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CULTURE E PRATICHE DELLA SALUTE MENTALE DI COMUNITÀ ANNO I N ZERO MAGGIO Centro di promozione per la salute “Franco Basaglia” Arezzo Le Balze IN QUESTO NUMERO Bruno Benigni Paolo Martini Enrico Rossi Galileo Guidi Mario Serrano Vincenza Quattrocchi Andrea Caneschi Giuseppe Corlito Maurizio Ferrara Giovanni Battista Cassano Lorenzo Lattanzi Alfredo Sbrana Paolo Castrogiovanni Massimo De Berardinis Angela Valtancoli Paolo Nascimbeni Enrico Salvi Mauro Faralli Vincenza Sgarro Erica Falaschi Mauro Camuffo Marcella Biagi Alessandra Zoccali Massimo Papini Filippo Muratori

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Le Balze

IN QUESTO NUMEROBruno BenigniPaolo MartiniEnrico RossiGalileo GuidiMario Serrano

Vincenza QuattrocchiAndrea CaneschiGiuseppe CorlitoMaurizio Ferrara

Giovanni Battista CassanoLorenzo LattanziAlfredo Sbrana

Paolo CastrogiovanniMassimo De Berardinis

Angela ValtancoliPaolo Nascimbeni

Enrico SalviMauro Faralli

Vincenza SgarroErica Falaschi

Mauro CamuffoMarcella Biagi

Alessandra ZoccaliMassimo PapiniFilippo Muratori

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QUESTO NUMERO ZERO

Questo primo numero della Rivista quadrimestrale “Pegaso” raccoglie gli scritti di dirigenti ed operatori dellasalute mentale della Toscana, servizi per adulti e infanzia, operatori regionali e universitari, con la descrizione delleesperienze condotte e con la presentazione di punti di vista maturati nel corso delle attività in anni di lavoro.

La Rivista, intenzionalmente, ha voluto dare spazio ai diversi punti di vista.Ciò non toglie che gli scritti, dal primo all’ultimo, meritino analisi comparate, riflessioni e valutazioni da parte

della Regione, degli stessi autori e dei possibili lettori della Rivista.In fondo, quello che viene presentato è parte significativa di un panorama del pensiero e della pratica riguardanti

la salute mentale nella regione Toscana.Era giusto, riteniamo, partire da qui.

Editoriale: A partire dalla 180 di Bruno Benigni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 2Una rivista per la salute mentale di Paolo Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5Al presidente del Centro Franco Basaglia di Enrico Rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 6La salute mentale nella programmazione regionale nella prospettiva di servizi di comunità di Galileo Guidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7L’area vasta è un’opportunità per la salute mentale? di Mario Serrano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 10Dipartimento salute mentale Asl 11 Area Vasta Centrodi Vincenza Quattrocchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 14Dipartimento salute mentale Asl 10 Area Vasta Centro Andrea Caneschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20Salute mentale e area vasta sud est di Giuseppe Corlito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23L’attività di formazione degli specializzandi di Psichiatria e Psicologia Clinica presso l’Unità Operativa Sperimentale di Psichiatria Territoriale a Direzione Universitariadi Maurizio Ferrara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26Il processo di integrazione tra Università e Sistema Sanitario Nazionale per la Salute Mentaledi Giovanni Battista Cassano, Lorenzo Lattanzi, Alfredo Sbrana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31Contributo all’avanzamento delle attività superspecialistiche da parte della psichiatria universitaria senese di Paolo Castrogiovanni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 34Il modello toscano per la salute mentaledi Massimo De Berardinis, Angela Valtancoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 38La cultura tecnico organizzativa delle U.O.C. di psicologia: spunti di riflessionedi Paolo Nascimbeni, Enrico Salvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 41Essere infermiere per la Salute mentale della comunitàdi Mauro Faralli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 44Gli interventi riabilitativi nel Servizio di Salute Mentale di Arezzodi Vincenza Sgarro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49La cultura tecnico-organizzativa del servizio sociale nel DSMdi Erica Falaschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 52Le unità funzionali salute mentale, infanzia e adolescenza (URSMIA): stato attuale e prospettivedi Mauro Camuffo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 54La professionalità degli operatori della Riabilitazione Funzionale nella complessità dell’UFSMIAdi Marcella Biagi, Alessandra Zoccali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 57Il metodo in neuropsiachiatria infantile: formazione e professionedi Massimo Papini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 60Analisi del bisogno e percorsi di sostegno in psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza di Filippo Muratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 62

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F u la Provincia il protagonista istituzionale del supe-ramento e della chiusura dell’Ospedale psichiatrico

di Arezzo, con dieci anni di impegno politico e demo-cratico e con una stretta alleanza con le avanguardiescientifiche sorte dal pensiero e dall’azione di FrancoBasaglia.

Quando diciamo “provincia”, vogliamo attestare chesi tratta certamente dei suoi organi di governo, iPresidenti, le Giunte e i Consigli, ma anche, in sensolato, della sua popolazione, dei suoi trentanove Comuni,della miriade di soggetti sociali organizzati nelleAssociazioni di volontariato, nel Sindacato, nelle forzepolitiche, nella Scuola e nelle parrocchie.

Ora il manicomio non c’è più, ma sono un ricordoancora vivo le tante ed appassionate iniziative chehanno segnato il governo e la cultura aretina nel decen-nio 1970-1980.

Quella esperienza ha messo radici e come ogni buonseme continua a dare buoni frutti.

Ancora la Provincia, a trenta anni di distanza, è incampo per segnare una presenza attiva sulle grandi que-stioni dell’emarginazione e della salute di cittadini.

Nei modi con cui, oggi, è necessario e possibile farlo.Nell’anno 2003, il Consiglio provinciale di Arezzo

ha dato vita ad una Istituzione intitolata a FrancoBasaglia con il compito culturale e promozionale di con-trastare l’emarginazione in tutte le sedi e in tutte leforme con cui oggi si manifesta, di contribuire al disve-lamento e allo studio delle determinanti della salute e disollecitare tutte le energie scientifiche, democratiche epolitiche per la rimozione degli ostacoli che impedisconoil libero porsi del cittadino nel mondo, come solevadire Franco Basaglia.

C’è la consapevolezza che se in Italia si è riusciti adebellare i fortilizi della chiusura manicomiale, la lottacontro l’emarginazione e l’impegno per il diritto univer-sale alla salute, in condizioni e in forme certamentediverse, sono sempre all’ordine del giorno.

Sappiamo che la lotta contro le istituzioni chiuse haavuto un risultato straordinario e sappiamo anche qualè il punto di partenza che consideriamo irreversibile eirrinunciabile.

Per la salute mentale, la matrice di ogni possibilefuturo è la legge n. 180 del 1978 che ha trovato siste-maticità e integrazione nella legge n. 833 dello stessoanno.

C’è chi pensa e afferma che quella integrazione legisla-tiva sia un limite e anche un pericolo di perdita della spe-cificità e della identità dei servizi per la salute mentale.

Storie. La fine dei manicomi non solo ha aperto lastrada al superamento della separazione e dello splendi-do isolamento della psichiatria ma sposta il campo dilavoro nel complesso delle relazioni umane, là doveemerge il disturbo psichico che può essere prevenuto ecurato, senza contenzione e senza emarginazione,valorizzando la soggettività dei singoli e dei gruppi eattuando il massimo della integrazione tra servizi sani-tari e servizi sociali, tra Istituzioni e comunità,

Questo è quello che abbiamo voluto, qui dobbiamosvolgere “il dopo 180” e qui dobbiamo misurare la poli-tica e la scienza, la democrazia e il sapere, i comporta-menti delle istituzioni e degli operatori, dei singoli edella comunità.

Con la bussola e la cartina di tornasole dei dirittidelle persone e delle famiglie.

Sappiamo che c’è un gap vistoso tra i principi cheproclamano i diritti e la realtà che offre le risposte e sap-piamo che a patire questo scarto sono proprio le personeche si ammalano e, insieme a loro, le rispettive famiglie.

Tutti i dati epidemiologici dicono che cresce ladomanda di aiuto e tutte le informazioni documentanola scarsità delle risorse impiegate e la pochezza dellerisposte disponibili.

Così come sappiamo che spesso la logica della separa-zione e dell’esclusione transita nell’uso distorto del rico-vero ospedaliero e nella miriade di strutture residenzialia varia denominazione dove si riproduce quella “sindro-me da istituzionalizzazione” già conosciuta e contestatanelle ridotte manicomiali.

È un esito inaccettabile.Inizialmente, c’era chi guardava indietro e rimpian-

geva la supposta sicurezza del manicomio dando impli-

EditorialeA partire dalla 180

Bruno Benigni*

* Presidente del Centro “Franco Basaglia”

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citamente man forte alle componenti conservatrici delmondo psichiatrico e alle forze restauratrici della destrapolitica che sempre ha avversato la liberazione dei mala-ti di mente dalle sedi dell’esclusione sociale.

Ora non più. I cittadini sofferenti, le famiglie e i volontari si pon-

gono come una risorsa a disposizione per applicare lalegge di riforma e sollecitano la politica a fare la suaparte con i mezzi necessari, con una guida rigorosa atutti i livelli istituzionali e con il coinvolgimento delleparti sociali.

Esprimono, in forme propositive, quella soggettivitàdi cui ha bisogno, oggi, il sistema per la salute mentaledella popolazione.

Nonostante tutto, il panorama non è tutto a tintefosche, è fatto di luci e di ombre, di esperienze avanza-te, che dimostrano la fattibilità della 180, ma anche disordità della politica che spesso viene meno alla sua fon-damentale mission che è quella non solo di “rimuoveregli ostacoli“ ma di determinare le condizioni per l’in-clusione sociale, conditio sine qua non per l’esigibilitàdei diritti di cittadinanza sociale.

Ritardi e lacune vistose in Italia, meno in Toscana.Ma non c’è solo il vuoto della politica. C’è anche la

complessità dei problemi e delle domande da affrontaree c’è il ritardo di tanta accademia scientifica che stenta aprendere coscienza della novità della situazione.

Con il manicomio tutto era semplificato e banaliz-zato. Oggi diventa centrale la prevenzione dinanzi allavoro che cambia, dinanzi ad una società atomizzatache depriva minori, adolescenti e anziani di compresen-ze sociali e di legami affettivi e dinanzi a comunità chemutano la loro composizione demografica con presenzecrescenti di immigrati.

Quella cronicità che un tempo era prodotta ed occul-tata dal manicomio, oggi diventa problema cruciale peri cittadini, per le famiglie e per i Servizi sociosanitari.

Affrontare questi problemi è compito certamentecomplesso e difficile, ma possibile.

Leggi nazionali e regionali fanno del Dipartimentodi salute mentale a struttura territoriale, per adulti eminori, lo strumento operativo che meglio risponde allanuova situazione operativa, perché si fa carico di unavisione unitaria della condizione delle persone e perchéassocia più culture professionali e le rende sinergiche. Néseparati in casa né posizioni sovrastanti, ma pari digni-tà, scambio di conoscenze, chiarezza di rapporti, impe-gno e responsabilità comuni.

Le migliori esperienze dicono che è possibile produr-re una nuova cultura del Servizio, perché i valori e iprincipi cui ispirarsi sono chiari, sorti e decifrati già nelcorso della lotta contro il manicomio.

Forse è giusto e utile ricordare che fu possibile supe-

rare il manicomio, ad Arezzo come a Trieste, a Perugiacome altrove, perché nel progetto fu coinvolta la comu-nità, perché fu valorizzata la soggettività dei degenti,perché la psichiatria uscì dal letto di procuste del mani-comio e si misurò con le altre scienze dell’uomo, perchétra quella scienza rinnovata e la politica si saldò unasistematica alleanza.

Comunità, partecipazione e soggettività, inclusionesociale e integrazione, nuova scienza e nuova politicasono il lessico di allora che fa da bussola per orientare ilprogetto e la pratica di oggi.

Non c’è niente da imitare e tanto meno da copiare,ma c’è il compito arduo di inverare quei termini nellarealtà di oggi per produrre un nuovo paradigma scienti-fico e una nuova cultura di governo, con effetti sia sulpiano teorico che pratico, in definitiva sul pensiero, sulsenso comune e sulla qualità della vita.

Oggi, come allora, è richiesta una nuova creativitàscientifica misurata e desunta da una prassi che agiscenel vissuto delle persone e nelle condizioni concrete dellerelazioni umane; oggi come allora è sollecitata unanuova cultura di governo che tenga conto della comples-sità delle determinanti sulla salute e compia, con coeren-za, gli atti necessari sia di programmazione che di gestio-ne.

Da qui può partire quella dialettica di rapporti chepuò dar vita ad un’alleanza tra le Istituzioni democrati-che, i cittadini, la cultura e la scienza.

SALUTE MENTALE E WELFARE IN TOSCANA

Siamo in Toscana e tutto il welfare di questa Regione èinteressato da un mutamento strategico perché le leggi, iPiani sanitari e sociali, le sperimentazioni della Societàdella salute e, ora, della Casa della salute pongono al cen-tro della politica per la salute e per le politiche sociali lacomunità tutta, la partecipazione dei cittadini, l’inclusio-ne sociale, la prevenzione, le cure primarie, e l’integrazio-ne sociosanitaria. In una parola, il welfare locale.

È quello di cui aveva ed ha bisogno la 180, quelloche domandano cittadini e famiglie.

Entro questo orizzonte e questo humus culturale epolitico si colloca la questione della salute mentale.

Le coordinate legislative e politiche ci sono, il pro-blema che si pone, ora e sempre, è quello di dare coeren-za alle parole e passare ai fatti.

Per questo la Toscana é un interessante e innovativolaboratorio.

Bisogna chiarire subito che non si tratta tanto di spe-rimentare, quanto di costruire e consolidare il nuovowelfare in tutto il territorio della Regione Toscana, por-tando la salute mentale entro Piani integrati di salutecondivisi e moltiplicando i rapporti e le collaborazioni

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tra il Dipartimento di salute mentale e il complesso dellarete dei servizi sanitari e sociali.

Concretamente, si richiede al Dipartimento di rag-giungere la propria identità e autorevolezza integrandola propria azione con quella di altri Servizi sanitari esociali, soprattutto territoriali, per prevenire, curare eriabilitare senza perdersi nel genericismo di una sociali-tà indifferenziata e senza ritrarsi nell’hortus conclusus diun sapere psichiatrico autosufficiente.

La ricerca della identità e della integrazione è com-pito nuovo e difficile, è il presupposto del nuovo para-digma scientifico che comporta certamente rischi maconsente anche fondamentali innovazioni.

A volte si guarda al nuovo con sospetto e con preoc-cupazione.

Giusto, se le cautele sono uno scudo per evitare la per-dita della specificità delle culture proprie della salute men-tale, ma soprattutto se sono la molla per accrescere l’impe-gno alla ricerca delle giuste soluzioni da parte di tutti,Istituzioni, soggetti sociali e servizi sanitari e sociali.

Dunque, accettare la sfida, dare e ricevere contribu-ti, anziché ritrarsi.

Qui, in Toscana, ai Servizi di salute mentale è richie-sto coraggio e capacità di innovazione, facendo fruttaretutte le potenzialità di un sistema regionale che fa dell’in-tegrazione, della partecipazione e dei diritti dei cittadini ilfondamento di un nuovo welfare della comunità.

È un compito difficile e, insieme, ambizioso, ma nonè la prima volta che alla psichiatria e alle scienze dellasalute mentale è offerta la possibilità non solo di cam-biare se stessi, ma di contribuire a modificare la culturae l’organizzazione del sistema sociosanitario.

È una fase che ha bisogno di una nuova prassi, di ungrande sforzo culturale e di un permanente e sistematicoscambio di informazioni e di esperienze.

LA RIVISTA

Con tutta l’umiltà necessaria, il Centro FrancoBasaglia si propone d’essere della partita e di dare il pro-prio contributo.

Lo sta facendo con “Giornate di studio e di aggiorna-mento” rivolte agli operatori della salute mentale dellaToscana, con iniziative contro l’emarginazione e per l’in-clusione sociale coinvolgendo tutte le Amministrazionilocali aretine, con studi e approfondimenti sui diversi temie sulle diverse situazioni che fanno parte della prassi deiServizi per la salute mentale dei cittadini.

Per iniziativa del Centro Franco Basaglia nasce questaRivista, con periodicità quadrimestrale, che prende il nome

di “Pegaso”, dal mitico cavallo alato che, simbolo dell’inge-gno e della creatività, sa andare, indomabile, al di là diogni ostacolo, senza perdere il contatto con la realtà terrena.

Nella sua valenza simbolica si intrecciano la vitali-tà e la forza del cavallo con la capacità, tipica dell’uc-cello, di svincolarsi dalla zavorra che si accumula nellarealtà terrena.

La Rivista conta sull’apporto degli operatori di tutti iDipartimenti per la salute mentale esistenti in Toscana,sulla partecipazione delle tante associazioni di utenti, difamiliari, di volontari, sul contributo degli studiosi e deiricercatori delle Università toscane, sull’interesse del vastomondo della politica e della democrazia, sull’attenzionedelle istituzioni, prima fra tutte la Regione Toscana.

La Rivista vuol favorire la sistematizzazione dellacultura elaborata in questi anni, ma anche il suo arric-chimento mediante l’apporto dei protagonisti che, adoggi, non dispongono in Toscana di uno strumento scien-tifico per “pensare insieme”, per “ ripensare la prassi”,per raccoglier le esperienze significative e per socializza-re la loro valenza scientifica, per ipotizzare e proporreeventuali cambiamenti significativi.

La Rivista, aperta a tutti i contributi purché docu-mentati, riflettuti e suffragati da una solida base cultu-rale e scientifica, non vuol essere un passivo raccoglitoreeclettico di proposte, ma uno strumento per coniugare lefinalità della riforma con gli strumenti e i mezzi per lasua attuazione.

Senza meccanicismi e senza scorciatoie deterministiche.Al centro ci sono i diritti dei cittadini, le culture

della complessità e la professionalità degli operatori.Questo è il solo discrimine. La Rivista nasce in Toscana e per la Toscana, ma è

aperta a realtà più ampie, nazionali e internazionali,vuole attingere ai contributi che possono venire da ciòche si muove in Italia e nel mondo, dalle sedi di lavoroche sono il campo della ricerca scientifica, dalle soggetti-vità sociali e dalla politica.

Sarà un compito impegnativo.La serietà dei problemi, i bisogni acuti delle persone

sofferenti e delle famiglie e l’urgenza di una nuova pra-tica sociale non ammettono il disimpegno di nessuno.

Fa sperare l’esistenza in Toscana di un vasto giaci-mento di risorse culturali, scientifiche, democratiche epolitiche che chiedono d’essere riconosciute e valorizzateper agire su un progetto comune.

Di questo, pensiamo, ha bisogno la nostra Regioneche ha aperto strade così impegnative cui tutti sono chia-mati a contribuire.

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1. La Salute Mentale – la sua promozione, tute-la, cura, riabilitazione e integrazione sociale - è uncampo – culturale, tecnico-scientifico, operativo eorganizzativo – unitario ma complesso. La molte-plicità dei fattori in gioco nella Salute Mentale edelle loro reciproche relazioni, così come i molte-plici rapporti interattivi con la realtà sociale e lesue istituzioni,sono più facilmente accessibilimediante un approccio ecosistemico che facciariferimento ad un determinato contesto geografi-co, demografico, socioculturale, economico ed isti-tuzionale.

2.L’esperienza della Salute Mentale, in atto inItalia dal 1978, si è basata sulla progressiva chiusu-ra degli Ospedali Psichiatrici e sulla contestualeattivazione di nuovi Servizi. Questi sono centratisu territori determinati, articolati sui quattro livel-li assistenziali (ambulatoriale- domiciliare, semire-sidenziale, residenziale, ospedaliero ), costituiti dagruppi multiprofessionali, sia per l’infanzia-adole-scenza che per gli adulti, che assicurano la rispostae la continuità terapeutica dei cittadini in stato dibisogno.

3. Nei 28 anni trascorsi, sono maturate molte-plici esperienze culturali ed operative. I Servizi sistanno connotando come Servizi di Comunità,confrontandosi con realtà territoriali in cui è sem-pre più forte l’esigenza di strutturare in modocomplessivo la pianificazione e la gestione integra-ta dei servizi ospedalieri ed extraospedalieri, sanita-ri e sociali.

La Regione Toscana ha attivato una program-mazione sanitaria e sociale al fine di sperimentareuna gestione virtuosa che concili esigenze di razio-nalizzazione sanitaria basata su MacroAree, com-prensive delle Aziende Ospedaliere edUniversitarie, e Società della Salute e/o DistrettiSocioSanitari, in cui sia valorizzata la pianificazio-

ne e gestione da parte delle Comunità Locali.I Piani Integrati di Salute, strumenti di gover-

no di tutti i Distretti, dovranno basarsi sulla indi-viduazione dei “Determinanti di Salute” e sumodalità di coordinamento e funzionamento a retedei servizi sanitari e sociali. L’obiettivo è di inne-stare un circolo virtuoso potenzialmente assai pro-duttivo in termini di ricerca e di prevenzione dibase, di interventi precoci ed integrati, non soltan-to sanitari, di continuità delle cure e dei supportisociali.

Questo obiettivo è sempre stato anche alla basedei progetti di Salute Mentale di Comunità e può,almeno potenzialmente, consentire un ulterioresalto di qualità nella ricerca e nella pratica delmiglioramento della salute mentale della popola-zione.

4. In questo contesto generale, è diffusamentesentita la necessità di aprire uno spazio culturale,quale può essere una rivista, di confronto e di pro-posta tra tutti i protagonisti della Salute Mentale,professionisti sanitari e sociali, sia clinici chemanager, ma anche utenti e familiari, associazioniculturali e società scientifiche.

Uno spazio certo, con cadenze periodiche, checonsenta la rappresentazione dei bisogni, dei pro-blemi, delle attività, degli approfondimenti cultu-rali e scientifici connessi, delle innovazioni e dellericerche intraprese. Insomma, uno strumentoscientifico di analisi della realtà e di elaborazionedi proposte per la promozione e la diffusione diuna cultura della salute mentale veramente arric-chita dalla partecipazione pluri ed interdisciplina-re; dal confronto tra operatori dei Servizi e delleUniversità, tra ricercatori e programmatori, traoperatori dei DD.SS.MM ed operatori sanitari esociali “esterni” ai DD.SS.MM., ma coinvolti neiprocessi per la salute mentale.

Una rivista per la salute mentale

Paolo Martini*

* Psichiatra Centro “Franco Basaglia”

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Ho accolto con interesse l’iniziativa del Centro FrancoBasaglia per la pubblicazione della rivista “Pegaso”

dedicata ai problemi della salute mentale con un impegnoche riguarda gli operatori dei Dipartimenti, le Istituzioni ei soggetti sociali che a vario titolo si occupano di salutementale, di integrazione e di inclusione sociale.

La rivista va ad occupare un posto importante e utilenel panorama della pubblicistica regionale, come sede diconfronto, di approfondimento di modelli, di esperienze edi realtà tra loro differenti per storia e impianto culturale epuò contribuire a realizzare una più matura unità culturaledei servizi della salute mentale e, insieme, delle politiche chesono a fondamento del welfare toscano.

Le attività richieste per far fronte ai problemi della salu-te mentale richiedono e sollecitano interdipendenza tra idiversi interventi e i diversi servizi sanitari e sociali che tutticoncorrono a garantire il diritto alla salute dei cittadini e laqualità stessa della convivenza sociale.

Una rivista che rifletta sulla realtà, con le sue luci e le sueombre, con le sue potenzialità ma anche con le sue insuffi-cienze, costituisce uno strumento utile a chi, come laRegione, ha il compito di farsi carico della domanda dei cit-tadini, di programmare le risposte appropriate e di coordina-re il complesso delle energie culturali, sociali e democratichedi cui la Toscana è ricca per la sua storia di solidarietà socialee per il livello di maturità culturale delle sue Istituzioni.

Oggi i problemi della salute mentale si pongono inmaniera diversa rispetto alla fase in cui tutto era compressoe banalizzato nella soluzione totale del manicomio, oggi èessenziale affrontare e risolvere la sofferenza mentale dellepersone nell’ambito delle relazioni umane, senza conten-zione e senza emarginazione. Chiusi i manicomi, è bandital’incurabilità delle persone; oggi è possibile agire per unprogetto di guarigione. Intervenendo prima di tutto amonte sui processi formativi, sulle condizioni di lavoro,sulle determinanti sociali, per prevenire il disagio psicologi-co e il disturbo psichico che riguarda in modo crescenteminori e adulti, uomini e donne, lavoratori e pensionati.

So che questi nuovi obiettivi richiedono un impegnoalto della Regione Toscana per sostenere e completare la retedei servizi e per svolgere con più efficienza e continuità lefunzioni di indirizzo, di coordinamento e di verifica dei

risultati ascoltando i cittadini sofferenti e le loro famiglie.So anche che c’è bisogno di una scienza non remissiva,

che sa guardare ai suoi fondamenti e alla sua pratica, che samodificare il suo paradigma in funzione dei bisogni unitaridelle persone, che sa porre domande alla politica e sa indi-care alle Istituzioni gli ostacoli che impediscono “il normalecompletamento del ciclo vitale”, in sintonia con quanto l’arti-colo 3 della Costituzione chiede alla Repubblica italiana.

È evidente che c’è bisogno di uno scambio e di una col-laborazione continua tra il sapere degli operatori e la com-petenza e la responsabilità degli amministratori. Questisono, per l’appunto, gli obiettivi che si pone la politica perla salute mentale della Regione Toscana ed è per questo cheè necessario valorizzare e generalizzare le buone pratiche,che esistono in Toscana, e nello stesso tempo è indispensa-bile promuovere approfondimenti e sviluppare proposte,coordinare tutte le energie culturali, sociali e democraticheche possono contribuire a dare le risposte di cui necessita-no i cittadini. È indubbio che affrontare i problemi dellasalute mentale richiede un vasto e partecipato impegnodelle Istituzioni toscane volto a promuovere una diversasensibilità dei cittadini verso il disagio psichico e verso ildiverso e, insieme, capace di garantire un adeguato edappropriato concorso di servizi sanitari e sociali per aiutarele persone e le famiglie e per promuovere il loro coinvolgi-mento nel progetto per la salute e per la guarigione.

Da qui nasce l’interesse non rituale dell’Assessorato allasalute della Regione Toscana per l’impegno del CentroFranco Basaglia, da questo complesso quadro di problemiè motivata l’attenzione per una rivista che nasce in Toscana,prende stimolo dalle realtà delle Regione e si apre alle espe-rienze e ai contributi culturali e scientifici che possono veni-re da realtà diverse da quelle della Regione.

Dunque, un augurio di buon lavoro a tutti i promoto-ri della rivista, con l’assicurazione che la Regione si renderàdisponibile per seguire con interesse il lavoro scientifico eculturale che sarà prodotto e per confrontare e modulare gliobiettivi del Piano sanitario regionale con le esigenze chepossono essere espresse, anche tramite la rivista, dalla comu-nità toscana, dal mondo della cultura e delle professionisanitarie e sociali.*Assessore al diritto alla salute della Regione Toscana

Al presidente del Centro Franco BasagliaEnrico Rossi*

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Cercherò di affrontare il tema che mi è stato affi-dato sforzandomi di attualizzare la discussione

in atto in Toscana relativamente a quanto si sta ela-borando in Italia e nel resto di Europa. Infatti negliultimi due anni il dibattito in Europa è fatto partico-larmente intenso. La prima fonte che intendo citare èla Conferenza dell’Organizzazione Mondiale dellasanità che si è tenuta a Elsinki il 10-15 gennaio 2005e che si è conclusa con una dichiarazione sulla salutementale dell’Europa, con il titolo “Affrontare le sfide,creare le soluzioni”. L’altro documento è il libro verdepubblicato dalla Commissione della ComunitàEuropea il 14 ottobre 2005 dal titolo: “Migliorare laSalute Mentale nella popolazione verso una strategiadella Salute Mentale per l’unione Europea”. LaCommissione della Comunità Europea ha predispo-sto “Il libro verde sulla salute mentale” come docu-mento utile per attivare un dibattito e una partecipa-zione su questo specifico tema. Questi due documen-ti mettono al centro di tutte le loro argomentazioniun’affermazione che è stata ripresa da molto tempo inuna rivista pubblicata da un’Associazione che si occu-pa di Salute Mentale a Livorno. Nelle dichiarazionedell’OMS e della Commissione Europea ritroviamol’affermazione perentoria: non c’è salute senza salutementale! Un altro documento molto importante esignificativo è il “Rapporto di Alvaro Gil-Robles,commissario per i diritti umani” pubblicato il 14dicembre 2005 da parte dell’ufficio del commissarioper i diritti umani del Consiglio d’Europa.

La Salute mentale in Europa è un grandissimoproblema. Nell’Unione Europea muoiono tutti glianni 58000 cittadini per suicidio. Il suicidio, inEuropa, è la prima causa di morte, ancor prima degliincidenti stradali. La commissione Europea puntua-lizza con forza questa affermazione perché l’attenzio-ne nei confronti di questo fenomeno non è sufficien-temente accentuata. L’OMS e la CommissioneEuropea indicano due priorità: fornire servizi di curae di assistenza medica alle patologie mentali che sianoefficaci, di elevata qualità e accessibili; l’altro puntocentrale è l’affermazione che gli interventi sanitari, se

pur indispensabili, non possono da soli modificare ideterminanti sociali e ambientali che incidono sullostato di salute dei cittadini. Cioè si sostiene con forzache per garantire la salute mentale non è pensabileche il servizio sanitario sia auto-sufficiente e in gradodi dare risposta alla molteplicità dei problemi, madiventa indispensabile l’integrazione delle politichedei diversi soggetti professionali e istituzionali chehanno il potere di modificare i determinanti di salu-te. Devono essere coinvolti tutti i settori, sanitari enon sanitari.

La Salute Mentale è il frutto di politiche integra-te, di decisori diversi che insieme orientano le loroscelte per obbiettivi di salute della popolazione diriferimento. Nel documento della CommissioneEuropea vengono pubblicati i dati di spesa nei variPaesi europei e sono rimasto molto sorpreso dal fattoche nel grafico non esiste la spesa per l’Italia. Siamoun Paese che non è in grado di portare in Europa ilivelli di spesa su questo settore a livello Nazionale.L’altro parametro importante è il dato dei suicidi.Notiamo una differenza fra i dati relativi ai diversipaesi: l’Italia è a 10,5 suicidi su 100.000 mentre laToscana è a 7,5, un livello nettamente inferiore allamedia nazionale.

Nel Libro Verde viene proposta una strategia cheprevede di creare scambio di esperienze ed integrazio-ne fra gli Stati membri e di rafforzare la coerenza degliinterventi nei vari settori politici. La CommissioneEuropea afferma con molta forza che per raggiunge-re risultati migliori in questo settore è importante rea-lizzare un’integrazione forte ed istituire una piattafor-ma condivisa che coinvolga le parti interessate com-prese le organizzazioni di pazienti e dei familiari. Nonè possibile che il dialogo sulla salute mentale sia esclu-sivamente tecnico tra le figure professionali che cilavorano o politico tra i politici che vi si dedicano oportato avanti prevalentemente dai familiari. È chia-ro che per raggiungere i migliori risultati sono impor-tanti strategie che conducano a piattaforme comuni

La Salute Mentale nella programmazione regionalenella prospettiva di servizi di comunità

Galileo Guidi*

*Responsabile Salute Mentale Regione Toscana

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tra i diversi soggetti che lavorano su questo argomen-to e questo a tutti i livelli di riferimento, a livellonazionale, regionale e locale aziendale.

Il Libro Verde afferma che la salute mentale rien-tra marginalmente negli attuali sistemi di monitorag-gio sanitario. Se questa marginalità è presente a livel-lo europeo, a livello Nazionale è portata all’ennesimapotenza perché come abbiamo visto non siamo ingrado di produrre i dati nazionali da inserire neldocumento del libro verde della Comunità Europea.La regione Toscana sta portando avanti con fatica unsistema informatico per la salute mentale con l’ob-biettivo di migliorare la conoscenza della epidemiolo-gia, dei servizi e del modo in cui vengono utilizzate lerisorse disponibili. È necessario armonizzare gli attua-li indicatori usati a livello nazionale con quelli inter-nazionali sul tema e occorrono più dati misurabili suideterminanti sociali ed economici della salute menta-le.

L’esperienza della salute mentale realizzata inItalia dal 1978 a seguito della legge 180 ha compiutoun percorso originale nell’ambito europeo e si è basa-ta sulla progressiva chiusura degli OspedaliPsichiatrici e sulla attivazione di nuovi servizi territo-riali.

In Toscana cosa abbiamo fatto? La RegioneToscana si è impegnata nella applicazione della legge180 e si è data ulteriori strumenti per realizzare ciòche l’OMS e la Comunità europea raccomandano. Lainnovazione più importante introdotta nella legisla-zione regionale dalle leggi di riordino del sistemasanitario e sociale (leggi regionali 40 e 41 del 2005) lapossiamo sintetizzare nel Piano Integrato di Saluteche è diventato il nuovo strumento della programma-zione unitaria dei servizi sanitari e sociosanitari inambito territoriale della Regione Toscana.

Il Piano Integrato di Salute così come previstodalle norme regionali è un strumento che si ponel’obbiettivo di intervenire non solo nei processi diintegrazione socio-sanitaria ma di cominciare ad inci-dere sui determinanti di salute. Per attivare e sostene-re questo processo innovativo è indispensabile accen-tuare il lavoro di analisi e produzione di conoscenzesullo stato di salute della popolazione ma anche sulmodo in cui vengono utilizzate le risorse disponibili.

Per quanto riguarda la salute mentale è stato com-piuto un censimento per ogni azienda sanitaria sullerisorse finanziarie pubbliche, sul personale assegnato,sui punti di erogazione dei servizi, su SPDC, le resi-denze, le associazioni di volontariato e le cooperativesociali presenti sul territorio. Sicuramente la nostrarilevazione può essere incompleta e contenere deglierrori, però abbiamo cercato di fotografare la situa-

zione in Toscana nel modo più oggettivo possibileperché possa essere utile ad alimentare il dibattito cosìvivo nella nostra realtà. Partiamo dal presupposto chela programmazione dell’uso delle risorse passa inevi-tabilmente per la conoscenza di ciò che viene fatto esu come vengono utilizzate le risorse disponibili.Vorremmo che il dibattito che anche in Toscana c’èstato sulla scarsità delle risorse destinate alla salutementale fosse sostenuto da elementi di conoscenzapiù obbiettivi possibili su cosa viene fatto e comeviene fatto nelle diverse realtà territoriali. Questorientra nel concetto fondamentale che sta alla base delpiano sanitario regionale toscano, che pone al centrol’empowerment degli utenti, cioè la capacità degliutenti e degli operatori di poter incidere sulle deci-sioni, e perchè questo si realizzi è necessario conosce-re, altrimenti si rischia di prendere delle decisioni nonadeguate o addirittura sbagliate.

Il primo dato che poniamo in evidenza è il nume-ro degli utenti che si rivolgono ai servizi della salutementale: vediamo come la popolazione che si avvici-na ai nostri sevizi è in continuo aumento, sia perquanto riguarda gli adulti che per l’infanzia e adole-scenza. Segnaliamo, in accordo con i dati della lette-ratura, una crescita costante della popolazione cheaccusa problemi di salute mentale.

Nelle diverse aziende sanitarie abbiamo misuratoquanti posti letto sono presenti nelle strutture resi-denziali governate esclusivamente dai dipartimenti disalute mentale. La ricerca evidenzia la presenza di2,44 posti letto ogni 10.000 abitanti: un dato moltosuperiore a quanto previsto dagli atti di pianificazio-ne regionale che indicavano l’obbiettivo di 1 postoletto ogni 10.000 abitanti. Se osserviamo con atten-zione il fenomeno vediamo come molte di questeresidenze hanno un turnover di pazienti bassissimo,da questo si può desumere che hanno perso la fun-zione terapeutica riabilitativa e sono diventate resi-denze per la vita. Questo è un problema su cui lediverse realtà locali dovranno discutere.

Abbiamo verificato l’uso dei diversi reparti ospe-dalieri (SPDC). Nel 2004 abbiamo avuto 6373 rico-veri in SPDC, di questi il 33% sono stati ricoveriripetuti. Abbiamo misurato il rapporto tra TSO ericoveri ordinari negli SPDC. A livello regionale talerapporto è 8,38: siamo ad un livello basso nei con-fronti del resto del Paese, ma si nota una differenzaabbastanza rilevante tra le diverse aziende. È quindiopportuno che a livello delle singole aziende sanitariesi rifletta sui dati per capire quali fenomeni avvengo-no e perchè. Successivamente sono state verificate lerisorse del personale assegnato: il rapporto riscontra-to è di 0, 92 dipendete ogni 1500 abitanti. Non rien-

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tra in questo conteggio il personale dei servizi ester-nalizzati, cioè il personale delle residenze e dei serviziche non è dipendente dal servizio sanitario nazionale.Non siamo in grado di distinguere tra il personalededicato ai servizi delle Unita Funzionali Adulti equello delle Unità Funzionali per l’Infanzia el’Adolescenza. Il piano sanitario regionale si era postol’obiettivo di un dipendente ogni 1500 abitanti:siamo sotto questa previsione, ma la differenza èminima e se potessimo conteggiare i dipendenti deiservizi esternalizzati saremmo al di sopra delle indica-zioni di piano.

