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Anno LXVI n. 4 Ottobre-Dicembre 2020 TRIMESTR ALE DI ARTE SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALV ATORE LOSCHIAVO

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Anno LXVI n. 4 Ottobre-Dicembre 2020

TRIMESTRALE DI ARTE SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO

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IN QUESTO NUMERO:

Editoriale, La scienza della storia p. 3

A. Arena - E. Aloja, Uomo - donna - Dio p. 4

A. Imperatore, Echia - Pizzofalcone p. 6

E. Notarbartolo, Omero e Ulisse passarono perPosillipo p. 8

O. Dente Gattola, I castelli e gli Ordini cavallereschi p. 9

G. T. Colesanti, Tre uomini e il mare p. 11

F. Ferrajoli jr., Il Palazzo Reale di Napoli p. 13

E. Aloja, Il Presepe popolare napoletano p. 16

F. Ferrajoli, La chiesa dei SS. Filippo e Giacomo p. 19

W. Iorio, Sebastiano Bartoli p. 20

G. Scotto di Perta, Procida: il Mulino di TerraMurata p. 24

E. Barletta, Francesco Mastriani.1 p. 25

S. Loschiavo, Morelli... ladro di mattonelle! p. 29

A. La Gala, Antiche trattorie collinari p. 32

M. Piscopo, D’Angelo p. 35

A. Ferrajoli, Pane cuótto cu ll’uóglio p. 38

L. Alviggi, L’enigma Majorana p. 39

Settembre 1943 p. 42

S. Zazzera, Procida e i Servizi segreti U.S.A. p. 43

A Grieco, Enrico Cajati p. 47

F. Lista, La parte più segreta di un artista sensitivo p. 50

G. Cennamo, In memoria di Ferdinando Ferrajoli p. 53

M. Lista, XV Premio Masaniello - Napoletaniprotgonisti p. 55

C. Zazzera, In difesa del numero 10 p. 57

N. Dente Gattola, Nord e Sud, l’eterno dualismo p. 58

Libri & Cd p. 61

La posta dei lettori p. 64

Anno LXVI n. 4 Ottobre-Dicembre 2020

Direttore responsabile: Sergio ZaZZeraRedattore capo: Carlo ZaZZeraRedazione: antonio la gala,FranCo liSta,elio notarbartolo,MiMMo PiSCoPoPast-director: antonio Ferrajoli

Direzione, redazione, amministrazione:via g. Sagrera, 9 - 80129 napoli- tf. 081.5566618 - e-mail: [email protected]

Registrazione:tribunale di napoli, n. 3458 del 16 ottobre 1985.

Fascicolo chiuso il 14 dicembre2020, pubblicato online ai sensidell’a. 3-bis l. 16 luglio 2012, n.103.

diffusione gratuita

Luigi Nappa,Procida - la Corricella

(acrilico)

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Editoriale

LA SCIENZA DELLA STORIA

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Anno LXVI n. 4 Ottobre-Dicembre 2020

La storia è la scienza degli uomini nel tempo.(Marc Bloch, Apologia della storia)

Già da diversi anni, le Università italiane hanno attivato autonomi corsi di laurea in “Scienzestoriche”, con ciò riconoscendo, in maniera esplicita, dignità di “scienza” alla storia. Resta

inteso, tuttavia, che essa non è ascrivibile al novero delle Hard Sciences (“scienze dure”), nonpotendo essere annoverata tra le scienze naturali (biologia, chimica, fisica) e, men che meno, traquelle esatte (matematica e logica): essa è classificata, viceversa, – al pari del diritto, dell’antro-pologia, dell’economia – tra le c.dd. “scienze umane” (o “sociali”, c.dd. Soft Sciences).La storia, dunque, non è scienza esatta, poiché non è finalizzata a una conoscenza oggettiva (che,semmai, ne costituisce soltanto il dato di partenza), bensì alla comprensione e all’interpretazione– e, magari, alla trasmissione – di comportamenti e di discorsi altrui. Tuttavia, si può ammettereche al genere di saperi proprio delle Hard Sciences essa si approssimi, a patto che sussistano duecondizioni, una oggettiva e una soggettiva. La prima s’identifica conl’esistenza del documento, da intendersi non soltanto come testoscritto, bensì come qualsiasi oggetto idoneo ad attestare una situazionestoricamente rilevante (es.: opera d’arte, fotografia, attrezzo da la-voro), secondo l’insegnamento della Nouvelle Histoire; in caso con-trario, non si sarebbe in presenza della storia, ma del mito. Laseconda, a sua volta, consiste nella capacità dell’operatore dileggere/interpretare in maniera corretta il documento stesso. Il che,però, si sostanzia in un esercizio di logica, con ciò rimanendo chiarito(almeno, si spera) il senso di quella approssimazione, cui si è fattoriferimento più sopra.D’altronde, le categorie del pensiero possono essere distinte in storiche(es.: il popolo) e logiche (es.: i cittadini), per quanto una loro con-vergenza sia possibile. Come avviene, infatti, nel mondo del diritto – categoria indiscutibilmentestorica –, nel quale è pienamente legittima l’indagine sull’esistenza di una “logica giuridica”,così è, parimenti, legittimo, nel nostro caso, parlare di “logica storica”, con riferimento all’opera-zione di ricerca della ratio – o, se si preferisce, delle cause – degli avvenimenti, che costituisce ildiscrimine tra il “fare storia” e il “fare cronaca”. Ed è questa la direzione, nella quale Il Rievo-catore si sforza di procedere.

Il Rievocatore© Riproduzione riservata

Nikolaos Gyzis,Allegoria della Storia

(1892)

Ci son di quelli che non dicon nulla ma lo dicono bene. Ce n'è altriche dicono molto ma lo dicon male. I peggiori son quelli che non di-cono nulla e lo dicon male.

Giovanni Papini

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יה - אשה - אישUOMO - DONNA - DIO

di Amedeo Arenaed Ennio Aloja

L’unicità duale del Dio d’Israele.lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei ope-rato, nel secondo conflitto mondiale, dall’anti-semitismo nazista, ha indotto i Papi e la Chiesaa una profonda riflessione cri-tica sul proprio rapporto con iseguaci dell’ebraismo-giu-daismo. Dall’antisemitismomedievale, discriminante eghettizzante «i perfidi giudeideicidi», si è passati al loro ri-conoscimento di fratelli mag-giori, figli dell’unico Dio diabramo. la svolta epocale, impressadal Concilio ecumenico Vati-cano ii, indetto da giovanni XXiii e portato atermine da Paolo Vi, ha prodotto un’autenticarivoluzione a livello teologico e liturgico. ilcattolicesimo, dagli anni sessanta in poi, è statoimpegnato su due fronti: il dialogo con la so-cietà contemporanea e il recupero delle sue piùautentiche radici cristiane testimoniate dal Van-gelo quadriforme e dai testi neotestamentari. il sessantotto cattolico e il movimento femmi-nista hanno contribuito a determinare ulteriori,motivi di riflessione, sull’attualità della nostrafede. la costante ricerca sulla storica ebraicitàe sulla natura teandrica di gesù di nazareth ha

indotto i biblisti cattolici ad approfondire la ve-xata quaestio dell’ispirazione divina dell’an-tico testamento e a rileggere, con rigorefilologico, i libri della genesi e dell’esodo,

espressione della preistoria eprotostoria del “popoloeletto”. Da credenti, tesi a essere cre-dibili, come più volte auspi-cato da Papa Francesco,avvertiamo l’arduo ma esal-tante compito di esporre lenostre tesi, nel pieno rispettodel loro libero arbitrio, agliatei negazionisti e agli agno-stici, assertori di una genesi

mitografica della bibbia. l’esegesi biblica con-temporanea è molto attenta a rilevare, nel ve-tero-ebraico e nell’aramaico, vocaboli maschilie femminili a livello lessico-semantico, sonostate analizzate antiche fonti della torah. lafonte jahvista risale al iX secolo a.C., quellaeloista al secolo successivo: la loro fusione èascrivibile al Vii secolo a.C. È fondamentaleevidenziare come lo spirito creatore divino, laShekinà, sia di genere femminile. non a casoPapa giovanni Paolo i (nella foto), evidenziòcome Dio sia, insieme, Padre e Madre. ancheil termine rachman, che noi traduciamo “mi-

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sericordia” evidenziando il cuore, nel vetero-ebraico la radice viene dal termine rechem, chesignifica “utero”. l’unicità duale di jahwè, elohim-adonai,viene esaltata nell’ultimo anello della crea-zione: la donna. Ish è l’uomo, Ishà (איש) (אשה)la donna: la stessa radice è un’assoluta affer-mazione di parità di genere. l’altra metà delcielo viene creata come compagna, sostegno diadamo, insieme animale nella sua corporeitàed angelo nella propria capacità plurale diascolto della Parola di Dio, di contemplazionedel creato, di esprimere il proprio io, di essereproiettato nella conoscenza del bene. Siamostati creati a immagine e somiglianza di Dio: ilteomorfismo ebraico-giudaico supera il mo-dello antropomorfico delle divinità anarie e in-doeuropee.

Figlia, sorella, sposa, madre.la più recente esegesi biblica di matrice catto-lica ha evidenziato, nella predicazione evange-lica eristica, elementi di continuità rispetto allatorah, di cui gesù attesta l’ispirazione divina.Più evidente discontinuità è stata rilevata ri-spetto alla tradizione orale, al talmud e al giu-daismo-farisaico. la polemica è presente nelVangelo quadriforme tra il Cristo e i farisei in-veste anche i ruoli della donna. Ciò che ha, da sempre, contraddistinto la mil-lenaria storia del popolo eletto è la famiglia. ildespota domestico, il pater familias, nellatorah, ha un’assoluta potestà sulla prole. nellasocietà patriarcale vetero-ebraica la cosiddettareligione mosaica distingue nettamente i ruolimaschili e femminili. Come figlia e sorella ladonna si forma “nella casa del padre” rispet-tando entrambi i genitori e apprendendo dallamadre tutto ciò che le sarà utile in futuro. il nu-bilato è considerato negativamente mentre il fi-danzamento e il matrimonio costituisconol’approdo auspicato anche se gestiti diretta-mente dai genitori dei futuri coniugi. l’inizialepoligamia era privilegio di re, patriarchi, ari-stocratici. nella maggior parte dei casi, come si evince daisaia, la necessità di avere una prole numerosa

prevedeva una doppia moglie: quella del primomatrimonio e quella più giovane. già dodi-cenne la donna era pronta per il matrimonio eil padre dello sposo prendeva iniziativa rappor-tandosi al padre della sposa. Ciò che si evincechiaramente dal libro dell’esodo è l’assolutodivieto di matrimoni misti, non era ammessoun legame stabile tra un ebreo e una donna pa-gana: l’endogamia, non l’esogamia era uno deiprincipi fondanti del popolo eletto. nella torah- Pentateuco emergono divieti eproibizioni inerenti soprattutto le donne. il le-vitico e il Deuteronomio presentano pene se-verissime per chi trasgredisce la legge mosaica.all’interno di una visione patriarcale la donna,però, aveva il suo spazio, il levirato e la fermacondanna dell’onanismo. la centralità del fidanzamento attraversa tuttala storia di israele. il termine haknashà includedue significati: la presa di possesso dello sposodella sposa, nella sua casa e l’unione dei dueper la vita. la Sacra Scrittura accenna almohàr, alla donazione del futuro marito alpadre della sposa. Chi era benestante donavaalla figlia sposa, i sillohim, una sorta di dote.l’approdo al matrimonio era per la donna unmomento fondamentale della sua vita. ella, ag-ghindata a festa, sedeva nella huppà, in un bal-dacchino. Sui due sposi gli invitati lanciavanosemi o sgranavano una melagrana, segni di fer-tilità. l’accusa di gesù ai farisei sarà di averaccentuato la subalternità delle donne.

* * *Come si può ben vedere, le due parole –“uomo” e “donna” – hanno delle lettere in co-mune (א e ש) e delle lettere differenti (י e ה).già questo può insegnarci una verità fonda-mentale: l’uomo e la donna hanno degli aspettiin comune, ma hanno anche delle differenze.Quando uomo e donna si uniscono e mettonoassieme le loro differenze (י e ה) cosa ne vienefuori?

יהDio.

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ECHIA - PIZZOFALCONE

di Alfredo Imperatore

Se da piazza San Ferdinando imbocchiamovia Chiaia, dopo pochi passi troviamo la

parte posteriore del Palazzo della Prefettura epoi, sempre a sinistra, una piccola piazza de-nominata largo Carolina, in onore alla sorelladi napoleonei, moglie dig i o a c c h i n oMurat.Salendo daquesta piaz-zetta per unaripida stradaintitolata agennaro Serra,giungiamo allacollina di Piz-zofalcone. Sulmotivo di que-sto toponimonon c’è con-cordanza per-ché alcuni loattribuiscono alla forma del-la collina simile albecco curvo di un falcone, mentre per altri sca-turirebbe dal fatto che nel periodo angioino visi praticava la caccia ai falconi, che, a lorovolta, erano addestrati per la caccia agli altriuccelli, specialmente ai colombacci.la collina di Pizzofalcone è chiamata anche

Monte echia, e pure su questo echia si sonosbizzarriti gli amanti dell’origine dei nomi.Una tesi lo vorrebbe corruzione del nome er-cole, e una corrente opinione ritiene che questomonte avrebbe ospitato il primo centro abitato

della nostraCittà, fondatada coloni gre-ci, fermatisiprima ad ischiae poi a Cuma.in origine le fudato il nome diPartenope, inonore della Si-rena Parthe-nope, raffigu-rata con corpodi uccello etesta di donna,gettatasi inmare perchénon amata da

Ulisse, e che, secondo la tradizione, sarebbestata ivi sepolta.Dopo una fase di declino, quest'iniziale borgorisorse e prese il nome di Palepoli (città vec-chia), per differenziarsi dalla nuova città che sistava sviluppando verso il lato est, col nomedi Neapolis.

rilievo assonometrico del Monte echia(dis. Ferdinando Ferrajoli)

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aggiungiamo qualcosa su Partenope. la suaorigine è certamente greca da παρθένος = fan-ciulla, vergine. Ma è stata ipotizzata la sua de-rivazione, tra l’altro, dall’agglutinazionedell’espressione latina portae novae opes,(guaraldi), a dimostrazione che le vie dell’eti-mologia sono infinite.e ritorniamo al Monte echia. Per la sua etimo-logia, oltre a ercole, si è pensato anche a Mon-ticulus, Egle, e altre amenità, per dirla con ilde Falco. egli, invece, dà per certa la prove-nienza del nome in questione dal fatto che sulmonte fu eretto un tempio dedicato alla divinitàfenicia astarte, innanzi al quale ardeva unfuoco votivo perenne, che fungeva anche dafaro per i naviganti, perciò serviva per la buonanavigazione e conclude «euplea cantata dal na-poletanissimo Stazio, donde (pl = ch) euchia equindi echia».Ma proviamo a farla più semplice. invece dipartire da una divinità, astarte, iniziamo da unadea minore, cioè eco, la ninfa delle fonti edelle foreste, personificazione dell’eco. Sitratta di un fenomeno acustico caratterizzatodal ripetersi di un suono per la riflessione diun’onda sonora contro un ostacolo solido.

Questo fenomeno si manifesta specialmente inmontagna. il primo nome della montagna inepigrafe, era proprio Monte echia, e solo suc-cessivamente fu chiamata Pizzofalcone inquanto, fin dal tempo di Federico ii di Svevia,vi si praticava la caccia ai falconi. “Pizzo” staper “vetta”.non v’è ragione di non credere che questa no-stra montagna (chiamata anche Monte di Dio,in seguito alla costruzione sul suo suolo delMonastero di Santo Spirito nel 1561) all’epocafosse luogo di diversi echi, così come avvienesu tantissime alture.la parola “eco”, viene dal lat. echu(m), che, asua volta, deriva dal greco ἠχώ, derivazione diἠχείν = risuonare: echi → echia.Un po’ come avviene in italiano con il suffisso-ia, che forma sostantivi astratti indicanti qua-lità (es.: allegria, audacia ecc.). Si potrebbeavere, anche in italiano, echi → echia, proprioa significare che in una certa zona abbondanogli echi. Però peccato che la parola “echia”, non è con-templata nei nostri vocabolari.

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Tra un fiore colto e l’ altro donatol’ inesprimibile nulla.

Giuseppe Ungaretti

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OMERO E ULISSEPASSARONO PER COROGLIO

di Elio Notarbartolo

Èstato sempre vivo il dibattito sui luoghi ita-liani dell’odissea, e certe puntualizzazioni

risultano molto più credibili di quanto ci fecerosapere sui banchi discuola. omero cono-sceva bene l’italiameridionale e lacosta tirrenica: cono-sceva l’isola di Caprie gli isolotti de ligalli dove molti stu-diosi si sono trovatid’accordo nel vederein essi il luogo delleSirene. a propositodelle Sirene, è un falso della fantasia rappre-sentarle come bellissime donne dalla coda dipesce. Ulisse parla del loro canto irresistibile,non della loro bellezza. infatti gli antichi grecici hanno tramandato immagini di Sirene comeuccelli dal volto femminile molto più compa-tibili con il canto che con la bellezza.bene: e Polifemo, la sua grotta, la sua terraricca di pampini e di uva, i massi scagliati con-tro la nave di Ulisse? non si tratta della Sicilia,dice lo studioso francese Victor bernard: lì nonsi trova l’isola delle capre con il suo porto pic-colo piccolo. Si tratta di nisida, dice bernard,e i massi scagliati da Polifemo contro i grecisono i due scogli a forma rastremata in altosotto trentaremi che si conoscono come sco-glio di levante e scoglio di Ponente.e la grotta di Polifemo? era posta in alto ri-

spetto al mare, racconta omero. Ulisse vigiunge con dodici compagni con un percorsoin salita. la caverna è alta e profonda. Sulla sa-

lita di Coroglio apoca distanza dalmare c’è ancora oggi,e ben conosciuta, labocca di una altis-sima caverna, oltre10 metri, che neltempo fu allungata econformata dai ro-mani che crearono untunnel che ancora og-gi porta a quella che

fu la villa di Vedio Pollione. i romani prolun-garono per oltre 700 metri l’originaria cavernanaturale e sboccarono proprio verso trenta-remi. la larghezza della grotta, oltre 6 metri,la sua originale profondità, la sua ancora ogginaturale altezza, 10 metri, accreditano questaspelonca che oggi fa da ingresso al Parco diPosillipo come l’“antro di Polifemo”. D’altrocanto deve si trova l’ingresso al regno deiMorti, se non al lago d’averno? Dove si tro-vano le Sirene se non nella penisola sorrentina?e allora, che “ci azzecca”, direbbe Di Pietro,la Sicilia, aci trezza con tutti questi posti cosìvicini e ben individuati? È più facile pensareche chi raccontò di Polifemo si sia riferito abagnoli, a nisida e all’ingresso del parco diVedio Pollione.

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I CASTELLI E GLI ORDINI CAVALLERESCHI

di Orazio Dente Gattola

Icastelli furono una caratteristica costantedegli ordini militari altrimenti noti come ca-

vallereschi. Possiamo ben dire che nella fasedel medioevo che li caratterizzò non vi fu or-dine cavalleresco privo di castelli. le tre regioni inte-ressate dalla vitadegli ordini militaridel Medioevo corri-sposero ad altrettantearee di sviluppo delfenomeno già pre-sente, sia pure in mi-sura non accentuata,nell’europa tra il iXe l’Xi secolo. Sitratta dell’area Siria-libano-Palestina, digran parte dell’area Prussia-livonia e di unavasta area delle Spagna centrale.non si può dire che gli ordini militari abbianoelaborato una propria architettura, in quantoper lo più si limitarono a sviluppare stili giàesistenti, giungendo in genere a risultati digrande efficacia grazie al rinnovato contatto tra

l’occidente e l’oriente nel quale – tramite bi-sanzio – i modelli romani si erano evoluti ar-ricchiti dall’apporto siro-iraniano. in terrasanta furono i templari e gli ospeda-lieri a darsi carico della difesa delle coste e di

alcune vie internenonché della via set-tentrionale che dallaSiria, costeggiandola riva sinistra delgiordano e passandoa est del mar Morto,giungeva sino adaqaba.gli ordini talvoltaereditarono difesecastellane da signorilaici, anche se non

mancarono casi in cui accadde l’inverso. È frutto di fantasia il fatto che i templari pre-ferirono un certo tipo di architettura castrensee gli ospedalieri un altro. non risponde al veroil fatto che i templari prediligessero un tipoparticolare di pianta per i loro torrioni (donjon)e gli ospedalieri un altro. Dimenticano i soste-

n. 1

La luna del Bengala non è uguale alla lunadello Yemen, ma si lascia descrivere conle stesse parole.

Jorge Luis Borges

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nitori di questa teoria che molto spesso gli or-dini militari si limitarono a fare loro e svilup-pare ampliandole precedenti strutture.Per quanto riguarda l’area Siria-libano-Pale-stina abbiamo eloquenti resti di castelli comegli ospedalieri Krak dei Cavalieri nell’attualeSiria e di belvoir (foto n. 1) nell’attuale israele.risalgono ai templari i castelli di athit inisraele, di tortosa in libano e di Safita in Siria.Sono presenti nell’area e, precisamente, in li-bano i cavalieri teutonici con il castello diMontfort (foto n. 2). Degli ospedalieri sonopresenti le fortificazioni di acri (foto n. 3).Semmai l’architettura castellana dei vari ordinisi caratterizza per la maggiore o minore esten-sione: si tratta per gli insediamenti maggiori distrutture destinate a residenze e a centri di pro-duzione oltre che a sedi di guarnigioni. Con-corrono, poi, a caratterizzare la destinazione learee destinate alla preghiera e alle attività co-muni dei monaci, come ad esempio la sala ca-

pitolare, che nel caso del Krak dei Cavalieri sicaratterizza per una particolare bellezza.Purtroppo le strutture, specie quelli ubicate inSiria, hanno riportato danni ingenti a seguitodegli eventi bellici che le hanno interessate.in Spagna una certa dislocazione territoriale èdovuta alla presenza nell’aragona di ordini chesi dedicavano alla difesa della terra Santa. nonmancano, anzi sono predominanti, gli influssidell’architettura militare arabo-africana.l’ordine templare è presente con notevolistrutture castellane, segnatamente a Ponferrada

in leon, ad alcantara, a Valencia; in Portogallosi segnala il castello templare di tomar.Veramente notevoli sono le testimonianze la-sciate dall’ordine teutonico a Marienburg eKonigsberg, antiche capitali dell’ordine auten-tiche città-fortezze-conventi. la memoria delcarattere militare ed ecclesiastico al tempostesso è data da una curiosità: in russo “chiesa”si traduce con kastiol.

n. 2

n. 3

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L’ACQUA “ZUFFRÉGNA”Il rifacimento del Molo Beverello ha fatto riemergere, ai primidello scorso mese di novembre, la sorgente della celebre acquazuffrégna, l’acqua sulfurea che rese celebri le numerose banche ‘ell’acqua sparse per la città: una punta di bicarbonato, una strizzatadi limone e, via, ecco pronta una gazosa assolutamente naturale.Ancora oggi, c’è chi la confonde con l’acqua ferrata, ricca non dizolfo, ma di minerali di ferro, la cui sorgente, lungo via Chiata-mone, fu chiusa quando fu restaurato l’hotel Continental. Ben-

tornata, dunque, l’acqua zuffrégna; e speriamo che nessuno se ne inventi di nuovol’inquinamento, come avvenne alcuni anni fa, quando la sorgente fu occultata.

