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Anno 4 Numero 1 – Marzo 2009 Sezione Lombardia

STAMPATO IN PROPRIO

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Anno 4 Numero 1

Il foglio del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva è una rivista realizzata in forma indipendente dalla Sezione Lombardia dell’Associazione Italiana Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva. Rappresenta il nostro tentativo di raggiungere tutti i soci con notizie, avvisi e articoli che coinvolgono i Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva e crediamo possa rappresentare un’ utile occasione di scambio e di incontro per la crescita culturale della nostra professione. La rivista viene stampata in proprio e distribuita ai soci dell’Associazione, in regola con il pagamento della quota di iscrizione annuale. Sono previsti tre numeri annuali con scadenza approssimativa marzo – luglio – novembre. La distribuzione avviene solo attraverso spedizione postale. È necessario inoltrare i dati per il recapito alla Redazione, tramite un modulo apposito. L’indirizzo fornito viene utilizzato per l’invio della pubblicazione o per l’inoltro di materiale pubblicitario e altre operazioni di marketing inerenti la professione. Ai sensi del D.Lgs 196/03 è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati personali.

Partecipate tutti e aiutateci a realizzare questo grande progetto! Redazione Valeria Flori, Silvia Valsecchi Collaboratori Il Foglio di Neuropsicomotricità: Luca Capone, Antonella Luparia Il Foglio di Neuropsicologia: Elena Messa Il Foglio di Psicopatologia: Michela Casalino, Chiara Gheza, Viviana Verzi Illustrazioni Disegno di copertina: Cristina Villa Disegno in quarta di copertina: Stefano Pirovano Contributi di questo numero Valeria Flori, Anna Frigerio, Cristian Gualandris, Silvia Valsecchi Per l’invio di articoli o contributi di ogni tipo, la redazione è contattabile all’indirizzo di posta elettronica: [email protected]

Arrivederci al prossimo numero.

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EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE

Ce la puoi fare …

In questo clima di incertezze, che fare? … a parte riderci sopra, insomma…

Abbiamo deciso in questo numero del Foglio di dare ampio spazio alle vostre richieste, a quelle esplicite ma anche a tutte quelle volanti, che insistenti chiedono agli Organi dell’Associazione aiuto, consiglio, esperienze, per “barcamenarsi” in un mondo del lavoro incerto e precario anche, ma non solo, per il Terapista della Neuropsicomotricità: Partita IVA si o no? … Assicurazione professionale, ma quale ? … Quali requisiti per aprire uno studio? … Quale tariffario? … Che tipo di pubblicità? …

Sono solo alcune delle numerose domande che giungono da ogni dove intorno all’argomento …

E allora abbiamo provato a rispondere con qualche dato e con molte informazioni, tant’è che a

rileggerlo questo editoriale sembra più un vademecum fiscale… e magari è poco poetico ma tenta a modo suo di essere utile. Lo pubblichiamo così con tutte le note a sfondo elencativo e a voi chiediamo ancora di condividere, di scriverci esperienze, trucchi e consigli e di allargare il giro… in modo da sentirci uniti da una parte all’altra dell’Italia, nel tentativo di aiutarci, ma anche di diffondere una cultura allargata e comune della nostra Professione.

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E per venire alla citata rubrica fiscale vi segnaliamo una serie di agevolazioni o novità in materia

tributaria e/o normativa di interesse per voi, a partire dal nuovo regime fiscale per i contribuenti minimi (legge finanziaria e successiva “manovra d’estate" – art.1 commi da 96 a 117), che è applicabile a partire dall’anno 2008 a tutti i contribuenti (persone fisiche) che nel precedente anno solare hanno conseguito ricavi o compensi in misura non superiore a € 30.000 e che non hanno effettuato cessioni all’esportazione, non hanno sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori e nel triennio precedente non hanno acquistato beni strumentali superiori a € 15.000. Tale nuovo regime prevede l’imposizione di un'imposta sostitutiva del 20% in luogo di Irpef e relative addizionali, Irap e Iva. E fra le altre caratteristiche principali si segnala anche l’esonero da numerosi adempimenti fiscali e l’inapplicabilità degli Studi di Settore e/o dei parametri. È stato soppresso l’oneroso obbligo contabile che interessava la totalità o quasi dei contribuenti possessori di partita iva, che prevedeva l’invio degli elenchi di clienti e fornitori e sono state soppresse le eventuali sanzioni applicabili su irregolarità commesse per il mancato invio o errori di comunicazione relativi a tali elenchi. È stato eliminato a partire dal 25/06/08 l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti/incassi per i professionisti, che possono pertanto tornare ad incassare le parcelle anche per contanti, indipendentemente dall’importo riscosso. Gli esercenti non sono più tenuti inoltre ad avvalersi di un conto corrente bancario e/o postale dedicato sul quale far affluire le entrate e le uscite relative all’attività svolta. Permane comunque la disposizione relativa all’accertamento bancario in relazione a versamenti non giustificati o prelievi eccedenti l’importo ragionevolmente riconducibile alla sfera personale. Infine per tutti i titolari di studi professionali in società o con collaboratori (lavoratori) di qualsiasi mansione (anche volontari o tirocinanti) non è più in vigore la legge 626/94 e al suo posto è vigente il D.LGS. 81 del 9 aprile 2008, che ovviamente vi invitiamo a visionare, perché introduce alcune novità, fra cui la compilazione del Documento di valutazione del rischio (autocertificazione), con obbligo di apposizione di data certa (il “servizio di data certa” o “certificazione dell’esistenza di un documento in una determinata data” si richiede molto semplicemente presso un qualunque ufficio postale); per gli inadempienti inoltre sono aumentate le multe (fra i 6.000 e i 20.000 €) che non vanno alla società ma vengono moltiplicate per il numero dei soci. Sperando di aver fatto cosa gradita ad alcuni e di non aver tediato troppo gli altri ringraziamo quanti hanno deciso di rinnovarci la loro fiducia con l’iscrizione all’Associazione: siamo ancora in un momento delicato della nostra Storia, e ne trovate testimonianza nelle pagine del giornale, che torna in un articolo dedicato ad occuparsi direttamente di Ordini e Albi, più che mai ora attuali e all’ordine del giorno dei nostri sforzi e delle nostre attività.