Per quanto riguarda le risorse economiche asse-gnate alla salute mentale, la media regionale dellespese correnti è del 4,64% sul 90% del fondo ordi-nario di gestione assegnato alle aziende (il PSR preve-deva il 4,5 % destinato all’attività salute mentaleadulti). Nei dati che presentiamo non siamo stati ingrado di differenziare tra quanto viene destinato allaspesa per la salute mentale adulti e quanto per la salu-te mentale infanzia e adolescenza. La ricognizionesulle risorse ci permette di evidenziare come esistauna notevole diversità di spesa tra le diverse aziendesanitarie, infatti, alcune aziende sono molto al disotto della media regionale. In queste realtà devonoessere proposte operazioni di riequilibrio in modo daassegnare all’attività per la salute mentale le risorsenecessarie per ben funzionare. Abbiamo voluto rap-presentare la spesa per farmaci antipsicotici e antide-pressivi nelle diverse aziende sanitarie per due motivi:perché i dati che abbiamo ricordato precedentementea livello europeo comprendono anche la spesa per ifarmaci.

Quindi se al 4,64 aggiungiamo le risorse per i far-maci, la Toscana si colloca tra le regioni europee chespendono di più. L’altro punto da sottolineare è che

la prescrizione di questi farmaci è sempre più in manoal medico di medicina generale od allo specialistaesterno e sempre meno in mano a coloro che gesti-scono i dipartimenti di salute mentale e quindi acoloro che hanno la diretta responsabilità dellagestione dei servizi pubblici. Essendo un fenomenocosì rilevante c’è la necessità che i Dipartimenti diSalute Mentale attivino azioni per il governo del con-sumo dei farmaci, perché ad esso vengono dedicategrandi risorse all’interno delle quali, con una maggio-re attenzione, possiamo trovare finanziamenti aggiun-tivi da destinare a servizi. Altro elemento su cui porreparticolare attenzione è il consumo dei farmaci perfasce di età; la ricerca rileva dati su cui sarà opportu-no discutere e creare l’occasione per ulteriori appro-fondimenti. Relativamente alle associazioni di volon-tariato e le cooperative di tipo B presenti nelle diver-se aziende sanitarie, abbiamo censito 63 associazionidi volontariato che in Regione si dedicano alla salutementale. Esse sono una grandissima forza, rappresen-tativa di una sensibilità e di un interesse che fa onoreai cittadini di questa regione. Anche l’elenco dellecooperative di tipo B è molto ampio; non sappiamoquali tra queste cooperative lavorino esclusivamentecon la psichiatria, ma la fotografia sommaria eviden-zia una realtà frastagliata che avrà bisogno di una spe-cifica attenzione.

Vorrei concludere con una affermazione di unautore inglese del primo novecento “la cosa più nobi-le che posso fare è piantare un albero che farà ombraa persone che non conoscerò mai”…in un’epocadove sembrano prevalere pensieri brevi, forse puòvalere la pena di ricominciare a costruire occasioni incui il nostro pensiero si allunga in prospettive piùampie, forse fare questo ci permetterà di vivere e lavo-rare meglio.

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In base all’attuale legislazione della Regione Toscana laprogrammazione sanitaria viene concertata a più livelli,

regionale, locale e di area vasta: a livello regionale gli stru-menti di programmazione previsti sono due: il piano sani-tario regionale (con i relativi strumenti di attuazione) e gliatti di programmazione Interaziendale (art. 9 della Legge40/2004), denominati Piani di Area Vasta. In questo qua-dro normativo quindi l’area vasta dovrebbe essere solo unambito di programmazione e non un livello di gestione,ma nella realtà essa finisce per diventare l’ambito di eroga-zione di una determinata prestazione o di attivazione diuno specifico percorso diagnostico terapeutico. È qui chenasce il rischio di sostituire involontariamente la logica ter-ritoriale della continuità terapeutica della presa in caricocon quella gerarchica tipica dell’organizzazione per livelli dispecializzazione della rete ospedaliera.

La questione della “giusta” dimensione in cui sidovrebbe organizzare l’offerta sanitaria è diventata centralenel dibattito sui sistemi sanitari da almeno 25 anni in tuttaEuropa ed in Italia da almeno 15, da quando la controri-forma sanitaria De Lorenzo pose per la prima volta l’obiet-tivo di una radicale riduzione del numero delle USL.

In questi anni il sistema regionale toscano ha cercato dilavorare per un maggior equilibrio tra le conflittuali esi-genze della razionalizzazione delle risorse e del decentra-mento dell’offerta, della programmazione e della parteci-pazione. Le precedenti Zone, sostanzialmente ritagliatesulla geografia delle USL non ancora aziendalizzate, rap-presentavano questa ricerca di equilibrio. I decisori politicihanno ritenuto negli ultimi anni che questo non fosse suf-ficiente e che si dovesse puntare, in diversa maniera, su duelivelli nuovi: l’area vasta e le Zone Distretto (che privatedell’ospedale non sono affatto la stessa cosa delle Zone).Basta guardarsi intorno per accorgersi che questa ricercanon è così isolata ed arbitraria, ma bene o male è condivi-sa da tutte le altre realtà regionali. Oggi ci sono infatti moltiaspetti strutturali del sistema sanitario che spingono adandare verso l’allargamento della popolazione di riferimen-to delle USL.

Il primo decisivo argomento pare essere quello “discala”: programmare servizi per bacini più estesi consentedi risparmiare risorse evitando le duplicazioni inutili dei

servizi, quelle che non apportano alcun miglioramentonell’accesso e rischiano anzi di garantire una qualità pro-fessionale e organizzativa più bassa. Prevedere bacini di ero-gazione più vasti può avere anche altri scopi: per esempiopuò consentire di sperimentare l’attivazione di nuoverisposte “costose” che non possono sfruttare il riutilizzo diprecedenti servizi in quanto si rivolgono a bisogni sanitariche erano precedentemente assenti o non percepiti.Modifiche epidemiologiche, maggior visibilità della pato-logia a livello di opinione pubblica, minor tolleranza versogli effetti collaterali del problema, cambiamento dellapopolazione “vittima”: il diffondersi dell’uso delle sostanzeillegali negli anni settanta e l’AIDS racchiudono entrambetutti questi aspetti ed altri ancora, come lo stravolgimentodegli assetti culturali della popolazione largamente impre-parata ad affrontare le tematiche sollevate.

Le strategie con cui sono state affrontate queste dueemergenze sanitarie sono state per certi versi simili sulpiano della prevenzione in quanto il ceto politico ha tesoad ostacolare in entrambe i casi l’attivazione di efficacicampagne di informazione dell’opinione pubblica sulletecniche preventive (rispettivamente “sesso sicuro” e “limi-tazione del danno”). Sul piano della cura però sono staterealizzati azioni e servizi completamente diversi: a causadelle differenze profonde e nella natura bio-psico-socialedei due fenomeni e negli strumenti tecnologici che si pote-vano ritenere utili. Inoltre nella storia dell’AIDS la pro-grammazione delle strutture di assistenza ha subito alme-no due fasi differenti in quanto l’efficacia delle cure farma-cologiche ha determinato un cambiamento radicale nell’e-voluzione della patologia ed ha reso superflua l’attivazionedi molte delle strutture programmate sulla base dell’impo-tenza terapeutica. La presenza di risposte efficaci incideperciò sulla possibilità ed utilità della centralizzazione dellerisposte: qualcosa di molto simile si era già verificato delresto in psichiatria negli ultimi quaranta anni.

Le Aree Vaste toscane perseguono però a differenza dialtre realtà anche l’ambizione di attivare un coinvolgimen-to strategico delle Università nella rete regionale dell’offer-ta e della formazione, obiettivo coerente del resto con lanascita delle Aziende ospedaliero-universitarie.

L’area vasta è un’opportunità per la salute mentale?

Mario Serrano*

*Responsabile Area Vasta Nord Ovest Toscana

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Se queste sono le ragioni non banali dell’interesse dif-fuso tra i programmatori per l’orizzonte di azione delleAAVV occorre mettere a fuoco però anche gli aspetti pro-blematici: la necessità di differenziare progressivamente ead isorisorse il sistema delle risposte (che in sanità possonoevolvere anche molto velocemente) spinge “naturalmente”verso forme di centralizzazione dell’offerta più complessae specializzata. In realtà verso la “centralizzazione” concor-rono anche altre forze esterne al Sistema SanitarioRegionale: la naturale tendenza dei produttori privati asfruttare la segmentazione del mercato sanitario, cercandodi ritagliarsi dei target vantaggiosi, la cultura della profes-sione medica che guarda alla specializzazione delle struttu-re come una inevitabile ed augurabile evoluzione del siste-ma. Sono soggetti le cui strategie non possono essere igno-rate quando ci si muove in un’ottica di governance. Non èperciò un caso che le AV si siano finora interessate solodella rete ospedaliera: perché i presidi ospedalieri sono dasempre stati disciplinati dalle leggi nazionali e regionalicome un sistema “gerarchico” secondo un gradiente di cre-scente complessità organizzativa, tecnica e professionale.Gli obiettivi di minima: evitare i doppioni, mediare i con-flitti tra i particolarismi di un sistema regionale che rico-nosce il valore delle comunità locali e di un sistema politi-co che conseguentemente deve offrire garanzie ai Sindacidi coinvolgerli nelle scelte di allocazione delle risorse (vedile competenze ora anche sulla area vasta della Conferenzapermanente per la programmazione socio-sanitaria).

Nel campo della salute mentale finora la logica dei cen-tri ospedalieri specialistici per la Salute mentale non erastata proposta da nessuno nel Sistema Sanitario Regionalein maniera forte e decisa. Quanto proposto per i Disturbidel Comportamento Alimentare ha perciò rappresentatouna novità che credo pericolosa per più ragioni. In primisperchè è stata finora la logica delle Cattedre Universitarieche, imitando le altre branche della medicina, hanno sem-pre alimentato lo sviluppo di risposte basate su Ambulatorie Centri specializzati per singole patologie. Dobbiamoprendere atto che l’idea di spazi specialistici con bacino diazione superiore a quello dei Dipartimenti di SaluteMentale e coincidenti con le Aree Vaste comincia a pren-dere piede: quello che però nessuno propone ancora per ipresidi ospedalieri viene dato per scontato per una serie disituazioni residenziali: tra l’altro in questo senso spingononon a caso tutte e tre le cliniche private convenzionate conl’effetto collaterale non sottovalutabile di uno stravolgi-mento del senso della risposta residenziale. Una cosa è pen-sare di cominciare a “sperimentare” delle risposte nuove edinnovative nelle tre aree, altro pensare a strutture che siste-maticamente abbiano come riferimento l’area vasta: è que-sto il caso delle Comunità terapeutiche per adolescenti chefurono proposte nel 2001 come progetto sperimentale mapoi nel PSR furono pensate come “strutture di area vasta”.

La stessa cosa per le residenze DCA e per quelle alternati-ve all’OPG.

La differenza non è di poco conto perchè comportauna serie di rischi che non mi sembra che siano stati fino-ra sufficientemente discussi e valutati. La filosofia che siaccredita non è solo quella di una programmazione “discala” che tenga conto della sostenibilità. Non si tratta cioèsolo di una questione di razionalizzazione delle risorse, madi un indirizzo preciso che comporta inevitabilmenteanche una non-neutrale “propensione per la specializzazio-ne” che non è per nulla nuova nella storia della psichiatria.Per tutto il novecento la visione di una parte della psichia-tria europea (spesso di estrazione universitaria) è stata quel-la di considerare il manicomialismo come il frutto dellatendenza ad organizzare i vecchi ospedali psichiatrici inbase ad una organizzazione di reparti per problemi istitu-zionali/assistenziali (acuti, violenti, cronici, sudici, alletta-ti…): in sostanza ad una assenza di professionalità e di spe-cializzazione, ad una malpratica che si discostava dagli svi-luppi più avanzati della medicina. Il rimedio sarebbe statoallora quello di ricorrere ad una nuova organizzazione“scientifica” basata sulle diagnosi (i cosiddetti “repartini”per nevrotici e depressi, le Cliniche per le anoressiche, iReparti per le psicosi schizofreniche…) dove si sarebbepotuto realizzare finalmente il trattamento appropriato.L’idea di fondo era che occorresse imparare da tutta larestante medicina clinica che appunto andava sempre piùorganizzandosi in cattedre su aspetti e patologie sempre piùsettoriali e specializzate. L’ideale di fatto trovò una sua rea-lizzazione solo nelle strutture “private” ed in quelle univer-sitarie per il semplice fatto che queste due realtà potevanofacilmente eludere il mandato sociale verso “gli scarti delsistema tecnico” ed erano libere di selezionare la propriaclientela: in realtà potevano funzionare solo perchè protet-ti dall’ombra del manicomio.

La questione è che c’è una enorme differenza tra lerisposte veramente specialistiche e quelle “ideologicamentespecialistiche” in quanto la superiorità dello specialismo inmedicina non si decide a priori, sulla base di qualche deli-mitazione teorica dell’oggetto di intervento, ma viceversasolo a posteriori, sulla base di evidenze inoppugnabili: disolito quello che decide sono o una dimostrata maggioreefficacia (nella diagnosi e/o nella cura) oppure il grado dicomplessità professionale e organizzativa ritenuta necessa-ria per affrontare la patologia da trattare. Dove sono leprove che questo avvenga nelle strutture psichiatriche spe-cialistiche? Se così fosse dovremmo avere differenze impor-tanti nella complessità/gravità delle patologie trattate neivari centri. In realtà gli indicatori che vengono utilizzati perpesare la complessità delle patologie trattate nei vari conte-sti di ricovero ci dicono che accade proprio il contrario. Lastessa cosa accade anche in altri ambiti sanitari dove peresempio si registrano centri universitari di “ennesimo livel-

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lo” che continuano ad occuparsi delle operazioni di appen-dicite: per quale motivo dovremmo importare questi stes-si difetti nel sistema salute mentale?

La centralizzazione delle risposte è stata giustificataanche in base ad altre argomentazioni, per esempio in basealla gravità dei possibili danni per la salute della popolazio-ne e/o sulla diffusione della patologia. Per le patologiegravi e non molto frequenti creare una “concentrazioneartificiale” di casi simili in uno spazio specialistico determi-na una progressiva familiarizzazione dei medici con lemanifestazioni (spesso polimorfe) della patologie che nonsi potrebbe mai avere con una organizzazione decentrata.Molti successi nella scoperta e descrizioni delle sindromiclassiche della neurologia sono dovuti a questo artificioprodotto dall’organizzazione del mondo universitario nellecliniche dell’ottocento, tedesche e francesi. Questi criterifurono riutilizzati per la psichiatria ma con molti menosuccessi e qualche sindrome istituzionale (vedi l’isteria diCharcot).

La centralizzazione è stata considerata perciò un buonmetodo per acquisire quella “casistica” su cui si basava laformazione e il miglioramento delle conoscenze: in modoparticolare nel campo della ricerca. Tuttavia è proprio quiche si manifestano oggi le crepe di quella metodologia nellamedicina: nell’ultimo ventennio le pretese della EvidencedBased Medicine di innalzare gli standard metodologicistanno spingendo la ricerca medica verso disegni di ricercacon campioni sempre più estesi e rappresentativi (per potercogliere anche piccole differenze positive ed effetti negativirari ed idiopatici) con periodi di osservazione sempre piùprolungati (per verificare l’effettivo effetto finale e fare ilminimo uso degli indicatori intermedi che sono fonte difrequentissimi impliciti indimostrati). I setting di ricercarichiesti per soddisfare queste due esigenze (soprattuttoquella di prolungare il periodo di trattamento) sono sem-pre più quelli naturali. Cosa ha a che fare tutto questo conl’attuale stato della psichiatria e della salute mentale dicomunità? Quali prove ci sono di una superiorità dellestrutture specialistiche? Non è stato finora invece vero ilcontrario e cioè che negli ultimi trenta anni l’accesso alladiagnosi e alla cura delle patologie psichiatriche (qualun-que giudizio si dia del fenomeno) sia stato indotto propriodalla diffusione dell’offerta di servizi?

I servizi di Salute Mentale territoriali contattano oggiuna popolazione 10 volte superiore a quella dei vecchiOOPP ed infinitamente più varia di quella delle ClinicheUniversitarie. Anche gli studi degli psichiatri privati sonofrequentati da una moltitudine di cittadini che appenaventi anni fa sarebbe stata inviata presso gli studi dei neu-rologi per il timore dello stigma. Ma la novità che neltempo finirà per produrre gli effetti più rivoluzionari è ilprotagonismo dei medici di medicina generale che già oggidiagnosticano e trattano un numero di pazienti doppio

rispetto a quello dei servizi specialistici pubblici e privatimessi insieme. Il risultato di tutto questo è che ogni annopiù del dieci per cento della popolazione adulta di qualsia-si zona della Toscana riceve una risposta in base ad una dia-gnosi più o meno grave di natura psichiatrica.

La questione della necessità della casistica perciò non sipone per la patologia psichiatrica in generale: si potrebbeperò porre per talune patologie meno diffuse. Potrebbeessere questo l’esempio dei Disturbi del ComportamentoAlimentare? Proprio questo esempio mi sembra invececonfermare in pieno i miei timori. In tutti i Paesi ricchi dadue decenni siamo sicuramente di fronte ad un aumentoesponenziale delle diagnosi di DCA. Cosa significa questodato? Preso così poco o niente perché in realtà ad aumen-tare vertiginosamente non sono stati tutti i tipi di DCA. Leanoressie “classiche”, per esempio, quelle che ogni psichia-tra temeva di poter incontrare un giorno nella sua profes-sione per l’alta percentuale di esiti mortali, non sono affat-to aumentate. Da qualche tempo sembrano stabili o incalo anche le bulimie “classiche” (il fatto di considerare già“classico” un quadro diagnostico così recente la dice lungasulla plasticità di queste sindromi che non a caso sono fon-date solo su elementi comportamentali).

Di quali di questi tipi di casi dovrebbero occuparsieventuali centri specialistici di area vasta? Le strutture spe-cialistiche di grande comprensorio, essendo svincolate dallapresa in carico territoriale di lungo periodo, hanno intrin-secamente connaturate almeno due deformazione nel pro-prio approccio: una ovvia tendenza a sopravvalutare glieffetti terapeutici di lungo periodo producibili con un rico-vero e, nel caso specifico dei DCA, un intrinseco atteggia-mento verso il comportamento alimentare che al momen-to della decisione di ingresso non differenzia sufficiente-mente tra sintomo, sindrome e diagnosi principale. Spessoanzi viene teorizzato il ricovero a ciclo completo o DHcome strumento di diagnosi. Tutto questo a prescinderedalla loro eventuale natura di strutture private accreditate eperciò come tutte le altre naturalmente interessate a man-tenere un livello di efficienza amministrativa che può esse-re garantita solo attraverso un livello di percentuale di uti-lizzazione di posti letto vicino a 100. L’utilizzo di strutturesganciate dalla presa in carico territoriale in molti casi diDCA ha spesso l’effetto finale di costruire storie di nucleifamiliari che iniziano viaggi con mete via via più lontane euna quotidianità interamente centrata sul sintomo. La per-dita di senso dovrà essere poi raccolta, magari dopo moltianni, dal servizio territoriale (coinvolto spesso a partire dauna emergenza presso il pronto soccorso o dal medico difamiglia ormai disperato) e potrà essere affrontata, senzasoluzioni magiche, con la costruzione di relazioni terapeu-tiche più stabili e solo nel medio-lungo periodo.

A livello di sistema l’effetto di strutture appare coeren-te e collusivo con l’aumento dei casi “spuri” in cui la que-

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stione del comportamento alimentare appare sempre piùcollegata con dinamiche di “scelta” del sintomo: allora nonè poi così paradossale, come potrebbe sembrare di primoacchito, che le cosiddette strutture specialistiche finisconoper accogliere non tanto i casi “classici”, quelli che potreb-bero giustificare l’approccio specialistico per la loro caricadi rischio per la vita, quanto quelli complicati da trattare,quelli che a causa del prevalere di aspetti comportamenta-li e sistemici hanno difficoltà a costruire una relazione tra-sformativa di lungo periodo ma sono ovviamente disponi-bili ad un approccio basato sulla costruzione di una breveparentesi.

La domanda centrale per le risposte specialistiche rima-ne centrata tuttavia sulle prove di maggior efficacia: sidovrebbe verificare quanto si “perde” in continuità tera-peutica. Il ricovero specialistico offre dei vantaggi quantopiù il problema che il paziente possa, proprio tramite il per-corso specialistico, ricevere una risposta pienamente effi-cace e risolutrice, tale cioè da evitare la necessità di una rela-zione terapeutica duratura. Non deve trattarsi per forza del“problema centrale”, potrebbe essere anche un problemacollaterale o derivato, ma deve essere qualcosa di abba-stanza verificabile. La questione finisce perciò per sovrap-porsi alla domanda precedente: cosa può veramente pro-mettere di essere “risolutivo” per i DCA, in modo parti-colare per la casistica che attraversa già ora le strutture pri-vate presenti in regione.

Concludendo: rimane un aspetto importante, la que-stione della Formazione e dell’Università: è evidente che laconformazione geografica e la composizione organizzativadelle tre aree vaste è stata influenzata dalla presenza delle treUniversità sul territorio regionale e dall’idea che questi fos-sero i poli di una strategia a livello ospedaliero. Area vasta eSocietà della Salute sono state pensate insieme e comple-mentarmente: almeno all’inizio la visione vedeva le SdS sulversante della medicina comunitaria mentre l’area vastadoveva trovare una sua giustificazione strategica al livellodella rete ospedaliera.

Riassumendo quanto già detto prima potremmo direche al livello della comunità locale la preoccupazione prin-cipale è stata quella di cercare di lavorare per renderecoerente il sistema sanitario con quello delle risposte socia-li: il cambio del quadro epidemiologico ha portato al pre-valere delle patologie croniche ed alla necessità di farsi cari-co del carico delle disabilità e degli ostacoli alla partecipa-zione, due impegni che comportano dei costi difficilmen-te comprimibili per l’ovvia impossibilità, in questo campo,di sostituire la forza lavoro delle persone con la tecnologiadelle macchine. Il livello delle aree vaste è stato pensatocome livello di scala in cui è possibile affrontare i problemidella razionalizzazione della rete ospedaliera cercando disfuggire alla logica dei campanilismi a cui “la politica è co-stretta” per le logiche del consenso.

L’area vasta ha però anche l’ambizione di divenire il“luogo” della programmazione in cui il SSR può incontra-re l’Università per cercare di moltiplicare gli effetti di siste-ma evitando duplicazione e quel tipo di falsa concorrenzache in campo sanitario esita in un aumento della spesacomplessiva. In sintesi: le SdS come strumento di governodelle comunità locali e dell’integrazione dell’offerta socio-sanitaria, l’Area Vasta come strumento di razionalizzazione(e governo) della rete ospedaliera e integrazione dell’offer-ta del SSR e delle Università.

In psichiatria la proposta specialistica si è spostata dallarete ospedaliera alle strutture residenziali e, a complicare lecose, si è colorita anche di una certa ambiguità verso ilricovero nelle cliniche private, per alcuni versi equiparato alricovero ospedaliero e per altri a quello residenziale, secon-do modalità ambigue che fanno sembrare questi soggettiimprenditoriali come soggetti particolari verso cui vienericonosciuta la modalità di accesso libero che impedisce aivari DSM di operare quella presa in carico che potrebbedare senso all’episodio di ricovero e che permette di evita-re i meccanismi di retta previsti per le altre forme di resi-denzialità (che richiedono lunghe pratiche amministrativee soprattutto la disponibilità di risorse in bilancio). Laopportunità più forte per la Salute mentale nell’area vastasembra essere quella di raccordare i processi di formazionegarantiti dalle Università e dalle scuole di specializzazione.Finora è stato mantenuto inalterato il primato della Clinicae del ricovero come momento di incontro e di formazionedi esperienze. Anche quando questo punto di vista sia statoallargato ai momenti ambulatoriale e di day hospital l’as-sunto di base è rimasto centrato sull’affrontamento mera-mente medico clinico alla sintomatologia e sull’interventospecialistico separato e non integrato. Il sistema pubblicoparadossalmente formava gli psichiatri rendendoli abba-stanza pronti a lavorare nel proprio studio privato, ma deltutto al digiuno in diversi temi strategici come la riabilita-zione psicosociale, il lavoro di promozione, il lavoro di rete,la conduzione dei gruppi di lavoro, l’intervento sui conte-sti organizzativi e di vita, il trattamento di gruppi, l’inte-grazione con l’intervento psicologico e con il sociale.

L’area vasta rappresenta perciò la dimensione in cuiripensare i processi formativi ed i setting di lavoro piùopportuni: la scelta tra assunzione di responsabilitàDipartimentali su una area del territorio e integrazione coni DSM delle USL di area vasta appare non più rimandabi-le per l’Università anche per i nuovi standard che la nuovalegge per le scuole di specializzazione impone sia per lacostruzione dei curriculum idonei che per il meccanismodi calcolo dei posti concretamente attivabili. È l’occasioneper fare dei DSM e delle UUFF di zona il setting di unaformazione pubblica che sia finalmente e prioritariamenteispirata e diretta dalle necessità dei servizi pubblici territo-riali.

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La cultura dipartimentale nell’ambito della SaluteMentale si è consolidata nel tempo per merito delle

lontane premesse e promesse in epoca precedente allaaziendalizzazione in ambito sanitario.

In epoca antecedente al 1995, anno della costitu-zione della ASL 11, le due USL (17e 18), in seguitoaccorpate, disponevano entrambe di un DipartimentoSalute Mentale. Nella zona empolese, il DSM è in vitadal 1992. Dall’istituzione del Dipartimento SaluteMentale aziendale, 1995, il coinvolgimento di tutte leprofessionalità rappresentative dell’attività multidisci-plinare, si è articolato intorno alle specifiche attività chesi sono sviluppate nel tempo. Il compito ha conosciutomomenti di criticità, laddove lo sviluppo delle profes-sioni multiple e quindi delle U. O. monoprofessionali,portava inevitabilmente ad una sorta di conflitto tra ilpercorso di identità professionale delle professioni piùnuove o rinnovate e l’esigenza di affinane nuove moda-lità di intervento complesse, integrate e specifiche dellaattività istituzionale. Contenitore della complessità del-l’intervento, il DSM con due zone (empolese-valdarno)si è configurato come garante di due aspetti da conside-rare come cardini dell’assetto assistenziale:l’unitarietà ela simultaneità dell’intervento rispetto alla complessitàdelle tre componenti biologica-psiclogica-sociale del dis-agio psichico, l’unitarietà e simultaneità dell’interventomultidisciplinare, laddove in entrambi gli aspetti, il ter-mine abusato ed un po’ svuotato, integrazione, non èesaustivo. la sfida consiste non tanto nel tenere presentile tre componenti che certamente sottendono il disagiopsichico, quanto nell’orientare l’intervento terapeuticoaffinchè all’unisono risponda ai bisogni dei tre fattori.

L’accesso al sevizio per adulti prevede un percorsoesplicitanto dal Piano Sanitario Regionale

Il percorso può essere semplice e diventa complessoattraverso fasi del processo che vedono coinvolti i vari“luoghi”della cura e le varie figure professionali, intesein senso multidisciplinare, ogni qualvolta è necessarioprendere in cura il Caso Grave o Complesso. I luoghidella cura si identificano più che altro con gli attoridella scena terapeutica, invertendo la logica dell’istitu-zione totale, laddove il luogo di cura si identificava con

la cura medesima. Il gruppo ha acquisito consapevolez-za sullo specifico dei luoghi della cura, preservandoli dalpregiudizio, considerandoli necessari, ma assolutamen-te privi di di significato se carenti di osmosi che vuoldire confronto, verifica ed apertura all’esterno. Luoghiprivi di significato se carenti di cordinate temporo spa-ziali (progetti nel tempo, azioni nel setting).

Lo smantellamento dell’Istituzione ha visto, nelmigliore dei casi, una sorta di virtuale trasposizione,dalle mura istituzionali a mattoni più invisibili, piùdinamici(psico-dinamici)che sono gli operatori medesi-mi:la loro mente ed una sorta di “iperidea” che è l’ideadel gruppo, la risultante di tutti i contributi, uno sfon-do ma anche un contenitore di appartenenza che carat-terizza lo stile di lavoro. I luoghi della cura sono nodi diuna rete che li mette in stretta relazione tra loro senzache nessuno di essi sia egemone dell’altro ed il fruiredell’una o dell’altra struttura è in stretta relazione con lafase del progetto e con la necessità di maggiore o mino-re intensità di trattamento. La funzione del CSM è lapiù complessa:punto centrale del processo terapeutico,punto di partenza, ma anche il punto di arrivo, è la sedepiù consueta per il primo accesso ed è la sede nella qualesi mantiene il rapporto con il paziente anche alla con-clusione di un trattamento più complesso. È il luogo incui si elabora in equipe il progetto terapeutico e si veri-fica la validità del processo. L’istituzione dei tre CSM,due nella zona Empolese ed uno nella Zona Valdarno,risale agli anni sessanta, quando ancora era florida lapresenza dell’ospedale Psichiatrico ed esile era la lorofunzione relegata a monitorare l’andamento delle per-sone dimesse dall’OP tra un ricovero e l’altro.Dinamiche strutture oggi, decorose dal punto di vistaambientale, assumono caratteristiche di luoghi per laaccoglienza del disagio psichico sin dalla prima fase delcontatto utente/servizio. Il contatto, per facilitare l’acces-so è diretto e pertanto fuori CUP, rientra nei flussi epi-demiologici istituzionali attraverso un’integrazioneinformatica che collega il sistema informativo delDSM(ogni operatore inserisce i propri dati di attività)con quello dei flussi aziendali. Alle visite ambulatoriali

Dipartimento salute mentale Asl 11Area Vasta Centro1

Vincenza Quattrocchi*

* Responsabile D.S.M. - Asl 11

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e domiciliari(eseguite prevalentemente dagli infermieriche svolgono un’importante azione di sostegno all’abita-re sia soli che in famiglia), si aggiungono le psicoterapieindividuali, di gruppo e familiari, in colloqui di sostegno,sia rivolti all’utente che alla famiglia. Luogo di incontrimultiprofessionali, operativi e formativi, il CSM ha svi-luppato la funzione della somministrazione quotidianadella terapia farmacologia, a tutela di quella fascia diutenti che va sostenuta verso la conquista della com-pliance. Il farmaco, caratteristiche terapeutiche intrinse-che a parte, è vissuto, ora come violazione del corpo, oracome alternativa all’indagine psicologica ora come lega-me con il terapeuta introiettato, presente anche in assen-za Il quotidiano sostegno alla compliance e l’uso di far-maci di nuova generazione, validi soprattutto per la ridu-zione degli effetti collaterali, ha consentito in linea dimassima uno sviluppo dei metodi riabilitativi.

Nel corso degli anni abbiamo perseguito l’obiettivo,(il n° TSO negli anni si mantiene costante) di superarel’assetto di un sevizio “allertato” esclusivamente sull’acco-glienza della crisi. Sappiamo che l’insonnia si cura digiorno con lo stile di vita e con le terapie adeguate nontanto per l’insonnia, ma per il disturbo psicopatologicoche la determina, questo è vero anche per quantoriguarda l’emergenza. Nell’evitare di porsi prevalente-mente come esperti dell’emergenza, abbiamo tentato diaffrontare il problema dell’acuzie sotto vari aspetti, dallaprevenzione possibile, all’intervento precoce con una

solida presa in carico da parte di un Servizio, sempre piùvisibile, riservato rispetto all’intimità della cura, mariconoscibile rispetto all’offerta. Con la consapevolezzache la relazione terapeutica costituisce l’essenza di tuttoil processo, il gruppo ha approfondito le competenzesull’alleanza terapeutica che affonda le proprie radicinella relazione primaria, configurandosi come identifi-cazione reciproca attraverso elementi preverbali edempatici, di sostegno e di accudimento e sull’aspettopiù elaborato della alleanza medesima, l’alleanza dilavoro (Greeson) in cui un Io osservante si allea conquello del curante. Una collaborazione con i MMG, civede impegnati su due fronti con la SDS, sulla gestionedelle depressioni reattive.

Popolazione 233. 982Anno Totale di cui nuovi2002 3804 17352003 4109 19072004 4379 2015

Gli aspetti psicologici, relazionali e quindi psicote-rapici sia in senso lato che in senso specifico, hanno, neltrattamento una certa supremazia in quanto ogni atto,dalla prescrizione farmacologia alla riabilitazione psico-sociale, è “dentro” la relazione terapeutica medesima.Configurandoci un clima psicoterapico in wireless, dif-fuso nell’ambiente, riflettiamo su quanto spontanea-mente dinamico (psico-dinamico) è il clima nei luoghidella riabilitazione, laddove il passaggio dalla spontanei-tà alla consapevolezza sia dell’operatore che del pazien-te, qualifica come terapeutico, l’intervento.

Il DSM dell’ASL 11 dispone di 3 Centri Diurni, 2Comunità Terapeutiche, 5 Residenze Assistite e 6Appartamenti (Gruppo appartamento). Luoghi di vita edi cura, permettono di attivare la vita psichica delpaziente. La quotidianità condivisa tra pazienti ed ope-ratori fa sì che le azioni psichiatriche riabilitative parte-cipate con il paziente, siano espressione di interventiche, nell’agire sul mondo esterno, mirano a raggiungereil mondo interno del paziente. Le azioni dunque pensa-no e parlano come dice Racamier, e corrispondono a

È il risultato di una modalità organizzativa che assicura tempesti-vamente al cittadino, in forme coordinate, integrate e program-mate, l’accesso informato e la fruizione appropriata e condivisadei servizi territoriali di zona e dei servizi ospedalieri in rete.

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pensieri e parole strettamente connesse con le strategiepsicoterapeutiche. Pertanto, la complessità dell’inter-vento riguardante l’ambito riabilitativo altro non è chela cura nella sua accezione più ricca e forse l’unica psico-terapia possibile in situazioni gravi. In riferimento allapsicoterapia in senso stretto, osserviamo che vi è stato unflusso ingravescente di richieste verso le quali, conside-rando la contrazione delle risorse o quanto meno il nonincremento delle stesse, è stato necessario contrapporreun metodo di selezione e di valutazione dei percorsi. UnGruppo Stabile di Lavoro per l’appropriatezza delle psico-terapie (uno dei quattro GSL del DSM) ha messo apunto un protocollo per questo settore. (vedi tabellan°1) Se la psicoterapia individuale psicodinamica e lapsicoterapia familiare sono una prassi consolidata, losviluppo di questa attività, riguarda soprattutto le psi-coterapie di gruppo, le psicoterapie rivolte a pazienticon disturbi del comportamento alimentare ed i nuoviindirizzi psicoterapici in ambito cognitivista. Nel corsodegli anni vi è stato lo sviluppo di alcuni settori relati-vamente nuovi quali la terapia di gruppo ambulatorialee quella fatta da Psichiatri e Psicologi presso i luoghidella riabilitazione, centri diurni e comunità terapeuti-che. L’incremento delle terapie di gruppo nelle sediambulatoriali, attività svolta esclusivamente dagliPsicologi, presenta anche il vantaggio di condensare inun unico intervento più richieste. Nel 2005 il 58% del-l’attività complessiva di Psicologi, Psichiatri, NeuroPsichiatri Infantili si è svolta in ambito psicoterapico.Consideriamo la famiglia uno dei luoghi della cura,pertanto collocarla nel percorso terapeutico è oggi indi-spensabile, in virtù del fatto che la famiglia medesimaattraverso la psicoeducazione, ispirata al metodo diFalloon ed attraverso interventi più specificamente psi-coterapeutici sia psicodinamici che sistemici, torna arecuperare il ruolo di importante risorsa per il pazientee per il DSM. (nella nostra esperienza ci sentiamo diconsiderare fondamentale il contributo del gruppo dei

familiari della associazione “camminare insieme”unita-mente a quello del gruppo di auto mutuo aiuto.Entrambe le associazioni sono attive da circa diecianni). Il servizio di Mediazione Familiare, dedicato allefamiglie in crisi o a coppie in corso di separazione,campo quasi esclusivo della U. O. di Psicologia e delServizio Assistenza Sociale, ha valenze protettive e pre-ventive verso il disagio familiare.

I CENTRI DIURNI, luoghi ai quali si accede su pro-posta dell’equipe curante, hanno una quotidianità scan-dita da attività strutturate soggette a verifica e rinnova-mento e da un insieme di azioni quotidiane con fun-zione concreta, quanto metaforica, che orientano versoil recupero del senso dello spazio e del tempo e verso ilraggiungimento di forme di autonomia possibile.Lontano dal generico intrattenimento, il CentroDiurno, fonda la sua esistenza su principi di tolleranza,ma anche di valorizzazione e tesaurizzazione delle abili-tà riemerse. Le attività riabilitative sono andate incon-tro ad una evoluzione, da forme di attività troppointerne al Centro a forme di attività rivolte anche all’e-sterno e coinvolgenti la società circostante, nell’ inten-to, da una parte, di sviluppare e facilitare l’inserimentosociale, dall’altra di sensibilizzare l’opinione pubblicarispetto alla problematica della salute mentale. Pertantonumerose iniziative ci vedono impegnati in azioni con-giunte con L’Educazione Sanitaria della ASL11. Datempo, le tre compagnie teatrali dei tre Centri Diurni,offrono ai giovani studenti e non solo, con il loro teatroitinerante, uno spettacolo che si rinnova di anno inanno, ma che è anche una buona occasione di riflessio-ne sulla fragilità e sul disagio psichico. L’esperienza siintegra con l’attività di Educazione sanitaria permanentedell’ASL 11, integrazione che ha trovato il suo apice,nella pubblicazione di un fumetto esplicativo sul dis-agio mentale. (Anna e Piero).