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Letture

Boccaccio, Dante e Petrarca:

TRE UOMINI E IL MARE

di Gemma Teresa Colesanti*

Per introdurre il libro diroberta Morosini, Il

Mare salato. Il Mediterra-neo di Boccaccio, Petrarcae Dante, ad un lettore nonesperto di letteratura, ma de-sideroso di poter affrontareun viaggio metaforico trapagine dense di questo di in-credibile volume, vorrei su-bito precisare che il Me-dioevo mediterraneo, quelloche viene illustrato e vissutoda Dante, Petrarca e boccac-cio, è l’epoca del basso me-dioevo, dal Xiii al XiVsecolo, quello della civiltàcomunale e della civiltà ca-valleresca, che si traduce poi nel rinascimentoa forza di accumulare conoscenze, innovazionie tecnologie, che circolavano in tutti i territoridel Mediterraneo. Questa circolazione, come dimostrato anchedall’autrice, era anche movimento culturale ecostituiva una parte rilevante degli scambi me-diterranei: da una parte vi era un sapere tec-nico, legato alle navigazioni, oppure scientifico

come per la matematica, es-senziale ai commerci; dal-l’altra lo spazio mediterra-neo si spalancava anche allearti, alla letteratura, alla poe-sia, divenendone esso stessometafora già dall’antichità. il Medioevo, ricordava Um-berto eco all’inizio del suoDieci modi di sognare il Me-dioevo, «inventa tutte le cosecon cui ancora stiamo fa-cendo i conti, le banche e lacambiale, l’organizzazionedel latifondo, la struttura del-l’amministrazione e dellapolitica comunale, le lotte diclasse e il pauperismo, la

diatriba tra Stato e Chiesa, l’università, il ter-rorismo mistico (eresie), il processo indiziario,l’ospedale e il vescovado, persino l’organizza-zione turistica» (pensate ai pellegrinaggi aroma, S. Michele arcangelo e gerusalemme).all’elenco di eco si potrebbero aggiungeretante altre cose riproposte in questo volume tracui i network di pratiche e circuiti commercialiche riguarda anche piccoli commerci verso

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l’entroterra, inclusi il cabotaggio, le rotte localie le reti regionali che valorizzano e sfruttano ilmare come via di comunicazione tra realtà geo-grafiche e culturali diverse. era normale infattiper chi navigava nel Mediterraneo tra spondetanto diverse, non limitarsi solo ai contatti ealla vita delle città costiere o alle rotte marit-time ma interagire con tutti i circuiti possibilicome quelli culturali. alla luce di questa premessa, il corposo librodella Morosini offre una lettura sorprendente,come è stato già sottolineato da altri critici, ri-spetto al modo in cui siamo abituati a conside-rare Dante, Petrarca e boccaccio. il libro è unappassionante viaggio tra testi ed immagini,soprattutto miniature, tratte da manoscritti me-ravigliosi che permette ai lettori di conoscereprobabilmente una parte di quello che potevaessere l’immaginario visivo dell’epoca. nonentro nel merito della critica letteraria, che nonmi compete, ma vorrei evidenziare brevementequello che più mi ha colpito del libro: l’analisie la ricostruzione di quelle figure femminili, ri-scoperte al di là degli stereotipi trasmessi persecoli, donne forti indipendenti e autorevoli at-traverso la rilettura delle opere dei tre scrittori.tra queste c’è sicuramente Didone, viaggia-trice e fondatrice di città, che con coraggiofugge, lasciando il noto, la propria patria perl’ignoto in una prospettiva che dia un futuro alsuo popolo. infatti, come racconta la studiosa,il primo atto politico della regina di Cartaginegiunta sulle coste africane è quello di investireil tesoro confiscato a suo fratello per acquistareil terreno allo scopo di fare di quella terra il suonuovo regno. anche la storia di Carmenta,

tratta dal racconto del De Mulieribus, ci resti-tuisce il ritratto della viaggiatrice a cui le po-polazioni italiche devono l’invenzione deicaratteri dell’alfabeto latino. limitarmi tuttavia solo a sottolineare questipersonaggi sarebbe un grave torto ad un’operacosì densa di tante altre suggestioni che spa-ziano dall’itinerario geografico-rappresenta-tivo di Dante che rievoca il mare e il mondomarino attraverso un vivido immaginario dimetafore e di suoni, al «mal del mare» del Pe-trarca che fu il solo dei tre ad avere un’espe-rienza diretta del mare. il Petrarca, secondo l’autrice, ha prodotto unalunga serie di immagini che «rievocano laforza delle onde, di un mare che diventa un’in-dimenticabile metafora per parlare del suoviaggio interiore fra le onde tempestose», maha anche descritto un viaggio verso la terraSanta, l’Itinerarium ad sepulchrum Domini no-stri Yehsu Christi, che fu pensato come unaguida per chi volesse compiere un pellegrinag-gio in quei territori. in tutte le opere di questitre pilastri della letteratura medievale la Moro-sini è riuscita a verificare in che misura e in chemodo venga interiorizzata e poi trasmessal’immagine del nostro mare salato, inteso se-condo la definizione di un grande medievista,Franco Cardini, come continente liquido.

ROBERTA MOROSINI, Il Mare salato. IlMediterraneo di Boccaccio, Petrarca e Dante(Roma, Viella, 2020), pp. 352, €. 39,00.___________

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IL PALAZZO REALE DI NAPOLI

di Ferdinando Ferrajoli jr.

Napoli trova sinergia sistematica in questatestimonianza della sua storia; interpreta

quindi i suoi beni culturali, tra questi Palazzoreale che prorompe su Piazza Plebiscito, resi-denza borbonica di un tempo che fu. l’influiredella storia diventa documento dove pittura earchitettura si trovano in simbiosi con riferi-mento ad un’arte che coinvolge. Quindi fa presentenella scena l’avvenimento,che si realizza in tutt’uno. nel 1599, l’allora viceréFernandez ruiz de Castro,conte di lemos, manifestòl’intenzione di costruireuna residenza reale incittà, al fine di realizzareuna degna dimora perospitare il sovrano Filippoiii e la regina, che eranoattesi in un’imminente visita ufficiale a napoli,evento che, però, non si verificò mai. l’edifi-cio, così, divenne sede dei viceré spagnoli –nonostante don Pedro de toledo (viceré cin-quant’anni prima) ne avesse realizzata già una–, poi di quelli austriaci e, in seguito, dei re-gnanti di casa borbone. Dopo l’Unità d’italia,il palazzo venne utilizzato come residenza daiSavoia.la costruzione dell’edificio venne affidata aDomenico Fontana, ingegnere Maggiore delregno e architetto tra i più prestigiosi del suotempo. Questi era molto famoso per aver av-viato un grande lavoro di ristrutturazione urba-nistica di roma per conto di papa Sisto V, ma,dopo la morte di quest’ultimo, era caduto ve-locemente in disgrazia e, quindi, accettò con

grande entusiasmo il nuovo incarico, tanto chelasciò la sua firma su due basi delle colonneposte all’ingresso: DoMiniCUS Fontana Patri-CiUS roManUS eQUeS aUratUS CoMeS Palati-nUS inVentor.Si scelse di edificare la nuova opera sul terrenooccupato dai giardini del palazzo vicereale ci-tato in precedenza, zona molto importante dal

punto di vista strategico –vista la sua vicinanza almare e al Maschio an-gioino, comode vie di fugain caso di emergenze – edal punto di vista urbani-stico – visto che il pianoregolatore del tempo pre-vedeva un’espansione dellacittà proprio verso questezone (Pizzofalcone e Chia-

ia), delle quali il nuovo edificio avrebbe sicu-ramente confermato e aumentato il valore –.inoltre, il vasto spiazzo che si apriva di fronteall’ingresso principale, poteva essere utilizzatoper accogliere i sudditi nelle feste e nelle oc-casioni importanti.Probabilmente, la prima pietra fu posta già nel1600, ma al grande fermento iniziale, sotto ladirezione del conte di lemos e del suo succes-sore Francisco de Castro (1601-1603), seguìuna lunga fase di rallentamento nel momentoin cui la città era guidata da juan alfonso Pi-mentel de Herrera (1603 - 1610), forse permancanza di fondi, ma, più probabilmente,perché quest’ultimo non aveva grande inte-resse nel portare avanti l’opera iniziata da unafamiglia di viceré di cui non faceva parte. in

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seguito, i lavori ripresero di buona lena quandoa napoli si insediò un nuovo membro dei contidi lemos, Pedro Fernandez de Castro.l’architetto Domenico Fontana, però, morì nel1607 e non riuscì mai a vedere la sua opera deltutto compiuta, cosa che avvenne dopo il 1843con gaetano genovese. nel corso dei secoli la-vorarono al progetto i più importanti architettiattivi nel regno come giulio Cesare Fontana,bartolomeo Picchiatti, ono-frio gisolfi, Francesco an-tonio Picchiatti, Domenicoantonio Vaccaro, Ferdi-nando Sanfelice, luigi Van-vitelli, Ferdinando Fu-ga eantonio niccolini. Comun-que, nonostante i secoli e lenuove esigenze che via viasi presentavano, tutti rima-sero in linea di massima fe-deli al progetto iniziale del Fontana.nel 1616, la parte esterna era completa, cosìcome parte del cortile e alcune stanze, tantoche alcune di queste erano state già affrescateda battistello Caracciolo, giovanni balducci ebelisario Corenzio. nel 1644, Francesco an-tonio Picchiatti preparò il bando di concorsoper le decorazioni della regale Cappella, da luicostruita. Due anni più tardi, anche questeerano finite grazie agli interventi di jusepe deribera, che realizzò la pala sull’altare mag-giore raffigurante la Santissima Concezione,giulio e andrea lazzari, Charles Mellin e gio-vanni lanfranco, e si poté procedere con la con-sacrazione.nel 1651, il vicerè iñigo Velez y tassis de gue-vara, conte di oñate, fece costruire da France-sco antonio Picchiatti l’attuale scalonemonumentale, che andava a sostituire il prece-dente più modesto. la nuova costruzione fu ul-terior- mente valorizzata quando, nel 1843,gaetano genovese optò per l’abbattimento del-l’antico palazzo vicereale, donando luce e vi-sibilità all’elemento architettonico che fuanche arricchito con marmi colorati, statue erilievi in marmo eseguiti dai migliori maestrinapoletani.tra il 1658 e il 1659 Cosimo Fanzago realizzò

la statua dell’immacolata per l’altare maggioredella cappella (oggi conservata al Seminarioarcivescovile di napoli), mentre giovan bat-tista Magno, detto Modanino, si occupò del-l’indoratura degli stucchi.tra il 1666 e il 1671, venne ultimata la costru-zione del belvedere, nel quale furono realizzatedecorazioni, oggi andate perdute, da luigigarzi, andrea Matino e giacomo Massaro.

nello stesso periodo, piùprecisamente nel 1668, nelgiardino, all’angolo delladiscesa verso il mare, fucollocata la statua del gi-gante, oggi esposta al Mu-seo archeologico di napo-li. nel 1707, è ancora lacappella a subire dei cam-biamenti. Questa volta sitratta del soffitto, rifatto da

giacomo del Po, di cui rimangono tracce di af-freschi tra le finestre.nel 1734, quando il regno di napoli divenneautonomo, Palazzo reale diventò finalmentela residenza del re. Carlo di borbone, per me-glio celebrare il suo matrimonio con Mariaamalia di Sassonia, nel 1738 commissionò aFrancesco De Mura le decorazioni della SalaDiplomatica, nella quale l’artista dipinse sulsoffitto l’Allegoria delle virtù degli sposi. Do-menico antonio Vaccaro si occupò della ca-mera nuziale, dove realizzò l’Allegoria dell’Amore e l’Allegoria della maestà del Re; altrilavori vennero eseguiti da Francesco Solimena,nicola Maria rossi e leonardo Coccorante,mentre il Sovrano fece anche costruire l’appar-tamento del Maggiordomo Maggiore da Ferdi-nando Sanfelice. inoltre, nel 1737, vennecostruito il teatro San Carlo e fondata la Fab-brica della Porcellana.Successivamente, tra il 1742 e il 1743, venneampliato il belvedere con l’aggiunta del giar-dino pensile, mentre nel 1751 venne fondata laStamperia reale. tre anni più tardi, luigi Van-vitelli si preoccupò di effettuare alcuni lavoridi consolidamento della facciata.inoltre, tra il 1756 e il 1758, venne costruito(forse da Ferdinando Fuga) anche il corpo di

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fabbrica orientale, denominato braccio nuovo,che occupò una vasta area dei giardini. origi-nariamente utilizzato per delle feste, in tempipiù recenti è stato destinato ad ospitare la bi-blioteca nazionale “Vittorio emanuele iii”.negli stessi anni, si andava delineando anchela costruzione della parte verso il mare che,però, rimase incompleta (vennero realizzatesolo le prime sei campate di balconi).i lavori proseguirono con Ferdinando iV che liaffidò a FerdinandoFuga, il quale, in oc-casione delle nozzetra il sovrano e MariaCarolina d’austria nel1768, trasformò lagran Sala della reg-gia spagnola in unteatro. Questa sala,purtroppo, si trovanella parte dell’edifi-cio colpita durante ibombardamenti del 1943 e di essa si sono sal-vati, oltre alla struttura d’insieme, le tre pareticon il palco e le nicchie con le statue di carta-pesta raffiguranti le Muse e gli dei, opera diangelo Viva. altre decorazioni vennero realiz-zate sotto la supervisione di Ferdinando Fugatra il 1775 e il 1778.in seguito, tra il 1806 e il 1815, durante il De-cennio francese, gli interni vennero decoraticon arredi in stile napoleonico provenientidalla Francia, ma anche da artigiani locali,mentre nella reale Cappella venne trasferitol’altare maggiore della chiesa di Santa teresadegli Scalzi, realizzato nel 1674 da Dionisiolazzari. nello stesso periodo, antonio nicco-lini realizzò una nuova facciata per il teatroSan Carlo.nel 1818, dopo il ritorno dei borboni avvenutotre anni prima, vennero decorate la terza anti-camera e la sala del trono, mentre nel 1832 fusistemata la fontana del cortile e demolita laCavallerizza seicentesca per dare spazio a

quella nuova in stile neoclassico.nel 1837, un incendio interessò l’ala est del pa-lazzo, evento che rese necessario un restauro,affidato all’architetto gaetano genovese, e lospostamento dei sovrani e della corte al se-condo piano. i lavori, che durarono dal 1838 al1858, portarono alla demolizione del vecchioPalazzo Vicereale e della Fabbrica della por-cellana, mentre venne rivisto l’allestimento delgiardino e l’appartamento delle feste venne ar-

ricchito con decora-zioni in stucco digennaro aveta etempere di gennaroMaldarelli, giuseppeCammarano, FilippoMarsigli, Vincenzode angelis, Salvatoregiusti e Camillo guerra.inoltre, gli apparta-menti privati vennerospostati al secondo

piano e il piano nobile che affaccia sul cortiled’onore diventò appartamento di etichetta. in-fine, vennero realizzate le decorazioni inmarmo della Scala dei Forestieri e di altre sale.Con l’Unità d’italia, come detto, il palazzo di-venta residenza napoletana di Casa Savoia e,già nel 1861, nel giardino a nord compare lastatua raffigurante l’italia. Più tardi, nel 1888,re Umberto i fece realizzare le otto statue postenelle nicchie della facciata (v. foto qui sopra).nel 1919, Palazzo reale diventa proprietàdello Stato che lo apre al pubblico e, tra il 1922e il 1923, vi trasferisce la biblioteca nazionale“Vittorio emanuele iii” al primo e al secondopiano dell’ala delle Feste. la Seconda guerraMondiale causa alcuni danni, poi sistematinegli anni successivi, e anche la caduta dellamonarchia determina la dispersione di alcuniarredi. Dal 1995 si presenta nella forma mu-seografica di appartamento storico e di biblio-teca nazionale.

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Graeca per Ausoniae fines sine lege vagantur.(I vocaboli della lingua greca circolano entro i confini dell’Italia senza regole).

Regia Parnassi (Paris 1679)

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IL PRESEPE POPOLARE NAPOLETANO

di Ennio Aloja

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Un esempio di profondo sincretismo reli-gioso.il presepe popolare, una delle tante cifre delpresente antico di napoli, è stato oggetto, negliultimi decenni, di interessanti ricerche pluridi-sciplinari per il suo profondo sincretismo reli-gioso. allestito quasi esclusivamente dalcosiddetto “popolo basso”,questo presepe, povero, maricco di valori immateriali,si è sempre distinto netta-mente dai famosi allesti-menti liturgici e laici deisecoli d'oro di napoli capi-tale, in gara, per arte e cul-tura, con londra, Parigi eVienna. l'alterità, la diversità delpresepe popolare è ricono-scibile sia nella sua sem-plice struttura sia, soprat-tutto, nell'animazione, rea-lizzata con piccoli pastorifittili e policromi. È il mi-crocosmo di una betlemme napoli multietnicae multiculturale, ricca di miti, simboli, tradi-zioni e credenze, patrimonio inestimabile diuna millenaria pietas popolare. il presepe delle classi subalterne di una napolidimidiata tra oriente ed occidente, genetica-mente, è legato alla creatività dei presepisti e

dei cretai della comunità artigiana di San gre-gorio armeno, la storica via dei fìgurarumsculptores. non è mancato, nel tempo, l'ap-porto personale di migliaia di napoletani che sisono dilettati e si dilettano, ancora oggi, acreare varianti ad una tradizione presepiale cheha attraversato secoli di storia, trasmessa di ge-

nerazione in generazione.nato nel cuore antico dellacittà e nel suo centro sto-rico, il più vasto d'europa,dal secondo dopoguerra inpoi, questo allestimento po-polare si è diffuso nei quar-tieri collinari e periferici,definito come presepe de-vozionale, domestico, fa-miliare. Studiosi del calibro di ro-berto de Simone, Marinoniola, italo Sarcone e al-fredo Cattabiani hanno fo-calizzato la notevole com-plessità di questo presepe,

custode di straordinarie sedimentazioni e con-taminazioni religiose e culturali. in questa ri-cerca archeologica dell'anima popolare sonoemersi richiami a divinità solari mediorentalied egizie, ai testi evangelici canonici ed apo-crifi, a teofanie elleniche e latine, a leggendenapoletane, campane e del sud - italia.

n. 1

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La simbologia presepiale della Stella e deiMagi.l'evangelista Matteo introduce la presenzadella Stella (foto n. 1), che guida i Magi (foton. 2) dall'oriente a betlemme, come una realtàsoprannaturale. la natura eristica della stella,nella dottrina orientale, viene evidenziata dasei od otto punte. la stella a sei punte allude alKrismon, il monogramma cristico formatodalle iniziali maiuscole delle lettere alfabetichegreche iota echi, Iesous Xri-stos. la stellaad otto punteallude alla na-scita di gesù, ilSalvatore delmondo, ottavogiorno della crea-zione divina. il Vangelo ca-nonico di Mat-teo (8,1-2 e 9-11) non indicané il numero néil nome deiMagi. Da secolile nostre scarne ma preziose notizie sui Magisono attinte dai Vangeli apocrifi. nel Vangeloarmeno dell'infanzia sono indicati i nomi ga-spare, Melchiorre e baldassarre, il numero deiloro cavalieri, dodicimila, e quello dei mesi,nove, occorsi per raggiungere gerusalemme e,poi, betlemme. l'oriente, in epoca protocristiana, include leregioni della via dell'incenso: il deserto siro-arabico, la Mesopotamia, la Persia, l'india, ilCorno d'africa e l'indocina. il numero tre at-tribuito ai Magi allude all'universalità del mes-saggio salvifico di gesù Cristo, le razze,

espresse dai figli di noè Sem, Cam e jafet, leparti del mondo allora conosciute, africa, asiaed europa e i doni offerti a gesù bambino, oroper la regalità, incenso per la divinità e mirraper l'incorruttibilità. gaspare, colui che pos-siede il Far, la luce che dà vita all'universo, ègiovane, cavalca un cavallo fulvo e donerà l'in-censo per omaggiare la divinità di gesù in-fante. Melchiorre, il re della luce, è vecchio,cavalca un cavallo bianco e dona l'oro che, da

sempre, è sim-bolo di regalità:gesù è il re deire nella versio-ne biblica davi-dica. baldas-sarre, colui cheè protetto dalSignore, è moro,cavalca un ca-vallo nero edona la mirra,simbolo di in-corruttibilità edi eternità. ge-sù, vincitore del-la morte, Si-

gnore del mondo è immortale.

La presenza dei Magi nella tradizione cri-stiana e nel presepe napoletano.Matteo, sostenitore della totale ebraicità digesù e della sua natura teandrica, profetizzatanell'antico testamento, è anche l'evangelistache sembra maggiormente mettere in lucel'universalità del messaggio del "Figlio del-l'uomo". l'ex-gabelliere di Cafarnao è l'unicoevangelista ad introdurre, nella narrazionedella nascita betlemita e dell'epifania di gesù,la presenza soprannaturale della stella e l'ado-

n. 2

L’uomo incatenato del nostro secolo è un Prometeo condannato dallapropria impossibilità di comprendere, incatenato ad una montagnacon la quale, in quanto massa, si confonde. O, ancora meglio, con-dannato da chi lo vuole massa-e-montagna, contro la sua desiosa vo-lontà di separarsene.

Vintila Horia

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razione dei Magi, provenienti dall'oriente em-blema di una parte significativa del mondo al-lora conosciuto. Sant'agostino, coniugando, insintesi, i testi evangelici di luca e Matteo,parla di una primitia gentium rappresentatadagli isdraelites pastores e dai Magi gentiles. Cosa accomuna i duri e puri pastori betlemitied i sapienti Magi detentori di una millenariascienza? È la risposta immediata ad un annun-cio che viene dal cielo, angelico ed astrale.emerge il fondamentale tema del pellegrinag-gio, il mettersi in cammino per raggiungere unameta segnata da una presenza divina. la pietas popolare della Cristianità d'oriente ed'occidente ha trasformato i Magi in protomar-tiri nella Sequela Christi. gaspare, Melchiorree baldassarre sarebbero ritornati a gerusa-lemme durante la Passione di gesù ed uccisi incontemporanea alla crocifissione del Figlio

dell'uomo. Sepolti in un'unica tomba, le lororeliquie saranno traslate a Costantinopoli daSant'elena e custodite nella basilica di SantaSofia. eustorgio, vescovo di Milano, le porterànel capoluogo lombardo da dove l'imperatoreFederico i barbarossa le trasferirà a Colonia,in germania. nel 1903 una parte di queste re-liquie tornerà a Milano. nell'animazione dei presepi napoletani durantei dodici giorni compresi tra Santo Stefano el'epifania i Magi vengono spostati tre volte: dalcastello di erode, sito in alto, al centro quandocavalcano cavalli o dromedari, dal centro allaparte bassa dello scoglio, cavalcando ancoracavalli o dromedari ed infine dalla parte bassaalla grotta centrale. Qui i Magi sono a piedi erecano i loro doni a gesù infante. l'adorazionedei Magi avviene il 6 gennaio.

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BANDI DI CONCORSO

La Commission internationale d’histoire militaire (http://www.icmh-cihm.org/fr/)indice il premio “André Corvisier” per le tesi di storia militare (in senso lato) didottorato – conseguito anche in altre discipline storiche –, presentate nell’anno2020 in una Università riconosciuta. L’ammontare del premio è di €. 3.000, oltrea un massimo di €. 1.500 a copertura delle spese di partecipazione alla cerimonia

di consegna, che avrà luogo nell’ambito del 46° Congresso della Commissione (Atene 2021). Iltermine per la partecipazione è fissato al 31 gennaio 2021; copia del bando e ulteriori informazionipossono essere richieste al vicepresidente, dr. Harold E. Raugh Jr. ([email protected]).