Nei momenti critici è fondamentale riunirsi e avvicinarsi su una strada comune perché ognuno contribuisca e porti il suo apporto costruttivo e personale per far crescere l’Associazione, soprattutto nei termini di far crescere la Professione del TNPEE; per giungere in un futuro speriamo prossimo e vicino anche al riconoscimento più concreto che è quello dell’Ordine Professionale . Abbiamo bisogno di una forte rete di relazioni e di una forte voce comune univoca per la difesa e l’affermazione dei nostri diritti. A tutti voi i saluti del gruppo direttivo e l’augurio di un sereno lavoro, precario e non…

Valeria Flori

Marzo 2009

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AGGIORNAMENTI IN TEMA DI ORDINI PROFESSIONALI: IL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI DELLE

PROFESSIONI SANITARIE

A cura di VALERIA FLORI – TNPEE – IRCCS “E.Medea” Bosisio Parini (Lc)

Abbiamo deciso di pubblicare due righe sul neonato Co.N.A.P.S. per aggiornare tutti sul tema degli Ordini Professionali, perché l’argomento, che sembra passato di attualità, in realtà ancora impegna molto la nostra Associazione sia in termini di tempo e di energie (riunioni, incontri) che in termini economici (avvocati e consulenti vari che ci rappresentino in sede istituzionale). Il Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle Professioni Sanitarie (CoNAPS) è la forma di aggregazione interprofessionale che hanno scelto le Associazioni delle Professioni sanitarie ancora prive di ordini ed Albi nel corso di una riunione tenutasi a Roma lo scorso 19 Dicembre 2008. Gli obiettivi di interesse comune che si pone di raggiungere l’Organismo sono 4: al primo posto c’è ovviamente l’istituzione degli Ordini e degli Albi, ma ci sono anche la politica Socio-Sanitaria, la formazione e i temi di emergenza in relazione a particolari contesti politici.

La mancata istituzione degli Albi e degli Ordini, che ha impedito la completa attuazione e conclusione dell’iter legislativo della Legge 43/2006 (scaduta il 4 marzo 2008), e soprattutto l’esperienza maturata nel corso delle discussioni parlamentari e ministeriali di questi ultimi anni di attività sono state determinanti per la costituzione del CoNAPS. L’iter legislativo in realtà è stato subito ripreso, nel nuovo Parlamento, con 4 DDL “bipartisan”, di cui due al Senato: il 573 su iniziativa di Caforio (IdV) e il 1142 di Boldi (LNP) e altri due alla Camera: il 1083 della Turco (PD) e il 1293 di Siliquini (PdL). Nonostante questo la mancata applicazione della Legge 43/2006 ha rallentato e qualche volta bloccato i vari tentativi di percorsi comuni, perché esiste una sostanziale “diversità di base” che genera automaticamente esigenze specifiche fra le professioni che determinano rallentamenti e difficoltà per il raggiungimento dell’obiettivo comune. Le Professioni Sanitarie rappresentano infatti oltre 550 mila operatori, dei quali però va sottolineato che la maggioranza, pari a 400 mila operatori (71%), è regolamentata attualmente da un Collegio, mentre la minoranza, pari a 161 mila operatori (29%), rimane senza alcuna regolamentazione, nonostante riguardi ben 17 professioni sulle 22 totali.

Alla luce di questi aspetti la costituzione di un Coordinamento comune era fortemente necessaria

anche per superare questa situazione di disparità di trattamento tra le professioni organizzate e quelle no, soprattutto alla luce di basi normative consolidate e comuni sui rispettivi profili professionali e di uniformi ordinamenti didattici per la formazione universitaria. Il CoNAPS non si pone ovviamente come movimento “contro” le professioni regolamentate, ma piuttosto come movimento “a favore” di una celere equiparazione normativa. Contestualmente alla fase costituente sono anche stati designati i primi tre Presidenti: Antoni Bortone (AIFI), Tiziana Rossetto (FLI) e Vincenzo Di Nucci (AITEP). Il coinvolgimento paritetico e a turno di tutte le Associazioni professionali sarà garantito dalla continua alternanza degli incarichi, che sono annuali e che non possono essere immediatamente rinnovabili, in modo da coinvolgere tutti con pari responsabilità e pari peso nel rappresentare le istanze comuni. L’obiettivo più urgente all’ordine del giorno è quello dell’istituzione degli Ordini e degli Albi, con l’auspicio di una rapida conclusione dell’iter per poter affrontare poi anche tutte le altre tematiche.

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Qualche dato:

LE PROFESSIONI SANITARIE (555.776 operatori su 22 p rofili)

SENZA COLLEGIO CON COLLEGIO

Dietista (3.000) Educatore professionale (25.000) Fisioterapista (40.000) Igienista dentale (2.200) Logopedista (8.000) Ortottista (3.000) Podologo (1.200) Tecnico della Prevenzione (30.000) Tecnico Audiometrista (1.200) Tecnico Audioprotesista (3.200) Tec. Fisiopatologia Cardiocircolatoria (3.000) Tecnico di Laboratorio (30.000) Tecnico di Neurofisiopatologia (1.500) Tecnico Ortopedico (3.000) Terapista Riabilitazione Psichiatrica (3.000) Terapista Neuropsicomotricità (3.000) Terapista Occupazionale (1.000)

Infermiere (340.787) Infermiere pediatrico (9.801) Assistente Sanitario (6.388) Ostetrica (16.500) Tecnico Radiologia (21.000)

TOTALE 161.300 TOTALE 394.476

PERCENTUALE 29% PERCENTUALE 71%

LE PROFESSIONI SANITARIE DEL CONAPS AIDI e UNID Igienisti Dentali

AIFI Fisioterapisti

AIP e FISAP Podologi

AITA Tecnici Audiometristi

AITEP e UNPISI Tecnici della Prevenzione

AITN Tecnici di Neurofisioptologia

AITNE e ANUPI Terapisti della Neuropsicomotricità dell’età evolutiva

AITO Terapisti Occupazionali

AITRPP Terapisti della Riabilitazione Psichiatrica e Psicosociale

ANAP Tecnici Audioprotesisti

ANEP Educatori Professionali

ANDID Dietisti

ANPEC Tecnici diFisiopatologia Cardiocircolatoria

ANTEL e ASSIATEL Tecnici Sanitari di Laboratorio Biomedico

ANTOI e FIOTO Tecnici Ortopedici

ASNAS e FENAAS Assistenti Sanitari

FLI Logopedisti

BIBLIOGRAFIA:

“Ordini: costituito un Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle Professioni” di A.Mastrillo – Riabilitazione Oggi Anno XXVI n°1, Gennaio 2009.