Lo schema sottostante descrive in sintesi il percorsoattraverso il quale ci si avvicina al recupero sociale.

Patologia Psicoterapia Farmacoterapia Tratt.combin.Depres. acuta guarig.totale.ridot. adeguato a lungo è utilizzato

cronica guarig.totale.ridot. adeguato a lungo è utilizzatograve guarig.totale.ridot. adeguato a lungo è utilizzato

guarig.totale.ridot.Dist. Bipo > compliance farmac 80% ma non stabile adeguato

< ricoveriDist. d’ansia I fob. con psicoterapie risult. a breve termine Utile ma non > risult.

DAG non psicodinamiche o psic. o farmdesensibilizzazione comportamentale

DAPDist. d’ansia II DOC con terapie non psiodinamiche si è utilizzatoDist. d’ansia III DPS con terapie psicodinamiche si non utile

tecniche cognitiveGABB. PSIC. ESPLORATIVA

Tab. 1 - Gruppo Stabile di Lavoro (GSL) del DSM. Linee guida appropriatezza, approccio terapeutico (Gabbard Fonagy)

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LE DUE COMUNITÀ TERAPEUTICHE (C.T.)Una per zona e con 9 posti cadauna, si ispirano al

modello anglosassone (T. MAIN; M. Jones; W. Bionetc.) ospitano pazienti che se pur gravi, hanno possibi-lità di modificare il loro modo di esistere attraverso stra-tegie terapeutiche che mirano al cambiamento nelrispetto sia della fragilità, che dell’assetto difensivo. Ilclima non ipercritico verso la sintomatologia positiva,stimolante con misura, la sintomatologia negativa,contribuisce al riconoscimento dei limiti propri e dellarealtà medesima, laddove la non sopraffazione per ruoloop/paziente, favorisce una condizione democratica eduna corresponsabilizzazione. Quotidianamente incon-triamo i meccanismi psichici che sottendono la sinto-matologia e che attaccano la vita psichica riducendola,con la coartazione degli affetti, con l’impoverimentodelle fantasie e la dissoluzione dell’identità. L’alta inten-sità di trattamento, posto al riparo da due opposte con-dizioni: l’alta emotività espressa e la scarsa stimolazionedell’ambiente familiare, permette anche a quest’ultimo,di poter maturare cambiamenti profondi dal punto divista comunicativo. La vita quotidiana rinegoziata econdivisa sia con gli operatori(tutti dipendenti ASL)che con gli altri pazienti, costituisce attraverso la grup-palità e la multidisciplinareità, l’essenza della terapiamedesima. Intermedie tra ospedale e territorio, maanche fra gli spazi gelidi delle istituzioni del passato e glispazi ricchi della vita, le C. T. operano una rivitalizza-zione attraverso comprensione e valorizzazione (dellospazio, del tempo e delle relazioni umane). I dati ripor-tati attestano l’utilizzo temporaneo della struttura perogni paziente.

LE RESIDENZE ASSISTITEA media intensità di trattamento, 5 per un totale di 15

posti, sono deputate ad ospitare transitoriamente, pazientiche hanno raggiunto una certa autonomia. La gestione sifonda sulla collaborazione tra operatori del DSM, SAS edegli assistenti domiciliari di una cooperativa.

I GRUPPI APPARTAMENTOResidenze a bassa intensità di trattamento, deputa-

te ad ospitare transitoriamente, pazienti che hanno rag-giunto lo stadio successivo di autonomia, sono 6 perun totale di 9 posti. Le residenze si completano conquelle che, pur non essendo residenze del dipartimento,rappresentano una originale evoluzione del percorsoresidenziale. Il riferimento è ai 7 (6 nella Zona empole-se) appartamenti di solidarietà che da alcuni anni costi-tuiscono il nostro orgoglio. Gli appartamenti solidaligeneralmente di proprietà di uno degli abitanti, posso-no, se ben sostenuti, configurarsi per i 16 paz. che viabitano, come soluzioni abitative permanenti. Sappia-mo che non è scontato che la cronicità sia connaturatacon la patologia mentale ma che il necessario lungo econtinuativo trattamento, può portare alla cronicità sela relazione terapeutica diventa statica e scarsamenteimprontata alla ricerca del cambiamento sia pure nelrispetto della vulnerabilità. Un percorso terapeuticocontinuamente verificato attraverso l’analisi della rela-zione, mette al riparo dalla cronicizzazione. Osserviamol’andamento clinico dei nostri pazienti più giovani che,per quanto affetti da disturbo psichico grave, attraversoun intervento precoce, complesso ed articolato, siavviano verso un adattamento sociale soddisfacente. Ilrispetto della vulnerabilità comporta che l’interventoterapeutico venga forgiato come se fosse la chiave per laserratura(kay and look). È passibile di cronicità tuttociò che è trascurato per carenze di risorse, per la man-canza di riflessioni aggiornate sui percorsi fatti, suglistrumenti terapeutici; diventa cronico, tutto ciò chenon è più pensato allorquando il progetto terapeutico silimita ad azioni al massimo contenitive e routinariesenza che il pensiero di chi cura si rinnovi con i cam-biamenti del paziente medesimo. Quando, come diceLuc Ciompi, anche i curanti non trovano l’equilibriotra il rispetto dei limiti del paziente ed il riconoscimen-to delle sue potenzialità, la flessibilità si arena nelle pie-ghe del pregiudizio dell’operatore medesimo. Per quan-to riguarda l’inserimento al lavoro, ambito ricco e noncompletamente esplorato che spazia dall’ inserimentoterapeutico-lavorativo al lavoro vero e proprio, possibil-mente regolato dalla legge 68, lo consideriamo unatappa in qualche modo conclusiva del percorso riabili-tativo anche se è opportuno mettere in evidenza quan-to ingannevole possa essere il pensare di trasformare i

C.T. Empoli anno ammessi dimessi2004 1 1 2005 5* 4 (*con il trasferimento nuova sede da 8 a 9 posti)

C.T. Valdarno2004 6 6 2005 3 3

C.T. Empoli dieci anni di attivitàPazienti 38 di cui 21 uomini e 17 donne di età 18/45 29 dimessi di cui 24 con permanenza al max di tre anni 9 ammessicelibi/nubili 30coniugati 2coniugati/separati 6

Inserimenti lavorativi: 8lavoro effettivo 6 preformazione 2

Diagnosi:schizofrenici 29dist. borderline 4 disturbo post-autistico 3disturbo schizoaffettivo 2

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nostri utenti come dei forzati del lavoro e dell’inseri-mento sociale a tutti i costi. Un Gruppo Stabile diLavoro (80 inserimenti socioterapeutici, 15 assunzionilegge 68) del dipartimento coordina il settore lavoro edispone della collaborazione di una Cooperativa di tipoB, che istituitasi nel 2000 ha n°4 dipendenti abili, n°6dipendenti disabili, n°13 inserimenti socio-terapeutici.

L’SPDC è uno snodo importante della SaluteMentale Adulti delle due zone ed in conformità con ilmodello toscano, è parte integrante del Servizio territo-riale;l'équipe, il gruppo di lavoro sono i medesimi, nonvi è soluzione di continuità rispetto alla presa in caricoed al progetto terapeutico, di cui il ricovero in SPDCcostituisce una tappa. Il SPDC non è soltanto il luogodell'acuzie, del Trattamento Sanitario Obbligatorio,dell'intervento sulle urgenze psicopatologiche: la suafunzione è anche quella della definizione e/o ridefini-zione delle modalità di intervento, della progettazione edell'avvio dei primi passi di complessi programmi tera-peutici sui singoli casi. Sovente l’SPDC si è rivelatoluogo di passaggio necessario per riesaminare il proget-to di taluni casi particolarmente complessi, permetten-do il riesame di condizioni non evolutive e rimettendocosì in moto il processo terapeutico. Riformulare il pro-getto terapeutico è lo spirito che sottende taluni, pochi,lunghi ricoveri in SPDC: i lunghi tempi sono necessa-ri, allora, sia per permettere ai nuovi farmaci di dispie-gare al meglio la loro efficacia terapeutica che per rimo-dulare l'intervento sulle famiglie dei pazienti (anche infunzione di un loro invio a gruppi di terapia o di impe-gno in attività, cooperative di sostegno e riabilitazioneper giovani psicotici) che, infine, per creare le condizio-ni utili a percorrere nuove strade riabilitative (il CentroDiurno, la Struttura intermedia). Un fenomeno cui sipresta particolare attenzione è quello dei pazienti cosid-detti revolving-door: l'obbiettivo, in tali situazioni, èquello di comprendere l'origine del fenomeno ed inter-venire sulle cause con azioni specifiche al fine di rimuo-verle. Per quanto riguarda la degenza ospedaliera, l’ap-partenenza ai Servizi Territoriali non ci esclude dalDipartimento Ospedaliero, sia per la costante attività diconsulenza presso gli altri reparti ospedalieri e nellospazio di Emergenza -Urgenza, sia per quanto riguardala collocazione del SPDC (12 posti letto + un posto diday hospital) presso l’Ospedale S. Giuseppe di Empoli.Negli anni osserviamo un andamento costante dei rico-veri, sia per quanto riguarda il numero assoluto che perquanto riguarda i parametri che regolano la degenza.Anche il fenomeno comunemente definito come“fughe”, malgrado la vicinanza equidistante con le treCliniche Psichiatriche Universitarie(negli anni è stataintrapresa una collaborazione per la ricerca)appare limi-tato a pochi casi, anche per merito della cultura della

continuità terapeutica, patrimonio irrinunciabile deiDDSSMM della Regione Toscana ed elemento fon-dante del modello toscano. Descriviamo come fenome-no eccezionale la permanenza impropria di un pazientepresso il reparto ospedaliero che resta a disposizionedell’ utenza appunto per l’eventuale acuzie ovvero per laridefinizione del progetto terapeutico e non per la rispo-sta ad esigenze di tipo sociale talora connesse con la psi-copatologia. Il DSM ha da anni un consolidato rappor-to con i presidi ospedalieri della ASL11, attraverso la psi-chiatria di consultazione e la consulenza psicologicapresso i punti nascita ed i reparti di oncologia, alloscopo di favorire oltre che all’utente anche all’operatoreil sostegno psicologico necessario.

Dati SPDCAnno Ricoveri di cui TSO2004 362 242005 357 26

Per quanto riguarda i D. C. A. il dipartimento hastrutturato un’attività specifica per questo tipo di uten-ti, cordinata da un Gruppo Stabile di Lavoro(adulti/infanzia) per i DCA (da 1996 ad oggi unita-mente all’appofondimento della formazione degli ope-ratori, sono state attivate risorse, fra queste un centrodiurno, allo scopo di favorire una presa in carico piùcomplessa non esclusaivamente ambulatoriale, congruppi psicoeducazionali, gruppi psicoterapeutici, edu-cazione alimentare etc. Allo stato attuale sono 50 gliutenti adulti in carico al gruppo dedicato per i DCA. IlGruppo Stabile di Lavoro Adolescenza, ha prodotto unprtocollo che regola la fase di passaggio del giovaneutente dal gruppo salute mentale infanzie al grupposalute mentale adulti. Alle considerazioni fatte mi sem-bra importante aggiungere qualche elemento descritti-vo dell’esperienza di Accreditamento tra Pari, fatta dallaSalute Mentale Adulti di entrambe le Zone.L’esperienza che ha impegnato i due gruppi di lavoroper quasi tutto l’anno (2001) rientra nello spettro diazioni di V. R. Q. e conseguentemente ha caratteristichespecifiche di autoregolazione del gruppo di lavoromedesimo rispetto a parametri di qualità da manteneree da raggiungere. Il punteggio alto che il gruppo haattribuito alla propria organizzazione secondo i para-metri individuati nel manuale, ha avuto specifica corri-spondenza con la valutazione fatta dai visitatori delGruppo Nazionale.

Le esperienze di verifica e di auto controllo si articola-no su vari settori:o monitoraggio suicidi-tentativi di suicidioo monitoraggio revolving door in SPDCo monitoraggio presa in carico(dropout paz. ambulatoriali)o report incidenza eventi aggressivi verbali e fisici in SPDCo report incidenza cadute in SPDC

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o sondaggio soddisfazione utenti S. P. D. C. o sondaggio soddisfazione utenti C. T: o sondaggio soddisfazione utenti Rsidenze o sondaggio soddisfazione utenti Centri Diurni

FormazioneUn programma dipartimentale di formazione per-

manente e di supervisione offre ad ogni figura professio-nale il dovuto sostegno all’attività.

Il gruppo Salute Mentale Infanzia e Adolescenza, apartire dal 2004, si è impegnato nel riorganizzare peralcuni settori specifici come l’autismo le strutture dirisposta con modalità di presa in carico che tenganoconto delle caratteristiche peculiari della tipologiapatologica presentata, (disfunzionamento di base),della complessità implicita nel disturbo, della dimen-sione evolutiva, dei fattori psicosociali.

Il tasso di prevalenza dei disturbi dello spettroautistico nel nostro territorio, calcolato considerandoi bambini residenti, è di 14, 9/10000

Nel dicembre 2003 è stato elaborato un progettotriennale che prevedeva interventi di formazione e lacostruzione di un percorso assistenziale chiaro e defi-nito in termini di spazi, personale e organizzazionedel lavoro in rete, che garantisse al bambino e alla suafamiglia una presa in carico globale, con interventi atutto spessore, mirati e aggiornati sulla base dei piùrecenti dati della letteratura, modellati sulle realinecessità dei soggetti, articolati per fasce di età e tipo-logia delle strategie di apprendimento possibili, unapproccio integrato e integrativo al sistema bambi-no sofferente. Il progetto terapeutico riabilitativo pre-vede pertanto l'elaborazione di un progetto clinicomultidisciplinare, che prende in considerazione i dis-funzionamenti, ma anche i problemi sociali, comu-nicativi ed emotivi, i sintomi comportamentali, inun’ottica olistica e non settorializzata, orientata allapresa in carico dei molteplici aspetti del bambinoreale. Obiettivo della riabilitazione diventa la riatti-vazione delle funzioni che sono malorientate, il tuttoin un contesto interattivo e rispettoso della dimen-sione relazionale e emozionale.

I modelli che fanno riferimento a tali approcci,sono il “Denver Model at the University of Colora-do”, l’“Heath Sciences Center DevelopmentalIntervention Model at the Gorge WaschingtonUniversity School of Medicine” (Greenspan et al.1999), e la “Thérapie d’Echange et de Développmentde l’Université Francois Rabelais, Chu de Tours”(Lelord et al 1978; Barthelèmy et al 1995).

La presa in carico si realizza all'interno di questocontesto teorico definito in letteratura “approccioevolutivo”. e prevede interventi di gruppo e interven-

ti individuali1. Interventi di gruppo :il trattamento di piccolo

gruppo, che si avvale anche dell’ambiente aperto(open space) specificatamente attrezzato, permette lacondivisione di spazi, attività e regole; mette i bambi-ni con le proprie frustrazioni e le proprie richieste aconfronto con la realtà e permette di attuare modali-tà di imitazione e di apprendimento, attraverso lamediazione e il sostegno emotivo degli operatori.

2. Interventi individuali ( floortime, TED )La tecnica riabilitativa di floor-time fa parte del

modello di intervento DIR, (Development,Individual’s differences, Relationships) programma diintervento specifico che viene elaborato dopo avervalutato attentamente il profilo sensoriale e motorio eil tipo di relazioni e interazioni che il bambino stabi-lisce con i partnersadulti. (Greespaned al. , 1998)

La terapia TED ( terapia di scambio e di svilup-po), favorisce lo sviluppo delle capacità funzionali delbambino, (funzioni psicofisiologiche) e viene realiz-zata in un ambiente ludico e positivo e in un clima diTranquillità, di Disponibilità e di Serenità (Barthlè-my, 2004). Dal secondo semestre 2007 è prevista l’at-tivazione di interventi cognitivo-comportamentaliper soggetti adolescenti e giovani adulti.

Obiettivo complessivo del progetto è quello difornire un percorso assistenziale definito, una presain carico precoce, che tenga conto della complessitàdel disturbo e della dimensione evolutiva. L’inter-vento viene misurato attraverso l’utilizzo di scale divalutazione standardizzate: ECAR-T (valutazione deicomportamenti autistici), C. A. R. S. (ChildhoodRating Scale) B. E. C. S. (batteria di valutazione dellosviluppo cognitivo e sociale), VINELAND (valuta-zione dell’adattamento e del comportamento sociale).

1 La redazione ha richiesto per questo numero un contributo ai tre respon-sabili di Area Vasta. Per la complessità dell’Area Centro, questo non è statopossibile, perciò i contributi riguardano due soli dipartimenti.

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L’attività istituzionale della Salute Mentale Adultiviene garantita da una rete di strutture organizzate

nei MOM SMA e coordinati dalle UFSMA. Il puntocentrale di erogazione del servizio, e nella maggioranzadei casi anche il punto di ingresso per l’utenza, è costi-tuito dal Centro di Salute Mentale, che rappresenta dinorma anche la sede del MOM in ogni distretto. NelCSM sono collocate le sedi ambulatoriali principali, edè costituita una “segreteria psichiatrica”, che ha il com-pito principale di garantire una prima interfaccia con ilcittadino, capace di accogliere la domanda, fornire unaprima decodifica, e assicurare da subito l’opportunapresa in carico dell’utente secondo il bisogno presenta-to. I percorsi terapeutico-riabilitativi disponibili com-prendono attività ambulatoriali e domiciliari, attivitàresidenziali e semiresidenziali, il ricovero in SPDC, nelcontesto di programmi terapeutici individualizzati.

Nonostante la speciale complessità del territorio edei bisogni espressi, sono mantenuti livelli alti di pre-stazioni e globalmente sono rispettati i livelli di ricove-ro previsti dai parametri regionali per i posti letto inSPDC. Anche il numero dei TSO prodotti è in mediaregionale. La definizione dopo un lungo lavoro di coin-volgimento delle amministrazioni locali, delle forze del-l’ordine, della magistratura, di una procedura per l’ese-cuzione dei TSO e degli ASO, formalmente condivisada tutti gli enti coinvolti, permette di assicurare l’esecu-zione dei TSO con il massimo rispetto dei diritti dell’u-tente e con le garanzie di tutela della salute, che unintervento coordinato e condiviso meglio assicura.L’esperienza dei rapporti con il mondo giudiziario hapermesso anche di sviluppare una convenzione conl’OPG che ha aiutato a ridurre sostanzialmente la pre-senza di nostri utenti nell’ospedale psichiatrico, ancheattraverso la costituzione di una struttura residenziale“intermedia” che, fornendo alternative all’internamen-to, ha favorito tutto il processo e continua a garantireun filtro essenziale; esperienza unica in Toscana essa èoggi a disposizione dell’area vasta per gli utenti dei ser-vizi con carichi giudiziari. Un notevole lavoro con iTribunali viene svolto dai servizi per i minori, che assi-curano risposte commisurate al crescente impegno

richiesto. Il punto sta diventando elemento di criticitàche richiederà la ridefinizione di rapporti più funziona-li con la magistratura. La rete residenziale è diffusa epermette una presa in carico sufficientemente rapidadel bisogno di residenzialità, anche se per ancora troppicasi è necessario il ricorso a strutture private. Grandesviluppo hanno le attività legate al lavoro, sia comemomento riabilitativo specifico all’interno di un per-corso di cura, sai come reinserimento in attività pro-duttive anche grazie ad un pluriennale lavoro di colla-borazione con la Provincia di un apposito gruppo dilavoro dipartimentale, che ha coordinato e dato coeren-za alle diverse modalità di intervento nel settore da partedelle numerose strutture dipartimentali interessate.Grazie a questo oggi possiamo contare su una consoli-data relazione di collaborazione con gli uffici per illavoro, su tutta la dimensione aziendale, che favoriscel’avvio al lavoro con un continuo sostegno all’utente.La tipologia dell’intervento è ovviamente legata alleproblematiche cliniche presentate. L’impegno maggioreè rappresentato dagli interventi multidisciplinari com-plessi sulle patologie più gravi, psicotiche; sono tuttaviasempre più frequenti e richiesti interventi a più brevetermine, per patologie a minore impegno; in questi casipiù frequentemente la risposta è monoprofessionale.Sempre più frequente la domanda di psicoterapia, cui i ser-vizi rispondono in maniera molto parziale per la esiguitàdelle risorse assegnabili a questo bisogno, nella scala dellepriorità dei servizi. Il DSM dispone di un numero ele-vato di strutture residenziali e semiresidenziali (almenoun DH per MOM SMA), costituite nelle varie zone enei distretti aziendali con distribuzione giustificata dallastoria dei singoli gruppi di lavoro, dalla loro “ideologiadi servizio”, più o meno aderente al modello toscano deipassati piani regionali, dalla autonomia delle vecchieUSL, distribuite sul territorio aziendale. Si sopperisce aquesta ineguale distribuzione della disponibilità di postiletto e delle risorse associate, attraverso un coordina-mento dipartimentale che garantisce un accesso equoalla risorsa “posto letto residenziale”, all’interno dell’a-zienda. Esiste anche una insufficienza complessiva di

Dipartimento salute mentale Asl 10Area Vasta Centro1

Andrea Caneschi*

* Responsabile D.S.M. - Asl 10

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posti residenziali in azienda, compensata da un ricorsoancora ampio al privato. La garanzia del filtro esercita-to dagli operatori del modulo operativo multidiscipli-nare in ogni fase dell’accesso (primo ingresso, acceso allestrutture, ricovero in SPDC), è un punto di forzarispetto all’appropriatezza dei percorsi attivati. In parti-colare, il primo accesso presso il CSM e la presentazio-ne al DEA del presidio ospedaliero, sollecitano unacapacità di decodifica della domanda e una conoscenzadei percorsi possibili, che non può che rimanere nellacompetenza dei nostri servizi. Da qui anche la oppor-tunità di non aderire allo sportello CUP, nonostante ilmaggior impegno che questo rappresenta dal lato delleincombenze amministrative. I moduli operativi effet-tuano una prima valutazione con modalità varie (filtroinfermieristico, accesso diretto alla prima visita ), poiviene effettuata la presa in carico con responsabilizza-zione di un operatore di riferimento (più spesso il medi-co o lo psicologo, soprattutto nei primi accessi), e si ela-bora un programma individuale. I casi più complessisono sottoposti a valutazione del gruppo e/o a supervi-sione esterna. Si effettuano inoltre valutazioni periodi-che da parte del gruppo degli operatori direttamentecoinvolti.

TRATTAMENTOSostegno psicoterapico, terapia farmacologica, inse-

rimenti in strutture semiresidenziali e residenziali, visitea domicilio per sostenere il paziente e la famiglia nelprocesso terapeutico, trattamenti psicoterapici struttu-rati e non, per singoli, per gruppi e per famiglie. La pre-senza di Centri Diurni in ogni MOM garantisce conbuona appropriatezza la risposta semiresidenziale, inte-grata nei piani elaborati dal gruppo curante stesso.Sarebbe utile una maggiore attenzione ai rapporti con leassociazioni dei familiari, per ricercare livelli di collabo-razione che, nel rispetto delle specificità tecniche deiservizi, consentano tuttavia una più pronta soddisfazio-ne delle esigenze di trasparenza e di partecipazione chele associazioni giustamente pongono.

ATTIVITÀ DI INTEGRAZIONE SOCIO SANITARIAL’assegnazione dell’assistente sociale al modulo ope-

rativo favorirebbe una maggiore integrazione degliinterventi complessi, lo sviluppo di stili di lavorocoerenti, la migliore adesione alla mission del servizio;in sostanza è la condizione per favorire risposte inter-professionali articolate, piuttosto che interventi giu-stapposti per specificità professionale e per “ideologia”di servizio.

ATTIVITÀ DI INTEGRAZIONE INTRA AZIENDALEÈ fortemente aumentato il lavoro integrato con i

SerT, tuttavia ulteriormente da sviluppare con procedu-re dipartimentali e processi formativi comuni, intornoai quali si sta lavorando. Affidato alla buona disponibi-lità dei professionisti il rapporto con i MMG, per leproblematiche che la categoria denuncia da tempo. Ècertamente un punto critico su cui sviluppare più atti-vità. Di buon rilievo in questo senso il lavoro di filtro airicoveri in Case di Cura, che è stato possibile attuarecon le convenzioni in atto. Migliorato il rapporto con leCure Primarie nei Gruppi Handicap; è in corso unacollaborazione interdipartimentale sul tema specificoper un ulteriore miglioramento dei percorsi per la presain carico. Si sta lavorando in sintonia con direzioneaziendale e SdS per superare la separazione delle com-petenze e dei “poteri” tra UF e MOM (“governo clini-co” contro “responsabilità clinica”), che determina avolte situazioni conflittuali o percorsi autoreferenziali,che contrastano con il compito aziendale di garanzia diequità nell’accesso e nella fruizione dei servizi.

UTILIZZO SERVIZI CONVENZIONATI ESTERNIStrutture convenzionate “chiavi in mano”, con dire-

zione sanitaria del DSM. È opportuno garantire la mas-sima appropriatezza della risposta, sia attraverso i per-corsi dell’accreditamento obbligatorio, sia con una pun-tale definizione delle modalità del rapporto con iMOM, così da garantire che gli aspetti di risparmioeconomico non vadano a scapito della efficacia dellarisposta.

SERVIZI PER L’INFANZIA ADOLESCENZALe attività si rivolgono alla fascia di età sotto i 18

anni. Sono previste collaborazioni a ponte, prima edopo i diciotto anni, con la Salute Mentale Adulti e conaltri servizi distrettuali. L’organizzazione dei servizi èdistrettuale, con i MOM SMIA, coordinati dallaUFSMIA. Le problematiche di competenza riguardanola garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza definitiper i due ambiti: salute mentale e handicap. A questi siaggiunge la funzione istituzionale della tutela minorile,assegnata alle Aziende Sanitarie Locali dalla normativadel 2000, per gli apporti degli specialisti sanitari. Perciascuna di queste aree esistono procedure (non in tuttii MOM SMIA, ma tali da essere generalizzabili, inquanto formate su modello comune) per l’accoglienzadella domanda, la valutazione, la presa in carico. Si sot-tolinea l’esistenza di rapporti costanti con altri servizidell’ASL, con notevole apporto di risorse a quest’ultimi(in particolare da parte degli psicologi, sia dei servizi pergli adulti che per l’infanzia e adolescenza), presso i qualii nostri specialisti prestano parte della loro attività(Centri di Consulenza Giovani, Centro Adozioni,Consultori Familiari). Per il sostegno al parto e per le

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patologie pre- e post partum. si è costituito un gruppodi lavoro interaziendale, coordinato dal DipartimentoMaterno Infantile, per la definizione di procedure peruna più efficace collaborazione. Una parte quantitativa-mente molto più modesta di attività è dedicata anchealle consulenze presso le Pediatrie ospedaliere, pressoMalattie Infettive (AIDS), presso le Unità di CurePalliative. Non esistono strutture aziendali con postiresidenziali e semiresidenziali per l’infanzia, fatta ecce-zione per un DH costituito con progetto finalizzatoregionale, che non è tuttavia ancora pienamente opera-tivo. Sta assumendo funzioni dedicate alla tarda adole-scenza il Centro Psichiatrico di Terapia Intensiva, costi-tuito con finanziamento regionale. Le équipes, purridottissime, hanno ormai strutturato una buona espe-rienza nel lavoro interprofessionale, consolidando vali-de relazioni e integrazioni sia all’interno del singologruppo di lavoro, sia con altre strutture, aziendali edextra aziendali, andando a costituire una parte significa-tiva della rete territoriale di risposta al bisogno specifico(riunioni periodiche di lavoro con i PLS, con la pedia-tria ospedaliera, con i servizi sociali comunali, con lescuole e con il Tribunale dei Minori).

I servizi sono cresciuti anche attraverso percorsi for-mativi e autoformativi, aziendali interzonali, di buonaqualità, che hanno permesso di consolidare le compe-tenze professionali dei singoli e dei gruppi e di svilup-pare relazioni di collaborazione intra e interzonale (que-st’ultima dimensione è ancora troppo trascurata), ancheper superare carenze di risorse specifiche locali per situa-zioni particolari. Tutto questo si costituisce in una retedi cui deve essere salvaguardata la fortissima compo-nente di professionalità, per garantire che l’integrazionecon le SdS produca una più alta integrazionesociale/sanitario, come deve essere, piuttosto che unadiluizione del sanitario in una risposta complessiva-mente orientata al “sociale”.

PUNTI DI DEBOLEZZAUn serio elemento di criticità è rappresentato dalla

mancanza di un punto dipartimentale per la rispostaall’emergenza urgenza nell’età infantile e adolescenziale.Continuano a verificarsi situazioni di minori che acce-dono al DEA dei Presidi Ospedalieri e non trovano lecompetenze necessarie alla risposta che sollecitano.Vengono di conseguenza affidati impropriamente aglipsichiatri, reperibili o di guardia presso gli SPDC,anche per la mancanza di utili riferimenti territorialiattivabili di notte o nei festivi. La soluzione dovrà esse-re garantita, in una dimensione almeno interaziendale,con il coinvolgimento delle Aziende ospedaliere e del-l’università, con cui peraltro esistono punti di collabo-razione, da strutturare anche sul tema specifico. Il pro-

blema, “modesto” per la numerosità della casistica, èaltamente drammatico per la tipologia dell’utenza inte-ressata e per le problematiche che propone.

RICHIESTE DI ACCESSOLe risorse di personale sono gravemente sottodi-

mensionate rispetto alle richieste in arrivo da Tribunale,famiglie, scuole, servizi sociali comunali. Questo deter-mina un inevitabile allungamento dei tempi di attesa eritardi nella presa in carico. È problematico assicurareall’interno della presa in carico strutturata di lungoperiodo, tutti i necessari interventi terapeutico-riabilita-tivi; è quasi del tutto assente l’offerta di psicoterapia peril bambino e l’adolescente, e gli interventi educativi avalenza sanitaria. Viene comunque garantita la presa incarico nelle situazioni di urgenza. La presa in carico del-l’handicap in particolare, è gravata dalla complessitàdella costruzione e gestione dei PEI, sia per la numero-sità degli interventi richiesti, che per la scarsa flessibilitàoperativa delle strutture scolastiche coinvolte. Ci sonostrumenti che permettono e sostengono un percorsoverso l’uscita e la conquista di livelli di autonomia, chevengono soddisfacentemente raggiunti in un certonumero di situazioni cliniche. Tuttavia grande partedelle situazioni, se in stato di cronicità o di handicap,rimane in carico ai servizi fino alla maggiore età edoltre. Deve essere ulteriormente migliorata e diffusa lacostituzione di procedure per la definizione di percorsicondivisi per le età di passaggio (s. m. infanzia/s. m.adulti, s. m. infanzia/ servizi distrettuali per l’handicap,s. m. infanzia/servizi sociali comunali).

1 La redazione ha richiesto per questo numero un contributo ai tre respon-sabili di Area Vasta. Per la complessità dell’Area Centro, questo non è statopossibile, perciò i contributi riguardano due soli dipartimenti.

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1. Il modello di salute toscano sotto il profilo orga-nizzativo si articola su tre livelli

� Zonale distrettuale� Aziendale Provinciale o Subprovinciale� Area vasta.A ciascun livello sono affidati diversi compiti, regola-

ti da specifici piani di intervento, atti a stabilire la valuta-zione della “relazione tra offerta e domanda”, a valorizza-re “il ruolo della comunità e delle sue rappresentanze isti-tuzionali” e a determinare lo “sviluppo di un sistema arete dei servizi teso a coniugare qualità ed economicitàdei processi assistenziali”1 all’interno dello stesso principiodella programmazione. Se si vuole applicare la logicadella rete, i tre livelli devono essere frequentati assidua-mente nella consapevolezza che essi rispondono a varieesigenze, che trovano radice profonda nell’organizzazionesociale ed istituzionale della nostra regione. Ad esempiosono stati profilati scenari di semplificazione dell’organiz-zazione ospedaliera, che facesse perno sulle sole aziendeuniversitarie, d’altro canto in molti paesi avanzati ci sonoospedali con analoghi bacini d’utenza (soprattutto neicontesti metropolitani del nord america). In parallelo conquesto processo si è ipotizzato una delocalizzazione peri-ferica dei servizi territoriali solo in ambito zonale, conuna forte integrazione socio-sanitaria attraverso l’espan-sione del modello in sperimentazione delle Società dellaSalute. È possibile in questa ipotesi semplificatoria losbocco dello scioglimento delle Aziende sanitarie conbacino d’utenza provinciale. Dimenticando per unmomento gli inevitabili problemi legislativi che si por-rebbero, dobbiamo pensare che per rispettare i criteri dieconomicità di scala, raccomandati dal programmatoreregionale, è ineludibile ridisegnare la zonizzazione regio-nale, cosa che cozza almeno in parte con l’idea di resti-tuire agli enti locali, in particolare comunali, un ruolodecisionale nel sistema sanitario regionale.

Processi semplificativi come quelli sommariamenteillustrati rischiano di sottoporre l’intero sistema ad unlivello di torsione che, lungi da produrre l’augurabilerazionalizzazione del sistema ed ottimizzazione dellerisorse, possono provocare inutili rotture, che possonoessere utili solo ad alcuni specifici centri di potere, talvol-

ta anche precisamente personalizzati. Governare il sistema complesso è necessario, se pren-

deranno corpo i progetti di organizzazione dei serviziospedalieri e territoriali per intensità di cure, così comeindicato dal legislatore regionale (LR n.40/05), progettiche inevitabilmente si configurano come percorsi di deo-spedalizzazione e di più solida continuità dei percorsiassistenziali ospedale-territorio.

In questo ambito la salute mentale, avendo storica-mente avviato il primo grande processo di deospedalizza-zione, quello del superamento dell’ospedale psichiatrico,ed avendo organizzato l’assistenza in quattro livelli(CSM, CD, SR, SPDC), con diversa intensità di cure –anche al proprio interno (ad es. nei percorsi residenziali)– mantiene una specifica esperienza di durata trentenna-le con la centralità della presa in carico individualizzata edella continuità terapeutica ospedale-territorio. Tale espe-rienza va valorizzata per quanto vi siano grandi problemiorganizzativi ancora aperti, come quelli evidenziati nel-l’intervento dell’Assessore Regionale, Enrico Rossi, alconvegno del Coordinamento delle Associazioni per lasalute mentale tenutosi a Firenze il 27 settembre 2006, inparticolare la necessità di colmare le lacune (in termini dirisorse e di personale) e di uniformare i livelli assistenzia-li in tutti gli ambiti della rete regionale dei servizi. Va inquesta direzione l’iniziativa dell’Assessorato regionale divarare una “Proposta di schema tipo regionale di Rego-lamento del Dipartimento di salute mentale” in cui ven-gono definiti compiti, modalità operative e strutturaorganizzativa, poteri e relazioni del dipartimento stessocon tutti e tre i livelli del sistema, all’interno delle Azien-de, con le Società della salute e con l’Area vasta.

Tale “Proposta”, omogeneamente all’impostazionedel Piano Sanitario, all’art. 13 propone: “Al fine di con-sentire l’esercizio del governo clinico ai diversi livelli delsistema nonché la crescita e la valorizzazione in rete deilivelli di offerta delle prestazioni e dei servizi per la salutementale, è istituito un coordinamento tecnico professio-nale del quale fanno parte i Coordinatori deiDipartimenti di Salute Mentale delle Aziende unità sani-tarie locali e delle Aziende Ospedaliere ed Universitarie

Salute mentale e area vasta sud estGiuseppe Corlito*

* Responsabile Area Vasta Sud Est Toscana

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presenti nell’area vasta.In particolare il coordinamento tecnico professionale

di area vasta svolge i seguenti compiti:� elabora proposte di sviluppo delle attività della

salute mentale che rispondano ai requisiti della program-mazione di area vasta;

� garantisce un coordinamento delle attività delleaziende sanitarie che preveda il pieno utilizzo delle pro-fessionalità presenti, al fine di assicurare ai cittadini per-corsi assistenziali integrati;

� propone alla Commissione regionale per il gover-no clinico della salute mentale apposite linee guida e cural’implementazione e la valutazione di quelle in vigore

� gestisce, anche in collaborazione con le AziendeOspedaliere e Universitarie presenti nell’area vasta, speci-fici progetti di area vasta in tema di formazione dellerisorse umane nonché progetti diretti alla sperimentazio-ne e innovazione nel campo dell’assistenza e dei relativipercorsi”.