* * *La Fondazione “Felice Gianani” bandisce un concorsoper titoli ad una borsa di studio intitolata al nome di Fe-lice Gianani e riservata a cittadini dell’Unione Europea,che abbiano conseguito una laurea specialistica/magi-

strale o un titolo equivalente posteriormente al 30 giugno 2017 con il massimo della votazionepresso una università od un istituto equiparato e desiderino perfezionare, in un Paese diverso daquello di provenienza, gli studi intrapresi in materia giuridico-economica (law and economics)con riferimento ai mercati finanziari nazionali ed internazionali, attraverso la frequenza di uncorso di studi o lo svolgimento di un programma di ricerca di durata prevista non inferiore a 9mesi. L’importo della borsa di studio, non cumulabile con altra borsa o assegno di studio, è di €.10.300, oltre a un contributo pari all’80% delle tasse universitarie, comunque, complessivamente,non superiore a €. 5.000. La domanda di ammissione al concorso dovrà pervenire alla Segreteriadel concorso - Piazza del Gesù, 49 - 00186 Roma o a l l ’ ind i r i zzo d i pos ta e le t t ron [email protected], entro il termine perentorio del 31 dicembre 2020. Ulteriori in-formazioni e il bando potranno essere richiesti agli stessi indirizzi.

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LA CHIESA DEI SS. FILIPPO E GIACOMO

di Ferdinando Ferrajoli

L’arte della seta, a napoli, è tanto antica darisalire, sembra, agli albori della nostra ci-

viltà. i napoletani, infatti, fin dai tempi dellaMagna grecia erano maestrinel preparare e lavorare laseta.le cronache del tempo diruggiero il normanno1 ricor-dano che, quando verso il1150 il re volle vendicarsi del-l’imperatore Manuele Com-neno che, senza alcuna ragio-ne, si era rifiutato di dare inmoglie la figlia al suo primo-genito, facendo devastare daisuoi ammiragli i possedimentiitalici dell’imperatore greco,all'ingente bottino razziato ag-giunse, nel negroponte e nellabeozia, un forte numero di prigionieri specia-lizzati nella lavorazione della seta; che imme-diatamente dispose fossero distribuiti in Pugliae in Sicilia per migliorare i sistemi di lavora-zione di una industria già esistente, ma con-dotta ancora con metodi primitivi.Quando alfonso i d'aragona cinse la coronadel regno, l’arte della seta era già tanto pro-spera da indurre il re ad agevolarla con privi-legi e concessioni straordinarie. Molto di piùfece Ferrante i nel 1474. istituì un tribunalespeciale con giurisdizione civile e penale sututti i venditori e su quanti esercitavano l’artedella seta: si trattò, in effetti, di una vera e pro-pria corporazione, istituita per vigilare ed in-

coraggiare questo settore, e si provvide, inoltre,ad erogare una pensione governativa a quanti,per casi di forza maggiore, non potessero con-

tinuare a prestare opera nell’in-dustria. Verso il 1550, con ilconcorso di negozianti ed operai,venne eretto, al vico barrettari alMercato, un conservatorio dedi-cato ai SS. Filippo e giacomo.nel 1593, comprato il palazzodel principe di Caserta a S. bia-gio dei librai, vi si istituì un piùampio conservatorio e vi si edi-ficò l’attuale chiesa dei SS. Fi-lippo e giacomo.il prospetto della chiesa, che ri-sente alquanto dello stile delborromini, porta ai due lati dellaporta, le statue in stucco dei due

santi scolpite dal Sanmartino. Dello scultoregiuseppe Picano sono, invece, le statue dellareligione e della Fede nel piano superiore. ipeducci della cupola e gli affreschi della chiesafurono dipinti da giacomo Cestari. nel conser-vatorio gli operai mantennero oltre 300 fan-ciulli iniziandoli all’arte della seta. Questaistituzione durò fino a tutto l’ottocento.

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1 anonimo Cassinese, an. 1150, riportato da n. Viven-zio, Dell’istoria del Regno di Napoli e suo governo. 2,napoli 1816 (Vita di Re Ruggiero).

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SEBASTIANO BARTOLI

di Walter Iorio

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La vita.Sebastiano bartoli1 era originario di Montellairpina, dove nacque nel 1630 da agiata famigliapatrizia, ma della quale si conoscono solopochi eventi2. Da sempre interessato allo studio dell'uomo in-teso come persona e come paziente, ebbe mododi frequentare a napoli personalità insigni delmondo filosofico, scientifico e medico, distin-guendosi in ogni disputa per originalità di ve-dute e spirito critico. incline, infatti alla riflessione conseguenzialesul dato empirico dell'esperienza piuttosto cheal dettato di una gnosis secolare e prona al prin-cipio di auctoritas, avvertì l'esigenza di correg-gere, integrare, verificare il sistema gnoseo-logico-epistemologico tradizionale, rispon-dendo e condividendo osservazioni del pen-siero scientifico contemporaneo già altroveavanzato. e al pari di taluni altri scienziati dell'epoca, an-ch'egli incorse nelle reazioni e nell'ostilità dellaCuria Pontificia, poco incline a disancorarsidalle certezze granitiche di una pur alta ma an-

gusta sapientia maiorum. Sin dalle primeopere, infatti, è evidente che il bartoli si schie-rasse dalla parte di quanti portassero «il loroassedio alle mura del Collegio medico e delloStudio, dietro cui» erano asserragliati come intrincea «gli alfieri del galenismo, custodi diun'ortodossia dogmatica e tutori irriducibili diun sapere autoritativo e canonico»3.Soltanto in una città, infatti, proiettata verso unfuturo di progresso e animata dal mecenatismodi sovrani illuminati come napoli4, il grandeMontellese poteva operare in disponibilità diidee, di programmi e di risorse e lavorare a unmetodo che, lungi dal costringere la scienzaumana alla teoria teologica e metafisica, laemancipasse da vincoli millenari e la accor-dasse alla misura stessa dell'uomo inteso comeentità binaria di soggetto/oggetto di scienza ecome agente/paziente di un morbo. Una posi-zione innovativa, rivoluzionaria, che ben testi-monia «quanto (…) abbia significato nelpanorama del Seicento napoletano, specie inrelazione all'applicazione di metodologie di in-dagine innovativa rispetto a quelle del pas-sato»5.Proprio, infatti, l'esigenza di agire in un conte-sto intellettuale più ampio e aperto spinse l'au-tore a entrare come sodale nell'accademiadegli investiganti che, al pari di numerose altre,propugnavano il libero pensiero e la circola-zione di idee, conoscenze e fermenti nuovi; eciò lo impose all'attenzione di colleghi, scien-ziati e filosofi che gli si legarono di amiciziacome tommaso giunti, andrea bacci e Vin-

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Sebastiano bartoli merita gli applausidella posterità per lo spirito di investiga-zione e di libertà da lui introdotto nellamedicina col preferire che fece ad ogniincontro gli esperimenti e le osserva-zioni sulla natura agli splendidi antichimetodi sostenuti da' galenisti suoi con-temporanei.

(P. napoli-Signorelli,Vicende delle colture nelle Due Sicilie)

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cenzo Crisconio6. Ma, in verità, non gli man-carono nemmeno avversari, fra cui, massima-mente, tommaso Cornelio, innocenzo Fuidoroe Carlo Pignatari e non pochi altri influenti pre-lati della gerarchia ecclesiastica che incarna-vano la visione tradizionalistica e reazionariadi quella intellighentia egèmone. a ben vedere, però, il bartoli non intendevadissacrare, e tanto meno demonizzare, né lospirito né la sostanza delle conoscenze passate:al contrario egli partiva da quelle pregresse diuna sapienza antica perconfrontarle con le novitàultime delle acquisizionirecenti: e infatti non man-cano, nella narrativa dellaThermologia Aragonia,reminiscenze della mitolo-gia locale o della storianapoletana e flegrea, che,per nulla operanti comemera esornazione descrit-tiva, intendevano mutuareun rapporto sinergico frapassato e presente in nomedi una progressiva conti-nuità gnoseologica. e sequesti risultati si conse-guivano nella Campania Felix della dinastiaaragonese, non era un caso, poiché l'attivitàumanistico-scientifica era patrocinata dal me-cenatismo illuminato del viceré di napoli DonPedro, di cui Sebastiano era suddito fedele: al-lora ippocrate, Plinio, lo stesso galeno, con ilcui modello di ricerca e di terapeusi sarebbepoi entrato in collisione, venivano richiamati anuova vita per essere inseriti in un sistema gno-seologico-epistemologico propulsivo di nuoveulteriori scoperte. Ma un aspetto a tal riguardo sensazionale èanche un altro: assolutamente caratteristicodella corte partenopea e di poche altre deltempo, che sottolinea il nutrimento di un crea-tivo senso municipalistico e territoriale di certepersonalità del tempo: è prassi normale, infatti,che ab alto i governi commissionino lo svolgi-mento di attività programmate a dicasteri emaestranze competenti. anche nella napoli

aragonese accadeva tutto questo ma era altresìl'intellighentia, ‒ una, peraltro, delle più pro-gredite del tempo e d'europa ‒ che ideava pro-getti e suggeriva modalità di esecuzione: Sirealizzava, in tal modo, un'interazione fecondatra mondo accademico e potere politico. Questo sinergico rapporto di reciprocità, anzi,metteva a disposizione di sovrani illuminati unpatrimonio cognitivo vastissimo, sostanziato,come era, di conoscenze antiche e acquisizionimoderne che si potessero finalizzare al benes-

sere dei sudditi. in talicondizioni, allora, l'intel-letto istruiva, sostenen-dola, l'azione di governocon l'autorevolezza del sa-pere e, operando in conso-nanza di intenti, se nesperimentava e ne valoriz-zava le potenzialità.il nemico da battere, in-somma, non era la culturadel passato ma piuttosto lamodalità e la prospettivaimmobilistica della frui-zione7. acuta in tal senso e larga-mente condivisibile è

l'osservazione del professore Marco leone, se-condo cui di questo autore non tutto «è classi-ficabile sotto l'egida della modernità, dalmomento che convivono in lui, almeno per ciòche riguarda la Thermologia Aragonia, straor-dinarie novità (la descrizione di un termometroper misurare la temperatura delle acque mine-rali, invenzione che non pare potergli vera-mente essere attribuita e che già il tiraboschigli contestava) e ripiegamenti conservatori (ilrifiuto della spiegazione del fenomeno dellemaree secondo i principi galileiani, a vantaggiodi una più antica teoria platonica; il ricorso allafenomenologia dei quattro elementi, di chiaraascendenza classica e medievale»8. l'esempio,anzi, di Sebastiano bartoli non rimase letteramorta né all'epoca sua né in quella successiva9,durante le quali metodi, ricerche, dati ed espe-rienze del Maestro funsero da riferimento allenuove generazioni di scienziati.

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in ogni caso rimane indiscutibile il contributodi Sebastiano bartoli ai progressi della scienzamedica, e dell'idroterapia in special modo, che,grazie a lui, recuperava una dignità notevolis-sima nella cura di morbi trascurati dalla negli-genza della prassi medica la quale ne avevasmarrito la memoria; e grazie, infine, al pro-getto di recupero delle fonti, delle sorgenti edei bagni distribuiti lungo l'intero litorale fle-greo propulso della monarchia aragonese, sipoteva restituire il benessere a pazienti di ma-lattie altrimenti esiziali: ex pristino novum!

Le opere.Artis medicae Dogmatum communiter Recep-torum examen in Deum Exercitationem Para-doxicas distinctum a Sebastiano Bartolo,taurini, Venetiis 1666.Breve ragguaglio dei Bagni di Pozzuolo, di-spersi, investigati per ordine dell'eccellentis-simo Signore Don Pietro d'Aragona e ritrovatida Sebastiano Bartoli, medico di Sua Eccel-lenza, roncagliolo, napoli, 1667.Thermologia Aragonia sive Historia NaturalisThermarum in Occidentali Campaniae orainter Pausillypum et Misenum scatentium, iamaevi iniuria deperditarum et Petri Antonii abAragonia studio ac munificentia restitutarum,tipographia novelli De bonis, neapolis, 1679.Tractatus anatomiae hepatis, lienis, renum etvescica urinariae, (opera manoscritta).

Bibliografia. n. badaloni, Introduzione a Gian BattistaVico, Milano 1961. M. barbieri, Notizie istoriche dei matematici efilosofi del Regno di Napoli, napoli 1778. l. Cangiano, Memoria su le acque pubblichedella città di Napoli e de' modi di aumentarle,napoli 1843.g. Coniglio, I Viceré spagnoli di Napoli, na-poli 1967.r. Cotugno, La sorte di Gian Battista Vico e le

polemiche scientifiche e letterarie dalla finedel XVII secolo alla metà del XVIII, bari 1914.e. D'afflitto, Memorie degli scrittori del regnodi Napoli, napoli 1794. voce Sebastiano Bartoli, in Enciclopedia Ita-liana, 6, roma 1964; ibid., app. Viii, Le Acca-demie del Seicento. C. De Frede, I viceré spagnoli di Napoli, roma1996. g.b. grassi, Sebastiano Bartoli, in Bibliogra-fia degli uomini illustri del Regno di Napoli, 6,napoli 1819. M. leone, Struttura, lingua e stile nella “Ther-mologia Aragonia”, in r.M. Zaccaria (a c. di),Sebastiano Bartoli e la cultura termale del suotempo, Firenze 2011. F. loffredo, Antichità di Pozzuolo e dei luoghicirconvicini, napoli 1580.r. Mazzola, L'eredità culturale di SebastianoBartoli, in r.M. Zaccaria (a c. di), op. cit.g.M. Mazzucchelli, Gli scrittori d'Italia, 2.1,brescia 1758. S. Miccio, Vita di don Pedro di Toledo, in Ar-chivio Storico Italiano, 1846. C. Minieri riccio, Note biografiche e biblio-grafiche degli scrittori napoletani fioriti nel se-colo XVII, Milano-Pisa-napoli 1875.a. Musi, Medicina e scienza a Napoli nel Sei-cento, in r.M. Zaccaria (a c. di), op. cit. P. napoli-Signorelli, Vicende delle colturenelle Due Sicilie, 5, napoli 1784. F. Paolucci-g. D'apolito, Note sulla famigliaBartoli, in r.M. Zaccaria (a c. di), op. cit. F. Patroni griffi, Napoli aragonese, roma1996. L'antica scienza campana del benessere: iBagni di Pozzuoli e la regola salernitana, inProvincia di Napoli, suppl. 5/6, 1991. M. rascaglia, I libri proibiti di un “philoso-pho” libero, in r.M. Zaccaria (a c. di), op. cit. a. romano, L'antica leggenda dell'antagoni-smo fra la Scuola medica di Salerno e le TermePuteolane nel Medio-Evo. Notizie e documenti

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L’ incomunicabilità è la più terribile delle solitudini.

Friedrich Nietzsche

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inediti, in XIX Congresso Nazionale di Idrolo-gia, Climatologia e Terapia Fisica e Dietetica,napoli, 10-15 giugno 1928. S. Serrapica, Sebastiano Bartoli (1630-1676).Un episodio della polemica tra antichi e mo-derni dalla disputa sulla macerazione dei lininel lago di Agnano all'astronomia del micro-cosmo, in Studi filosofici, 1996, pp. 177-222. F. Soria, Memorie storico-critiche degli storicinapoletani, napoli 1781. S. Stefanizzi, Sebastiano Bartoli, TommasoGiunti e Andrea Bacci, in M.r. Zaccaria, (a c.di), op. cit.M. torrini, L'Accademia di Sebastiano Bartoli:gli Investiganti, in r.M. Zaccaria (a c. di), op.cit.o. trabucco, Anamorfosi di un medico eretico,in. M. Zaccaria (a c. di), op. cit.M. Zaccaria (a c. di), op. cit.

e dalla strumentazione mediatica: Potere e bellezza. Angioini e Aragonesi, raiScuola, trasmissione del 27 aprile 2020. Intervista al vulcanologo Giuseppe Mastrolo-renzo, televomero dell’8 luglio 2020. Intervista alla direttrice dell'Osservatorio Ve-suviano Francesca Bianco, televomero del 13luglio 2020.http://terredicampania.it/reportage-in-campa-n i a / a c q u e - t e r m a l i - c a m p i f l e g r e i -storia/22/08/2017.http://terredicampania.it//storia/terme/ro-mani/storia-campiflrgrei/19/08/2017.___________1 in realtà la definizione del cognome dell'autore è al-quanto controversa: esso infatti oscilla tra le forme bar-tol-i (attestata in pubblicazioni autorevoli comel'Enciclopedia Treccani e altre più recenti di argomentoscientifico) e bartol-o (figurante nella toponomasticascritta e nella tradizione orale locale e di altre opere più

antiche). l'idea identificativa dello scrivente presupponel'uso, nella cognominazione italiana successiva alla ci-viltà medio-latina e medievale, di un antico genitivo pa-tronimico esemplato sul modello flessivo tardo-latinoBartolus (nominativo: bartolo), Bartoli (genitivo: dibartolo e da intendere quale figlio di [quel famoso] Bar-tolo). Ciò, per esempio, si spiegherebbe con la forma-zione di taluni cognomi in ambiente ligure e centro-settentrionale: qui, infatti, a partire da un ben noto Petrus(Pietro) si sarebbe sviluppata una forma cognominativadi tipo Pieri; o anche in russo – laddove il patronimicoresiste ancora nell'uso – e dove un ipotetico Andréj Ale-xéevic Larkin (= figlio di [quel famoso] Alexiéi), indicanel secondo elemento identificativo la propria originepaterna. 2 in un loro articolo, tuttavia, F. Palatucci - g. D'apolito,Note sulla famiglia Bartoli, in r.M. Zaccaria (a c. di),Sebastiano Bartoli e la cultura termale del suo tempo,Firenze 2011, pp. 27-31, ricostruiscono l'albero genea-logico in direzione verticale e orizzontale di questa illu-stre famiglia.3 o. trabucco, Anamorfosi di un medico eretico, in.r.M. Zaccaria (a c. di), op. cit., p. 65. 4 Fra questi Don Pietro d'aragona, munifico viceré dinapoli e dedicatario dell'opera.5 r.M. Zaccaria (a c.), op. cit., pp. iX-X.6 Cfr. a. Musi, Medicina e scienza a Napoli nel Seicento,in r.M. Zaccaria (a c.), op. cit., pp. 13-20; M. torrini,L'Accademia di Sebastiano Bartoli: gli Investiganti, inr.M. Zaccaria (a c.), op. cit., pp. 33-43; M. rascaglia, Ilibri proibiti di un “philosopho” libero, in t.M. Zaccaria(a c.), op. cit., pp. 95-112; voce Sebastiano Bartoli, inEnciclopedia Italiana, 6, roma 1964, s. p.; voce Le Ac-cademie del Seicento, ivi, app. Viii, roma 2013. 7 S. Serrapica, Sebastiano Bartoli (1630-1676). Un epi-sodio della polemica tra antichi e moderni dalla disputasulla macerazione dei lini nel lago di Agnano all'astro-nomia del microcosmo, in Studi filosofici, 19, 1996, pp.177-222. Cfr. anche a.D. Muci, Le fonti classiche nella“Thermologia Aragonia”, in r.M. Zaccaria (a c.), op.cit., pp. 173-185.8 M. leone, Struttura, lingua e stile della “ThermologiaAragonia” di Sebastiano Bartoli, in r.M. Zaccaria (ac.), op. cit., pp. 173-185. 9 r. Mazzola, L'eredità culturale di Sebastiano Bartoli,in r.M. Zaccaria (a c.), op. cit., pp. 187-201.

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Si è spento a Napoli, il 14 settembre scorso,

SERGIO DE LUCA

poeta estremamente delicato, amante della natura. Alla gentile si-gnora Mena e ai figli vadano le condoglianze del direttore e della

redazione di questo periodico.

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PROCIDA: IL MULINO DI TERRA MURATA

di Gabriele Scotto di Perta

Guardando dal belvedere di Callìa o dallaCorricella, o ancora da piazza dei Martiri,

verso la parte alta dell’isola, detta “terra Mu-rata”, si può notare una sorta di bastione con

un corpo cilin-drico al centrosulla parte piùalta. in basso,adiacente alCarcere nuovo,un arco portaalla via delCapo, uscendosulla piazzad’armi. Quellacostruzione èchiamata daiprocidani, da

sempre, “il Mulino” (v. foto sopra) e, in realtà,la sua funzione è stata concepita per essere tale.Cerchiamo ora di dare qualche elemento sullasua origine e sulla sua funzione.nel 1764 si registrò a Procida una grande ca-restia, che impegnò l’autorità civile e quella re-ligiosa per poter sfamare la popolazione. ilDecurionato – o Consiglio comunale – fu co-stretto a chiedere un grosso prestito. Col da-naro ricevuto si provvide a comprare una vastaarea non utilizzata, presso la via del Capo,dove venne realizzata quella enorme costru-zione, attrezzata per divenire un mulino avento: non a caso il mulino fu costruito sullaparte più alta dell’isola. Una ulteriore spesa so-stenuta dal Comune fu quella di acquistare unagrossa macina per la lavorazione del grano. Per alleviare i disagi del popolo anche l’auto-rità ecclesiastica intervenne, autorizzando le

chiese di Procida a impegnare tutto il patrimo-nio prezioso, soprattutto quello argenteo. Con la realizzazione del nuovo fabbricato lavecchia via del Capo prese il nome di via delMulino ed è lecito pensare che, con il funzio-namento del mulino, presso alcuni locali adia-centi alla chiesa-convento di Santa Margheritanuova veniva creato, quasi contemporanea-mente, un forno per la lavorazione e la cotturadel pane. i procidani chiamarono quel luogo“’u furnesóre” (v. foto sotto).

anche quando il mulino smise di funzionare, iprocidani rimasero molto legati a quel luogo,anche grazie ad un evento religioso. il giorno29 di settembre, quando si festeggia san Mi-chele, patrono dell’isola, un’antica tradizionevoleva che il simulacro del santo arcangelo,statua in argento del ‘700, venisse portato inprocessione, con breve corteo, dalla chiesa almulino, dal terrazzo del quale il santo potesseproteggere e benedire l’isola. Con rammarico bisogna dire che anche questasuggestiva tradizione è ormai finita, grazie aldegrado dei luoghi, ai quali nessuno sembradare più attenzione.