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Anno 4 Numero 1 – Marzo 2009 Sezione Lombardia

I DISORDINI PERCETTIVI NEL BAMBINO CON PARALISI CEREBRALE INFANTILE

Seconda parte – la pratica riabilitativa

A cura di SILVIA VALSECCHI – TNPEE

UONPIA Azienda Ospedaliera “S. Gerardo” - Monza (MI) L’articolo è stato pubblicato suddiviso in due parti: la prima, inserita nel numero precedente, esaminava alcuni aspetti teorici relativi ai meccanismi della percezione e gli aspetti clinici dei relativi disturbi. La seconda, qui di seguito, presenta un possibile percorso diagnostico dei principali disturbi percettivi del bambino con PCI e alcune considerazioni sull’approccio riabilitativo a questi disordini. IL PERCORSO DIAGNOSTICO

DISORDINI DEL SENSO DEL MOVIMENTO

I disordini della percezione del movimento hanno conseguenze importanti ai fini dello sviluppo motorio e cognitivo del bambino con PCI: possono impedire o distorcere il processo di strutturazione dello schema corporeo e rallentare lo sviluppo motorio già compromesso dalla paralisi. Le alterazioni di tipo qualitativo in particolare possono avere effetti pervasivi: se le informazioni sull’ambiente e sul proprio corpo sono incomprensibili o tanto intense da provocare un senso di disagio, ben presto il bambino perderà l’interesse e il piacere del movimento e smetterà di investire sul proprio corpo; il ripetersi di esperienze di disagio finirà col generare un vissuto negativo che ha effetto sulla sfera emozionale e cognitiva. Per tale motivo è essenziale che questi disturbi, che spesso vengono ignorati o interpretati come segni del disordine motorio, vengano correttamente diagnosticati, in modo da poter impostare un progetto riabilitativo che li tenga nella giusta considerazione. Un’osservazione comportamentale scrupolosa mostra alcuni segni caratteristici già nel bambino molto piccolo, come la presenza di startle a bassissima soglia, la presenza di comportamenti di evitamento dello sguardo, la perdita del controllo posturale in presenza di uno stimolo sensoriale o, nel bambino più grande, durante un’attività cognitiva impegnativa; in caso di lesione cerebellare si noteranno dopo il primo anno di vita alterazioni dell’equilibrio o dismetria e tremori intenzionali. Nel bambino più grande (dall’età di almeno 3-4 anni) e collaborante è possibile eseguire una valutazione neurologica più approfondita e testare disturbi più specifici della sensibilità propriocettiva. Per quanto riguarda la valutazione del senso di posizione e di localizzazione nello spazio dei segmenti corporei si possono eseguire le seguenti prove:

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� Localizzazione degli stimoli: il bambino viene invitato a indicare o a nominare la parte del corpo toccata dall’esaminatore; la prova va eseguita ad occhi chiusi.

� Riconoscimento del movimento degli arti nello spazio: gli arti superiori e inferiori o le dita sono

mosse passivamente dall’esaminatore verso l’alto o verso il basso e il bambino, ad occhi chiusi, deve distinguere la direzione del movimento.

� Identificazione delle posture: al bambino viene fatta assumere ad occhi chiusi e passivamente una

postura; dopo aver scomposto sempre passivamente la postura si invita il bambino a ripeterla. La stessa prova può essere eseguita per gli atteggiamenti delle mani e delle dita.

� Imitazione di gesti: si richiede al bambino dapprima di imitare gesti eseguiti dall’operatore, poi di

eseguirli su consegna verbale e secondo una figura schematica. Anche in questo caso la prova si può eseguire sia sulla globalità somatica che sulle mani.

Queste prove vanno eseguite compatibilmente con le possibilità motorie del bambino e nel valutarne il risultato è necessario tenere presente che un eventuale fallimento può essere dovuto anche a insufficienza mentale, deficit visivi o ritardi del linguaggio. La valutazione può essere completata da esami strumentali ; in particolare i Potenziali Evocati Somato Sensoriali (PESS), che valutano l’integrità delle vie di trasmissione delle informazioni dai recettori periferici fino ai centri corticali, sono un utile mezzo di indagine sulla presenza di deficit quantitativi di sensibilità e possono essere utilizzati già in epoca neonatale con valenza prognostica. DISORDINI VISIVI CENTRALI

Data l’elevata incidenza con cui si presentano, i disturbi percettivi visivi dovrebbero essere sospettati sempre in caso di PCI e quindi adeguatamente indagati; dal momento che la funzione visiva e le relative strutture cerebrali maturano quasi completamente nel primo anno di vita è ovvia l’importanza di una diagnosi precoce ai fini di impostare il più presto possibile un programma terapeutico mirato. Un percorso diagnostico completo dovrebbe prevedere: � Un’attenta osservazione comportamentale del bambino, ai fini di individuare anomalie

comportamentali che indirizzino ad ulteriori indagini di approfondimento. � Esame neuroftalmologico : esame oftalmologico completo (fundus oculi, esame della rifrazione,

acuità visiva, esame della motilità oculare intrinseca ed estrinseca, cover test) e valutazione funzionale della funzione visiva (posizione del capo, localizzazione degli stimoli, fissazione, inseguimento).

� Esami neuroradiologici : risonanza magnetica con studio delle vie ottiche, PET, SPECT. � Esami neurofisiologici : EEG, ERG (elettroretinogramma) e in particolare Potenziali Evocati Visivi. � Valutazione psicodiagnostica : nel bambino fino a 4 anni una scala di sviluppo globale come la scala

Griffiths può già dare informazioni sulla eventuale presenza di disordini visuopercettivi, nel caso ad esempio di un profilo disarmonico con cadute nelle prove di performance e di coordinazione occhio-mano. Nel bambino più grande sarà utile un profilo cognitivo (eseguito con test WPPSI o WISC) per valutare una eventuale discrepanza tra prove verbali (nella norma o relativamente risparmiate) e prove di performance (deficitarie in modo assoluto o relativo). Vi sono poi diversi test specifici come il Test di Percezione Visiva (TPV), che indagano le competenze di percezione visiva e di integrazione visuomotoria La valutazione può essere integrata se necessario con test che indagano singole abilità visive complesse, come la figura semplice o complessa di Rey (capacità di riproduzione di un modello, rapporti e organizzazione spaziale) o batterie di immagini che presentano oggetti rappresentati secondo prospettive insolite o parzialmente degradati o sovrapposti.

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CONSIDERAZIONI SULL’APPROCCIO RIABILITATIVO

Il fine ultimo di un intervento terapeutico nei disordini del comportamento motorio propri delle paralisi

cerebrali è in generale quello di incrementare la modificabilità adattiva del bambino rispetto all’ambiente, in modo tale da aumentarne l’autonomia personale e sociale. Nel caso specifico dei disordini percettivi, lo scopo del trattamento dovrebbe essere quello di rendere possibile per il bambino l’utilizzo della percezione per il movimento, cioè di favorire un utilizzo adattivo delle informazioni percettive. Infatti lo sviluppo percettivo e quello motorio sono strettamente intrecciati; in nessun modo è possibile pensare un trattamento riabilitativo efficace che trascuri uno dei due aspetti o che isoli il movimento dalla percezione. Secondo queste premesse, la pratica riabilitativa non può essere rappresentata da una serie di esercizi ripetitivi o da tecniche che siano valide in ogni circostanza; è necessario piuttosto mettersi in un ottica di “problem solving”, cioè di risoluzione dei problemi: il setting terapeutico pone al bambino dei problemi da risolvere, gli stessi problemi che il bambino si troverà ad affrontare nella vita quotidiana, e sostiene la risoluzione di questi problemi fornendo delle facilitazioni e quindi riducendole progressivamente. E’ fondamentale che i problemi proposti al bambino siano il più possibile “naturali”: se infatti l’obiettivo della riabilitazione è l’adattamento del bambino all’ambiente, è d’altra parte necessario che, soprattutto all’inizio del trattamento, sia l’ambiente ad adattarsi al bambino. Le attività dovranno essere adeguate all’età e alle competenze del bambino: né tanto complesse da rappresentare ostacoli insormontabili, né tanto elementari da non richiedere nessuno sforzo adattivo. Inoltre è necessario tener conto degli interessi del singolo bambino e proporre le attività sotto forma di gioco: è infatti ampiamente dimostrato che l’investimento emotivo incrementa i tempi di attenzione e le capacità di apprendimento.

