne a chiamare per la nostra consueta passeggiata. Io, che avevo 28 anni, facevo parte di un gruppo di persone sulla trentina alle quali ero molto affezionata; infatti erano tutti simpatici, dolci e sempre disposti a tutto, tranne due: Edoardo e Raffaele che dicevano di avere 32 anni, ed avevano un aspetto, entrambi, di confabulare qualcosa, ma non so che cosa. Erano le tre e mezzo del pomeriggio ed ero abbastanza lontana dall’ albergo, ben 3 km!!. Io credevo che sottosotto, c’era qualcosa di strano, perché, noi non avevamo mai camminato più di 1,5 km, ma comunque a me piaceva camminare e quindi, non dissi nulla, ma feci caso che Raffaele e Edoardo non c’erano. Dopo, il padrone, che noi chiamavamo con il nomignolo Giova, ci disse: “Andiamo così lontano perché voglio che voi, siate in ottima forma, e poi voglio che……” e interruppe il discorso con un colpo di tosse forzata. Si erano fatte le cinque e mezzo e Giova decise che dovevamo ritornare all’ albergo. Quando arrivammo, disse di cambiarci perché dovevamo essere belli. Arrivò il fatidico momento della cena e, quando ci passarono la pasta, capii subito che c’era qualcosa di strano, troppo strano.Non avevo molta fame anche perché avevo mangiato troppo a pranzo e non avevo ancora ben digerito, e quando vidi Joe, un amico del gruppo, che si stava sentendo male per aver mangiato la pasta ricollegai tutte le informazioni che avevo raccolto: Raffaele ed Edoardo alla passeggiata non c’erano e poi il cibo avvelenato!! Mi ricordai che al telegiornale avevano detto che due persone, sulla quarantina si aggiravano e si travestivano da ventenni e ammazzavano le persone. E così, successe. Tirarono fuori mitragliatrici, pistole, mazze e tutto ciò che poteva ferire qualcuno. Giova, gli diede il segnale di iniziare a far piazza pulita di tutti noi; ma a me non mi trovarono perché ero nascosta molto bene: ero nella cucina, dentro una botola che avevo trovato dei giorni prima. Non so a che cosa servisse, ma mi ci misi dentro. Sentivo grida, urla e pianti disperati, spari. Gente che usciva fuori nel cortile in cerca di un nascondiglio. Oltre a me non vi fu nessun altro sopravvissuto: tutti erano morti e nello stesso istante tutto taceva e aveva cominciato a nevicare. Uscii dal mio nascondiglio e vidi tutto quell’ orrore: mitragliatrici sparse su tutto il prato e i miei amici morti in un mare di sangue. Poco dopo la neve abbondantemente caduta aveva coperto tutto.

Neliana Scali 2° B

COME SARÀ IL MONDO TRA MILLE ANNI

Spesso mi domando sarà il mondo tra mille anni. Non oso pensare a cosa accadrà perché mi prende il dolore allo stomaco. Apro la televisione su Canale 5 e vedo un’edizione straordinaria del TG5. “Buonasera! Siamo qui perché proprio adesso è arrivata una notizia dalla Nasa, molto importante. Nel 2036 cadrà un asteroide proprio sul nostro Paese…” A me prende un colpo perché fino a quell’anno io sarò ancora vivo. Vado a dirlo a mia madre e lei mi risponde: “Non ti preoccupare tesoro mio, va’ a lavarti le mani che la pasta è pronta!”Lavandomi le mani penso che questi giorni indagherò su questa cosa. Ora vado a tavola e subito dopo sempre su Canale 5 vedo “Amici” di Maria de Filippi.“Eldi, vieni a tavola!”“Arrivo mamma. Bè, ora è il momento di andare a tavola: la pastasciutta si sta raffreddando.Anche tra mille anni ci saranno sempre problemi di pastasciutta?!!

Eldi Sota

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IL MIO FEDE...

Ci lasciammo all’angolo della via: lui si voltò e mi fece un cenno di saluto con la mano. Niente poteva rovinare quella bellissima giornata d’estate; il sole scottava sulla mia pelle abbronzata, il leggero vento accarezzava i miei capelli lunghi e soffici, gli uccelli felici cinguettavano nel cielo azzurro, i bambini giocavano e correvano nel verde parco, le persone e i ragazzi passeggiavano e gli anziani giocavano a carte!Era tutto splendido, soprattutto quel momento. Non vedevo l’ora che arrivasse sabato, dovevo correre a casa per dire la bellissima notizia alla mamma. Appena arrivata corsi subito in camera per preparare le cose che avrei indossato sabato, poi andai da mia madre e le dissi che sabato sarei andata al cinema e poi dopo in discoteca con Federico e i nostri amici.E poi!!!…BOOH…!!! DISASTRO TOTALE, mia madre mi ricordò che sarebbe stato il compleanno di mia nonna, che festeggiava i suoi 65 anni, mi toccava andarci e io che mi metto sempre troppe idee in testa, CHE STUPIDA! Ma poi mamma mi tranquillizzò: non andrò al cinema ma potrò andare in DISCOTECA!!!.EVVAI.!!! Ed io felice della bella notizia riempii di baci mia madre, poco dopo lessi il messaggio che mi era appena arrivato da FEDE “Angelo: c’è chi nasce per sognare… e chi come te per essere un SOGNO!!!”Allora io gli rimandai “Il mondo è difficile da capire … alcune volte vorresti mollare tutto ma poi ti accorgi che esistono persone come te e allora ricominci a vivere!!!”E così abbiamo cominciato a smessaggiare.E’ SABATO la grande serata è arrivata, il compleanno di mia nonna è stato uno sballo, mi sono divertita molto, ma ora vediamo e pensiamo a questa sera!Ci sono tutti i miei amici e pure Federico, ma prima di entrare in disco…io gli posi una curiosa domanda: “Ma tu mi vuoi bene?”“No.””Mi trovi carina?”“No.”“Mi tieni nel tuo cuore?”“No.”“Se vado via tu piangi?”“No.”……Allora io andai via triste; lui mi fermò, mi abbracciò e mi disse: “Io non TVB, io ti amo; io non ti trovo carina, sei stupenda; non sei nel mio cuore, tu sei il mio cuore, io non piango per te, io muoio!!!In quel momento mi sentivo rinata, all’inizio mi sentivo uno straccio, ma ora mi sento un angelo!!!“Allora mi ami davvero? Ogni volta che sei a casa mi pensi?”“Se fosse per me, non mi muoverei mai di casa” rispose, ci rimarrei sempre per pensare a te.