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FRANCESCO MASTRIANI.1Dura scalata per una vetta agognata

di Elio Barletta

Francesco nacque a napoli (23 novembre1819) dall’agiata famiglia borghese di Fi-

lippo Mastriani e teresa Cava, già madre didue figli, Vincenzo e gennaro, per una prece-dente unione con raffaele giardullo. Fu ilterzo dei sette figli che teresa concepì con Fi-lippo: giuseppe il primogenito, Ferdinando ilsecondogenito, poi appuntoFrancesco, seguiti da gio-vanni, raffaele, Marianna,rachele. Scrittore e autore diromanzi d'appendice digrande successo, dramma-turgo, giornalista, mostrò findagli esordi letterari grandeattenzione nei confronti deiceti medio-bassi napoletani.avviato ad una sorta di so-cialismo cristiano e ad unbasso romanticismo, diede ungrande contributo alla nascitadel meridionalismo ed allosviluppo del verismo. era piùche evidente la sua mancanzadi spessore politico sopperitada una prosa ricca e scorrevole.agli studi fatti presso istituti privati affiancòpresto interessi che gli fornirono un bagaglioculturale esteso alle materie mediche, storiche,letterarie e gli consentirono di avviare una pre-coce attività di insegnante privato di gramma-tica e di lingue (francese, spagnolo, inglese,

tedesco). Morta la madre per colera (1836), ac-contentò il padre impiegandosi presso la So-cietà industriale Partenopea diretta da CarloFilangieri e, nello stesso anno (1848), concepìil suo primo scritto, un’ode densa di echi man-zoniani. la sua formazione letteraria si giovò, oltre che

di un regolare corso di studi(dal 1825 presso l'istituto didon raffaele Farina), diun’intensa e irrequieta letturadell’intera biblioteca di clas-sici – molti francesi e spa-gnoli – dei 400 volumi diquel maestro; non tutti di pri-m'ordine si accavallarono la-vori come La nouvelle Eloïsedi jean-jacques rousseau, Imartiri di François-rené deChateaubriand, tutti i ro-manzi di D'arlincourt, la Ma-thilde di Sophie Cottin, letragedie di Vittorio alfieri, laCommedia di Dante ali-ghieri, le opere di William

Shakespeare, lo studio del greco antico e deltedesco. tra gli scrittori napoletani, concorseroalla sua formazione basilio Puoti, Francescode Sanctis e Saverio Costantino amato («pelquale ebbe speciale affetto ed ammirazione»).Si iscrisse alla facoltà di medicina (1837) chefrequentò per qualche anno, interrompendo poi

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gli studi per dedicarsi ad un'intensa collabora-zione con vari giornali, destinata ad intensifi-carsi dopo la morte del padre (21 aprile 1842).in seguito a tale lutto cominciò la sequenza deisuoi traslochi: dall'abitazione paterna in viaConcezione a Montecalvario, 52, si trasferì allasalita infrascata, 271 (oggi viaSalvator rosa). Un giorno d’agosto, nella casadi un cugino conobbe un’altracugina, Concetta Mastriani,con cui si fidanzò (1844) esposò (1845). la sua attivitàletteraria fu seguita dal figlioFilippo che fu anche suo bio-grafo e che censì 900 suoi ti-toli, di cui 107 romanzi, in-dagine meritoria per ricordarela sua vastissima produzionesenza ricorrere a più compli-cati sistemi usati dagli omolo-ghi scrittori d'oltralpe. nonpoté però affrancarsi comple-tamente da un lavoro remune-rato: perciò tenne lezioni pri-vate, un modesto impiego alla dogana, il far daguida turistica nelle ore libere per gli stranieridi passaggio, arrricchendo il suo patrimoniolinguistico europeo. Cominciò a scrivere articoli di costume (1837)

per Il Sibilo, giornale napoletano di moda e tea-tro che cessò la pubblicazione nel 1846, sulquale stampò la sua prima opera narrativa, Ildiavoletto. Parte della sua prima produzionegiornalistica, in particolare quella relativa aiprimissimi anni di collaborazione (1837-39),

fu da lui stesso raccolta in duevolumi di Novelle Scene Rac-conti (1869-70): letteratura an-cora sostanzialmente ancorataad un romanticismo manierato,aperto al bizzarro e al pittore-sco. Si trasferì poi (1845) inuna casina allo Scudillo, dove,videro la luce, oltre che la pri-mogenita Sofia, la stesura delprimo romanzo di genere go-tico, Sotto altro cielo (1847), ela pubblicazione del raccontoLazzaro.il romanzo gotico, genere nar-rativo sviluppatosi dalla se-conda metà del Settecento, fucaratterizzato dall'unione dielementi romantici e dell'or-

rore. l'espressione "letteratura gotica", riferitaalla tendenza culturale sviluppatasi dalla metàdel XViii secolo, è entrata nell'uso comune apartire soprattutto dai paesi anglosassoni e in-dividua solitamente storie ambientate nel Me-

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Nella selezione delle dieci città finaliste per il titolo di CA-PITALE ITALIANA DELLA CULTURA 2022 (cfr. il n. 1/2020 diquesto periodico, p. 49), operata dal Ministero per i Benie le Attività culturali, Procida è risultata l’unica città cam-pana ad aver supe-rato le selezioni (lealtre località selezio-

nate sono Ancona, Bari, Cerveteri,L’Aquila, Pieve di Soligo, Taranto,Trapani, Verbania e Volterra). Tuttele città ammesse alla selezione finalepresenteranno i propri dossier allagiuria in un’audizione pubblica nei giorni 14 e 15 gennaio 2021; la sele-zione finale avverrà subito dopo. MENTRE ANDIAMO IN RETE, CI GIUNGE NOTIZIA CHE LA REGIONE CAMPANIA, CONDELIBERA DI G. R., HA ADERITO AL COMITATO PROMOTORE DELLA CANDIDATURA.

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dioevo in castelli diroccati, sotterranei e altriambienti cupi e tenebrosi.Mastriani si impiegò quindi presso la direzione

del quotidianoIl Tempo cometraduttore dalfrancese e dal-l ' i n g l e s e .Molto forte ful'interesse pa-rallelo per ilteatro. Spessosi trattava dirielaborazionidelle sue operen a r r a t i v e ,come nel casodi Vito Berga-maschi, no-

vella in due capitoli, ancora per Il Sibilo,adattata per le scene in collaborazione conFrancesco rubino, rappresentata al teatro Fio-rentini dalla compagnia Monti e alberti e stam-pata nella sua versione scenica (1841). Untipico dramma borghese fu Un'ora di separa-zione, scherzo comico in un atto (dopo il1840), la sua prima opera a stampa in volumeche ci sia pervenuta. altri adattamenti scenicientrarono nel repertorio tipico di alcuni attori;lui stesso partecipò per caso alle rappresenta-zioni in veste d'attore. l’itinerario artistico da lui percorso evidenziala disponibilità ad adeguarsi alle mutate con-dizioni storiche e alle nuove funzioni dell’in-tellettuale attento ai gusti del pubblico e aiproblemi della società. nelle scelte tematichee nella strutturazione dei romanzi si colgonovariazioni che consentono di tracciare una sto-ria della sua attività letteraria e di articolarla invarie fasi, corrispondenti a fondamentali espe-rienze biografiche.il primo periodo coincise con l’ultimo decen-nio borbonico e fu contrassegnato da ricono-scimenti e incarichi ufficiali, concessi alloscrittore legittimista, estraneo alle idee risorgi-mentali e pronto, nei suoi scritti, a condannarel’eredità dell’illuminismo e della rivoluzionefrancese, in una prospettiva conservatrice di in-

vito alla rassegnazione e al rispetto dell’ordinee dei valori costituiti. Di qui la distribuzionesociale dei protagonisti dei primi romanzi, pre-valentemente scelti nel ceto aristocratico nonsolo per affascinare i lettori piccolo-borghesicon un modello di vita elegante e sfarzosa, maanche per sottolineare la centralità della classearistocratica nella società. alla rimozione degliscontri politico-sociali corrispondeva l’accet-tazione di una struttura gerarchica presentatacome necessaria e provvidenziale, mentre le in-surrezioni di piazza e le congiure di palazzoerano proiettate in una dimensione paurosa efallimentare.Collaborò a fogli ufficiali, come Il Giornaledel Regno delle Due Sicilie e L’Ordine (dal1851); fu chiamato a far parte della commis-sione di censura (1858). Fino al 1860 scrissetredici romanzi, prima pubblicati nei giornali,poi raccolti in volume; proponevano vicendeesotiche e avventurose, ricche di intrighi e so-luzioni patetiche, sfruttando ampiamente gli in-gredienti gotici dell’orrore, dell’abnorme, delleatmosfere di terrificante ossessione.il personaggio più ricorrente era quello sata-nico e tenebro-so, avvolto daun’aura di mi-stero e di abitu-dine al delitto,disposto a tuttoper soddisfare lesue ambizioni.esemplare è, intal senso, la vi-cenda narrata neIl mio cadavere(1851-52), maanaloghi motivisi ritrovano ne-gli altri roman-zi, soprattutto in Federico Lennois (1852-53)e La poltrona del diavolo (1859). Della narra-tiva gotica, però, venivano rifiutate le compo-nenti moralmente più eversive, quali i temi delsacrilegio, dell’incesto, della connessione eros-religione: prevaleva la prospettiva moralisticache implicava il rispetto dell’etica tradizionale

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e la soluzione positiva di vicende manicheisti-camente incentrate sul contrasto bene-male.l’amore era sempre romanticamente sublime,carico di intensità sentimentale, ma senza con-cessioni all’erotismo. i valori della famiglia edella religione, e la positività dei personaggiera connotata anche dall’adesione alla moralecattolica. il meccanismo colpa-castigo si inse-riva in una tecnica basata soprattutto sul ritmodell’azione, con intrecci ricchi di agnizioni,colpi di scena, accumuli di tensione, in cui lastruttura costantemente oppositiva (bene-male,buoni-malvagi, purezza-corruzione, ecc.) mi-rava a suscitare forti emozioni consentendoun’agevole identificazione con i personaggi.Mentre adattava all’ambiente napoletano le te-matiche del gotico e del feuilleton, sfruttandole possibilità narrative offerte da una città riccadi forti contrasti, il Mastriani coinvolgeva illettore in un congegno romanzesco in cui tutto,per quanto prevedibile, doveva sorprendere.Perciò, accanto a elementi romantico-byro-niani, a frequenti rimandi a I promessi sposi diManzoni, utilizzava gli ingredienti canonici delgenere letterario: suspense, ridondanze, mono-dimensionalità psicologica dei personaggi, al-ternanza di toni fra drammatico ed elegiaco. arrivò un primo romanzo in cui inserì nellatrama la passione giovanile del teatro. la pro-tagonista è angiolina esposito, giovane ed av-venente corifea dei teatri San Carlo e delFondo. il racconto si basa su un manoscrittopervenuto a Mastriani grazie ad un altro prota-gonista del romanzo, il giovane scultore ro-mano gabriele Depolve. È difficile stabilire sequesti personaggi siano realmente esistiti osiano frutto della fantasia del romanziere. an-giolina, trovatella che trascorre la prima partedella sua infanzia in condizioni pietose, a setteanni, durante una gita in campagna, scappa daisuoi genitori adottivi. Si ritrova a napoli pres-so il teatro San Carlo ove, buttandosi ai piedidi una splendida dama, la marchesa olimpia,donna di buon cuore che s’impietosisce di lei,le permette in seguito di vivere nel suo lus-suoso appartamento, ove olimpia convive conla sorella Vittorina, donna al contrario di lei al-

tera e malvagia. in quella casa vive anche gu-stavo, un leggiadro giovane, figlio di Vittorina,al quale viene dato l’incarico, all’insaputa dellamadre, di insegnare ad angiolina il leggere escrivere. Durante le lezioni angiolina da bam-bina diventa una splendida ragazza e inevita-bilmente i due giovani s’innamorano l’undell’altro. il loro amore viene però contrasta-to e a gustavo viene vietato di vederla. il com-pito di precettore affidato ad un certo dongennarino, che scoprendo in lei le doti di bal-lerina, la convince ad abbandonare la casa dellasua benefattrice facendole credere che grazieai suoi insegnamenti, diventerà una ricca e fa-mosa danzatrice. i due si trasferiscono a Sa-lerno ove lui le fa lezione in una sua piccolacasa. Quando tornano a napoli col miraggiodel San Carlo, ma durante la prima invasionedel colera (1836), il gennarino viene colpitodal morbo e muore. angiolina viene presto aiu-tata da un bravo scultore romano, gabriele De-polve, che alloggiava nello stesso albergo.Seppur sfavorevole all’idea che la ragazza di-ventasse una corifea, l’aiuta e riesce a farla as-sumere al San Carlo. grazie alla sua avve-nenza, più che alla valentia professionale, di-venta una peofessionista indipendente, comin-cia a condurre una vita dissipata, attira nume-rosi e ricchi corteggiatori. il giovane Depolve,amareggiato le si allontana. angiolina, nonperde tempo, si fa sedurre da un tale giulianocon la promessa di sposarla, ma viene anche daquesto abbandonata malgrado la nascita di ed-gardo, uno splendido bambino. Per poterlomantenere la madre non abbandona il teatro,ma assume da governante la giovane brigida,a cui edgardo si attacca molto. Ciò malgrado,quando il bimbo compie i 4 anni muore perun’infezione intestinale indomabile, angiolinaè costretta a continuare a lavorare come cori-fea. Colpita dal ritorno del colera, muore pro-prio quando gabriele Depolve, rimasto vedovole fa intravvedere l’inizio di una nuova vita.altri soggetti di manoscritti arrivarono al Ma-striani, ma (fortunatamente) senz’avere alcunseguito. (1. Continua)

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di Salvatore Loschiavo

Quel giorno l’illustre pittore DomenicoMorelli (foto in questa pagina) scendeva

le scale del Museo artisticoindustriale con aria distrattaripensando a un lavoro digrande concezione che stavaapprestando per una Mostra(gli artisti son fatti così, hansempre la testa fra le nu-vole!), allorché, all’ultimoscalino fu fermato dal vec-chio e burbero custode donluigi: «Un momento, pro-fessore! Mi faccia vederecosa porta sotto il braccio.Devo sorvegliare se si aspor-tino oggetti dal Museo. Miscuserà, ma sa, professore,sono un dipendente. ci ho famiglia, e non possoperdere il pane ...».«taci, matto, credi forse che sono un ladro io?»

«Si figuri, professore! lei è la perla dei genti-luomini e merita tutto il massimo rispetto. Ma

sono ordini, ed io negli or-dini non transigo affatto,fosse anche mio padre!»«luigi, che ti prende! Haiforse bevuto un po' troppo osei uscito fuor di senno? nonci capisco un cavolo!»«né matto né ubbriaco, pro-fessore; faccio soltanto ilmio dovere; la legge èuguale per tutti. D'altronde,cosa c’è di male se le chiedociò?»e, così dicendo, imperterrito,s’avvicinò all’esterrefattoprofessore e, con mossa ben

studiata, di schietto sapore scarpettiano, glitolse col più candido dei sorrisi, l’involucropiuttosto pesantuccio che l’insigne maestro

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MORELLI… LADRO DI MATTONELLE!

Il mezzo ingiusto rende iniquo il fine giusto.Lao Tze

Facci dunque uno principe di vincere e man-tenere lo stato: e’ mezzi sempre fieno iudicationorevoli e da ciascuno saranno laudati.

Niccolò Machiavelli

Pagine vive.1

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aveva con sé. Posatolo su uno sgabello e svol-tolo delicatamente per tema che si potesse in-frangere, si accertò che si trattava di unaeccellente mattonella maiolicata riportante sullucido smalto una delicata riproduzione paliz-ziana.«ecco, – gongolò ebbro di gioia il burbero cu-stode; e poi, con tono studiatamente concitato,(ridendosela però in cuor suo): – ecco, profes-sore, l'ho colta con la manonel sacco. non è forse questamattonella un oggetto delMuseo? Se sbaglio, mi cor-regga! Sarà stata forse unadistrazione?... oppure un ef-fetto di cleptomania?... noncerto ruberia, ella è una perladi gentiluomo. Ma non sipreoccupi, egregio profes-sore; mi dia la mattonella, lariporrò al suo posto e nonfarò verbo con nessuno; l'in-cidente è chiuso!...»È da immaginarsi i nervi delMorelli. Fu un vero mira-colo che non strozzò l’im-previdente custode. Sbigottito e rosso come ungambero, strepitò: «Questa è una commediabella e buona inscenata contro un galantuomo!Ce ne son tante di mattonelle! ne ho preso una.perché volevo portarmela a ricordo del miocaro collega Palizzi!...»«le chiedo scuse, professore; lo sapevo purbene che lei è un galantuomo, ma ho fatto ilmio dovere!...»

* * *eccone la spiegazione.nei giorni precedenti, Filippo Palizzi (foto inquesta pagina), che anche lui insegnava alMuseo artistico, aveva fatto riprodurre su dellemattonelle un suo bellissimo disegno raffigu-rante un volo di rondini su un limpido cielo diprimavera. il disegno era riuscito bello e nonmen bella la riproduzione.

il Morelli ne fu entusiasta. efu tale la sua viva e sinceraammirazione per il suo carocollega, che decise di por-tarsi a casa una delle matto-nelle. Ciò non isfuggì alPalizzi, al quale balenò su-bito un'idea geniale perquanto birbona. Chiamato disoppiatto il portinaio glidisse: «ora che scende ilMorelli fermalo; dirgli che lamattonella che porta con sé èroba del Museo; che ha com-messo un’infrazione passi-bile di pena; egli strepiterà,protesterà: ma tu insisterai

fino a farlo andare in collera. io starò sullescale a gustarmi la bella scenetta, che davverosarà spassosa!» e gli fece scivolare nelle manidue fiammanti lirette (una mancia da Creso perquei tempi!).lo scherzo riuscì a fagiolo, e lo stesso Morelline rise poi saporitamente. anzi qualcuno pro-pose di far fare la... pace tra i due artisti sug-gellandola con una succulenta tavolata presso

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Si è spento, il 1° ottobre scorso, nella sua casa di SanLorenzello - Palazzo Massone, il maestro

GIANFRANCO LOMBARDIFiglio di Umberto, ufficiale dell’Esercito, trucidato dainazisti, e della celebre scrittrice Maria Luisa d’Aquino,Lombardi è stato un apprezzato bassista, arrangiatore

e direttore d’orchestra, autore, fra l’altro, di numerose colonne sonore difilm. Alla famiglia – e, in particolare, al fratello Luciano, nostro collega –porgiamo le più vive condoglianze.

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un rinomato ristorante della città. il luogo pre-scelto fu la suggestiva birreria Strasburgo, cheapriva i suoi battenti sugli spalti di Castel-nuovo, al cospetto del glauco mare. Quella seradi primavera la trattoria, per non saprei qualecerimonia, era tutta illuminata da lampioncinimulticolori, alla veneziana, e presentava unparticolare tono fascinoso all’orientale, chedava all’ambiente un colore da fiaba.Vi intervennero molti amici, fra artisti e gior-nalisti: gemito, Dalbono, Morelli, i Palizzi: e,fra i giovanissimi, il Pennasilico, il Caprile, illa bella, il tommaselli, il Farina e altri. il sim-posio riuscì a meraviglia; furono consumate lepiù tipiche leccornie popolaresche: calzoni im-bottiti, paste cresciute, tittoli, pizze al pomo-doro; e tutte queste saporitissime pietanzeinnaffiate da buon vinello paesano e da fiumi

di birra. non vi mancò, come dicevamo, ilchiassoso e popolare Dalbono, che al terminedella cena, fra la gazzarra generale, pronunziòuna sua composizione inneggiante al valore deidue bravi artisti, protagonisti dell’allegra vi-cenda. Di cui la chiusa era: «Dunque salve,onore e gloria / e si faccia gran baldoria: / mabaldoria da fratelli, / per onorare Palizzi e Mo-relli».e la pace fu fatta!e cosi si concluse in quell’odorosa sera dimaggio fra la salsedine del beverello e le lucimulticolori della «Strasburgo» il gran furto...di Morelli, che tanto scalpore e tanta ilaritàaveva suscitati per qualche giorno nell'am-biente pittorico napoletano!...

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COMUNICARE

Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come co-municare con gli altri.

Cesare Pavese

L’incomunicabilità è la più terribile delle solitudini.Friedrich Nietzsche

È così difficile capirsi, angelo mio caro, e il pensiero è così incomunicabile, anche trapersone che si amano.

Charles Baudelaire

Follia è l’incapacità di comunicare le tue idee.Paulo Coelho

La meraviglia è incomunicabile: la luna del Bengala non è uguale alla luna delloYemen, ma si lascia descrivere con le stesse parole.

Jorge Luis Borges

La felicità è qualcosa di molto intimo e incomunicabile.Gaito Gazdanov

L’enigma celato in fondo agli occhi infantili di una donna tahitiana è e rimane inco-municabile.

Paul Gauguin

(Ricerca di Aldo Cianci)

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ANTICHE TRATTORIE COLLINARI

di Antonio La Gala

L’argomento “antiche trattorie di napoli” èstato ed è oggetto di una vastissima lette-

ratura specifica e quindi in questo articolo nonmi propongo di soffermarmi su di esso per ri-petere cose già note, ma milimiterò ad esporre, senzaalcuna velleità di essereesaustivo, alcune notiziolesull’argomento, credo me-no note, attinte in buonaparte da fonti diverse dalladiffusa letteratura speci-fica, informazioni circo-scritte a un ben precisoambito territoriale (i duequartieri collinari del Vo-mero e dell’arenella) e adun ben preciso ambito tem-porale (il periodo a cavallofra otto e novecento).nel passato la collina vo-merese era punteggiata dainnumerevoli trattorie dicampagna, spesso con per-golati, detti pagliarelle. Forse era una paglia-rella anche il Pagliarone, in via belvedere, unnome che rievoca un pergolato di ragguarde-vole grandezza, un pagliarone appunto, proba-bilmente una trattoria ospitata in un’ampia

masseria, che doveva essere famosa con questonome già in tempi antichi, se la vediamo com-parire nella pianta rizzi-Zannoni del 1790.la collina vomerese era un luogo ideale per le

scampagnate e “mangiate”fuori porta, in occasione difeste popolari e religiose. la tradizione delle trattoriecollinari si perde neltempo. nelle cronache del1816 incontriamo tale gae-tano guida che comuni-cava al pubblico di averaperta un’osteria, «detta digiuseppe il Volante» (unnome allora molto noto nelsettore della ristorazione),«nella villa di D. Marcorotunno al Vomero, n. 17»nello stesso anno si ha no-tizia della «nobile tratto-ria della Villa di germa-nia» di Federico Hermen-pont, nella Villa Merola,

alla Salita Petraio, 22. il proprietario informavagli stranieri che sarebbero rimasti «ammiratiper il sito delizioso della Casina, e special-mente per i suoi giardini annessi e per le suevistose logge, dalle quali si scopre tutto il bel

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Mimmo Piscopo, La “Pagliarella”in via Luigia Sanfelice

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cratere di napoli e le ridenti colline». le trattorie e le pagliarelle oltre ad essere fre-quentate in occasione di gite e scampagnatepopolari, richiamavano anche noti artisti e in-tellettuali, che ne hanno lasciato il ricordo inpittura, in poesie e canzoni. in effetti la cucina collinare, sia a livello di trat-toriole che di ristoranti, richiamava clienti il-lustri, sia del noto repertorio di personaggilocali che del repertorio forestiero: D’annun-zio, Michetti, Scarfoglio, Di giacomo, Ferdi-nando russo, Domenico Morelli, benedettoCroce, Francesco Saverio nitti, antonio Fogaz-zaro, guy deM a u p a s -sant, Ma-tilde Serao,r o b e r t obracco, ealtri anco-ra.SalvatoreDi giacomoscrisse lac e l e b r epoesia, poim u s i c a t ada e. a.Mario, Natavernella:

Maggio. na tavernellancopp’’antignano: addored’’anepeta nuvella:‘o cane d’’o trattorec’abbaia: ‘o fust’ ‘e vinonnanz’ a porta: ‘a gallinaca strilla ‘o pulicino:e n’aria fresca e ffina

ca vene ‘a copp’ ‘ e monte,ca se mmesca c’ ‘o viento….

a proposito di ncoppa Antignano, va specifi-cato che in passato il toponimo antignano nondenominava, come oggi, solo il piccolo fazzo-letto di quartiere attorno al larghetto omonimo,ma indicava, più in generale, la collina del Vo-mero. leggendo le cronache dell’epoca e le biografiedegli intellettuali e artisti del periodo su cui cistiamo soffermando, si trae l’impressione chequesti illustri personaggi passassero buonaparte del loro tempo a girare in gruppo fra

caffè, trat-torie e ri-s t o r a n t i .Vermicellie spigolefonti d’i-spirazionee di alti con-fronti d’i-dee?il locale piùget tonatoper tali ele-vate fre-quentazioniera Il Pal-lino, nella

la parte alta di via tasso, poco prima dell’iniziodi via Manzoni, che richiamava l’attenzionedei passanti «con le sue fulgide lampade elet-triche», allora segno di particolare modernità.Fu aperto nel 1840 da Don nicola Micera, e visi succedettero tre generazioni di Micera, finoa inizio novecento.

Nella sezione “Contributi” delsito Internet: http://www.arteso-cieta.eu/, intervista procidanadel sociologo MAURIZIO VITIELLO a

SERGIO ZAZZERA, direttore di questo periodico.