E’ evidente quindi che un progetto riabilitativo deve essere sempre individuale e personalizzato, realizzato per ogni singolo caso dopo una completa valutazione clinica e strumentale e verificato dopo un periodo di trattamento in base ai risultati raggiunti. Questo non esclude che si possano seguire, nel trattamento dei disordini percettivi, alcuni principi e linee guida generali: L’inizio precoce del trattamento riabilitativo, ad esempio, permette di sfruttare la plasticità del sistema nervoso centrale, che è massima nel primo anno di vita: strutture cerebrali non utilizzate si atrofizzano o non maturano; allenare precocemente le funzioni evita invece che ai sintomi di lesione si sommino sintomi da “non uso” delle funzioni stesse. Per il medesimo motivo è importante mettere a disposizione del bambino un ambiente ricco di stimoli , il più possibile naturali ed interessanti: il bambino affetto da PCI manca infatti di strumenti per ricercare attivamente nuove occasioni di conoscenza, che dovrebbero essere fornite dal riabilitatore. Allo stesso tempo le esperienze percettive devono però essere guidate e dosate : il bambino deve essere protetto, soprattutto nei primi mesi vita, dall’eccesso di afferenze, tra le quali non è in grado di operare una selezione. In questo senso il contenimento fisico rappresenta una tappa fondamentale all’inizio del trattamento, limitando l’intensità e la frequenza degli stimoli ambientali disturbanti; successivamente sarà possibile introdurre una quantità sempre maggiore di afferenze e aumentarne la complessità. E’ inoltre compito del terapista fornire facilitazioni per la risoluzione dei compiti percettivo-motori proposti e quindi ridurle progressivamente per indurre il bambino a mobilitare le proprie risorse e ad agire autonomamente. Le facilitazioni dovranno utilizzare canali sensoriali diversi da quelli colpiti dal disturbo percettivo sul quale si interviene. Ad esempio, nel caso di disordini visivi può essere efficace una facilitazione di tipo uditivo: un rinforzo verbale durante l’esecuzione di un compito ha un effetto di contenimento e aiuta il bambino a mantenere l’attenzione. Nel caso di disturbi dell’equilibrio può risultare utile una facilitazione visiva, come fornire una mira esterna per indurre il controllo visivo della postura. E’ in ogni caso importante rendere il bambino consapevole del proprio potenziale percettivo residuo, in modo da facilitarne l’utilizzo e lo sviluppo: non è infatti sufficiente che sia presente un residuo funzionale

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perché il bambino sia in grado di mettere in atto strategie cognitive per la risoluzione dei problemi motori e di utilizzare quel residuo al momento più opportuno. Infine non bisogna dimenticare che in nessun caso il bambino con PCI può acquisire le stesse competenze funzionali di un bambino sano: non è cioè importante “come” viene risolto un problema adattivo, ma il fatto stesso che il problema venga risolto. In quest’ottica si dovranno suggerire al bambino strategie alternative per l’esecuzione dei compiti, che utilizzino i sistemi senso-percettivi non danneggiati per vicariare le funzioni assenti.

E’ già stato osservato nella prima parte di questo articolo che i processi percettivi svolgono un ruolo importante in tutte le fasi del controllo motorio; il riabilitatore avrà il compito di guidare il bambino attraverso queste fasi e di facilitare l’utilizzo consapevole e funzionale delle informazioni in ciascuna di esse. Per quanto riguarda la fase di elaborazione dei piani d’azione si potrà guidare il bambino all’analisi delle caratteristiche ambientali, attraverso la selezione e la raccolta delle informazioni utili prima dell’inizio del movimento. Questo obiettivo può essere raggiunto inizialmente attraverso la proposta di compiti semplici in ambienti poco strutturati, privi di elementi distraenti e in seguito sempre più complessi: possono essere utili, soprattutto nelle prime fasi del trattamento riabilitativo, il contenimento fisico e la limitazione delle afferenze. Nella fase di esecuzione del compito motorio il riabilitatore può facilitare il monitoraggio continuo della sequenza in corso di svolgimento, attraverso compiti che favoriscono l’integrazione tra le informazioni visive, propriocettive, tattili e vestibolari. Nella fase di controllo verrà infine sostenuta, anche attraverso il canale verbale, l’analisi dei risultati dell’azione in rapporto agli scopi, invitando così il bambino ad un esame del movimento compiuto e ad una eventuale correzione. BIBLIOGRAFIA

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� BERTHOZ A, Il senso del movimento, Mc Graw-Hill, Milano, 1998. � BONINI P, SABBADINI G, “Aspetti riabilitativi dell’ipovisione e della cecità corticale nella paralisi

cerebrale infantile”. In: FERRARI A, CIONI G (a cura di), Paralisi cerebrali infantili, Edizioni del Cerro, Pisa, 1993.

� CRENNA P, “Variabilità contesto-dipendente dei meccanismi neurali che controllano il movimento”,

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Anno 4 Numero 1 – Marzo 2009 Sezione Lombardia

SVILUPPO COGNITIVO ED ORGANIZZAZIONE SPAZIO–TEMPORALE E DELLO SCHEMA CORPOREO IN UN GRUPPO DI PAZIENTI

CON SINDROME DI APERT

A cura di CRISTIAN GUALANDRIS – TNPEE INTRODUZIONE

Questo studio nasce dalla collaborazione tra due Unità Operative dell’Azienda Ospedaliera “San Gerardo” di Monza: quella di Chirurgia Maxillo-facciale-plastica, diretta dal Prof. Alberto Bozzetti, che segue pazienti con sindrome di Apert provenienti da tutta Italia attraverso un counseling chirurgico, e la Neuropsichiatria Infantile, diretta dal Prof. Mario Bertolini.

La sindrome di Apert è una patologia malformativa caratterizzata da craniosinostosi, ipoplasia del

massiccio facciale e sindattilia delle dita delle mani e dei piedi. Il grado della craniostenosi è severo: il sistema longitudinale (suture sagittali e metopiche) è salvaguardato, mentre sono coinvolte le suture coronali e della base del cranio con volta cranica appuntita o conica, riduzione del diametro antero-posteriore, fronte prominente ed occipite appiattito. Le mani presentano fusione parziale o completa delle dita: solitamente la sindattilia coinvolge solo i tessuti molli, ma è frequente l’interessamento delle strutture ossee; si osserva spesso una singola unghia continua. Simili malformazioni sono osservabili anche ai piedi, sebbene in genere di minore severità. Il disordine si classifica in sindrome di Apert di Tipo 1 se è presente una sindattilia delle tre dita centrali, di Tipo 2 se è coinvolto anche il quinto dito e di Tipo 3 se la sindattilia è completa.

