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I singoli mezzi di prova Corso di diritto processuale civile Anno accademico 2013/2014

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I singoli mezzi di provaCorso di diritto processuale civile

Anno accademico 2013/2014

I mezzi di provaI principali mezzi di prova in senso stretto previsti e disciplinati nel nostro ordinamento (sia nel cod. civ., sia nel cod. proc. civ.) sono:- la prova documentale;- la testimonianza;- la confessione;- il giuramento;- l’ispezione.

Interrogatorio libero e CTU

Invero, prima di vedere la disciplina dei singoli mezzi di prova, occorre spendere qualche parola su due istituti che potremmo definire mezzi istruttori in senso lato, poiché, in linea di massima, non espletano direttamente la funzione di accertamento dei fatti. Essi sono l’interrogatorio libero e la consulenza tecnica.

Interrogatorio liberoDev’essere distinto dall’interrogatorio formale, che costituisce per così dire l’occasione per stimolare, previa istanza di parte, la confessione della parte.Le norme di riferimento in tema di interrogatorio libero sono gli artt. 117, 116, e 185 c.p.c.

Art. 117: il giudice in qualunque stato e grado del processo può ordinare la comparizione personale delle parti per interrogarle, nel loro contraddittorio, sui fatti di causa. Esse possono farsi assistere dai difensori.

Art. 185 (a cui rinvia anche l’art. 183): in occasione della prima udienza il giudice può fissarne un’altra in cui procedere all’interrogatorio libero delle parti (anche le parti possono chiedere tale fissazione congiuntamente, al fine di essere interrogate liberamente e di tentare la conciliazione).

Art. 116, comma 2: il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’art. 117(...)

Pertanto le risposte date dalle parti in sede d’interrogatorio libero sono valutabili semplicemente come argomenti di prova.Allora esso non svolge una funzione strettamente istruttoria (potendo servire, al più, a confermare/completare le risultanze prodotte da mezzi in senso proprio), bensì di trattazione, in quanto conduce a meglio precisare la posizione delle parti. Si tratta comunque di una funzione d’integrazione degli elementi propri della fase di trattazione.

La consulenza tecnicaLa figura del consulente può essere analizzata dal punto di vista statico, e quindi come soggetto ausiliario del giudice (e a tal fine basta leggere le norme di cui agli artt. 61-64 c.p.c.), oppure dal punto di vista dinamico, ossia guardando all’attività che è chiamato a svolgere nel processo.A noi interessa questo secondo profilo, rispetto al quale le norme da considerare sono gli artt. 191 ss. c.p.c.

La CTU come mezzo sui generisLa funzione per così dire istituzionale della consulenza tecnica è quella di valutare fatti già accertati mediante i vari mezzi di prova (consulenza c.d. deducente).In questo caso, dunque, integra la cognizione del giudice e ne agevola il giudizio, laddove, pur a fronte di un accertamento già effettuato, sia necessario compiere una valutazione dei fatti che richiede il possesso di conoscenze tecnico-scientifiche.Esempio: accertato un danno a un bene, il consulente procede a quantificarlo, oppure ne riscontra il nesso di causa con un certo evento.

La CTU come mezzo di provaIl nostro ordinamento riconosce anche una forma di consulenza nella quale l’esperto non si limita a valutare fatti già accertati, ma egli stesso procede all’accertamento. Questa è la c.d. consulenza percipiente (cfr. Cass. 9522/96).Esempio: anziché valutare semplicemente l’entità delle lesioni, il CTU ne accerta prima l’esistenza.Il fondamento normativo è dato dall’art. 198 c.p.c.: quando è necessario il giudice può affidare al CTU l’incarico di esaminare registri e documenti contabili.

La ratio della norma può essere estesa ad altre ipotesi, e come si è visto, del resto, la giurisprudenza concepisce la figura generale del consulente percipiente.In sostanza qui la funzione istruttoria della CTU si spiega perché consente di evitare un’attività che potrebbe appesantire il processo, poiché il CTU procede fuori udienza, in una dimensione temporale per così dire più elastica, non dovendo sottostare ai ritmi scandidi dalle udienze. Ciò è utile soprattutto con riferimento a fatti la cui acquisizione richiede operazioni complesse.

Regole processualiNel caso in cui per l’accertamento e/o la valutazione di fatti risultino necessarie conoscenze tecnico-scientifiche il giudice, quantunque ne sia provvisto per ragioni personali, deve nominare un consulente tecnico, poiché l’attività peritale deve svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio. Il CTU integra la cognizione del giudice, ma deve essere integrata anche la cognizione delle parti: ecco che l’art. 201 c.p.c. consente a ciascuna di esse di nominare un consulente di parte, che affiancherà il CTU in tutte le operazioni peritali, anche per riscontrarne/valutarne le risultanze.

La regola generale è che il giudice non è tenuto ad un’automatica adesione a quanto rilevato dal CTU; tuttavia il discostamento deve essere adeguatamente motivato, nel senso che il giudice deve illustrare le ragioni per le quali ritiene le risultanze peritali non convincenti (Cass. 14849/04). In quest’ottica ben si comprende l’utilità dell’apporto dei consulenti di parte, i quali con le loro conclusioni possono risultare più convincenti.I consulenti di parte affiancano il CTU in tutte le indagini e anche in sede di udienza o di camera di consiglio quando vi interviene il CTU.