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giacomo Puccini da Pallino

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la foto del 1906 che accompagna questo arti-colo mostra giacomo Puccini, fra altri perso-naggi dell’epoca, che entra nel ristorantePallino, mentre, visibili sulla destra, alcuni po-steggiatori strimpellano alla men peggio alcunearie della Tosca. gruppetti di posteggiatorierano una presenza fissa nei ristoranti di quelperiodo. nell’epoca felice del Vomero, a cavallo fraotto e novecento, il Pallino faceva parte, as-sieme al gambrinus, al San Carlo, al SaloneMargherita, ecc., delle tappe obbligate dellanapoli salottiera, e anche un po’ fannullona. oltre al Pallino, erano molto frequentati anchei locali di ristorazione davanti al panorama diSan Martino, al termine di corsa dello storicotram n. 7. alcuni nomi: “Miranapoli”, “Maz-zoleni”, “renzo e lucia”, “S. Martino”. all’arenella furoreggiava il Pignatiello unatrattoria di campagna che affacciava un ampiopergolato nella parte «a mezza costa» frapiazza Muzii e via Mazzoccolo, dove ora tro-viamo una nota farmacia. Stava lì dalla fine delSeicento o inizio Settecento. ai primi del no-vecento la troviamo di proprietà di luigi DeVita, chiamato Pignatiello, il quale aveva sol-levato il locale dall’originario stato di cantinaa quello di una trattoria ben messa. Come in-dicava il suo soprannome il proprietario era di-ventato famoso, e aveva fatta la sua fortuna,vendendo i pignatielli, contenitori di terracotta

della capacità di un quarto, pieni di fagioli giàcotti, al prezzo di quattro soldi, da restituire poivuoti al proprietario. le clienti più affezionate erano le lavandaiedelle contrade vicine, che la mattina scende-vano in città per raccogliere i panni da lavare,e al ritorno, all’ora di pranzo, nel risalire, tro-vavano provvidenziale l’acquisto dei pigna-tielli, progenitori dei “precotti”, inventati antelitteram dal De Vita.la trattoria inoltre vendeva con continuità cibifreschi, primizie ortofrutticole, pollame, epesci vivi che conservava in una vasca. le pa-reti delle sale coperte erano fittamente affre-scate, a colori vivaci, con scene bucoliche,fontane, giovinetti danzanti, motivi campestrie floreali, di buona fattura. nell’antisala si no-tava un ritratto del proprietario.anziani della zona ricordano che il Pignatielloa metà ‘900 aveva fatto posto, nelle stessestanze e sullo stesso terrazzo, ad una sala da bi-liardo.nel prosieguo del novecento il Vomero hacontinuato ad avere un suo posto di primopiano nella ristorazione, anche di qualità, fa-cendo leva in particolare sulla panoramicità deilocali. Qui non ne parliamo, anche per non farpubblicità a quelli di essi che sono ancora at-tivi.

Ferdinando Ferrajoli,Pianta di Procida

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D’ANGELO

di Mimmo Piscopo

L’arenella, la Pigna e Case Puntellate eranoluoghi che si prestavano a dolci idilli, dove

bisognava scovare, con fiuto da segugio, le“tane” mangerecce. non era raro trovare inqueste appartate tavernelle coppie di posteg-giatori che, comeantichi menestrelliallietavano il pranzodei commensali.Da via aniello Fal-cone si affaccia suun panorama unicoil ristorante “le ar-cate” e, sempre invia aniello Falcone,va ricordato “D’an-gelo”, con le paroledi esther Schioppa,stralciate da un arti-colo comparso sull’ormai ingiallito quotidianoIl Tempo del marzo 1962:

«…D’angelo, uno dei più qualificati …ad accontentare“isolani e forestieri”. Ci avviamo dunque per via tassonon potendo fare a meno, retorica a parte, di guardare ilpanorama che beviamo come il più raffinato degli ape-ritivi.

…siamo arrivati e infatti veniamo accolti da un quintalee quaranta più un corno d’oro. È lui, alfredo attolini, ilproprietario da sempre di questo ristorante che esistenientemeno che dal 1926 quando faceva bella mostra disé, solo, nello stesso posto di ora, che in quel tempo eraparte del Vomero vecchio. allora era ancora vivo attolini padre che oltre ad essere

un sarto conosciutissimoera anche chef di casareale (Savoia, n.d.r.)dove imparò a cucinarecon la stessa raffinatezzae la stessa classe con cuicuciva i frac per gli snobdell’epoca.”.Fare una dettagliata sto-ria del “D’angelo” sa-rebbe arduo per motividi spazio, tuttavia qual-che notizia è doverosodarla.Fin dalla fondazione, lanumerosa famiglia atto-

lini intitolò “D’angelo” il locale per rendere omaggioalla consorte di uno dei titolari.il locale fu frequentato da bovio, Murolo, Viviani, i DeFilippo, da posteggiatori famosi come Schottler, Mar-morino, i fratelli Vezza, dai cantanti Parisi, Papaccio, Pa-squariello, da soubrette come lucy D’albert, annaFougez, elvira Donnarumma, da artisti della lirica, be-niamino gigli, toscanini, Cilea, Mascagni e tantissimi

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Leggerezza non è superficialità, è planare sulle cosedall’alto, senza avere macigni sul cuore.

Italo Calvino

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altri artisti che hanno lasciato preziose testimonianze delloro passaggio.Durante il periodo bellico fu occupato da militari, e il21 febbraio 1950, a causa di scintille fuoriuscite dalforno a legna, l’antica costruzione fu interamente di-strutta, riducendo in cenere preziosi cimeli, documentie testimonianze, tra quali, una preziosa chitarra intera-mente istoriata da illustri autografi.la trattoria, con attività ridotta, riaprì trovando provvi-sorio spazio nella palazzina di fronte all’ex locale……Mentre conversiamo non possiamo fare a meno disbirciare con la codadell’occhio il mas-siccio corno che donalfredo ostentavaalla cinta e di cuiavevamo sempresentito parlare senzaper questo renderciconto della funzionedell’amuleto……Sappiamo intantoche il nostro perso-naggio è stato a Sanremo vincitore as-soluto nel concorsointernazionale di cu-linaria ……Facciamo cono-scenza con i personaggi caratteristici del locale come“l’ostricaro fisico”, Vincenzo Viglietti, ventesimo diventitré figli».

Scusatemi se interrompo il racconto della gior-nalista per chiarire il significato di “ostricarofisico”, quella scritta che ancora oggi si legge,come etichetta, sul banco di alcuni venditori diostriche. la spiegazione la fornì il Professorealessandro Cutolo nel corso della sua trasmis-sione “Una risposta per voi”.Ferdinando di borbone amava le ostriche e sirecava, quasi quotidianamente, nel borgo diSanta lucia dove c’erano diversi puosti diostricari. egli andava abitualmente dallo stessoostricaro, per simpatia ed anche perché l’uomoera abile ad aprire le ostriche e ad irrorarle di

fresco succo di limone; l’ostricaro, orgogliosoper la scelta regale … si era montato la testa.Un giorno, rivolto al sovrano, disse: «Maestà,debbo rivolgervi una supplica». «bene – disseFerdinando – ti ascolto». «Maestà, Voi mi do-vete fare barone!». «Come, barone? Ma tutieni proprio il fisico dell’ostricaro!». il buonsuddito, ritenendo che “fisico” fosse un titolonobiliare conferitogli dal sovrano, lo fece scri-

vere sulla partepiù alta del suobanchetto, imi-tato dagli altricolleghi. eccoperché ancoraoggi leggiamo:“ostricaro Fi-sico”.riprendo il rac-conto della gior-nalista:

«Ma, un momento,quasi dimenticavo ilcorno! “e allora,

don alfredo, ci volete dire perché lo tenete sempre convoi e a che cosa vi serve?”. e don alfredo fa strani segnicabalistici, toccandoci con l’amuleto le mani e la frontein una specie di benedizione (un rito, seppure con di-verse intenzioni) …ora, dopo la “benedizione” non ciabbisognano più spiegazioni.gli scongiuri sono stati un augurio di abbondanza e difortuna e noi li abbiamo accettati di buon grado anche anome vostro».

ad attolini sono succeduti i cortesi signorigennaro Conte e Michele giuliano che si av-valgono della capacità del manager luigi;hanno conservato l’accoglienza e lo stile dellaCasa. Sfoggiano nelle eleganti sale una nutritissimatestimonianza fotografica, autografi e dedichedi ospiti illustri che sono passati per il risto-rante: elettra Marconi, re Costantino di gre-

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alfredo attolini

Il Rievocatore è vicino ai familiari nella triste circostanza dellascomparsa di

VITTORIA CRISPO PIETRAFESAspentasi a Napoli, il 4 ottobre scorso, all’età di 87 anni.

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cia, Yvonne Sanson, Walter Chiari, Fernandel,grace e ranieri di Monaco, i Duchi di Win-dsor, Humprey bogart, ingrid bergman, ge-orge Sanders, re gustavo di Svezia, Clarkgable, bob Hope, amedeo di Savoia, antonyQuinn, Charlton Heston, re Hussein di gior-dania, aldo Fabrizi, aristotile onassis, Sorayae lo Scià di Persia, luigi einaudi, Sophialoren, Vittorio De Sica,lucio Dalla, CarloDapporto, errol Flynn, totò, Vittorio gas-smann, rita Hayworth, lucky luciano, enricoDe nicola, nino taranto, lee Van Cleef, Sil-vana Pampanini, alcide De gasperi, giuseppeSaragat, Ursula andress, rivera, altafini, lelloarena, Massimo troisi, enzo De Caro, ginalollobrigida, bettega, Sivori, ron, arbore,giancarlo giannini, Pietro nenni (quando an-dava in visita al senatore de Martino che abi-tava quasi di fronte), Zsa Zsa gabor, gigiProietti, Maradona, Valeria Marini, i De Fi-lippo. insomma, questo storico locale, ha ac-colto personaggi di rinomanza universale.al fascino di D’angelo non resistette neppureil grande e.a. Mario che scrisse la canzone: ’Apizza cu’o segreto:

iSi spiate pe’ tutt’’o munno:

“Ma addu D’angelo che ce sta?”Ve risponneno chiaro e tunno:

“’a cchiù rara d’’e rarità!

’e na cosa morbida e tonna:Se fa cena, pranzo e marenna!

Pe’ ll’addore c’attuorno spanne,tutta napule fa parlà…”

ncoppo e sotto, nnanze e areto,tutta napule può girà…

Sì, ma ‘a pizza cu’o segretoSulo D’angelo t’’a po’ fa…

“’o segreto? Ma qua segreto?”“e’ ’o segreto d’’a fa accussì…”

Pe’ chill’addore,Pe’ chillu sapore,Ce sta na ricetta

Ca nun se po’ dì…

iiQuanta recchie stanno appezzanno,

Ma ’o segreto chi ’o po’ svelà…Se capisce ca niente sanno

e maie niente ponno appurà.

“’o segreto - dice ’o patrone -Sta int’’a pasta ca è bella e chiena…

Ce aggio miso cchiù ’na sterlina.Carta coglie chi ’e ppò truvà!

ncoppo e sotto, nnanze e arreto ecc.

iii‘o spionaggio internazionaleCe s’è miso pe’ll’appurà…

Pecchè ’a vonno fa tale e qualea ll’america e ‘o Canadà…

Mentre ‘a russia, ch’è ‘o paraviso– pe’ chi esce, nò pe’ chi trase –

‘a vò essa sta bella cosa,Vò pur’essa sta rarità!

ncoppo e sotto, nnanze e arretotutt’’o munno se po’ girà,

Si ma ‘a pizza cu ‘o segretoSulo D’angelo t’’a po’ fa… ecc.

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Siamo noi che non siamo pronti; gli oggetti della nostra felicitàsono qui da giorni, da anni, da secoli forse; attendono che laluce si sia fatta nei nostri occhi per vederli, e che il vigoregiunga al nostro braccio per coglierli. Attendono e stupisconodi essere qui da tanto tempo, inutili a noi.

Jeanne de Vietinghoff

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PANE CUÓTTO CU LL’UÓGLIO

di Antonio Ferrajoli

A causa della seconda guerra mondiale andammosfollati in un paese di circa mille anime, Sant’egi-

dio di Monte albino, alle falde dei Monti lattari, inprovincia di Salerno; ero molto piccolo di età.al mattino si beveva latte di capra bollente e zucche-rato; come cioccolato si mangiavano le carrube, frutto

del quale si cibano gli asini. amezzogiorno mangiavamo unagrossa patata lessa con un po’ di formaggio grattugiato: era lapizza. la domenica, ancora, una grossa patata con un po’ dizucchero: era il dolce.la sera, per riscaldarsi, si cenava con del pane raffermo bol-lito, con un filo d’olio: nel gergo paesano, pane cuótto cull’uóglio, che si può anche chiamare cianfuótto. ricordo che

nelle festività al pane cuótto si aggiungevano fagioli, scarola, cavoli, broccoli di rapeo alici salate.

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L’ENIGMA MAJORANA

di Luigi Alviggi

Ettore Majorana (Catania, 5 agosto 1906)scompare in circostanze misteriose il 27

marzo 1938 dando inizio a una lunga teoria dicongetture su motivi e cause di tale sparizione:un suicidio o un allonta-narsi volontario spinto daldesiderio di cambiare vitao di nuove esperienze inun paese straniero? Untravaglio che durerà de-cenni e, ancora oggi, nonè del tutto risolto. Di fami-glia siciliana influente alivello nazionale, fu ungeniale fisico teorico, at-tivo nel gruppo dei cosid-detti “ragazzi di Via Pa-nisperna”. Con questo no-me è passato alla storia unbrillante team di fisici italiani che, sotto laguida di enrico Fermi (Premio nobel per la Fi-sica nel 1938), operarono negli anni trenta delnovecento nell’istituto di Fisica dell’Univer-sità di roma, sito allora in Via Panisperna. già bambino prodigio, dopo gli studi classicisi iscrisse prima a ingegneria per passare poi aFisica e laurearsi nel 1929 a roma col mas-simo dei voti (relatore enrico Fermi). Fu in-viato per approfondimenti – con una borsa distudio del Cnr – all’estero, e a lipsia ebbemodo di conoscere Werner Heisenberg, premio

nobel per la Fisica nel 1932, cofondatore dellameccanica quantistica e noto per il Principio diindeterminazione. a Copenaghen conobbeanche niels bohr, nobel per la Fisica nel 1922,

che andava elaborando ilmodello della complessastruttura dell’atomo. ri-mase ospite dei due scien-ziati per non poco tempodando modo di farsi ap-prezzare anche da loro. al ritorno dalla germania,a fine luglio 1933, il suocomportamento mutò de-cisamente. C’erano duevie già tracciate come rea-zione ai forti mutamentipolitici in corso in europa,e specie in germania. Hei-

senberg aveva adottato un apparente coinvol-gimento nella politica in atto, einstein invecesi era schierato all’opposizione. Majoranaparve scegliere una terza via, un ritrarsi nel pri-vato, un rifiuto radicale della società che po-trebbe essere inteso come il prodromo delladecisione di una scomparsa dalla scena scien-tifica. e i quattro anni seguenti non aiutaronocerto l’uomo a disincagliarsi dalle secche in cuiera ingolfato. l’affermazione di Hitler, ilriarmo della germania, la crescita di forza delfascismo, l’impresa d’etiopia alla conquista

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dell’impero, la discriminazione contro le razzenon ariane, e via dicendo, avrebbero ingigan-tito la paura della catastrofe anche in coscienzemolto meno sensibili. Solitudine, depressionee chiusura in sé – anche a giudizio dei familiari– appaiono rinsaldarsi nelloscienziato. Smise di andare avia Panisperna e rimandò in-dietro molte lettere speditedall’estero. Certamente locolpì il suicidio di Paul eh-renfest (Vienna, 1880), colla-boratore di bohr da lui cono-sciuto, avvenuto il 25 settem-bre 1933. Questo fisico persela battaglia contro la depres-sione anche in seguito alla se-parazione dalla moglie e, do-po aver sparato a un figliodown, si tolse la vita. È importante notare ancheche, con l’inizio del 1934,l’attività di via Panispernaera mutata: dai lavori preva-lentemente spettroscopici si era passati alla ri-cerca di forti competenze nel campo del nu-cleare. origine della storica svolta fu il librodel 1933, il mutamento artificiale degli ele-menti chimici, di ernest rutherford e il succes-sivo annuncio, nel gennaio 1934, da parte deiconiugi Curie della scoperta della radioattivitàartificiale. Fermi ebbe subito l’intuizione che ineutroni – privi di carica elettrica – potevanoessere il mezzo migliore per provocare facil-mente tale radioattività, e un articolo del marzo1934 su La Ricerca Scientifica pubblicizzò taleaffermazione. lo stesso rutherford – padredella fisica nucleare - si congratulò con Fermiper la scoperta con le parole: «Mi complimentoper l’essere evaso con successo dalla sferadella fisica teorica!»1. tali sviluppi quale ele-mento di ulteriore disorientamento per ettore,o campo di studio che lo interessava poco? nel1935 poi il gruppo dei “ragazzi” si va disinte-grando. Quasi tutti seguono una propria vianell’intento di una migliore carriera indivi-duale e collegate possibilità di affermazione.Chi poté scelse la via estera a motivo della

guerra in etiopia e della successiva guerra ci-vile in Spagna, ma soprattutto per il “pattod’acciaio” Hitler-Mussolini.Verso la fine del 1936 edoardo amaldi – altrocelebre e geniale fisico tra i creatori dell’isti-

tuto nazionale di Fisica nucleare(inFn), del Cern di ginevra, edell’agenzia Spaziale europea(eSa) –, constata la fine del glo-rioso team di protagonisti dell’isti-tuto di Via Panisperna. a inizio1937 peraltro l’istituto di Fisica sitrasferisce in una nuova sede nellaCittà Universitaria di roma. e pro-prio amaldi descrive Majorana«come un personaggio di Piran-dello carico di problemi che por-tava con sé, tutto solo; un uomoche aveva saputo trovare in modomirabile una risposta ad alcuniquesiti della natura, ma che avevacercato invano una giustificazionealla vita, alla sua vita, anche sequesta era di gran lunga più ricca

di promesse di quanto essa non sia per la stra-grande maggioranza degli uomini»2.Solo nel 1937 ettore ottenne la nomina a pro-fessore di Fisica teorica all’Università di na-poli – aveva la libera docenza in materiadall’inizio del 1933 –, certo per i brillanti scrittidi risonanza internazionale, divenendo amicodi antonio Carrelli, docente di Fisica Speri-mentale nello stesso istituto. nella breve vitaMajorana pubblicò solo nove lavori scientifici,ma di non piccola importanza, che lo reserouno dei fisici rilevanti del novecento. il primo,ancora studente nel 1928, con giovanni gen-tile – figlio del filosofo e ministro dell’istru-zione giovanni gentile - fu un lavoro di spet-troscopia comparso sui Rendiconti dell’Acca-demia dei Lincei. il suo lavoro più importantefu però nel 1937 sulla maggiore rivista di fisicaitaliana Il Nuovo Cimento (diretta dallo zioQuirino, celebre fisico anche lui) e concerneLa teoria simmetrica dell’elettrone e del posi-trone. esso contiene anche l’ipotesi del neu-trino di Majorana, che oggi pare affermarsicome geniale intuizione. Furono queste le basi

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per la cattedra di napoli. la sera del 25 marzo 1938 ettore si imbarca suun piroscafo tirrenia alla volta di Palermodove giunge il giorno dopo. Sebbene in unprimo tempo esprima intenzioni suicide alla fa-miglia e a Carrelli, l’ultima lettera a quest’ul-timo, dello stesso giorno 26, dichiara il desi-derio di tornare a napoli rinunciando però alladocenza. Dopo le rivelazioni di Stefano ron-coroni3, sappiamo oggi per certo (grazie a una"inedita cronologia essenziale stilata da manoMajorana ignota") che fu rintracciato in un uf-ficio postale di Palermo il modulo di spedi-zione del telegramma inviato all'albergo bolo-gna di napoli per mantenere chiusa a chiunquela sua stanza in quell’albergo. Dopo di questopiù nulla. Qualcuno dichiarò di averlo visto abordo del traghetto di ritorno: ci fu anche l’esi-bizione della cedola di questo biglietto da partedella tirrenia e, qualche giorno dopo, un’infer-miera conoscente dichiarò di averlo visto a na-poli vicino la centrale galleria Umberto i,descrivendone il soprabito. Ma non esiste cer-tezza che si sia davvero imbarcato per il ri-torno. Certo è che ritirò i suoi soldi in bancaprima di partire per Palermo e con lui scom-parve anche il passaporto. le ricerche, dellequali si interessò lo stesso Mussolini, non die-dero alcun esito.leonardo Sciascia – nel suo saggio La scom-parsa di Majorana (1975) – avanza l’ipotesiche ettore, misantropo e malato, volle decisa-mente cambiare vita, isolandosi dal mondo e,presciente dei problemi etici e delle minacceconcrete che la fisica nucleare avrebbe recatoall’umanità in occasione della guerra incom-bente, si sarebbe rifugiato nella vita speculativain un remoto monastero. Dobbiamo notare che,non molto prima della scomparsa, Fermi avevacompiuto con successo l’esperimento fonda-mentale per la futura costruzione della bombaatomica, e citiamo con l’occasione l’articolodel fisico antonino Zichichi: «Majorana pre-ferì morire e non creare l’atomica»4. Zichichiintestò a Majorana nel 1963 il Centro di Cul-tura Scientifica di erice. Una sorta di emula-zione verso il pirandelliano protagonista de Il

fu Mattia Pascal (1904), autore molto amatodallo scienziato5:

«Si lascia il cappello e la giacca, con una lettera in tasca,sul parapetto d’un ponte, su un fiume; e poi, invece dibuttarsi giù, si va via tranquillamente, in america o al-trove. Si pesca dopo alcuni giorni un cadavere irricono-scibile: sarà quello della lettera lasciata sul parapetto delponte. e non se ne parla più!»

a riguardo ci sarebbe anche una dichiarazionedi giovanni Paolo ii che, nella visita (1984)alla Certosa di Serra San bruno (VV), avrebbemenzionato questo fisico come suo ospite6.altre ipotesi si sono avvicendate: fuga in ger-mania, poi, a guerra finita, in america del Sud,vita da barbone in vari luoghi d’italia, ma nes-suna di queste ipotesi è stata avvalorata inmodo sicuro. l’ipotesi oggi più accreditata èche ettore Majorana sia deceduto verso la finedel 1939, non è possibile sapere se per suicidioo per l’aggravarsi dei malanni di cui soffrivada anni. la famiglia quasi certamente scelse ditacere sulla effettiva causa di morte per man-tenere intatta la migliore memoria di lui. enrico Fermi, che lo aveva paragonato per ca-pacità a galilei e newton, a un anno dalla suapresunta scomparsa, nel 1938, dirà:

«Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso discomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majo-rana ci sarebbe certo riuscito. Majorana aveva quello chenessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancavaquel che invece è comune trovare negli altri uomini, ilsemplice buon senso».

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1 lettera di rutherford a Fermi dal Cavendish Labora-tory di Cambridge del 23 aprile 1934.2 l. bonolis, Majorana, il genio scomparso, Milano2002, p. 98.3 S. roncoroni, Il promemoria Tunisi: un nuovo tassellodel caso Majorana, in Nuovo Saggiatore, 27 (2011) n.5-6, p. 58-68.4 Sul Corriere della Sera del 14 giugno 1972.5 l. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Milano 1986, p. 116.6 M. Stirparo, Majorana nella certosa di Serra. Il mi-stero del fisico catanese nel ricordo di Girolamo Onda(all’indirizzo internet: www.rivistasantamariadelbosco.it, sub 12.2.2015).