Il quadro malformativo coinvolge altri distretti corporei ed apparati, in misura variabile. Le alterazioni maggiormente rappresentate sono: anomalie cerebrali quali megalencefalia, ventricolomegalia, ipoplasia o agenesia del corpo calloso e/o del setto pellucido; problematiche oftalmologiche come esoftalmo e strabismo; palato ogivale, palatoschisi, affollamento dentale; brevità omerale e displasia del cingolo scapolare; anomalie viscerali all’apparato cardiovascolare e genito-urinario.

Dal punto di vista cognitivo, il ritardo mentale non è una caratteristica intrinseca della sindrome (infatti molti pazienti possono avere un’intelligenza normale) ma compare comunque in un’elevata percentuale di casi: alcuni studi riportano che il 50% degli individui affetti presenta un ritardo intellettivo.

L’incidenza è stata stimata intorno a 1:100.000 nati vivi; la sindrome colpisce indifferentemente maschi e femmine. Recentemente è stato dimostrato che i pazienti affetti da sindrome di Apert presentano in alternativa una delle due mutazioni adiacenti (S252W e P253R) del gene FGFR2, situato sul cromosoma 10 (regione 10q26), che codifica il recettore di tipo 2 del fattore di crescita dei fibroblasti.

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MATERIALE E METODI

Lo studio si è svolto su un campione di 14 pazienti composto da 5 femmine (di età media pari a 13,6 anni e range compreso tra 6,8 e 17,11 anni) e 9 maschi (con età media di 12,4 anni e range di età 5,8 – 17,4 anni). La maggior parte dei soggetti proviene dalla regione Lombardia; solo cinque pazienti giungono da altre regioni.

I criteri di inclusione nello studio sono i seguenti:

� diagnosi posta di Sindrome di Apert, confermata da indagine genetica

� età compresa tra i 5 anni e 6 mesi ed i 18 anni (estremi inclusi).

Gli obiettivi principali dello studio sono:

1) un’analisi dello sviluppo cognitivo nei pazienti affetti da sindrome di Apert

2) la valutazione dell’influenza delle problematiche malformative e del grado di sviluppo cognitivo sulla strutturazione dell’immagine corporea e dell’organizzazione spazio-temporale in questi soggetti.

La valutazione di ogni singolo partecipante è stata effettuata congiuntamente da Neuropsichiatra Infantile e Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva; per motivi organizzativi si è svolta in una sola giornata.

Lo studio ha compreso un colloquio con i genitori e, separatamente, con il bambino o ragazzo. Nell’indagine testate si è proceduto con la misurazione del quoziente intellettivo e la valutazione neurofunzionale, che ha posto particolare attenzione alla valutazione dello schema corporeo e dell’organizzazione spazio-temporale; si è inoltre somministrato un test di misurazione dell’autostima.

Sono stati somministrati i seguenti test:

� Scale di intelligenza Wechsler

� Test della figura umana di Goodenough e Harris

� Test dell’omino incompleto

� Body Image Satisfaction Questionnaire

� VMI (forma completa, subtest: Percezione visiva e Coordinazione motoria)

� Protocollo di valutazione del metodo Terzi: tocchi

� Figura complessa di Rey.

PRESENTAZIONE DEI DATI

Dal punto di vista dello sviluppo cognitivo , si osserva una grande variabilità dell’intelligenza in questi soggetti, con un range che va dal ritardo mentale severo ad uno sviluppo nella norma: il quoziente intellettivo generale medio è risultato di 72,7 rientrando nella fascia borderline, ma il range di valori ottenuti dai pazienti risulta molto ampio e compreso tra 40 e 112 (deviazione standard 24,9).

Sei pazienti (42 %) presentano ritardo mentale: due si collocano nella fascia di ritardo lieve, un soggetto riporta un QI di 44 (ritardo mentale moderato) mentre i restanti tre si situano nella fascia di ritardo mentale grave. I rimanenti otto soggetti (58 %) mostrano un quoziente intellettivo uguale o superiore a 70: quattro si collocano al limite inferiore di norma, tre hanno un quoziente intellettivo compreso tra 90 e 109, ed uno riporta un quoziente medio-superiore (112).

Considerando separatamente le prove relative alle due scale, Verbale e Performance, i risultati ottenuti dai pazienti confermano la grande variabilità individuale già riscontrata nel quoziente generale: il quoziente intellettivo verbale medio è di 79,8 (deviazione standard 23,6), quello di performance medio è risultato di 75,4 (deviazione standard di 24,8).

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Dati significativi emergono dall’analisi dei singoli subtest dalle Scale di Intelligenza Wechsler. Nei soggetti con ritardo mentale grave, la valutazione, influenzata dalle limitate capacità intellettive degli esaminati, restituisce punteggi standard uniformemente bassi in tutte le aree, tali da non permettere di considerare le variazioni tra un subtest e l’altro e, pertanto, da non fornire indicatori statisticamente significativi.

Prendendo in esame i punteggi standard relativi agli otto soggetti che hanno riportato un quoziente intellettivo generale compreso tra 69 e 112, emerge come i profili dei pazienti evidenzino una grande disarmonia riscontrabile sia all’interno delle prestazioni dei singoli soggetti esaminati, sia confrontando tra loro i punteggi dei pazienti alla ricerca di punti di forza e di debolezza comuni. Nonostante la variabilità dei profili cognitivi di questi otto pazienti, è possibile identificare alcuni settori in cui si concentrano i picchi positivi o negativi. Le prove nelle quali il punteggio medio ottenuto appare maggiore sono: Informazioni, Vocabolario, Memoria di Cifre e Labirinti, al contrario cadute significative si verificano nell’area logico-matematica (Aritmetica), nel subtest di Comprensione e nel Cifrario.

Tra gli strumenti psicometrici utilizzati per analizzare l’integrazione dello schema corporeo , è stato impiegato il Test della Figura Umana, che restituisce due dati fondamentali: quoziente intellettivo e rango percentile.

Confrontando il quoziente intellettivo misurato attraverso il test di Goodenough ed Harris a quello ricavato dalle Scale Wechsler, non emerge una simmetria tra i dati ricavati nelle due modalità: in sette pazienti su tredici i due indicatori intellettivi sono corrispondenti, nei restanti, due riportano un punteggio maggiore nella Scala di Intelligenza Wechsler, mentre quattro, al contrario, ottengono un quoziente intellettivo superiore calcolato sulla base del Test della Figura Umana.

Analizzando il rango percentile, la maggior parte dei pazienti si colloca al di sotto della norma: sette soggetti su tredici (53,8 %) si situano al di sotto del terzo centile (di questi cinque risultano al di sotto del primo percentile); un paziente (7,7 %) raggiunge il quarto centile e dei restanti, due (15,4) si collocano entro il ventesimo centile e tre (23,1 %) oltre il cinquantesimo.

