Anno 9 - Numero 1 Poste Italiane Spa Niguarda · e ricompaiono le metastasi al fegato. I ... Nuova...

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Il giornale di Niguarda ospedaleniguarda.it B loccata in vitro la crescita delle metastasi di un cancro al color retto. Lo studio, condotto dai ricercatori del Laboratorio di genetica molecolare dell’Istituto di Candiolo diretti da Alberto Bardelli, che ha lavorato in stretto contatto con l’Oncologia del Niguarda di Milano, diretta da Salvatore Siena, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Science Translational Medicine”. La pubblicazione spiega perché, dopo un determinato periodo (6-12 mesi), le cellule tumorali smettono di rispondere al farmaco a bersaglio molecolare Cetuximab e ricompaiono le metastasi al fegato. I ricercatori hanno quindi messo a punto una nuova combinazione di farmaci che si è dimostrata in grado di bloccare la proliferazione del tumore divenuto resistente. CONTINUA A PAGINA due Una terapia intensiva a porte aperte A PAGINA tre Anno 9 - Numero 1 Marzo 2014 Poste Italiane Spa Sped. abb.post. Dl n. 353/2003 art 1 (comma1) D&B Milano DISTRIBUZIONE GRATUITA Periodico di informazione dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca’ Granda Editoriale Nuova terapia contro metastasi del tumore al colon retto Buoni i risultati in vitro, al via la sperimentazione Continuare a fare scuola Di recente ho avuto l’occasione di riunirmi in uno dei periodici incontri con tutti i direttori e i responsabili dell’Ospedale per illustrare le linee di indirizzo sanitario e gestionale su cui è necessario orientare i nostri sforzi nei prossimi mesi. Sono stati tanti gli argomenti affrontati. Tra questi ne ho scelto uno particolarmente significativo, meritevole di riflessione e approfondimento in questo primo editoriale del 2014: la cultura sanitaria che per noi significa formazione e ricerca. Niguarda è da sempre un luogo di cura ma anche di cultura sanitaria. A ricordarcelo ci sono i volti dei giovani infermieri che frequentano il corso di laurea infermieristica qui nel nostro ospedale. Banchi, aule, lezioni, ma anche tante ore formazione sul campo, la stessa che caratterizza l’attività degli oltre 300 specializzandi che tra le corsie del Niguarda ogni giorno hanno modo di perfezionare le loro conoscenze e incrementare il loro bagaglio di esperienza. C’è poi il fronte della ricerca. Una testimonianza concreta è nella notizia di apertura di questo giornale... Nuovi modelli in Sanità Nuovo Niguarda Presentato il Blocco Nord: 450 posti letto che completano il Nuovo Niguarda La nuova struttura, realizzata a tempo di record, sarà operativa per il 2015 dopo i collaudi e gli accreditamenti 450 posi letto, 5 sale parto e 5 sale operatorie modernissime: sono solo alcuni numeri del Blocco Nord, l’opera che completa la riqualificazione del Nuovo Niguarda e che il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e l’Assessore alla Salute, Mario Mantovani, hanno potuto vedere con i loro occhi lo scorso febbraio. CONTINUA A PAGINA due Sommario Attualità a pag. 2 Un super antibiotico contro i batteri resistenti Sanità a pag. 3 Terapia intensiva a porte aperte Centri Specialistici a pag. 5 I numeri dal Transplant Center Gli Specialisti Rispondono da pag. 8 a 12 Il ginecologo, lo psichiatra, l’otorino… News dall’Ospedale a pag. 15 I corsi e le nuove nomine Niguarda Cardio Center Un pacemaker senza fili Un dispositivo wireless che si impianta senza chirurgia A PAGINA due Malattie dalla A alla Z a pag. 6 La terapia combinata contro il glioblastoma. La microchirurgia contro l’ernia del disco Volontariato a pag. 13 I volontari AVO. ALOMAR contro le malattie reumatiche CONTINUA A PAGINA tre I focus dell’area oncologica. DA PAGINA sei a PAGINA dieci

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Bloccata in vitro la crescita delle metastasi di un cancro al color retto. Lo studio, condotto dai ricercatori

del Laboratorio di genetica molecolare dell’Istituto di Candiolo diretti da Alberto Bardelli, che ha lavorato in stretto contatto con l’Oncologia del Niguarda di Milano, diretta da Salvatore Siena, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Science Translational Medicine”.La pubblicazione spiega perché, dopo un determinato periodo (6-12 mesi), le cellule tumorali smettono di rispondere al

farmaco a bersaglio molecolare Cetuximab e ricompaiono le metastasi al fegato. I ricercatori hanno quindi messo a punto una nuova combinazione di farmaci che si è dimostrata in grado di bloccare la proliferazione del tumore divenuto resistente.

CONTINUA A PAGINA due

Una terapia intensivaa porte aperte

A PAGINA tre

Anno 9 - Numero 1Marzo 2014

Poste Italiane SpaSped. abb.post. Dl n. 353/2003

art 1 (comma1) D&B Milano

DISTRIBUZIONEGRATUITA

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Editoriale

Nuova terapia contro metastasi del tumore al colon rettoBuoni i risultati in vitro, al via la sperimentazione

Continuarea fare scuola

Di recente ho avuto l’occasione di riunirmi in uno dei periodici incontri con tutti i direttori e i responsabili dell’Ospedale per illustrare le linee di indirizzo sanitario e gestionale su cui è necessario orientare i nostri sforzi nei prossimi mesi. Sono stati tanti gli argomenti affrontati.Tra questi ne ho scelto uno particolarmente significativo, meritevole di riflessione e approfondimento in questo primo editoriale del 2014: la cultura sanitaria che per noi significa formazione e ricerca.Niguarda è da sempre un luogo di cura ma anche di cultura sanitaria.A ricordarcelo ci sono i volti dei giovani infermieri che frequentano il corso di laurea infermieristica qui nel nostro ospedale.Banchi, aule, lezioni, ma anche tante ore formazione sul campo, la stessa che caratterizza l’attività degli oltre 300 specializzandi che tra le corsie del Niguarda ogni giorno hanno modo di perfezionare le loro conoscenze e incrementare il loro bagaglio di esperienza.C’è poi il fronte della ricerca. Una testimonianza concreta è nella notizia di apertura di questo giornale...

Nuovi modelli in Sanità

Nuovo Niguarda

Presentato il Blocco Nord: 450 posti letto che completano il Nuovo NiguardaLa nuova struttura, realizzata a tempo di record, sarà operativa per il 2015dopo i collaudi e gli accreditamenti

450 posi letto, 5 sale parto e 5 sale operatorie modernissime: sono solo alcuni numeri del Blocco Nord, l’opera che completa la riqualificazione del Nuovo Niguarda e che il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e l’Assessore alla Salute, Mario Mantovani, hanno potuto vedere con i loro occhi lo scorso febbraio.

CONTINUA A PAGINA due

Som

mar

io

Attualità a pag. 2Un super antibiotico contro i batteri resistenti

Sanità a pag. 3Terapia intensiva a porte aperte

Centri Specialistici a pag. 5I numeri dal Transplant Center

Gli Specialisti Rispondonoda pag. 8 a 12Il ginecologo, lo psichiatra, l’otorino…

News dall’Ospedale a pag. 15I corsi e le nuove nomine

Niguarda Cardio CenterUn pacemaker senza filiUn dispositivo wireless che si impiantasenza chirurgia

A PAGINA due

Malattie dalla A alla Za pag. 6La terapia combinata contro il glioblastoma. La microchirurgia contro l’ernia del disco

Volontariato a pag. 13I volontari AVO. ALOMAR contro le malattie reumatiche

CONTINUA A PAGINA tre

I focusdell’area oncologica.DA PAGINA sei a PAGINA dieci

due Presentato il Blocco NordAt

tual

ità

Ha le dimensioni di una piccola pila cilindrica e viene inserito direttamente nel cuore senza bisogno di chirurgia per l’impianto: è il pacemaker

wireless, una rivoluzione in cardiologia, che si appresta a diventare realtà per i pazienti seguiti dalla Cardiologia 3-Elettrofisiologia di Niguarda, uno dei pochi centri in Italia dove prossimamente questi dispositivi di ultima generazione saranno testati.Nel mondo i portatori di pacemaker o di altri dispositivi per il trattamento delle aritmie sono circa 4.000.000 e ogni anno sono circa 700.000 i nuovi impianti. I sistemi, fino ad oggi utilizzati, sono complessi e comprendono un generatore di impulsi - il pacemaker vero e proprio (che viene alloggiato

in una tasca sottocutanea) - e uno o più elettrocateteri - i “fili”- pronti a rilevare e ad innescare la stimolazione elettrica quando il battito rallenta.“Diversamente dai pacemaker convenzionali – spiega Maurizio Lunati, Direttore della Cardiologia 3 – Elettrofisiologia - quello senza fili risiede interamente all’interno del cuore.Il dispositivo è miniaturizzato, è 10 volte più piccolo, ed incorpora sia la batteria che unmicroelettrodo in grado di stimolare la contrazione non appena viene rilevato un ritmo nonadeguato.”La tecnologia del pacemaker leadless, che assomiglia ad

una comune pila, comprende alcuni microchip e una piccola batteria sigillata all’interno della cassa del dispositivo, in grado di garantire una longevità superiore. Il pacemaker leadless viene inserito nel cuore con un sistema transcatetere attraverso

una semplice puntura percutanea della vena femorale. L’impianto, a differenza della procedura tradizionale, non richiede alcuna incisione sul torace ed è molto meno invasivo per i pazienti. L’assenza della tasca sottocutanea e dei fili di collegamento, inoltre, contribuisce ad abbassare il rischio di possibili infezioni.

Le attività

Il Blocco Nord ospiterà il Dipartimento Medico Polispecialistico con un settore dedicato all’Alta Intensità, il Dipartimento Materno-Infantile, la Medicina Riabilitativa, il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (uno dei 9 centri di lavorazione del sangue

in Lombardia) e le relative attività ambulatoriali. Disporrà, inoltre, di un’importante area diagnostica di Radiologia/Neuroradiologia e di un settore di Endoscopia per minimizzare gli spostamenti dei pazienti ricoverati quando hanno necessità di diagnostica strumentale. Al piano terra, in particolare, saranno collocate le aree ambulatoriali multi-specialistiche dedicate ai bambini, nonché quella riservata ai

donatori di sangue. Una novità importante è costituita dagli impianti (con motori elettrici a soffitto) di sollevamento-pazienti che serviranno ben 80 letti, un’innovazione che servirà sia per aumentare il comfort e la sicurezza sia per agevolare l’assistenza prestata dal personale infermieristico. Le stanze di degenza, inoltre, sono predisposte per un moderno sistema di informatica distribuita.

“L’ospedale Niguarda è una struttura d’eccellenza su cui la Regione nell’ultimo decennio ha investito molto. Vogliamo mantenere un livello alto - ha detto Maroni, in occasione della conferenza stampa di presentazione - perché il nostro parametro di riferimento sono le regioni europee più sviluppate”.Intanto, il nuovo Blocco Nord è pronto e sono bastati poco più di 800 giorni lavorativi per costruirlo. Mancano gli arredi, i collaudi e gli accreditamenti necessari che, annuncia il Commissario Straordinario del Niguarda Marco Trivelli, “saranno completati entro giugno”, e poi quest’estate si comincerà con il trasferimento delle attività sanitarie che sarà ultimato nei primi mesi del 2015.

Niguarda Cardio Center

Microbiologia

SEGUE DALLA PRIMA

La visita nel Blocco Nord, da sinistra Mario Mantovani, Assessore alla Salute, il Commissario Straordinario,

Marco Trivelli, e il Presidente Roberto Maroni

Staphylococcus aureus, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae: sono tutti microrganismi che possono sviluppare resistenze ai principali antibiotici, diventando così pericolosi e di difficile gestione. Questi “super batteri” causano circa 400 mila infezioni e 25 mila morti ogni anno solo in Europa, con un impatto economico che si stima di 1,5 miliardi di euro tra spese sanitarie e perdita di produttività. A ribadirlo è l’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) che ha diffuso queste cifre nel corso della sesta Giornata Europea degli Antibiotici, un’occasione in cui gli esperti hanno richiamato la classe medica e la popolazione ad un uso più responsabile di questi farmaci. Sono anni che non ci sono novità terapeutiche tra gli antibiotici anche perché i batteri sviluppano nuove resistenze più velocemente dell’introduzione di nuove molecole. Infatti, se tra il 1980 e il 1990 sono stati introdotti 49 antibiotici, nel decennio successivo il numero è crollato a 7. Ma è da poco arrivato in Italia un farmaco di nuova generazione efficace contro ceppi batterici resistenti e difficili da trattare: ceftarolina fosamil, efficace anche contro MRSA, lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina che in Italia è considerato un vero problema di salute pubblica, con un’incidenza del 38% (doppia rispetto alla media europea) e che provoca ogni anno più di 52 mila casi di infezioni. Approvato per il trattamento delle infezioni complicate della cute e dei tessuti molli (cSSTI) e per la polmonite acquisita in comunità (CAP), ceftarolina fosamil è rimborsato dal SSN in classe H per l’impiego esclusivo in ambiente ospedaliero o negli ambulatori specialistici. Si tratta di uno dei pochi nuovi antibiotici autorizzati negli Stati Uniti e in Europa negli ultimi cinque anni ed è il primo lanciato dopo l’iniziativa “10 x 20” della Società americana per le malattie infettive (IDSA), ideata proprio per supportare lo sviluppo di almeno 10 nuovi antibiotici entro il 2020.“E’ una novità importante: “un ritorno al futuro” che riporta agli albori dell’era post-penicillina- commenta Giovanni Gesu, Direttore del Laboratorio Analisi

Chimico Cliniche e Microbiologia. Infatti potremo usare di nuovo un farmaco sicuro ed efficace, in grado di aggirare le possibili resistenze. Dovremo, però, essere bravi ad utilizzarlo con attenzione: solo quando richiesto e al dosaggio indicato. Se non useremo questi accorgimenti il rischio è quello di vanificare il vantaggio ottenuto”.L’Italia è, infatti, tra i Paesi europei con i livelli più alti di antibiotico-resistenza. “Nel nostro Paese la presenza di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) – dichiara Gesu - è doppia rispetto alla media europea. Si attesta infatti poco al di sotto del 40%, contro una media europea inferiore al 20%. Eppure, la diffusione del batterio Staphylococcus aureus è molto più elevata in altre zone d’Europa, come nei Paesi scandinavi dove, tuttavia, il batterio è molto raramente un MRSA. Questa eccezionale concentrazione delle resistenze in Italia si spiega, da una parte, con una scarsa attenzione alle misure di prevenzione e, dall’altra, con l’abuso o il cattivo uso degli antibiotici: non è un caso, infatti, che nel nostro Paese 1 antibatterico su 5 è utilizzato in modo inappropriato e che l’Italia è tra i maggiori consumatori di antibiotici dopo la Grecia”.