Ammissione ed espletamento dell’incaricoLa CTU si rende necessaria quando occorre valutare e/o anche accertare elementi di fatto con l’ausilio di conoscenze tecniche; le parti sono onerate di allegare i fatti a fondamento delle loro rispettive pretese e di richiedere le prove finalizzare al loro accertamento; dunque non può essere disposta la CTU quando la si voglia in concreto utilizzare per supplire alle omissioni delle parti in punto di allegazioni o di richieste di prove (c.d. consulenza esplorativa).La CTU è ammissibile d’ufficio. Se richiesta dalla parte il giudice può rigettare l’istanza, ma deve motivare tale rifiuto (Cass. n. 88/04).

La nomina del CTU è effettuata con ordinanza, con la quale viene altresì fissata un’udienza per la formulazione del quesito tecnico (che invero può essere contenuto anche nell’ordinanza), la prestazione del giuramento e l’eventuale nomina dei consulenti di parte. In tale udienza è altresì fissato: il termine entro il quale il CTU deve trasmettere la relazione alle parti; il termine entro il quale le parti devono inviare al CTU le proprie osservazioni; il termine per il deposito della relazione peritale accompagnato dalle osservazioni di parte e da una sintetica valutazione delle stesse. Per il resto cfr. artt. 191 ss. c.p.c.

La prova documentale in senso latoIn generale, è documento ogni oggetto da cui si possa ricavare la rappresentazione di un fatto storico (uno scritto, una foto, una registrazione video…). A volte il documento integra la rappresentazione diretta del fatto (es: il documento scritto che consacra la stipulazione del contratto; il filmato del sinistro); altre volte invece integra la rappresentazione di una prova del fatto (la prova di una prova del fatto; es: la quietanza, che è il documento che prova che un soggetto ha dichiarato di aver ricevuto il pagamento; non è la prova del pagamento, ma della dichiarazione di avvenuto pagamento).

L’efficacia probatoria, quindi il meccanismo che conduce a ritenere attendibile o meno la prova, dipende dal contenuto della prova documentale.Quando la rappresentazione del fatto è immediata, non sorgono problemi (salvi i meccanismi per contestare per così dire la genuinità del documento); quando invece il documento rappresenta la prova di un fatto, occorre valutare e qualificare giuridicamente il mezzo rappresentato. Se il documento contiene una dichiarazione (il filmato di un soggetto che racconta il fatto da dimostrare), la valutazione dell’efficacia probatoria si sposta sul mezzo contenuto nel documento, in questo caso sulla dichiarazione. In certi casi le dichiarazioni sono mezzi di prova anche legali, in altri casi no e allora la rappresentazione è irrilevante. In altri termini qui il documento prova che vi è stata la dichiarazione, ma non il fatto oggetto di essa.

L’atto pubblicoLa disciplina di questo documento la troviamo nel codice civile.Art. 2699: è atto pubblico il documento redatto con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire all’atto pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato.Art. 2700: esso fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri atti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

La pubblica fedeSecondo un’autorevole ricostruzione, la peculiarità dell’atto pubblico (con la sua “forza” probatoria) sta nell’attribuzione della pubblica fede. In questo senso, non tutte le attestazioni hanno pubblica fede solo perché provenienti da un pubblico ufficiale. Dunque è atto pubblico agli effetti delle norme appena viste solo quell’atto con il quale il p.u. esercita la funzione primaria e specifica di accertamento dei fatti.Se l’accertamento dei fatti è strumentale all’espletamento di un’altra funzione, allora non si ha pubblica fede, quindi l’atto non ha l’efficacia di cui all’art. 2700.

In quest’ottica, dunque, sarebbe atto munito di pubblica fede il rogito notarile, il verbale del cancelliere, il verbale di una commissione di laurea, ecc.; ma non il verbale del vigile col quale è inflitta una multa, perché l’accertamento di fatti è qui strumentale alla funzione primaria del vigile che è reprimere la violazione del Cds.Tuttavia per la giurisprudenza tutti gli accertamenti di fatto consacrati in un documento redatto da un soggetto munito di pubbliche funzioni integrano un atto pubblico, e la pubblica fede viene meno solo laddove il p.u. abbia fatto ricorso, nell’attestazione, ad apprezzamenti.

L’efficacia probatoriaL’atto pubblico fa piena prova - quindi è una prova legale -, nel senso che il giudice non può mettere in discussione:- la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato;- le dichiarazioni delle parti e gli altri fatti circa i quali il pubblico ufficiale afferma che sono avvenuti in sua presenza o che li ha compiuti lui stesso

La provenienza dal p.u.L’atto pubblico fa piena prova circa la provenienza dal p.u. che risulta come redattore di esso. Se la parte però sostiene che l’atto in realtà non provenga da chi risulta come redattore deve proporre avverso il documento la querela di falso.Mentre se si ritiene che il pubblico ufficiale rogante non sia tale, allora non è necessaria la querela di falso.