Procedendo ad un’analisi qualitativa delle produzioni grafiche, emerge una corrispondenza tra il livello di rappresentazione raggiunto dai pazienti ed il livello cognitivo: i soggetti con ritardo mentale mostrano rappresentazioni stilizzate e con un numero limitato di particolari (in genere riportano solo capo, tronco ed arti), mentre i pazienti con profilo cognitivo limite o nella norma realizzano disegni maggiormente particolareggiati (con attenzione, ad esempio, ai dettagli del vestiario).

Nel disegno di alcuni soggetti si notano particolari in qualche misura riconducibili alle malformazioni tipiche della sindrome di Apert: braccia molto brevi e che danno l’impressione di un blocco a livello delle spalle, una testa molto grande e sproporzionata rispetto al corpo, piedi con caratteristiche peculiari (ad es. una ragazza disegna dei piedi “artigliati”, mentre una seconda termina il disegno all’altezza delle ginocchia, omettendoli).

Nella prova dell’omino incompleto (elaborata a partire da quella presente nella scala intellettiva di Terman-Merril), più che nel test della figura umana, compare la difficoltà dei pazienti nel rappresentare le parti malformate: alcuni omini, ad esempio, presentano una particolare chiusura della testa, che appare molto alta oppure decerebrata (quest’ultima tipica del ritardo mentale), altri delle mani “peculiari”. In alcuni casi emergono elementi più esplicitamente aggressivi: è il caso di un bambino che cancella il volto dell’omino ed aggiunge delle creste appuntite sulle braccia, oppure di un adolescente disegna i denti in bella vista.

Il Body Image Satisfaction Questionnaire ci offre indicazioni utili circa la consapevolezza delle proprie deformità in questi pazienti. I dati raccolti riportano che i pazienti più piccoli risultano in media soddisfatti del loro aspetto fisico: si tratta di soggetti di età compresa tra i 5 e gli 8 anni e quoziente intellettivo generalmente basso che determina una scarsa consapevolezza delle proprie deformità. Al contrario, nel gruppo di adolescenti, gran parte dei pazienti riconosce e dichiara insoddisfazione per le parti del corpo maggiormente compromesse dalla sindrome: spalle, braccia, mani, piedi, denti, occhi.

I dati raccolti con il Visual Motor Integration Test, che indaga la capacità di comprensione logica e comporta organizzazione spazio-temporale , mostrano anche in questo caso una grande variabilità individuale con valori discordanti sia all’interno delle prestazioni del singolo paziente, che confrontando tra loro i soggetti.

Il quoziente di integrazione visuo-motoria medio riscontrato è pari a 73,1 con un intervallo di valori compreso tra 45 e 95 punti (deviazione standard di 17,2); il dato medio risulta paragonabile al quoziente intellettivo generale medio rilevato dalle Scale Wechsler, ma non è presente una corrispndenza tra il quoziente

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intellettivo delle Scale Wechsler ed i dati sulla valutazione dell’integrazione visuo-motoria. È da notare che solo sei pazienti mostrano un’integrazione visuo-motoria nella media (117-83 punti), mentre i restanti si collocano nella fascia bassa (82-68 punti) o molto bassa (67-40 punti); nessuno dei pazienti ottiene un punteggio uguale o superiore a 100.

Analizzando i risultati nei due subtest Percezione Visiva e Coordinazione Motoria, il quadro è caratterizzato dalla discordanza dei valori, con assenza di corrispondenza dei tre punteggi.

Per quanto concerne il subtest Percezione Visiva, i soggetti ottengono in media 71 punti (fascia bassa); nella Coordinazione motoria la media scende a 68,5 punti (fascia bassa).

Nell’effettuare la lettura dei dati relativi alla figura complessa di Rey si ripresenta la situazione di grande variabilità. Al fine di permettere un confronto, il campione è stato suddiviso in due gruppi: il primo costituito dai sei pazienti cui è stata presentala la figura A ed il secondo composto dai tre pazienti cui si è somministrata la figura B.

I risultati relativi alla Figura A mostrano che quattro pazienti su sei utilizzano una modalità di copia non usuale per l’età (procedendo per giustapposizione di dettagli o individuando dapprima il contorno generale) collocandosi al decimo percentile; solo due soggetti copiano la figura riconoscendo l’armatura o i suoi dettagli (tipi I e II) che rappresenta la modalità dominante dai 12 anni in poi. Nella riproduzione a memoria, in genere i pazienti riportano numerosi particolari; in tre casi la strategia di realizzazione migliora.

Per quanto riguarda la copia della Figura B, i tre soggetti si collocano al di sotto del decimo percentile; nella copia di due soggetti, inoltre, sono completamente assenti i rapporti tra le superfici sia in termini di giusta collocazione che di sovrapposizione, mentre nel terzo vi è solo una vicinanza tra le figure. Nella riproduzione a memoria, solo due soggetti riportano una configurazione valutabile, situandosi al decimo e trentesimo percentile.

Sebbene la valutazione dei Tocchi comportasse il contatto corporeo con l’esaminatore, tutti i partecipanti hanno accettato volentieri la somministrazione del protocollo. Anche dall’analisi dei dati raccolti con questo test emerge una grande variabilità individuale, che non consente di tratteggiare linee comuni valide per tutti i pazienti. In generale la prova risulta migliore quando i tocchi sono simmetrici, sia per quanto riguarda la riproduzione dei tocchi, sia nella rappresentazione della sequenza. Non è riscontrabile una corrispondenza diretta tra le performance espresse dalla valutazione dei Tocchi ed il Quoziente Intellettivo, non si è risultato nemmeno un rapporto tra lo span di memoria e il grado di correttezza dei tocchi.

CONCLUSIONI

Prima di trarre le conclusioni dai dati raccolti nello studio, è necessario fare due premesse.

La prima: i pazienti con sindrome di Apert hanno un’esperienza specifica differente ed un vissuto corporeo peculiare, dettati dalla componente malformativa a dalla serie di interventi chirurgici cui sono sottoposti nel corso della loro vita, che condizionano le informazioni percettive su cui si costituiscono schema e vissuto corporeo.

La seconda: come riportato in alcuni studi, l’aspetto dismorfico di questi soggetti può influenzare la costruzione di legami significativi, primo fra tutti il rapporto con i genitori e, successivamente, con l’ambiente extrafamiliare.

La difficile integrazione tra esperienze affettive e psicomotorie incide sullo sviluppo cognitivo dei pazienti con sindrome di Apert che risulta disarmonico, poco integrato, basato essenzialmente sull’operatività concreta, con difficoltà ad accedere ai livelli simbolici più astratti; ciò non permette l’organizzazione di uno schema corporeo integrato e di una corretta strutturazione spazio-temporale.