Un super antibiotico contro i batteri resistentiPiù attenzione nell’utilizzo di questi farmaci per non rinforzare i microrganismi

Inoltre, grazie a un nuovo esame, la biopsia liquida che scova il DNA del tumore nel sangue, si è riusciti a valutare in anticipo quando il paziente avrebbe sviluppato la resistenza alla terapia. “E’ un lavoro iniziato tre anni fa e che dà segnali di speranza contro il terzo tumore per incidenza e mortalità”, ha commentato il professor Bardelli. Nel mirino, ieri come oggi, i tumori del colon retto che presentano l’alterazione di una molecola (EGFR) presente sulla superficie delle cellule della mucosa intestinale. Ora partirà la sperimentazione sulle persone ammalate che durerà un paio di anni. Verranno loro somministrati due tipi di farmaci antitumorali: al già noto Cetuximab sarà affiancato un farmaco sperimentale il Mek Inibitore. Il Trial è stato significativamente chiamato con l’acronimo ARES, che richiama il nome del mitologico dio della guerra, perché questa è una nuova battaglia della scienza medica contro una delle malattie più difficili da combattere. L’oncologo Salvatore Siena commenta “Le scoperte pubblicate su Science Translational Medicine sulla possibilità di contrastare la crescita di tumori colorettali con mutazioni di RAS e di seguirne le tracce di DNA tumorale nel sangue si fondano sulla esperienza clinica degli specialisti della diagnosi e delle terapie del Niguarda Cancer Center coniugata in modo sinergico esemplare con la ricerca d’avanguardia di Alberto Bardelli e colleghi all’Istituto Ricerca Cancro di Candiolo, Torino. Un esempio di come la Medicina Oncologica italiana sia capace di avanzamenti di rilievo mondiale. Avanzamenti utili alle persone ammalate”.

Un pacemaker senza filiUn dispositivo wireless che si impianta senza chirurgia

Antibiotici: istruzioni per l’uso Ecco cinque pratiche regole per fare un corretto uso degli antibiotici:

Gli antibiotici combattono i batteri. Non prenderli in caso di raffreddore o influenza.

Gli antibiotici non curano i virus e non servono neanche a prevenirli.

Assumi gli antibiotici solo dietro prescrizione medica.Assumi gli antibiotici seguendo esattamente la

posologia indicata dal medico. Se assumi troppi antibiotici o li sostituisci

spontaneamente rischi di farli diventare inefficaci.

SEGUE DALLA PRIMA

Nuovo studio contrometastasi del tumoreal colon retto

tre

Sani

Nuovi modelli in Sanità

A volte le rivoluzioni in medicina passano anche dalle porte aperte di quello che storicamente è il reparto più chiuso e meno permeabile alle visite dei propri

cari: la rianimazione. Succede già da 3 anni a Niguarda dove i medici e gli infermieri della Terapia Intensiva Generale 1 hanno deciso di rompere con l’isolamento che spesso caratterizza questi luoghi e hanno fatto una scelta coraggiosa, quella estendere gli orari di visita per amici e parenti: non più una sola ora a disposizione, per loro le porte sono aperte tutti i giorni dalle 14.30 alle 21.00. L’importanza di aprire questi reparti è stata di recente ribadita anche dal Comitato Nazionale per la Bioetica in un documento pubblicato lo scorso luglio, che si può consultare sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri (www.governo.it). La presenza al fianco del malato dei suoi cari “è un’applicazione, non sempre adeguatamente considerata- si legge nella pubblicazione-, del principio del rispetto della persona nei trattamenti sanitari, sancito nell’articolo 32 della Costituzione”. Ma forse non c’è bisogno di andare a leggere il testo costituzionale per comprendere appieno la portata di questo nuovo corso, basta ascoltare le parole di chi ogni giorno lavora in questo reparto: “E’ facile essere sopraffatti dalla tecnologia in questi luoghi- spiega Roberto Fumagalli, Direttore dell’Anestesia e Rianimazione 1-. C’è una macchina per tutto, o quasi, che assiste il paziente. Meno male che ci sono, sono necessarie, ma è bene ricordarsi che dentro quel letto c’è una persona, con tutto il suo sentire e i suoi bisogni, che non possono essere messi in secondo piano. Ed è stata proprio la ricerca di questa umanizzazione

che ci ha spinti a maturare la nostra scelta”.Le difficoltà nel rendere operativa questa decisione non sono mancante, ma i vantaggi di questa apertura sono per tutti. Innanzitutto per il paziente: ci sono diversi studi internazionali che dimostrano come la persona ricoverata in terapia intensiva, anche nei casi gravi, avendo accanto parenti o amici, riceve enormi benefici in termini di qualità di vita e di riduzione dello stress. “Questo aiuta il paziente- continua Fumagalli- e si traduce anche in una somministrazione più contenuta di farmaci”.Una disponibilità più ampia si riverbera anche con effetti positivi sui parenti, che hanno la possibilità di assistere e comprendere meglio ciò che si fa in una terapia intensiva. Questo abbatte l’ansia e le incomprensioni, permettendo ad amici e parenti di andare a casa più sereni. “La gente, come normale che sia, difficilmente sa cosa si fa in un reparto come il nostro- sottolinea Paolo Brioschi, Responsabile della Terapia Intensiva Generale 1-, ma vedendoci all’opera hanno modo di osservarlo con i loro occhi e di comprendere il nostro impegno. Tanto è vero che da quando abbiamo esteso l’orario di visita, i ringraziamenti per il personale sono aumentati e arrivano anche nei casi in cui il paziente purtroppo non ce l’ha fatta”. Una migliore comunicazione tra il personale e i parenti è registrata anche da chi sta a più stretto contatto con il paziente: gli infermieri. “Nessuno di noi vorrebbe tornare indietro - dichiara Isabella Fontana, Coordinatrice infermieristica del reparto -. Fino a tre anni fa, nell’approssimarsi dell’orario di visita, si creava la ressa. Oggi il clima è disteso, solidale, di ampia collaborazione tra

noi, i pazienti e i visitatori. Inoltre abbiamo più tempo per conoscerci e ottenere informazioni sulla vita dell’assistito, i suoi affetti, i suoi interessi”. Ma se la terapia intensiva è aperta, non si corre il rischio di esporre maggiormente i malati alla minaccia delle infezioni? “Aperta non significa che non ci siano delle regole da rispettare - risponde Fumagalli -. Ci sono delle norme di comportamento utili che adottiamo per prevenire il rischio, come il lavaggio delle mani, a cui si devono sottoporre tutti, dal personale ai parenti. Ma una volta fatto questo, perché opporsi ad una carezza o ad un bacio sulla fronte, dato da una moglie al proprio marito?” Gli fa eco Brioschi: “Toccare il paziente, parlagli, accarezzalo, è fondamentale. Anche quando si trova in coma, perché nessuno di noi sa l’effettivo livello di percezione di queste persone”.Ma se da questo modello a porte aperte tutti sembrano trarre beneficio e “i germi sono tenuti a bada”, perché questa impostazione fatica a prendere piede in Italia? Per rendersene conto basta guardare i dati pubblicati dal Comitato Nazionale per la Bioetica: nello stivale la finestra di visita media è di circa 2 ore e il nostro Paese è nelle retrovie della classifica che vede la Svezia al primo posto con il 70% delle terapie intensive aperte, seguita dal 32% degli USA e il 23% della Gran Bretagna. Forse è un pregiudizio, forse è una forma mentale difficile da eradicare, ma fatto sta che di porte da spalancare in Italia ne rimangono parecchie. La speranza è che quell’umanesimo clinico, che nella Terapia Intensiva 1 di Niguarda ha dato vita ad un focolaio isolato, possa diventare presto contagioso.

Una terapia intensiva a porte aperteOrari di visita allungati per una rianimazione a misura di paziente

EditorialeSEGUE DALLA PRIMA

...Il recente studio condotto dai nostri clinici in collaborazione con i ricercatori di Candiolo, che ha portato alla scoperta di una nuova terapia per le metastasi del tumore al colon retto. Ospitiamo, poi, il contributo di Massimo Puoti, Direttore- Malattie Infettive con una consolidata esperienza nel mondo dell’università, che ha delineato uno spaccato sul ruolo di Niguarda come ospedale-luogo di insegnamento e di riferimento per la comunità scientifica. E’ questo l’orizzonte a cui vogliamo tendere anche per il Nuovo Niguarda.

Marco Trivelli

Marco TrivelliCommissario Straordinario

Niguarda

Formazione e ricerca: cifre in chiaroNella città di Milano è presente una solida ed estesa “rete dei saperi,” nella quale la cultura medica occupa un ruolo di grande rilievo. I numeri di Milano sono quelli di una delle più importanti capitali europee delle scienze mediche: 3 Scuole di Medicina, 11 Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico e più di 30 aziende del settore biomedico. A Milano si sviluppa quindi un “distretto culturale e creativo” delle scienze della vita con pochi eguali al mondo e che può dare un forte contributo al rilancio del Sistema Italia. La sfida fondamentale, come per tanti altri distretti culturali ed industriali Italiani, è la capacità di fare sistema in un ambito di competizione globale dispiegando in maniera incondizionata qualità come il talento, la passione e l’apertura al confronto. In questa ampia rete di cultura medica le Aziende Ospedaliere Milanesi svolgono il ruolo di nodi fondamentali, ed è così anche per il nostro Ospedale. In questo senso i numeri di Niguarda sono il miglior biglietto da visita di un centro dove, dalla sua fondazione, esperienza e competenza medica si sono sempre tradotti in ricerca ed innovazione finalizzate al miglioramento della cura della persona. Dal 2000 al 2013 i professionisti di Niguarda hanno prodotto 2089 lavori scientifici “sfornati” con ritmo crescente passando dai 120 del 2000 ai 380 del 2013. Si tratta di articoli ad elevato impatto scientifico. In questo Ospedale si scrive solo se si ha qualcosa di rilevante da comunicare: per questo gli articoli dei professionisti di Niguarda trovano spazio in riviste internazionali di grande prestigio; i 292 articoli pubblicati nel 2012 hanno avuto un “impact factor” di 1227

con un impact factor medio di 4,2. Duecentocinquanta di questi 2089 lavori hanno visto la collaborazione con centri Statunitensi, 156 con centri francesi, 152 con centri del Regno Unito, 140 con centri tedeschi e 100 con centri spagnoli testimoniando il ruolo internazionale dell’attività di ricerca medica di questo Ospedale. Niguarda è protagonista assoluto nel campo della formazione: è sede ambita di collaborazioni internazionali, dell’AIMS Academy, di centinaia di corsi formativi per personale medico ed altri operatori sanitari. Anche nel campo della ricerca il nostro Ospedale è sede principale o centro collaboratore per 33 progetti di ricerca finanziati da organismi nazionali ed internazionali privati e pubblici. A Niguarda si stanno svolgendo oltre 700 sperimentazioni cliniche su nuovi farmaci, nuove apparecchiature, tecniche e “devices” medici. Se questo centro ha i numeri per identificarsi come “hub” internazionale della rete delle scienze della vita, le Università di Milano si sono prefissate il ruolo di motore di crescita e di luogo di collaborazione e di integrazione fra i nodi di questa rete del sapere medico. La collaborazione tra il nostro centro e le Università milanesi ed italiane si traduce anche in un rilevante contributo alla loro attività formativa: a Niguarda ogni giorno entrano per apprendere e danno il loro contributo di entusiasmo ed innovazione

più di 300 studenti delle scuole di specializzazione post laurea di 10 diverse Università italiane. Quattro strutture complesse di Niguarda sono dirette da professori universitari e diversi direttori hanno già ricoperto ruoli accademici prima di approdare a Niguarda. Diversi professionisti di Niguarda hanno recentemente conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale a

professore universitario dimostrando come la produzione scientifica che si può realizzare a Niguarda sia di pari livello rispetto agli atenei italiani. Su quali progettualità il nostro Ospedale può essere protagonista nell’integrazione con le Università e nel distretto culturale e scientifico Milanese? Nella sua mission Niguarda ha messo al centro la cura della persona attraverso l’integrazione di competenze ed esperienze di elevato livello scientifico. Una ricaduta di questa mission è la possibilità di integrare l’enorme ed eterogeneo patrimonio di incontri, volti storie e sofferenze che passano attraverso i centri di riferimento di Niguarda con i prodotti della ricerca traslazionale che portano dal bancone del laboratorio al letto del malato le acquisizioni della ricerca di base. Niguarda, luogo di cura della persona, può diventare fonte di conoscenze e palestra della medicina personalizzata una delle più importanti sfide scientifiche dei prossimi anni nella quale il distretto milanese occupa il fronte più avanzato.

Massimo PuotiDirettore

Malattie Infettive

Cen

tri S

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tici

In totale si avvicina a 200 il numero degli impianti di LVAD (left ventricular assist device) effettuati a Niguarda. Il nostro Ospedale è il centro in Italia

che ha la più ampia casistica a livello nazionale. “Abbiamo superato la soglia dei 100 impianti per i dispositivi di ultima generazione, quelli a flusso continuo- annuncia Luigi Martinelli, Direttore della Cardiochirurgia-”. Impropriamente vengono indicati con il termine di “cuore artificiale”, ma nello specifico sono un aiuto quando l’organo non è più in grado di fornire sangue e quindi ossigeno in misura sufficiente al resto del corpo. “Si tratta di pompe che drenano il sangue dal ventricolo sinistro e lo spingono nell’aorta-

spiega Martinelli-. Vengono impiantate all’interno del torace e sono collegate via cavo a un sistema di controllo e a una fonte di energia esterni, batterie ricaricabili o rete elettrica”. Il miglioramento dei risultati negli ultimi anni ha fatto di questi dispositivi una valida alternativa al trapianto in caso di scompenso cardiaco.