Sonia Nottoli

IL MAGO BIANCO

Un uomo giunse in città in un’alba d’inverno. Era molto strano, sembrava un anziano; portava un lungo mantello bianco e per camminare si appoggiava ad un lungo bastone che sulla punta aveva un cristallo enorme. Aveva il viso coperto da un cappuccio con la punta ripiegata della stesso colore bianco come la neve. Aveva una lunga barba molto folta che gli arrivava fino alla cintura dei pantaloni. " Narra una leggenda, che un giorno arriverà un potentissimo mago che potrà salvarci, vedrai ",

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disse Bornor, un anziano signore sempre allegro che sapeva sempre cosa fare per passare il suo tempo, a suo nipote Mellon, un ragazzo che a differenza del nonno, a volte restava a guardare fuori dalla finestra per ore e ore. Egli rispose: “ Ma ne sei proprio sicuro nonno? E’ solo una leggenda, non mi fiderei poi tanto. E’ da quando sono nato, da quindici anni, che la neve non si scioglie e mi sarebbe piaciuto vedere un’estate in tutta la mia vita! ”. La famiglia di Bornor e Mellon era una di quelle tante che, passavano il loro tempo in casa e uscivano di nascosto solo per prendere qualcosa da mangiare nella Foresta Nera. Tutto questo per colpa di una perfida Strega che poteva vivere solo in presenza di molta neve, perché il suo cuore era gelido, come la brezza che un tempo smuoveva le foglie degli alberi ora spogli più che mai. La Strega Bianca aveva però un punto debole: possedeva un cristallo simile a quello dell'anziano che era arrivato a Gandra, detta anche " La città bianca ", aveva una forma appuntita e squadrata. Il vecchio aveva bisogno di un riparo, perché era stato cacciato via dalla città in cui abitava prima, a causa dei suoi poteri magici, di cui tutti avevano un’incredibile paura. A Gandra, pensava di trovare delle persone che lo avrebbero ospitato e che gli avrebbero offerto cibo e acqua, ma purtroppo per lui non fu così. Bussava ad ogni porta, ma la risposta era sempre quella: “ Mi dispiace ma ora non posso ” oppure “ Se ne vada subito via ” e cose del genere, seguite poi da una bella porta chiusa in faccia. L’anziano mago aveva raggiunto la casa di Bornor, senza speranza poi bussò e venne subito trascinato dentro la piccola baracca. Subito Bornor gli domandò: “ Chi sei? Una spia della Strega Bianca? Che cosa vuoi da noi? ” Con voce calma ma forte rispose: “ Sono Paramir della Terra dei Draghi e faccio parte dell’Antico Ordine dei Maghi Bianchi, istituito dai miei antenati, di cui hanno fatto parte alcuni dei maghi più potenti al mondo. Vedete, il vostro regno è al confine tra il Mondo dei Maghi e quello degli umani e avevo pensato di trovare una migliore accoglienza qui ”. Mellon, che non credeva molto alla magia gli chiese: “ E perché stai cercando aiuto proprio qui? Noi non possiamo fare niente per te, non possiamo neanche uscire di casa per prendere qualcosa da mangiare se non di nascosto… Un momento, hai detto che sei un potentissimo mago, non è forse così? ” Paramir annuì “ Potresti aiutarci tu, in cambio noi ti ospiteremo per tutto il tempo che vorrai ” disse Mellon ironicamente. “ Sentiamo un po’, cosa dovrei fare di preciso? ” Bornor rabbrividì al solo pensiero di rivelargli la storia della Strega Bianca ma Paramir non sembrava stupito, anzi aveva l’aria di conoscere quella storia meglio di chiunque altro. Si sedette e respirò ansiosamente, poi aprì la bocca cercando di parlare ma non riuscì a dire nemmeno una parola; si fece coraggio e disse: “ Ebbene, sedetevi e vi racconterò la mia storia. Quando sono entrato a far parte del Ordine dei Maghi Bianchi non ero solo, con me c’era mia sorella che aveva degli enormi poteri. Quando eravamo piccoli, nostro padre ci regalò un cristallo ciascuno che poteva ampliare i poteri di chi lo possedeva. Beh, mia sorella cominciò ad obbedire a ciò che le diceva il cristallo, che lei aveva tanto desiderato, non per ampliare i suoi poteri, ma per dominare l’intero pianeta. Il cristallo la ridusse ad una strega che per il potere avrebbe fatto qualsiasi cosa, persino vendere la sua anima al demone delle nevi. Ora può vivere solo con il suo cristallo e in presenza di tanta neve. ” Mellon si alzò in piedi e disse con voce arrabbiata: “ Vorresti dire che la strega che ci tiene prigionieri nelle nostre case….” “ Sì, è mia sorella. ” rispose Paramir con un’aria afflitta come non mai. “ Immagino quindi, che tu non vorrai sconfiggerla, vero? ” chiese Bornor preoccupato. “ No, e anche se avessi voluto, non avrei potuto fare niente per voi. Vedete, il fatto è, che solo la Spada di Luce, può distruggere i poteri di mia sorella, e solo il mago più potente di tutti, è in grado di usare il suo magico potere. Io purtroppo non sono il mago più potente di tutto il mondo e non ho la più pallida idea di chi sia. Forse però posso aiutarvi a rubare il cristallo; senza di esso mia sorella perderebbe i suoi poteri, anche se non morirebbe del tutto. ” Bornor che era rimasto seduto, si alzò di scatto e disse con voce squillante: “ Bene, ti aiuterò io; non ho mai fatto niente di così importante per il mio paese e voglio rendermi utile ”. “ NO, prenderò io il tuo posto, tu sei troppo anziano, non resisteresti neanche al viaggio per raggiungere la Strega ”. A quelle parole, Paramir sorrise e pensò Il ragazzo ha un grande animo e magari possiede anche dei poteri che non conosce; mi domando se sia lui il portatore della Spada di Luce .Il giorno dopo partirono per il castello di ghiaccio situato nella Gola della Morte, protetti dallo scudo invisibile di Paramir. Il viaggio durò tre lunghi giorni che essi passarono al freddo, senza mai fermarsi a dormire, con il poco cibo che trovarono lungo il tragitto e con l’acqua che avevano fatto scongelare dalle sorgenti ghiacciate.

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Il castello era enorme e si slanciava verso il cielo con appuntite torri di ghiaccio da cui provenivano le urla di tutti i prigionieri della maga. Mellon, cercò un’entrata attraverso i sotterranei del castello mentre Paramir si riposava e riacquistava tutti i poteri che aveva speso per la barriera. Mellon chiamò Paramir e gli disse di seguirlo perché aveva trovato una strada breve e sicura che portava direttamente alla sala dove la Strega Bianca stava ammirando il suo cristallo (come se non lo avesse mai visto prima). Non avevano un piano per entrare senza essere visti perciò Paramir uscì allo scoperto mentre Mellon rimaneva nascosto, e si presentò al cospetto della malvagia sorella: “ Jisa, ti ricordi di me? ”

“ Come potrei scordarmi, fratellino. Tu eri sempre il migliore ma ora le carte si sono rovesciate e, vedi ora io ho tutto questo e tu, guarda come sei ridotto. A mala pena ti reggi in piedi. Ma ora dimmi, sei venuto ad invocare la mia grazia ”.