Come emerge dai risultati ottenuti nella valutazione cognitiva, le aree in cui si riscontrano risultati migliori sono quelle che non richiedono strategie cognitive elevate, ma apprendimenti in cui prevalgono l’aspetto concreto ed imitativo, imparati adesivamente e facilmente “automatizzabili” come le Informazioni, il Vocabolario e la Memoria di Cifre. Nei pazienti con sviluppo cognitivo nella norma, l’intellettualizzazione permette “prestazioni cognitive” migliori, sebbene anche in questi pazienti si assista ad una caduta nella Matematica e nella Comprensione, ambiti in cui è richiesta una maggiore capacità di astrazione e di mentalizzazione.

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I dati raccolti non permettono, quindi, di delineare un profilo comune dello sviluppo cognitivo e neurofunzionale di questi pazienti, al contrario, andando ad analizzare i singoli settori neurofunzionali, l’unica caratteristica che appare costante è la grande variabilità nelle differenti aree funzionali che si riflette in tutte le prove: nelle Scale Wechsler, come nel Test della Figura Umana, nel Visual Motor Integration Test e nella Figura Complessa di Rey, fino ai Tocchi del Metodo Terzi.

BIBLIOGRAFIA

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- Centro di Coordinamento Rete Regionale delle Malattie Rare Regione

Lombardia c/o il Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò (Ranica - BG) dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.

- NORD (National Organization of Rare Disorder, www.rarediseases.org)

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of Medicine, http://www.ncbi.nlm.nih.gov/omin) - Orphanet (www.orpha.net)

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Anno 4 Numero 1 – Marzo 2009 Sezione Lombardia

LA PRESA IN CARICO PSICOMOTORIA DEL BAMBINO CON DANNO PLURISENSORIALE

A cura di ANNA FRIGERIO – TNPEE << Anna ci sei? >> “ Sì Giulio, sono qui ” << Anna? >> “ Sì Giulio, sono qui, ti sto aspettando ” << Anna aiuti? >> “ Sì Giulio, arrivo ”

Quando ci si trova davanti a bambini i cui problemi sembrano essere troppi e troppo diversi, forse il primo passo, ma anche il più difficile da fare, è stabilire quale sia la priorità del nostro intervento. Ci mettiamo allora di fronte al concetto di “presa in carico psicomotoria” del bambino. Ritengo che in primo luogo sia fondamentale non dimenticare che la presa in carico può essere definita come l’alleanza tra bambino e terapista, alleanza che risulta autentica solo nella misura in cui il terapista si “mette a disposizione” del bambino, se il suo stare con lui non è qualcosa di sterile o neutro, ma anzi uno “stare con” prima di tutto come persona che sa comprendere in modo empatico le difficoltà del bambino, che si pone cioè in ascolto attivo.

Il primo passo verso questa accoglienza del terapista nei confronti del bambino è la cura del setting

riabilitativo. Setting inteso come spazio fisico, accogliente e fornito del materiale adeguato all’espressione del bambino e come spazio mentale, in cui il bambino possa sentirsi libero di depositare quello che egli è realmente. Il luogo della terapia deve essere identificato dal bambino quindi come il proprio spazio, perché a lui dedicato, il luogo fisico diviene quindi possibilità di incontro. Risulta inoltre fondamentale ricordare che la presa in carico psicomotoria non può esplicitarsi in un approccio selettivo al sintomo o alla funzione deficitaria, ma può esistere solo l’approccio al corpo emozionale, mediante una raccolta dei bisogni e dei desideri del bambino e la restituzione di questi in un codice da lui codificabile. Per il terapista quindi è indispensabile unire alla tecnica l’ascolto attivo di quello che il bambino porta di sé. Se c’è l’ascolto allora il bambino sarà in grado di “dirsi”, sarà lui stesso a comunicare al terapista, con svariate modalità, a quale distanza stare, quali strumenti usare, quali sono le cose che lo fanno stare male e quelle che lo fanno stare bene. Compito del terapista sarà cogliere i molteplici segnali che il bambino invia e inizialmente “adattarsi” a quel bambino, in quel momento: provare a comprendere le capacità, le abilità e le competenze del bambino, in modo da poterlo incontrare, da poter fare delle proposte che siano in sintonia con quello che il bambino può fare.

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Solo partendo da quello che il bambino è e può fare, si può procedere alla stesura di un progetto

riabilitativo , quindi prendere in carico vuol dire anche adattare il progetto riabilitativo al bambino in base a quello che è il suo “poter essere”, partire da lì per condurlo a una piccola conquista successiva, mediante una sufficiente frustrazione che risulti sopportabile. La stesura di un progetto riabilitativo personalizzato prevede la fondamentale individuazione di quelli che sono gli “obiettivi a breve termine”. Spesso di fronte ad alcuni bambini questo primario compito risulta quanto mai difficile, a volte è forte la tentazione di concentrarsi sul sintomo, evitando però di andare a scandagliare tutto il substrato, dove forse risiede il problema vero. A volte è più comodo procedere proponendo degli esercizi, forse anche utili, ma viene spontaneo chiedersi: cosa resta del bambino che ho davanti, del suo mondo interno, della sua creatività?