Niguarda Transplant Center

Trapianti: è di 65 anni l’età media dei donatoriBuoni i numeri del centro, che punta ad incrementare la donazione da vivente per ridurre i tempi d’attesa

Si è appena chiuso il 2013 e i numeri della donazione e degli interventi del Niguarda Transplant Center

rimangono, come negli anni passati, ad alti livelli. Passando in rassegna i dati dei trapianti addominali, le cifre ci dicono che l’anno scorso sono stati eseguiti 82 trapianti di fegato, 84 di reni e 7 di pancreas. Quello che si osserva da alcuni anni è un innalzamento trasversale dell’età media del donatore, diretta conseguenza dell’allungamento dell’aspettativa di vita e non solo. “Oggi l’età media dei donatori si attesta sui 65 anni- ci spiega Luciano De Carlis, Direttore della Chirurgia Generale e dei Trapianti- e un livellamento verso l’alto di questo dato è avvenuto in maniera significativa subito dopo l’introduzione dell’obbligo del casco per la circolazione su moto e motorini. Fortunatamente questa norma ha limitato i decessi in seguito ad incidenti e ristretto il numero di potenziali donatori a pazienti con patologie neurologiche o neurovascolari ”. Infatti bisogna ricordare che chi dona i propri organi può farlo solo se la morte cerebrale sopraggiunge prima dell’arresto circolatorio o respiratorio, unica condizione in cui gli organi continuano a ricevere l’ossigenazione che ne consente l’espianto per la donazione. Donatori sempre più anziani, da un lato, e l’incremento esponenziale delle liste d’attesa, dall’altro, spingono la medicina e gli addetti ai lavori a trovare nuove soluzioni. La donazione da vivente è una di queste e nel nostro Ospedale si è iniziato presto a fiutare “i vantaggi” che questa nuova strada

poteva portare con sé. “Per il fegato si è iniziato già nel 2001 con il primo caso effettuato in Italia e oggi siamo arrivati a quota 90- ribadisce De Carlis-”. In pratica quello che si porta avanti da 13 anni a questa parte è il prelievo di un parte del fegato del donatore, la metà se non addirittura il 60%, che va ad essere trapiantata nel ricevente. La tecnica sfrutta la capacità di rigenerazione di quest’organo che ritorna alle dimensioni originali, sia in chi ha subito l’espianto sia in chi lo ha ricevuto, nel giro di circa un mese. Una procedura analoga è adottata anche nella donazione da cadavere, è il cosiddetto “split liver”. “ In questo caso la suddivisione di un fegato da donatore cadavere consente di trapiantare due pazienti distinti adulti o pediatrici- aggiunge lo specialista-”. Oggi anche grazie alla diffusione di queste tecniche l’attesa media per un fegato a Niguarda e nell’Italia del nord (area NITp, Nord Italia Transplant program) è di circa un anno. Questo intervallo però raddoppia se si ha bisogno di un rene. “L’organo è essenzialmente “vascolare” ed è più sensibile ad

alterazioni arteriosclerotiche e richiede donatori mediamente più giovani - dice De Carlis”. Anche qui la donazione da vivente è un’alternativa concreta, ancora più facilitata se per la fase del prelievo si utilizza la chirurgia robotica. “Siamo stati uno dei primi centri in Italia ad adottare questa procedura, già 4 anni fa- spiega il chirurgo Alessandro Giacomoni-. Il robot per il prelievo assicura una maggiore mininvasività per il donatore, che nel giro di una settimana può riprendere la sua vita

normale, e una migliore precisione in corso d’intervento; ad oggi sono quasi una quarantina i prelievi fatti dalla nostra équipe utilizzando il robot”.Una novità importate arriva anche dalla procedura denominata “trapianto di doppio rene”: a partire da un donatore magari in là con l’età (generalmente oltre i 65-70 anni) si opta per il trapianto di entrambi i reni nello stesso ricevente. “Questo fa sì che gli organi in coppia si compensino a vicenda raggiungendo comunque una buona funzionalità, nonostante una non ottimale condizione degli organi che, se prelevati singolarmente, non sarebbero stati utilizzabili - sottolinea De Carlis-. Abbiamo iniziato questo programma da due anni e, seppur tecnicamente e organizzativamente complesso, ci sta dando ottimi risultati, sono già stati eseguiti una trentina d’interventi”. Insomma è un’ottima alternativa per incrementare il pool di donazione e per permettere anche a chi non sta nelle posizioni prioritarie della lista d’attesa di avere comunque una valida alternativa.

cinque

Niguarda Transplant CenterNiguarda e i trapianti: è una storia lunga iniziata nel lontano 1972. In quell’anno, infatti, viene portato a termine il primo trapianto di rene. Il 1985, poi, alla Ca’ Granda è la volta del primo cuore e del primo fegato. Seguiranno negli anni successivi il primo trapianto di pancreas, polmone e cornea. Nel corso di oltre quarant’anni si è assistito all’apertura di centri dedicati e altamente specializzati come il centro per il trapianto di midollo e la banca dei tessuti.

Oggi la grande esperienza maturata in ambito trapiantologico ha dato vita al Niguarda Transplant Center, un riferimento multi-disciplinare in cui le diverse esperienze specialistiche convergono in unico snodo di coordinamento, per una risposta sempre più vicina alle esigenze dei pazienti.

Tutti sanno che cos’è il trapianto di cuore ma quasi nessuno sa che il trapianto non è l’ultima spiaggia per i pazienti affetti da scompenso cardiaco severo: oggi si può vivere per

anni con un sistema meccanico di assistenza cardiaca, il cosiddetto “cuore artificiale”. Il reportage di Vito Salinaro, “Tum tum- il battito della ricerca”, indaga sulle possibilità delle assistenze meccaniche, attraverso le voci dei medici, Maria Frigerio, Direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare e Luigi Martinelli, Direttore della Cardiochirurgia, e le storie di alcuni pazienti seguiti a Niguarda. Guarda il video su Youtube.

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“Cuori artificiali” a flusso continuo: toccata quota 100

Guarda il video sul canale OspedaleNiguardaTV

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Neuro-oncologia

Rimane uno dei tumori più aggressivi che colpisce il cervello: è il glioblastoma,

una patologia per cui negli ultimi tempi vi sono state delle conquiste nella comprensione dei meccanismi di sviluppo. Una conoscenza più approfondita che ha portato a qualche miglioramento persino nelle terapie, anche se ancora non si è trovata una cura risolutiva. “E’ un tumore abbastanza raro che colpisce pazienti dai 25 anni in su, con una maggiore probabilità d’esordio intorno ai 50 anni- spiega Elio Agostoni, Direttore della Neurologia e Stroke Unit-. Nel corso del 2013 a Niguarda i pazienti ricoverati per questo tipo di neoplasia sono stati 71”. Per loro la strada dei trattamenti si avvale della terapia combinata. Chirurgia, laddove possibile, radioterapia, e chemioterapia sono i cardini di un approccio multidisciplinare, che oltre al neurologo coinvolge il neurochirurgo, il radioterapista e l’oncologo, ma anche il neuroradiologo e l’anatomia-patologica nelle fasi diagnostiche. Se praticabile, la chirurgia rimane una delle prime opzioni da valutare anche se purtroppo è difficile asportare del tutto le cellule maligne. “ Si tratta di tumori infiltranti - spiega Agostoni-, con l’intervento si rimuove tutto

quello che si può asportare senza compromettere la funzionalità delle strutture cerebrali sane”.La radioterapia e la chemioterapia hanno migliorato ulteriormente l’aspettativa di vita dei pazienti. “La radioterapia viene utilizzata in tutti casi. Viene condotta per circa un mese e mezzo e prevede un dosaggio piuttosto aggressivo- dice la neurologa Francesca Imbesi-”. Può capitare che il trattamento produca quello che viene chiamato una pseudo-progressione della malattia. “In pratica nella risonanza magnetica la lesione appare ingrandita- precisa la specialista-, ma la maggior diffusione non è dovuta a un peggioramento della malattia, ma ad un effetto delle cure. Oggi

grazie alle tecniche diagnostiche sempre più avanzante è possibile individuare queste forme, in cui il trattamento deve proseguire e non essere sospeso così come si faceva in passato”.

Tra i farmaci più utilizzati negli ultimi anni c’è da segnalare la temozolomide. L’efficacia di questo chemio-terapico è legata alla presenza di un particolare gene e ad uno stato di attivazione/disattivazione, chiamata metilazione. “Il gene Mgmt è responsabile della produzione di una proteina in grado di riparare

i danni che radio e chemioterapia provocano nel tumore- spiega Imbesi-. La metilazione è un meccanismo biologico di spegnimento del gene, che quindi non produce più la proteina riparatrice. I pazienti con metilazione di Mgmt sono quindi quelli più sensibili ai trattamenti”.Intanto la medicina si muove alla ricerca di nuovi percorsi. Per farlo anche il centro di Niguarda partecipa a diverse sperimentazioni, nazionali ed internazionali, utili per confrontare l’efficacia di nuovi farmaci. Una delle alternative a cui si guarda con più aspettative è lo sviluppo di nuove molecole che riescano ad intervenire in modo mirato sulle cellule tumorali,

cercando di inibire la loro attività angiogenica. Ovvero la capacità che la neoplasia ha di attrarre a sé la rete di vasi sanguigni necessari per la sua crescita. Un’altra novità è l’immuno-terapia. “Si sta cercando di trattare il tumore come se fosse un virus e attraverso una sorta di vaccino si prova a stimolare l’attacco del sistema immunitario contro le cellule tumorali- specifica Agostoni-. Allo stato attuale si tratta ancora di protocolli sperimentali con esiti tutti da verificare. Per quello che abbiamo a disposizione oggi, solo integrando i vari trattamenti e mettendo insieme le competenze dei vari specialisti si potranno migliorare in maniera più incisiva i risultati”.

La terapia combinata contro il glioblastomaChirurgia, radioterapia e chemio. In futuro forse un vaccino

Mal di schiena

Terza, quarta, quinta vertebra lombare e prima sacrale: sono queste le sedi più frequenti dell’ernia al disco, una patologia diffusa, che

interessa prevalentemente i giovani e le persone di mezza età. Secondo le stime, infatti, il mal di schiena è un disturbo molto comune che colpisce dal 60 all’80% della popolazione e per l’8% dei casi si tratta di ernia del disco. Sedentarietà, posture scorrette, sovrappeso, uso frequente di auto o motoveicoli per gli spostamenti, sono questi i fattori di rischio principali su cui fare prevenzione.

Come si originaPer capire cosa succede alla nostra colonna quando l’ernia fuoriesce, bisogna comprendere il sofisticato sistema di ammortizzazione che la caratterizza. “Immaginiamo i dischi intervertebrali come dei cuscinetti, posti tra una vertebra e l’altra al fine di consentire i movimenti della colonna- spiega lo specialista Marco Cenzato Direttore della Neurochirurgia- . Come un cuscino è formato da una federa e da un’imbottitura, così il disco è costituito da un involucro esterno, l’anello fibroso, e da una parte interna, più malleabile, il nucleo polposo. L’ernia si ha quando l’involucro si lacera e il nucleo polposo viene espulso all’esterno”. Il sintomo principale è il dolore lombare dovuto allo stiramento del legamento che decorre posteriormente al disco: quello che popolarmente viene indicato come il “colpo della strega”. Ma non solo: “Se, fuoriuscendo dalla sua sede, il nucleo del disco

comprime le radici nervose, il dolore si irradia alla gamba, interessando la parte posteriore della coscia e raggiungendo, talvolta, anche il tallone e il piede, è la cosiddetta lombosciatalgia o, nell’accezione più comune, sciatica. Altri sintomi sono formicolii e alterazioni della sensibilità, per arrivare a disturbi della forza se la radice del nervo è compressa in modo significativo- aggiunge Cenzato-”.

Diagnosi e trattamentoA provocarla non è necessariamente un intenso sforzo fisico. “Anche sollecitazioni modeste, in situazioni di debolezza strutturale del disco o di scarsa tonicità muscolare possono causarne l’insorgenza- spiega lo specialista-”. La diagnosi, quindi, si basa sulla valutazione dei sintomi raccontati dal paziente e sull’esame clinico; importanti indicazioni possono arrivare da indagini strumentali come la risonanza magnetica oppure la Tac. Riposo, farmaci anti-infiammatori e cortisonici, sono le indicazioni da seguire per la fase acuta. “Nell’arco di qualche settimana, il materiale del nucleo polposo si disidrata, riducendo a poco a poco il proprio volume, e anche il dolore, di conseguenza, dovrebbe notevolmente attenuarsi- spiega il neurochirurgo-”.

L’interventoQuando la compromissione dei nervi è importante e i sintomi non rientrano, diventa necessario l’intervento chirurgico. “In presenza di gravi

sofferenze del nervo, è bene intervenire con una certa tempestività. Il rischio, altrimenti, è che il sintomo non regredisca dopo l’operazione, cronicizzandosi- sottolinea Cenzato-”. Ancora molto diffuse sono le convinzioni che si tratti di un intervento rischioso. In realtà, anche la neurochirurgia vertebrale, così come altre branche della chirurgia, oggi si avvale di tecniche sempre meno invasive, spesso supportate da una raffinata tecnologia e con un’incidenza minima di rischi e complicanze. “Lo stesso intervento tradizionale di rimozione dell’ernia non è nemmeno paragonabile a quello che veniva eseguito in passato: attraverso un’incisione di due centimetri al massimo viene raggiunto lo spazio tra le vertebre e, con l’ausilio dei microscopi viene “liberata” la radice nervosa in modo estremamente preciso e mirato- prosegue lo specialista-. I tempi di recupero sono piuttosto rapidi: già il secondo giorno il paziente è in grado di camminare, al terzo viene dimesso. Nel giro di due settimane può riprende la vita normale-”.

Ernia del disco: come intervenireAttenzione al peso e alla postura. La tecnica microchirurgica

Prevenire è meglio…La prevenzione dell’ernia si basa sul mantenimento di un buon tono muscolare, sul controllo del peso corporeo, su un’attività fisica regolare. È importante anche imparare a sollevare i pesi in modo corretto, non piegando il busto in avanti, ma flettendo le gambe. E per chi passa molte ore al volante? “Il consiglio è di tenere lo schienale leggermente flesso all’indietro, posizionando un cuscino, ne esistono di specifici, da applicare al sedile del veicolo, all’altezza della regione lombare- dice l’esperto-. Per le altre attività, la regola da seguire è di evitare di rimanere nella stessa posizione per periodi eccessivamente lunghi. A casa, o dove l’ambiente lavorativo lo consenta, l’ideale sarebbe utilizzare una sedia ergonomica, che permette di “scaricare” in modo corretto il peso dalla colonna vertebrale”.

Glioblastoma-i sintomiI pazienti colpiti da glioblastoma possono presentare sintomi molto variabili tra loro, dal mal di testa con nausea e vomito alla crisi epilettica improvvisa, fino a sintomi neurologici focali come quelli che caratterizzano gli ictus (come perdita del linguaggio e paralisi, che però a differenza dell’ischemia si instaurano gradualmente). Anche perdite di memoria o cambiamenti della personalità possono essere un campanello d’allarme.

Appuntamento - 25 maggio

Giornata Nazionale del Sollievo: visite gratuite

Domenica 25 maggio Niguarda aderisce alla Giornata Nazionale del Sollievo e del Dolore con gli specialisti in algologia che

effettueranno visite gratuite e daranno informazioni sulle sindromi dolorose e le tecniche di controllo.