2. Il Piano Sanitario Regionale vigente attribuisceall’Area Vasta compiti di programmazione, di concerta-zione e di coordinamento tecnico-professionale, princi-palmente nel campo dell’innovazione ad alto costo, del-l’avvio di attività non esistenti, della razionalizzazione,evitando la duplicazione di attività in eccesso, e delgoverno clinico attraverso l’implementazione delle lineeguida e il contrasto della “separazione tra attività ospeda-liere e territoriali”, il cui “coordinamento professionaledeve essere assicurato da professionalità miste ed integra-te ospedale-territorio”2. Tale coordinamento tecnico inte-raziendale è suggerito “anche in forma dipartimentale,per settori omogenei”.

Questi compiti sono stati precocemente chiarinell’Area Vasta Sud Est, forse in ragione di una maggioreomogeneità culturale dei servizi di salute mentale diArezzo e Grosseto (e in qualche misura di Siena) ed anchealla necessità di intervenire sulla difficoltà di superamen-to dell’Ospedale Psichiatrico di Siena, l’ultimo dellaRegione a concludersi, e di procedere alla riorganizzazio-ne dei servizi territoriali. Così fin dall’autunno del 2003i responsabili provinciali dei servizi di salute mentale delletre Aziende USL chiedevano l’apertura formale di untavolo di coordinamento per la salute mentale in analo-gia a quelli degli altri settori. Tale richiesta non trovavarisposta nelle Direzioni Generali di allora, ma nella sedu-ta del 12 gennaio 2006, su proposta dell’Ing. Scura,Direttore Generale dell’ASL 7, veniva approvata “la costi-tuzione di un Dipartimento Interaziendale di Area Vastadi Salute Mentale, con valenza tecnico-scientifica egestionale, individuando un coordinatore e coinvolgendotutte le professionalità dell’Area Vasta con la partecipa-zione dell’Università degli Studi di Siena” con “l’obbietti-vo primario di creare omogeneità di comportamenti

organizzativi e professionali sia all’interno dei vari presidiche sul territorio”3.

Il Dipartimento così costituito ha avuto successiva-mente la nomina del coordinatore e si è riunito regolar-mente dal settembre 2006, nonostante le difficoltà relati-ve agli avvicendamenti dell’ASL senese, il cui DirettoreSanitario è titolare della responsabilità del settore. I com-piti che il Dipartimento di Area Vasta si è dato sono esat-tamente quelli previsti dal Piano Sanitario, in primoluogo promuovere processi di omogeneizzazione deilivelli di assistenza, di innovazione, di formazione e pro-grammazione, compresa la necessità di dotarsi di unregolamento snello ed efficace.

3. Che tali compiti di programmazione e governosiano necessari ed ineludibili è attestato dall’esame deidati messi a disposizione dalla recente pubblicazione, acura dell’Ufficio “Politiche integrate per la promozione ela tutela della salute mentale”, La salute mentale inToscana. Indagine conoscitiva (Novembre 2005), per laquale siamo in debito in particolare con Galileo Guidi,Marzia Fratti, Mirta Gonnelli e Marco Priolo.Osservando la tabella dei dati riepilogativi dell’Area VastaSud Est, notiamo che per quanto riguarda i parametrirelativi alla dotazione organica, ai posti letto nelle strut-ture residenziali e a quelli in ospedale, essi sono uguali osuperiori agli standard e alla media regionale, ma la cosacambia se facciamo un’analisi più di dettaglio dei datiriguardanti il pattern domanda-offerta, che è esattamen-te quello che ci chiede di mettere sotto controllo la pro-grammazione regionale4.

Infatti nel 2003 la copertura della domanda (prevalen-za trattata) è pari all’1,83% della popolazione adulta dellaASL di Siena, al 2,34% di quella di Arezzo e al 2,87% diquella di Grosseto; mentre è pari al 5.48% della popola-zione minorile della ASL di Siena (anche se con rilevantioscillazioni nella serie storica), al 3.03 % di quella diArezzo e al 4.57% di quella di Grosseto. Se poi proviamocon i dati disponibili a calcolare l’indice di proiezione ter-ritoriale5, misura epidemiologica che ci rende ragionedella capacità del servizio territoriale di filtrare l’ospeda-lizzazione territoriale rapportando il numero delle perso-ne ricoverate con quelle assistite nell’anno, osserviamoandamenti del tutto difformi: 11.63 per Siena (347 rico-veri su 4037 assistiti adulti), 16.90 per Arezzo(382/6.458) e 19.88 per Grosseto (271/5.386).Difformità diverse abbiamo sul fenomeno del TSO, cheè un indice di efficienza ed efficacia del lavoro di filtro eprevenzione territoriale: la percentuale di TSO sul nume-ro dei ricoveri è dell’8,35% per Siena (29 valore assolu-to), 10,99% (42) per Arezzo e 5,10% (19) per Grosseto.Altrettante diversità abbiamo sul fenomeno della revol-ving door, cioè sulle persone che si ricoverano più volte inSPDC nello stesso anno, che misura analogamente la

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capacità del servizio di “tenere nella comunità” le perso-ne dimesse dall’ospedale: 32.56% a Siena, 20.15% adArezzo, 15.59% a Grosseto.

Ovviamente questi dati (gli unici disponibili) sono deltutto indicativi e purtroppo puntiformi (un solo anno con-siderato): andrebbero monitorati longitudinalmente nelcorso del tempo, cosa per cui non rimpiangeremo mai a suf-ficienza di non avere avviato per tempo un sistema informa-tivo regionale informatizzato per la salute mentale (la delibe-ra che lo istituisce risale solo al 2003). Oggi avremmo unostrumento di programmazione potente, che invece – e perfortuna – sta solo muovendo i primi passi. Anche questoriflette l’arretratezza di una cultura epidemiologica nelcampo della salute mentale, che rappresenta una falla nellacultura complessiva dei servizi di salute mentale toscani, fallail cui superamento questa rivista ha tra i propri obbiettivi.Comunque l’esempio ripropone con urgenza la necessità diomogeneizzare la rete dei servizi, organizzativamente e cul-turalmente. Non c’è solo nella area vasta Sud Est un proble-ma di reperimento di risorse, ma anche della loro allocazio-ne ed ottimizzazione. Per quanto l’indice della percentuale dispesa per la salute mentale (il famoso e discusso 4,5%) è diven-tato un’indicazione molto relativa, dato che con l’ultimoPiano Sanitario lo calcola sul 90% del Fondo Sanitario ordi-nario delle Aziende (cosa grave perché praticamente vuoldire che i servizi di salute mentale dell’infanzia non hannofinanziamenti certi se non a spese di quelli degli adulti), cipuò essere utile per una comparazione: esso nel 2003 è statoil 5,03% a Siena (pari ad una spesa pro capite per cittadinodi e 72,88); 4,30% ad Arezzo (e 60,86 pro capite); 4,70%a Grosseto (e 62,61 pro capite). Con i limiti detti sopra sipuò affermare che una maggior spesa non corrisponde aduna maggior efficienza ed efficacia.

Come ulteriore esempio della suddetta disomogeneità,che per altro è dell’intera regione, basti considerare che l’or-ganizzazione dei servizi di salute mentale nell’Area vastaSud Est raggiunge il massimo del ventaglio disponibile: laASL 8 ha un dipartimento organizzativo e budgetario; laASL 7 non ha costituito alcun dipartimento; la ASL 9 haun dipartimento di coordinamento tecnico-scientifico conun vecchio regolamento (1996).

4. Il Coordinamento del Dipartimento di SaluteMentale di Area Vasta Sud Est, fin dalla sua prima istitu-zione, si è dato i seguenti compiti finalizzati all’omogeniz-zazione dei percorsi assistenziali:

a. Sulla garanzia dei livelli essenziali di assistenza ènecessaria la valutazione epidemiologica dei bisogni e laparametrazione dei servizi stessi; l’unitarietà nel DSM degliinterventi sia per adulti che per l’infanzia;

b. Circa l’omogeneizzazione delle procedure e dei per-corsi (governo clinico) è necessario lo scambio di esperienzee momenti di discussione comune con protocolli omogenei;

c. Sui possibili progetti di innovazione occorre porreattenzione ai seguenti temi

� rapporto con i Medici di Medicina Generale;� disturbi alimentari psicogeni� interventi precoci sulle psicosi con attenzione al pro-

blema degli adolescenti� valutazione dei servizi� doppia diagnosid. La formazione di Area Vasta è stata ipotizzata come

dedicata ai progetti di cui sopra sia di tipo “istituzionale”nella istruzione curricolare sia “mirata” con iniziative speci-fiche con particolare impegno della Clinica Universitaria;

e. L’eventuale budget gestibile dal DSM di Area Vastaè ipotizzato sia finalizzato alla realizzazione dei singoli pro-getti con un meccanismo di cofinanziamento.

f. La programmazione di Area Vasta delle strutture ètema decisivo per evitare la duplicazione di strutture (inparticolare quelle residenziali) particolarmente costose:l’offerta dovrebbe essere diversificata e formulata in basealle esigenze del territorio.

Aziende Popolazione Operatori Posti letto in Posti letto di Posti letto in SPDC TotaleAsl pesata Strutture Residenziali degenza ordinaria posti

in strutt. pubbliche lettoe private convenz.

2003 2004 2003 2004 2004 2004 2004Siena 255.522 207 209 82 80 Azienda Ospdaliera 19 posti 17

Universitaria Senese lettoArezzo 334.602 257 254 101 101 19Grosseto 221.391 154 154 88 88 14Totale 811.515 618 617 271 269 19 50 69Percentuali 811.515 1,14 1,14 3,34 3,31 0,39 1,03 1,42per AreaVasta6

1 Piano Sanitario Regionale 2005-2007, p. 1022 Piano Sanitario Regionale 2005-2007, p. 1043 Verbale riunione di Area Vasta Sud-Est del 12.01.06 (Tommasini, Scura,Calamai, Calabretta)4 Mentre la tabella è ripresa dalla pubblicazione La salute mentale inToscana, l’elaborazione dei dati ricavati dalla stessa indagine è stata fattadall’autore5 M. Tansella, D. De Salvia, “Metodi e definizioni per uno studio epide-miologico comparativo tra registri”, Epidemiologia e psichiatria sociale, Vol.1, n. 1, 1992, pp. 29-436 Parametri regionali: operatori 1/1.500 ab; strutture residenziali 1/10.000ab; pl spdc/popolazione pesata 1/16.666

AREA VASTA SUD EST

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In un quartiere di Firenze opera, dal 1997, un'UnitàOperativa Sperimentale di Psichiatria a direzione

universitaria, parte integrante del Dipartimento diSalute Mentale.

La Convenzione fra Università e Azienda Sanita-ria viene stipulata ai sensi del protocollo di intesaUniversità regione Toscana per le attività assistenzialiin ambito territoriale:1) per consentire “agli studenti e agli specializzandi

di poter svolgere le attività istituzionali didattichee scientifiche, avendo come riferimento l’interocomplesso dei presidi e delle attività territoriali eospedaliere”, ed inoltre perché

2) “l’Azienda è interessata ad un costante rapporto econfronto con il mondo scientifico e della ricerca,di cui l’Università è il più significativo esponente,ciò anche allo scopo di assicurare le condizioniper una situazione di costante aggiornamento,studio e formazione del proprio personale medi-co, tecnico e paramedico” (Commi 2 e3 dellaConvenzione fra L’Università degli Studi diFirenze e l’Azienda USL 10 di Firenze,01.07.1997, Rep. 1574) Gli assunti alla base della Convenzione esprimo-

no un disegno istituzionale e un progetto di politicaculturale importante che nei dieci anni trascorsi èstato declinato in maniera coerente con ricadutesignificative nonostante l’investimento minimale dirisorse (costituite in pratica da un docente universita-rio alla direzione della unità operativa).

Approssimativamente 60 – 70 specializzandi(circa cinquanta in psichiatria e quindici in psicologiaclinica) e 15- 20 laureandi (in Medicina, in Psicolo-gia e in Scienze della Formazione), hanno completa-to l’iter formativo professionale svolgendo un perio-do cospicuo di tirocinio presso l’U.O. di Psichiatriaterritoriale, cioè all’interno della rete dei servizi delDipartimento di Salute Mentale.

Il bacino di utenza in questione è il quartiere 3(circa 43.000 abitanti) nella zona sud di Firenze,molto vario come collocazione urbanistica e assettosociale; la dotazione strutturale a disposizione del

gruppo di lavoro multidisciplinare rispecchia la con-figurazione delle risorse previste per il servizi territo-riali della salute mentale: Centro di Salute Mentale,Centro Diurno, 3 posti letto presso il ServizioPsichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale di S.M.Nuova, una residenza assistita a gestione diretta, unacooperativa di lavoro tipo B da supervisionare. In più,da tre anni è attivo un Centro di Terapia Intensiva(CTI), struttura residenziale per interventi in situa-zioni di crisi in alternativa alla ospedalizzazione, pro-getto finalizzato con finanziamento regionale: si stasempre di più organizzando come centro di primaaccoglienza per episodi di scompenso psicotico in etàadolescenziale.

La prevalenza annua dei pazienti in trattamento èintorno al 2-2,5% (7-800 pazienti), 30-40 per anno iricoveri in SPDC, circa 30 per anno i ricoveri nelCentro di Terapia Intensiva (provenienti da tutto ilDipartimento), circa 40 i pazienti che a vario titolofruiscono delle attività promosse dal Centro Diurno.La filiera riabilitativa in ambito lavorativo è piuttostosviluppata (inserimenti socio-terapeutici, cooperativatipo B, avvio al lavoro in applicazione della legge68/’99) e sviluppati sono anche i progetti di inter-vento domiciliare. Estremamente ridotti gli inseri-menti in strutture residenziali a lungo termine ecomunque nessun nuovo inserimento da circa quat-tro anni; attualmente gli interventi sono orientati asviluppare il “case management” a livello di comuni-tà e al domicilio del paziente per sostenere la “tenuta”del paziente nel proprio contesto sociale. Si stannoorganizzando esperienze di convivenza solidale inalloggi di proprietà di pazienti rimasti soli o che abi-tano da soli. Il progetto finalizzato del Centro diTerapia Intensiva prevede la possibilità di periodianche relativamente prolungati (ad esempio un anno)di residenza autonoma in un piccolo appartamentoubicato nelle vicinanze del Centro.

L’ambito di attività di cui gli specializzandi in for-mazione fanno esperienza rappresenta dunque uno

L’attività di formazione degli specializzandi di Psichiatria e Psicologia Clinica presso

l’Unità Operativa Sperimentale di PsichiatriaTerritoriale a Direzione Universitaria

Maurizio Ferrara*

* Professore di Psichiatria, Università degli Studi di Firenze

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spaccato della psichiatria territoriale organizzatasecondo l’assetto previsto dal Dipartimento di SaluteMentale della cui rete di servizi l’U.O. universitariaperaltro è parte integrante

LE TEMATICHE DELLA RICERCAGli ambiti di ricerca sviluppati dalla Unità

Operativa sperimentale riguardano principalmentel’attività, l’organizzazione e le funzioni curanti deiservizi dipartimentali di salute mentale: il disagio psi-chico nella medicina di base e l’insieme dei rapporticon la psichiatria, la funzione e le caratteristiche delricovero psichiatrico, aspetti della qualità dei servizipsichiatrici (ma soprattutto sanitari di base) attraver-so un indicatore robusto come la mortalità, la resi-denzialità come aspetto problematico nel processodella riabilitazione, la valutazione delle caratteristichedell’alleanza terapeutica nella presa in carico deipazienti ambulatoriali, l’esordio psicotico e i modialternativi di intervento, la valutazione di esito alungo termine in pazienti con patologia schizofrenicaad esordio acuto, la valutazione neuropsicologica inpazienti con sintomatologia allucinatoria, le diversecaratteristiche dell'intervento integrato psicoalgologi-co nell'ambito del dolore cronico non oncologico.

LA SCUOLA DEL TERRITORIOQuale contributo può dare alla formazione di uno

specializzando una psichiatria universitaria cheopera nel territorio?

Intanto il fatto che il campo di osservazione sia lacomunità trasforma l’esperienza clinica. Come ha evi-denziato Petrella, lo sguardo clinico della cultura isti-tuzionale riduce l’oggetto dell’osservazione in modipolari di conoscenza: la linea di demarcazione framalattia e sanità passa fra l’interno negativo (il dentrodifettoso dell’uomo malato) e l’esterno positivo (l’or-dine i valori e le norme del mondo sociale). La cultu-ra che emerge dalle esperienze di psichiatria territo-riale comporta una relativizzazione dei parametrimutuati dalla medicina perché nei settings territoria-li di intervento quasi sempre appaiono indistinti iconfini fra normale e patologico, fra sintomo di indi-viduo e sintomo di sistema e ugualmente fra risorsaindividuale e risorsa di contesto.

Lo specializzando si confronta dunque con aspet-ti di complessità che implicano modi di conoscenzache siano davvero in grado di contenere in manierasostanziale il disagio psichico nel modello della vul-nerabilità bio-psico-sociale.

Ciò significa affrontare l’incertezza che derivadalla contaminazione sul piano delle interconnessioniteoriche ma soprattutto nella operatività clinica. La

complessità teorica non riguarda soltanto il fatto didover tenere conto di punti di riferimento derivati daambiti assai diversi (biologia/medicina, ambito dellediscipline “psi-“, scienze sociali ..) quanto piuttosto ilfatto che i tanti reciproci rimandi sono conflittuali,ciascuna disciplina compete per una lettura egemoni-ca (e drasticamente riduttiva ) della realtà osservata.Di fatto le “regole” di una conoscenza integrata dellacomplessità del disagio psichico nel suo declinarsi nelmondo reale non sono date a priori, si costituisconoin corso d’opera via via che si sviluppa il lavoro delgruppo multidisciplinare. Le “regole” si costituisconointorno al singolo caso, non sono “universali” (mancauna teoria accettabile dei modi di contaminazionedisciplinare), nascono dalla interazione fra persone,fra ruoli oltre che fra prospettive teoriche diverse.

Se lo specializzando nel corso del suo tirociniodiventa un membro a tutti gli effetti del gruppo mul-tidisciplinare e partecipa attivamente a questo proces-so competitivo di costruzione di conoscenza, fa unaesperienza formativa importante, nel senso che è sog-getto attivo nel percorso di lettura della realtà - esenza le reti precostituite (e rassicuranti) di una teoriaindiscutibile e di una istituzione scolastica da cuiapprendere (e dipendere) .

Nel corso del suo tirocinio nel territorio che puòdurare anche due anni, lo specializzando prende incura 20-30 pazienti, nuovi casi in gran parte maanche pazienti già conosciuti dal servizio, spesso lun-goassistiti.

L’attività dello specializzando si svolge con lasupervisione di un medico psichiatra strutturato masi assume la responsabilità dell’intervento; interlocu-tore del paziente, dei familiari, degli operatori colle-ghi; entra nel meccanismo relazionale che ha a chevedere con la presa in carico e con la continuità tera-peutica. Meccanismo delicato che si dipana nell’am-bivalenza , interna, del curante (in questo caso dellospecializzando) ed esterna (il paziente è del curante/ilpaziente è del servizio).

Lo specializzando è confrontato con l’eserciziodella responsabilità: prendersi cura, mantenere l’inve-stimento terapeutico, digerire le difficoltà e le frustra-zioni, lavorare in maniera collaborativa e apprendereda altri di diversa opinione, invece di lasciare andare,di delegare, dipende solo da se stesso (lo specializzan-do sa che se abbandona l’impegno assunto subentraun medico del servizio).

IL TEMPO DELLA RIFLESSIONE COME COMPITO DIDATTICO

Vocazione universitaria di una unità operativa dipsichiatria territoriale deve essere lo sforzo di tenere

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insieme l’intreccio fra pratica clinica, didattica, for-mazione e ricerca senza perdere contatto con la com-plessità di cui stiamo parlando, la complessità dei dis-turbi mentali, soprattutto quelli gravi, che si svolgo-no in vicissitudini sociali quotidiane, per tempi lun-ghi, talvolta quanto una vita. Intreccio difficile datenere insieme perché il pendolo - dell’egemonia, cul-turale e pratica - oscilla fortemente, senza trovareequilibrio, fra scienze mediche (della natura, dellacomunicazione asimmetrica e unidirezionale) e scien-ze umane (della storia, della comunicazione circola-re), fra osservazione distanziante e osservazione parte-cipe, fra riduzione metodologica specialistica e conta-minazione pluridisciplinare..

Questa la dialettica in ambito teorico; nella prati-ca pesano le mille pressioni dell’urgenza e dei pesidella sofferenza, delle inefficienze organizzative eburocratiche e del carico materiale ed emotivo dellavoro quotidiano.

Lo scollamento fra pratica e teoria è un problemareale cui né le istituzioni della cura né le istituzionidella didattica offrono rimedi stabili ed efficaci.

Per ovviare a questo è necessario un tempo dilavoro (da pensare come risorsa strutturale) specifica-mente dedicato alla riflessione.

Da un certo punto di vista l’attività didatticaall’interno della Unità Operativa può offrire unaopportunità per una formazione che integri teoria eprassi, proprio perché l’intreccio delle variabili di cuisi deve tener conto nel lavoro territoriale, il “meltingpot” teorico e clinico obbliga quotidianamente acostruire con lo specializzando una cifra conoscitiva –una teoria “locale”, legata al caso singolo- che con-senta un progetto terapeutico individualizzato anchese complesso. Il non avere a disposizione risposte pre-definite, possibili solo in ambiti che selezionino l’in-terscambio terapeutico (solo farmacoterapia, solo psi-coterapia) è il presupposto per pensare il processo dicura in termini di ricerca-intervento. Il compitodidattico è rendere consapevole lo specializzando chein questo modo egli non è utilizzatore passivo diconoscenze trasmesse ma artefice attivo di nuovaconoscenza, perché ogni nuovo caso nel contestosociale comunitario rappresenta comunque una com-plessità che mette in crisi ogni a-priori conoscitivo eche, contemporaneamente, è compito clinico noneludibile.

Quali sono i fattori terapeutici rilevabili nel per-corso di inserimento lavorativo di un paziente, e aquali condizioni ambientali; a quali condizioni, peruno specifico paziente, una esperienza di socializza-zione non è semplice intrattenimento e a quali con-dizioni un progetto di inserimento in una comunità

terapeutica o in una residenza assistita ha valenzaterapeutica invece di essere l’espressione di una “psi-chiatria di collocamento”: domande cui non possia-mo dare risposte basate su criteri scientifici generaliper le troppe variabili in gioco.

Il training dello specializzando è esercizio a legge-re al meglio delle sue possibilità la situazione clinicache gli sta davanti, nella sua completezza e nella suacomplessità, al fine di costruire una “teoria del caso”di cui si assume la responsabilità e di cui ovviamenteaccetta la verifica non solo del supervisore didatticoma anche del gruppo di lavoro di cui è parte.

Il tempo della riflessione è naturalmente untempo necessario in qualunque assetto clinico, noncomprimibile da supposte esigenze di efficienza (ingenere tattiche, appiattite sul qui ed ora, mai sullungo periodo), ma nell’ambito formativo universita-rio di cui si parla il tempo di riflessione è di necessitàassai più lungo perché finalizzato oltre che alla inter-pretazione del caso, all’apprendimento dei modi dellaconoscenza, al “deutero-apprendimento” di cui parlaBateson.

Probabilmente il compito di questa formazione èfornire allo specializzando le condizioni di sperimen-tarsi come interprete clinico (ricercatore empirico) diun disagio mentale che, letto nella sua interezza, nonappartiene tanto al campo della clinica quanto piut-tosto all’ambito generale della vita sociale.

IL RUOLO DEI SERVIZI TERRITORIALI NELLA FORMAZIONE PSICHIATRICA

Uno degli aspetti fondamentali nella formazionedello Specialista Psichiatra è la comprensione dell’im-portanza della relazione con il paziente nel lavoro didefinizione diagnostica e nella progettazione dell’in-tervento terapeutico-riabilitativo. Lo Psichiatra, infat-ti, reso consapevole di non poter prescindere dallapropria soggettività nell’entrare in rapporto con glialtri, non dovrebbe limitarsi a osservare un’altra per-sona formulando delle valutazioni sulla base di unospecifico inquadramento semeiologico: al contrario,dovrebbe apprendere che l’oggetto primario dell’os-servazione è rappresentato dalla relazione personaleche egli stesso instaura con il paziente.

La partecipazione alle attività dei servizi psichia-trici di comunità pongono lo Specialista in formazio-ne in rapporto con un nuovo contesto di esercizioteorico e pratico, quello dell’equipe impegnata nellavoro territoriale, dove l’oggetto si presenta all’osser-vazione vividamente immerso nella complessa retedelle dinamiche relazionali, anziché essere isolato nel-l’ambiente neutro tipico dell’istituzione. Tale cambia-mento nelle modalità di sperimentare contatti con i

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pazienti si pone alla base di un mutamento culturaleche rappresenta un passaggio cruciale nel percorso diformazione dello Specialista Psichiatra; un cambia-mento connesso allo sviluppo di nuove capacità dicogliere il disagio psichico non solo come un feno-meno su scala individuale, bensì come il prodotto diuna realtà complessa e articolata in interazioni dina-miche.

L’organizzazione dei servizi psichiatrici territoria-li, strutturata per garantire la continuità terapeutica intutte le sue dimensioni, consente di moltiplicare imomenti di incontro e di osservazione con il pazientein una gamma di setting e situazioni differenziate: in talmodo diviene possibile sperimentare direttamente lemodalità di relazione della persona con i familiari e congli operatori dei servizi, consentendo la costruzione dirappresentazioni basate non solo sugli aspetti emergen-ti durante l’acuzie psicopatologica, ma anche sulle partisane e funzionanti del paziente.

Durante il periodo formativo in ambito territo-riale viene inoltre posta in grande rilievo la necessitàdi sviluppare un’adeguata funzione riflessiva, com-prendendo fra le attività cui il medico specialista informazione è chiamato a partecipare anche i momen-ti istituzionalizzati di riflessione sul paziente (riunio-ni d’equipe, riunioni di supervisione, restituzioni).

L'Unità Operativa sperimentale di psichiatria diFirenze è la parte del Dipartimento di Salute Mentaledell’A.S.L. 10 di Firenze che si occupa della cura del dis-agio psichico del Quartiere 3 della città. Tale serviziopresenta la peculiarità di essere gestito secondo direzio-ne universitaria. Per tale ragione in esso si svolge l’atti-vità di assistenza, come per ciascun altro modulo fun-zionale della Salute Mentale, ma anche l’attività forma-tiva degli specializzandi iscritti alle Scuole diSpecializzazione in Psichiatria e in Psicologia Clinicadell’Università degli Studi di Firenze.

È opportuno sottolineare come le due funzioniappena citate, assistenza e formazione, siano svolteinscindibilmente, procedano di pari passo, legatereciprocamente. Lo svolgimento in prima personadell’assistenza da parte del personale in formazionecostituisce, nelle possibili e numerose declinazioni, ilfondamento stesso della formazione. L’attività forma-tiva costituisce il supporto, il sostegno, garantisce lacompetenza e la qualità dell’assistenza svolta da partedel personale meno esperto. Si può forse concluderecome sia difficile porre un netto discrimine tra glispazi dedicati all’apprendimento e quelli dedicati allaformazione. È così solo in parte.

Si può ipotizzare che l’apprendimento in ambitopsichiatrico si sviluppi nel momento in cui si pongail pensiero su ciò che è avvenuto durante l’assistenza.

Fin tanto che si agisce, si cura, nel giusto o meno, nonsi introduce il dubbio, difficilmente si applicherannodelle variazioni al nostro comportamento. L’appren-dista inesperto è invece felicemente dubbioso. Spessosi domanda che cosa ha fatto, che cosa sta facendo,che cosa dovrebbe fare nel corso della propria attivitàassistenziale. Ecco che quindi entra inevitabilmentein gioco il paziente, che è l’oggetto della cura ed ilsenso della formazione. Nell’ambito di un serviziopsichiatrico territoriale però il paziente entra in giocoin modo specifico. Questa è l’opportunità che offrel’ambito formativo dell'U.O. del quartiere 3 diFirenze. Il paziente deve essere assistito tenendoconto della complessità del proprio contesto biologi-co, storico, abitativo, lavorativo, familiare e sociale.Non è materialmente possibile esimersi dall’affronta-re il presentarsi di un grave livello di psicopatologia.Non è possibile esimersi dal far fronte ad istanze pro-venienti dal paziente, ma anche dall’ambiente stesso.Non è possibile esimersi dallo svolgimento di uncompito riabilitativo, che consenta di mantenere ilpaziente nel mondo in cui proviene. Non è possibilefare alcuna di queste cose senza realizzare una relazio-ne personale con il paziente.

Il medico in formazione, chiamato allo svolgimen-to di tali compiti, assalito da fruttiferi dubbi, si muovequindi, nell'U.O. del quartiere 3 di Firenze, cercando diusare al meglio gli strumenti di assistenza disponibili.La molteplicità di tali strumenti implica una moltepli-cità di operatori professionali che lo specializzandoincontra. La molteplicità di operatori implica una mol-teplicità di linguaggi, di modalità operative, di stilicomunicativi, di intenti (medici di Medicina Generale,specialisti di altre discipline mediche, psicologi, infer-mieri, operatori sanitari, tecnici di laboratorio, ausiliari,assistenti sociali, forze dell’ordine etc.).

Tale complessità costituisce grande occasione for-mativa, ma probabilmente occasione che può esserecolta solo se si verifica e si realizza un momento di rifles-sione, altrimenti resta spazio alla confusione. Per questaragione presso l'U.O. del quartiere 3 di Firenze è offer-ta allo specializzando in Psichiatria la possibilità di usu-fruire di lezioni formali, supervisioni cliniche, riunionimultidisciplinari, riunioni di ricerca.

La formazione degli Specializzandi in Psicologia Clinica e Psichiatria presso l’U.O. Sperimentale di Psichiatria a direzione universitaria

All’interno della U.O. sperimentale di Psichiatriaa direzione universitaria del quartiere 3 di Firenze l’o-biettivo della formazione è quello di operare un rac-cordo tra il sapere delle nozioni universitarie e la pras-si operativa della professione.

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La formazione avviene mediante:1. partecipazione a giornate di studio e a semi-

nari di apprendimento su tematiche specifiche;2. partecipazione, discussione casi clinici del

Centro di Salute Mentale (in particolare casi delCentro di Terapia Intensiva);

3. pianificazione, progettazione, attuazione diricerche: partecipazione al progetto sul dolore croni-co non oncologico e intervento integrato Psicoalgo-logico.

4. supervisione sui diversi progetti di ricerca neidiversi ambiti;

Il responsabile dell'U.O. sperimentale di Psi-chiatria, che fa parte del gruppo docente della Scuoladi Specializzazione di Psicologia Clinica e Psichiatria,risponde alle domande e alle esigenze di maturazio-ne e sviluppo individuale, promuove e supervisional’elaborazione del progetto professionale di ognuno,offre consulenza e accompagnamento allo sviluppo ealla prassi operativa della professione di psicologo cli-nico. Egli rappresenta il Tutor del gruppo di lavoroformato dagli specializzandi di Psichiatria e diPsicologia Clinica.

Gli specializzandi nello specifico: 1) partecipano agli incontri settimanali di gruppo

in cui vengono pianificati, progettati, attuate le ricer-che proposte dalla direzione formativa; tali progetti,nelle tematiche e nella metodologia, tengono contodell'organizzazione e delle specificità dell'assistenzapsichiatrica territoriale.

• Durante gli incontri settimanali si svolge l’ela-borazione di ipotesi e si formulano schemi di attua-zione con successiva verifica e valutazione tenendoconto vari modelli e strategie di intervento. Vengonopresi in esame i progetti di ricerca dai sottogruppisupervisionati dal tutor. Ogni progetto viene vaglia-to e discusso tenendo conto delle diversificate com-petenze dei singoli specializzandi rispetto al lavorocompiuto, al reperimento di riviste, articoli, fontibibliografiche. Nell’ambito dell’esperienza formativasono particolarmente significativi i processi motiva-zionali e comunicativi che assumono un ruolo essen-ziale rispetto la formazione stessa. Alla stessa stregua,nell’interscambio, sottendono le dinamiche emotive.In tal senso è fondamentale l’analisi e la consapevo-lezza di esse affinché vengano utilizzate come stru-mento di lavoro.

Per la continuità del lavoro viene verbalizzatoquanto emerge da ogni incontro settimanale

2) lavorano attivamente al progetto a cui aderi-scono: “dolore cronico non oncologico e interventointegrato Psicoalgologico”;

• il lavoro dei sottogruppi viene svolto quotidia-

namente negli ambulatori dell' U.O. sperimentale diPsichiatria a direzione universitaria del quartiere 3 diFirenze mediante colloqui preliminari, somministra-zione di tests, elaborazione degli stessi, restituzionescritta della diagnosi psicoalgologica che viene, prece-dentemente, presa in visione dal Responsabile dellaformazione, dall'algologo e da Reumatologo. Talirestituzioni vengono discusse periodicamente dall'e-quipe multidisciplinare.

3) discutono in riunioni le problematiche cheemergono dall’evolversi del lavoro.

• Periodicamente, durante riunioni, i partecipan-ti del progetto specifico, in un momento di confron-to, sottopongono a valutazione il lavoro svolto affron-tando insieme le varie difficoltà e attuando una con-creta risoluzione dei problemi.

4) attività di tirocinio presso l'S.P.D.C. di S. M.Nuova e il C.T.I. del Galluzzo.

- Per quanto riguarda il tirocinio, svolto presso ill'S.P.D.C. lo specializzando affianca lo psichiatrastrutturato nelle varie attività svolte all'interno delreparto:

- giro visita quotidiano;- colloqui anamnestici con i pazienti e i loro fami-

liari (progetto raccolta “storie di vita”);- consulenze psichiatriche ai pazienti ricoverati

presso altri reparti;- accoglienza e consulenza dei pazienti arrivati al

Pronto Soccorso.Il tirocinio presso il C.T.I. comprende la partecipa-

zione agli incontri settimanali per la discussione dei casi(invio, contratto e problemi connessi, dimissioni).

ConclusioniCaratteristica peculiare della formazione svolta sul

territorio dell'U.O. sperimentale di Psichiatria adirezione universitaria del quartiere 3 di Firenze èquella di operare in gruppo, quindi lavorare in siner-gia e come afferma A. Correale “il campo del gruppoè costituito dal confluire, in un unico agglomerato diuna massa complessa di vissuti, emozioni, pensieri,immagini, sogni, aspettative, forze costruttive edistruttive”. Da ciò si evince che nel gruppo entranoin gioco le storie e le esperienze professionali e perso-nali di ogni singolo componente. In tale direzione sidipanano i modelli teorici e la prassi operativa. Lapresenza sul territorio consente di incontrare un baci-no di utenza molto vario a contatto con i vissuti quo-tidiani esterni all'istituzione stessa che li accoglie.All'interno del gruppo di lavoro, la discussione suisingoli casi, è monito di un susseguirsi di vissuti edinamiche individuali, di gruppo, della rete sociale diappartenenza.

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Nell’ultimo decennio il mondo della Psichiatria èmolto cambiato. Il superamento delle aspre con-

trapposizioni si è accompagnato ad una crescita e ad unadiffusione di un sapere psichiatrico innovativo. NeiDipartimenti di Salute Mentale (DSM) operano oggi,fianco a fianco, psichiatri con formazione ed esperienzemolto diversificate cosicché il percorso assistenziale, fon-dato sulla continuità terapeutica, può avvalersi di com-petenze diverse e di interventi integrati, altamente spe-cializzati. Quanto sopra è il frutto di un avviato proces-so di integrazione tra i diversi indirizzi culturali e lediverse componenti medico-psichiatriche. Tuttavia èancora in grande ritardo l’integrazione tra ClinichePsichiatriche Universitarie e DSM.

Con la Scuola Toscana di Psichiatria si è ufficializza-ta la collaborazione esistente nei settori della didattica edella ricerca tra le Cliniche Psichiatriche Universitarie(CPU) di Firenze, Pisa e Siena.

La Scuola ha rappresentato un primo passo verso lacostituzione di un consorzio tra le Scuole diSpecializzazione in Psichiatria, dalle quali dovrebbe ori-ginare la Scuola di Specializzazione in Psichiatria dellaToscana con sede a Firenze, Pisa e Siena. Spin-off dellaScuola Toscana di Psichiatria è stato il Coordinamentodei Direttori dei DSM e delle Unità Operative diPsichiatra Universitaria della Toscana. Ci auguriamoinoltre che l’integrazione fra la Psicologia Clinica e lascuola Toscana di Psichiatria sia ulteriormente rafforza-ta. Le iniziative della Scuola Toscana di Psichiatriahanno costituito un importante momento d’incontro,di confronto e di collaborazione, risultato poi determi-nante per il riavvicinamento tra Università e SistemaSanitario Nazionale (SSN). La nomina di una commis-sione per “il Governo della Salute Mentale” da partedell’Assessore alla Sanità della Toscana ha portato, neifatti, al superamento del Coordinamento e ha datonuovo impulso alla collaborazione tra rappresentantidelle diverse aree della Psichiatria; da qui la forte spintaverso l’integrazione tra Università e SSN. L’integrazionedovrà interessare le CPU e i DSM, e dovrà avere ricadu-te sui diversi Dipartimenti delle AOU e, a livello intera-ziendale, sui Dipartimenti di Area Vasta.