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Documenti

SETTEMBRE 1943

Pubblichiamo il seguente documento dell’Associazione Amici degli Archivi sulla distruzione delpatrimonio documentario napoletano, avvenuta nel 1943 per mano dei tedeschi, trasmessocidalla Società napoletana di storia patria, che ringraziamo.

* * *

Il 12 i tedeschi bruciano l’Università di napoli: sono distrutti gli archivi del rettorato, l’ar-chivio Storico, gli archivi e le biblioteche della Società nazionale di Scienze, lettere e arti e

dell’accademia Pontaniana.il 30 i tedeschi incendiano il deposito – Villa Montesano a San Paolobelsito – del grande archivio di napoli, contenente, tra l’altro, 866 casse

di documenti, 50000 pergamene, l’autografo dellaScienza della legislazione di gaetano Filangiericon le casse di porcellane, armi e quadri delMuseo Filangieri di Satriano.Sono salvate grazie all’eroismo (mai ricono-sciuto) degli impiegati dell’archivio e dei residenti della Villa, 12 cassedell’archivio di Stato e una cassa di armi e quaranta quadri del MuseoFilangieri.

Dopo 77 anni, l’associazione amici degli archivi onlus, vuole ricordare alle nuove generazioni,la perdita di questo immenso patrimonio archivistico, con l’auspicio che, con i moderni sistemitecnologici si possano, almeno, ricostituire le principali fonti per la storia di napoli e del Mez-zogiorno con l’utilizzazione degli archivi e delle biblioteche esistenti.

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Luca DamonteIl ponte Morandi - ex-voto

(2018)Genova, Santuario della Madonna della

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PROCIDA E I SERVIZI SEGRETI U.S.A.

di Sergio Zazzera

i servizi segreti sono un indicatore dellasalute politica di una nazione e l’unica

espressione vera del suo subconscio.(john le Carré)

Non avevo mai avuto notizia di un interessedei Servizi segreti U.S.a. per Procida al

tempo della liberazione, neppure nei miei con-tatti quasi costanti con la popolazione del-l’isola: del resto, anche Pasquale Schiano, nelsuo saggio sulla resistenza nel napoletano,tace sul punto1. Poi, però, mi sono imbattuto inun documento, citato in un volume pubblicatodi recente2, che attesta, fra l’altro, che «Capt.Pacatte moved his headquarters to the islandof Ischia and set up a base in the island of Pro-cida»3.È cominciata così la mia ricerca, che mi haconsentito di accertare, in primo luogo, che ilreclutamento e l’impiego di agenti segreti lo-cali da parte dell’esercito statunitense accom-pagnarono il medesimo fin dal suo sbarco inSicilia4. in particolare, poi, durante l’avanzatadegli americani da Salerno a napoli, il sotto-tenente dell’Intelligence Malcolm Callananpropose che si studiasse il modo d’infiltrare anord di napoli, da ischia o da Procida, agentiche informassero su ciò che stava avvenendo.in proposito, anzi, il capitano francoamericanodell’oSS andré Pacatte, professore di francesealla berlitz School di Cleveland5, intendeva in-

filtrare il maggior numero possibile di spie,servendosi di pescherecci in partenza dalle dueisole6.Proseguendo nell’indagine, è emerso che, an-cora prima, il capitano C. l. andrews jr. avevaprogrammato minuziosamente l’occupazionedi Procida per la notte sul 13 settembre, per cui

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© Carmine Meraviglia

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venti unità navali furono inviate a Procida, chesi arrese senza alcuna opposizione. in partico-lare, all’ammiraglio Henry Kent Hewitt fu ri-ferito che l’isola era il luogo ideale perinstallare una base di artiglieria che coprissel’intera area dinapoli; così, ilpomeriggio del16, l’ammiraglioanthony Morsedecise d’ispezio-nare ischia e Pro-cida e, nella nottesu quello stessogiorno, fu occu-pato anche l’iso-lotto di San Mar-tino, sede del silu-rificio7. Semprein quel medesimoperiodo, infine,un raid dei Commandos americani avrebbeprelevato dall’isola un ammiraglio esperto nelsettore dei missili teleguidati8.l’accostamento delle due località nella valuta-zione compiuta dai suddetti militari ha risve-gliato in me un ricordo: a Procida, infatti, sullacollinetta del Cottimo, quasi al termine dellavia S/t. di Vascello Salvatore Scotto di Vettimo,nel terreno di proprietà Ferrara coltivato dallafamiglia Di iorio, si trovano quattro piazzoledi cemento, dotate di staffe di ferro per l’ag-gancio di mortai puntati verso la terraferma,due delle quali sovrapposte a caverne-depositosottostanti, recanti tutte la data «1943» (foto n.1)9. Parimenti, sulla sommità dell’isolotto diSan Martino esistono due piazzole per batterieanaloghe a quelle di Procida10. le prime di esseavevano funzione antinave ed erano affidate alcomando di aniello Massa (foto n. 2), mentre

le altre erano destinate alla contraerea11.in proposito, Salvatore Cacciuttolo sintetizzalo stato dei luoghi, col riferire che lungo la viaScotto di Vettimo fu costruita, durante la se-conda guerra mondiale, «una serie di fortini di

avvistamento, concannoni a lungagittata e batteriecontraeree, utiliz-zati dapprima da-gli italiani, e poidopo lo sbarco e l’occupazione dell’i-sola dalle truppealleate», e aggiun-ge che «la stra-da… fu allargatae pavimentata inparte dai soldatiper accedere alleloro postazioni»12.

ancora più sintetici sono i riferimenti conte-nuti nei risultati di una ricerca compiuta daglistudenti della scuola media statale “a. Ca-praro”, nei quali si legge che «le numerosetruppe (sc.: alleate) si diressero al Cottimo edoccuparono l’unica base militare dell’isola»13,che «dovranno mettere i cannoni anche a Pro-cida» e «chi avrebbe mai pensato che a Procidasi sarebbero piazzati i cannoni e vi sarebberovenuti i soldati?»14.Di maggiore ampiezza, viceversa, sono i ri-cordi di giacomo retaggio – un bambino, al-l’epoca –, il quale registra che, al termine della«strada dei soldati», sull’altura del Cottimo,erano state costruite «delle larghe piazzole cir-colari di cemento», dotate di un perno centrale,che consentiva la rotazione dei cannoni a 360°;segnala, inoltre, la presenza di «casematte ecamminamenti» nell’area circostante, alla

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La competizione elettorale svoltasi il 20 e 21settembre scorsi ha confermato nella caricadi sindaco di Procida il dr. DINO AMBROSINO,al quale Il Rievocatore porge i più cordialiauguri di buon lavoro.

n. 1

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quale era rigorosamente vietato l’accesso, lasopraelevazione di un piano al «palazzo di donlorenzo» (ora palazzo annecchino), nel qualefu posta la sede del Comando militare, e l’in-stallazione di riflettori15. l’au-tore aggiunge, altresì, che gliamericani, una volta sbarcatisull’isola, insediarono il loroComando nella scuola ele-mentare e presero possessodelle installazioni del Cot-timo, utilizzandone i can-noni16. a loro volta, fonti orali17 misegnalano, in maniera ancorapiù diffusa, in primo luogo,che la via Scotto di Vettimoconserva il ricordo della pre-senza U.S.a. nel toponimopopolare di “Strada degliamericani”. inoltre, a unquarto di essa, all’incirca, trale querce che la fiancheggiano, vi sono i restidi alcune postazioni di guardia e, più avanti,all’altezza della curva, nei pressi del sentierodi raccordo con via ottimo, sono presenti duecostruzioni affrontate, realizzate in cemento ar-mato, prive di copertura e di porte, raccordateda un sottopasso. infine, un’altra postazione,ora interrata e visibile soltanto dal mare, sorgein prossimità di punta Fiumicello. in breve,siamo in presenza di un’area intensamente for-tificata.a proposito dell’operazione posta in esseredagli alleati, già alcuni giorni prima, poco dopola firma dell’armistizio, essi avevano inviatotre Mtb (Motor Torpedo Boat) che, insiemecon le unità affidate al capitano di fregata ales-sandro Michelagnoli, comandante della ii flot-tiglia MaS, avevano spianato agli an-glo-americani la rotta verso le isole di Capri,ischia e Procida, il cui possesso avrebbe rive-

stito grande importanza strategica nella succes-siva battaglia per napoli, avuto riguardo allaloro ubicazione alle estremità della linea di co-municazione marittima con il porto della

città18.Ciò coincide, sostanzial-mente, con quanto riferisceSimon Pocock, nel suo capil-lare saggio sulla Campania altempo della liberazione; valea dire, che il 14 settembre eracominciato l’arrivo a Procidadi piccole imbarcazioni ve-loci, provenienti da Capri, chetrasportavano ufficiali dellaMarina italiana e di quelle al-leate, ivi compresi reparti del-l’oSS, al comando del capi-tano Frank tarallo, il qualechiese alla popolazione deivolontari. alla richiesta ri-spose una quindicina d’iso-

lani, ai quali fu affidata la gestione dei cannonidel Cottimo, sotto il comando del summenzio-nato aniello Massa. la notte sul 19 settembre,poi, quattro motoscafi avevano fatto sbarcarea Procida i paracadutisti ricognitori del 509thParachute infantry, provenienti da Capri, al co-mando del capitano gary r. Howland19. Peral-tro, il ricordo di queste operazioni di sbarco èconfermato dalle memorie del militare U.S.a.bob rainie, il quale scrive, fra l’altro: «Onenight my boat went to Procida, a little islandnear the mainland…»20.Sta di fatto, intanto, che il fenomeno del reclu-tamento da parte dell’oSS – progenitrice dellaCia – (ma anche da parte dei Servizi segretiinglesi) di persone da infiltrare ebbe una suaapprezzabile diffusione nel periodo in que-stione: si pensi, per la prima ipotesi, al caso del“capitano” enzo Stimolo e a quello di biagioCarbonaro, e, per la seconda, a quello di Mad-

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n. 2

Quando gli uomini non credono più a Dio, non è chenon credono più a nulla. Credono a tutto.

Gilbert Keith Chesterton

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dalena Cerasuolo, tutti combattenti delle Quat-tro giornate di napoli21, e, dunque, l’opera-zione posta in essere su Procida, in tal senso,fu sicuramente una delle tante. D’altronde, lapresenza di batterie sul suo territorio – che, pe-raltro, consente di tenere sotto controllo sia ilcanale di Procida, che quello d’ischia – dovettefare gola, in maniera particolare, agli esponentidell’oSS che lo ispezionarono, e furono, senzadubbio, esse la «base» cui fa riferimento il do-cumento citato in apertura di questo discorso22.Sarebbe, altresì, interessante conoscere l’iden-tità degl’isolani affidatari della gestione diquelle postazioni e, soprattutto, accertare se furivelata loro l’effettiva finalità dell’invito; di-versamente, essi si sarebbero trovati nella con-dizione d’ignari strumenti nelle mani del-l’oSS.infine, una singolarità. ironia della sorte: Pro-cida era anche il nome di una nave da caricotedesca, adibita al trasporto di carburante peraerei23.__________1 Cfr. P. Schiano, La Resistenza nel Napoletano, napoli-Foggia-bari 1965, p. 54 s.2 Y. Carbonaro, Scelse la libertà, napoli 2019, p. 144 s.(v. la recensione nel n. 1/2020 di questo periodico, p.59).3 Cfr. national archives, Pacatte report to Huntington,entry 99, Folder 142, box 30.4 Cfr. S. angiulli, The King’s Italy, romagnano al Monte2016, p. 322 ss.; S. j. lagumina, The Office of StrategicServices and Italian Americans, Massapequa Park 2016,p. 87 ss.5 Sul quale cfr. g. barbarulo, Una vita al cardiopalma,napoli 2019, p. 80. il Pacatte, originario della Corsica,fu protagonista, fra l’altro, di un grottesco episodio dismarrimento di documenti segreti: cfr. M. g. Pasqualini,Chi ha rubato il ‘Rapporto Pacatte’?, in Nuovo Moni-tore Napoletano, 27 aprile 2013 (all’indirizzo internet:

http://www.nuovomonitorenapoletano.it).6 Cfr. P. tompkins, L’altra Resistenza, tr. it., Milano2005, p. 28 s.7 Cfr. j. b. Dwyer, Seaborne Deception, new York 1992,p. 43 ss.8 Cfr. P. tompkins, o. c., p. 26.9 Cfr. S. Zazzera, Conoscere l’isola, 1, napoli 2003, p.28.10 id., Le isole di Napoli, napoli 1997, p. 54.11 id., Procida ‘900, napoli 2017, p. 43. Massa era lau-reato in scienze coloniali ed esercitava la professione dimaestro elementare.12 Cfr. S. Cacciuttolo, In giro per Procida tra passato epresente, napoli 1990, p. 213.13 Cfr. Concetta, anni 74, in Procida tra le due guerre…storie nella Storia, a c. della Scuola secondaria di i gradoa. Capraro, Procida s.d. ma 2008, p. 50.14 Diario di Filomena Cacciuttolo, ivi, p. 86, 90 (sub10.12.1942 e 15.4. 1943).15 Cfr. g. retaggio, A Procida non caddero bombe, na-poli 1998, p. 55 s.16 ivi, p. 101 ss.17 Vale a dire, gli amici tommaso barone e gerardo Ce-rase, ai quali sono grato.18 Cfr. g. Manzari, La partecipazione della Marina allaGuerra di Liberazione (8 settembre 1943-15 settembre1945), in Bollettino d’archivio dell’Ufficio storico dellaMarina Militare, 2015, p. 94.19 Cfr. S. Pocock, Campania 1943, 2, napoli 2009, p. 27ss., e v., pure, Operation ‘Avalanche’-Report on Nor-thern Assault Subsidiary Operations [all’indirizzo inter-net: cgsc.cdmhost.com (82nd Airborne Division in Sicilyand Italy)],20 Cfr. b. rainie, Navy Beach Jumpers, the 1940’s (al-l’indirizzo internet: www.beachjumpers.com/History/1940sBR.htm). 21 Cfr., rispettivamente, g. barbarulo, o. c., p. 59 ss.; Y.Carbonaro, o. c., p. 136 ss; g. Morgese, La guerra dimamma, napoli 2010, p. 52.22 Cfr. supra, nt. 3.23 Cfr. D. a. thomas, Malta Convoys, 1940-42: TheStruggle at Sea, barnsley 1999, p. 57; r. Hammond,Strangling the Axis, Cambridge 2020, p. 104.

DE CASALE ILLUSTRÌSSEMOIl nostro past-director Antonio Ferrajoli ci segnala che di cose, o anchedi persone, di nessun valore a Napoli si dice che sono de casale illu-strìssemo, chiedendosene il senso. Ebbene, si può pensare che il voca-bolo casale (che designa alcune località prossime alla capitale:nell’immagine una veduta del casale di Volla) sia, nella specie, unaforma corrotta di casato, nel qual caso la locuzione costituirebbe

un’antifrasi ironica, poiché a una nullità sarebbero attribuite nobili origini.

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ENRICO CAJATILa lezione di libertà di un artista visionario

di Antonio Grieco

Nel mondo postmoderno segnato dalla spet-tacolarizzazione e mercificazione di ogni

attività umana, c'è poco spazio per quegli artistiche nella loro vita hanno scelto l'arte comeunica ragione della loro esistenza. Molti di essivivono ai margini o vengonoconsiderati “minori”, spessosemplicemente perché nonrientrano nel business glo-bale dell'arte, un sistema chenegli anni è andato semprepiù configurandosi comeuna slot machine, una mac-china per fare soldi1, con laconseguenza che all'indo-mani della loro morte, il Po-tere, in tutte le sue variegateespressioni, col silenzio sulla loro esperienzacreativa, ha, nei fatti, decretato di cancellarnedefinitivamente la memoria dalla nostra storiaculturale e artistica. nella realtà napoletana, gliartisti “irregolari” dimenticati nella bolgia mer-cantile di questi ultimi decenni sono tanti, inparticolare quelli che in campi diversi (dallapittura al teatro, dalla musica alla poesia)hanno rifiutato modelli egemoni e, coerente-mente, hanno intrapreso una difficile e auto-noma ricerca non separando mai l'arte dallavita. È per questo che a coloro che non si rasse-gnano a questa damnatio memoriae, non restache esplorare zone poco abitate, invisibili, per

ritrovare squarci di verità e di luce dove c'èsolo buio. Uno degli artisti che hanno subitoquesto assurda rimozione, e che ci sembra giu-sto qui ricordare, è enrico Cajati, artista napo-letano d'avanguardia di notevole talento e dal

temperamento anarchico,nato nel 1927, scomparsonel 2002. Di Cajati, nel2006, si è tenuta una interes-sante mostra delle sue operea napoli2, a cura di PaoloMamone Capria, poi poco onulla. e, invece, a nostro av-viso, proprio le opere lìesposte, nelle sale di Casteldell'ovo, che illuminavanola sua complessa personalità

artistica, avrebbero dovuto spingere i cultoridell'arte napoletana a mantenerne vivo il ri-cordo e la lezione. Una lezione che è innanzi-tutto una lezione di libertà, perché Cajati nelsuo viaggio nel mondo dell'arte ha semprescelto di seguire una propria strada senza la-sciarsi mai condizionare né dal mercato, nédalle mode, né dalle punte più estreme di unaneoavanguardia, che allora, negli anni Sessantadel novecento, sembrava specchio di una piùradicale trasformazione politico sociale, mache poi – come già aveva intravisto Marcuse3

– fu in gran parte assorbita dal potere. l'artista napoletano ebbe una infanzia difficilee una formazione da autodidatta. rivelò, sin da

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ragazzo, sorprendenti doti artistiche e, ben pre-sto, già negli anni Cinquanta del novecento, fusegnalato all'attenzione del pubblico da alcunicritici napoletani che apprezzarono i suoi primidipinti che si ispiravano al paesaggio napole-tano e mediterraneo e si inserivano con grandenaturalezza nell'alveo di una nuova figura-zione: con una preziosità materica e coloristicache richiamava alla menteesperienze fauve e espres-sioniste (come nei dipintiPaesaggio, del 1953, eContadine, del 1954); magià nel sorprendente Pae-saggio verso Capodi-monte (1955) si possonoscorgere i primi segni diuna fase nuova della suasperimentazione, che loporterà col tempo a sfal-dare l'immagine e a cer-care un diverso approcciolirico-poetico con la re-altà esterna. È una faseestremamente vitale dellasua ricerca, in cui «la ma-tericità del colore ha ac-quisito una sorte di valore e di vitalitàautonomi»4. intorno agli anni Sessanta, immediatamentedopo l'invito alla biennale di Venezia, Cajati siavvicina all'informale con una personale cifrastilistica – emblematici in tal senso i dipinti Si-lenzio con lievi disturbi (1962), Giornata disole (1965) e Composizione (1964) – tutta gio-cata su un delicato rapporto tra segno, materiae immagine, mentre lascia intravedere, sotto-traccia, una tensione meditativa, concettuale,che da questo momento ritroveremo in ognisua opera. È qui che la sua arte – basti pensaread opere come Visione del sole (1965) e Com-posizione (1965) – raggiunge la piena maturitàespressiva. la visionarietà sarà d'ora in poi ilsegno distintivo del suo sguardo; una capacitàdi immaginare altro, di guardare oltre il pre-sente che ritroveremo soprattutto in quelle fi-gure di animali o di uomini che compaionoimprovvise immerse nel silenzio e nel buio,

così labili, precarie e lontane nel tempo, chesembrano sul punto di scomparire5. in questevisioni, scopriamo poi lo stesso sacro simboli-smo delle pitture parietali che si possono am-mirare nelle mura affrescate dai primitivi nellegrotte dell'età paleolitica: immagini primordialiche, per dirla con jung, sembrano ereditate daepoche remote e, appena al di sotto della soglia

della coscienza, sono espres-sioni «dell'incosciente col-lettivo»6. C'è tutto un mondo in-

timo e misterioso che ri-torna in queste opere – daFigura nel campo chiaro(1986) a Marionetta sufondo bianco e verde(1985), a Fuga nel pae-saggio rosso (1987), Ma-rionetta, bianco e nero(Pulcinella) (1967-89,foto nella pagina seguen-te) – in cui la figuraumana sembra quasi ri-dursi a un nulla, un'ombraappena visibile tra l'ani-male e l'uomo che sta al di

là della Storia. Queste figure, che sembranomutuate dall'iconografia popolare, evocano unintimo sentimento di angoscia, di inquietudineesistenziale; ci giungono quasi come un mo-nito, un grido di allarme per un mondo che nelsuo orizzonte lascia intravedere solo segnali didistruzione e di morte. È l'uomo di Cajati –come in Angelo notturno (1978) – è qui solo,sperduto nel buio nella notte più oscura e fe-roce dell'umanità.nelle opere dell'ultimo periodo, si fondono –

con grande equilibrio compositivo – temi po-polari e religiosi con le esperienze più vive del-l'arte europea del novecento. tornando indie-tro nel tempo, occorre ricordare che tra i primiad accorgersi dell'originalità della sua arte, ful'artista critico Paolo ricci che, dopo aver ap-prezzato i suoi paesaggi degli anni Cinquantaed averlo invitato a partecipare ad una collet-tiva da lui curata nel 1967 al lido azzurro ditorre annunziata (una esposizione che vide la

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partecipazione, tra gli altri, di artisti napoletanicome augusto Perez, giuseppe Pirozzi, Carloalfano, errico ruotolo, elio Waschimps),

qualche anno dopo, scrisse: «Una pittura daanno mille. Cupa, piena di terrore, visionaria,furiosa. le immagini emergono spettrali sufondi scuri, definendosi in maniera sommaria,attraverso la deformazione che sta tra il grot-tesco atroce, e il mistico furore. Questa pitturami ricorda certi affreschi francesi del dodice-simo secolo: la stessa furia, la stessa inven-zione e scoperta di forme antropomorfe resecon la rabbia e la violenza di storici abitatoridelle caverne»8. Cajati, ci ha ricordato Ma-mone Capria nel saggio introduttivo al cata-logo della mostra di Castel dell'ovo, impie-gava molto tempo, prima di giungere alla com-posizione definitiva delle sue opere9. Questa ricerca di una intima espressione lirica,per il tramite di un continuo processo sottrat-tivo, lo porta col tempo a pensare l'immaginecome qualcosa di assoluto in cui ogni essereumano possa riconoscersi; e questo perché inquei segni impalpabili, in quelle sagome ap-pena visibili di animali, che fanno pensare a ritiancestrali e magici, c'è probabilmente l'intimaessenza della nostra natura, forse la memoria

nascosta e perduta della nostra stessa inno-cenza. grande fu la solitudine di Cajati nell' ambienteartistico del suo tempo, che probabilmente noncomprendeva quel suo continuo interrogarsisul mistero dell'uomo dentro la Storia – nelflusso caotico del divenire – «entro i mezzipropri ed esclusivi della pittura»10; una pitturavisionaria che – come ha scritto Salvatore Vi-tagliano, suo amico e suo grande estimatore –con «uno sguardo nel passato e uno nel futuro,mette tutto sullo stesso piano, appiattendoquella superficie materica che aveva elaboratocon tanti anni di sperimentazione»11. rifiutando ogni esteriorità per un linguaggiosintetico espressione della sua più profondaspiritualità, possiamo considerare la ricerca diCajati un episodio unico nella pittura napole-tana e italiana del novecento che non dob-biamo assolutamente dimenticare. Come nonlo dimenticano i tanti artisti napoletani checontinuano a guardare alla sua opera per ritro-vare la genialità di un'arte che si sottrae a qual-siasi convenzione accademica come ad ognipossibile tentazione speculativa, omologante emercantile. __________1 r. gramiccia, Slot art machine. Il grande business del-l'arte contemporanea, roma 2012.2 titolo della mostra: “enrico Cajati. nel segreto dellaforma”, a c. di P. Mamone Capria, napoli, Castel del-l'ovo, 2006. 3 Cfr. H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, torino1967, p. 80. Scrive infatti il filosofo tedesco: «il potereassimilante della società svuota la dimensione artistica,assorbendone i contenuti antagonistici». 4 Nel segreto della forma cit.5 P. ricci, 27 Giovani artisti napoletani scelti da un cri-tico, saggio introduttivo al catalogo della mostra “20 pit-tori e 7 scultori”, a c. di P. r., Salone delle termeVesuviane, lido azzurro, torre annunziata 1967.6 C. g. jung, Il problema dell'inconscio nella psicologiamoderna, torino 1959, p. 48.7 “20 pittori e 7 scultori”, mostra al lido azzurro di torreannunziata, cit.8 P. ricci, Enrico Cajati da Turchetto, in l'Unità, 2 giu-gno 1972.9 P. Mamone Capria, Nel segreto della forma cit.10 Ibidem.11 S. Vitagliano, in Enrico Cajati, catalogo mostra Casteldell'ovo, cit.