PRENOTAZIONIA ridosso dell’evento sarà possibile prenotare una visita gratuita (fino ad esaurimento posti) per la giornata di domenica 25 maggio, attraverso:Numero verde di Prenotazione Regionale 800.638.638 - lun-sab: 8.00-20.00Sportello Prenotazione di Niguarda Area Sud, Blocco Sud - lun-ven: 8.00-19.30 sab: 8.00-13.00

sette

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Rar

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Niguarda Centro di Riferimento per le Malattie Rare

E’ una forma rara e molto insolita di epilessia: è la sindrome di West e colpisce in età neonatale,

spesso in maniera subdola. Il picco d’insorgenza è intorno ai 6-7 mesi dalla nascita e può capitare che la malattia irrompa, così, quasi all’improvviso, andando a compromettere uno sviluppo psicomotorio del tutto normale fino a quel momento. In alcuni casi può “apparire” senza cause conosciute per poi “sparire”, se trattata adeguatamente senza lasciare strascichi, in altri può essere contenuta grazie ai farmaci o alla chirurgia, ma con possibili ricadute sullo sviluppo delle abilità cognitive o motorie. In altri ancora può evolvere a distanza di anni in altre forme di epilessia.

Spasmi muscolariE’ una cosiddetta triade di manifestazioni a caratterizzare la malattia. I più evidenti sono gli spasmi infantili. In pratica il bambino compie involontariamente dei movimenti che interessano il tronco e gli arti superiori: si piega in avanti o all’indietro, alzando (ma non i tutti casi) le braccia. Si tratta di gesti ripetitivi e repentini senza alcun controllo. Le crisi si presentano a grappolo e si ripetono nel giro di pochi secondi; con l’avanzare della

patologia si intensificano riproponendosi ad intervalli sempre più serrati. Spesso i primi episodi colpiscono in fase di addormentamento o al risveglio. Un altro aspetto che accompagna questi spasmi- e che viene spesso riportato dai genitori- coinvolge lo sguardo: è la perdita del contatto visivo. “Sono bambini che ti guardano, ti sorridono, ma poi ad un certo punto smettono di farlo, il loro sguardo diventa improvvisamente assente- spiega la neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, Stefania Bergamoni-. Nel corso della crisi, inoltre, possono esserci anche delle deviazioni degli occhi che accompagnano lo spasmo”.

Un tracciato nel caos e il ritardo Il vero “termometro” che segnala la presenza di questa rara forma epilettica sono le anomalie nel tracciato dell’elettro-encefalogramma. “In questi casi l’esito dell’esame appare del tutto caotico, disordinato, con onde dalla forma irregolare- spiega la neuropsichiatra-. E’ il secondo elemento tipico della triade e viene definito ipsaritmia”. Il terzo è il ritardo o il deterioramento psico-motorio. “Può succedere che la malattia di base sia presente fin dalla nascita, in questi casi il bambino ha

difficoltà a raggiungere le normali tappe dello sviluppo. Quando invece la sindrome si instaura nei mesi successivi ha l’effetto retrogrado di cancellare le abilità acquisite- sottolinea Bergamoni-. Ad esempio il bambino non è più in grado di mantenere la posizione seduta o di prendere gli oggetti con le mani. La regressione è molto veloce e può avvenire anche nell’arco di due settimane”.

Primaria o secondariaCi sono delle forme in cui la malattia non è collegata a nessuna causa evidente. In altre parole se si eseguono esami specialistici come la risonanza magnetica non si trovano malformazioni cerebrali o altri motivi che possono spiegare la sindrome: sono le forme primarie. “In questi casi è ipotizzata la presenza di mutazioni genetiche non ancora identificate- sostiene la specialista-”. Nelle forme secondarie alla base della malattia c’è una causa organica riscontrabile, come può essere una malformazione o una lesione che affligge il sistema nervoso centrale. Oppure può essere collegata ad un’altra patologia. “Le correlazioni più frequenti sono con la sclerosi tuberosa e con la neurofibromatosi- spiega l’esperta-. Ci sono poi i casi in cui il

piccolo può essere andato incontro ad una sofferenza ischemica cerebrale durante il parto”.

Le terapieIl trattamento farmacologico punta sulla somministrazione di vigabatrin. “E’ un anticonvulsivante molto efficace in quelle forme correlate alla sclerosi tuberosa. In tutti gli altri casi la terapia si basa sull’utilizzo di ACTH, l’ormone adrenocorticotropo. La strategia è quella di attaccare la malattia con un trattamento ad alte dosi. Dopo la prima settimana di cura si va progressivamente a diminuire il dosaggio- precisa Bergamoni-. Entrambi i trattamenti vengono effettuati in regime di ricovero, sia per monitorare l’andamento delle terapie, attraverso esami elettro-encefalografici ripetuti a distanza di pochi giorni, sia per controllare eventuali effetti collaterali”.L’intervento chirurgico può essere un’opzione contro la malattia per ridurre gli spasmi. “In questi casi come per gli altri tipi di epilessia la zona su cui intervenire deve essere focalizzata in una precisa area cerebrale che può essere raggiunta chirurgicamente- dice Bergamoni-”.

La sindrome di West: una rara forma di epilessiaColpisce in età neonatale e può compromettere lo sviluppo

IntervistaGinevra ha un anno, ma la malattia è “esplosa” all’improvviso quando aveva 6 mesi, durante un soggiorno al mare, l’estate scorsa. Il caso è stato preso tempestivamente grazie all’attenzione di mamma Gaia, di cui abbiamo raccolto le parole, e del nonno medico. Com’è iniziato tutto?Ricordo quei giorni, poco prima del compimento del sesto mese di Ginevra. Eravamo al mare e ha iniziato ad avere delle crisi di pianto la sera. Poteva andare avanti anche 4 ore, era proprio inconsolabile. Inizialmente abbiamo pensato al momento particolare dato dallo svezzamento e dalla comparsa dei primi denti. Ma non si calmava neanche attaccandola al seno e a volte è capitato anche che vomitasse. Poi si addormentava e dormiva 12 ore. Di giorno stava bene, ma poi la sera ricominciava. Aveva perso anche il sorriso, non sorrideva più a nessuno e peggiorava di giorno in giorno. Dopo quanto i primi spasmi?Dopo circa 10 giorni. Non li dimenticherò mai: in una frazione di secondo le si irrigidivano le gambe e le braccia, si buttava all’indietro sulla schiena con gli occhi roteati all’insù. Erano diversi dagli attacchi che ci si immagina quando si parla di epilessia. Ci siamo subito allarmati perché mio padre, che era al mare con noi, è chirurgo e, intuendo subito la possibile

gravità, ha contattato dei colleghi. Dopo 2-3 giorni siamo andati a fare l’elettro-encefalogramma, che è apparso molto disturbato. Dopo questo esame ci siamo rivolti al Niguarda.Qui cosa è stato fatto?Hanno subito intuito che si potesse trattare della sindrome di West, sospetto che è diventato realtà dopo gli esami svolti. Intanto le crisi erano sempre più prolungante e la bambina continuava a piangere. A questo si aggiungeva il fatto che non sorrideva più. Iniziava a non rispondere più agli stimoli, non seguiva più gli oggetti con lo sguardo, era completamente assente. Non è stato facile. E poi?Si è andati a verificare che a causare la sindrome non ci fosse qualche lesione cerebrale o qualche altra malattia, come la sclerosi tuberosa. Per questo è stata fatta la risonanza magnetica, che per fortuna non ha evidenziato alcun problema. Quindi è iniziata la terapia con l’ACTH.Siete stati ricoverati?Sì per quasi un mese, da fine luglio a fine agosto. Alla terza puntura gli spasmi si sono arrestati e non sono più tornati. Però è stato un trattamento molto debilitante per la bambina, che durante il ricovero non faceva altro che dormire e mangiare. Il farmaco infatti è della famiglia del cortisone e ha scatenato

nella piccola una fame mostruosa. Alla fine della cura non sembrava neanche più lei, tanto era grassa e gonfia. In più ci sono state delle altre complicazioni: la pressione si era alzata parecchio e c’è stato bisogno di farla seguire anche dai cardiologi che le hanno prescritto degli anti-ipertensivi e dei diuretici. E’ stato un percorso difficile…Molto. Per fortuna riportata a casa, all’inizio di settembre, Ginevra ha ricominciato a sorridere e a riprendere contatto con il mondo. Anche l’appetito ha iniziato a placarsi. Nei mesi successivi si è riallineata al suo percorso di sviluppo. Ora gattona, sta in piedi da sola, dice “mamma” e “pappa”. A noi sembra che stia molto bene. E’ sveglia, è vivace. Intanto i controlli continuano. Solo il tempo potrà dirci se la malattia non ha lasciato esiti. Bisogna avere molta pazienza.

LE ALTRE STORIENiguarda è uno dei 34 Presidi della Rete regio-nale dedicata alle malattie rare ed è in grado di garantire la diagnosi, la terapia e l’assistenza per più di 120 differenti patologie. Leggi le storie degli altri pazienti nella sezione dedicata sul sito: www.ospedaleniguarda.it

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Tumori e gravidanza: oggi si puòCurare e diventare genitori

Dopo la chirurgia

Un gonfiore al braccio o alla gamba che diventa dolente a causa di un’ostruzione linfatica. E’ il linfedema, una patologia che

può avere diverse cause. Tra queste ci può essere la chirurgia oncologica: infatti in pazienti operati per un tumore può succedere che la rimozione di uno o più linfonodi porti ad un’alterazione nel sistema linfatico che può causare questa patologia. Nella maggior parte dei casi le pazienti sono donne operate per un tumore al seno. Per loro e per tutti gli altri casi a Niguarda è attivo un ambulatorio che da oltre 13 anni li aiuta nella gestione di questa condizione. La parola a Giovanna Beretta, Direttore della Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione.Cos’è il linfedema?E’ un edema, ossia un gonfiore di natura linfatica che interessa principalmente gli arti, causato dall’accumulo di liquidi a livello interstiziale. Questa condizione può portare ad un aumento del volume del braccio o della gamba, anche 2-3 volte superiore alla norma, che può determinare difficoltà di movimento e di flessione. Se ci riferiamo alle donne operate al seno, il linfedema può comparire nel 15-20% dei casi e tende a manifestarsi nel corso degli anni: solo raramente è molto precoce e compare subito dopo l’intervento; insorge soprattutto nel corso dei primi 2-3 anni, e in diversi casi può essere ad esordio molto più tardivo.Quali sono le caratteristiche dell’ambulatorio?Afferiscono mediamente circa 400 pazienti l’anno, che vengono seguiti da medici, fisioterapisti, massoterapisti e terapisti occupazionali. Trattiamo tutti i tipi di linfedema; nel 70% dei casi sono donne che hanno subito l’asportazione del pacchetto linfonodale

ascellare in seguito alla chirurgia del tumore della mammella. Ma negli ultimi anni è in aumento anche la quota d’intervento per gli arti inferiori, sia donne sia uomini operati, ad esempio, per un melanoma, per un tumore alla prostata, alla vescica, all’utero o all’ovaio.Come può essere trattato?E’ importante ricordare che la tempestività è un fattore fondamentale per la buona gestione di questa condizione. Per questo esiste un filo diretto tra noi professionisti della riabilitazione e le chirurgie dove i pazienti vengono operati. E’ fondamentale informali di questa possibile complicazione ed è bene che ai primi sospetti si rivolgano a noi per un consulto. Le “armi” che abbiamo a disposizione sono delle particolari tecniche che puntano a far defluire i liquidi dalla zona ingrossata. Questo si realizza con il linfodrenaggio manuale, alternato alla pressoterapia, una tecnica che sfrutta l’azione di particolari bracciali gonfiabili. Le sedute si completano, quindi, con il bendaggio elastico compressivo e con gli esercizi di rieducazione per favorire il drenaggio. Esiste una prevenzione per il linfedema?Io non parlerei di prevenzione: ci sono delle buone norme da seguire, non è detto che siano sufficienti a scongiurarlo, ma possono aiutare. Sicuramente è molto utile indossare la guaina elastica che serve a mantenere gli effetti benefici del trattamento. I primi tempi può risultare fastidiosa, ma poi ci abitua e se ne trae un grosso beneficio. Tra i consigli c’è quello di evitare di stressare il braccio, il che non vuol dire non utilizzarlo. E’ bene non sollevare pesi troppo gravosi; evitare un’eccessiva esposizione al caldo. Se si devono fare delle punture utilizzare l’altro braccio e mantenere un buon livello di igiene per

abbassare il rischio di possibili infezioni. Anche il controllo del peso gioca un ruolo importante. Per questo il nostro intervento si allarga, laddove ce ne sia bisogno, anche all’educazione alimentare, grazie ad una stretta collaborazione con gli specialisti della dietetica, che realizzano consulenze e visite. Comunque questi ed altri consigli li abbiamo raccolti in un opuscolo pensato per i pazienti, consultabile sul sito dell’Ospedale.

S.O.S. linfedemaUn ambulatorio per le donne operate al seno e non solo

Medicina RiabilitativaeNeuroriabilitazione

La presa in carico del paziente propone percorsi di cura integrati, con l’apporto di differenti professionalità grazie alla presenza di équipe multidisciplinari - medico, fisioterapista, terapista occupazionale, logopedista (esperto in disturbi del linguaggio e della deglutizione) - e in regimi che possono variare dalla degenza ordinaria, al day-hospital, all’ambito ambulatoriale.

Per info e prenotazioniNumero verde di prenotazione regionale

800.638.638 (lun-sab: 8.00-20.00)

areaprivata.ospedaleniguarda.it

GiovannaBeretta

La malattia oncologica da una parte e la possibilità di avere figli dall’altra, come se fossero due eventi separati: un tempo era questo l’approccio scelto

per trattare quei tumori che colpiscono in età giovanile e

che rischiano di pregiudicare la maternità o la paternità. Oggi i due aspetti non sono più considerati come due fasi slegate, ma vengono affrontati simultaneamente per favorire la cura e la qualità di vita dopo la malattia.

Abbiamo raccolto il parere di due esperti in materia, il chirurgo ginecologico Fabio Sanguineti e il ginecologo Maurizio Bini, Responsabile del Centro Studi e Trattamento per i Disturbi della Fertilità.

E’ possibile il percorso della gravidanza durante o dopo la malattia oncologica?Assolutamente sì e, basandosi sui dati degli studi internazionali, si tratta di un aspetto che si tende sempre di più a tenere in considerazione, anche perché l’innalzamento dell’età in cui si cerca una gravidanza ha portato questa eventualità a diventare sempre più frequente. Quali sono i casi che capita di trattare più spesso?Nella donna il caso a maggior incidenza è il tumore alla mammella, seguito da quello dell’endometrio e della cervice. Poi ci sono

anche le neoplasie non ginecologiche come i linfomi, il carcinoma della tiroide e il melanoma, patologie che possono costituire un rischio anche per la paternità dei maschi. Infatti, questi pazienti, sia uomini che donne, devono sottoporsi a chemioterapie, radiochirurgie o interventi che possono pregiudicare la loro attività riproduttiva, per mantenerla bisogna puntare sul trattamento più conservativo possibile.Il tempo e la stadiazione del tumore sembrano essere dei fattori determinanti per cura e fertilità, è così?Sì, l’intervento precoce nelle fasi iniziali della malattia è una raccomandazione sempre valida, anche se non bisogna farsi prendere dalla fretta d’intervenire. Sono casi complicati, in cui ciascuna mossa va ben ponderata, altrimenti si rischia di non avere il risultato sperato né in termini di prognosi né per la conservazione della fertilità. Per questo è bene rivolgersi a centri altamente specializzati.