Per un siffatto processo di integrazione, su così vastascala, è essenziale che maturi e si diffonda la consapevo-lezza che, dalla collaborazione stretta tra Università eDSM, deriveranno vantaggi reciproci. In particolare ilmiglioramento nella qualità dei singoli interventi siaccompagnerà ad una crescita professionale di ciascunoperatore senza, peraltro, limitare la progressione di car-riera di ciascuno. È vero, altresì, che il modello di colla-borazione che ci si propone di sviluppare è diretto adattivare sinergie e potenzialità inespresse e quindi a cata-lizzare una serie di iniziative nel campo dell’assistenza,formazione e della ricerca altrimenti difficilmente realiz-zabili. Questa modalità innovativa di collegamento edinterazione, non imposta dall’alto, scaturisce dalla con-divisione di obiettivi di reciproca utilità per l’Università,per il SSN e per i Dipartimenti di Area Vasta dell’interaRegione.

Nell’esperienza italiana le CPU presenti neiDipartimenti Universitari (DU) hanno avuto diverseopportunità di integrazione col SSN:

a) in alcune sedi i DU hanno ottenuto per conven-zione dalle ASL la direzione di un intero Dipartimentodi Salute Mentale (DSM);

b) in altre, le ASL convenzionandosi con le Aziende-Ospedaliero-Universitarie (AOU) hanno assegnato alDU la responsabilità assistenziale di una parte del terri-torio.

È verosimile che la particolare rigidità dei punti a) eb) sia alla base delle attuali resistenze e dei ritardi nel pro-cesso di integrazione tra Università e SSN nell’area dellaSalute Mentale. Infatti i modelli proposti non sembranorispettare le tradizioni culturali, la storia e le attività checontraddistinguono le diverse strutture sia dell’Univer-sità, sia del SSN, aventi ancora oggi peculiarità legate allecondizioni geografico-ambientali e socio-economiche.

In una grande città, capoluogo di regione (Milano,Firenze, Roma), è possibile ipotizzare l’esistenza di dueDSM “forti”, ciascuno con una propria dotazione di

Il processo di integrazione tra Università e SistemaSanitario Nazionale per la Salute Mentale

Giovanni Battista Cassano, Lorenzo Lattanzi, Alfredo Sbrana*

* Università di Pisa - Dipartimento di psichiatria, neurobiolo-gia, farmacologia e biotecnologie Azienda ospedaliero-universitaria pisana - U.O. Psichiatria -1ª Università

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strutture e di personale, uno a direzione universitaria,l’altro ospedaliero. Al contrario, la proposizione delsecondo modello in piccole città (vedi Pisa, Siena,Perugia), appare difficilmente realizzabile e produrrebbe“doppioni” con il rischio di frammentazione degli inter-venti. L’obiettivo per le piccole città è invece lo sviluppodi una integrazione dinamica e flessibile, che possa evol-vere nel tempo adeguandosi alle diverse situazioni, siaclinico-psicopatologiche sia socio-economiche. Si ritienequindi giustificata la proposta di:

c) una terza modalità di convenzione, che vada oltrela netta suddivisione dell’assistenza nella comunità e cheprivilegi invece forme di collaborazione e di integrazio-ne flessibile che si avvalgano prevalentemente di proto-colli per i percorsi assistenziali e di progetti di ricerca-for-mazione.

I progetti e i protocolli per percorsi assistenziali con-cordati tra DU e DSM potranno interessare diversimomenti del percorso assistenziale, dalla prevenzionealla emergenza-urgenza, alla riabilitazione e potrannorealizzarsi sia presso le AOU sia presso le strutture delDSM, dal Centro Diurno alle Residenze.

Questo modello si caratterizza per una elevata flessi-bilità e mira a valorizzare esperienze e competenze matu-rate nelle diverse sedi. Così operando, poli di riferimen-to, di alta specializzazione e centri di eccellenza (centriper i disturbi alimentari e di psicogeriatria, unità per laprevenzione in gravidanza, nuclei di psicofarmacologiaclinica e psicoterapia) dovrebbero svilupparsi dal bassoed affermarsi evitando le attuali tendenze autoreferenzia-li. Un esempio già operativo in questo senso è quellodella convenzione esistente tra Dipartimento delleDipendenze della ASL 5 e Dipartimento di Psichiatriadella AOU. Con detta convenzione si è costituito sulterritorio pisano un percorso terapeutico-riabilitativomulti-integrato per pazienti con Doppia-Diagnosi.Questo protocollo ha radicalmente cambiato i rapportitra Università e Dipartimento delle Dipendenze ed haaperto la via anche ad una collaborazione fruttuosaanche nell’ambito della ricerca e della formazione, vedil’attuazione di una serie di progetti di ricerca a comunee per la formazione, la partecipazione del SSN alla didat-tica universitaria, e in particolare, il Master Universitariodi secondo livello sul tema “Dipendenze Patologiche”.

L’integrazione tra assistenza, formazione e ricerca,deve partire dal coinvolgimento del SSN nel tirocinioper gli studenti in Medicina e Chirurgia, Tecnici diRiabilitazione Psichiatrica e Terapisti Occupazionali eper gli allievi della Scuola di Specializzazione inPsichiatria che dovranno svolgere parte dell’attività pra-tica presso le strutture del DSM. Questa attività svoltaper il tirocinio da medici del SSN, si aggiunge a quellagià in atto mediante incarichi di insegnamento sia per i

corsi di Laurea Triennale, sia per la Scuola diSpecializzazione, sia per i Master sia per i Corsi diPerfezionamento. Da tempo, medici e/o psicologi delSSN, assistono alcuni discenti di detti corsi nella ricercae nella stesura delle tesi di laurea e di specializzazione.

Per quanto concerne la formazione, il Dipartimentodi Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia eBiotecnologie dell’Università di Pisa ha attivato nume-rose iniziative, attuate con il contributo di DocentiUniversitari e del SSN:

1) Master in “Scienze Infermieristiche per la SaluteMentale”, rivolto alla formazione di InfermieriPsichiatrici.

2) Master dedicato alla “Diagnosi, Trattamento ePrevenzione delle Dipendenze Patologiche” della duratadi un anno, rivolto in primis agli operatori della SaluteMentale e dei Dipartimenti delle Dipendenze-Sert. Èfrutto della collaborazione esistente tra Dipartimento diPsichiatria, AOUP (Pisa) e Dipartimento delle Dipen-denze (ASL 5 – Pisa).

3) Master di “Psicoterapia Integrata ad Orientamen-to Interpersonale” per medici e psicologi, frutto dellacollaborazione tra Psicologia Clinica e Psichiatria.

4) Corso di Perfezionamento in Psichiatria Peni-tenziaria, preliminare ad una convenzione con la CC“Don Bosco” di Pisa, rivolta al miglioramento deglistandard assistenziali in una popolazione carcerariacaratterizzata da elevati coefficienti di psicopatologia e dirischio suicidiario.

5) Psichiatri del SSN sono inoltre parte integrantedei diversi Corsi di formazione e workshop organizzatidalla clinica psichiatrica.

Concludendo, le linee di sviluppo proposte per laintegrazione tra Università (AOU) e SSN nei settoridella ricerca, formazione e della assistenza sono le se-guenti:

1) integrazione flessibile secondo protocolli per per-corsi assistenziali e progetti di ricerca condivisi, nelrispetto dell’inscindibilità tra assistenza, formazione ericerca;

2) coinvolgimento del SSN nelle diverse attività diformazione, da quelle rivolte agli studenti in Medicina eChirurgia, ai Master e alla Formazione Continua;

3) partecipazione dell’ Università e del SSN nei pro-getti di ricerca di interesse regionale e nazionale e ad altrericerche finanziate da enti pubblici e privati, compresa lasperimentazione clinica con nuovi farmaci;

4) identificazione, valorizzazione di poli di alta spe-cializzazione e/o di “eccellenza” della AOU e/o delDSM, che si sono distinti in ambito di Area Vasta e/oRegionale;

5) riorganizzazione dei Servizi Psichiatrici Universi-tari e del DSM all’interno dell’Azienda-Ospedaliero

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Universitaria, per i quali si prevedono: a) attività ambulatoriali (incluse le terapie farmaco-

logiche praticate in ambulatorio): visite ambulatoriali,psicoterapie individuali e di gruppo, attività di valuta-zione psicodiagnostica, follow-up a lungo termine perspecifiche patologie, psicoeducazione e riabilitazione;

b) attività di Day hospital, per le patologie acute, cheha anche funzioni di filtro nei confronti del ricoveroordinario;

c) consultazione psicologica e psichiatrica interdiparti-mentale: interventi di equipe multiprofessionali percampi specifici (gravidanza, trapianti, obesità, dialisi,oncologia, malattie infettive, etc…);

d) SPDC, gestito prevalentemente dal DSM. Come abbiamo illustrato il processo di integrazione

tra Clinica Psichiatrica Universitaria e SSN dovrà attuar-si a diversi livelli cominciando dalla progettazione diReparti di Degenza (SPDC del DSM e Reparto sovra-zonale della AOU) in strutture contigue e strettamentecollegate, così da favorire la collaborazione e da assorbi-

re il minor numero di unità di personale infermieristicoe medico, quest’ultimo, in particolare, a comune per iturni di guardia attiva e per le emergenze. Saranno riser-vati al reparto sovrazonale della AOU un numero ade-guato di posti letto in SPDC per ricoveri in TSO.

e) Reparto Sovrazonale, gestito dal DU; f) Servizio di Guardia Psichiatrica , che si fa carico

dell’emergenza-urgenza nelle 24 ore, e che garantisce laguardia attiva in SPDC, nel reparto sovrazonale e neidipartimenti dell’AOU, gestito in collaborazione traDU e DSM, collegato con il Pronto Soccorso (PS) dellaAOU;

g) Convenzione con il Dipartimento delle Dipendenze(interessa il Servizio di Consultazione, SPDC e ilReparto Sovrazonale) per la gestione dei casi con doppiadiagnosi; Convenzione con l’Istituzione Carceraria perl’assistenza psichiatrica ai detenuti.

Il processo di integrazione proposto dovrebbe valereanche per le attività di assistenza, formazione e ricercadella Psicologia Clinica in Toscana.

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La psichiatria senese, che nasce come ordinariatosolo nel 1995, ha cercato di aderire, nel corso di

questi anni, a quell’orientamento della psichiatriamoderna che cerca di creare settori operativi d’inter-vento specifici e di determinarne una fusione strettacon la ricerca. Tale linea di lavoro risponde, da unaparte, all’invito delle Aziende a incentivare le attivitàsuper-specialistiche, dall’altra, agli obiettivi che la psi-chiatria, così come tutte le altre discipline mediche,s’impone per il raggiungimento di migliori risultati.

Negli ultimi anni il nostro interesse ha privilegia-to settori di ricerca piuttosto vari, primo fra tutti ilcapitolo dei Disturbi d’Ansia, nell’ambito del quale siè teso a delineare protocolli d’intervento specifici eattivare linee di ricerca sul piano clinico-biologico,dedicando però anche notevole attenzione all’appro-fondimento psicopatologico. Da tale interesse è nato,tra l’altro, un volume “Le diverse manifestazioni del-l’ansia e della paura” in cui l’ansia è stata indagata intutte le sue numerose modalità espressive.

Nell’ambito dell’attività sui Disturbi d’Ansia ènato, nel 2002, il “Centro per lo studio e la terapiadel Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS)”, chesi è andato a definire come uno dei principali inItalia, fino a diventare, nel corso dell’ultimo anno, lastruttura di riferimento per le vittime sopravvissute alterrorismo e per i loro familiari. L’attività assistenzia-le nei confronti di un numero crescente di pazienti hapermesso di sviluppare numerosi aspetti relativi alDPTS, tra i quali rendere più agevole la diagnosi,contribuire ad una migliore definizione della trauma-ticità dell’evento, approfondire i correlati neurobiolo-gici, valutare l’efficacia degli interventi terapeuticipsicofarmacologici e psicoterapici specifici, con parti-colare riferimento alla Eyes Movement Reprocessingand Desensitization (EMDR).

Un altro centro è quello per lo studio e la terapiadel Disturbo di Panico (DP). Esso nasce allo scopo diapprofondire gli aspetti diagnostico-terapeutici edetiopatogenetici, focalizzando la ricerca su di un dis-turbo molto frequente nella popolazione generale,nonchè spesso associato a condizioni mediche. La fre-

quente co-presenza di DP e patologie organiche e lasovrapposizione sintomatologica tra questi ci haindotto ad una stretta collaborazione tra gli specialistidei vari settori, con un’attività di consulenza psichia-trica organizzata e strettamente integrata, sia nell’am-bito del singolo paziente, sia a livello di informazionee formazione del personale sanitario.

In particolar modo vengono analizzati gli aspettineurobiologici ed eziopatogenetici del DP, occupan-dosi del coinvolgimento dell’apparato cardiovascolaree delle modificazioni delle catecolamine periferiche incollaborazione con il Dipartimento di MedicinaClinica e Scienze Immunologiche dell’Universitàdegli Studi di Siena.

Le numerose osservazioni sul coinvolgimentodella luce come mediatore del DP ci hanno indotto,inoltre, ad approfondire i meccanismi patogeneticialla base della cronobiologia di questo disturbo,instaurando una stretta collaborazione con la Sezionedi Oculistica dell’Università degli Studi di Siena.

Infine, poiché il DP può determinare un marcatodisagio soggettivo, compromettere pesantemente ilfunzionamento sociale e lavorativo e accompagnarsifrequentemente a complicanze, la nostra ricerca si èconcentrata anche sulla valutazione della qualità dellavita dei pazienti che ne sono affetti.

Fin dai primi anni la psichiatria universitaria senesesi occupa, inoltre, del Disturbo Ossessivo-Compulsivo(DOC), sia da un punto di vista psicopatologico, cheneurobiologico. Sono utilizzati routinariamente duequestionari specifici finalizzati, rispettivamente, alla evi-denziazione di eventuali sottotipi sintomatologici e allavalutazione psicopatologica dell’astenia nei pazientiaffetti da DOC. Parallelamente lo studio di brain ima-ging permette di evidenziare, in questi soggetti, le par-ticolari disfunzioni cerebrali e cerebellari. La ricerca,inoltre, si è indirizzata al dosaggio delle beta-endorfinelinfocitarie finalizzato ad individuare l’eventuale coin-volgimento del sistema oppioide nella patogenesi delDOC.

Contributo all’avanzamento delle attività superspecialistiche

da parte della psichiatria universitaria senesePaolo Castrogiovanni*

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di PsichiatriaUniversità degli Studi di Siena

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Un altro settore di attività è quello relativo allecondotta alimentare, intesa, soprattutto, come reci-proci rapporti tra alimentazione e psichiatria. In que-sto ambito, tramite una stretta collaborazione conspecialisti endocrinologi e chirurghi dell’Università diSiena, vengono indagati gli aspetti psicopatologicidell’obesità, che rappresenta una condizione moltoeterogenea sia da un punto di vista medico, sia nellasua componente psicologica e psichiatrica, e che oggiassume sempre maggiore rilievo.

Un altro problema cruciale oggi, per le importan-ti ripercussioni che ha sulla compliance, sulla salute esulla qualità della vita dei pazienti in trattamento, è ilfenomeno dell’incremento ponderale secondarioall’uso di psicofarmaci. Sulla base di quanto è statofin’ora pubblicato, la Psichiatria Universitaria diSiena, in collaborazione con l’Università diPittsburgh, sta tentando di approfondire molti aspet-ti di questo argomento, tra i quali l’incidenza dieffetti metabolici avversi in pazienti trattati con far-maci psicotropi, l’individuazione delle molecole far-macologiche più frequentemente associate a sovrap-peso ed obesità, la valutazione delle correlazioni pre-senti tra le variazioni di peso, le modificazioni deiprofili comportamentali, i parametri biologici e ladurata della malattia, al fine di scoprire su quali tar-get e con quali meccanismi agiscono i diversi psico-farmaci.

Negli ultimi anni la valutazione dei fattori dirischio psicopatologico nelle donne in gravidanza enel post-partum, e più in generale sui rapporti inter-correnti tra psichiatria e ciclo riproduttivo femmini-le, ha ricevuto un’attenzione particolare.

È ormai ampiamente accertato come la preven-zione delle patologie psichiche nel periodo del post-partum, mediante, per esempio, l’individuazionetempestiva dei fattori predittivi, debba costituire unfine primario da perseguire da parte di vari specialistimedici. Infatti, nel corso della vita riproduttiva delladonna, possono manifestarsi alcuni sintomi sottoso-glia o comunque essere presenti caratteristiche socio-demografiche, anamnestiche, etc.., tali da configura-re un profilo individuale di rischio e richiedere unastrategia preventiva di attento monitoraggio clinico.

Durante il ciclo mestruale e specialmente durantela fase premestruale la donna può, poi, lamentarealcuni sintomi di ordine sia fisico che psichico che, incirca il 50% delle donne in età fertile, configurano lacosiddetta Sindrome Premestruale, mentre in circa il5% dei casi il Disturbo Disforico Premestruale.D’altra parte, nella fase di transizione menopausale ladonna può esperire, oltre agli usuali sintomi fisici,anche alcuni sintomi psichici, fino alla comparsa di

lievi quadri depressivi frammisti a varie manifestazio-ni ansiose. Tali importanti aspetti, così come quellirelativi ai possibili fattori psichici che contribuisconoalla sterilità di coppia, sono oggetto di una collabora-zione con la ginecologia dell’Università di Siena.

I disturbi psichiatrici che caratterizzano l’età dellosviluppo (in particolare i Disturbi Pervasivi delloSviluppo) e le loro possibili proiezioni nell’età adultasono state per troppo tempo ignorate dagli psichiatriche si occupano prevalentemente degli adulti. Infattiquesti disturbi tendono a persistere nel tempo, anchese spesso assumono manifestazioni più sfumate, con-fondibili con altri disturbi psichiatrici, oppure si pre-sentano in comorbilità, rendendo la diagnosi e l’ap-proccio terapeutico molto più complesso.

La nostra attenzione si è concentrata, in partico-lare, sulla Sindrome di Asperger e, successivamente,sul Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività(ADHD), valutando pazienti afferenti allaNeuropsichiatria Infantile dell’Università di Siena,per approfondire gli studi relativi alle difficoltà diinterazione sociale che inevitabilmente questi sogget-ti presentano, indagando dimensioni come l’empatia,la reciprocità, il cosiddetto Quoziente autistico edaltre. In tale attività vengono, inoltre, valutati pazien-ti adulti, al fine di individuare le “tracce” persistentidi una patologia insorta nell’infanzia e spesso masche-rata da quella attuale.

Dato il crescente interesse della comunità scienti-fica verso lo studio dei substrati fisiopatologici deidisturbi psichiatrici, sono stati attivati, in collabora-zione con i colleghi della Neurologia, dei protocolliche si avvalgono dell’utilizzo della StimolazioneMagnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS). Talemetodica di stimolazione cerebrale non invasiva, datempo utilizzata nella routine diagnostica neurofisio-logica, sembra poter fornire utili informazioni riguar-do alle presunte alterazioni funzionali dei suddettidisturbi, e sembra inoltre poter avere anche spiccateproprietà terapeutiche. L’estrema maneggevolezza e larelativa scarsità di effetti collaterali di tale tecnicarende ragione dei sempre più numerosi protocolli diricerca che prevedono l’ utilizzo della rTMS in ambi-to neuropsichiatrico e non. Inoltre, sulla base dei datiderivanti dai più recenti studi di neuroimaging relati-vi alle alterazioni metaboliche presenti in specifichearee cerebrali nei vari disturbi psichiatrici, risulta pos-sibile utilizzare la rTMS per modulare le alterazionifunzionali caratteristiche di ciascun quadro psicopa-tologico. Sono attivi protocolli mirati all’impiegodella rTMS in disturbi psichiatrici quali la Depres-sione Maggiore, il Disturbo Ossessivo Compulsivo edil Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività.

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Tali protocolli, svolti in collaborazione con altri cen-tri di ricerca nazionali ed internazionali, sono miratia chiarire gli eventuali benefici derivanti dall’utilizzodella rTMS.

La terapia della Luce, o Fototerapia, consiste nel-l’esposizione programmata di un individuo ad unafonte di luce artificiale. Questa metodica non invasi-va, riconosciuta dall'American Psychiatric Associa-tion e dal National Institute of Mental Health, vieneda molti anni utilizzata nel trattamento del DisturboAffettivo Stagionale (SAD). Dati recenti hanno sup-portato l’impiego della light therapy in disturbi psi-chiatrici diversi dalla SAD, in particolare sui sintominucleari della depressione unipolare non stagionale,sulle Disfunzioni Sessuali primarie o in comorbiditàcon un altro disturbo psichiatrico.

L’esperienza clinica insegna come, durante il trat-tamento con SSRI, molti pazienti vadano incontro,oltre che alla remissione dei sintomi, a cambiamentiche riguardano tratti caratteriali, modalità di relazio-narsi agli altri, atteggiamenti verso se stessi e la vita.Questo, se da un lato può essere il risultato dellascomparsa della patologia che condiziona tutto ilmodo di vivere ed essere della persona, dall’altropotrebbe dipendere dall’azione stessa del farmaco edella sua efficacia al di là del nucleo sintomatologicodel disturbo. Pertanto un obiettivo di ricerca è quellodi tentare di dare un riscontro quantitativo preciso atali osservazioni empiriche, analizzando le modifica-zioni personologiche in corso di trattamento con far-maci antidepressivi.

Negli ultimi decenni si è assistito, in modo sem-pre più imperante, all’affermarsi del concetto diQualità della Vita e al tentativo di analizzarlo e defi-nirlo in maniera universalmente accettata.L’originalità del nostro approccio a questo argomen-to, consiste nello studio delle relazioni della Qualitàdella Vita, non soltanto con la patologia conclamata,ma con la presenza di sintomi di spettro e con glischemi cognitivi prevalenti, tema questo che non èstato fino ad oggi oggetto di indagine. Sempre nel-l’ambito della Qualità della Vita si sono intrapresecollaborazioni con altri dipartimenti dell’Universitàdi Siena per valutare questo parametro, in relazionecon la eventuale presenza di elementi di spettro e congli schemi cognitivi prevalenti, in soggetti con pato-logie somatiche croniche (reumatiche, ginecologiche,dell’apparato respiratorio, gastroenterico e vestibola-re).

La ricerca psicosomatica più recente ha dimostra-to che componenti psicologiche possono svolgere unruolo importante in qualsiasi tipo di malattia e pos-sono essere individuate in qualsiasi ammalato, con un

ruolo ora più dichiaratamente eziopatogenetico, orapiù genericamente facilitante o scatenante, ora condi-zionante il decorso e la durata della malattia, orainfluenzante la prognosi e la risposta al trattamento.In base a queste considerazioni la nostra clinica haattivato molteplici collaborazioni con altri settori spe-cialisti per analizzare il problema del rapporto frapatologia somatica e psichiatrica.

Con il reparto di Otorinolaringoiatria dell’Uni-versità di Siena si valuta la Qualità della Vita e la pre-senza di una eventuale comorbidità psichiatrica inpazienti afferenti all’ambulatorio di Vestibologia, inriferimento alla evidenza della associazione tra pato-logie di pertinenza otorinolaringoiatrica e disturbi dinatura psichiatrica, anche se ad oggi non è ancorachiaro il nesso patogenetico esistente tra queste duecondizioni morbose. In tutti i soggetti afferentiall’ambulatorio della vestibologia viene valutata sia lapresenza di patologie otoiatriche organiche e/o fun-zionali, sia quella di patologie psichiatriche definibiliin ambito categoriale e/o sottosoglia. Scopo ulterioreè quello di analizzare questa associazione in terminiepidemiologici, psicopatologici e clinici con partico-lare attenzione a quella categoria di pazienti in cui lavertigine, non giustificata dalla presenza di evidenzeclinico strumentali obiettivabili, sembra essere l’e-spressione di una sintomatologia di tipo panico-ago-rafobico sottosoglia.

In collaborazione con la sezione di MalattieRespiratorie dell’Università degli Studi di Siena ven-gono analizzate la Qualità della Vita e la psicopato-logia dei pazienti affetti da Sarcoidosi. Questa malat-tia cronica, con prognosi mal valutabile dai sintomi,spesso incide sullo stato emotivo del paziente che neè affetto, fino a comprometterne pesantemente il fun-zionamento sociale e lavorativo e a presentarsi incomorbidità con patologie psichiatriche, qualiDisturbi d’Ansia o dell’Umore.

La nostra attenzione si sta poi focalizzando anchesui soggetti affetti da Fibrosi polmonare e sulla psi-copatologia dei pazienti trapiantati di polmone, conuna stretta collaborazioni con psicologi, pneumologie chirurghi toracici dell’Università di Siena.

Nella pratica clinica psichiatrica esiste un’eviden-te connessione fra psicopatologia e disturbi della sferasessuale: i rapporti sono talmente stretti che spessorisulta arduo identificare con sicurezza una linea diconfine e, ancora più difficoltoso, stabilire un nessodi causa-effetto fra i due ambiti patologici. Apparepertanto evidente la necessità per gli psichiatri, chesono le figure più spesso chiamate a gestire la valuta-zione ed il trattamento di questi problemi, di inda-gare la sessualità di ogni paziente, così da far emerge-

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re i sintomi sessuali e individuare il rapporto esisten-te con le varie fasi dei disturbi psichiatrici, non tantoin termini categoriali, ma affrontando il problema inun’ottica più dimensionale. Il sintomo sessuale, infat-ti, può non rappresentare in termini di frequenza unadiagnosi a sé stante, ma un aspetto transnosograficoche potrebbe assumere caratteristiche qualitative pri-mariamente diverse a seconda della categoria diagno-stica o della terapia cui è secondario. In collaborazio-ne con la sezione di Urologia dell’Università degliStudi di Siena viene indagata la relazione esistente traDisfunzioni Sessuali, Disturbi dell’Umore, Disturbid’Ansia e collateralità degli psicofarmaci, al fine diadottare la migliore strategia terapeutica.

Siamo attualmente impegnati anche in un proto-collo di ricerca multidisciplinare, in collaborazionecon i colleghi della Neurologia, il quale prevede lavalutazione di eventuali patologie psichiatriche con-clamate e/o sottosoglia in un campione di soggettiaffetti da Sclerosi Multipla (SM). Ad oggi infatti,nonostante che nei pazienti affetti da SM sia stata piùvolte segnalata la necessità di trattamento psicofarma-cologico per la gestione di quadri psicopatologicicomplessi, non sembra ancora chiara, la reale inci-denza di disturbi psichiatrici, soprattutto nel periododi tempo che va dai primi sintomi neurologici allaconferma diagnostica di SM.

Antica tradizione della Psichiatria senese è l’attivi-tà di ordine neuropsicologico e riabilitativo che facapo uno specifico gruppo operativo, il quale operavalutazioni neuropsicologiche approfondite supazienti psichiatrici, con particolare riferimento aglipsicotici e ai soggetti con verosimili disturbi dellasfera cognitiva. Tale gruppo, che si avvale anche diuno specifico Centro Diurno educativo collocato nel-l’abitato senese e della collaborazione di un logopedi-sta, svolge sia un’attività riabilitativa mirata, sia inter-venti riabilitativi di carattere più generale.

Da più di dieci anni è stato dato vita ad un cen-tro per le patologie psichiatriche alcool-correlate incui i pazienti vengono seguiti in un lungo percorsoche va dal ricovero presso l’Unità Operativa diPsichiatria Universitaria, (di durata breve, in generenon più di una settimana), attraverso un successivopercorso ambulatoriale in cui vengono trattate leeventuali patologie psichiatriche conclamate o sotto-soglia correlate con l’abuso alcolico, fino, dove neces-sario, all’inserimento dei pazienti negli specifici grup-pi per alcolisti.

Ci sembra che questa vasta rosa di attività siariuscita in uno dei compiti fondamentali dell’operareuniversitario, quello cioè di fondere assistenza e ricer-ca in un circuito virtuoso di rimandi significativi.

Questa modalità si è rivelata, fra l’altro, partico-larmente proficua per stabilire solidi rapporti con icolleghi di altre discipline, tradizionalmente non faci-li a causa di una loro persistente diffidenza nei con-fronti della nostra disciplina. Siamo infatti convintiche il futuro della psichiatria sta anche nella capacitàche questa avrà di proiettarsi in tutti questi settorimedici che di essa avrebbero bisogno e della quale,invece, altrettanto spesso rifiutano aprioristicamentel’utilità.

Non sembri eccessivo e dispersivo il numero ditemi affrontati poiché è nostra convinzione che la psi-chiatria debba uscire, quanto più possibile, dal suoguscio troppo spesso limitato ai gravi psicotici, persviluppare, invece, specifici settori di intervento sualtrettanto specifiche problematiche cliniche. Nellostesso tempo riteniamo utile che la nostra disciplinafaccia conoscere a colleghi e pazienti il suo vero volto,e non quello connotato dal diffuso pregiudizio cheidentifica a tutt’oggi troppo spesso la psichiatria conla follia e con mezzi d’intervento contenitivi.

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Il Modello Toscano per la Salute Mentale nasce,come modello organizzativo dei servizi territoriali

ed ospedalieri alternativi al manicomio, in applicazio-ne della Legge 180 e viene sancito, nella nostraRegione, a partire dal primo Piano SanitarioRegionale.

Tale modello è stato applicato e si è sviluppato,nel corso di quasi trent’anni, nei Dipartimenti diSalute Mentale della Toscana attraverso il continuoconfronto di esperienze tra migliaia di operatori,utenti, famiglie, organizzazioni di volontariato, Enti,Servizi della Regione ed altri soggetti della comunitàsociale. Nel tempo, le attività per la tutela della SaluteMentale si sono venute diversificando, nel rispetto delprincipio della continuità terapeutica, in un modellointegrato della “presa in carico” basato sul lavoro diun’équipe multiprofessionale unica operante sia alivello territoriale che ospedaliero.

È legittimo parlare di Modello Toscano in quantoquesta è la definizione che ne ha dato la letteraturapsichiatrica dell’epoca della Riforma, ma anche inquanto esso si differenzia specificatamente da altreforme organizzative basate sulla separatezza delleéquipes di ogni singolo presidio (Centro di SaluteMentale, Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura,Centro Diurno, Residenze); nel Modello Toscano,infatti, i Servizi di Salute Mentale si definisconocome rete completa e differenziata di presidi psichia-trici, integrata funzionalmente da un unico gruppo dilavoro multiprofessionale, con riferimento ad unbacino di utenza definito ed identificato dalla conti-nuità antropologico-territoriale; quindi comunitàlocali circoscritte per popolosità ed omogenee per sto-ria, stratificazione sociale, attività socio-economiche,insediamento urbanistico.

Il Modello si caratterizza inoltre per la dimensio-ne comunitaria dei servizi, rivolti ad ogni patologia ead ogni classe di età, con lo scopo di promuovere lasalute mentale in tutto il territorio, in funzione deibisogni reali dell’utenza. Ècompito specifico dei ser-vizi tutelare la salute mentale della comunità di riferi-mento tramite la realizzazione di progetti di cura,

riabilitazione e prevenzione.Il paradigma teorico di riferimento è quello bio-

psico-sociale, in cui le variabili in gioco attengonoall’ambiente sociale e relazionale, alle caratteristicheintrinseche della personalità del soggetto ed al suopattern genetico-biologico.

La rete dei presidi (Centro di Salute Mentale,Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, CentroDiurno, Strutture Riabilitative Residenziali) facenticapo a un unico servizio permette di costruire unacontinuità fra servizio e comunità locale, radicandoloin essa e attrezzandolo a dare risposte appropriate abisogni complessi, attraverso la dotazione multipro-fessionale delle équipes curanti (psichiatra, psicologo,infermiere, educatore, assistente sociale). La multidi-sciplinarietà dell’équipe favorisce la decodifica dellacomplessità dei bisogni bio-psico-sociali del pazientenel contesto della realtà territoriale a cui appartiene efacilita la costruzione di un progetto terapeuticoriabilitativo individualizzato in grado di utilizzare larete dei presidi a seconda delle singole necessità. Ilgruppo di lavoro viene così a configurare un gradien-te operativo che partendo da figure professionali spe-cifiche per interventi di tipo terapeutico si spinge sinoa coinvolgere soggetti sociali, formali ed informali,attivati sulla base del progetto terapeutico-riabilitati-vo, cui compete la funzione di garantire l’integrazio-ne nella comunità sociale di riferimento.

Lo strumento fondamentale per il lavoro clinico èrappresentato dalla relazione terapeutica professiona-le, una competenza che, onde evitare che si riduca amero spontaneismo, richiede una formazione tecnicacontinua e specifica di tutti gli operatori.

La concezione poi del disturbo psichico, intesocome fenomeno dinamico-evolutivo e non statico,impone un’attenzione del tutto particolare nei con-fronti della dimensione temporale dei processi tera-peutico-riabilitativi con necessari momenti di verifi-ca e di eventuale ridefinizione dei progetti di cura. Il

Il modello toscano per la salute mentaleMassimo De Berardinis, Angela Valtancoli*

Coordinamento degli Psichiatri Toscanihttp://coordpsitoscano.objectis.net/

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modello di operatività dell’équipe multiprofessionalerisulta quindi coerente con una tipologia di interven-to che si basa sulla costruzione di un percorso speci-fico per la persona: aperto, flessibile, che tiene contodel contesto, e quindi polifonico ed articolato sulledifferenze.

Ogni intervento, in sintesi, è orientato a pro-muovere l’autonomia delle persone all’interno di percor-si di normalità, contrastare l’istituzionalizzazione, ladiscriminazione e l’emarginazione, sostenendo ilvalore della cittadinanza e, favorendo in primis l’usci-ta dai servizi, l’integrazione nella comunità sociale.

Un modo di operare così concepito non può certoessere separato dal contemporaneo agire in ambitopreventivo. Èinfatti proprio attraverso l’agire preven-tivo che i circuiti sociali di vita si rendono accessibilie permeabili ai percorsi terapeutico-riabilitativi. Laprevenzione non si attua soltanto con gli screening dimassa o con l’educazione sanitaria negli ambienti diaggregazione sociale, bensì anche e soprattutto attra-verso la promozione della salute nei luoghi e neigruppi sociali a rischio.

Elementi fondamentali per raggiungere questiobiettivi sono la flessibilità conoscitiva, la multidi-mensionalità, ricchezza e diversità delle conoscenze,da attualizzare nella specificità del contesto e dellarelazione. La complessità del reale comporta unaconoscenza in continua evoluzione ed occorre recu-perare ed utilizzare tutti i saperi disponibili, realiz-zando sintesi sempre nuove (World PsychiatricAssociation, Il Cairo, 2005).

Nell’insieme dei servizi toscani, laddove il model-lo ha trovato applicazione, esiste di fatto questa com-plessità, diversità e multidimensionalità di conoscen-ze, stratificate dall’esperienza e dai risultati ottenuti,che rappresentano oggi un patrimonio irrinunciabi-le.

Il Coordinamento degli Psichiatri Toscani è nato aMonteriggioni (SI) il 3 maggio 2005, alla presenza dirappresentanti di circa il 70% dei servizi dellaToscana. Oltre 150 psichiatri dei servizi pubblici dellaToscana hanno spontaneamente aderito alCoordinamento sottoscrivendo il documento cheriafferma il Modello Toscano per la Salute Mentale.È utile sottolineare che questi psichiatri si differenzia-no fra loro per storie professionali, ruoli istituzionalie percorsi formativi; molti tra quanti hanno contri-buito a fondare questo Coordinamento non hannopartecipato, per età, ai movimenti storici che hannoportato alla chiusura dei manicomi, alla istituzionedei Servizi Territoriali di Salute Mentale ed alla primadefinizione del Modello Toscano; nonostante ciò essi

sentono la necessità di proseguire insieme un lavorogià iniziato da altri, verificato, arricchito e innovatoalla luce delle nuove conoscenze tecnico-scientifiche edella pratica quotidiana nel Servizio Pubblico.

I motivi che hanno spinto tanti professionisti ariunirsi in coordinamento sono molteplici.

Pur essendo ormai trascorsi quasi 30 anni dallaLegge 180 i contenuti organizzativi e culturali dellariforma non hanno ancora trovato sufficiente appli-cazione nel contesto dell’intero territorio regionale,persistendo a tutt’oggi numerose situazioni di critici-tà.

In questi ultimi anni inoltre le mai sopite istanzedi controllo sociale si sono sommate ad una minoredisponibilità economica, alle carenze strutturali etecniche di alcuni servizi toscani, alla ristrutturazioneaziendalistica della sanità e, non ultimo, ad un pro-gressivo allentamento nella società civile della tensio-ne culturale e politica rivolta al mantenimento delloStato Sociale. La consapevolezza dell’importanza delmodello unitario nell’organizzazione dei Servizi diSalute Mentale, che negli anni ’80 e ’90 sembravascontata, si è venuta allentando anche all’internodella rappresentanza tecnico - politica a causa delricambio generazionale e sulla spinta determinata dal-l’urgenza di contenere i costi dell’intera sanità. Alladefinizione di questa realtà non è rimasta estraneaneppure l’imprenditorialità spesso deregolatrice deiDirettori Generali lontani dalla cultura della cura etroppo pressati dalle logiche aziendali e di mercato.