Ciò che è avvenuto dinanzi al p.u. Fa piena prova anche di tutto ciò che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto alla sua presenza (dichiarazioni delle parti, fatti) o essere da lui stesso compiuto.In caso di dichiarazioni delle parti, la pubblica fede copre la dichiarazione in sé (c.d. estrinseco dell’atto), non già il contenuto e la veridicità di quanto dichiarato (c.d. intrinseco dell’atto).L’eventuale querela di falso dovrà colpire l’estrinseco, mentre per l’intrinseco si dovrà qualificare giuridicamente la dichiarazione dal punto di vista probatorio.

La querela di falsoLo strumento per contestare i profili rispetto ai quali l’atto pubblico fa piena prova è la querela di falso. Si tratta di un processo regolato dal codice di rito (artt. 221 ss.) che non ha ad oggetto un diritto ma un fatto, e cioè la genuinità di un documento.Si possono contestare due tipi di falsità:- quella relativa alla dichiarazione resa o al fatto attestato (la parte ha dichiarato un prezzo di 100.000 € e invece il notaio ha scritto 10.000): c.d. falso ideologico, necessariamente del p.u.;- quella relativa all’alterazione dell’atto, nato genuino, da parte di chiunque: falso materiale

Procedimento: in via principalePuò essere proposta in via principale o in via incidentale. Nel primo caso si apre un processo ad hoc che ha come oggetto esclusivo la falsità dell’atto; il giudizio può essere avviato in via preventiva, senza attendere che il documento sia usato. Se vengo a sapere che esiste un atto falso che mi riguarda non occorre che attenda che qualcuno lo usi contro di me, ma posso chiederne la dichiarazione di falsità in via principale, con citazione dinanzi al tribunale (competente per materia), che decide in composizione collegiale.

In via incidentaleLaddove invece penda un processo per la tutela di un certo diritto e venga prodotto per accertare un fatto rilevante un atto pubblico, la parte contro il quale è utilizzato può esperire la querela di falso all’interno di quel processo. A questo punto il giudice deve chiedere alla parte che ha prodotto l’atto pubblico se vuole mantenerlo oppure ritirarlo. Se la parte decide di ritirarlo (magari perché pensa di provare il fatto per altra e vuole evitare la sospensione del processo) quell’atto non è più utilizzabile nel processo.

Se invece la parte che ha prodotto l’atto non lo ritira allora il giudice deve valutarne la rilevanza, e questo è l’unico caso in cui la prova documentale è soggetta ad una valutazione preventiva di rilevanza (mentre in generale tale valutazione per i documenti avviene al momento della decisione).Il giudice ammette la querela di falso se ritiene che l’atto pubblico abbia ad oggetto un fatto rilevante (direttamente o indirettamente)

SospensioneSe ad esempio il processo per così dire principale pende dinanzi al Giudice di pace o alla Corte d’appello, la querela di falso incidentale è proposta ad un giudice per essa non competente, onde questi deve sospendere il giudizio principale affinché sia riassunto dinanzi al Tribunale (collegiale) il processo di falso.Se la causa pende dinanzi al Tribunale, il g.i. può istruire solo la causa sulla querela, sospendendo l’istruzione della causa principale, oppure istruire e rimettere in decisione entrambe.

Regole procedurali principaliLa querela di falso, sia in via principale sia in via incidentale, è esperibile dalla parte personalmente o dal difensore munito di specifica procura.Può essere proposta con citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale d’udienza, in qualunque stato e grado del giudizio, finché la genuinità del documento non sia accertata con sentenza passata in giudicato.Nel processo di falso il PM deve intervenire obbligatoriamente.

Rapporti col processo penalePuò accadere che la falsità invocata costituisca anche un fatto penalmente rilevante oggetto di processo in sede per l’appunto penale.Ora, l’art. 75 c.p.p. prevede la sospensione del processo civile solo se si tratti di azioni risarcitorie/restitutorie derivanti dal reato esercitate dopo la costituzione di parte civile oppure dopo la sentenza penale di primo grado. La norma non contempla la querela di falso, dunque il giudizio civile di falso non si sospende. In caso di discordanza tra le due sentenze si avrà un mero contrasto di accertamenti.

Occorre però considerare che, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., in certi casi la sentenza penale passata in giudicato fa stato nel processo civile. Ciò avviene quando nel processo penale siano stati accertati fatti rilevanti per il riconoscimento del diritto invocato nel giudizio civile, purché in sede penale tali fatti siano stati ritenuti rilevanti per la decisione.Se dunque la sentenza penale passa in giudicato in un momento in cui può essere “introdotta” nel processo civile, il giudice della querela di falso sarà da essa vincolato nell’accertamento di tali fatti.

L’atto pubblico privo delle formalitàArt. 2701 c.c.: il documento formato da un p.u. incapace o incompetente, ovvero senza l’osservanza delle formalità prescritte, se è stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata.Si ha quindi una sorta di conversione dell’atto pubblico in scrittura privata, come del resto dice la rubrica della norma stessa.