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LA PARTE PIU’ SEGRETA DI UN ARTISTA SENSITIVO

di Franco Lista

«Ho sempre guardato l’operare di giuseppe anto-nello leone con grande stupore, come a qual-

cosa di misterioso e insieme magnetico, in grado diattirare l’attenzione per il rapporto che giuseppe ha conla materia e la natura.Mi accorgo solo ora che quello che faceva nelle matti-nate primaverili, sui prati di trifoglio o sul greto delfiume titerno, era l’interlocuzione profonda, collo-quiale, con la materia. ancora oggi quel rapporto, offertodalla sensibilità acutissima di giuseppe, è rimasto dentrodi me, quando ripercorro con il ricordo l’azione che l’ar-tista eseguiva, attento a focalizzare fulmineamente unquadrifoglio o a riconoscere un ramo tortuoso che inglo-bava un sasso.era intento a individuare quel qualcosa di non-materialeche la materia possiede, come sosteneva Voltaire».

Scrissi questa breve annotazione in Gentile in-gegno, un libro dedicato ad augusto Crocco ecurato da orazio Dente gattola, Vittorio gaetae Sergio Zazzera.Si tratta solo di un frammento, di una concisariflessione su uno dei tanti aspetti, forse quellopiù segreto e meno conosciuto, della poliedricapersonalità di giuseppe antonello leone, pit-tore, scultore, ceramista, poeta, scrittore, gran-de esperto e sperimentatore delle tecniche arti-stiche, didatta e pedagogista della formazioneartistica.Una individualità di artista e di intellettuale atutto tondo, con un suo approccio olistico al vi-vere e produrre arte, condito sempre dalla sag-gezza del “filosofo della propria esistenza” eda una imponderabile sensibilità.Qui va sottolineata la sua particolarissima sen-

sibilità che, spesso, diventava intransitiva sen-sitività, cioè capacità di avvertire cose che nonsi avvertono normalmente.Peraltro, ho avuto modo di assistere a feno-meni insoliti e a racconti di impressionanti vi-cende di guerra vissute da giuseppe antonelloleone che meriterebbero una narrazione a par-te. Mi limito, pertanto, a riconoscere l’esisten-za di una zona segreta, interiore, capace di rico-noscere il soprannaturale, di questo straordina-rio artista che si serviva, a mio modo di vedere,anche delle sue qualità extrasensoriali nel farearte e nell’intrattenere un rapporto unico, sin-

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giuseppe antonello leone(©Rino Vellecco)

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golare, con la materia.Proprio queste straordinarie e rare predisposi-zioni gli consentivano di dialogare e interro-gare, nel profondo, la materia andando moltooltre la tangibilità della sua forma esteriore. Sicuramente sono prerogative di pochi, grandiartisti; penso a Michelangelo che all’internodel blocco di marmogià intravvedeva la for-ma e scolpendo la libe-rava semplicemente col«levare il soverchio»,cioè il superfluo. Pen-so, per fare un ulterioreriferimento, al più re-cente procedere di joanMirò quando dichia-rava di lasciarsi «gui-dare dalla materia», nelsuo operare generativodi pitture e sculture.giuseppe antonelloleone, da artista sensi-tivo materializzava for-me e volti ricavandolida pietre, da contenitori di latta, di plastica, dipolistirolo; leggeva, quello che riteniamo for-tuito e accidentale, nei marmi, nelle pavimen-tazioni, nelle strutture polimorfiche delle roc-ce; conosceva il linguaggio del casuale, del-l’arte involontaria di cui la natura è eterna-mente creatrice e misteriosa dal momento incui ne nasconde il senso.rinvenire substantia immateriale ed esterioritàtangibile (ossia sensibile e intelligibile) nellepietre significava, per leone, non solo darecorso a un vigoroso impulso espressivo, mamettere in essere un atto profondo, sostanzial-mente di natura spirituale, che l’artista com-

piva nell’attribuire, brunianamente intesa, l’i-dentificazione tra materia e mens divina. in questo consisteva il trasporto e l’attacca-mento alla materia di giuseppe antonello leo-ne, cioè quella particolare attenzione e cura,alle quali faceva seguito la meraviglia quandoaccedeva a quel quid d’immaterialità che la

pietra aveva al propriointerno.estirpata dal noverodelle attività autentica-mente poetiche di leo-ne, ecco la cosa che sta-va più fortemente acuore al nostro artista eriposta nella zona um-bratile della più profon-da sua intimità, appa-gando gli intimi bisognidell’arte e dell’anima.allora, viene tanto spon-tanea quanto immediatala comparazione con isuperficiali atteggia-menti di molti artisti

contemporanei, nel contesto dell’arte declas-sata a pura merce semiologica, come critica-mente affermava Mario Perniola. il “nuovo” oggi si realizza con l’avvento delletecnologie informatiche, con i prodigi del vir-tuale: un modo oggi diffuso per realizzare ef-fetti sorprendenti, esteriori e senza “profon-dità”, che determinano progressivamente l’e-stinzione delle preziose capacità umane di darerinnovata vita, di risemantizzare (come avreb-be detto argan) le materie della natura e i ma-teriali dell’artificio umano. il nuovo mondo digitale, fascinoso con le lu-singhe e gli inganni del virtuale, stimola ed ec-

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g. a. leone, Benedetto Croce (pietra di fiume)

Il Rievocatore partecipa al dolore di Bruno, Claudia e Ric-cardo Bianchi, per la scomparsa della professoressa

ANNAMARIA IERARDO

avvenuta in Napoli il 2 novembre scorso.

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cita tutti gli artisti che hanno una cieca fede inqueste tecnologie. Così, progressivamente,strumentazioni e correlati approcci operatividiventano veri e propri distruttori della “sen-sorietà”, della sapienzamanuale e della conoscen-za profonda della organi-cità della materia.Con ciò non si vuole bana-lizzare o peggio demoniz-zare lo sviluppo delle nuo-ve tecnologie; al contrariosi auspica un loro correttouso a servizio della creati-vità umana.tuttavia va pur detto qual-cosa sul dilagare di unasorta di fittizia “artisticitàdiffusa”, dovuta alla pro-duzione dei tanti sistemioperativi e app che illu-dono molti pseudoartisti.Costoro realizzano facil-mente immagini compute-rizzate; con la stessa insignificante soddisfa-zione, né più né meno, dei ragazzi sedotti daigiochi elettronici. esemplare, per converso, diventa il lavoro dileone, homo artifex, che ripropone, con la suaparticolare e notevole creatività, forme di sen-sibile conoscenza attraverso la sapienza ma-nuale: un lavoro sapiente e oculato, una sin-golare fabbrilità che appare come una sorta dicorrelazione kantiana, quando il filosofo os-

servò: «la mano è la finestra della mente».la mano è dunque alla ricerca e scelta dellepietre: afferra, tocca, tasta il loro potenzialeespressivo, la mente agisce nella successiva

«risignificazione» (g. a.leone) con essenziale a-zione segnica e talvoltalievemente cromatica. Un processo che richiedetempo, non sempre imme-diato perché discende dal-la metagnosia dell’artista,diretta cioè alla misteriosanatura interna della mate-ria. le pietre sono esposte allapercezione dell’artista di-retta a sondare la miste-riosa natura interna dellamateria. eccole nello stu-dio, e il tempo dell’inter-vento è conseguenza diuna stasi meditativa cheporta alla maturazione vi-

siva e introspettiva; esteriore e tattile, interioree occulta e dunque all’assolutezza formale del-l’opera.Un’azione di totale rinvenimento della vita na-scosta, di spirituale visionarietà, fortementecontingente, singolarmente simile al nostro es-sere nel mondo, in der Welt sein avrebbe dettoil nostro amato filosofo.

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g. a. leone, Figura antropomorfa(bottiglie di p.e.t.)

La graduatoria stilata da Eduscopio.it della Fondazione Agnellivede, per quest’anno, il LICEO “JACOPO SANNAZARO” al primoposto fra gl’istituti napoletani d’istruzione superiore. Il diri-gente scolastico, prof. Riccardo Güll, i docenti, gli alunni, il per-sonale ATA e l’intera comunità scolastica hanno espresso laloro soddisfazione per il riconoscimento e il loro pieno intentoa proseguire nella direzione di una scuola che riesca a dareai giovani una formazione di qualità, sia come studenti, checome cittadini europei. A tale manifestazione di compiaci-

mento sia consentito associare quella di Il Rievocatore, che annovera nellasua redazione ben quattro ex-allievi di questo istituto.

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IN MEMORIA DI FERDINANDO FERRAJOLI

Mi si è fatto l’onore d’invitarmi a ricordareil prof. Ferdinando Ferrajoli ed io ho ac-

cettato con piacere la preghiera rivoltami dalfiglio del compianto amico,anche per rendere omaggioalla memoria di un uomoche Procida considera, conlegittimo orgoglio, suo fi-glio, perché discendente daillustri antenati procidani.Parlare del prof. Ferrajolinon è un compito facile, es-sendo egli stato archeologo,storico, letterato, scrittore,poeta, conferenziere, pub-blicista. tuttavia cercheròdi tratteggiarne brevemente la figura, co-gliendo qualche aspetto di una personalitàtanto complessa, attraverso la citazione di al-cune tappe gloriose di una operosa attività cul-turale ed artistica, che lo fecero definire, dapersona ben più qualificata di me: un’insignefigura di studioso ed artista di grande levatura.Dopo aver frequentato l’istituto di belle arti a

napoli, conseguì il titolo di professore di Di-segno architettonico e di decorazione e succes-sivamente, all’Università di roma, quello di

professore di Storia del-l’arte.Collaboratore intelligente eprezioso del prof. amedeoMaiuri, si distinse e si feceapprezzare per la sua pre-parazione, la sua serietà, ilsuo impegno e la sua cul-tura.È stato scritto che: «Parlaredi tutte le opere di scavo dalui eseguite, per riportarealla luce importanti vestigia

del passato è pressoché impossibile, tale è lamole di lavoro che non è azzardato definire ti-tanico quello effettuato da questo insignescienziato».basterà, per ricordarlo come archeologo, citarequalche importante lavoro: quello degli scavidi Paestum, degli scavi di baia, di Sorrento, diercolano, Pompei.

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di Guido Cennamo

Pagine vive.2

Brevi parole pronunziate dal sindaco di Procida, prof. Guido Cennamo, a ricordo del prof. Fer-dinando Ferrajoli, il giorno 23 agosto 1975, nell’Arciconfraternita dei Turchini in Procida.

* * *

Ferdinando Ferrajoli (dis. Mimmo Piscopo)

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Vasta fu anche la sua attività di scrittore, con-ferenziere e pubblicista.I Castelli di Napoli, Palazzi e fontane nellePiazze di Napoli, Napoli Monumentale, Cu-pole e Campanili napoletani, Le valli dellacittà di Neapolis, La Sirena di Posillipo, Pro-cida-Guida storica ed artistica e tante altre sueopere, scritte, come disse il Maiuri: «Con stileforbito, da uomo versato nell’architettura», re-cano il segno di una persona-lità inconfondibile. in esse tra-spare la figura dell’uomo nellaluce di una dedizione fervida eluminosa per la sua napoli, dicui egli fa rivivere, con arteimpareggiabile di conoscitoreprofondo, i luoghi, i monu-menti, i personaggi.egli parla, ad esempio, dei ca-stelli di napoli con penetra-zione storica, con rara vivacitàdi descrizione, esprimendosicosì: «Quando nel raggio dellaluna si vede profilarsi la sa-goma dei vecchi, le splendidecorti dei castelli partenopei, lafantasia sovrana, le ombre vaganti del biondoCorradino di Svevia».Sono soprattutto opere rivelatrici di una suaconcezione della vita, intesa come missioneche ogni uomo deve compiere. in questa luceva vista anche la conferenza su I medici degliIncurabili durante la Repubblica partenopea,tenuta il 18 aprile 1959 al Centro Campanodell’accademia di Storia dell’arte sanitariache dedicò alla memoria del prof. giuseppe Denito, del quale ebbe a dire: «Pose le sue virtùdi medico e di scienziato al servizio dei suoialunni universitari e dell’umanità oppressa daldolore, facendo della sua vita una missione edun dovere».Uomo di eccezionale statura, il prof. Ferrajoliha lasciato una vivida, splendida testimonianzadi una vita tutta spesa al servizio degli idealicristiani.la sua personalità fu nutrita di fede ardente,quella fede di cui sono permeati i suoi scritti.in Cupole e campanili napoletani egli scri-

veva, ad esempio, così: «Questa grande metro-poli racchiude delle Chiese e palazzi signorilidi tutte le epoche, ove il suo popolo impresseincancellabili orme della sua antichissima sto-ria, dotandoli di bronzi, di affreschi, di quadri,di arazzi e di tanti altri tesori d’arte, che atte-stano la sua civiltà ed il suo continuo pro-gresso».e più avanti ancora: «il popolo napoletano ama

ed ha sempre amato la vocesonora della campana, perchéquesta armoniosa e misticamusica penetra nel suo cuore,ne attenua le pene e ne fa sus-sultare di gioia le anime op-presse».a conclusione del mio mode-sto dire, necessariamente con-tenuto in limiti molto ristretti,mi piace sottolineare del prof.Ferrajoli il suo amore smisu-rato per Procida, sua terra dielezione e dei suoi avi, di cuisoleva sempre parlare con vivacommozione.a suggello di quest’amore egli

ci ha lasciato il volume Procida-Guida storicaed artistica in cui descrive, con dovizia di par-ticolari, da profondo conoscitore, le località, lasua architettura, la sua selvaggia bellezza, ilsuo magnifico mare, il suo incomparabilecielo, la probità della sua gente, la generositàdel suo animo, il fervore religioso di una po-polazione «testimoniato dalla presenza delle 13Chiese che furono edificate nell’isola e dalleinnumerevoli e leggiadre edicole che decoranola maggior parte delle abitazioni». ecco perchéoggi questa isola, attraverso la modesta paroladel suo sindaco, rende, omaggio alla memoriadi un uomo che l’amò intensamente e costan-temente e che nell’armonia del suo tempera-mento condensò tutte le più alte qualità dellanostra gente.e nel rivolgere il nostro pensiero reverente ecommosso a lui che è nel regno della luce edell’amore chiediamo ancora amore e prote-zione dall’alto per Procida.

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guido Cennamo

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XV PREMIO MASANIELLO - NAPOLETANI PROTAGONISTI

Nel teatro Sannazaro, gioiello di gusto tardoottocentesco dove primeggia il bianco

sulle decorazioni inoro, scrigno nel pa-norama dei teatripartenopei con treordini di palchi piùloggione, di fine ele-ganza, si è svolta laXV edizione del Pre-mio Masaniello.il Premio che nasceda una idea di Um-berto Franzese e lui-gi rispoli sin dal-l’inizio, attraverso l’esempio di molteplici personaggi provenientida diversi mondi e da variegate competenze«…ha l’intento di mostrare esempi positivi dinapoletani che ogni giorno danno l’occasionea tutti di essere orgogliosi di appar- tenere aquesta città…».Ha aperto e introdotto la serata la melodia diNapoli t’amo, testo e musica di Franzese/

Mosca.tanti illustri napoletani protagonisti: il saggi-

sta, studioso dei cultimisterici Stefano ar-cella, il giornalista escrittore aldo DeFrancesco, la cera-mista e docente diarti figurative DianaFranco, il presidentedel Museo CappellaSansevero FabrizioMasucci, la direttri-ce dell’associazioneculturale “itineraristorici alchemici di

napoli” laura Miriello e l’esperto di musicasettecentesca napoletana Massimo Faella, lacantante e attrice Pietra Montecorvino (il pre-mio è stato ritirato dal marito eugenio bennatoche si è esibito con suoi brani) e poi, il sopranodel teatro San Carlo di napoli linda airoldi,il regista lirico riccardo Canessa, la cantanteConsiglia licciardi, il cantante e chitarrista

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di Maria Lista

l’artista Diana Franco ritira il premio

A cinque anni dalla sua dipartita, la Confraternita dei Tur-chini di Procida ha voluto ricordare DON GERARDO SCOTTO DIPERTA, diacono permanente e superiore emerito dellastessa, intitolando a lui la sagrestia della propria sede. L’ini-ziativa rientra nel programma di rivitalizzazione dell’ente, in-trapreso dall’attuale superiore, com.te Matteo Germinario,

eletto lo scorso febbraio, e dai suoi collaboratori.

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Mario Maglione, il direttore del reparto onco-logico degli ospedali Monaldi e Cotugno Vin-cenzo Montesar-chio, l’organizza-tore di eventi mon-dani Fabio Palazzi,il giovane registatullio imperatore,si sono avvicendatisul palco del San-nazaro per ritirare ipremi della sezionea tema specifico“Fascini, enigmi,spiriti notturni nellanapoli del mito”,della sezione a te-ma ciclico “radicied identità” e della nuova sezione “PremioUnicum guglielmo Celestino”. naturalmente,insigni personaggi anche tra coloro che hannopremiato, il tutto intervallato da piacevoli mo-menti di spettacolo, danza e musica, quali enzoDe Simone, nei panni dello scaccino, e a se-guire giacomo Coletti e rebecca gallo dellaFlowing Arts Dance Company, The EveryDance di Cristiana Monticelli, le stiliste an-gela greco e tiziana grimaldi con le loro crea-zioni. la lettura delle motivazioni dei premi è

stata resa da bruno Caricchia ed eleonora Mi-gliaccio. la regia dello spettacolo è stata curata

da Sasà imperatore.la serata, dopo uniniziale ritardo do-vuto al riconosci-mento e accompa-gnamento ai loroposti di tutti gli in-vitati, si è svolta inmaniera fluida escorrevole; questodovuto sia al temaspecifico che inmaniera calamitan-te ha rapito gli spet-tatori, sia alla con-duzione ritmata di

lorenza licenziati, nonché all’attenzione dilara Sansone e Sasà Vanorio che con specificiaccorgimenti hanno reso confortevole la sostain teatro in tempo di Covid.il premio è stato realizzato dallo scultore Do-menico Sepe e quest’anno visto il tema speci-fico i premiati hanno inoltre ricevuto i“ciortini”, biscotti a forma di corno prodotti dairagazzi del carcere minorile di nisida.

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“SIRENA DIGITALE”

Dal 23 ottobre è aperta al pubblico, presso il MuseoArcheologico Nazionale di Napoli (MANN), l’installa-zione del progetto di ricerca “Sirena Digitale”, dimo-stratore del progetto REMIAM - Reti Museiintelligenti ad alta multimedialità del Distretto DATA-BENC, finanziato dalla Regione Campania e realizzatodal Dipartimento di Scienze Sociali dell'Universitàdegli Studi di Napoli Federico II e dall’Istituto di Cal-colo e Reti ad Alte Prestazioni del Consiglio Nazio-nale delle Ricerche ICAR-CNR, in collaborazione con

l’Accademia delle Belle Arti di Napoli, con il Centro di produzione RAICampania e con il MANN.Il progetto valorizza e promuove il patrimonio culturale, artistico e musi-cale partenopeo, nell’ambito del progetto REMIAM. “Sirena Digitale” è ilprototipo olografico di un’artista interattiva che, sotto forma di olo-gramma, interpreta il repertorio della canzone classica napoletana nelleversioni in lingua originale, in inglese e in cinese mandarino.L’installazione è visitabile (pandemia permettendo...) al piano -1 del MuseoArcheologico di Napoli (MANN).

la “Sposa” di tiziana grimaldi

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IN DIFESA DEL NUMERO 10

di Carlo Zazzera

Non fatelo. non togliete il sogno ai bam-bini. neanche lui lo vorrebbe, ne sono

certo. Colui il quale pensate di omaggiare conquesto gesto.il calcio è sem-plice, com'èsemplice la fan-tasia dei bam-bini. e non vafrenata.la morte diMaradona hariaperto la di-s c u s s i o n e

sulla pratica del "ritiro" del numero di maglia,amplificandola com'è sempre accaduto contutto ciò che lo ha riguardato, in campo e fuori.Qualcuno ha proposto di "ritirare" il numero10 da tutte le squadre di calcio del pianeta,come tributo per il più grande. in primo luogo mi viene da pensare che, qua-lora questa pratica fosse stata in voga neglianni '70, Maradona non avrebbe mai potuto in-dossare la 10, perché sarebbe stata ritirata inonore di Pelè. adesso, quindi, si chiederebbedi ritirare un numero diverso, certamente menoevocativo, come meno evocativo era il 14 diCruijff, per quanto riconoscibile. Solo per ci-tare altri due calciatori tra i più grandi di sem-pre, di epoche diverse.io non so se potrà mai esserci, anche tra mille

anni, qualcuno che lo meriti più di Maradona,non lo sa nessuno. Ma so per certo che tutti ibambini che iniziano a giocare a calcio lofanno sognando di poter, un giorno, esserecome il loro idolo e indossarne la maglia. Privarli a priori di questo sogno è un giococrudele figlio dell'onda dell'emozione, ma sle-gato dal vero senso dello sport e del calcio.Maradona, il calciatore considerato più vicinoal popolo, non credo avrebbe voluto privare ifigli di quel popolo di un sogno, soprattuttoadesso che non c'è più lui a farli sognare. nessuno di noi può privare un bambino delsogno di indossare la maglia del proprio idolo,che sia Mara-dona o chiun-que altro. in un'epoca in cui siaccusa il mon-do del calciodi essere solobusiness, fac-ciamo in modoche il valoredi un sognoresti primariorispetto a una scelta che, seppur di cuore, dalcuore toglie una delle cose più belle, la pro-spettiva della realizzazione di quel sogno.