“ No Jisa, sono venuto per distruggere i tuoi … straordinari poteri magici ”. “ Oh, ma davvero, io non credo proprio ”. E detto questo, lo attaccò con un gesto della mano e lo scaraventò a dieci metri di distanza. In quel momento Mellon si sentì un brivido di rabbia dietro la schiena e iniziò a farfugliare una lingua che non conosceva e disse : “ Esna ualmi knosos scima ” poi si riprese da una specie di trans e si sentì strano, molto strano; poi quando Jisa fece volare Paramis fuori dalla finestra, Mellon cominciò a ripetere la frase che aveva detto inconsapevolmente e all’improvviso, gli cadde una spada sulle mani. Proprio nel punto della lama vicino all’elsa c’era scritto: “ Esna ualmi knosos scima, la Spada di Luce. ” Subito Mellon si sentì investito da un’ondata di coraggio e uscì dal suo nascondiglio con la spada sguainata contro la perfida Strega.

" Ah, Paramir ha chiesto i rinforzi e ha scelto un pivellino come te che non riesce nemmeno a tenere la sua spada. Bene, vorrà dire che non soffrirai più di tanto. "

Ma Mellon non si lasciò impressionare da quelle parole e partì all’attacco, ma non fece in tempo ad agitare la Spada che ne uscì subito un raggio di luce accecante, così intenso che costrinse la Strega a ripararsi gli occhi con le mani; mentre Mellon le puntava la Spada contro per impedirle di vedere, si spostò verso il cristallo, lo prese, lo gettò in aria e subito lo colpì con il raggio di luce. La preziosa gemma si frantumò in mille pezzi e una nuvola nera ne uscì fuori; fluttuava in cielo e si spostava verso il raggio di luce emanato dalla spada, all’improvviso la nuvola divenne bianca ed entrò nel corpo di Jisa che sembrava morta: quella era la sua anima che si era purificata. Essa si rialzò e vide Mellon che correva a guardare dalla finestra e gli chiese:

“ Giovane ragazzo, chi sei? ”

Ma Mellon non l’ascoltava e si precipitò fuori dal castello a soccorrere l’amico; intanto la neve, si era quasi sciolta del tutto. Gli uccellini, cominciavano a mettere i loro beccucci fuori dalle loro tane per annusare di nuovo il profumo della primavera e gli alberi si stavano svegliando dal loro lungo sonno, come tutti gli animali del bosco.

Fortunatamente Paramir stava bene e quando vide che la sorella era tornata normale, l'abbracciò e si incamminarono tutti insieme verso la casa di Bornor che sicuramente era preoccupato per suo nipote. Durante il tragitto Paramir affidò il suo cristallo a Mellon e gli disse: " Questo è meglio che lo tenga tu, io e mia sorella abbiamo deciso di tenerci alla larga da quel cristallo. " Mellon lo accettò con immenso piacere.

Da quel momento non parlarono più: si udiva soltanto il rumore dei loro passi.

Elisa Pizzichini

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DOPO IL PRANZO

Dopo il pranzo il padrone ci venne chiamare…….-Ragazzi seguitemi!Vedete, ho ritrovato il corpo di questa persona. Dai documenti ho visto che si chiama Alberto Paliani detto il Titano per la sua abilita di leader. Penso che…. Ah sì,ora mi ricordo!Era il famoso leader dei Carta Strappa, una grande organizzazione mafiosa. Il corpo era lì, steso, e per quanto mi riguarda mi faceva meno paura prima che adesso !!!!!!“Ora non dobbiamo far altro che chiamare la polizia” disse Gio , uno dei miei impiegati. Io subito dissi di sì, e che l’avrei fatto io. Loro rientrarono tutti sconvolti, ma non sapevano che io avevo commesso due crimini: uno aver ucciso quell’uomo, quello spietato uomo, due, di non aver chiamato la polizia, ma di essermi sbarazzato del corpo. Non potevo permettermi di rischiare! Però avevo commesso uno stupidissimo errore. Colui che avevo ucciso non era il Titano, ma il suo gemello e sapevo che me l’avrebbe fatta pagare. Infatti mandò subito i suoi scagnozzi ad uccidermi. Mi colpirono con un pugnale. Negli ultimi dieci secondi della mia vita mi dissi: “Fortuna che ora nevica , così non incolperanno quelli del mio albergo per la mia uccisione. La neve abbondantemente caduta aveva coperto tutto.

Luca Rosi 2B

L'AMICA SVOGLIATA

Ci lasciammo all'angolo della via: lei si voltò e mi fece un cenno di saluto con la mano. Io invece, continuai ad andare dritta verso casa mia. Caterina, mia sorella era partita da casa e io ero rimasta sola, avevo paura, mi annoiavo e quindi decisi di andare a fare una piccola passeggita. Durante il cammino, incontrai mia madre che stava lavorando nel campo del nonno e capivo che faticava molto. Siamo nel 1940 e esistono poche macchine per lavorare la terra. Alcuni giorni fa, andai ad aiutarla, ma oggi, non ne ho la minima voglia, voglio stare con Anna che però è partita poco fa, mi ha detto che doveva andare da sua nonna, quella che si trova dietro al famosa angolo "spuntato". Non volevo passare in via Fontanelle, sapevo che c'era mia madre, ma non sapevo dove andare e quindi quella era la strada migliore. Appena la vidi, mi nascosi subito, ma lei mi adochiò e mi chiamò dicendomi:" Ehi Sara, vieni un po' qui ad aiutarmi! Oggi sono rimasta sola! Lo sai che tuo nonno parte sempre prima!" "Mamma ma oggi è una bella giornata e voglio giocare un po’!" "Ma dai vieni che dopo ti do qualche lira per comprare il panino, quello che ti piace tanto!"E allora io, visto che avevo fame accettai. Il campo era veramente molto grande non me lo sarei mai aspettata, infatti mia madre, mi fece lavorare molto, mi fece vendemmiare, zappare e tagliare l'erba, ma la cosa più faticosa in assoluto è che mi fece annaffiare tutte le piante, una a una! Appena arrivata a casa, mi infilai nel mio letto insieme a mia sorella, e mi addormentai immediatamente.

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Dormii a lungo e il giorno seguente, mi venne a svegliare Anna. "Sara!" mi disse " perché hai dormito così tanto sono le undici della mattina! e tu sei andata a dormire alle nove e mezzo! È ora che ti svegli!!" "Ieri dopo che tu sei andata via, mia madre mi ha detto che la dovevo aiutare!" "Tutto qui! Ecco il motivo?" "No, ma mi ha fatto faticare molto e io sono pigra non sono abituata a questi lavori pesanti!" "Anche io ho lavorato con mia madre, però ho fatto l'uncinetto e la maglia e non era pesante per niente!" disse Anna "Secondo me ho faticato di più io, non è vero!?" "Se fosse per me non mi muoverei mai di casa!" Rispose.