Il mutato contesto culturale ha facilitato di recen-te il profilarsi di ulteriori gravi criticità quali:

- l’apertura a modelli organizzativi estranei allastoria e alla cultura dei nostri servizi, come ad esem-pio al “modello triestino”, un modello (di altissimocosto applicativo) che frantuma la continuità tera-peutica attraverso la separatezza delle équipe dei pre-sidi, che enfatizza eccessivamente la dimensione assi-stenziale a scapito dei processi di autonomia e cam-biamento finendo col favorire la cronicizzazionedegli utenti nel ruolo di pazienti; in merito si consi-derino solo gli effetti di “neo-istituzionalizzazione” edi “custodialismo” territoriale conseguenti alla dispo-sizione di “ricoveri” nei cosiddetti CSM 24 ore inve-ce che negli Ospedali Generali!

- proposte di funzionamento difformi dal model-lo, quali l’ipotesi di separare i percorsi di cura, crean-do le “filiere” dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi eCura, dei Centri di Salute Mentale e delle StruttureResidenziali che scardinerebbero l’unitarietà del siste-ma.

- la torsione a cui il modello è sottoposto oggi inToscana per effetto di spinte contrastanti provenienti

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da una parte dall’articolazione zonale dei servizi terri-toriali e dall’altra dalla progressiva centralizzazione diquelli ospedalieri a livello aziendale o addirittura –nel prossimo futuro – a livello di area vasta; un’orga-nizzazione sostenuta come misura di razionalizzazio-ne dei costi, ma non dimostrata sotto il profilo eco-nomico né articolata su alcuna riflessione di valoretecnico-scientifico.

In conclusione è accaduto che, laddove il ModelloToscano è stato disatteso, per motivi diversi e specifi-ci di ogni singola realtà, venissero proposte soluzioniritenute da noi psichiatri involutive rispetto al patri-monio esperienziale, culturale, organizzativo e scien-tifico dei nostri servizi, maturato negli anni successi-vi alla Legge di riforma del Servizio SanitarioNazionale.

Questi avvenimenti hanno profondamente colpi-to gli operatori di numerosi servizi ed hanno fattoemergere una fortissima volontà di confronto per tro-vare soluzioni condivise, da cui ha avuto origine undocumento comune, che ribadisce le linee generalidel Modello Toscano, allo scopo di preservarne l’uni-tarietà culturale e tecnico-scientifica nel passaggiogenerazionale, arricchita dall’evoluzione delle cono-scenze e dall’esperienza maturata nell’arco di trentaanni di operatività. . Questi sono i contenuti fondan-ti e irrinunciabili dell’organizzazione dipartimentaledella salute mentale in Toscana che intendiamo svi-luppare nella prospettiva delle Società della Salute,anche tramite la interlocuzione attiva con gli ammi-nistratori e i politici a livello locale e regionale.

Il ritorno a questa consapevolezza è per noi di

importanza fondamentale. Se l’unitarietà dei servizi sispezzasse, se le minacce di semplificazione e di fram-mentazione si realizzassero, si annullerebbero la uni-cità dell’equipe multidisciplinare, il rapporto con lacomunità di appartenenza, l’integrazione e la conti-nuità dei percorsi di salute. Ciò aumenta a nostroavviso il rischio di inaridimento delle capacità tera-peutiche dei servizi, con importanti conseguenze sulpiano della cronicizzazione e quindi della neo istitu-zionalizzazione dei pazienti.

Il Coordinamento degli Psichiatri Toscani hatenuto il suo primo congresso il 26 maggio 2006 aSiena ed ha in programma la realizzazione del secon-do congresso a Firenze nel 2007.

Sta promuovendo un lavoro di monitoraggio everifica di qualità tra pari su diversi temi (valutazionedelle modalità organizzative dei singoli servizi; dellerisorse impegnate per la riabilitazione e la prevenzio-ne; dei ricoveri, dei trattamenti sanitari obbligatori,dell’indice di proiezione territoriale: prevalenza trat-tata/ospedalizzata; dei progetti di valutazione dell’ef-ficacia a breve e lungo termine dei vari trattamenti) .

Il Coordinamento è inoltre impegnato a promuo-vere il coinvolgimento e la partecipazione delle altreprofessionalità, degli utenti, delle famiglie, del volon-tariato, affinché si realizzi un autonomo Coordina-mento Toscano per la Salute Mentale.

Infine è impegnato in contatti con i colleghi dialtre Regioni, allo scopo di discutere e promuovere lanascita e lo sviluppo di un Modello Italiano per laSalute Mentale di Comunità.

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L’unitarietà aziendale dell’U.O.C. Psicologia, sta-tuita dal P.S.R. della Regione Toscana, dovrebbe

essere assicurata dall’organizzazione interna di ciascu-na Azienda, sulla base di Statuti e Regolamenti,rispecchiando le singole specificità, pur nel comuneriferimento al quadro normativo regionale. La vastitàdelle aree di competenza e la molteplicità degli inter-venti psicologici richiede che sia assicurata unitarietà,organicità e continuità all’attività psicologicanell’Azienda.

In questo senso è un falso problema porsi il que-sito se la nostra disciplina e funzione operativa siaall’interno o meno del Dipartimento di SaluteMentale dato che partecipa alle attività di taleStruttura come partecipa alle attività di altre Strutturestanti l’univocità delle Aziende sanitarie.

Per esemplificare questo concetto è sufficienteesaminare una serie di connessioni che l’U.O.C. diPsicologia ha sia all’interno del DSM sia con altreorganizzazioni aziendali.

Per connessioni intradipartimentali basti conside-rare i rapporti che sono necessari, nell’ambito dellaSalute Mentale, tra chi si occupa di Infanzia edAdolescenza e chi si occupa degli Adulti: l’età di con-fine tra i due settori, i disturbi del comportamentoalimentare, la continuità dei programmi terapeuticoriabilitativi ne sono gli esempi più immediati.

Le consulenze ed i ricoveri ospedalieri sono unesempio di connessioni interdipartimentali, le proble-matiche dell’alta integrazione socio sanitaria richiedo-no connessioni anche con la rete sociale ed i ServiziSociali Comunali, l’approntamento di Parg, PEI,l’applicazione della L.104/92 ci portano a continuirapporti con il GOIF e l’istituzione Scolastica, i rap-porti con il Tribunale per i Minorenni sono un esem-pio che coinvolge la Psicologia della Salute Mentalema anche quella Consultoriale o quella delDipartimento delle Dipendenze.

È pertanto semplicistico e fuorviante chiedersidove si collochi una disciplina così trasversale. Per taletrasversalità la collocazione è, per definizione ubiqua;perché non sia anche indefinita e confusa è invece

utile, come detta il PSR, “assumere le iniziative neces-sarie per promuovere nelle aziende sanitarie modalitàorganizzative finalizzate ad assicurare l’effettiva inte-grazione tra i servizi territoriali e ospedalieri e trastrutture che erogano servizi a diversi livelli di com-plessità, per superare la frammentarietà degli inter-venti, con un approccio orientato alla totalità dellapersona e al principio della continuità del percorsoassistenziale”. Proprio a tal fine, il Direttoredell’U.O.C. Psicologia, come avviene in taluneA.USL, dovrebbe valutare, assieme alla Direzioneaziendale, le richieste di presenza di Psicologi nellediverse articolazioni organizzative aziendali per unutilizzo ottimale delle risorse.

Questi concetti, sufficientemente semplici elineari, sono spesso percepiti ed interpretati comeinutilmente complessi. La Psicologia rivendichereb-be, infatti, un’autonomia frazionante l’organizzazionee, in nome di una sorta di corporativismo della cate-goria professionale, minaccerebbe l’integrazione tragli operatori ed un idoneo intervento nell’interessedell’utenza.

Tutto ciò, ovviamente non è vero ma si è semprescelta una lettura riduzionistica della specificità orga-nizzativa della Regione Toscana (L.R.72/2005), vale adire l’intreccio tra Strutture organizzative professio-nali e Strutture organizzative funzionali. Basta consi-derare che le strutture professionali sono l’insieme diprofessionalità omogenee attinenti ad una specificafunzione operativa e che, pertanto, le Unità operativesono dotate di piena autonomia tecnico professiona-le e sono direttamente titolari di una funzione opera-tiva mentre le strutture funzionali sono l’insieme di

La cultura tecnico organizzativa delle U.O.C. di psicologia: spunti di riflessione

Paolo Nascimbeni*, Enrico Salvi**

*Direttore U.O.C. Psicologia anche in ambito ospedaliero.Responsabile Sezione di Psicologia ospedaliera. ResponsabileUnità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza.Zona di Arezzo - Azienda U.S.L. n. 8 Arezzo

**Direttore U.O.C. Psicologia. Responsabile StaffDirezionale. Direttore U.O.C. Controlli di gestione -Azienda U.S.L. n. 12 Viareggio

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più funzioni operative riconosciute appartenenti asettori omogenei di attività, siano Dipartimenti ope-rativi o di Coordinamento tecnico scientifico, Aree oUnità funzionali.

Il modello è complesso, senza ombra di dubbio,applicarlo comporta fatica e negoziazioni ma, proprioper questo, un intervento sistemico sulla complessitàè l’unica maniera di governare un processo organizza-tivo, nella finalità di un impiego efficiente ed efficacedelle risorse umane e professionali.

Rispetto alle altre figure sanitarie, siamo accomu-nati dalla dimensione della prevenzione, cura e riabi-litazione ma, ovviamente, abbiamo una specificitàdella nostra cultura che oltre a rivendicare come irri-nunciabile, consideriamo come uno dei fattori dipotenziale cambiamento della “cultura” della SanitàPubblica.

La Psicologia è nata come studio di dimensione“normale”, intesa come dimensione “non connotata”da una patologia e negli ultimi anni vi è stato unrecupero della competenza di promozione della salu-te e di empowerment. Tale “recupero” ha portato aconsiderare con maggiore attenzione la dimensionedel disagio, l’analisi dei nuovi fenomeni di malesserenon patologico, individuale e collettivo, gli snodi neicicli di vita di singoli e gruppi. Considera la personacome trama di connessioni, nella continua ricerca diun’armonia funzionale tra corpo sessuato, emozioni,cognizioni, azioni-linguaggio, habitat, biografia, rap-porti istituzionali e relazionali nei singoli ambiti divita e di lavoro.

Psicologica è la capacità di tenere presenti con-temporaneamente queste variabili, con un agire pro-fessionale in grado di cogliere le connessioni ed i reci-proci rimandi da una all’altra, e tutto ciò è specificodi una cultura, quella psicologica che, pur assuntaanche da altre culture professionali, è mutuata dallaPsicologia stessa.

I sostanziali cambiamenti della domanda dell’u-tenza di intervento psicologico, con particolare atten-zione a momenti del ciclo di vita ci hanno convintoche le richieste di intervento sulla patologia non sonopiù l’unico campo elettivo del nostro intervento.Conseguentemente, l’organizzazione dell’offerta,dovrà essere sempre più centrata, per la nostra disci-plina e per tutto il Sistema Sanitario, sul paradigmadella promozione della salute, della sostenibilità dellecure, per realizzare la continuità dei percorsi assisten-ziali attraverso l’attenzione alla relazione di cura colpaziente ed alla ricomposizione degli interventi dellevarie figure professionali. Per la nostra cultura e perquanto mutuato da essa dalla moderna cultura dellaSanità, noi riteniamo di avere una forte potenzialità

di cambiamento. Ad esemplificazione di ciò ritenia-mo che quanto previsto dal vigente Piano SanitarioRegionale che prevede, nel repertorio dei Servizi, laFunzione operativa di “Psicologia, anche in ambitoospedaliero”, con la soglia di una Struttura a livelloaziendale, vada declinato come necessità di interven-to sull’intera dimensione organizzativa dell’AziendaSanitaria, soprattutto ove essa si articola in più Zone-distretto, con la finalità di migliorarne l’efficacia el’efficienza, nello scenario anche delle Società dellasalute.

Oltre ai tradizionali interventi clinici nei diversisettori di attività territoriali ed ospedalieri (salutementale, neuropsicologia e disabilità, dipendenze,materno-infantile, cure palliative, ecc.) le competen-ze psicologiche sono richieste per l’accreditamento equalità, il rischio clinico, la promozione e sviluppodella salute psicologica dei lavoratori, il benessereorganizzativo, il mobbing, la comunicazione, l’incre-mento e la valorizzazione del processo formativo.

Per tornare al “falso problema” della collocazionedell’U.O. di Psicologia all’interno o meno delDipartimento di Salute Mentale e considerando lavalenza aziendale della medesima, riteniamo che lafunzione di programmazione dell’U.O. debba essereassicurata nello Staff della Direzione Sanitaria. TaleStruttura svolge attività di ricerca, sviluppo e proget-tazione nell’ambito delle funzioni strategiche azien-dali, nell’organizzazione sanitaria, nell’innovazionegestionale, nell’ottimizzazione e valutazione dellerisorse umane e materiali, nella formazione ed aggior-namento. Come per altre strutture organizzative pro-fessionali presenti nello Staff, anche per la Psicologiavi sono interventi sia in ambito territoriale, nei variDipartimenti, sia nell’ambito ospedaliero. Si pensiall’importanza della rilevazione dei carichi individua-li di lavoro degli Psicologi per l’adeguata distribuzio-ne e la razionalizzazione delle risorse del personalenelle diverse strutture organizzative aziendali o all’ela-borazione di progetti di specifica formazione. In par-ticolare, è proprio la mancanza di un sistema di rac-colta dati trasversale ed omogeneo che non permettedi rendere visibile e soprattutto trasparente l’attività diPsicologia nelle Aziende sanitarie. Solo una rilevazio-ne a livello complessivo dell’Azienda delle prestazionipsicologiche può fornire elementi per la verifica dellaqualità e della specificità del prodotto fornito, sia allacittadinanza che alle Strutture aziendali, per la valu-tazione dell’efficienza, dell’efficacia e dell’appropria-tezza delle prestazioni professionali nonché del moni-toraggio degli esiti.

All’interno dei vari Dipartimenti e, specificata-mente, all’interno del Dipartimento di Salute

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Mentale, è pacifico che l’U.O. di Psicologia debbaesplicare la propria funzione operativa. Ovviamentetale ruolo non può essere minimizzato all’assegnazio-ne di prestazioni o di risorse umane ma dovrà essereregolamentato, evidenziando compiti, ruoli e respon-sabilità. La partecipazione al Direttivo del Diparti-mento ne è il punto di partenza.

La responsabilità degli aspetti tecnico professiona-li del personale psicologo si esplicita ovviamente, nel-l’assicurare la correttezza delle valutazioni cliniche,della presa in carico e della continuità assistenziale.Per gli accennati rapporti intra ed extradipartimenta-li, specifici della Psicologia, cura i collegamenti con lealtre Strutture e Dipartimenti aziendali, relativamen-te alla specificità della disciplina, al di fuori dell’ope-ratività del Dipartimento e delle sue articolazioni.Inoltre partecipa alla predisposizione e all’applicazio-ne delle linee-guida per il governo clinico, delle pro-cedure e dei protocolli operativi per il personale affe-rente alla propria Unità Operativa ed alla definizionedel programma aziendale delle attività per la SaluteMentale.

Come già detto, il monitoraggio dei dati di attivi-tà relativi alla disciplina, all’interno del Diparti-mento, è assolutamente necessario. Questo è infattil’unico strumento per garantire un equilibrio dellerisorse e per concordare, con il Coordinatore delDipartimento, le Unità Funzionali e con l’Azienda, ladotazione organica, tenendo conto dei bisogni orga-nizzativi e delle specifiche esigenze funzionali, non-ché delle competenze degli operatori.

La definizione dei programmi di formazione e diaggiornamento professionale del personale psicologodeve essere collegato, in sede dipartimentale, conquello di tutte le altre figure professionali. In questosenso la formulazione del programma annuale di for-mazione del Dipartimento all’interno del piano diformazione di tutta l’Azienda, deve avere la valenza diintegrazione delle varie competenze favorendo lo svi-luppo dei rapporti con le altre professionalità al finedi realizzare la necessaria integrazione sul piano cul-turale ed operativo; ovviamente fermo restando lospazio, per la disciplina, di una specifica formazioneed aggiornamento da proporre in sede aziendale.

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Poche altre figure professionali del mondo sanita-rio hanno visto modificare ed evolvere ruolo,

funzioni e formazione negli ultimi 30-40 anni, quan-to quella degli infermieri.

Una professione antica, che ha saputo adeguarsi aicambiamenti e che ha fondamentalmente mantenu-to integri i principi universali che stanno alla basedella sua azione: solidarietà, umanità, conoscenza eprofessionalità.

La formazione, che si è in questi anni profonda-mente modificata fino a giungere alla Università, rap-presenta uno degli elementi basilari dell’ impegnooperativo dell’infermiere. Del resto, lavorare sulla for-mazione per renderla adeguata ed appropriata, signi-fica investire sul futuro della professione ma soprat-tutto su quello della salute e del benessere di unasocietà in cui il cittadino pretende legittimamenteuna crescente qualità delle prestazioni assistenziali. Inquesta sintetica premessa, risiedono le ragioni dellascelta di trattare in questo primo numero della rivista,il tema delle funzioni principali dell’infermiere e lasua formazione; una rivista che non mancherà di“centrare il bersaglio” e di concedere, ne sono certo,nuovi e futuri spazi agli infermieri.

LA FORMAZIONE INFERMIERISTICA IN OSPEDALE PSICHIATRICO. IL RUOLO DELL’INFERMIERE

L’infermiere, in Ospedale psichiatrico, rappresen-tava la figura di un operatore chiamato a svolgere pre-valentemente mansioni di sorveglianza, accompagna-mento ed accudimento dei ricoverati, in naturalecoerenza con la legislazione dell’epoca. Formazione eruolo erano fondamentalmente appiattiti sull’ asse-condamento sistematico della volontà medica, in unrapporto di assoluta subalternità e di privazione diaree di autonomia operativa, piuttosto che orientatiall’approfondimento delle conoscenze mediche gene-rali e specialistiche.

Un operatore dunque che vigilava, custodiva,frugava e contava i malati, ma che anche li accudiva,puliva ed accompagnava (nelle attività e negli svaghi),

con umana pietà e compassione; anch’egli in fondo,un “ recluso tra i reclusi”.

In questa condizione di isolamento e di disagio incui versava l’infermiere, sono forse da ricercare i germidell’impegno, della motivazione e del notevole contri-buto che proprio gli infermieri garantiranno al succes-so delle iniziative di “de-istituzionalizzazione”.

Istruzioni del Direttore, tratte da cicli di lezioni edorientamenti comportamentali rivolti al personale infer-mieristico dell’Ospedale neuro-psichiatrico di Arezzo(anni 1952-1953)

“…È compito della scuola professionale migliora-re le vostre condizioni intellettuali e fornirvi una ade-guata cultura. Certamente la scuola deve proporsi deimodesti fini da raggiungere ed eminentemente prati-ci; in primo luogo deve insegnarvi ad assecondare l'o-pera del medico ed a fare un uso corretto di tutti queimezzi tecnici, strumentali e morali, che servono allacura del malato di mente, sia come tale , sia comeammalato di comuni malattie.....Le lezioni dei varicorsi costituiscono quindi un tutto organico ed ordi-nato.....che fornendo le indispensabili nozioni sullastruttura e funzione del corpo umano, sulle principa-li malattie..... e soprattutto intrattenendosi sulla tec-nica manicomiale...deve mirare a far comprenderequale sia veramente l'opera ad esso spettante.

...Intendiamoci, se ho detto che l 'infermiere deveessere intelligente ed istruito, ciò non vuol dire che lascuola deve farne un saccente vanitoso che crede dipoter prendere delle iniziative”.

LA FORMAZIONE INFERMIERISTICACollateralmente alla formazione in ospedale psi-

chiatrico dell’infermiere che opera in psichiatria, conla legge n°1046 del 1954, sono istituite le scuole perinfermiere generico, nate per colmare la carenza dipersonale qualificato negli ospedali. Questo tipo diformazione è destinato a cessare e, con la legge 243del 1980, si procede nella direzione di riqualificarestraordinariamente gli infermieri generici e quelli psi-

Essere infermiere per la Salute mentale della comunità

Mauro Faralli*

*Dirigente della assistenza infermieristica. Direttore U.O.Infermieristica Salute Mentale - AUSL 8 Arezzo

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chiatrici ad infermieri professionali.Nel 1965 è istituita presso la Università “La

Sapienza” di Roma la prima scuola per dirigenti del-l’assistenza infermieristica aperta ad infermieri profes-sionali, vigilatrici di infanzia ed ostetriche.

La legge n°124 del 1971 estende al personalemaschile, l’esercizio della professione di infermiere(negli ospedali psichiatrici ciò era da sempre previsto)ed autorizza le scuole convitto, che si chiamerannoscuole per infermiere professionale, ad ammettereallievi di ambo i sessi. È inoltre stabilito, come requi-sito di accesso, il diploma di scuola media inferiore edal 1973-1974, il certificato attestante l’ammissioneal terzo anno della scuola media di secondo grado.

Con l’accordo di Strasburgo del 1967 riguardantel’istruzione e la formazione dell’infermiere in Europa, siproducono notevoli modificazioni agli ordinamentididattici ed ai programmi di insegnamento.

Come conseguenza dell’accordo di Strasburgo edel suo recepimento in Italia, nascono le prime scuo-le regionali triennali nell’anno scolastico 1975-1976.Il diploma così conseguito, abilita all’esercizio dellaprofessione di infermiere professionale.

La formazione post-base riguarda i corsi per l’abi-litazione a funzioni direttive (caposala) di durataannuale e taluni corsi specialistici.

LA FORMAZIONE UNIVERSITARIAL’emanazione del DLgs 502-92, consente l’in-

gresso in Università della formazione infermieristica ela contestuale soppressione delle scuole regionali . Ilcorso di diploma universitario (triennale) prevede lafrequenza obbligatoria, è istituito presso le facoltà dimedicina e chirurgia ed è orientato alla preparazionetecnica, scientifica ed umanistica del professionistadella assistenza infermieristica.

Con l’approvazione del D.M.739-94 “Regola-mento concernente l’individuazione della figura e delrelativo profilo professionale dell’infermiere”, si veri-ficherà una profonda revisione degli ordinamentididattici dei diplomi universitari dell’area sanitaria tracui quello di infermiere. La formazione deve mirarein particolare a far acquisire allo studente conoscenzee capacità tecniche, relazionali ed educative. È inoltreprevisto il riordino della formazione infermieristicapost-base per la pratica specialistica nelle aree previstedal profilo professionale:

� Sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica� Pediatria: infermiere pediatrico� Salute mentale – psichiatria: infermiere psichiatrico� Geriatria: infermiere geriatrico� Area critica: infermiere di area criticaLa successiva riforma universitaria realizza una

serie di cambiamenti che modificano profondamenteil sistema degli studi universitari riorganizzandoneassetto ed impostazione, percorsi ed articolazione deicorsi. In relazione a questo le Università rilasciano iseguenti titoli:

� Laurea :titolo di studio di primo livello, di dura-ta triennale che si propone di promuovere l’acquisi-zione di specifiche conoscenze professionali e di abi-litare all’esercizio della professione.

� Laurea specialistica: titolo di studio di secondolivello, di durata biennale. L’obiettivo è quello digarantire una formazione di livello avanzato per l’e-sercizio di attività di elevata qualificazione.

� Dottorato di ricerca: rappresenta il livello di for-mazione più elevato

� Master di primo livello� Master di secondo livelloI master sono corsi di perfezionamento scientifico

in aree e settori specifici.

LA PRINCIPALE LEGISLAZIONE CHE HA ACCOMPAGNATO IL NUOVO PERCORSO FORMATIVO DELL’INFERMIERE

A questo proposito è necessario fare riferimentoad almeno due provvedimenti legislativi che hannomodificato radicalmente la figura dell’infermiere:

� DM N° 739-94 Regolamento concernente l'indi-viduazione della figura e del relativo profilo professiona-le dell'infermiere.1. . . .L'infermiere è l'operatore sanitario che, in pos-

sesso del diploma universitario abilitante e dell'i-scrizione all'albo professionale è responsabile del-l'assistenza generale infermieristica . . .

2. Partecipa alla identificazione dei bisogni di salutedella persona e della collettività

3. Identifica i bisogni di assistenza infermieristicadella persona e della collettività e formula i relati-vi obiettivi

4. pianifica gestisce e valuta l'intervento assistenzialeinfermieristico

5. garantisce la corretta applicazione delle prescrizio-ni diagnostico-terapeutiche

6. agisce sia individualmente sia in collaborazionecon gli altri operatori sanitari e sociali

7. per l'espletamento delle funzioni si avvale ovenecessario, dell’opera del personale di supporto

8. svolge la sua attività professionale in strutture sani-tarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assi-stenza domiciliare, in regime di dipendenza o libe-ro professionale� Legge n° 42-99 Disposizioni in materia di profes-

sioni sanitarie1- La denominazione professione sanitaria ausilia-

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ria nel testo unico delle leggi sanitarie......nonchè in ogni altra disposizione di legge, è sosti-

tuita dalla denominazione professione sanitaria2- Dalla data di entrata in vigore della presente

legge sono abrogati il regolamento approvato con D.P.Rn°225-74 (mansionario)...

...Il campo proprio di attività e di responsabilità delleprofessioni sanitarie di cui... è determinato dai contenu-ti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili pro-fessionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsidi diploma universitario (oggi laurea) e di formazionepost-base nonché degli specifici codici deontologici,fatte salve le competenze previste per le professionimediche... nel rispetto reciproco delle specifiche compe-tenze professionali.

L’INFERMIERE DELLA SALUTE MENTALEL’infermiere che oggi lavora nei servizi di salute men-

tale è un operatore che è parte integrante della equipemultiprofessionale, che contribuisce in modo rilevante agarantire la presa in carico, la informazione e la educa-zione dell’utente e della sua famiglia, che esprime accre-sciuta cultura, conoscenza e professionalità nell’agirequotidiano in ognuna delle numerose articolazioni deiservizi ed in risposta ai molteplici bisogni espressi dallautenza in condizioni di ordinaria operatività e talvoltain situazioni di emergenza – urgenza, nel territorio cosìcome in Ospedale.

Possiamo tentare una definizione:L’infermiere che opera nella Salute Mentale è un pro-

fessionista che fonda la propria attività sulle conoscenze esulle competenze acquisite e che garantisce attraverso la rela-zione con la persona la integrazione tra le funzioni cogniti-ve, volitive ed emozionali della stessa, considerata nel rap-porto con il suo contesto di vita.

L’infermiere, in questa area, deve perciò essere con-siderato operatore “esperto della relazione”, elementoquesto che costituisce il tratto caratterizzante e peculiaredel suo impegno professionale.

Questa breve premessa è sufficiente per delinearenon solo l’importanza ma piuttosto le peculiarità e lanecessità di rendere più visibile ed efficace il contributodell’infermiere, anche dal punto di vista organizzativo.

Va in questa direzione, nella AUSL 8 di Arezzo, ladecisione di valorizzare questo contributo, attraverso lacostituzione, nell’ambito del DipartimentoInfermieristico, di una area specifica per la infermieristi-ca della salute mentale, posta allo stesso livello e con lastessa dignità e diritti di quelle più tradizionali: ospeda-liera e territoriale (che ci comprendeva), nonchè di costi-tuire una specifica Unità Operativa infermieristica per lasalute mentale, con valenza aziendale.

Se dovessimo a questo punto, elencare in maniera

necessariamente sintetica le funzioni principali del pro-fessionista infermiere, diremmo senz’altro che esso èchiamato a:

� Assistere la persona con disagio psichico, garan-tendo un supporto nel programma di cure ed operandoper la conservazione e la salvaguardia delle sue relazionifamiliari e sociali. Un approccio di tale spessore, pre-suppone notevoli doti di osservazione ed una spiccatacapacità di analisi e di interpretazione della realtà e deicontesti. Tutto questo, in genere non si riscontra inapprocci assistenziali che si fanno carico di un singolosoggetto.

� Garantire interventi e risposte adeguate e qualifi-cate ai problemi di salute attivando e sollecitando all’a-zione una rete di assistenza di cui fanno parte diverseprofessionalità unite dal comune obiettivo del benesseredel singolo utente e della sua famiglia.

� Impostare rapporti di lavoro fondati sulla collabo-razione con gli altri professionisti. La collaborazione e launità di intenti devono essere considerate quali occasio-ni di arricchimento della propria identità e del propriobagaglio professionale. L’infermiere della salute mentaleè chiamato a dimostrare maturità professionale e perso-nale laddove frequentemente sollecitato a ricavarsi unospecifico professionale che di volta in volta deve essereadattato e reso organico con il progetto terapeutico cheriguarda l’utente.

Quali invece le competenze più specialistiche del-l’infermiere della Salute Mentale.

Esse risiedono senza dubbio:� Nel colloquio. Esso rappresenta lo strumento attra-

verso il quale l’infermiere entra in contatto ed in rela-zione con la persona. Nei servizi di salute mentale il col-loquio esplora momenti della vita privata e pubblica del-l’utente senz’altro più estesi rispetto a quelli oggetto diun colloquio tradizionale. Questo intervento, general-mente condotto da un operatore deve diventare patri-monio del gruppo di operatori.

� Nella relazione di aiuto e nel sostegno che ilpaziente deve inequivocabilmente percepire e che rap-presentano un formidabile strumento della assistenza.

� Nelle attività, nelle prestazioni e negli interventiche, indissolubilmente legati ad ambiti di vita quotidia-na dell’utente, interessano ora la sfera motoria, quellacognitiva e socio-affettiva e rispondono ad obiettivi rela-tivi al progetto assistenziale personalizzato.

� Nelle attività riabilitative che costituiscono unostrumento fondamentale per combattere la cronicizza-zione che isola la persona dal proprio ambiente di vita

� Nelle attività educative e preventive che sonolegate indissolubilmente alle azioni curative e riabili-tative

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LA FORMAZIONE SPECIALISTICA DELL’INFERMIERE DELLA SALUTE MENTALE

In questi ultimi anni varie Università hannoorganizzato master di primo livello nelle aree indi-viduate dal DM 739-94. Ciò è avvenuto anche perl’infermieristica in psichiatria (denominazioneadottata da taluni), o per la infermieristica in salu-te mentale – comunità (titolo adottato da altri) edal sottoscritto più gradita, poiché maggiormentecomprensiva delle molteplici implicazioni.

In ogni caso, è lecito ed opportuno attendersiche i masters così organizzati contribuiscano allapreparazione di un operatore in grado di acquisire:

� Una competenza professionale adeguata afronteggiare e gestire condizioni di complessità assi-stenziale.

� Una penetrante cultura della personalizzazio-ne dell'approccio all' utente ed ai familiari nell'am-bito di modelli assistenziali quali quello del “casemanagement”.

� Lo sviluppo di adeguate capacità e competen-ze relazionali e psicoterapeutiche.

� La idoneità ad approfondire e ad essere pro-motore di interventi di educazione/informazione eformazione a nuclei associativi che costituiscono lapotenziale “rete sociale”

� La competenza di promuovere e gestire pro-getti riabilitativi rivolti alla persona ed alla famiglia.

� La idoneità ad interpretare correttamente ibisogni di salute ed assistenza della popolazione e lacapacità di interpretare dati ed informazioni affe-renti a sistemi epidemiologici più o meno com-plessi.

� La attitudine e la propensione al lavoro digruppo ed al confronto tecnico-operativo con lealtre figure professionali.

� La competenza professionale a rispondere intermini appropriati alle “patologie emergenti”anche attraverso approcci a gruppi di utenti.

IL RUOLO DELL’INFERMIERE “TERAPEUTA”

Si ripete sistematicamente che uno dei trattidistintivi dell’operatore che lavora nella salute men-tale rispetto ad altri ambiti è rappresentato dal fattoche la persona in se costituisce lo strumento dilavoro più importante. Tale considerazione ponel’accento sulla necessità di formare adeguatamentel’operatore evitando prassi frequenti ( di più in pas-sato) quale quella di reclutare gli infermieri tracoloro che lavoravano in ospedale (talvolta a finecarriera) con funzioni molto diverse da quelle che

sono chiamati a garantire nelle rispettive equipes.L’operazione di reclutamento degli infermieri

dovrebbe giovarsi maggiormente della opportunitàdi approfondire nel candidato i suoi interessi realia misurarsi professionalmente nella salute mentale,così come della necessità che egli risulti sorretto dauna reale motivazione e sia aiutato a conosceremeglio se stesso, le proprie motivazioni e le even-tuali reazioni. Motivazione autentica ed interessiveri stanno peraltro alla base di un approccio empa-tico, senza il quale ogni tentativo di misurarsi con illavoro in questa area risulterebbe vano e non senzariflessi talora nefasti per scarsa qualità ed inade-guatezza delle prestazioni fornite all’utenza.

Maggiori sforzi sono da rivolgere all’esigenza diaddestrare adeguatamente i neo assunti che nellafase di inserimento non devono essere lasciati dasoli a misurarsi con la complessità della organizza-zione che li comprende e i cui contorni possonoapparire talvolta indefiniti. La stesura di adeguateprocedure di inserimento, nonché l’affiancamentosistematico del neoassunto ad un infermiere esper-to che svolga la funzione (riconosciuta ed apprez-zata) di tutor, rappresentano gli strumenti necessa-ri.

Un ulteriore problema è senz’altro rappresenta-to nel nostro paese, dalla impossibilità per gli ope-ratori della salute mentale che non siano medici opsicologi, di aderire ad un training formale di psi-coterapia od anche ad un training appositamenteconcepito per operatori come gli infermieri, parteintegrante delle equipes multiprofessionali, chehanno un contatto quotidiano con un numero rile-vante di pazienti.

In taluni Paesi il training in psicoterapia è for-malmente organizzato in due livelli in modo chechi ritiene indispensabile acquisire una competenzapsicoterapeutica di base, senza peraltro mirare adiventare un terapeuta vero e proprio, ha la possi-bilità di acquisire quelle conoscenze teoriche e pra-tiche che gli sono utili per rendere efficace e fina-lizzato il lavoro di tutti i giorni. È auspicabile che laevoluzione dei master di primo livello per l’infer-miere della salute mentale ci avvicini in futuro atale prospettiva.

Ulteriore aspetto, non sufficientemente riflettu-to e dibattuto è quello relativo alle modalità ope-rative della offerta assistenziale. L’infermiere è chia-mato a muoversi con sempre maggiore autonomiae con notevoli livelli di responsabilità professiona-le, nell’ambito di modelli assistenziali sempre piùpersonalizzati e responsabilizzanti ed in territorinei quali è spesso necessario ritagliare uno specifico

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professionale da adattare volta per volta al pianoassistenziale sull’utente. In un contesto così artico-lato e complesso, egli vede spesso la propria funzio-ne, compressa ed inchiodata da orari di lavoro rigi-di e spesso incompatibili con ritmi di vita, interessied esigenze terapeutiche e riabilitative dei pazienti.Nella salute mentale la rigidità non paga mai. È

giunto il momento di sperimentare modalità opera-tive nuove, partendo dalla disponibilità e dallavoglia di misurarsi degli infermieri, chiamandoAziende ed organizzazioni sindacali a confrontarsisul terreno delle nuove e più qualificate sfide che lasalute dei cittadini ed i territori con cui essi intera-giscono, ci pongono.

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Nel 1975 vengono assunte dal Comune di Arezzo,con incarico a tempo indeterminato, otto tera-

piste per la riabilitazione; in servizio ve ne erano giàdue assunte dalla Provincia, per il Servizio di IgieneMentale che si era costituito ad Arezzo nel 1974.Tutto il Servizio era chiamato ad una unica missione,ma ciascun gruppo professionale è andato strutturan-dosi nel tempo con una propria specificità. Proverò adescrivere la storia della maturazione professionaledel gruppo di terapisti ed educatori che hanno opera-to nella riabilitazione e che con il loro lavoro hannocontribuito a dare significato al Servizio di Arezzo,descrivendo i vari periodi storici che corrispondono afasi diverse della storia del Servizio stesso. Gli anni’70 e ’80 sono caratterizzati da molto spontaneismo,da immenso entusiasmo, da grandi fermenti ideologi-ci; gli sforzi sono concentrati su tre livelli: 1) realizza-zione delle strutture dei Centri Diurni (c.d.) (primanasce il laboratorio di falegnameria aperto da treinfermieri, chiamato “Arte e Regalo”, poi il laborato-rio del cucito, quindi la serra per la coltivazione diprodotti agricoli e per ultimo, alla fine dell’88, illaboratorio di ceramica e legno), strutture che aveva-no la finalità di essere un luogo di accoglienza perinterventi occupazionali, ma anche di sollevare lefamiglie dal “carico” della convivenza quotidiana conpersone portatrici di gravi disturbi in una situazionesocio-sanitaria in cui sparivano le istituzioni segre-ganti, essendo state invalidate come luogo di cura; 2)molto lavoro domiciliare per lavorare al cambiamen-to nel luogo di vita delle persone e dei familiari coin-volti; 3) appropriazione del territorio: diventa impor-tante uscire per andare nei luoghi normali: ristoranti,cinema, luoghi di vacanze, locali pubblici, gite, visitaa città storiche, la voglia di stare con il “matto”, fuori,alla luce del sole. In altre parole tutto il lavoro di de-istituzionalizzazione, inteso nel senso di azione fina-lizzata ad uscire dalle istituzioni. La socializzazione èstata tra gli obbiettivi più sentiti: fare esperienze emo-tive di vita comune è stato formativo anche per glistessi terapisti che in quegli anni erano in numero didieci. Socializzazione in termini riabilitativi non era

solo stare tra gli altri , ma imparare a stare con glialtri, porre attenzione a tutti gli aspetti che riguarda-no la cura della persona (lavarsi, curare il proprioaspetto andare dal barbiere o dalla parrucchiera, cura-re il proprio abbigliamento, lavarlo, stirarlo, sapereacquistare, andare per negozi, sapere spendere e cono-scere il denaro). Creare una alternativa credibile almanicomio è stato l’obbiettivo fondamentale ed erachiarissimo a tutti nel nostro Servizio.