Fabio Sanguineti

La crioconservazione gametica, ovvero il congelamento di ovuli e spermatozoi, è una possibilità importante, che Niguarda offre a questi pazienti?Sì, l’idea alla base è quella di uno “stoccaggio” dei rispettivi ovuli o spermatozoi, prima di iniziare eventuali terapie che possono compromettere la fertilità, in modo da avere una “riserva” da cui attingere per avere comunque una chance riproduttiva tramite inseminazione artificiale. Qual è la frequenza di utilizzo del servizio ed è vero che la crioconservazione è più facile per lui?Effettuiamo mediamente 6-7 congelamenti al mese.

La maggior parte sono pazienti oncologici, ma ci sono anche casi di malattie neurologiche o reumatiche che comportano l’assunzione di farmaci che possono compromettere la fertilità. E’ più facile per lui, più complessa per lei: nella donna, infatti, il prelievo richiede un intervento chirurgico e la possibilità di conservazione si abbassa ad una decina di ovuli anziché milioni di spermatozoi come, invece, avviene per l’uomo. Bisogna, inoltre, adottare specifiche precauzioni per l’ovocita, che essendo molto più grosso e contenendo una maggiore percentuale di acqua, può andare incontro più facilmente ad una esplosione durante il congelamento.Qual è il tasso di riutilizzo?Non tutti utilizzano quanto conservato, solo il 15%. C’è comunque da sottolineare un aspetto psicologico non secondario: chi crioconserva ha anche un miglior successo nelle terapie oncologiche. Questo probabilmente perché chi sceglie questa procedura ha una grossa speranza che incoraggia e aiuta ad affrontare al meglio la malattia.

Maurizio Bini

Il reparto affronta la prevenzione, la diagnosi e la cura della malattia oncologica ginecologica, con un approccio pluridisciplinare. Per farlo si avvale della collaborazione con l’Oncologia, la Radioterapia e l’Anatomia Patologica. Gli interventi vengono effettuati sia con tecnica

tradizionale, sia mininvasiva (laparoscopia diagnostica e operativa, isteroscopia diagnostica e operativa) e con l’ausilio del Robot. Al suo interno opera Il Centro Studi e Trattamenti per i Disturbi della fertilità, un riferimento per oltre 600 nuove coppie ogni anno.

Per info e prenotazioniNumero verde di prenotazione regionale

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Oncologia e chirurgia toracica

La diagnosi precoce è una carta fondamentale per battere i tumori: intervenire quando

la malattia è ancora contenuta è un denominatore comune che accompagna le storie di chi ce l’ha fatta. I casi di tumore al polmone non fanno eccezione. E insieme al fattore tempo non va sottovalutata l’importanza di una diagnosi che sappia fotografare la stadiazione della malattia, unica vera coordinata su cui impostare la terapia migliore. A che punto sono oggi i trattamenti per questo tipo di neoplasia, che rimane una delle cause di morte più diffusa nei paesi occidentali? E le tecniche diagnostiche: ci sono novità? Abbiamo fatto qualche domanda al chirurgo Massimo Torre, Direttore della Chirurgia Toracica.

Chirurgia, chemioterapia e radio-terapia, sono queste le opzioni a disposizione per i pazienti colpiti dal tumore al polmone: su cosa si punta di più?Ogni caso ha la sua storia. Nei pazienti in cui la patologia è intercettata precocemente la chirurgia molto spesso è risolutiva. In quelli che noi specialisti chiamiamo “terzo stadio”, ossia quando lo stato della malattia è più avanzato, la combinazione delle varie armi a disposizione è la strategia migliore. Per questo il percorso all’interno del Niguarda Cancer Center è di tipo multi-specialistico e i casi sono seguiti grazie

al confronto tra i chirurghi, gli oncologi, i radioterapisti, gli pneumologi e gli specialisti dell’anatomia patologica e della medicina nucleare, per le fasi diagnostiche.Venendo proprio alla diagnosi, le tecniche si sono affinate negli ultimi anni?Una nuova procedura si sta affermando negli ultimi anni. Si tratta dell’EBUS, l’Endobronchial Ultrasound, una tecnica che al più presto contiamo di poter utilizzare anche nel nostro centro. E’ uno speciale ago eco-guidato che unisce le caratteristiche dell’ecografia e della broncoscopia garantendo una maggiore precisione nelle biopsie ai linfonodi. Il fattore che incide maggiormente sulla prognosi del tumore polmonare, infatti, è lo stato d’interessamento dei linfonodi. E per quanto riguarda l’approccio

che la vede protagonista, ovvero la chirurgia, in che direzione si sta andando?Quello su cui ci siamo focalizzati negli ultimi anni è la riduzione dell’impatto traumatico sui pazienti. Per farlo stiamo puntando sempre di più sulla chirurgia mininvasiva. Già oggi gli interventi sono realizzati grazie a mini-incisioni. Questo consente una chirurgia indolore con degenze contenute. Parliamo di pazienti che subiscono una lobectomia polmonare e che al terzo o quarto giorno possono andare a casa. Per fortuna la chirurgia oncologica non è più così devastante come quella di un tempo, è molto più conservativa, mirata e sicura.Il tutto si accompagna ad un esito tanto più favorevole quanto più tempestivamente ci si accorge della malattia?Sì e farlo non è facile, perché si tratta di

una patologia spesso silente che non dà sintomi specifici.Il nostro centro può contare sull’attività della pneumologia diagnostica che nel polo di Villa Marelli è in grado di offrire con competenza e rapidità tutti i necessari accertamenti che possono essere utili per una diagnosi precoce. Nel giro di una giornata il paziente può così sottoporsi ad una radiografia al torace, ad una spirometria e se necessario ad una Tac.E questo per un paziente con un problema polmonare anche post influenzale rappresenta un sicuro punto di riferimento. Da non dimenticare poi la prevenzione legata al fattore di rischio principale ovvero il fumo, ma anche l’inquinamento che in una città come Milano incide in maniera significativa sulle malattie polmonari e sulla loro crescente diffusione.

Tumore al polmone: obiettivo diagnosi precoceTra le novità chirurgia sempre meno invasiva e innovative tecniche diagnostiche

Chirurgia toracica La struttura è dedicata alla terapia chirurgica delle patologie del torace, in particolare di natura tumorale (del polmone, del mediastino, della gabbia toracica). Vengono seguiti ogni anno una media di 400 pazienti (tra questi anche i casi di malformazione toracica, anche dell’età pediatrica). L’attività è strettamente connessa al servizio di diagnostica svolto sul territorio dal polo di Villa Marelli e all’attività oncologica in ambito ospedaliero ad opera delle

Strutture di Pneumologia ed Oncologia, in modo da garantire al paziente un percorso diagnostico-terapeutico completo e di alto profilo specialistico.

Per info e prenotazioniNumero verde di prenotazione regionale

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areaprivata.ospedaleniguarda.itMassimo Torre

Niguarda Cancer Center

Le nuove frontiere in oncologiaLa “biopsia liquida” e le altre metodiche sperimentali per trattamenti personalizzati

Farmaci sempre più mirati che, come pallottole intelligenti, colpiscono in maniera selettiva

le cellule tumorali. In oncologia lo sviluppo di terapie personalizzate ha dato un notevole impulso alla ricerca, aprendo nuove strade per trattamenti innovativi. Dogma fondamentale di questo approccio è la conoscenza specifica delle caratteristiche molecolari del tumore. Il Niguarda Cancer Center negli ultimi anni è stato tra i principali protagonisti per lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie soprattutto per il carcinoma del colon retto. Abbiamo fatto qualche domanda all’oncologo Andrea Sartore Bianchi, Responsabile dell’Oncologia Clinica Molecolare.La nuova sfida in oncologia sembra essere chiara: ottenere “l’identikit” direttamente dal DNA delle cellule tumorali per prevedere quali cure saranno le più efficaci. A che punto siamo?Negli ultimi anni quella della personalizzazione delle cure è stata una “pista” sempre più battuta e anche noi l’abbiamo perseguita per mettere a punto nuovi farmaci, soprattutto per il trattamento del tumore al colon-retto in fase avanzata. Questo vi ha anche impegnati nella fase di progettazione di strumenti utili per rilevare “quell’impronta genetica”, su cui cercare di calibrare i trattamenti?Certamente e oggi abbiamo sviluppato strumenti clinici di diagnostica molecolare innovativi, soprattutto

per il carcinoma colon-rettale in fase metastatica. Per il momento li utilizziamo nell’ambito di sperimentazioni cliniche, ma presto potrebbero affiancare e complementare la diagnostica convenzionale. Mi riferisco alla biopsia liquida e all’utilizzo del modello degli xenopatient.Cosa sono?La biopsia liquida è stata messa a punto proprio a Niguarda, in collaborazione con il Prof. Alberto Bardelli dell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo, e consente con un semplice prelievo di sangue l’identificazione di frammenti di DNA tumorale che ci danno un’idea precisa sulle caratteristiche della patologia e le possibili resistenze ai trattamenti. Negli xenopatient invece la neoplasia viene prelevata mediante biopsia dal paziente e riprodotta in modelli animali. Questo consente di condurre dei mini-trial, studi in laboratorio, per scoprire le specifiche molecolari del tumore. Si tratta di metodiche d’avanguardia ancora in via di perfezionamento ma che hanno già determinato un’accelerazione nella messa a punto di nuovi farmaci.Quali sono stati negli ultimi anni gli avanzamenti per il tumore del colon retto?Grazie alla collaborazione tra l’Oncologia e l’Anatomia Patologica di Niguarda e l’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo negli anni scorsi siamo riusciti a fare entrare nell’uso clinico e a migliorare l’indice terapeutico di trattamenti

come cetuximab, panitumumab e, più recentemente, regorafenib. Si tratta di farmaci a bersaglio molecolare che rappresentano un significativo passo in avanti per la terapia di questo tipo di tumore. Su cosa si lavora attualmente?Tanti progetti, il filo rosso è sempre quello dell’identificazione dei meccanismi di resistenza che si trasformano in opportunità terapeutiche. Nell’ambito del carcinoma del colon-retto, abbiamo individuato delle nuove anomalie genetiche tumorali “azionabili”, cioè attaccabili con farmaci ad hoc. Una di queste è l’oncogene HER-2. Grazie ai finanziamenti del progetto di Oncologia Clinica Molecolare “5 per mille” di AIRC (ndr Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), è stata avviata una sperimentazione clinica denominata HERACLES che confronta gli effetti di due diverse combinazioni terapeutiche che bloccano HER2. Un approccio che si basa proprio su xenopatient e biopsia liquida e che noi coordiniamo a livello nazionale. Inoltre conduciamo con soli fondi autonomi, provenienti dall’Oncologia Ca’ Granda ONLUS Fondazione, uno studio con il farmaco temozolomide per i carcinomi del colon-retto metastatici che hanno un altro difetto genetico, cioè la perdita dell’enzima MGMT. Il repartoL’Oncologia Falck svolge attività clinica per la cura dei tumori solidi, in particolare dell’apparato digerente ed epatobiliare, del polmone, della mammella, dell’ovaio e dell’utero,

della testa e collo, sarcomi e tumori a sede primitiva ignota. Si avvale anche della Struttura Semplice di Oncologia Clinica Molecolare che coordina, quando ne sussistono i presupposti, un orientamento terapeutico personalizzato sulla base del profilo molecolare del tumore, sia in ambito sperimentale che di pratica clinica. L’itinerario diagnostico-terapeutico si svolge in modo integrato con gli altri dipartimenti con équipe multidisciplinari (senologia, ginecologia, testa-collo, tumori del retto, tumori del colon e metastasectomia epatica e polmonare), che si occupano di patologie anche non così frequenti come i tumori neuroendocrini, del retto, del rinofaringe, del testicolo e germinali e del medulloblastoma.

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Andrea Sartore Bianchi

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Le parole della salute

Le bioimmagini con la PETUtile per la diagnosi precoce dei tumori e per la loro stadiazione

La tomografia a emissione di positroni (o PET, dall’inglese Positron Emission Tomography)

è una tecnica diagnostica utilizzata in medicina nucleare per la produzione di bioimmagini. Quando viene utilizzata e come funziona? Ce lo siamo fatti spiegare da Claudio Rossetti, Direttore della Medicina Nucleare.La tecnicaCon l’esame PET si ottengono mappe dei processi funzionali all’interno del corpo ed è una tecnica diagnostica di grande importanza per la diagnosi di numerose patologie: rivelazione precoce di tumori, verifica dello stadio della malattia e dell’efficacia terapeutica, studio di patologie cardiache e cerebrali e studio di infezioni -infiammazioni. Grazie ad essa, come normalmente avviene anche per le altre indagini di medicina nucleare, si producono delle immagini relative alla concentrazione ed alla distribuzione nell’organismo di particolari molecole radioattive, denominate radiofarmaci, preventivamente somministrate al paziente.Il radiofarmacoIl tracciante viene infuso in una vena circa un’ora prima dell’inizio dell’esame, ed è necessario per poter identificare le diverse zone del corpo e il loro funzionamento. Uno dei composti

più utilizzati è il [18F]-FDG (fluoridesossiglucosio) che si accumula nelle aree dove avviene un maggiore consumo di glucosio. In molte patologie, come nel caso di tumori, problemi neurologici o cardiovascolari, oppure negli stati di infezioni-infiammazioni, i tessuti malati accumulano il radiofarmaco generando così dei punti più luminosi nelle immagini prodotte.

Chi si può sottoporre all’esame?La PET impiega sostanze radiomarcate, tuttavia la dose d’irradiazione è relativamente bassa, ed è equivalente circa a quella che si assume quando si esegue una Tac. Chiunque può essere sottoposto a questo tipo di esame. L’unica eccezione sono le donne in gravidanza o che presentano un ritardo nel ciclo mestruale: è bene che segnalino il loro stato prima dell’iniezione, a causa di possibili conseguenze sul feto. Se la gravidanza insorge anche a breve distanza di tempo dall’esecuzione dell’esame non si corre alcun rischio. Durante il periodo di allattamento è necessario che le donne avvertano il medico di questa circostanza per ricevere istruzioni sul periodo della necessaria interruzione dell’allattamento al seno, che varia a seconda del radiofarmaco utilizzato.PreparazionePer eseguire la PET è necessario il digiuno da cibi

zuccherati (frutta dolci, biscotti, etc…) da almeno sei ore. È preferibile astenersi dall’attività fisica intensa nelle ore precedenti l’indagine. È bene inoltre assumere abbondanti liquidi (acqua e bevande non zuccherate). Merita particolare attenzione il controllo della glicemia nei pazienti diabetici.