Francesca Baccarelli 2A

LA GUERRA

Questa guerra sembra ormai interminabile. A Todi vive un bambino di nome Alessio. Lui ha perso i genitori durante la guerra.Alessio vive con un suo amico che si chima Mirko. Adesso è triste perche’ il suo amico ha i genitori e lui non ha nessuno.Alessio un giorno si ricorda come erano i suoi genitori e lo racconto’ al suo amico.Suo padre si chiamava Claudio e aveva 37 anni.Un giorno Berlusconi diceva un soldato per vedere come lavorava di nessuna parte e lui i dice a Berrlusconi per ucidere. Soldato prendeva l'arma e lo ucide.Mamma di Alessio si chemava Ana aveva 35 anni. Lei e stata ucisa di un soldato americano.Mirko mi rispose: cosi è finita la storia di genitotri tuoi."tu non sai come sono andate veramente le cose" gli ho risposto.

Alessandro Novac

GLI ALIENI

Silenziosamente, l’astronave aliena atterrò nel bosco. Dal grande disco volante nero scesero due alieni, alti, la faccia ovale come un pallone da rugby, il collo lungo e due grandi orecchie a punta. Indossavano una tuta verde e una volta premuto un bottone diventarono umani, o almeno sembravano, un uomo ed una donna.L’astronave si mimetizzò fra gli alberi e i due alieni con aria innocente si avviarono verso la città, con loro c’era anche un cagnolino.I due marziani erano stati inviati dalla Regina Frippol III dello Stato indipendente di Plutone per rapire un umano e studiarlo nei laboratori del loro pianeta.In una missione precedente avevano rapito un cane per riprodurre in laboratorio miliardi e miliardi di cani con una mentalità diversa dal normale.Non più di affetto verso gli umani ma di disprezzo. Praticamente volevano conquistare il mondo con l’aiuto del migliore amico dell’uomo.Ma il piano non funzionò.Il giorno dopo Jessica come tutti i giorni andò a scuola, lei era una appassionata di libri e film sugli UFO e credeva che da qualche parte dell’universo potessero esistere e che un giorno o l’altro li avrebbe visti.Tornata a casa pranzò e poi fece i compiti. Oltre ai marziani, a Jessica piaceva molto giocare a pallavolo e così ogni giorno andava a giocare dietro a casa sua dove c’era un campetto e lì giocava con le sue amiche.Finito di giocare, andava a casa e si faceva una bella doccia, poi prendeva

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l’ultimo numero della sua rivista preferita di extraterrestri, correva al parco e si metteva a leggerla sulle panchine. Con la sua fantasia viaggiava e viaggiava e sognava di scoprire gli UFO grazie al telescopio da lei inventato e vedeva che gli extraterrestri cercavano di attaccare il pianeta Terra e grazie alla sua scoperta salvava il mondo intero e veniva dichiarata eroe mondiale.Finito il suo sogno di gloria vide un piccolo cagnolino che si trovava solo e sperduto e così lo seguì. Finì dritta nella trappola dei marziani che la catturarono e la portarono su Plutone e la studiarono. Vide per prima i marziani anche se era felice di averli visti non era contenta di finire male per colpa dei loro stupidi esperimenti.La sua permanenza durò sette giorni. In quei giorni scoprì il precedente esperimento sul cane che gli fece tanta pena e così disse ai marziani:- Voi fate degli esperimenti su di me e poi mi liberate; ma mi dovete anche promettere che libererete il cane con me. I marziani parlarono un po’ tra di loro e poi accettarono.Dei sette giorni non si ricordò niente. In quel momento stava riabbracciando sua madre e pensava se qualcuno le avrebbe creduto.Jessica si avvicinò al cagnolino :-Qua la zampa!. Gli disse.

Valerio Trotta

FOLLETTI DEL BOSCO

La casetta dei minuscoli abitanti del bosco non era più grande di una monetina. Io la chiamavo “Cir la casa dei folletti” , ma in realtà per la loro minuscola altezza era una villa gigante, la più gigante del loro mondo; la cosa più bella è che io li riuscivo a vedere e gli altri no.Tutti dicevano che io, essendo sempre con la testa tra le nuvole, entravo talmente tanto nella fantasia, che sognavo anche di giorno, ma invece, mi sentivo del tutto nella realtà…Questa dote di vedere i folletti del bosco che gli umani chiamano fantasia, era iniziata dal giorno del mio settimo compleanno. Stavo giocando a nascondino con tutti i miei compagni di scuola, era la giornata più bella e più calda di quella estate, quando ci venne in mente di giocare nel bosco… Sara, la mia amica del cuore, stava contando, era arrivata quasi a 50 ed io, non avevo ancora trovato un nascondiglio! Attraversai il fiume pensando che lei non mi vedesse, corsi per un po’ e, non accorgendomi di un ramo, inciampai e svenni.Appena mi svegliai mi trovai in un campo di papaveri, proprio uguale alla figura del mio nuovo libro intitolato “Shopy la regina del bosco” che mi aveva regalato Sara.Intorno a me c’erano tanti folletti ed io appena li vidi, cominciai ad urlare. Ma uno di loro, di nome Waldo mi disse: “Stai calma ragazzina, noi siamo tuoi amici se lo vuoi, e non devi avere paura di noi, siamo dei folletti”. Io mi ero tranquillizzata, ma dalla paura nella mia testa si formarono solo domande e così chiesi: “Dove sono?, chi siete voi, e i miei genitori dove stanno?”Rispose sempre quel folletto e mi disse:“Tu sei nel Regno dei Folletti. I tuoi genitori sono oltre il fiume, ma se tu ci andrai, quando tornerai qui, ci potrai solo dire addio perché saremo spariti. Ah , dimenticavo, io sono il capo dei folletti, mi chiamo Waldo”Io risposi: “Piacere Waldo, credo di aver capito quello che mi hai detto e ho deciso che rimarrò tre giorni con voi.”

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Per me quei tre giorni furono i più divertenti perché in qualche modo anch’io ero una di loro… Però quando furono trascorsi, e sentivo sempre più la mancanza dei miei genitori, dissi loro:“E’ arrivato per me il momento di andare, grazie per avermi ospitata ed essere stati miei amici. Non vi dimenticherò mai, addio…”Waldo con prepotenza mi fermò e mi disse:Non addio ma arrivederci!” e tutti in coro aggiunsero:“ARRIVEDERCI!”.Quando tornai a casa i miei genitori mi chiesero piangendo dove fossi stata ed io raccontai tutti i fatti, ma loro non ci credettero e così passarono molti mesi fino a quando un giorno, mi svegliai e decisi di portare i miei genitori nel Regno dei Folletti così, intorno le 3 del pomeriggio partimmo e, attraversato il ponte sul fiume, anche loro poterono vedere i folletti. Ma era l’ora di dire addio e di non rivederli mai più. Così Waldo si avvicinò e gli dissi: “Addio Waldo” mi disse . “Non è un addio :… è un arrivederci” risposi .