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NORD E SUD, L’ETERNO DUALISMO

Ènoto come l’italia sia il paese dei tanticampanili, il paese dei comuni, senza esa-

gerazione possiamo dire ci sia una costantecompetizione, che sfocia spesso e volentieri inun vero e proprio dualismo, soprattutto tra leregioni settentrionali e le regioni meridionali.Da sempre chi vive al nordtende a rimarcare le diffe-renze di cultura, di vita e dilavoro con gli italiani chevivono a Sud. Certo, è inne-gabile, vi sono differenzedovute in primo luogo alpercorso storico che è statodifferente, alle differenticontaminazioni storiche ealle influenze che vi sonostate tra le due aree delpaese.laddove, per capirci, cosìcome nel lombardo-Venetoancora oggi si avverte l’in-fluenza della dominazione austriaca nel mododi vivere, in Sicilia in tante cose si possono co-gliere aspetti della cultura araba. in altre paroledifferente è il processo evolutivo che è duratosecoli e che si è formalmente concluso solo conl’Unità d’italia, quindi in un tempo relativa-mente recente. tanto più che il modo in cui è

avvenuta l’unificazione, ovvero da parte di unsolo soggetto, il regno di Sardegna, che si ècomportato come da vincitore, ha implicatoche fosse imposto alle regioni meridionali unmodello differente da quello proprio.Ciò ha determinato l’acuirsi di un sentimento

di differenza in entrambe lezone del paese, poiché leregioni del nord hannocontinuato nella politicaposta in essere dai Piemon-tesi all’indomani dell’U-nità, con un sostanzialeprivilegio delle proprie zo-ne dal punto di vista poli-tico ed economico e conuna politica di totale disat-tenzione delle legittime esi-genze del Sud del paese.Ciò da cosa deriva? e per-ché sempre più spesso stadegenerando in rapporti

conflittuali? la ragione sta in primo luogo nelfatto che la nostra è una nazione in cui il pro-cedimento di unità si è completato da troppopoco tempo ed in modo imperfetto.Diverso sarebbe stato se il processo unitariofosse avvenuto su base differente, vale a direcon la costituzione di una federazione che

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di Nico Dente Gattola

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avrebbe garantito una tutela di tutte le realtàaderenti al nuovo stato e un processo di forma-zione dell’identità nazionale realmente omoge-neo e senza alcun dualismo, che invece haprosperato sempre di più nel corso degli anni.Questo spiega perché sia più forte in certe zonedel nord italia il senso di appartenenza alla co-munità locale o si percepisca il meridionalecome un potenziale rivale e concorrente in am-bito lavorativo.Certo l’italia è sempre stata un paese partico-lare, nel quale nonostante l’unificazione sia av-venuta ormai più di150 anni fa, vi sonolacerazioni internemai affrontate ed incui il sentimento disolidarietà nazio-nale troppo spessolatita. È famosa lafrase secondo cuifatta l’italia biso-gnava fare gli ita-liani, che nel corso degli anni mantiene sempreinalterato il suo valore e ancora oggi potrebbeessere spesa senza problemi da nord a Sud.il dualismo nord-Sud ha portato negli anniall’adozione di politiche meramente assisten-ziali, laddove invece sarebbe stato molto piùproficuo per l’intero paese adottare misure diconcreto sviluppo per le aree più depresse.negli anni la questione meridionale, nella lo-gica di un rapporto tra Paese sovrano e territo-rio occupato – o meglio protettorato (dispiacedirlo ma è così) –, non è stata mai affrontata,poiché una certa parte del Paese era presa dalpromuovere il proprio sviluppo e riteneva suf-

ficiente elargire misure di sostegno, senza in-terventi di reale crescita nel Mezzogiorno: que-sto ha allargato sempre di più la distanza tra ledue “italie “la situazione è ulteriormente peggiorata conl’ingresso sulla scena politica ad inizio anni 90della lega di Umberto bossi, la quale si è fattapaladina dell’autonomia sempre più spintadelle regioni settentrionali e ha posto le basiper la c.d. “questione settentrionale”. Da quelmomento si è richiesta sempre più attenzioneverso il nord dell’italia, imponendo che la

maggioranza dellerisorse restino sulterritorio.i rapporti nord-Sudhanno subito unamutazione, poichéla parte più poveradel Paese vienepercepita come unpeso a cui non pen-sare e di cui non

occuparsi se non in via secondaria e dopo averpensato al proprio benessere.Si badi, non va fatto un discorso politico o discelte economiche per le quali il Mezzogiornoè stato sistematicamente abbandonato e trascu-rato da ogni governo di qualsiasi colore poli-tico o di come nella c.d. seconda repubblica ilpotere centrale, la “famigerata” roma, abbiasottovalutato la questione settentrionale, fruttodi un nord stanco del centralismo istituzionale.la questione piaccia o meno è molto più pro-fonda ed investe un disagio sempre più cre-scente delle singole comunità locali adaccettare di essere parte di una comunità na-

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Il volume di Monica Florio, Storie di guappi efemminielli (v. recensione nel n. 3/2020, p. 63)è stato presentato al pubblico, da Annella Pri-sco e dal direttore di Il Rievocatore, SergioZazzera, il 16 ottobre scorso, nella sede diGuida Editore (via Bisignano, 11). Nell’occa-

sione si è svolta anche una breve presentazione di questo periodico.

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zionale, disagio che si manifesta in modo sem-pre più evidente. evidenza che chiaramente siè amplificata con il verificarsi della prima pan-demia allorquando le regioni del nord sonostate colpite duramente dall’emergenza sanita-ria, con ripetute richieste di chiusura dei con-fini regionali e di limitazioni di spostamento,misure che hanno poi riguardato l’intero Paese,ma che inizialmente in prospettiva riguarda-vano appunto solo territori come la lombardiao il Veneto.le reazioni – ed è questa forse la cosa più in-teressante – non sono state solo di opposizionealle proposte, ma sono state tese a far presentecome il nord (o anche di volta in volta i venetio i lombardi) fosse stato abbandonato al pro-prio destino dal resto del Paese (ovviamente ilPaese che andava dall’appennino in giù).Ciò è andato avanti anche con l’avanzare dellapandemia e con l’adozione di un lockdown na-zionale, poiché ad ogni richiesta di misure an-cora più stringenti per le zone maggiormentecolpite si levano voci che chiedono sempremaggiore attenzione e risorse per la lombardiao per altre regioni settentrionali.insomma il quadro sembrava capovolto conregioni come la Campania che al tempo (par-liamo della primavera di quest’anno) segna-vano dati positivi per i contagi e si carat-terizzavano per l’efficienza della macchinaamministrativa della gestione dell’emergenza,mentre la lombardia sembrava travolta pur-troppo dagli eventi, incapace di una reazione econ istituzioni nettamente in affanno.Ma ciò che sorprende è il clima da assedio chealbergava in molti, non solo appartenenti alleistituzioni ma anche alla società civile e almondo intellettuale, che si sono abbandonati adichiarazioni di difesa dei primati lombardi edi come non fosse giusto il trattamento che ve-

niva riservato a loro dagli altri.Quello che sorprende leggendo le tante dichia-razioni, quasi una copia l’una dell’altra, nelsenso che il contenuto e il senso erano semprequelli, è che si ragionava come se i lombardinon fossero solo i cittadini della lombardia fa-cente parte dello stato italiano, ma fossero unpopolo con una propria identità e con una pro-pria storia da difendere.È indubbio che con l’emergenza Coronavirusil dualismo tra il nord e il Sud del Paese si siaulteriormente amplificato e minaccia di sca-vare un solco sempre più profondo con conse-guenze che alla lunga diventeranno molto piùpesanti di un semplice dualismo. laddove que-sta crisi sanitaria sarebbe stata l’occasione percompattare finalmente il Paese e superare ste-reotipi che non portano a nulla e sono indica-tori della povertà intellettuale di molti, mapurtroppo ha prevalso la logica del pensare alproprio orticello, a salvaguardare il proprio ter-ritorio, dimenticando qualsiasi forma di soli-darietà verso le regioni che più soffrivano peril Covid.il dualismo nord e Sud può diventare un pro-blema anche più importante, per via dei pes-simi modi con cui nel nostro Paese vieneaffrontata in questi anni la questione delle au-tonomie locali, poiché ormai si prevede un si-stema in cui chi ha di più prenderà sempre dipiù, senza badare alla comunità nazionale dicui si fa parte: ciò alla lunga è destinato a pro-durre dei guasti difficilmente riparabili.Solo una politica attenta ed obiettiva, che varifinalmente un processo di reale unificazionedel Paese, può aiutare a superare il dualismonord-Sud, proiettando lo stesso finalmentenella modernità.

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Papa Francesco ha nominato il nuovo arcivescovo metro-polita di Napoli nella persona di S. E. DOMENICO BATTAGLIA,attualmente alla guida della diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti, al quale, in attesa dell’insedia-mento, Il Rievocatore formula i migliori auguri di unproficuo ministero pastorale.

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LIBRI & LIBRI

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GIANCARLO SIANI, Giornalista giornalista (Casalnuovo di Napoli, IOD, 2020),pp. 128, f. c.ARMANDO D’ALTERIO, La stampa addosso (Roma-Napoli,GEDI-Guida, 2020), pp. 286, f. c.l’anniversario dell’omicidio Siani ha offerto l’occasione per pubbli-care e diffondere i due volumi che qui si segnalano – distribuiti rispet-tivamente da la Repubblica e da Il Mattino –, dei quali si suggeriscela lettura nell’ordine di cui sopra. il primo di essi, infatti, raccoglie al-

cuni degli articoli più significativi scritti dal giornalista assassinato, tra i quali quelliche scatenarono la reazione omicida della criminalità organizzata. nel secondo, delquale è autore il p.m. che fu titolare della relativa indagine, la figura di Siani appare quasi di secondopiano, rispetto alla narrazione – condotta, peraltro, con un ritmo a tratti “asmatico” – dell’inchiesta giu-diziaria, che pone in primo piano l’a., i suoi collaboratori e finanche gl’indagati/imputati. (S.Z.)

UMBERTO ECO, Migrazioni e intolleranza (s. l. ma Milano, La Nave di Teseo, 2019),pp. 72, €. 7,00.UMBERTO ECO, Costruire il nemico (s. l. ma Milano, La Nave diTeseo, 2020), pp. 64, €. 5,00.Continua la pubblicazione di testi brevi di eco. il primo volumetto rac-coglie i testi di tre sue conferenze e la sua introduzione a un volume col-lettaneo. il primo di tali scritti può essere inteso come un inno al

relativismo; il secondo, che chiarisce la differenza tra fondamentalismo e integr(al)ismo,prende posizione contro le generalizzazioni; il terzo esalta il concetto di europeismo; ilquarto, infine, analizza l’esperienza dell’associazione transcultura. il secondo volumetto consta del testodi una conferenza sul tema, nel quale l’a. analizza le forme di creazione del “nemico” attraverso i secoli,dall’antichità fino ai giorni nostri, relativamente ai quali egli ne individua il risultato nella stigmatizza-zione dei flussi migratori. (S.Z.)

NICOLA DE BLASI - FRANCESCO MONTUORI, Una lingua gentile. Storia e grafiadel napoletano (Napoli, Cronopio, 2020), pp. 208, €. 15,00.la prima parte del volume dà conto dell’importanza della storia al fine dello studio del-l’espressione linguistica napoletana. Posta questa premessa, la seconda parte prospetta, inmaniera ragionevole, una soluzione possibilista della grafia di quella espres-sione, giustificata dalla prevalenza – anche in senso storico – della sua formaparlata su quella scritta e dalla varietà dei modelli letterari disponibili, dei quali

un’antologia chiude il volume. (S.Z.)

ANTONIO LUISO, ‘E ffemmene ‘Mparlamiento (Napoli, Cuzzolin, 2020), pp. 72, €.15,00.l’attualità delle Ἐκκλησιάζουσαι di aristofanea memoria è esaltata dalla tradu-zione di luiso, che fa di Nannina Arrevotachiazza l’omologo napoletano dellaPrassagora dell’originale: entrambe, infatti, mediante una grottesca invasione dimassa “al femminile” del Parlamento, tesa a imporre l’approvazione di un’appo-sita legge, si appropriano il potere, sottraendolo agli uomini: più che di “eterno

femminino”, sarà il caso, questa volta, di parlare di “eterno femminismo”. (S.Z.)

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FEDERICO PACE, Passaggi segreti (Bari-Roma, Laterza, 2020), pp. X+182,€. 15,00.nei resoconti di viaggio proposti in questo volume l’attenzione per l’uomo pre-vale su quella per l’ambiente (città, monumenti, natura), che, però, a tratti fa av-vertire la propria presenza, pur se in maniera sempre circoscritta. Del resto, nonè detto che due viaggiatori, i quali compiano lo stesso percorso, “facciano lostesso viaggio”: l’interesse individuale, infatti, è sempre preminente, rispetto

alla realtà oggettiva. (S.Z.)

TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI, Nel labirinto del passato (Bari-Roma,Laterza, 2020), pp. X+206, €. 18,00.PAOLO MIELI, La terapia dell’oblio (Milano, Rizzoli, 2020), pp. 304,€. 18,00.Due volumi per due maniere insolite di “fare storia”. il primo formula dieciproposte di riscrittura della storia, ponendo in guardia dalle sue falsifica-zioni, dalle fake news, dalle distopie e dalle ucronie. rifiuta, altresì, l’attua-

lizzazione valoriale (che, viceversa, se adoperata con avvedutezza, può essere utile adilatare il senso della funzione di portavalori nel tempo, proprio della moneta) e riconoscela validità della “storia con i se” (che può essere ammissibile, soltanto a patto che si arresti alla valutazionedel fatto assunto a ipotesi, senza trarne conseguenze anch’esse meramente ipotetiche). Conferisce, infine,connotati corretti ai concetti di tradizione e di identità, da intendersi entrambi in senso dinamico. il se-condo – nel quale gli argomenti sono distribuiti fra “curiose amnesie”, “memoria riluttante”, “dimenti-canze sospette” e “in tempo di pandemia” –, col ricorso a una forma simile a quella degli scritti contenutinella sezione “letture” di questo periodico, si risolve in una sintesi divulgativa del contenuto di opere al-trui, sussumibili nel suddetto schema. (S.Z.)

LILIANA SEGRE, Ho scelto la vita (Milano, RCS Media Group, 2020), pp. 64, f. c.la senatrice a vita ha scelto di concludere i suoi incontri col pubblico – soprattutto di gio-vani – nel villaggio di rondine, nell’aretino. Molto opportuna, perciò, si rivela l’iniziativadel Corriere della sera di offrire ai lettori il testo di quella conversazione, preceduto dauna prefazione del direttore Ferruccio De bortoli e seguito da un’intervista concessa dallaSegre ad alessia rastelli. C’è da augurarsi, infatti, che la lettura della narrazione contenutanel volume possa sollecitare a moltiplicare la stessa per un numero superiore a 6.000.000

(quello, cioè, dei morti della Shoah), così da avere ben chiara la portata di quel tragico episodio. (S.Z.)

OTTAVIO RAGONE - GIOVANNI MARINO (a c.), Maradona al 60°, 2 voll. (Roma-Napoli, GEDI-Guida, 2020), pp. 102+XIV+118, f. c.la ricorrenza del 60° (e, purtroppo, ultimo) compleanno di Diego armandoMaradona ha offerto al quotidiano la Repubblica l’occasione per raccoglierein due volumi i contributi, non soltanto di giornalisti, ma anche di personalitàdel mondo accademico, della cultura, dello spettacolo, sui profili – sportivie socio-psico-antropologici – della personalità del calciatore. ne emerge il

quadro polimorfo di un uomo-mito, facilitato dalla complessità del personaggio stesso, maanche un aspetto singolare dell’identità napoletana, che passa attraverso un sudamericano. (S.Z.)

ITALO PALMIERI, Il pallone (s)gonfiato - il calcio dei giorni nostri dalla A alla Z,(s.i.e., ma Napoli 2020), pp. 96, € 10,00.a distanza di alcuni anni il giornalista pubblicista, collaboratore di testate storiche, comeCampania Sport, Sport Sud, Il Mattino, Roma, e tra i fondatori dell’agenzia giornalisticarotopress, presenta un suo nuovo lavoro sul calcio professionistico e dilettantistico na-poletano, in vendita da domani su amazon. Dopo aver rivestito cariche di segretario, ad-detto stampa, direttore sportivo e generale di numerose società sportive cittadine, dopo

aver fondato nel 1985 la scuola calcio Pro Calcio napoli, e soprattutto dopo aver contribuito alla crescita

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del calcio femminile in italia e al suo futuro passaggio al professionismo come fondatore del napoliFemminile e come membro della commissione nazionale di settore della FigC, Palmieri fotografa la si-tuazione del calcio odierno con uno sguardo oggettivo. Un compendio veloce, leggibile, sincero e perquesto motivo a volte spietato e critico, con le postfazioni dei giornalisti adolfo Mollichelli e Max bo-nardi e di remo luzi, che andrebbe letto soprattutto dai giovani. (C.Z.)

PIER PAOLO PASOLINI, Il mio calcio (Milano, Garzanti, 2020), pp. 96, €. 4,90.Sia da tifoso, che da praticante, Pasolini ha sempre intrattenuto un rapporto stretto con ilcalcio, del quale parla, in entrambi tali ruoli – spesso sovrapposti e non senza una puntadi autoreferenzialità –, nel volumetto, che raccoglie interviste da lui rilasciate, articoli dalui stesso scritti e vari altri documenti. Da questi scritti emergono, in particolare, alcuneinteressanti osservazioni: in primo luogo, la profezia dell’avvento di Maradona, risalente(senza fare nomi, com’è ovvio) al 1963; poi, quella della proliferazione delle giornate set-

timanali di gioco (1967-71); ancora, la configurazione del calcio come religione (1970-75, con una tren-tina d’anni di anticipo, rispetto alle elaborazioni di Marc augé, jürgen Moltmann ed ernesto Paolozzi);infine, il rifiuto del calcio femminile (1975), che, viceversa, soprattutto negli ultimi tempi, ha avuto unasoddisfacente affermazione. (S.Z.)

LEONARDO POMPEO D’ALESSANDRO, Giustizia fascista (Bologna, Il Mulino,2020), pp. 296, €. 27,00.la vita del “tribunale speciale per la difesa dello Stato”, istituito dal regime fascista eoperativo fra il 1926 e il 1943, è analizzata, attraverso l’esame non soltanto della sua nor-mativa processuale e dell’applicazione pratica della stessa, ma anche della normativa or-dinamentale. ed è proprio quest’ultima a manifestare l’affastellamento di disposizioni,spesso contraddittorie, tese a rendere quanto più possibile asservito questo organismo(para)giurisdizionale – ma, in realtà, politico – all’esigenza del regime di difendere sé

medesimo, prima che lo Stato, da nemici che esso stesso si era creati. Peraltro, il saggio risente delle dif-ficoltà che comporta lo studio della storia giuridica contemporanea. (S.Z.)

ANNE CHARLOTTE LEFFLER, Bozzetti napoletani, tr. it. (Napoli, Langella, 2020),pp. 104, €. 15,00.il racconto di napoli attraverso lo sguardo di una scrittrice e giornalista scandinava dellaseconda metà dell’’800, progressivamente napoletanizzata, è destinato da lei ai suoi con-terranei, dopo avere assimilato lo spirito della città, centellinandolo. Così ella giunge adapprezzarne anche il colore, fatto di folla, di frastuono, di traffico stradale (!), perfino deldolus bonus (ma non sempre tale) dei venditori. la serie di reportages giornalistici,

scoperta di recente dall’editore, è stata tradotta per la prima volta in italiano da Catia De Marco. (S.Z.)

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Buon Natalee felice Anno 2021ai nostri lettori.

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LA POSTA DEI LETTORI

Suvvia, ragazzi, purtroppo questa pandemia necessita di qualche sacrificio. Tutti, chipiù chi meno, dobbiamo essere disposti a farne. La scienza afferma che sono gli as-

sembramenti una delle cause principali dei contagi e della diffusione del virus. Diconoche di questo altro mese di rinunzie raccoglieremo i frutti. Ognuno deve fare la suaparte. Voi siete quelli che dovranno rinunziare ad alcune ore di svago notturno; noi an-ziani dobbiamo restare a casa; altri, come gli addetti al commercio, ai ristoranti, aibar, alle palestre e via di seguito dovranno affrontare sacrifici più pesanti. Gli scienziati ci assicuranoche ci sono ampie possibilità di superare questa sciagura che ha colpito il mondo intero e che ci fa viveretutti in una surreale atmosfera da film di fantascienza. Io credo che qualche birra in meno e un poco diore di sonno in più daranno buoni risultati. Potrebbe anche capitare, perché no, che alla fine ci si rendaconto dell’inutilità di tante ore rubate a cose più belle e regalate all’effimero.Raffaele Pisani (e-mail)

Risponde il direttore:l’amico Pisani si rivolge, questa volta, ai giovani: dunque, neppure adesso toccherebbe rispondere allesue considerazioni a me, che sono, come lui, “diversamente giovane”; lo faccio, però, perché ritengo chele sue riflessioni siano assolutamente condivisibili. non capirò mai se sia l’egoismo o la cattiva cono-scenza della realtà oggettiva a indurre i giovani – ma anche (suvvia, diciamolo) i meno giovani – ad as-sumere comportamenti in totale contrasto, non tanto con la legge – la quale, ormai, è tenuta in non caleda una consistente percentuale della popolazione (non esclusi molti custodi della legge stessa) –, quantocon il buon senso, che dovrebbe indurre a rendersi conto della potenzialità dannosa di quegli atteggia-menti, non soltanto per sé (nel qual caso, si potrebbe anche configurare una libera scelta personale),quanto per quell’“altro da sé”, che gli autori di quelle condotte mostrano di non riconoscere. Credo chenon occorra un grande sforzo di comprensione, per capire che un sacrificio, pur se protratto per qualchemese, può valere a ridurre gli effetti di una pandemia, di quelle che non si vedevano da un secolo esatto;temo, però – e purtroppo –, che la voce dell’amico Pisani sia destinata a rimanere una vox clamantis indeserto.

* * *Per le espressioni di stima che ci hanno rivolto, ringraziamo la Società napoletana di storia patria e ilettori Filiberto ajello, eduardo alamaro, Sergio attanasio, Margherita Calò, gennaro Capodanno, Mau-rizio Cuzzolin, giovanni D’amiano, Fortunato Danise, giacomo de Cristofaro, alberto Del grosso, an-tonino Demarco, Sergio D’ottone, giuseppe Febbraro, gabriella Fiore, andrea gatti, anna giordano,Paola lista, gaetano Mutarelli, emilio Pellegrino, italo Pignatelli, renato ribaud, luigi Schiano lo-moriello, giosuè Scotto di Santillo e giulio tarro.

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La bellezza è inesprimibile ed a volte senticon dolore che la parola può celebrare labellezza ma non è capace di esprimerla.

Thomas Mann

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CRITERI PER LA

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Non ho paura della catti-veria dei malvagi ma delsilenzio degli onesti.

Martin Luther King

Anno LXVI n. 4 Ottobre-Dicembre 2020

UN PO’ DI STORIA

alla metà del ventesimo secolo napoli an-noverava due periodici dedicati a temi distoria municipale: l’Archivio storico per leprovince napoletane, fondato nel 1876 dallaDeputazione (poi divenuta Società) napole-tana di storia patria, e la Napoli nobilissima,fondata nel 1892 dal gruppo di studiosi chegravitava intorno alla personalità di bene-detto Croce e ripresa, una prima volta, nel1920 da giuseppe Ceci e aldo De rinaldise, una seconda volta, nel 1961 da robertoPane e, poi, da raffaele Mormone.in entrambi i casi si trattava di riviste re-datte da “addetti ai lavori”, per cui Salva-tore loschiavo, bibliotecario della Societànapoletana di storia patria, avvertì l’esi-genza di quanti esercitavano il “mestiere”,piuttosto che la professione, di storico, dipoter disporre di uno strumento di comuni-cazione dei risultati dei loro studi e delleloro ricerche. nacque così Il Rievocatore, ilcui primo numero data al gennaio 1950, chegodé nel tempo della collaborazione di fi-gure di primo piano del panorama culturalenapoletano, fra le quali mons. giovan bat-tista alfano, raimondo annecchino, p. an-tonio bellucci d.o., augusto Crocco, ginoDoria, Ferdinando Ferrajoli, amedeo Ma-iuri, Carlo nazzaro, alfredo Parente.alla scomparsa di loschiavo, la pubblica-zione è proseguita dal 1985 con la direzionedi antonio Ferrajoli, coadiuvato dal com-pianto andrea arpaja, fino al 13 dicembre2013, quando, con una cerimonia svoltasi alCircolo artistico Politecnico, la testata èstata trasmessa all’attuale direttore, SergioZazzera. Da quel momento, la pubblica-zione del periodico avviene in formato di-gitale.

Ricordiamo ai nostri lettori che i nu-meri della serie online di questo perio-dico, finora pubblicati, possono essereconsultati e scaricati liberamentedall’archivio del sito:

www.ilrievocatore.it.

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