I laboratori erano impostati secondo principi diterapia occupazionale, la produttività non era neces-sariamente importante, ma i pazienti producevanooggetti in legno molto belli e anche in questo caso ciorganizzammo per far conoscere “cosa può creare ildisabile”. Con l’aiuto della classe politica estrema-mente sensibile a tutto ciò che riguardava la psichia-tria, ci procurammo un posto alla Fiera dell’Antiqua-riato. Eravamo fieri ed orgogliosi e con i nostri giova-ni utenti tutti raggruppati a sostenersi l’un l’altroabbiamo per anni partecipato ai mercati. Quandoabbiamo cominciato ad esporre quegli oggetti fabbri-cati nel primo c.d. di falegnameria eravamo proprio iprimi ad Arezzo a produrre ed esporre quegli oggettie così è stato pure quando alla fine degli anni ‘80abbiamo avuto il laboratorio per la decorazione dellaceramica, del vetro e découpage. Questo centro diur-no fu voluto per cominciare a dare una risposta piùarticolata all’utenza più giovane. Nel laboratorio“Arte e Regalo” vi era una forte componente di dis-abili anche con ritardo mentale, per cui fu necessariodare risposte diverse ai molti giovani con disturbi psi-chici per i quali la finalità produttiva era secondariaalla riabilitazione, che mirava da una parte alla valo-rizzazione delle abilità presenti e dall’altra al recuperopiù precoce possibile di quelle carenti.

In questi anni il gruppo dei terapisti della riabili-tazione è quindi fortemente impegnato nel progettodi cambiamento della domanda attraverso il lavoronei centri diurni, la socializzazione rivolta al territo-

Gli interventi riabilitativinel Servizio di Salute Mentale di Arezzo

Vincenza Sgarro*

*Tecnico della riabilitazione psichiatrica presso l’U.F. Salute Mentale Adulti di Arezzo

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rio, la gestione familiare dei comportamenti distur-banti del soggetto ammalato.

Alla fine degli anni ‘80 il gruppo dei terapisti ècoinvolto nel processo di trasformazione e di qualifi-cazione del personale e iniziamo a partecipare a corsidi formazione e aggiornamento che vedono coinvol-to tutto il servizio. Il primo corso di formazione alquale i terapisti hanno preso parte affrontava la pro-blematica del disturbo mentale all’interno della rela-zione familiare sistemica. Il corso, tenuto dal dr. DeBernart e dalla dr.ssa Vanon, ha rappresentato per noiun vero e proprio cambiamento degli interventi nellefamiglie in quanto il nostro lavoro si trasformò daintervento di insegnamento di abilità di comporta-mento diretto al pz., pur con la collaborazione deifamiliari, a intervento che teneva conto delle relazio-ni all’interno della famiglia. L’altro corso di grandeimportanza, tenuto dal dr. Correale, è stato sulla rela-zione terapeutica. In questi anni, che sono fonda-mentali per la qualificazione professionale ed operati-va dei terapisti, secondo il mio personale ricordo ini-zia una fase che sposta l’attenzione da un interventoche ha come obbiettivo la trasformazione della cultu-ra sulla malattia mentale a un intervento più miratoalle persone che soffrono insieme ai loro familiari, inun’ottica più attenta alle emozioni, ai pensieri e allaqualità della vita di coloro che sono direttamentecoinvolti. L’intervento riabilitativo diventa più com-petente, si ampliano gli spazi a quattro aspetti fonda-mentali:

1) la relazione con il pz.; 2) il gruppo, all’interno del quale una volta alla

settimana si possono approfondire con l’aiuto di unopsichiatra le tematiche riguardanti i singoli in relazio-ne con i compagni, i familiari, la propria condizionedi vita;

3) la famiglia con attenzione al clima affettivo rela-zionale;

4) le risorse del territorio con interventi mirati acoinvolgere le figure che possono offrire sostegno osupplire le, a volte scarse, risorse familiari o indivi-duali.

A metà degli anni ’90 fondamentale importanzaha rappresentato per il nostro lavoro l’apprendimen-to delle tecniche psico-educazionali. Desidero rende-re omaggio al prof. Ian Falloon, morto da alcunimesi, per il patrimonio professionale e metodologicoche mi e ci ha trasmesso. L’insegnamento è precedutoda un corso sulla “Emotività Espressa”, tenuto dalladr.ssa Haw (collaboratrice di Leff ) che ci ha intro-dotto all’apprendimento delle teorie sull’EmotivitàEspressa. La formazione con il prof. Falloon per alcu-ni di noi terapisti è durata per diversi anni. Nel frat-

tempo la classe politica è diventata meno attenta alle“questioni della psichiatria” e le condizioni economi-che italiane impongono tagli piuttosto drastici per cuiil gruppo dei terapisti della riabilitazione perde pezzi:in servizio ne rimangono sei (oggi siamo cinque).

Io personalmente ho utilizzato e tuttora utilizzo letecniche psico-educazionali in quasi tutti gli inter-venti riabilitativi individuali, familiari e di gruppo;ho ricevuto da questa tecnica un importante aiutoper la valutazione, per identificare problemi e focaliz-zare bisogni, per pianificare l’intervento applicabilealle situazioni di vita sociale. Inoltre tale metodo hal’obbiettivo di rendere le persone più capaci di indi-viduare, affrontare e spesso risolvere i problemi anchesenza l’aiuto degli operatori. Questo è un cambia-mento fondamentale nel processo di cura e riabilita-zione: fornire alle persone che si curano e ai lorofamiliari uno strumento che fa leva sul potenziamen-to delle proprie capacità individuali, che aiuta adindividuare i propri bisogni, a definire gli obiettivipersonali, ad utilizzare strategie per individuare o pre-venire momenti di crisi, fornisce un importante stru-mento per recuperare risorse nella famiglia, nel grup-po o nell’ambiente sociale allargato. Tale modalità hauna grande corrispondenza con quelle che sono leattuali richieste sociali di minore protezione e diaumento della capacità di autodeterminazione. Labase operativa degli interventi riabilitativi è, comeben noto, la valutazione delle competenze individua-li del pz. e della sue abilità strumentali e sociali (abi-lità nell’autoaccudimento, nel saper individuare i realibisogni e saper intercettare il modo più adeguato persoddisfarli, riuscire a fronteggiare gli imprevisti eorganizzare le risposte, imparare a conoscere il pro-prio livello di vulnerabilità e di capacità di tollerareeventi stressanti, ruoli sociali e richiesta di prestazioniadeguate al ruolo, al sesso e all’età) e, di fondamenta-le utilità, è la valutazione delle risorse disponibili(Martini P., 1989).

Anche se è sostanzialmente condiviso il concettoche la riabilitazione non riguarda solo l’aspetto lavo-rativo, è tuttavia vero che l’obbiettivo lavorativo rap-presenta uno degli aspetti più significativi della riabi-litazione. Nel nostro servizio il percorso riabilitativofinalizzato al lavoro è stato ed è caratterizzato soprat-tutto dalla gradualità, passo dopo passo, verso il pro-gressivo aumento delle competenze relazionali e lavo-rative vere e proprie. Un possibile percorso è quelloche parte dai centri diurni (luogo di monitoraggio,valutazione e addestramento alle abilità relazionaliinterpersonali, sia con i pari, sia con gli operatori chehanno compiti di supervisione e coordinamento,nonché luogo di sperimentazione di abilità e di rego-

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le condivise, propedeutiche all’inserimento in attivitàlavorative, come il rispetto dell’orario e dell’esecuzio-ne dei compiti stabiliti). Il passo successivo è costitui-to da progetti presso ditte disponibili a collaborarealla formazione al lavoro in stretta collaborazione conil servizio, che in questa fase funge da tutor, chiama-ti “progetto individualizzato di riabilitazione” e per ilquale è previsto un incentivo economico di fontesanitaria. Il passo successivo è l’inserimento vero eproprio nel mercato del lavoro, con attività e modali-tà compatibili con le abilità della persona. I terapistidella riabilitazione in questi anni hanno avviato eportato a termine decine di progetti, diversi dei qualisi sono trasformati in lavoro vero e proprio, mentrealtri sono stati la base di partenza per la costruzionedi un percorso lavorativo con il supporto del Centroper l’Impiego della Provincia di Arezzo.

Inoltre i terapisti hanno attivamente collaboratocon gli utenti e i familiari per riorganizzare in chiavepiù moderna la rete associativa e, insieme ad altri ope-ratori del servizio, hanno realizzato progetti innovati-vi insieme con tali associazioni.

Nel settembre del 2001 è nata una ResidenzaTerapeutica con 15 posti letto per utenti giovani, chesi ispira ai principi della comunità terapeutica. Aiterapisti della riabilitazione è stata affidata la respon-sabilità dell’organizzazione della vita quotidiana, l’at-tuazione dei programmi riabilitativi individuali, ilcoordinamento degli educatori e del personale dellastruttura.

Personalmente ho sempre trovato affascinante ilcampo di intervento della riabilitazione e, pur cono-scendone i trabocchetti, ho sempre vissuto il mio

lavoro come se ogni volta fosse la prima volta, comeuna nuova avventura umana tutta da scoprire. Hoparlato spesso nei gruppi di pazienti del senso dellariabilitazione per cercare di rendere chiaro quello chestavamo realizzando insieme. Durante lo svolgimentodi un gruppo, ho domandato cosa pensassero lorodella riabilitazione ed alcuni mi hanno dato questerisposte:

“La riabilitazione è far tornare i desideri, gli sti-moli, gli amici”

“È riavere l’ anima”“Torna la voglia di fare”“La riabilitazione ti dà l’abilità di essere parte della

società”“Cerca di mettere in movimento l’auto-ragiona-

mento”“ Io mi sento forzato a star bene, mi sento colpe-

volizzato”“Uscire dal tunnel della malattia”“La riabilitazione è rimettere in piedi nuovi sche-

mi di vita, perché a volte è impossibile tornare adessere come prima”

“Ne ho paura perché penso che sia un processo dinormalizzazione che voglia farci essere tutti ugualicome ci vogliono gli altri, cioè i nostri genitori”

“Ho paura che mi cambi la mente”Queste risposte testimoniano dei limiti e anche

delle ambiguità del processo riabilitativo e conferma-no quanto il nostro lavoro debba continuare perché lepreoccupazioni espresse dei pazienti si possanomostrare realmente infondate, come dovrebbero esse-re in un processo riabilitativo ben condotto.

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La qualità e la quantità dei servizi che la AziendaUnitaria Sanitaria Locale n. 11 (ASL 11) di

Empoli è in grado di offrire ai soggetti con disagiomentale dipende, oltre che da numerose variabili,anche dal tipo di connessione e dal livello di integra-zione esistente tra Dipartimento di Salute Mentale(DSM) il e il Dipartimento di Assistenza Sociale(DAS). Muovendo da questa brevissima premessa, ilpresente articolo si propone di evidenziare gli aspettidi maggior rilievo, nonché i principali fattori chehanno determinato la suddetta connessione, a tal fineritengo opportuno descrivere preliminarmente lastruttura organizzativa dell’ASL 11 che, pur presen-tando profili di peculiarità che la differenziano dallealtre Aziende, non ha impedito che si sviluppasseroprogetti comuni tra i due dipartimenti in analisi.

L’Asl 11 di Empoli opera su due zone socio-sani-tarie (Valdarno inferiore ed Empolese Valdelsa), cheinvestono una popolazione di n. 227.039 abitanti.

L’azienda è strutturata in macroarticolazioni (tec-nostruttura, professioni sanitarie, agenzia per la for-mazione, ospedale, assistenza territoriale, settore socia-le e prevenzione) che a loro volta si sviluppano inDipartimenti strutturali-gestionali.

Il lavoro comune tra DSM e DAS è nato già a par-tire dal 1992, anno in cui i due dipartimenti sono staticostituiti, trovando il servizio sociale spazio nelDirettivo del DSM fin dalla nascita del medesimo;inizialmente hanno prestato la loro attività due assi-stenti sociali (uno per ciascuna zona) e dal 1996 si èaggiunto ad essi un operatore per ciascuna zona e sot-tozona - Valdarno inferiore, Empolese e Valdelsa - inmodo tale che tutte le realtà territoriali fossero rappre-sentate e quindi anche gli aspetti peculiari ed i bisognidella zona e sottozona.

Qual è il presupposto per poter sviluppare unaintegrazione tra i due dipartimenti che crediamonecessaria per l’assistenza alle persone con disagiomentale?

Senza dubbi di sorta tale presupposto può essereindividuato nella condivisione di una missione comu-ne che nella nostra realtà nasce e si sviluppa attraverso

la costruzione di un rapporto di “fiducia” e di inter-scambio tra i due dipartimenti. Missione comune che,in estrema sintesi, può essere definita attraverso l’indi-viduazione dei seguenti “sotto-obiettivi”:

� sostenere il diritto di cittadinanza della personacon disagio mentale nel corso delle fasi della vita, nelrispetto della vulnerabilità;

� prevenire ed ostacolare ogni forma di istituzio-nalizzazione;

� valorizzare le opportunità/ risorse sociali del ter-ritorio;

� promuovere la tolleranza della diversità (destig-matizzare = diversi, uguali).

Resta da chiedersi quale sia in termini di fattibili-tà il contributo che il Dipartimento di AssistenzaSociale e, quindi, il servizio sociale professionale haapportato nella lettura della domanda e nell’organiz-zazione dell’offerta dei servizi.

Ricorrendo ancora una volta ad un’utile schema-tizzazione, è possibile affermare che il servizio sociale,durante la sua “incursione” all’interno del DSM, pos-sa:

� essere elemento di equilibrio tra le risorse socialie le risorse sanitarie;

� portare una conoscenza del territorio e delle suerisorse ed opportunità;

� mettere a disposizione l’utilizzo delle strutturedel sociale per alcune fasi del processo di cura;

� facilitare processi di desanitarizzazione laddove ilbisogno non è di tipo sanitario.

L’ultima delle funzioni elencate rende opportunauna precisazione. Preme infatti evidenziare che i sog-getti con disagio mentale possono esprimere bisogniche sono determinati non solo dal loro stato clinico,ma anche da esigenze e condizioni di vita che nonsempre sono riconducibili alla malattia, anche se lamalattia spesso li influenza. I soggetti in parola infattipossono esprimere bisogni di indipendenza economi-ca, di autonomia dalla propria famiglia, esprimere“bisogni di normalità” che devono essere soddisfatti.

Un ulteriore aspetto dell’integrazione tra i due

La cultura tecnico-organizzativa del servizio sociale nel DSM

Erica Falaschi*

* Direttore dei servizi sociali - ASL 11 Empoli

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dipartimenti che ritengo meritevole di approfondi-mento è quello di tipo operativo.

Come affermato in premessa, il servizio socialeopera sia nel direttivo del DSM, sia nel presidio socio-sanitario presente in ogni Comune.

Nel direttivo del DSM, il servizio sociale (n. treoperatori) prende parte alla vita del DSM con leseguenti modalità:

a) riunioni d’équipe (scambio di culture, assimila-zione di un linguaggio comune) operative, formative edi sostegno allo sviluppo della mentalità gruppale;

b) formazione del DSM;c) collaborazione alla gestione delle strutture del

DSM, in particolare le Residenze assistite e i Gruppiappartamento;

d) esercizio di una funzione di intermediario traoperatori del DSM ed altri Assistenti sociali che ope-rano nei vari presidi socio-sanitari.

Questa ultima funzione è di particolare importan-za. Attraverso la partecipazione alla vita del DSM glioperatori hanno infatti sviluppato “una competenzaprofessionale speciale” utile e necessaria per trattare ildisagio mentale, rappresentando al contempo “ilpunto di riferimento” per gli assistenti sociali che ope-rano nel presidio socio-sanitario.

Il servizio sociale professionale, che opera invecenel presidio socio-sanitario mette a disposizione dellapersona con queste problematiche e degli operatoridel DSM, prestazioni e competenze proprio del servi-zio, quali il segretariato sociale, il sostegno economico,l’assistenza domiciliare, l’attivazione, per certi casi diuna tutela giuridica quale l’amministratore di soste-gno. Con lo psichiatra, organizza e segue con verificheperiodiche, gli inserimenti socio-terapeutici (attual-mente sono in carico n. 72 utenti); individua, in basealle competenze dei pazienti, corsi di formazione pro-fessionale e si occupa, utilizzando i Centri per l’impie-go, di avviare tirocini formativi ed inserimenti lavora-tivi(Legge n. 68/1999).

Al luce di quanto osservato, sembra utile segnala-re due progetti che sono stati sviluppati nell’ASL 11dal DSM e ai quali il servizio sociale ha partecipatoattivamente. In particolare, il primo progetto risultaincentrato sull’attribuzione al soggetto con disagiomentale degli strumenti, sia personali, sia professiona-li, necessari perché possa raggiungere un ruolo lavora-tivo il più possibile produttivo attraverso l’inserimen-to lavorativo in imprese non profit(è stata costituitauna cooperativa di tipo B “Pegaso”) e in Ditte Privatee Enti pubblici, utilizzando le possibilità offerte dalcd. “collocamento mirato” (legge 68/1999)1.

Il secondo dei progetti di cui sopra si è invece indi-rizzato verso il soddisfacimento di un altro bisogno

primario, ossia la ricerca di una abitazione, allorquan-do la persona si trovi nella condizione di non poterrimanere nel proprio ambiente di vita o che sia oppor-tuno uno svincolo definitivo dalle relazioni familiari.A sostegno di tale obiettivo, sono state messe a dispo-sizione dell’utenza alcune “case di solidarietà”, ossiaappartamenti privati messi a disposizione da unpaziente o dalla sua famiglia per dare ospitalità a sog-getti sostenuti da un servizio domiciliare. Le case disolidarietà sono attualmente quattro e ospitano n. 11persone2.

Anche con le altre Unità operative del DSM, psi-cologia e neuropschiatriainfantile, il percorso si è svi-luppato in maniera analoga, attraverso la condivisioneed il sostegno di progetti comuni.

In termini conclusivi, preme infine sottolineareche per operare e sviluppare una effettiva integrazionetra il servizio sociale e DSM è essenziale condividere:

1. in termini generali, i progetti ed una “mission”comune;

2. la formazione su progetti specifici;3. le risorse (umane e finanziarie);4. i differenti “saperi” e le competenze specifiche

afferenti ciascuno dei Dipartimenti.

1 Fonte:V. Quattrocchi - 6° Conferenza servizi socio-sanitari- ASL11 diEmpoli2 Fonte:V. Quattrocchi - 6° Conferenza servizi socio-sanitari-ASL11 diEmpoli

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Le Unità Funzionali Salute Mentale Infanzia eAdolescenza (UFSMIA) sono strutture organizzativeterritoriali (di 2° livello) di produzione ed erogazionedi servizi sanitari e socio-sanitari della RegioneToscana. Insieme alle UFSMA, sono espressionizonali dei DSM che, in aderenza al Piano SanitarioRegionale 2005-2007 e come organismi di coordina-mento tecnico-scientifico, garantiscono la qualità el’efficienza delle prestazioni erogate.

Il mandato delle UFSMIA (DGR n. 596 del 16-6-2003) è di realizzare gli obiettivi generali dei DSM perla popolazione di riferimento in età evolutiva (da 0 a18 anni): prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazionedelle patologie neurologiche, neuropsicologiche e psi-chiatriche dell’infanzia e dell’adolescenza e di tutti idisordini dello sviluppo del bambino nelle sue varielinee di espressione (18-20% pop. generale 0-18). Taliobiettivi vengono perseguiti con l’apporto operativointegrato di professionisti appartenenti alle disciplinedi Neuropsichiatria Infantile, Psicologia, RiabilitazioneFunzionale e Assistenza Sociale e con la collaborazionedi personale amministrativo ed infermieristico e di altrioperatori non medici, attraverso: la presa in caricocomplessiva e longitudinale di tutte le situazioni clini-che che lo richiedono (comprese le disabilità gravi ecomplesse); la diagnosi, la cura e la riabilitazione dellepatologie diagnosticabili senza particolari accertamentistrumentali che necessitino di ricovero; il controllo e iltrattamento delle patologie diagnosticate presso i cen-tri di 3° livello; gli interventi nelle scuole di ogni ordi-ne e grado ai sensi della L.104/90 e nel rispetto dei pro-tocolli di intesa vigenti.

IL METODOSalvaguardare la salute mentale del soggetto in età

evolutiva significa prevenire, per quanto possibile, glieventi patogeni capaci di compromettere lo sviluppoe quindi un’armonica strutturazione della personalità.Per la rapida e continua maturazione del sistema ner-voso e l’altrettanto rapido e continuo realizzarsi dellosviluppo dell’individuo, qualsiasi evento patogeno neiprimi anni di vita può indurre un disturbo neuropsi-

chico. Il bambino, ad esempio, che presenti la com-promissione di una o più funzioni rischia non solo didiventare “settorialmente” limitato, ma anche divedere compromessa globalmente la propria saluteneuropsichica qualora il deficit non venga precoce-mente riconosciuto e il bambino stesso non sia presoin carico sul piano terapeutico e riabilitativo primache il medesimo deficit si faccia “pervasivo”. Ne deri-va che il riconoscimento e il trattamento precoci diuna patologia o di una distorsione dello svilupporisultano più efficaci di quelli tardivi, sia in camponeuroevolutivo che psicopatologico, e sono in gradodi ridurre sia la disabilità residua che il carico assi-stenziale a lungo termine. Altresì, i sintomi di presen-tazione di tali disturbi non sono tipici e la loro inten-sità non è sempre correlata con la gravità clinica, percui la diagnosi richiede una valutazione complessivadella storia, dell’osservazione clinica, dei dati stru-mentali e del contesto ambientale e, soprattutto, unaformazione specificamente orientata ai disturbi dellosviluppo e all’integrazione delle esperienze dei clinicie di tutti gli operatori coinvolti.

Nei disturbi neuropsichici dell’età evolutiva, ilprocesso diagnostico e l'impostazione del progetto te-rapeutico/riabilitativo sono perciò il frutto di una va-lutazione globale multiprofessionale specifica: lacompetenza specialistica non è espressa da un singoloprofessionista ma dal lavoro di un’unità operativastabile e specificamente formata ad operare conmodalità che garantiscano continuità tra spazio ospe-daliero e spazio territoriale ed assicurino appropria-tezza e completezza nella diagnosi, precisione e ade-guatezza del progetto, coerenza e continuità degliinterventi e verifica degli esiti nel corso del tempo.

Né la Neuropsichiatria Infantile né la PsicologiaClinica né la Riabilitazione Funzionale possono quin-di lavorare da sole, rendendosi necessaria la collabo-razione tra loro e l’interazione con molte altre profes-sioni. Allo stesso tempo, una sovrapposizione parzia-

Le unità funzionali salute mentale,infanzia e adolescenza (URSMIA):

stato attuale e prospettiveMauro Camuffo*

* Direttore UO Neuropsichiatria Infantile A. USL 9Grosseto. Responsabile SINPIA Sezione Toscana

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le di competenze e di linguaggi risulta essenziale perpoter discutere ed attuare le indispensabili integrazio-ni operative interprofessionali. In altri termini, men-tre il nucleo tecnico operativo delle professioni rima-ne stabile anche se dinamico, le stesse hanno una solapossibilità per assolvere compiutamente alle finalitàspecifiche che derivano dalla loro azione nel campodelle patologie dello sviluppo: agire attraverso unmodello operativo fondato sul lavoro di gruppo mul-tiprofessionale e sulla collaborazione-interazione congli altri operatori sanitari dell’età evolutiva e per gliadulti e con il complesso dei servizi sociali ed educa-tivi. Tale metodo di lavoro accomuna (in Toscana maanche nel resto d’Italia e in Europa) tutti gli operato-ri delle equipe curanti di “neuropsichiatria infantile,psicologia e riabilitazione dell’età evolutiva”, nellavarietà delle diverse terminologie utilizzate per defini-re servizi con linee di produzione di fatto sovrappo-nibili e ferme restando le specifiche competenzeosservative, strumentali, diagnostiche, terapeutiche eriabilitative di ciascuna professionalità.

I PUNTI DI FORZALe UFSMIA toscane, laddove esistenti e dotate

delle necessarie professionalità, appaiono accomunatedalle medesime modalità operative e dai medesimivalori di riferimento (centralità dell’utente e della suafamiglia, buona qualità della vita del bambino comepresupposto fondamentale del suo sviluppo sano edarmonico, universalismo ed equità, massima integra-zione scolastica e sociale del disabile ecc.) ed in gradodi affrontare, attraverso un buon radicamento nel ter-ritorio e il lavoro di rete, tutto lo spettro dei disturbineuropsichici dell’età evolutiva con un’adeguata qua-lità degli interventi. Ne sono prova: l’alta prevalenzadei contatti nel corso degli anni (prevalenza mediasuperiore al 5% per la quasi totalità delle A.USL nel-l’ultimo anno di cui sono noti i dati ufficiali: 2001);gli ottimi risultati delle verifiche della soddisfazionedell’utenza effettuate nel 2004 e nel 2005; gli strettirapporti di collaborazione con i centri di riferimentodi 3° livello, che tengono alto il livello dell’aggiorna-mento e della formazione.

Nell’attesa che il Sistema Informativo Toscano perla Salute Mentale possa fornire dati omogenei edattendibili, un’indagine campionaria condotta in ser-vizi che registrano regolarmente i codici diagnosticiICD10 (psichiatrici e non), pur tenendo conto dellimite rappresentato dall’indicazione di una sola dia-gnosi che non consente di fotografare la comorbidità,ha consentito di rilevare per l’anno 2002 un amplis-simo case-mix, con le seguenti, approssimative fre-quenze di riscontro: patologia neurologica (paralisi

cerebrali infantili, epilessia, ecc.) 20%; patologia neu-ropsicologica (disturbi specifici del linguaggio e del-l’apprendimento, ritardo mentale ecc.) 30-40%;patologia psichiatrica (sindromi affettive e nevroti-che, disturbi della condotta, sindromi da alterazioneglobale dello sviluppo psicologico, ecc.) 30-40%.

Le UFSMIA esistenti (26) raccolgono al lorointerno (dati 2005) oltre 100 medici specialisti inneuropsichiatria infantile (91,1 tempo pieno-equiva-lenti), oltre 100 psicologi clinici (88,7 tpe), 179 ope-ratori della riabilitazione (logopedisti,fisioterapisti/terapisti della neuropsicomotricità del-l’età evolutiva; 150,1 tpe), 84 operatori del compartodi altra tipologia professionale (ed. prof., inf., amm.,ecc.; 49,9 tpe). Risorse umane, organizzate comun-que per lavorare in equipe ma prevalentemente impe-gnate a gestire un’utenza “tradizionale” (sovrapponi-bile per almeno il 50% alla popolazione con handi-cap), rappresentata soprattutto da bambini/ragazzicon disturbi neurologici e/o psichiatrici gravi o condisturbi significativi delle funzioni superiori. Per glialtri utenti, che raggiungono i servizi per disturbimeno gravi e invalidanti, l’accesso o l’invio continua-no a dipendere da molteplici fattori, con particolareriferimento alla maggiore sensibilità dei genitori e/odegli educatori, al tipo di sintomi e alla diversa rispo-sta fornita dai servizi stessi.

LE CRITICITÀIl numero di utenti che afferiscono alle UFSMIA

è molto aumentato negli ultimi anni. Il rischio, datele risorse in progressiva diminuzione, è che semprepiù bambini e ragazzi vengano “visti” o al massimovenga “fatta diagnosi” senza che si riesca poi a forniregli interventi necessari. Conseguentemente: troppipazienti ricevono tipologie di assistenza che non sonoquelle di cui hanno bisogno; una quota di utenti, nongestiti in modo corretto e in assenza di una rete effi-cace, continua a “girare” ripetutamente alla ricerca dirisposte, determinando un’inutile duplicazione degliinterventi; la fascia dell’utenza più grave è spessopenalizzata a vantaggio di quella più lieve, che dàmaggiori risultati con minori risorse; ciononostante,una quota di utenza lieve non trova spazio nei servizie rischia di trovarne sempre meno in futuro; al com-pimento dei 18 anni i bisogni sanitari e di presa incarico dei ragazzi disabili sembrano sparire; gli adole-scenti con disturbi psichiatrici gravi continuano a tro-vare risposte inadeguate, soprattutto nei momenti dicrisi; i servizi raramente riescono a lavorare sulla pre-venzione e sulla sensibilizzazione del territorio.

La non corrispondenza tra Direzione di UO eResponsabilità di UFSMIA (i Responsabili sono psi-

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cologi in 9 casi e medici in 17 casi; di questi ultimi,7 sono anche Direttori di UO) e la differenziazionespesso teorica tra strutture semplici e complesse espri-mono solo in parte una variabilità organizzativa chevede come prima causa la diversa dotazione di orga-nici. Ad UFSMIA più dotate (per tradizione, pergestione illuminata, per vicende casuali) e presumi-bilmente meglio organizzate, si affiancano UFSMIAdecisamente sottodimensionate (la maggioranza), percarenza generale di personale di tutte le professionali-tà, ed UFSMIA esistenti quasi solo sulla carta (unaminoranza), in cui “Unità” sta per attività di uno o dipochi specialisti, magari appartenenti alla medesimadisciplina.

In particolare, la permanenza della riabilitazionedell’età evolutiva al di fuori delle UFSMIA in troppestrutture (6 nel 2006) segnala un contrasto stridente:da una parte l’effettiva integrazione multidiscplinarenelle equipe delle UFSMIA, dall’altra servizi di riabi-litazione composti, di fatto, da soli riabilitatori. Anchein questi casi, la spinta centrifuga delle diverse catego-rie di operatori verso la costituzione di servizi “separa-ti”, con l’unico fine di mantenere l’identità professio-nale attraverso l’isolamento e l’autoreferenzialità cul-turale e gerarchica, appare quanto mai foriera didanni, producendo e giustificando soluzioni inefficacinella pratica oltre che inefficienti tecnicamente.

LE SOLUZIONI ALLE CRITICITÀÈ evidente che i fondi destinati attualmente alla

salute mentale non possono comprendere anche leUFSMIA, per le quali devono essere destinati fondispecifici. Allo stesso tempo appare indispensabile larevisione degli attuali sistemi di finanziamento deiservizi per l’età evolutiva e la costruzione di meccani-smi di garanzia che da un lato vincolino i DirettoriGenerali, dall’altro controllino l’equilibrio degli inve-stimenti tra le diverse tipologie di strutture e tra lediverse tipologie di utenza.

L’esigenza di intercettare la popolazione “som-mersa” (in particolare quella cruciale tra 0 e 6 annid’età, allorquando l’epoca ideale e quella reale dellediagnosi a più alto impatto sulla vita degli utenti e deiservizi sono ancora troppo distanti) e di rendere quin-di l’attività sempre più preventiva e sempre menocurativa in senso stretto, richiede da una parte unaprogrammazione degli interventi, dall’altra una mag-giore visibilità ed accessibilità dei servizi, anche attra-verso una collaborazione sempre più stretta con la

scuola, i servizi sociali, la rete pediatrica e le UFSMA.Il maggiore impegno sulla diagnosi (in loco, con-

divisione con le famiglie, linee-guida ecc.), sulla presain carico (diversificazione per aree tematiche, interorange di interventi ecc.) e sulla valutazione degli esiti(con strumenti specifici per patologie e fasce d’età)attiene alla responsabilità degli operatori coinvolti,tesi a recuperare, negli ultimi anni, il terreno perdutosul piano della gestione di qualità, in primis dellaqualità manageriale. Il potenziamento degli interven-ti per la patologia psichiatrica adolescenziale, i DCAe la salute mentale perinatale dipende da una partedalla tenuta dei servizi territoriali esistenti, dall’altradall’effettiva integrazione di percorsi tra UFSMIA eUFSMA, nonché dalla realizzazione di quanto previ-sto dal PSR relativamente a strutture residenziali e apossibilità di ricovero.

In definitiva, proprio quando il modello dell’e-quipe multidisciplinare è accettato e sostenuto intutta Europa, non applicarlo significa tollerare un dis-ordine organizzativo inaccettabile per un settore cosìcentrale per la sanità pubblica e che nulla può garan-tire in assenza dei due criteri-cardine: mandato speci-fico e comprensivo per l’età evolutiva (prevenzione,diagnosi, cura e riabilitazione di tutti i disturbi neu-ropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza) e unicaunità organizzativa di appartenenza per gli operatoriche a questo mandato devono rispondere.

RIASSUNTOIl mandato delle UFSMIA comprende la preven-

zione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione dellepatologie neurologiche, neuropsicologiche e psichia-triche dell’età evolutiva. Tali obiettivi possono essereperseguiti solo con l’apporto operativo integrato diprofessionisti appartenenti a discipline diverse (neu-ropsichiatria infantile, psicologia clinica e riabilitazio-ne funzionale, con la collaborazione di personaleinfermieristico e amministrativo e di altre figure nonmediche), in numero adeguato e con formazione spe-cificamente orientata ai disturbi dello sviluppo. Ilnumero degli utenti in continuo aumento e la per-manenza di stridenti disomogeneità organizzativerichiedono da una parte la definizione di fondi speci-fici e vincolati per la salute mentale in età evolutiva,dall’altra un miglioramento della gestione di qualitàdegli interventi e, comunque, la tutela del modello dilavoro basato sul gruppo multiprofessionale, inclusi-vo degli operatori della riabilitazione.

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La riforma del sistema sanitario ha avviato un proces-so di cambiamento che ha posto al centro del siste-

ma l’individuo con i suoi bisogni di salute, rispetto adun modello centrato sui servizi erogati.

La centralità del cittadino comporta come direttaconseguenza la policentralità delle competenze in rela-zione ai bisogni di salute rilevati, che richiedono a lorovolta un’organizzazione per funzioni, finalizzate alla rea-lizzazione del Percorso Assistenziale.

La centralità del paziente e l’integrazione di piùcompetenze nella realizzazione di un percorso assisten-ziale personalizzato sono parte integrante della culturadei servizi di riabilitazione neuro-psichica dell’età evo-lutiva. Negli istituti medico-psico-pedagogici (nei qualii pazienti con grave handicap erano internati), nellescuole speciali e differenziali, nei centri di igiene men-tale hanno sempre operato in Italia équipe multiprofes-sionali composte da medico, psicologo, assistente socia-le, ortofonisti, fisioterapisti, educatrici ortofreniche, etale assetto multidisciplinare è stato mantenuto nell’or-ganizzazione dei servizi territoriali ambulatoriali, strut-turatisi con la definitiva deistituzionalizzazione delbambino portatore di handicap.

L’esigenza della centralità del bambino, il senso dellavoro “per” e “con” i bambini, le competenze del ser-vizio rispetto al territorio, le caratteristiche del lavoro diéquipe sono state oggetto del dibattito culturale deglianni 70 nel settore della neuropsichiatria infantile delterritorio. Ricordiamo il contributo di MilaniComparetti già negli anni 60 a proposito della necessi-tà di una medicina riabilitativa e interdisciplinare per ibambini portatori di handicap. La centralità del pazien-te ha comportato da tempo per noi, precorrendo alcu-ni cambiamenti culturali e legislativi, un’organizzazionedel lavoro finalizzata alla definizione di percorsi riabili-tativi integrati.

Rispetto al passato ora poniamo un’attenzione mag-giore alla definizione delle professionalità e alla specifi-cità degli interventi, contrapposte al rischio di unainterpretazione superficiale e banalizzante della globali-tà dell’intervento, che, negli ultimi anni, si è articolatainvece nella individuazione sempre più raffinata del

proprio specifico professionale.Sono mutate molte cose anche sul piano organizza-

tivo e gestionale, a partire dagli anni 90. I D.L. 502/92,517/93 e 229/99 hanno avviato un processo di «azien-dalizzazione», che delega alle Regioni le funzioni di pro-grammazione sanitaria e di progettazione dei modelli difunzionamento dei sistemi locali, riconoscendo autono-mia imprenditoriale alle strutture erogatrici dei servizi eindicando il modello dipartimentale quale soluzioneorganizzativa finalizzata a coniugare istanze di raziona-lizzazione nell’uso delle risorse e di coordinamento peruna migliore qualità della risposta ai bisogni di salute.