Lucia Alunni

LA PICCOLA FIORDILUNA

La piccola Fiordiluna era appena entrata nella capanna del capo Grande Orso deve era solito, ormai da anni, riunirsi ogni sera tutti i componenti del villaggio che ognuno si dedicava a raccontare storie più o meno fantastiche che riguardavano le vicende dei loro antenati. Fiordiluna essendo ancora giovane, non prendeva parte alla narrazione, ma ogni sera era presente nella capanna del capo a sentire raccontare quelle storie che tanto le piacevano e che sperava un giorno, di poter raccontare ai suoi figli. Gli argomenti che più degli altri venivano citati erano: le battaglie tra gli Indiani e i Pelle bianca, le lotte tra le tribù indiane e sugli uomini che rimanevano nelle menti di tutti per aver salvato il villaggio. Ma la storia che le era rimasta più impressa era quella che aveva raccontato suo nonno sui pelle bianca che sterminarono senza pietà i pelle rossa. I giorni passavano e Fiordiluna era sempre più preoccupata che i Pelle bianca attaccassero il villaggio, infatti la sera stessa mentre tutti si ritiravano nella capanna del capo si sentirono delle urla e dei cani che si dirigevano verso di loro. Tutti quanti scapparono verso il fiume ma a Fiordiluna un cane l ' addentò a una gamba buttandola a terra. I pelle bianca arrivavano al fiume e presero la ragazza. I soldati curarono la gamba e la calmarono. Fiordiluna si innamorò di Smit un soldato della truppa e così si sposò mettendo in pace le proprie famiglie.Nel bosco ora si sentiva soltanto il rumore del fiume.

Raffaele Ceroni

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GLI ZOOMBIE

La bara era coperta da un drappo nero, i pipistrelli erano appollaiati sugli alberi e io ero rimasto chiuso in un cimitero. I gufi comunicavano tra di loro, i pipistrelli mi svolazzavano sopra e io mi ero rifugiato dentro una cappella. Come se non bastasse si mise a piovere e i tuoni illuminavano le tombe grigie e scure che avevano un’aria spettrale. Un tuono rischiarò il cimitero e una figura umana apparve nella luce. I cancelli si aprirono, i pipistrelli volarono via e i gufi tacquero. Silenzio di tomba. La figura avanzava lentamente, illuminata dai lampi, io cercavo di nascondermi, ma…. L’uomo mi aveva già puntato. Avevo paura. Non riuscivo a credere che proprio io ero in quel cimitero. L’individuo era sempre più vicino, incominciavo a vedergli il volto. Una cosa orrenda. Gli occhi erano spalancati, il viso era pieno di sangue e le mani erano distese verso me. Avevo già visto quella faccia da qualche parte. Ma certo, era uno ZOOMBIE, ma non uno qualsiasi, era il più potente del mondo, ma poteva uccidere le sue prede solo fino a mezzanotte, perché, al contrario degli altri, alle ventiquattro spariva. Ora lo ZOOMBIE era sopra di me, lui mi vide e mi alzò, poi incominciò a torcermi il collo. Incominciai ad urlare e gli animali corsero in mio aiuto,così lo tennero impegnato per un po’ di tempo. Io ne approfittai per andarmene, ma appena mi avvicinai al cancello, questo si chiuse e altri ZOOMBIE, tutti della stessa specie uscirono dalle loro lapidi e avanzavano verso me. Ero circondato, non riuscivo a tenere gli occhi aperti, non vedevo l’ora che fosse mezzanotte. Guardai l’orologio. Undici e cinquantotto. Gli ZOOMBIE mi erano sempre più vicino. Undici e cinquantanove,mi avevano circondato. Ormai ero finito. Per non vederli mi coprii gli occhi con le mani. Il campanile rintoccò MEZZANOTTE e….. Aprii gli occhi e quegli esseri non c’erano più. Finalmente era spuntata la luna.

Montorro Teresa

COSA SUCCEDERÀ FRA MILLE ANNI?

Spesso mi domando, come sarà il mondo fra mille anni, cosa succederà a noi esseri umani. Cosa succederà? Certe volte ci piango pure, perché penso che possa accadere il peggio e altre invece non so cosa pensare. Mio fratello Luca mi dice sempre che sono un po’ troppo ripetitiva, penso sempre e solo a quello che potrebbe succedere. Questa mattina la professoressa ci ha dato per compito un tema a piacere e io appena ho finito di mangiare mi sono messa a pensare come potevo farlo, ma pensando e ripensando non mi veniva in mente niente. Ad un tratto agitando la matita mi è preso uno scatto di rabbia perché non sapevo che scrivere e l’ ho lanciata, ma non è caduta per terra era rimasta a mezza aria e, da un libro, che odiavo profondamente perché secondo me non diceva la verità, usci un vortice di colore verde acqua, che mi risucchiò e mi portò in un posto a me sconosciuto a me sconosciuto, dove le macchine volavano, le persone viaggiavano trasportate tramite tubi che fluttuavano a mezza aria e la gente che passeggiava per strada aveva un occhio solo o erano dei robot, perfettamente autonomi che e per nutrirsi dovevano bere birra. Non sapevo cosa fare, dove andare, ero del tutto disorientata quando ad un certo punto si avvicinò a me un vecchio con degli occhiali molto spessi, una pelle aggrinzita, una schiena curva e indossava un camice bianco lungo fino alle ginocchia e una cravatta celeste. Io gli chiesi:- Ehm… salve! Sa dirmi dove mi trovo? E in che anno siamo? Ehh… chi è lei?- Lui mi rispose:- Siamo nel 3006 e io sono il professor Porten. Non so se ti interessa ma io te lo dico lo stesso, oggi dovrò andare ad un’asta dove venderanno anche l’ultima scatoletta d’acciughe e ci sarà la mia peggior nemica, la così detta “Mamma dei robot”. Devi sapere che un anno fa…- Lui continuò a raccontarmi la sua storia, mentre camminando arrivammo alla casa

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d’aste. Eravamo i primi, poi entrò un ragazzo di una bellezza abbagliante, con i capelli brizzolati, gli occhi verdi, una faccia da far vedere i cechi e chiamò zio il professore; io mi spaventai, perché credevo che era impossibile che un così bel ragazzo fosse il nipote di un vecchio che tiene alle acciughe che ad ogni altra cosa. Chiusi la bocca per non sbavare e mi rigirai dall’altra parte. Arrivò la “Mamma dei robot”, era una signora con la pelle rugosa, degli occhi sempre allerti, una bocca rifatta, era un po’ grassottella e sembrava portasse un parrucchino con due corna. Iniziò l’asta e ci fu un combattimento tra il Professore e Mamma, e alla fine vinse il signor Porten. Passò qualche settimana e mi fidanzai con il nipote del Professore che si chiamava Jeremy e mi dimenticai del mio presente. La sera ripresi il libro che mi aveva portato nel 3006 e gli dissi:- Ci ho ripensato hai proprio ragione! E rividi quel vortice color verde acqua che spuntava fuori dal libro, cercai ci allontanarmi ma mi risucchiò lo stesso e… sentii cadere la matita che avevo lanciato e riprendendola in mano cominciai a scrivere ed era talmente facile perché io, nel futuro, c’ero già stata. Beh, ora è il momento di andare a tavola: la pastasciutta si sta raffreddando.