E’ disponibile gratuitamente nei principali store per mobile la nuova App del Ministero della

Salute “Planner delle vaccinazioni”, pensata per avere sempre sotto controllo le vaccinazioni del tuo piccolo, su smartphone o tablet. L’app suggerisce le

vaccinazioni da fare e quando farle, in base al Piano nazionale vaccini 2012-2014 ed è anche un utile pro-memoria per ricordare le dosi già somministrate. Per far funzionare l’applicazione occorre impostare pochi dati essenziali del bambino e, se lo desideri, si possono aggiungere una

foto del piccolo e i riferimenti del proprio pediatra. Dopo ogni vaccinazione inserita, puoi giocare col tuo bambino facendogli schiacciare le immagini di virus e batteri con un semplice “tap”.

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App vaccinazioni: schiaccia i virus con un touch

LE FASI DELL’ESAMEIl radiofarmaco viene somministrato tramite un’iniezione in vena, generalmente nell’avambraccio. Il periodo di attesa tra la somministrazione del tracciante e l’esame è variabile in base al differente meccanismo di distribuzione e generalmente può variare fra 10 minuti e 1 ora. Questo tempo deve essere trascorso in sale dedicate all’interno del reparto di Medicina Nucleare. L’esecuzione dell’esame avviene facendo distendere il paziente sul letto del tomografo PET, la macchina che registra le radiazioni emesse. Durante l’indagine è necessario togliere gli oggetti metallici (collane e braccialetti) dal campo di rilevazione, che potrebbero interferire con la produzione dell’immagine. Al termine della procedura il paziente può riprendere le normali attività. I composti radioattivi usati sono eliminati rapidamente dall’organismo, generalmente in poche ore. In alcuni casi, a seconda del tracciante utilizzato, è consigliabile evitare la vicinanza con bimbi piccoli e donne in gravidanza per alcune ore.

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Psichiatria

Sepolti in casa dagli oggettiGli accumulatori compulsivi. Sintomo o malattia? Gli anziani i più a rischio

Case stipate di oggetti fino all’inverosimile. Persone che si ripetono come un mantra

“questo potrebbe servirmi”. Così non si butta mai niente, tutto si accatasta in maniera disordinata e confusa con il rischio di finire letteralmente sepolti in casa: sono gli accumulatori compulsivi. Abbiamo imparato a conoscerli anche grazie a trasmissioni tv, “made in U.S.A.”, che con le loro telecamere hanno varcato la soglia di queste abitazioni. Ma di cosa si tratta? Di una malattia? O di un sintomo? Chi si cela dietro questo comportamento? Abbiamo raccolto il parere dello specialista Leo Nahon, Direttore della Psichiatria 3.

Di cosa parliamo, di un disturbo a sé stante o di una manifestazione di qualche altra patologia?Parliamo di un sintomo e non di una malattia in sé. Può essere presente in diverse patologie, come i disturbi ossessivi compulsivi, le forme gravi di depressione e le psicosi importanti. Poi ci sono i casi legati al deterioramento cognitivo negli anziani. Spesso questo comportamento si correla con una trascuratezza della cura di sé e dell’ambiente dove si vive. E’ un sintomo vistoso che quindi colpisce l’immaginazione ed è facile rimanerne impressionati. Il primo caso descritto in letteratura è quello di due fratelli newyorkesi, che negli anni quaranta del secolo scorso furono trovati morti nel loro appartamento, letteralmente seppelliti dal crollo delle cose che avevano accumulato. In casi come

questi si può parlare di un sintomo che diventa talmente evidente da costituire il nucleo della malattia, ma sono circostanze eccezionali.Quali sono i meccanismi che fanno insorgere questo comportamento?L’aspetto fondamentale è l’incapacità di separarsi dalle cose che rappresentano qualcosa di particolarmente signifi-cativo per il soggetto.In generale questo tipo di comportamento viene messo in relazione con un’incapacità di affrontare le perdite di tipo umano, di tipo relazionale e di tipo affettivo. Negli ultimi anni ci sono stati degli interessanti studi che hanno evidenziato anche una base biologica del problema.In sostanza in questi pazienti sono state riscontrate delle anomalie nei circuiti neuronali. In più, se ci si pensa, in queste persone la tendenza all’accumulo sfrenato non è altro che un’estremizzazione di un comportamento da sempre nella natura umana: quello di crearsi delle scorte per fronteggiare possibili periodi di penuria.Nel vostro lavoro di tutti i giorni avete a che fare con accumulatori compulsivi, a quale identikit corrispondono?Ogni mese facciamo diverse centinaia di interventi domiciliari in cui l’operatore va a casa del paziente.Capita di entrare in abitazioni le cui condizioni sono del tutto simili a quelle viste nelle trasmissioni tv.In 4 casi su 5 si tratta di anziani che hanno un iniziale danno di tipo cognitivo e che spesso preludono ad

una stato di demenza. Queste persone tengono di tutto e di più. Nei casi più estremi si accumula anche la spazzatura. Non c’è da stupirsi dell’età avanzata di questi soggetti.Tutti gli anziani infatti anche i più facoltosi, diventano molto più parchi con l’avanzare dell’età. Ed è una reazione ad una sensazione di maggiore difficoltà che avvertono nei confronti del proprio futuro, soprattutto in tempi di crisi economica: con questo atteggiamento si sentono più attrezzati a fronteggiarlo.Da chi arriva la segnalazione?Ad accorgersene sono i famigliari, quando ci sono. Oppure i conoscenti o i vicini, se c’è confidenza.Però non è così facile scovare questo comportamento.Soprattutto nel caso degli anziani colpiti da demenza, permane comunque quello che noi tecnici chiamiamo “comportamento passe-partout”, cioè mantengono un atteggiamento sociale normale, salutano chi incontrano, non modificano le proprie abitudini, però poi si varca la soglia della loro abitazione e si vede quello che è impossibile non notare. Di solito sono anziani soli, ma a volte si tratta di coppie in cui il convivente è talmente succube dell’altro da accettare questo strano comportamento.Trattamenti: cosa si fa?La strategia è quella di curare la malattia sottostante.In generale è molto difficile convincere queste persone a separarsi delle loro cose. Nei casi più gravi, quando ci accorgiamo che quel tipo di

comportamento mina la propria autonomia personale, e che costituisce un ostacolo verso le più basilari attività della cura di sé, come alimentarsi, allora si predispone un ricovero e si chiede all’ufficio di igiene di intervenire per una bonifica. Si tratta di misure estreme in cui comunque si tenta di ottenere il consenso del cittadino.

Psichiatria 3La struttura svolge attività di prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie psichiatriche maggiori, con particolare attenzione alle patologie depressive e disturbi bipolari, mettendo in atto anche una funzione di valutazione della qualità degli interventi. L’attività si svolge sia in Ospedale sia nei poli territoriali (tra cui 2 centri psicosociali, una comunità riabilitativa ad alta assistenza, un centro diurno e una struttura abitativa). Una particolare attenzione è rivolta ai problemi ed alle patologie correlate all’emigrazione.

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Leo Nahon

Nefrologia

Calcoli e osteoporosi: una coppia da sorvegliareIn comune uno squilibrio nel metabolismo del calcio. Contro i calcoli più acqua, meno sale e proteine

Delle vere e proprie pietruzze che si formano nel nostro corpo: sono i calcoli renali, un problema che interessa dal 5 al 10% della

popolazione con un trend di crescita negli ultimi decenni imputabile al maggior consumo di proteine animali nella nostra alimentazione. I calcoli non sono tutti uguali, ne esistono di differenti tipi. Per tutti, i 6 millimetri di diametro sono la grandezza limite per cui la loro espulsione non può avvenire in maniera naturale. Ecco che allora bisogna ricorrere a diverse procedure per la loro frantumazione, tra le più utilizzate c’è la litotrissia che grazie alle onde d’urto è in grado di sbriciolare queste formazioni. Coliche e mal di schiena possono essere una traccia, ma in pochi sanno che la calcolosi può essere un campanello d’allarme anche per l’osteoporosi. In che modo? Per saperne di più abbiamo parlato con la nefrologa Maria Elisabetta De Ferrari, che segue i pazienti dell’Ambulatorio della Calcolosi e del Metabolismo Minerale. La manifestazione acuta della calcolosi è la colica…Di solito i calcoli si formano nei reni e possono rimanere in questa sede o essere espulsi, se le dimensioni lo consentono. Questo transito, dal rene alla vescica, per poi andare verso l’esterno, dà origine alla colica. Una sensazione molto dolorosa difficilmente dimenticabile da chi l’ha provata! I calcoli non sono tutti uguali, come si formano?Ne esistono di diversi tipi: ci sono quelli più comuni formati da sali di calcio, specialmente calcio-ossalato, ci sono quelli di acido urico e quelli di struvite, conseguenti ad una particolare infezione urinaria. Poi ci possono essere quelli di cistina, causati da una rara patologia ereditaria. Per la diagnosi del tipo di calcolosi è essenziale analizzare la composizione del calcolo una volta espulso mediante un esame chimico

o cristallografico. Per tutti i casi la formazione è conseguente ad una sovrasaturazione nell’urina dei cosiddetti sali litogeni. E’ un po’ come buttare troppo sale nell’acqua per la pasta, se si eccede, si vedranno dei granelli sul fondo della pentola che non riescono a sciogliersi. Allo stesso modo nei nostri reni i cristalli precipitano e si aggregano formando i calcoli. Cosa consiglia a chi è incorso in un episodio di calcolosi?Intanto di non sottovalutare il fenomeno che potrebbe ripresentarsi nel tempo. Inoltre consiglio di effettuare delle analisi del sangue e delle urine per identificare i cosiddetti fattori di rischio metabolici. E’ poi importante eseguire dei controlli radiologici, come un’ecografia delle vie urinarie e/o una TAC all’addome senza contrasto. Oltre alla frantumazione con il litotritore ed i vari trattamenti farmacologici, anche le abitudini alimentari giocano un ruolo importante?La terapia comune per tutte le calcolosi prevede la diluizione urinaria: bere molti liquidi, in particolare acqua, anche quella del rubinetto. Ci sono studi che lo confermano: avere un’idratazione giornaliera pari o superiore ai 2 litri limita le recidive, che sono

frequenti per questo tipo di patologia. Un altro consiglio: ridurre sensibilmente il consumo di sale e di proteine animali, come carne, pesce e uova. Contrariamente a quello che si pensava fino a qualche anno fa, la dieta deve essere normo-calcica. Cioè non bisogna bandire alimenti come latte, formaggi e yogurt. In alcuni casi, questo poteva creare dei grossi problemi a livello scheletrico con una demineralizzazione ossea, soprattutto se il paziente aveva dei livelli alti di dispersione di calcio nelle urine. E’ la relazione tra calcoli e osteoporosi?Le due patologie in alcuni casi possono convergere. Infatti i calcoli di calcio si formano proprio quando nell’urina i livelli di calcio si innalzano. Il principale serbatoio di questo prezioso elemento sono le ossa, per cui può succedere che la calcolosi diventi un campanello d’allarme per l’osteoporosi e viceversa. Quindi soprattutto nei soggetti più a rischio, come le donne nell’età post-menopausa, i calcoli possono essere correlati ad una demineralizzazione ossea. In questi casi vale la pena indagare con una MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), per impostare, eventualmente, una terapia comune per le due patologie.

A Niguarda la struttura è in grado di assicurare tutti i livelli per la diagnosi e le terapie contro le patologie renali: dalla diagnostica in ambito di ricovero e in diversi ambulatori, alla dialisi sia in ospedale che domiciliare, fino al trapianto (eseguito dalla Chirurgia Generale e dei Trapianti) che si avvale delle tecniche più innovative come il prelievo d’organo (in caso di donazione da vivente) effettuato con il robot, molto meno invasivo per il donatore.

Per info e prenotazioniNumero verde di prenotazione regionale 800.638.638 (lun-sab: 8.00-20.00)

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Nefrologia

Maria Elisabetta De Ferrari

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Tonsille e adenoidi, quando è meglio toglierleI consigli dello specialista

Sono a forma di mandorla e si trovano ai lati della gola: sono le tonsille (più propriamente dette “tonsille palatine”), un’importante barriera del

nostro sistema immunitario. Le adenoidi (o “tonsille faringee”), invece, non sono visibili e si trovano dietro le fosse nasali. Quando è necessario intervenire per la loro asportazione? Ce lo siamo fatti spiegare da Alberto Dragonetti, Direttore dell’Otorinolaringoiatria.

Quando le adenoidi possono diventare un problema?Quando si ingrossano, favorendo l’insorgenza di apnee ostruttive del sonno. Si tratta di un disturbo che impedisce di dormire bene e di riposare profondamente, a causa di pause anche importanti della respirazione. Le adenoidi molto probabilmente hanno una funzione di filtro, anche se gli studi più recenti ci indicano che la loro attività immunitaria è molto ridotta. L’ingrossamento di queste strutture può portare, inoltre, ad una ostruzione nasale che può favorire riniti e sinusiti, oltre che otiti recidivanti. Molto spesso l’infiammazione delle adenoidi si accompagna a quella delle tonsille e la patologia frequentemente si manifesta in età pediatrica.Abbiamo parlato di apnee notturne, come si possono individuare: il russamento può essere un campanello d’allarme?Non è sufficiente quanto riferito dal genitore, come ad esempio il fatto che il piccolo dorma con la bocca aperta o che di notte presenti una certa difficoltà a respirare. In questi casi è meglio avere un esame oggettivo, come la polisonnografia, che è in grado di sciogliere ogni dubbio. E’ importante, poi, la visita specialistica con la fibroscopia, un endoscopio flessibile a fibre ottiche che consente di vedere effettivamente la situazione delle vie aeree nasali. E’ fondamentale, inoltre, per il buon esito del caso che i bambini vengano seguiti sia dall’otorino sia dal pediatra.Per le tonsille quando si interviene?