Parallelamente al processo di trasformazione delSistema Sanitario, anche lo scenario degli operatorisanitari ha subito profondi cambiamenti. Sono stateinfatti emanate diverse norme riguardanti la loro pro-fessionalità; ci riferiamo ai DM istitutivi dellaProfessioni Sanitarie della Riabilitazione, individuate eregolamentate ai sensi del D.L. 502/92 e successivemodificazioni ed integrazioni, che operano all’internodell’UFSMIA:

� Fisioterapista, DM 741/94;� Logopedista, DM 742/94;� Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età

evolutiva, DM 56/97;� Educatore Professionale, DM 520/99.La L. 26/2/99 n. 42, recante “Disposizioni in mate-

ria di Professioni Sanitarie”, sancisce all’articolo 1 lasostituzione della denominazione di «professione sani-taria ausiliaria» con quella di «professione sanitaria» eall’articolo 2 indica «la determinazione del campo pro-prio di attività e di responsabilità delle professioni sani-tarie, determinato dai contenuti dei DM istitutivi deirelativi profili professionali e degli ordinamenti didatti-ci dei corsi di diploma universitario o di formazionepost-base, nonché degli specifici Codici deontologici».

Lo sviluppo e la valorizzazione delle funzioni delleprofessioni sanitarie dell’area della Riabilitazione trova

La professionalità degli operatori dellaRiabilitazione Funzionale nella complessità

dell’UFSMIAMarcella Biagi*, Alessandra Zoccali**

*Fisioterapista, Coordinatore Personale di Riabilitazione, UFSMIA, AUSL n. 2 Lucca**Logopedista, UFSMIA, AUSL n.2 Lucca,

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conferma nella L.n.251/2000, “Disciplina delleProfessioni Sanitarie Infermieristiche, Tecniche, dellaRiabilitazione, della Prevenzione nonché dellaProfessione Ostetrica”, che all’articolo 2, comma 1, san-cisce: «gli operatori delle professioni sanitarie dell’areadella Riabilitazione svolgono con titolarità ed autono-mia professionale, nei confronti dei singoli individui edella collettività, attività dirette alla prevenzione, allacura, alla riabilitazione e a procedure di valutazione fun-zionale, (concetto già descritto dalla Legge 104/92,quando sancisce la partecipazione dell’operatore dellariabilitazione alla diagnosi funzionale per il PEI), al finedi espletare le competenze proprie previste dai relativiprofili professionali».

All’articolo 2, comma 2, stabilisce che «lo Stato e leRegioni promuovono, nell’esercizio delle proprie fun-zioni legislative, (…), lo sviluppo e la valorizzazionedelle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione, alfine di contribuire, anche attraverso la diretta responsa-bilizzazione di funzioni organizzative e didattiche, allarealizzazione del diritto alla salute del cittadino, al pro-cesso di aziendalizzazione e al miglioramento della qua-lità organizzativa e professionale nel Servizio sanitarionazionale, (…)».

Infine la L. n.43/2006 prevede di istituire per leprofessioni tecniche - sanitarie i relativi ordini profes-sionali, nonché la funzione di coordinamento per glioperatori in possesso del Master di primo livello inmanagement.

Elevato livello qualitativo dei sevizi offerti implicaquindi una definizione della professionalità, che identi-fichiamo in quell’insieme di conoscenze, competenze eatteggiamenti del singolo operatore, i cui determinantisono sia qualità tipiche del profilo, sia qualità generichedel terapeuta. Essa si estrinseca non solo nella capacitàdi corretta esecuzione tecnica di una determinatamanovra di intervento, ma anche nella capacità di inter-pretazione e individuazione dei percorsi terapeutici piùadeguati rispetto al singolo caso trattato1.

I percorsi terapeutici si sviluppano a partire dallavalutazione multidimensionale dei bisogni rilevati,attraverso una progettualità interdisciplinare, alla qualeconcorrono le diverse professionalità, che si fannogaranti dell’obiettivo di salute assunto. La StrutturaFunzionale è garante dell’insieme del processo assisten-ziale e dell’integrazione delle diverse funzioni operativeimpegnate al raggiungimento di tale obiettivo; le UnitàOperative, che esprimono funzioni operative necessarieal raggiungimento degli obiettivi di salute assunti, sonoresponsabili a loro volta della qualità professionale delleperformance e dei risultati conseguiti. Ogni attività pre-sente nella attuazione di un processo assistenzialerisponde quindi a due direttrici di riferimento: quella

professionale (qualità della performance e dei risultatiad essa riferiti) e quella funzionale (integrazione dellediverse professionalità, responsabilità di budget e quali-tà del processo).

All’interno delle UFSMIA, la realizzazione di per-corsi integrati, la capacità di lavoro in équipe, il rispet-to dei vincoli posti dall’azienda presuppone prerequisitiprofessionali ed organizzativo-funzionali atti a garantirequesto tipo di funzionamento:

� La dimensione professionale: Una complessa esofisticata competenza professionale da parte degli ope-ratori componenti l’equipe, per assicurare un’appro-priata diagnosi funzionale, che si esplica nella indivi-duazione delle disabilità derivanti dalla patologia pre-sentata, nella valutazione delle competenze presenti e diquelle potenziali ed infine nelle proposte di interventiterapeutici “ecologici”, capaci di promuovere i cambia-menti possibili.

� La dimensione organizzativa –funzionale: La pre-senza di un assetto organizzativo adeguato alle esigenzedi un lavoro coordinato tra operatori appartenenti adiversi discipline, al fine di garantire la realizzazione diun processo assistenziale efficace e di qualità.

Una valutazione multidimensionale comportaanche la considerazione del soggetto nel suo rapportodinamico con il contesto e, rispetto alla possibilità diinterventi nel contesto che incidano sulla qualità dellavita (non direttamente di nostra competenza), la neces-sità di livelli superiori di integrazione: un livello socio-ambientale e un livello multi-istituzionale. La presenzadi diverse professionalità all’interno dei nostri servizicomporta anche l’esigenza di condividere linee guida elinguaggi settoriali, al fine di consentire uno scambio diinformazioni relative a procedure e progetti terapeuticifluido e corretto.

A monte della formulazione ed attuazione di unpercorso riabilitativo, vi è la presa in carico, concettochiave del modo di operare nella salute mentale, dalbambino e all’adulto.

La presa in carico del bambino affetto da patologieche investano l’ambito motorio, linguistico, psichiatri-co rappresenta idealmente uno spazio di pensiero a luidedicato, dove possono essere accolte e condivise lediverse problematiche sofferte dal bambino e dalla suafamiglia e dove sono proposti gli interventi più appro-priati per affrontarle e renderle tollerabili. Essa rappre-senta l’elemento di continuità del progetto terapeutico,poiché lo accompagna longitudinalmente per tutta lasua storia riabilitativa, dal momento della comunicazio-ne della diagnosi iniziale, prendendosi cura del bambi-no, della famiglia e del contesto sociale in cui il bambi-no vive. Essa è il prodotto di molteplici funzioni, all’in-terno del gruppo interdisciplinare, ed è espressione del

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processo messo in atto dal gruppo nel suo insieme,anche se ad una specifica figura, in genere al neuropsi-chiatria infantile, viene tuttavia riconosciuta una fun-zione preminente, riconducibile alla competenza pro-gettuale dell’intero processo riabilitativo.

Una efficace presa in carico dipenderà in larga misu-ra dalla reale consapevolezza con cui l’operatore e tuttal’équipe di lavoro affronta le problematiche relative adun lavoro di questa natura, dalla capacità progettualenel definire ruoli, confini d’azione e responsabilità perogni soggetto coinvolto, alla abilità di rapportarsi congli enti e con le singole persone nella relazione terapeu-tica con il paziente, al saper infine adattare i contenutiche devono essere trasmessi alle diverse aspettative,competenze e richieste.

Secondo attore, esterno al servizio, del progettoriabilitativo, è in genere la famiglia.

In molte situazioni possiamo affermare che non èsolo il soggetto portatore della patologia, ma l’interonucleo familiare ad essere soggetto della presa in carico.A prescindere dalle situazioni di maggiore sofferenzanelle quali può emergere la necessità di un sostegno psi-cologico rivolto ai familiari, sempre necessario appareun counseling al fine di modificare quei comportamen-ti dei familiari che non favoriscono o ostacolano il pro-gredire a buon fine dell’intervento terapeutico propo-sto, oppure con la finalità di trasferire contenuti e tec-niche utili alla realizzazione di alcuni aspetti della tera-pia presso il domicilio del paziente. Questo può consi-stere nella richiesta di mettere in atto precisi “compor-tamenti terapeutici”, come ad esempio avviene nei dis-turbi pervasivi dello sviluppo, ma anche in tutte le altrepatologie in cui l’attuazione di certe modalità di com-portamento risulta nociva all’evoluzione del nucleoverso la conquista di un maggiore benessere e delpaziente verso il raggiungimento di precisi obiettiviterapeutici. In altre situazioni, come avviene spesso inpatologie del linguaggio quali i disturbi fonologici onelle patologie motorie come ad esempio le paralisicerebrali infantili, l’intervento tecnico si esplica con larichiesta rivolta ai familiari di realizzare precisi eserciziche rinforzano le competenze acquisite. Il counselingviene realizzato da ogni membro dell’équipe di lavoroin relazione alle sue sfere di competenza. Si evince daquesto come sia essenziale la programmazione congiun-ta degli interventi al fine di fornire indicazioni tra lorocongruenti e quanto sia importante saper valutare ilgrado di recettività del nucleo familiare, la possibilità dicomprensione di specifici contenuti, la capacità dimodificare i propri comportamenti senza alterare inmaniera innaturale la propria relazione col bambino e lacapacità di gestire le indicazioni fornite in maniera nonansiogena.

Altro attore spesso fondamentale nella realizzazionedel progetto terapeutico è la scuola. Per i bambini certi-ficati la scuola può divenire sede di interventi specificirealizzati mediante gli insegnanti di sostegno. Per lescuole è fondamentale ricevere consulenza sia per quelche concerne gli aspetti di gestione del paziente (postu-re facilitanti, utilizzo di ausili relativi sia agli aspettimotori che comunicativi, indicazioni sulle modalità dialimentazione), sia per quanto concerne la stesura diprogrammi individualizzati oppure (come avviene adesempio nei casi delle dislessie) modalità di trasmissio-ne facilitata dei contenuti.

I terapisti si trovano infine ad interagire con i servi-zi offerti dal territorio, maggiormente gli educatori, lacui assegnazione viene definita in relazione ad accordipresi con i servizi sociali dei comuni e dell’azienda sani-taria. Anche in questo caso la programmazione deveessere puntuale e gli ambiti di intervento e di eventualesovrapposizione di specifici elementi terapeutici esplici-tata e condivisa.

Nella UFSMIA della ASL di Lucca gli interventiattuati in maniera integrata dagli operatori della riabili-tazione riguardano fondamentalmente:

1) Interventi terapeutici rivolti ai pazienti nellafascia di età 0-18 anni (individuali e – meno frequen-temente – in piccolo gruppo):

� trattamenti riabilitativi logopedici, cognitivi eneuromotori, effettuati da logopedisti e terapisti dellaneuro e psicomotricità dell’età evolutiva;

� attività di riabilitazione psichiatrica, effettuate daeducatori professionali.

2) Attività nel settore dell’handicap ai sensi dellaL.104.

3) Interventi di prevenzione secondaria (scree-ning; interventi diretti o indiretti rivolti a soggetti arischio).

Gli interventi terapeutici rivolti a singoli pazientinel contesto di una presa in carico multiprofessionaleriguardano mediamente il 40% dei pazienti in carico alservizio; le prestazioni riabilitative rappresentano pocomeno di 2/3 delle prestazioni totali della UF. Questidati contribuiscono a sottolineare, a nostro parere, lacentralità del lavoro riabilitativo integrato e l’importan-za della professionalità degli operatori della riabilitazio-ne all’interno di una UFSMIA organizzata secondo leindicazioni dei più recenti PSR.

1 Zuffada E., “Ripensare il ruolo ed il funzionamento degli ordini e delle asso-ciazioni nell’ambito del SSN”, Mecosam, n. 24/97.

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Iriferimenti nella nostra funzione di formazione – aparte le basi tecniche - sono fondati su alcuni principi

metodologici essenziali (vedasi anche Papini 2003): 1) ilprincipio di Dewey, secondo il quale bisogna insegnarenon cosa pensare, ma come pensare; 2) il principio diKant per cui l’essere umano deve essere considerato sem-pre come fine, mai come mezzo; 3) il principio di Jaspersper cui l’ambito psichiatrico è costituito dallo spiegaremedico non meno che dal comprendere umano; 4) cheil concetto di umanizzazione dell’assistenza è superato dalconcetto che il cittadino medico cura il cittadino amma-lato.

Un secondo aspetto nasce dalla onesta verifica dell’i-potesi sostenuta da alcuni psichiatri, psicologi e pediatriche la Neuropsichiatria Infantile possa essere una specia-lizzazione inutile

A questo quesito vale la pena rispondere con un casoclinico (Papini 2003):

Caso clinico. Un bambino di 11 anni venne all’osser-vazione ambulatoriale da una Regione vicina, nella qualei Servizi Territoriali non disponevano di NeuropsichiatriInfantili. Il bambino, certificato con insegnante di soste-gno per “ritardo mentale” fino dalla scuola materna, nelperiodo delle elementari era stato curato per epilessia nonconvulsiva e presentava attualmente una sintomatologiaper cui il suo pediatra aveva sospettato una sindromeneurologica degenerativa. La sintomatologia attuale eracostituita dal peggioramento delle già modeste prestazio-ni scolastiche, inconcludenza nelle attività ricreative, per-dita delle scarse autonomie acquisite (lavarsi, vestirsi dasolo), episodi di blocco psicomotorio (si immobilizzavaanche a metà del passo, rimanendo per molti secondi inposa statuaria, oppure mentre stava parlando tacevaimprovvisamente e a lungo, rimanendo a bocca apertacon lo sguardo fisso nel vuoto, ecc.). I tracciati elettroen-cefalografici eseguiti nel periodo in cui era stato trattatoper epilessia erano del tutto nei limiti della norma e nonsi capiva su che base un Pediatra avesse fatto sommini-strare inutili farmaci antiepilettici al bambino. Sudomande precise rivolte ai genitori, questi ammisero l’ac-centuazione attuale di manifestazioni notate fino dall’etàdi 4 anni. Si trattava di richieste ripetitive e assillanti, di

domande così banali da insinuare negli interlocutoridubbi sulle capacità intellettive del bambino, entrategrossolanamente incongrue e a sproposito in conversa-zioni dei coetanei e degli adulti, ritardi e lentezze sor-prendenti nel compiere gli atti più banali, come indossa-re le scarpe e rituali, come battere ripetutamente allo sti-pite delle porte prima di attraversarle, lavarsi le manimolte volte al giorno, ecc.. La diagnosi di disturbo osses-sivo compulsivo ed un trattamento adeguato consentiro-no uno spettacolare miglioramento con sospensione del-l’insegnante di sostegno.

Non si vuole negare che anche i NeuropsichiatriInfantili possano sbagliare, ma è molto improbabile chele verifiche che fanno parte della metodologia avrebberoconsentito sette anni di errori diagnostici e terapeuticifrustranti per il bambino ed estremamente preoccupantiper la famiglia.

Le competenze cliniche in neurologia e psichiatriadello sviluppo, anche in ambito riabilitativo, sono indi-spensabili per la professione che ha cura di problemi neu-romotori, cognitivi e relazionali dell’età evolutiva. Perchéuna sola professione si deve interessare di tutti e tre que-sti complessi ambiti? Nel lavoro riabilitativo per bambinicon danno neuromotorio il baricentro del trattamento èfino ai tre – quattro anni un prevalente impegno fisiote-rapico e psicologico, per salvaguardare il processo diattaccamento e la relazione primaria (delicato problemadella consegna alla famiglia della diagnosi di patologiaprecoce); dai tre ai sei anni il baricentro operativo è costi-tuito da interventi per le problematiche di comunicazio-ne - linguaggio in particolare -; dai 6 ai 12 anni appren-dimento e socializzazione, mentre in adolescenza il bari-centro del lavoro è d’ordine psicosociale (Papini e Allori,1999). Pertanto una professione che studia prevenzione,diagnosi e terapia dei disturbi neuromotori, relazionali edi apprendimento in età evolutiva costituisce una neces-sità medica non rinunciabile. Ma talora la complessità delcaso clinico rende necessaria tale professione per poterdistinguere la diagnosi e indicare la terapia appropriata,

Il metodo in neuropsichiatria infantile: formazione e professione

Massimo Papini*

* Ordinario di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento diScienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Firenze.

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come nel seguente esempio:Caso clinico: Andrea, 8 m, ricoverato per crisi mio-

cloniche, presentava anoftalmia a palpebre chiuse e gravequadro neuromotorio aposturale. All’ingresso la madreaveva dichiarato di essere fortunata per aver ricevuto daDio la grande prova di mettere al mondo un bambinoprivo di occhi. A. da supino era in grado di ruotare ilcapo in direzione di segnali sonori, sorrideva al suonodella voce dei genitori. Era presente lallazione e sgambet-tava se stimolato afferrava con forza gli oggetti e li rila-sciava con facilità. Peraltro ogni competenza motoria sidissolveva appena il bambino lasciava il piano del letto,alla trazione delle braccia verso la posizione seduta il caposeguiva, assenti le reazione alla sospensione prona, le rea-zioni di equilibrio e i paracadute. Preso in braccio il bam-bino scivolava da tutte le parti. Pertanto era stato sospet-tato un grave disturbo neuromotorio Solo in rari attimi,se molto coccolato, A. tendeva ad innescare un effimerotono dei muscoli del collo. Qualche giorno dopo, nelcorso di una seduta col bambino, richiesta del perché nonlo prendesse mai in braccio, la madre rispose in lacrime:“finché è sdraiato sul lettino ad occhi chiusi mi sembrache dorma ed è come tutti gli altri bimbi, mentre in brac-cio mi sembra morto e mi rinnova l’orrore di quando,appena nato, mi hanno detto che era senza occhi”. Unaterapia di sostegno ai genitori ed una breve fisioterapia adA. ottennero il recupero completo delle competenze mo-torie e relazionali del lattante.

Caso clinico: Adriana, 8, seguita in fisioterapia perdiplegia spastica, dopo un mese di trattamento, appenaentrava nella sala di terapia piangeva disperatamente enon si era in grado di consolarla. Il pianto incrementavatutti i patterns posturali e motori patologici. Venne nota-to che la madre, angosciata e immobile, non partecipavaai tentativi di consolare la bimba. La fisioterapia vennesospesa e si attuarono colloqui con i genitori, da cui risul-tò che la bambina aveva recentemente perduto i ritmiomeostasici, che la madre stava vivendo il trattamentocome intollerabile sfregio nei confronti dell’immagine

della figlia in quanto ne sanciva la disabilità. Venne sospe-sa per 2 mesi la terapia, il cui peso simbolico rischiava dicompromettere il processo di attaccamento. Il trattamen-to fisioterapico venne ripreso in seguito, dopo che sierano ottenute le necessarie chiarificazioni ed elaborazio-ni (comunicazione di Nerina Landi ).

La delicatezza dei passaggi evolutivi nello sviluppopatologico necessita di un medico competente nelle dif-ferenti aree, relazionale, cognitiva e neuromotoria per fareuna diagnosi precisa, una prognosi corretta, per indivi-duare tempestivamente le problematiche adattive emer-genti e selezionare i necessari trattamenti ma soprattuttoper dare al tutto la necessaria continuità del rapportomedico - bambino - famiglia. Ad es. nei casi in cui la con-segna della diagnosi costituisce un trauma per i genitori,per la legge psicologica del trauma ad ogni scalino dellosviluppo del bambino e dell’evoluzione della famiglia, iltrauma della diagnosi dovrà essere rielaborato.

Sicuramente una professione è definita anche dalconfine con le altre, sebbene occorra una sovrapposizio-ne parziale di competenze e di linguaggi per poter discu-tere i casi e poter attuare le necessarie integrazioni opera-tive interprofessionali. Il nucleo tecnico operativo delleprofessioni dovrebbe invece rimanere stabile, anche sedinamico.

Non sono rari purtroppo i casi nei quali una Psicolo-ga, una Terapista della Riabilitazione o una Logopedista,avvertendo determinati bisogni dei bambini e delle fami-glie, tende a dare risposte in ambiti nei quali non è com-petente, spenzolandosi fuori della propria competenzaprofessionale (Papini et al. 1999). Ma proprio per questoquando ad es. un pediatra ricorre ad un trattamentologopedico, saltando l’iter diagnostico, si verificano disolito inconvenienti irrimediabili. Questo è dimostratonei casi in cui la mancanza o la carenza di professionistidi Neuropsichiatra Infantile nei Servizi Territoriali pro-duce l’inconveniente grave del procedere ad interventi etrattamenti senza diagnosi, senza verifiche e senza cono-scenza degli sviluppi patologici.

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Il tema di questo lavoro affronta un argomento cheè trasversale a tutta la psichiatria infantile. Esso

infatti spazia dai primi processi che mettiamo in attoal fine di poter individuare tempestivamente il pro-blema da affrontare (analisi del bisogno), fino allafinale definizione del progetto che ci occuperà alungo nella cura del paziente (percorsi di sostegno).

Tuttavia parlare di bisogno e di sostegno sposta lanostra attenzione da un livello strettamente medico(secondo l’asse fondamentale diagnosi-terapia) ad unlivello più ampio cui fanno riferimento appunto leparole bisogno e sostegno; si tratta di uno sposta-mento dell’attenzione, dall’oggettivo al soggettivo,che ampia e completa l’asse diagnostico-terapeutico eche, senza contrapporsi ad esso, rimanda ad un puntodi vista meno oggettivante; d’altronde la oscillazionetra questi due punti di vista è una delle caratteristichepeculiari della nostra disciplina ma se si vuole anchedi tutta la medicina che non dovrebbe mai dimenti-care la dimensione che fa di ogni paziente un indivi-duo unico non omologabile a nessuna categoria pre-determinata. Bambini con un disturbo nevrotico (seguardiamo alla struttura), o d’ansia (se guardiamo aisistemi categoriali), del tutto simile relativamenteall’asse diagnosi-terapia possono avere bisogni moltodiversi: per alcuni il bisogno principale può esserequello di venire aiutato a frequentare la scuola, peraltri quello di potenziare le attività extrascolastiche,per altri ancora quello di ridurre l’inibizione compor-tamentale e di imparare ad utilizzare meglio le capa-cità intellettive al fine di apprendere. E, piuttosto chein relazione con la diagnosi, è in relazione al bisognoprincipale individuato che il percorso di sostegnomuta la propria direzione e il proprio focus.Potremmo dire che spostarsi dall’asse diagnosi-terapiaa quello bisogno-sostegno ci obbliga ad uscire dallosteccato medico per entrare in contatto ed in intera-zione con quelle aree che sono storicamente nostrevicine di casa quali la psicologia, la pedagogia, lasociologia. Diagnosi e bisogno possono dunque esse-re visti come due facce di una stessa medaglia, o duefasi del lavoro clinico, entrambe necessarie ed in con-

tinua interazione. La esclusione di una delle due aprela strada a due spettri della psichiatria infantile:

1) diventare formulatori di diagnosi e prescrittoridi pillole;

2) restare in un ambito a-diagnostico confonden-do continuamente il bisogno con la diagnosi.

Analisi del bisogno e percorsi di sostegno è ancheun tema che si presta ad essere esaminato a livello dimacro-sistema e a livello di micro-sistema.

Parlando di macrosistema ci si riferisce, per quan-to riguarda l’analisi del bisogno, alle conoscenze deri-vate dall’epidemiologia, e, per quanto riguarda i per-corsi di sostegno, alla organizzazione della rete deiservizi. Parlando di microsistema ci si riferisce al biso-gno così come viene espresso da un singolo indivi-duo, e al sostegno relativamente a come la rete orga-nizzativa dei servizi si adatta al bisogno specifico delsingolo individuo. Per potersi adattare al singolo ènecessario che la rete esista. Diversamente esiste ilrischio di costruire la rete attorno ai bisogni dei sin-goli pazienti.

In che modo l’epidemiologia contribuisce all’ana-lisi del bisogno? Ovviamente non si tratta del bisognocome stato soggettivo espresso dal paziente e dalla suafamiglia ma del bisogno come esigenza della societàdi far fronte ai problemi più emergenti della salutementale. Prenderò in esame tre aree di interesse che larecente epidemiologia dei disturbi infantili ha porta-to in primo piano.

La prima si riferisce allo studio italiano Prismache, essendo l’unico studio epidemiologico sulla salu-te mentale infantile sino ad ora condotto in Italia,dovrebbe rappresentare un caposaldo della psichiatriainfantile italiana. Esso ha riguardato una ampia popo-lazione di preadolescenti tra gli 11 e i 13 anni, nellaquale ha mostrato una prevalenza dei disturbi menta-li di circa il 9% (circa un ragazzo ogni 10 presentaproblemi clinici consistenti) con una netta prevalen-

Analisi del bisogno e percorsi di sostegnoin psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza1

Filippo Muratori*

*Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva, IRCCSStella Maris e Divisione di Neuropsichiatria infantile,Università di Pisa

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za dei disturbi emozionali internalizzati ma con unaprevalenza importante anche per quelli esternalizzati;la ricerca ha messo in evidenza due importanti fatto-ri di rischio (essere figli unici di un genitore singleprivo del supporto della famiglia allargata, o vivere incondizioni socioeconomiche svantaggiate) per lo svi-luppo di disturbi mentali.

In secondo luogo, l’utilizzazione della formainfantile della CBCL comincia a darci una misura deldisagio psichico anche nei bambini piccolissimi neiprimi tre anni di vita. Uno studio condotto a NewHaven nel Massachusetts (Briggs-Gowan, 2001) hamostrato una prevalenza di problemi comportamen-tali ed emozionali in questa età del 11%. Lo stessogruppo ha successivamente mostrato una importantecontinuità dei patterns psicopatologici, sia internaliz-zati che esternalizzati, dalla prima infanzia alla secon-da infanzia e fino alla preadolescenza. Anche questistudi portano in primo piano alti indici di correlazio-ne tra disturbo psicopatologico e fattori di rischiosociale (famiglie svantaggiate, maggiore povertà,basso supporto, ambienti marginali) o familiare (dis-turbi depressivi materni, problemi coniugali, atteg-giamenti educativi oscillanti tra comportamentipunitivi e permissivi, atteggiamenti genitoriali carat-terizzati da rifiuto). Non è ormai più possibile pensa-re a programmare interventi di sostegno individuale,senza valutare la necessità di programmare sistemi disostegno sociale.

Il terzo esempio che vorrei portare è relativo alfatto che l’epidemiologia ci dice che non possiamopiù pensare all’autismo come una malattia relativa-mente rara che interessa 3-4 bambini su 10.000; lestime epidemiologiche più attuali indicano che unbambino ogni 250 (o forse anche ogni 150) presentaun disturbo dello spettro autistico. Come è noto sitratta di bambini con bisogni assolutamente speciali eche necessitano di interventi e di servizi molto spe-cialistici. Non è più possibile pensare che questi bam-bini usufruiscano di trattamenti non adeguatamentepensati per loro (come la psicomotricità o la logope-dia), e non possano usufruire di professionisti specifi-ci preparati alla costruzione del team terapeutico dicui necessitano e che deve coinvolgere attivamente iloro genitori.

In tutti e tre i casi si tratta di conoscenze epide-miologiche che pongono con urgenza il migliora-mento delle capacità di leggere il bisogno e di garan-tire percorsi differenziati di sostegno ai singoli indivi-dui cercando di creare una rete sufficientementeampia per raccogliere tempestivamente questo cre-scente bisogno. Si tratta anche di tre esempi chedimostrano come l’epidemiologia rappresenti un par-

ticolare tipo di analisi del bisogno e di come sia neces-sario che questo tipo di analisi informi la program-mazione sanitaria nella quale possano essere messiall’opera i percorsi di sostegno per i singoli pazienti.Sull’analisi epidemiologica e sulla prevalenza dei sin-goli disturbi mentali infantili dovrebbe infatti basarsiuna moderna organizzazione dei servizi.

Torniamo al microsistema e cioè all’analisi delbisogno come bisogno individuale. Da questo puntodi vista è necessario considerare che il bisogno non èsemplicemente quello che ci viene comunicato ver-balmente dal paziente. Pur non dimenticando chenon raramente i nostri pazienti e i loro genitori sonoin grado di descrivere correttamente il loro bisogno,che coincide quindi con il bisogno reale, e che richie-de una grande attenzione a quanto ci viene detto. Puòtuttavia succedere che il bisogno comunicato verbal-mente sia come uno schermo che nasconde un altrobisogno del bambino e della sua famiglia: la psicoa-nalisi ce lo ha ben insegnato e, nella attuale fase sto-rica di ribellione alla egemonia psicoanalitica, nonpossiamo dimenticare il fondamentale rapporto trabisogno espresso e bisogno nascosto che è uno deitemi più spinosi della nostra disciplina. Sappiamobene che il motivo della consultazione non semprecoincide con il bisogno prevalente del paziente cosìcome è individuato dal clinico. Un bambino può arri-vare per problemi comportamentali e il clinico siorienta verso un disturbo depressivo; un piccolo arri-va con la richiesta di un trattamento del linguaggio eil clinico si trova a dover comunicare la presenza di undisturbo autistico; la crisi psicotica di un adolescentepuò nascondere un abuso di sostanze.

Una via per districarsi in questo complesso rap-porto tra bisogno espresso e bisogno nascosto ci pro-viene dalle nuove conoscenze sui disturbi mentalicome disturbi sempre bio-psico-sociali e che ci per-mettono di leggere meglio il bisogno dei nostripazienti. È possibile portare a tale proposito tre esem-plificazioni che certo non esauriscono questa proble-matica.

1) Dietro il disturbo comportamentale possiamocogliere allo stesso tempo nel nostro paziente: a) ilbisogno di ricevere informazioni e interazioni secon-do il suo specifico funzionamento dei sistemi di rego-lazione;

b) di riequilibrare quegli assetti neurotrasmettito-riali che sono difettosi nell’impulsività;

c) di individuare e correggere gli stili interattiviriverberanti che potenziano lo sviluppo del disturbocomportamentale.

2) Di fronte ad un disturbo schizofrenico dobbia-mo: a) conoscere le potenzialità della terapia farma-

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cologica; b) ma anche i bisogni psicoterapeutici; c) e l’im-

portanza degli interventi psicosociali; senza fermarsialla soddisfazione di uno solo di questi bisogni.

3) Di fronte ad un qualsiasi disturbo mentale nonpossiamo non affrontare:

a) il delicato rapporto tra fattori sociali e familia-ri che possono avere svolto un ruolo traumatico nellavita dell’individuo;

b) come questi fattori interagiscono con la strut-tura del bambino;

c) il grado, o i difetti, della resilienza del bambi-no; concetto quest’ultimo che ha portato a riconside-rare radicalmente il rapporto tra fattori endogeni edesogeni nella psicopatogenesi dei disturbi mentali.

È sempre di più evidente che la natura bio-psico-sociale dell’individuo non può essere smembrata.Cioè non possiamo più dire ‘io mi occupo degliaspetti interni, qualcun altro si occuperà degli aspettibiologici’ oppure ‘io mi occupo della farmacoterapia,qualcun altro si occuperà degli aspetti sociali’. Se ciòè vero per l’analisi del bisogno tanto più vero è per ladefinizione dei percorsi di sostegno che dovrebberoessere sempre in grado di sostenere i bisogni biologi-ci, psicologici e sociali dell’individuo. Un percorso disostegno deve sempre considerare la complessità del-l’individuo pena la frammentazione dell’essere e larinuncia a capire la vera essenza del paziente che citroviamo di fronte. Ciò non vuol dire assumere unatteggiamento generico che non considera la necessi-tà di individuale sempre un percorso di sostegno suf-ficientemente focale e specifico. Focale a volte puòvoler dire scegliere una via unica di ingresso (biologi-ca, psicologica o sociale) relativamente al bisogno cheè stato individuato come prevalente, però sempre ipo-tizzando una reazione a cascata sugli altri ambiti; se,entro un certo tempo (tre mesi?, sei mesi?) tale rea-zione a cascata non avviene dobbiamo pensare che ilnostro intervento non era quello giusto e quindimodificare l’intervento che evidentemente non eraquello adeguato, senza accanirsi e colpevolizzare ilpaziente e la sua famiglia perché i cambiamenti nonci sono stati. ma nella patologia complessa, qualequella con cui sempre più spesso abbiamo a che fare,vuol dire individuare in modo specifico la necessitàdell’individuo ad essere sostenuto in ciascuno dei trecampi che cooperano nella costruzione del disturbopsicopatologico.

Resta da affrontare un ultimo problema: il per-corso di sostegno va concepito come percorso indivi-duale all’interno di un unico servizio o può essereinteso come il percorso che un paziente può avereall’interno di strutture diverse che rispondono in

modo specifico in tempi diversi a certi bisogni o fasidella malattia? A questo proposito è possibile portarel’esempio della psicopatologia adolescenziale acuta egrave: si tratta infatti di adolescenti che spesso metto-no in crisi il percorso di sostegno previsto dai serviziterritoriali e necessitano di transitare attraverso strut-ture diverse di tipo ospedaliero durante la fase acutadella malattia, o di tipo terapeutico nella fase subacu-ta, per poi poter accedere nuovamente a struttureambulatoriali nelle fasi di remissione. La necessità distrutture fluide, distribuite adeguatamente sul territo-rio in base alle necessità epidemiologiche, e afferentialla psichiatria infantile è chiara ad esempio di fronteallo scompenso clinico di un Disturbo delComportamento Alimentare, o alla comparsa di undelirio paranoideo, o alla messa in atto di comporta-menti gravemente violenti, o ad un grave tentativo disuicidio. Come pensare a questi percorsi di sostegnoladdove non siano presenti tutti i presidi necessari asostenere adeguatamente i bisogni di questi pazienti edelle loro famiglie? Oppure, nel momento in cui talipresidi fossero adeguatamente rappresentati, come èpossibile salvaguardare la continuità dell’esperienzadel paziente anche nel transito attraverso strutturediverse?

Torniamo così al macrosistema e cioè alla possibi-lità di organizzare, in base ai bisogni derivati dall’ana-lisi epidemiologica, servizi specifici in cui i singoliindividui possono essere introdotti in un adeguatopercorso di sostegno. Credo che questa sia la verasfida attuale della psichiatria infantile non solo italia-na: uscire definitivamente dall’idea che un unicomodello di sostegno al paziente possa funzionare pertutti i disturbi e garantire ai soggetti in età evolutivaed adolescenziale luoghi di cura differenziati in baseall’analisi puntuale del bisogno. Cioè iniziare a per-correre la strada che può portare a rispondere alla fon-damentale domanda del ‘cosa funziona per chi’.

1 Lavoro presentato come intervento al Simposio: Sistemi di supportoin neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. XXIII CongressoNazionale S.I.N.P.I.A., Abano Terme (Padova), 28 Ottobre 2006

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Comitato ScientificoI partecipanti fondatori dell’iniziativa, che hanno preso parte alla prima riunione del 13 luglio 2006o che, impossibilitati, hanno comunque espresso la loro adesione, sono:

(Regione Toscana) Galileo Guidi; (Coordinatori DD.SS.MM. di Area Vasta) Giuseppe Corlito,Vincenza Quattrocchi, Mario Serrano; (Società Scientifiche: SIP) Annibale Fanali, RemigioRaimondi, (SIRP) Corrado Rossi, (SOPSI) Giovanni Battista Cassano, Lorenzo Lattanzi, PaoloCastrogiovanni, Sara Calossi, Gianfranco Placidi, Valdo Ricca, (SINPI) Mauro Camuffo, MassimoPapini, Filippo Muratori, Maddalena Petrillo, (PRESAM) Paolo Serra, (ETNOPSI) GiuseppeCardamone; (Dirigenti Psicologi) Paolo Nascimbeni, Enrico Salvi, M. Zampolini, (DirigentiInfermieri Prof.li DSM) Alessandro Buracchi, Andrea Caiazzo, Mauro Faralli, (Dirigenti EducatoriProf.li) Manuela Nardi, (Dirigenti Assistenti Sociali) Carla Camici, Erica Falaschi, (PresidenteCommissione Etica e Deontologica Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali) Maria LuisaSpisni, (Direttore Sanitario Società della Salute Firenze) Sandra Rogialli, (Coordinamento psichiatritoscani) Massimo De Berardinis, Ugo Corrieri, Franco Sirianni, Angela Valtancoli, (DSM Arezzo)Aldo D’Arco, Giampiero Cesari, (Centro Basaglia) Bruno Benigni, Cesare Bondioli, Paolo Martini.

Comitato di Redazione Bruno Benigni, Cesare Bondioli, Enzo Gradassi, Paolo Martini, Paolo SerraSegreteria Centro Basaglia: Tina Chiarini, Francesca Doro

Gli elaborati dovranno essere trasmessi alla Redazione utilizzando caratteri Garamond corpo 11, con colonne alte 53 righe, di52 caratteri ciascuna (spazi inclusi), cioè 5500 battute a pagina, che equivalgono a documenti Word, corpo 12 (in uso abitua-le nei PC) di 60 righe in formato A4 con margini sn. e dx. di 2 cm.Le foto, diagrammi, tabelle, dovranno essere predisposte con base corrispondente a 1 colonna o 2 colonne, non con misurefrazionate e inviate in documento separato.Gli articoli conterranno un riassunto di 200 parole; la bibliografia non sarà stampata ma sarà disponibile nel sito web delcentro Basaglia dove saranno disponibili tutti i numeri della Rivista e tutti i contributi scientifici offerti nei Convegni orga-nizzati dal Centro. http://www.centrobasaglia.provincia.arezzo.it/