Giorgia Sannella

FIORDILUNA

La piccola Fiordiluna era appena entrata nella capanna del Grande Orso. Lui era un capo molto potente, abitava nel bosco e tutti gli abitanti del villaggio dovevano sottomettersi a lui. Quando vide Fiordiluna, le disse con un vocione “Tu che ci fai nella mia capanna?” Fiordiluna rispose:”Io? Io ero stanca e così mi sono fermata qui per riposarmi. Ma non ti arrabbiare!”“Non voglio nessuno nella mia capanna!!!”“Va bene, me ne vado!”Mentre Fiordiluna usciva dalla capanna, il capo le disse:”Aspetta!!!Ci ho ripensato. Io desideravo passare un giorno con una bambina e ti porterò al di là del fiume.”Camminando camminando, arrivarono al paese e qui c’erano una giostra e una osteria. Prima si divertirono con la giostra e poi entrarono nell’osteria e chiesero un tè fresco e, dopo essersi dissetati iniziarono a parlare e a ridere.Arrivò la sera e decisero di ritornare a casa. Appena arrivati, il capo disse a Fiordiluna: ”Vorrei dire alla gente che io mi dimetto dal mio ruolo”: Così il capo radunò il suo popolo e fece un discorso. Appena la gente seppe che potevano essere liberi, iniziarono a festeggiare fino a notte fonda e ringraziarono Fiordiluna perché aveva fatto intenerire il cuore del capo. La mattina dopo la bambina disse addio a Grande Orso..“Siamo stati bene insieme, ma tutte le belle avventure finiscono. Addio.Così Fiordiluna uscì dalla capanna e si incamminò seguendo la strada nel bosco e si udiva soltanto il rumore del fiume.

Gianluca Corbezzoli

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STRANA COINCIDENZA

Dopo il pranzo il padrone dell’albergo ci venne a chiamare.“Correte, correte!” disse trafelato “una macchina ha preso fuoco!”. I ragazzi si alzarono dal tavolo spaventati e uscirono sulla piazza.La macchina di Jenny era avvolta dalle fiamme e tre metri più in là, un uomo con barba e pantaloni rotti, piangeva disperato. Jenny corse verso di lui e in ansia lo scosse da un braccio: “Che è successo? Chi è lei? Cosa ha fatto alla mia auto?”.L’uomo era solo in grado di fare cenni con la mano e farfugliava parole.Jenny lo strattonò spingendolo verso l’entrata dell’albergo.“O parli o chiamo la polizia!”, gli urlò.L’uomo la guardò negli occhi mentre la neve cominciava ad imbiancare le strade.La sirena dei pompieri si sentiva urlare. Il proprietario dell’albergo aveva chiamato aiuto.“Come ti chiami?”, gli chiese Jenny.“Mi chiamo Tom”, le rispose più calmo.“E vivo nel parco qui vicino”, aggiunse. “Io non so nulla!”, concluse. “Quei ragazzi laggiù mi hanno preso a sassate!”L’uomo tremava dal freddo e non riusciva a spiegarsi. I pompieri, arrivati di corsa, scesero dal loro camioncino. Si avvicinarono al gruppo e dissero che, pochi minuti prima, avevano spento l’incendio di altre tre macchine e che da qualche mese, si ripetevano questi fatti.“La cosa strana”, disse uno dei pompieri, “è che i proprietari delle auto, alloggiano tutti nello stesso albergo.” “Quale?”, domandò incuriosita Jenny.“L’hotel Oleandro, dove stiamo noi?”.Sì, proprio questo, signorina”, rispose il pompiere.Gli amici di Jenny si guardarono perplessi.“Che strana combinazione!”, disse uno di loro.La neve adesso scendeva copiosa; Tom aveva smesso di piangere ma il suo tremare era sempre più evidente.Il freddo tagliava la faccia.Le fiamme furono spente, ma la macchina di Jenny era ridotta un catorcio. L’agente di polizia, arrivato sul posto, ordinò che tutti i presenti entrassero nell’ hotel, poi esclamò: “Qualcuno, adesso, dovrà darmi spiegazioni!”.Il barbone fu fatto entrare assieme agli altri e gli fu offerta una tazza di latte caldo.“Tom!”, gli disse il poliziotto mentre tutti allibiti lo stavano ad ascoltare, “Cominciamo da capo. Dicci cosa è successo!”.“Quei ragazzi mi hanno preso a sassate quando hanno capito che avevo sentito tutto. Ripassavano il piano per incendiare certe auto. “Venivano assoldati da una persona che aveva tutte le intenzioni di prolungare la permanenza dei suoi clienti in questo albergo”.Tutti cercarono con lo sguardo il signor De Paolis, ma il titolare dell’albergo si era tenuto fuori dal gruppo. Due poliziotti uscirono dalla stanza e tornarono nella hall.“Signor De Paolis”, disse uno di loro “lei è in arresto!”.La macchina della polizia si diresse alla centrale con l’integerrimo Signor De Paolis, mentre la neve abbondantemente caduta aveva coperto tutto.

Joelle Fanelli

LA PRINCIPESSA CINDY

Un uomo giunse a palazzo in un’ alba d’ inverno. Dalla mia camera si udivano i passi di quello strano giullare al quanto invaghito della figlia dell’ arciduca. Ma come poteva uno come lui ambire alla mano di una nobil donna?Aprii la porta per essere al corrente della situazione, ma non vidi che il corridoio deserto e alquanto freddo. Mi misi così al lavoro: dovevo sbrigare alcune commissioni. Ah, quasi dimenticavo,

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l’arciduca mi aveva ordinato di sistemare il vestito da sposa di Miledi Cindy, sua figlia.Quella sera sarebbe dovuto essere tutto perfetto, non capita tutti i giorni di sposarsi.Dopo aver adornato con profumatissime rose appena sbocciate la sala delle cerimonie, per il gran banchetto, corsi in cucina per accertarmi che il menù venisse rispettato. Poi, come mi era stato ordinato, curai personalmente la cottura del pezzo forte della serata: il falcone.Mi recai così, nella stanza di Miledi Cindy. Quando le feci indossare il vestito che suo padre aveva scelto, la vidi titubante e piuttosto insoddisfatta.-Mio padre vuole che indossi questo straccetto che ha solo venti diamanti sullo strascico?-mormorò la ragazza che sembrava essere sempre infelice.Io le risposi: -Non disperate, vostro padre ha detto che questo vestito è stato indossato dalla vostra trisnonna. In fondo c’è una sorpresa per lei. Tenga!-e le diedi il regalo del padre.Quando lo aprì vide un collier di diamanti e disse: - Che bel regalino, certo che si è sciupato!!- In quel momento ebbi ancora la conferma che i ricchi sono così viziati. Ebbi anche la tentazione di dirle se lo avesse dato a me. Finalmente arrivò il momento della cerimonia. La principessa stava di fronte al suo sposo pronta a dire Sì, ma ecco lo straniero che da qualche giorno, si aggirava a palazzo, correre verso la principessa e prenderla per mano...da quel momento non parlarono più: si udiva solo il rumore dei loro passi.