Quando gli episodi infettivi si ripetono con una certa frequenza, mediamente intorno ai 6-7 nel corso di un anno. Comunque è una questione un po’ controversa, ogni specialista ha il suo punto di vista. Secondo la mia opinione i bambini sotto i 5 anni non vanno mai sottoposti all’intervento, sia per le tonsille sia per le adenoidi, se non in casi molto gravi di apnee ostruttive del sonno o di deficit dello sviluppo. Ovviamente prima di valutare l’intervento bisogna provare con le terapie mediche, che si basano sulla profilassi antibiotica, la somministrazione di immunostimolanti, l’utilizzo di spray nasali a base di cortisonici ed eventualmente gli antistaminici, nei casi in cui ci sia un’associazione con le allergie. Se nonostante questi tentativi le infiammazioni si ripetono allora bisogna pensare alla possibilità chirurgica, che comunque va valutata caso per caso. Quali sono le caratteristiche dell’intervento?Viene effettuato in anestesia generale. E oggi c’è un vantaggio importante per le adenoidi. In passato, infatti, la loro rimozione avveniva per così dire “alla cieca”. Invece negli ultimi anni, grazie all’utilizzo di particolari endoscopi, il chirurgo può vedere con più precisione dove intervenire. Questo tipo di chirurgia “guidata” è indicata, soprattutto, nei bambini in cui le adenoidi sono associate ad otiti recidivanti, in questi casi, infatti, la rimozione di tutti i residui è essenziale.Anche per le tonsille ci sono importanti innovazioni tecnologiche: si possono asportare con il laser o con il bisturi ad ultrasuoni…Sì, ma la tecnica tradizionale, vale a dire “a freddo”, con pinza, forbici e bisturi, secondo la mia esperienza è quella meno traumatica e più utile per un decorso meno doloroso. Altrettando importante in entrambe le procedure, sia per le tonsille sia per le adenoidi, è la fase finale dell’intervento: quella dedicata all’emostasi per favorire una corretta coagulazione del sangue.

Post intervento e i tempi di recuperoDopo l’intervento il paziente resta in ospedale una notte e il giorno dopo può essere dimesso. In caso di asportazioni delle adenoidi il tempo di recupero è di circa una settimana. Si parla di 15 giorni per le tonsille, per cui è molto importante l’alimentazione.“Nei primi giorni deve essere solo liquida e a temperatura ambiente- precisa Dragonetti-. Nei giorni successivi possono essere introdotti cibi dalla consistenza semi-solida come gelato, yogurt, frullati e purè. E’ molto importante il riposo assoluto per evitare possibili sanguinamenti”.

Per info e prenotazioniN. verde regionale 800.638.638

(lun-sab: 8.00-20.00)

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Alberto Dragonetti

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Associazioni

La solidarietà è in corsia con l’Associazione Volontari OspedalieriDa oltre 35 anni al fianco di chi soffre in ospedale

Una mano appoggiata sulla spalla di chi soffre. Una visita a chi non ha nessuno che lo venga a trovare.

Sono gesti che si ripetono ogni giorno tra i diversi reparti del nostro Ospedale, così come in altre 500 strutture sanitarie in tutta Italia. A compierli sono loro: i volontari AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), una presenza discreta che da più di 35 anni si aggira tra le corsie per confortare gli ammalati e per portare loro una solidarietà “nuova”. “Compito dei volontari è occuparsi della persona e non della sua malattia- ci spiega Francesca Sforza coordinatrice AVO a Niguarda-, rendere più umano il suo percorso ospedaliero, ascoltarla, fargli compagnia, essere la mano da stringere che trasmette calore, comprensione ed aiuto silenzioso. Sono aspetti importanti che il personale ospedaliero non può curare per mancanza di tempo e risorse”. La storia di AVO e quella di Niguarda si sono intrecciate nel 1980, quando i primi volontari iniziarono ad operare in Ospedale, oggi sono circa una cinquantina e si alternano in 7 reparti.La “famiglia AVO” è composta da donne e uomini di diverse provenienze: “Dallo studente al professionista, dall’impiegato al pensionato, alla casalinga e ognuno

ha deciso di donare almeno 3 ore alla settimana del proprio tempo ai pazienti”. I nuovi volontari possono avere dai 18 ai 70 anni. Dopo un colloquio informativo e una prima selezione attitudinale, vengono ammessi al corso di formazione base, della durata di circa un mese e mezzo con lezioni a cadenza settimanale. Al corso seguono 6 mesi di tirocinio in ospedale. Durante questo periodo il volontario ha modo di verificare la propria motivazione e completa la formazione, affiancato dai tutor. Ma quali sono le caratteristiche per essere un buon volontario? “Saper ascoltare e saper osservare- risponde senza esitare Sforza-. Nella società di oggi sembra non esserci più spazio per queste capacità. Bisogna guardarsi intorno per cogliere i particolari che ci possono aiutare a capire chi è l’altro e comprendere se il nostro aiuto è gradito. Ci avviciniamo con discrezione alle persone e le ascoltiamo senza darle mai per scontate. Conosciamo la loro storia e le sosteniamo”. E’ un aiuto prezioso come quello che la signora Sforza ha incontrato tanti anni fa sempre tra le mura ospedaliere in un momento difficile della sua vita. “Mia mamma ha subito un intervento a cui non è sopravvissuta. Sono passati più di 35 anni. Ricordo l’attesa e lo smarrimento, seduta su

quelle panchine davanti alla sala operatoria. Una signora si è seduta vicino a me, mi ha parlato, mi ha tranquillizzato. E’ stato il mio primo contatto con un volontario”. Da quell’incontro è germogliata quella voglia di essere utile al prossimo. “Nel volontariato ci si prodiga per l’altro, ma a sua volta essere d’aiuto ti restituisce tanto- sottolinea Sforza-. Io vado a casa e sono contenta. Infatti, noi volontari sappiamo che questa sera qualcuno parlerà di noi e siamo felici, non certo per una questione di popolarità, ma perché siamo riusciti a donare qualcosa”.

www.avomilano.org

Associazioni

Malattie reumatiche: i volontari di ALOMARGli alleati dei pazienti lombardi

Malattie che erodono le articolazioni, le ossa. E che di pari passo, spesso,

consumano anche la vita di chi ne è colpito. Sono le malattie reumatiche, un gruppo eterogeneo di patologie (oltre 100), e sono tanti coloro che ne soffrono: oltre 5 milioni e mezzo di persone solo in Italia.Per loro la ricerca è un grande alleato su cui contare: la terapia ha fatto un notevole salto di qualità con l’avvento dei farmaci biotecnologici. Ma non tutte le malattie reumatiche possono beneficiare di questi innovativi trattamenti. Inoltre si tratta di patologie croniche, da cui non si guarisce, ma per cui le terapie servono a contenere e a frenare il decorso. Imparare a convivere con questi “ingombranti compagni di vita”, non è facile e lo sanno bene i volontari di ALOMAR, Associazione Lombarda Malati Reumatici, nata nel 1986 con l’obiettivo di sostenere le persone colpite da questo tipo di malattie.“Spesso non è facile sopportare una diagnosi del genere- spiega Maria Grazia Pisu, Presidente di ALOMAR-. Chi entra a far parte della nostra associazione come volontario, ha vissuto sulla propria pelle questo tipo di esperienza”. Anche per lei è stato così. “Quarant’anni fa la mia vita è cambiata. A 21 anni, dopo il parto, ho iniziato ad avere dolori articolari. Ci sono voluti 10 anni per diagnosticarmi un Lupus Eritematoso Sistemico (LES) che mi ha presentato la vita sotto una nuova luce. Non riuscivo

più a lavorare con continuità, così ho dovuto smettere e ho iniziato a dedicare un po’ di tempo all’associazione. Sono entrata a farne parte e ho avuto la tessera d’iscrizione numero 32. Oggi sono più di 3000 i pazienti iscritti e una cinquantina i volontari attivi e suddivisi in 7 sezioni sparse in tutta la Lombardia-”. Tra queste c’è anche quella di Niguarda.Sono tante le attività proposte. In primo piano c’è l’attenzione per la corretta informazione. Basta dare un’occhiata al sito dell’associazione per scovare molti opuscoli redatti con l’aiuto dei medici, che aiutano a conoscere meglio le patologie, i sintomi e i trattamenti più innovativi. Artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrosi: sono solo alcuni dei temi approfonditi nelle brochure che i volontari di Alomar portano sempre con sé, anche nelle sale d’attesa degli ambulatori di reumatologia. Là dove ci può essere l’esito di una prima diagnosi, là dove è più facile intercettare i bisogni dei pazienti.“Una delle richieste che ci viene avanzata più di frequente è un supporto psicologico, al quale il medico può, eventualmente, indirizzare la persona interessata, al momento della diagnosi di patologie molto impattanti- sostiene Pisu-”. Altrettanto importante è la presenza di quelle figure con cui il malato dovrà imparare a familiarizzare come il fisioterapista e il terapista occupazionale. Il primo avrà premura di mantenere in allenamento e preservare la funzionalità delle

articolazioni. Il secondo è una figura chiave per quella che viene chiamata “economia articolare”. “E’ l’esperto che insegna a compiere i movimenti di tutti i giorni senza sovraccaricare i punti nevralgici- spiega Pisu-”.Un altro aspetto per cui l’associazione si pone come riferimento riguarda il diritto dei malati.“Di certo una persona informata è in grado di far rispettare i propri diritti, soprattutto in materia d’esenzione o per arrivare ad ottenere i sussidi d’invalidità- afferma la Presidente-”. Non mancano poi le iniziative come corsi di yoga e danza/movimento-terapia, molto utili per promuovere il rilassamento dei pazienti. Tutto opera intorno all’attività dei volontari e del personale medico e infermieristico con cui si è creato una proficua collaborazione. “Una delle novità su

cui puntiamo per il 2014 è l’attivazione di un nuovo progetto per il supporto psicologico “Gruppi di Ascolto Condiviso” che saranno organizzati in diversi centri di reumatologia lombardi, tra i quali Niguarda. E’ in previsione anche l’ apertura di una linea telefonica dedicata per mettere in contatto diretto uno psicologo, esperto di queste problematiche, con i pazienti- conclude Pisu-”.

Per entrare in contattocon ALOMAR

www.alomar.it - [email protected]

A NiguardaSede ALOMAR,

Area Ingresso, Padiglione 2 (2° e 4° martedì del mese 10.30-14.00)

Cell. 329 0285612

tredici

La storia e i numeri di AVO

L’AVO è nata nel 1975 presso l’ospedale di Sesto San Giovanni. Da allora le sedi sono diventate più di 240, diffuse su tutto il territorio nazionale. Oggi sono oltre 30.000 i volontari di AVO attivi in oltre 500 strutture ospedaliere. Solo a Milano sono oltre 1.000 i volontari AVO, che trascorrono più di 150.000 ore in un anno di servizio in 11 ospedali (Besta, Centro Traumatologico Ortopedico CTO, Don Gnocchi, Niguarda, Ospedale Maggiore Policlinico, Gaetano Pini, Pio Albergo Trivulzio, San Giuseppe, San Paolo, Ospedale di Melzo, Galeazzi).

Periodico d’informazione dell’A.O.Ospedale Niguarda Ca’ Granda

Direttore Responsabile:Monica Cremonesi

In redazione: Giovanni Mauri,Andrea Vicentini,

Maria Grazia ParrilloDirezione e redazione:

Piazza Ospedale Maggiore 320162 - Milano

tel. 02 [email protected]

Foto: Archivio Niguarda copyrightStampa: RDS WEB PRINTING S.r.l.

Via Belvedere, 42

20862 Arcore (MB)Tel. 039.5968130Fax 039.5968131

Tiratura: 25.000 copieReg. Tribunale Milano:

n. 326 del 17 maggio 2006Pubblicità: Eurocompany s.r.l.

via Canova 19 - 20145 Milanotel. 02.315532

Fax 02.33609213www.eurocompany.mi.it

[email protected]

Pubblicato online sul sito:www.ospedaleniguarda.it

Il giornale di Niguarda

Diventa volontarioL’Associazione è aperta a tutti coloro che intendono offrire gratuitamente un po’ del proprio tempo. I prossimi corsi per diventare volontario si terranno sabato 15-22-29 marzo e 5-12 aprile dalle 9.30 alle 12.30 presso l’Ospedale Pio Albergo Trivulzio- via Trivulzio 15, Milano.

A NiguardaArea Centro-Padiglione 1202 6444.2645 (lun/mer: 10.30-12.00)[email protected]

Tutte le soluzioni per pazienti e parenti

Sono diverse le possibilità di alloggio per i pazienti e i parenti che vengono da fuori che si possono consultare sul sito dell’Ospedale; si va dalle soluzioni per alloggi, hotel convenzionati, stanze, agli appartamenti gestiti dalle

parrocchie, da enti privati e associazioni di volontariato, il tutto con costi molto contenuti. C’è poi il progetto “A casa lontani da casa”, sostenuto da 5 onlus, che nasce per rispondere a un bisogno preciso: quello della ricerca di una sistemazione a costi ridotti per le oltre 100.000 persone (malati e parenti accompagnatori) che ogni anno giungono a Milano per essere curati in strutture sanitarie specializzate.

GUARDA LA DISPONIBILITÀSul sito www.ospedaleniguarda.it consulta l’elenco

degli alloggi nella sezione “Alberghi e Alloggi”Cerca una casa accoglienza sul sito www.acasalontanidacasa.it

Cerchi un alloggio vicino a Niguarda?

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riaArte

Nella nostra rassegna dedicata all’arte, già da qualche numero abbiamo deciso di fare un salto temporale. Esaurite le presentazioni

sui grandi maestri che hanno “battezzato” con le loro opere la nascita dell’Ospedale negli anni trenta, il nostro sguardo si è ora soffermato su un altro grande “giacimento artistico” del Niguarda, il MAPP. Il Museo d’Arte Paolo Pini è un museo d’arte

contemporanea situato nell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano, ideato da Teresa Melorio ed Enza Baccei. Il progetto è portato avanti con la collaborazione del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale Niguarda, sotto la direzione artistica di Marco Meneguzzo e l’adesione di alcune note gallerie d’arte milanesi. Cambiano le opere, non cambia la nostra guida: il Primario Emerito Enrico Magliano,

un medico con la “malattia dell’arte”. Protagonista di questo numero: l’artista Gunter Brus.

MAPP - Museo d’Arte Paolo Piniè in via Ippocrate 45 a Milano.Il Museo è aperto dal lunedì al venerdìdalle 9.30 alle 16.00; il parco è apertotutti i giorni dalle 8.00 alle 19.00.

Su una parete del MAPP appare un acrilico di grandi dimensioni dipinto da Gunter Brus nel 1996. E’ emozionante pensare che un artista già celebre in tutto il mondo come precursore della “Body Art” abbia dato la sua disponibilità al MAPP, non donando un’opera, ma venendo personalmente a dipingerla. Ed è ancora più emozionante ammirare la sensibilità

dell’artista, famoso per essere truce, violento, sado-maso e dissacrante nelle sue performance, che per il MAPP ha invece dipinto una scena magica quasi fiabesca in cui due mappamondi si rimpallano tra una figura umana stilizzata e un personaggio d’altri tempi con una lunga tuba.