Sacchei Zaccheo Lucrezia

LA TENDA

Un signore arrivò in città in un’alba d’inverno. Lo scrutavo da lontano e riconoscevo in lui un viso noto. Ma chi poteva essere? Di una cosa ero certa: quell’uomo lo avevo già visto da qualche parte.Aveva una camminata accentuata da passi felpati e marcati, come un ritmo scandito dai battiti di un tamburo. Insomma, non capita tutti i giorni, di vedere un turista vestito con abiti neri particolarmente eleganti e con degli occhiali dello stesso colore che gli oscurano gli occhi!Sembrava quasi uno di quei buttafuori che si posizionano davanti all’ingresso dei locali con le gambe divaricate e le braccia conserte. Provavo una strana sensazione, come se avessi avuto il presentimento che quella fredda mattina si sarebbe macchiata di sangue. Mi tremavano le gambe e le braccia non dal freddo, ma dalla paura.Intanto, continuavo a ragionare sull’identità di quel tipo losco dall’accento milanese, che continuamente, rispondeva a delle chiamate che io definirei sospette.Non è un indizio sufficiente il parlare spesso al telefono e per di più a bassa voce, ma era l’ unica prova, se così si può definire, che avevo contro di lui.Forse mi sbagliavo ad accusare una persona per così poco, ma sentivo di dover arrivare fino in fondo. Insomma, ormai mi conoscete, non sono certo il tipo che si tira indietro e che lascia che il destino scriva la sua storia; io mi ritengo un compositore che nota dopo nota compone la melodia della sua vita. Così, ancora una volta, decisi di non far finta di niente.Quella notte non riuscivo a chiudere occhio, quasi ossessionata dal pensiero che mi tormentava.Così mi affacciai alla finestra per scrutare le stelle quando, vidi nella piazza, ancora quell’uomo.Spostai la tendina color aragosta, quel poco che serviva per riuscire a intravedere il paesaggio notturno. La piazza era quasi deserta: gli unici turisti erano il freddo e il gelo che sembravano voler cacciare tutti con loro ira funesta.Consapevole di essermi sbagliata, mi rimisi a letto, con la speranza di poter dormire.Era scoccata la mezzanotte, le campane del duomo avevano appena compiuto l’ultimo rintocco, quando finalmente riuscii a prender sonno. D’improvviso, udii un rumore provenire dai piani

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inferiori. Balzai giù dal letto in un secondo, infilai le pantofole che erano finite sotto il letto e presi a correre per le scale con la speranza di trovare l’assassino.Trascorsi il resto della notte vigile, certa di non essermi sbagliata, cercai in ogni possibile nascondiglio quello che secondo me doveva essere il colpevole di….di cosa?Il mattino seguente mi alzai, anche se a dire la verità ero già in piedi. Mi sembrava tutto così strano, come mai io ero in cucina?!!

Non avevo mai sofferto di sonnambulismo, questa doveva essere la prima volta. Erano circa le sei, quando, pur essendo affannata e stanca andai a fare colazione. Mi recai come sempre nel bar di Rossella davanti casa mia. Ordinai la quotidiana colazione: cappuccino con schiuma e cornetto alla marmellata d’albicocca. Non pensavo più alle mie sciocche indagini, ero finalmente decisa a mettere da parte il lavoro e godermi il primo momento della giornata con serenità e rilassamento.Avevo abbandonato il mio spirito poliziesco, quando ecco apparire uno strano personaggio con il cappello da anni ’70. Tutto quello che pochi secondi prima, avevo abbandonato, adesso mi era tornato alla mente. Questa volta

lo strano personaggio, che sembrava perseguitarmi, non era solo.Aveva fatto combriccola con altri due tipi, che sembravano alquanto intimoriti dalla sua presenza.Le cose cominciavano a mettersi male.Forse mi stavo occupando di qualcosa più grande di me… cosa dovevo fare?Chiudere ancora la tendina color aragosta o aprire la finestra che mi trovavo di fronte? A volte fuggire via serve ad evitare il pericolo…ma andrò avanti. Cosa mai avrebbero potuto escogitare quei due ingenui in mano ad uno sbruffone?C’era un tassello che mi mancava, anzi a dire la verità mi mancavano quasi tutti i pezzi….Ma mentre mi arrovellavo in questi pensieri,ecco che li vidi avvicinarsi verso il bancone.Dopo aver fatto la loro ordinazione, il tizio con le sopracciglia aggrottate, diede uno sguardo quasi malefico alla persona che era al suo fianco.Quest’ultima, senza esitare, infilò la mano nella tasca dei pantaloni che indossava e tirò fuori il portafoglio. Io, decisa a non perdermi un momento di quella scena che potrebbe essere stata fatale, intravidi una pistola infilata nella cinta che gli stringeva la vita. Furono momenti di panico.Vidi il giovane prender fuori qualche cosa. Avrei desiderato non assistere a quella scena,quando sentii uno strano rumore provenire dall’ interno del locale.Quando entrai non vidi altro che la commessa con un viso quasi divertito. Basta, la tendina aragosta della finestra, mi impedisce di poter aprire gli occhi.Ho deciso di togliere tutte le tende, così da poter vivere la mia vita. Chiudo questa porta con la speranza di poter aprire un portone. Addio vecchia vita! Addio vecchi sogni!D’improvviso vidi i tipi sospetti allontanarsi lentamente …..di loro si sentirono solo i passi.

Caciotto Giulia 2D

LA MATRIGNA

La bara era coperta da un drappo nero. Matilde sapeva che avrebbe dovuto passare tutta la giornata a far compagnia alla sua matrigna che l’aveva sempre odiata, fin da quando si era sposata con suo padre. Era l’una del pomeriggio dentro la sala dell’obitorio dell’ospedale di Milano. Quella stanza non faceva che incutere timore alla povera ragazza, e dopotutto non si poteva dire altro. Le mura erano d’un cupo grigio tomba, con qualche macchia di muffa sulle quattro piccole pareti circostanti. In un angolo era appostato un vecchio lucernario stile cinese che emanava odore di muffa e che mandava una fioca luce per tutta la stanza. Da una piccola finestrella si poteva a

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malapena intravedere il cielo che rispecchiava l’animo di Matilde: grigio, cupo e pieno di dolore.La nostra ragazza se ne stava seduta su una sedia contemplando la sagoma della matrigna, quando ad un tratto ci fu come una scossa di terremoto. Tutto intorno a lei iniziò a tremare e la luce d’un colpo partì, lasciando la stanza priva di luce e Matilde completamente stordita e piena di paura.Quando tutto d’un colpo il terremoto finì e la luce ricomparve illuminando la povera fanciulla distesa per terra in un mare di lacrime. Quando Matilde si rimise in sesto e si risedette sulla seggiola, le parve di vedere qualcosa muoversi; forse era un topo pensò impaurita, ma quando si accostò alla bara per scacciare via l’animale si accorse che qualcos’altro non andava per il verso giusto: gli occhi della perfida matrigna si erano di colpo aperti. Matilde si allontanò con uno scatto con il cuore che impazziva e con il sudore che gli scendeva dalla fronte.Il corpo dentro la bara si alzò all’improvviso e la creduta defunta iniziò a dire, con un tono agghiacciante: “ Cara Matilde, pensavi di liberarti facilmente di me, eh? Invece non è così. Sono stata rimandata dagli inferi per poterti portare là sotto con me. Ho tempo fino al tramonto del sole, ma non ti preoccupare, per me basta e avanza!” e dentro la stanza echeggiò una risata malefica.Matilde del tutto consapevole che si trovava davanti ad uno zombi, iniziò a correre fuori dalla stanza chiedendo aiuto, ma pareva che l’ospedale fosse deserto.Così la ragazza si fermò a riflettere e iniziò a pensare che fosse tutto uno scherzo, o almeno sperava.Ma si accorse che non era niente di tutto ciò quando all’ improvviso le apparve davanti il corpo della matrigna che le fece un profondo graffio che iniziò a sanguinare violentemente. Stupita del fatto accaduto Matilde iniziò a correre verso lo sgabuzzino delle scope con il braccio che stava perdendo molto sangue e quando arrivò li si rinchiuse dentro con quattro giri di chiave. Accese la luce e si fermò a riflettere: si trovava dentro un ospedale, luogo in cui si salvano le vite, mentre lei stava rischiando la sua senza che nessuno facesse nulla; alquanto strano! Subito dopo la ragazza guardò l’orologio: erano le sei e mezza del pomeriggio e fra circa mezz’ora sarebbe sorta la luna. Già la luna, Matilde si chiedeva se ancora avrebbe rivisto quel romantico cerchio luminoso risplendere nel cielo tappezzato di stelle.

Ma mentre Matilde era avvolta nei suoi pensieri, ad un tratto dalla porta sbucarono due mani tutte raggrinzite e piene di vene che cercavano di prenderla per il collo e strozzarla.Subito la giovane si allontanò dalla porta munendosi di una scopa per eventuale protezione.Matilde si fece forza, dantronde mancava solo mezz’ora, cosa sarebbero stati quei trenta minuti in confronto delle cinque ore che aveva appena trascorso, così si fece coraggio, si avvicinò alla porta e inziò a girare la chiave.Molto probabilmente la matrigna la stava aspettando là fuori a braccia aperte con la bava alla bocca per quanto desiderava

ammazzarla.Matilde fece fare il primo giro alla chiave, ancora un altro e la sua vita sarebbe anche potuta finire o perché no, anche continuare, ma tutto questo dipendeva solo esclusivamente da lei.In quegli istanti Matilde si vide passare davanti a lei tutti i momenti belli della sua vita….il diploma dell’asilo….la prima comunione…..il primo bacio con il suo fidanzato…. il primo giorno del liceo scientifico….il suo primo dieci….il giorno del suo diciottesimo.

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Quando Matilde fece fare il secondo giro alla chiave, la porta ormai in pessime condizioni si aprì scricchiolando e facendole trovare davanti quel mostro della sua matrigna.Ormai con il cuore in gola, ma con un coraggio da leonessa, la nostra protagonista infilò il manico di scopa dentro il bacino dello zombi e iniziò a correre verso l’obitorio; se fosse morta almeno lo avrebbe fatto sotto la luce del sole.Quando arrivò nella sala i suoi occhi si illuminarono di gioia: il sole stava calando dietro una collina e al suo posto stava sorgendo la luna. Infatti, quando la matrigna arrivò nella stanza e capì che orma la sua missione era conclusa, iniziò ad urlare mentre pian piano stava squagliando.Quando sorse la luna ormai l’antagonista era completamente squagliata e la nostra ragazza finalmente era salva e iniziò a guardare verso la piccola finestrella: nel cielo finalmente era spuntata la luna.

Federica Cavallett

WALDO E I FOLLETTI

La casetta dei minuscoli abitanti del bosco non era più grande di una monetina. Invece gli abitanti non erano più grandi di uno spillo, e non arrivavano a dieci. Io mi sentivo decisamente molto grande. Ero un bambino di dieci anni, dieci e mezzo per la precisione, e per la prima volta ero il più grande (visto che nella mia classe ero il più basso). Quando mi ero svegliato avevo visto dei minuscoli esseri simili a mosche e mi ero domandato come ero finito lì; ma tutto quello che mi ricordavo era quando ero in piazza con mia madre, davanti ad una bancarella di dolciumi, il commerciante non sembrava un vero uomo, aveva il viso da bambino e dentro i suoi occhi si poteva vedere un ragazzo puro e sempre sorridente. Ero attirato da una striscia di liquirizia che sembrava chiamarmi per essere mangiata, era lucida e nera. Appena il venditore aveva visto che stavo prendendo proprio quella, il suo sorriso arrivò fino alle orecchie, non so perché ma mi disse che era un’ottima scelta. Mia madre mi si avvicinò e pagò quella striscia di liquirizia 1,50 euro. Ed eccomi qua. Quando avevo totalmente aperto gli occhi avevo visto un piccolo essere, che assomigliava sorprendentemente al commerciante e quando gli avevo chiesto spiegazioni lui mi disse:” Ciao, come va? So che sei rimasto un pò scioccato al vedermi, ma ora ti spiegherò tutto!”avevo provato ad alzarmi per sentire meglio, visto che era alto come il più piccolo chiodo al mondo, ma mi fece stare giù. “ Io mi chiamo Artemis, sono il generale incoronato dal re in persona, sono la persona più importante dopo il re e il grande saggio. Da molto tempo il grande saggio ha perso i suoi poteri a causa della strega che vuole impossessarsi di noi per concludere una pozione magica a fine di conquistare il mondo”mi aveva detto Artemis. ” E cosa centro io?” Artemis disse che io li dovevo salvare, lui era il commerciante e avrebbe scelto il loro salvatore attraverso quella bancarella, ecco perché quando presi la liquirizia lui era contento. Poi mi aveva portato al banchetto del re, in cui discutemmo sul da farsi.Decidemmo che ci saremmo intrufolati nel tugurio della strega, rubando le varie pozioni per eliminarla.Arrivammo davanti all’entrata della strega dove salutai Artemis Tito (il grande saggio) e il re Lares. Per entrare fu più facile del previsto, ed entrato percorsi un lungo corridoio dove c’erano tutte ragnatele ben curate, topi sott’olio e altissimi scaffali dove vi erano riposti libri e varie boccette con

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Il Sangue:

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un trovarloun donarlo

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Istituto di istruzione secondaria di primo grado“Brunone Moneta”

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