Gunter Brus il precursore della Body Art

Storia di Niguarda

Psichiatria e neurologia “al bivio”. La nascita del primo dipartimento di Neuroscienze

Le malattie nervose e mentali hanno avuto per lungo tempo, sino a oltre la metà del Novecento, un campo d’indagine e di cura comuni, anche

se la distinzione clinica tra psichiatria e neurologia risale in realtà alla fine dell’Ottocento. Non stupisce dunque che, al momento della fondazione, anche per il nuovo ospedale milanese si prevedesse un comune reparto neuropsichiatrico. “Nel 1964”- scrive Alberto Giannelli (direttore della psichiatria a Niguarda sul finire degli anni settanta-inizio ottanta, ndr) “la Neurologia si separa dalla Psichiatria, coerentemente con l’orientamento prevalente in Italia anche a livello didattico, universitario e a Virginio Porta subentra, dopo una breve presenza di Giuseppe Rovetta, […] Francesco Erminio [al quale nel 1998 sarebbe succeduto, sino al 2005, Carlo Alberto De Fanti]”. “Nel frattempo andava sviluppandosi autonomamente il Servizio di Neurofisiologia, diretto in un primo tempo da Francesco Erminio, successivamente, dal 1976, da Carlo Marobbio. Intanto, nell’ambito del Pronto soccorso, le emergenze legate ai traumi cranici rappresentano un grave problema clinico e gestionale. Mancando a Niguarda un reparto specializzato in chirurgia cranica i problemi

di diagnosi e trattamento diventano enormi. È una lacuna che va colmata. Per questa ragione, nel 1969 viene istituita una divisione di Neurotraumatologia alla cui guida viene chiamato Augusto Beduschi, allievo di Gian Maria Fasiani. L’anno successivo iniziano i lavori di ristrutturazione (che termineranno sei anni più tardi) del quarto e quinto piano del padiglione Rossini, destinato ad accogliere la nuova struttura, concepita con modalità di assoluta modernità rispetto agli standard del tempo. Nell’ambito dei quaranta posti letto previsti ve ne sono alcuni riservati anche alla neurochirurgia pediatrica (con stanze singole per il ricovero simultaneo bambino-madre). Vengono inoltre create anche un’unità sub-intensiva postchirurgica (la prima del genere in ospedale) e un’area tecnologicamente attrezzata (anch’essa una novità) con un impianto televisivo a circuito chiuso per ricevere immagini in diretta dalla camera operatoria ed è previsto l’uso di un computer (novità assoluta in ambito sanitario).Si include anche una “palestra” per la riabilitazione precoce post-operatoria e, al quinto piano, viene concepito un reparto rianimatorio dedicato esclusivamente ai pazienti neurochirurgici (primo esempio in Italia) che inizia a funzionare come entità autonoma nel 1976, quando, al termine dei lavori di ristrutturazione, viene ufficialmente aperto al Rossini (sede nella quale resterà sino al 2002, quando sarà trasferito al dipartimento Emergenza e Accettazione, la nuova struttura per la gestione integrata delle urgenze inaugurata proprio quell’anno) il reparto neurotraumatologico, divenuto nel frattempo una più organica divisione di Neurochirurgia. La Neurorianimazione è sotto la direzione di Marialuisa Bozza Marrubini (1924-1995) e il coordinamento di Marina Rossanda, due anestesiste ben note nel mondo scientifico per i loro studi riguardanti la patogenesi, la classificazione e il trattamento degli stati di coma.

In quegli stessi anni anche la neuroradiologia assume a Niguarda la fisionomia di una disciplina a se stante – pur restando a far parte, sino al 1981, del secondo servizio di Radiodiagnostica diretto da Giuseppe Carnevali – grazie all’arrivo di un neuroradiologo “puro”, Giuseppe Scialfa, allievo del bolognese Giovanni Ruggiero (1922-2009) e forte di una straordinaria esperienza sul campo ottenuta in Francia.Nel 1981,su iniziativa di Augusto Beduschi, viene istituito il dipartimento di Scienze neurologiche dell’Ospedale di Niguarda, primo dipartimento ospedaliero di Neuroscienze lombardo e anche primo in Italia. Una struttura che istituzionalizza quello che Beduschi ha insegnato a fare a chi lavora con lui: collaborare e interagire con i colleghi che hanno competenze diverse e complementari per favorire il buon risultato clinico e il buon decorso del paziente operato.Nel 1983 la Neurorianimazione diviene autonoma anche giuridicamente assumendo il nome di IV Servizio di Anestesia e Rianimazione, sotto la direzione di Marina Rossanda, alla quale subentra alcuni mesi più tardi (per le dimissioni della Rossanda che, eletta in Parlamento, lascia l’attività ospedaliera) Luigi Boselli. Nel frattempo le disposizioni di legge rendono possibile l’osservazione legale per la dichiarazione della morte cerebrale al fine di prelievo d’organi da cadavere a cuore battente: questa attività, strettamente connessa con la diagnostica neurologica dei pazienti in coma per lesione cerebrale acuta, porta la Neurorianimazione a garantire donazioni d’organo di eccellente qualità per l’allora nascente chirurgia dei trapianti.

Testo a cura di Vittorio Alessandro Sironi,tratto dal libro “Niguarda un ospedale

per l’uomo nel nuovo millennio”

La Città dell’Arte

Gunter Brus, Senza titolo, 1996

Gunter Brus - Biografia Gunter Brus nasce in Austria il 27 settembre 1938 ed è stato uno dei fondatori dell’Auctionismo Viennese un movimento artistico che, superando i confini tradizionali della pittura, assume il corpo come “luogo” di performance violente, autolesioniste, sadiche e trasgressive, aprendo la strada alla “Body Art”, Arte del Corpo, che si diffonde come corrente artistica in Europa e negli

Stati Uniti negli anni sessanta. La prima opera di Brus venne realizzata in quegli anni quando lui stesso, dipinto di bianco con un’ascia piantata in testa e una lunga sutura su tutto il corpo, se ne andò passeggiando per Vienna! Venne immediatamente arrestato, imprigionato e condannato. Del resto nello stesso periodo a Milano il nostro Piero Manzoni firmava sulla pelle le sue modelle (statue viventi) e proponeva un suo “body product” confezionato in scatola (“Merda d’Artista”). Ora le performance di Body Art vengono “immortalate” con foto, video, film e vengono vendute a suon di dollari.Celebre la performance “The Artist is Present” svoltasi di recente niente po’ po’ di meno che al celeberrimo MOMA (Museum Of Modern Art) di New York in cui Marina Abramovic restò immobile seduta su una sedia sette ore al giorno per tre mesi ad incontrare lo sguardo di chi si fosse seduto innanzi a lei. Ma Gunter Brus, padre della Body Art, già 15 anni prima aveva creato un’opera per il nostro MOMA.

L’artista immortalato durante la realizzazione dell’opera al MAPP

Niguarda al MiART - dal 28 al 30 marzoAnche quest’anno il MAPP sarà presente al MiART, una delle kermesse più importanti dedicata all’arte moderna e contemporanea, dal 28 al 30 marzo 2014 in Fieramilanocity. Saranno esposte delle opere scultoree realizzate dagli autori delle Botteghe d’Arte

insieme con un collettivo di artisti torinesi che si chiama “The Boounty Killart”. Le Botteghe d’Arte del MAPP sono laboratori di arteterapia in cui artisti professionisti, inseriti in un’équipe multiprofessionale, conducono stage

lavorando “a quattro mani” con gli utenti del Dipartimento di Salute Mentale. L’obiettivo è quello utilizzare la pratica dell’espressione artistica come strumento di cura da affiancarsi a quelli tradizionalmente usati in psichiatria.

Psichiatria e neurologia “al bivio”. La nascita del primo dipartimento di Neuroscienze

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Formazione

12-13 marzoCorso Base di Ecografia Clinicain Emergenza Urgenza 2014Presso la Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso del Niguarda è attiva una Scuola di ecografia clinica in emergenza-urgenza certificata dalla S.I.M.E.U. (Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza). I corsi sono rivolti a medici che operano nell’urgenza o in reparti per malati acuti, interessati ad arricchire la propria professionalità e a migliorare le capacità di gestione autonoma dei problemi clinici. Il percorso formativo di base è nato per rispondere ad un’esigenza specifica: fornire ai medici che operano nell’urgenza le conoscenze

e le competenze per ottenere con l’ecografia immediate risposte a quesiti emersi nel corso della valutazione clinica dei pazienti. Non sono necessarie conoscenze o competenze precedenti di ecografia.Sede: Area Nord- Blocco DEA- Aula DEA 1- DEA2

13-14 marzoMalattia Dolore e Rete TerritorialeIl dolore, in molte condizioni patologiche cessa di essere un sintomo cosiddetto “utile” nel favorire in acuto la diagnosi della patologia primaria, trasformandosi in inutile sintomo e diventando esso stesso la malattia del paziente. La malattia dolore per le sue implicazioni epidemiologiche, fisiologiche e psicologiche se non diagnosticata, e curata tempestivamente è frequentemente difficile da guarire, rischiando di influenzare negativamente la qualità di vita di molte persone. Il congresso ha come obiettivo quello di analizzare la questione da diversi punti di vista, grazie al contributo degli specialisti del Niguarda e diversi relatori esterni.

Il corso si rivolge a tutto il personale medico, agli psicologi, al personale infermieristico, ai tecnici sanitari ed è aperto a tutte le figure professionali.Sede: Area Ingresso, Padiglione 1, Aula Magna

Dal 24 al 28 marzo (II ed)Dal 12 al 16 maggio (III ed)Training on the job: formazionesul campo in ecocardiografia 2014L’ecocardiografia ha assunto un ruolo sempre più rilevante nella diagnostica cardiologica ed è diventata uno strumento diagnostico indispensabile nella pratica clinica.Sempre maggiore è il numero di cardiologi, internisti ed anestesisti che si avvicinano alla metodica con lo scopo di acquisire le conoscenze necessarie alla corretta esecuzione ed interpretazione dell’esame ecocardiografico.

Sede: Area Sud - Blocco Sud - Laboratorio di Ecocardiografia

4-5 aprileEcografia della translucenza nucale: da screening delle anomalie cromosomiche a screening delle gravidanze a basso e alto rischioLo screening delle anomalie cromosomiche, in particolare mediante la misurazione della translucenza nucale, ha rappresentato negli ultimi 15 anni l’obbiettivo principale degli esami effettuati in gravidanza precoce. L’uso di diversi marcatori biochimici e la definizione di algoritmi per la stima del rischio di patologie ostetriche quali la pre-eclampsia, l’ipertensione gestazionale, il diabete ed il parto prematuro, consentono oggi di utilizzare l’esame del primo trimestre come spartiacque tra una gravidanza a basso rischio ed una gravidanza ad alto rischio. Il corso, aperto ai ginecologi, vuole approfondire tutti gli aspetti legati alle potenzialità diagnostiche dell’ecografia del I trimestre e degli altri test di screening biochimici e genetici sia in relazione alle anomalie cromosomiche, ma anche in relazione alle patologie malformative fetali e alle patologie ostetriche.Sede: Area Ingresso, Padiglione 1, Aula Magna

Per informazioniwww.ospedaleniguarda.it

C’è tempo fino a fine aprile per diventare socio-CRAL. Per ricevere la tua tessera passa in sede. Sono tante le iniziative in programma a prezzi scontati: spettacoli teatrali, viaggi guidati, mostre e tanto altro. Per rimanere sempre aggiornato

consulta il sito www.cralniguarda.it.C.R.A.L. - Area Centro-Padiglione 10, tel. 02.6444.2327,

sede aperta lunedì e mercoledì dalle 11.30 alle 14.00, venerdì dalle 11.00 alle 14.00.

www.cralniguarda.it

Corsi e convegni

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CRALTesseramento ancora aperto

Nel mese di gennaio il Rotary club San Carlo - Trezzano sul Naviglio ha promosso

una raccolta di sangue effettuata dalla Legione della Guardia di Finanza di Milano a favore del nostro Ospedale. Nella foto da sinistra Marco Trivelli, Commissario Straordinario Niguarda, Sergio Casartelli di Avis Milano, Armando De Angelis, Chirurgo di Niguarda e Presidente Rotary club San Carlo Trezzano sul Naviglio, Gaetano Truppo, Rotary Club San Carlo Trezzano sul Naviglio.

FotonotiziaDonazione sangue: una raccolta speciale

News

Dopo più di quarant’anni nel nostro Ospedale Marcello Gambacorta, Direttore del Dipartimento

Medicina di Laboratorio e dell’Anatomia Patologica, è andato in pensione. Dopo oltre trent’anni a Niguarda ci saluta anche Mario Ravini, Direttore della Chirurgia Toracica. A loro va il nostro ringraziamento e un caro saluto.Tiziana Redaelli è il nuovo Direttore del Dipartimento di Neuroscienze.Giovanni Pietro Gesu è il nuovo Direttore del Dipartimento di Medicina di Laboratorio.Massimo Torre è il nuovo Direttore (facente funzioni) della Chirurgia Toracica.Edgardo Bonacina è il nuovo Direttore (facente funzione) dell’Anatomia Pato-logica. Ai neo incaricati i complimenti e i migliori auspici per il loro lavoro.

Nuove nomine e pensionamenti

Basta mandarci una mail e specificare il tuo nome, cognome e l’indirizzo a cui recapi-tare il giornale. Sarai inserito nella lista

degli abbonati e riceverai gratuitamente a casa il nostro periodico.

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Giovanni Pietro Gesu

Massimo Torre Edgardo Bonacina

Tiziana Redaelli

Mario Ravini Marcello Gambacorta

Prenotazione - Libera Professione

Il medico lo scelgo con un click

Scegliere il medico che ci visiterà in base al suo curriculum e alla valutazione che altri pazienti prima di noi hanno lasciato, sapendo

subito quanto ci costerà la sua prestazione; il tutto comodamente da casa, davanti al computer e con pochi click. Per farlo basta andare sul portale dedicato alla libera professione a cui si può accedere andando sul sito dell’Ospedale di Niguarda, www.ospedaleniguarda.it, oppure collegandosi direttamente a www.areaprivata.ospedaleniguarda.it.

Dalla parte del paziente

“I tutorial” per gli interventiin day-surgery

Devi sottoporti all’asportazione di un condiloma? Alla frantumazione di calcoli mediante litotrissia? O alla rimozione chirurgica di una fistola coccigea? Per tutte queste procedure, effettuate a Niguarda in regime di day surgery (ovvero

di ricovero giornaliero), e per molte altre ancora sono stati realizzati dei video che spiegano al paziente di cosa si tratta. In pochi minuti sono state concentrate tutte le informazioni salienti come la preparazione, dove recarsi il giorno dell’intervento, i tempi di recupero e il percorso post-operatorio.

GUARDA I VIDEOCercali nella sezione opuscoli sul sito www.ospedaleniguarda.it

oppure sul canale-YouTube OspedaleNiguardaTV

Guarda il videosul canale OspedaleNiguardaTV