Questi sono i grandi quesiti a cui si è trovati a dare una riposta nel caso del piccolo Giulio. Dopo aver girato servizi riabilitativi pubblici e privati, dopo essere anche stato rifiutato in alcuni di questi servizi, dopo aver subito diversi interventi chirurgici, aver incontrato molte persone diverse, Giulio torna presso il servizio in cui era stato seguito fin dalla nascita e dove io ho svolto il mio tirocinio universitario. L’equipe multidisciplinare ha stabilito che Giulio necessitava primariamente di un intervento riabilitativo di natura psicomotoria. Ma in che termini l’intervento psicomotorio poteva risultare utile per Giulio, affetto da rosolia congenita e con conseguenti deficit plurisensoriali? Risulta necessario presentare prima di tutto la storia del bambino: Giulio nasce affetto da rosolia congenita; come è noto questa patologia può portare a manifestazioni cliniche tra le più diverse ed alcune (soprattutto se il virus viene contratto dalla madre nel primo trimestre di gravidanza) possono compromettere la sopravvivenza o portare ad handicap tali da determinare il bisogno di assistenza continua. Nel caso che vado ad analizzare, il bambino ha manifestato dalla nascita danni agli organi e agli apparati: deficit visivo causato dalla cataratta bilaterale, cardiopatia, ipotono e altri segni transitori come l’epatosplenomegalia e la piastrinopenia. I danni a livello del SNC invece hanno determinato un deficit uditivo, che ha esitato in sordità profonda, e un ritardo mentale lieve. I danni a livello sensoriale sono stati entrambi corretti: a tre mesi il cristallino di entrambi gli occhi è stato asportato e il bambino ha iniziato ad indossare occhiali con lenti correttive. Per il deficit uditivo, Giulio ha subito l’operazione di impianto cocleare bilaterale all’età di 2 anni e 8 mesi. È importante segnalare, per meglio comprendere la storia di Giulio, che il bambino è stato seguito presso molti centri specializzati e in ognuno di questi ha incontrato persone di riferimento diverse e invevitabilmente un modo diverso di approcciare alla sua malattia e alla sua persona. Spesso i servizi si sono occupati di curare solo una parte “deficitaria” di Giulio, si è cercato di “riaggiustare” le parti che erano evidentemente deficitarie, riabilitandole in modo assai specifico e settoriale, con il risultato che effettivamente era in grado di sentire e di vedere. Eppure i suoi movimenti meccanici e ripetitivi, i momenti di isolamento, le sue fughe nei giochi strutturati, il suo tono di voce robotico e il linguaggio spesso ecolalico e non comunicativo rendevano inevitabile chiedersi: dov’è Giulio? Chi è Giulio? È a queste domande che prima di tutto abbiamo cercato di dare risposta durante la prima parte della terapia di Giulio. Giulio infatti viene nuovamente preso in carico per la terapia psicomotoria all’età di cinque anni, poiché si evidenzia sempre più la necessità di un intervento riabilitativo che possa coinvolgere la globalità della persona, evitando un ulteriore vissuto frammentario delle esperienze. La scelta della terapia psicomotoria, come cardine fondamentale dell’abilitazione/riabilitazione di Giulio, può essere spiegata partendo dal considerare l’obiettivo principe della terapia psicomotoria: far ritrovare al soggetto la condizione del potere creativo della sua persona e l’accesso alla libertà del poter essere e del poter fare, come gli è possibile, in definitiva riscrivere la sua storia, secondo i modi e i tempi di cui dispone. Lo scopo più globale e specifico della terapia psicomotoria è quindi la presa di coscienza. In quanto organizzazione dell’essere e legame delle relazioni del soggetto con il suo mondo, la terapia prevede il ripristino della coscienza di sé nella propria realtà funzionale e della consapevolezza, per l’esperienza vissuta nell’attualità, del “sapere” del “poter fare” del proprio corpo disponibile

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Quando inizia il mio lavoro di co-conduzione psicomotoria, dalle prime osservazioni Giulio appare

come un bambino che alterna momenti in cui è direttivo e controllante nei confronti dell’adulto, ricercando l’uso di giochi molto strutturati come i puzzle e altri momenti di grande passività, come in attesa di istruzioni su cosa fare. Il linguaggio di Giulio risulta robotico, non investito emotivamente e spesso semplicemente ecolalico. Non mancano momenti di isolamento all’interno del gioco, in cui si può osservare la chiusura a partire prima di tutto dalla postura coartata, dal contatto di sguardo assente.

Dati questi presupposti, gli obiettivi riabilitativi iniziali sono stati il favorire la differenziazione del sé

dall’altro e dall’ambiente. Si è perseguito quest’obiettivo prima di tutto mettendosi in ascolto della richiesta profonda del bambino. All’inizio c’è stato un grande lavoro di modulazione per cercare di mantenere quella che potremmo definire la “distanza ottimale”, sia su un piano fisico, quindi fornire un adeguato contenimento al bambino sia con il corpo stesso della terapista, sia con il materiale disponibile nella stanza, quando il bambino lo richiedeva, verbalmente e non; sia una giusta distanza emotiva, per poter vivere insieme al bambino le emozione e restituirgliele, mostrarle. Esercitando delle piccole pressioni sopportabili è stato possibile per far sentire a Giulio che l’altro esiste ed è diverso da sé e di conseguenza che anche lui esiste come qualcosa da sé, separato. Il secondo obiettivo è stato quello di favorire l’investimento emotivo del gioco. È stato possibile intervenire iniziando ad introdurre delle piccole modifiche nel gioco proposto da Giulio. Se accettate si poteva aver accesso a un iniziale scambio con l’altro, Giulio si è dimostrato ben disposto a condividere il gioco con l’adulto, e gradualmente è riuscito a passare da una richiesta dell’altro solo direttiva e controllante, verso una vera e propria condivisione del gioco. Giulio nel suo gioco ha poi manifestato il bisogno di uno spazio più ristretto, in cui poter sentire i propri confini. Il bambino infatti chiedeva sempre che la costruzione della casetta con i cuscini, in cui sentirsi contenuto ed andava a ricercare attivamente la coperta. Emerge in questo caso l’importanza del contenimento tattile. Il tatto è un senso molto importante, che “abbraccia” il corpo nella sua interezza; l’approccio tattile, in quanto forma di contatto globale, può consentire al bambino di “sentirsi”. Già nella prima settimana di vita la pelle nella sua interezza si costituisce come prima fonte di piacere per il bambino: la pelle è la prima zona erogena. Perché si abbia un regolare sviluppo psichico, la stimolazione della pelle, organo di confine tra noi e il mondo esterno, è di primaria importanza. Spitz ha insistito sulla necessità che il bisogno da parte del piccolo di toccamenti venga regolarmente soddisfatto. Se è vero che l’organizzazione di tutte le esperienze sensoriali ha luogo in rapporto con l’essere tenuti in braccio e con l’allattamento, è in base a queste prime esperienze sensoriali che avranno luogo, in seguito, affetti e pensiero. La reminescenza delle sensazioni cutanee di quei momenti felici è ciò che il bambino tenta di rievocare, attraverso la ricerca di contenimento, nel tentativo di rivivere in essa quella sensazione di un tutt’uno protettivo e custodito che gli dava la madre. Per Giulio questo è stato ancora più importante dati i suoi deficit plurisensoriali. Giulio poi quando nel suo gioco si trovava all’interno della casa era impegnato nella continua sperimentazione della perdita e ritrovamento dell'altro; sembra di poter ricondurre queste esperienze alla fase dell’individuazione-separazione proposte da Margaret Mahler e in particolare alla sottofase della sperimentazione: il bambino si concentra sulle proprie capacità autonome, sulla sua possibilità di spostarsi, di scoprire il mondo, acquisisce una maggiore consapevolezza dell’assenza e dall’altra parte tende a tornare e a ricercare ciò che in quel momento rappresenta la “base sicura”, in questo caso le terapiste. Giulio apparentemente dimostrava di aver acquisito una buona conoscenza del corpo: era in grado di nominare ed indicare le varie parti del corpo non solo su di sé, ma anche sugli altri e sui peluches. Ricordando però la definizione di Schema Corporeo e la sua strutturazione, è lecito pensare che le acquisizioni a livello dello Schema Corporeo di Giulio siano state apprese solo meccanicamente, mentre tutto il bagaglio di esperienze vissute e di investimento libidico del proprio corpo siano state tralasciate o comunque vissute in maniera frammentata. Considerando infatti lo Schema Corporeo come il frutto dell’interazione tra la conoscenza del proprio corpo e l’analisi delle informazioni esterne, che permettono di organizzare ed adattare l’atto, è d’obbligo pensare

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invece a quella che è stata la storia di Giulio: le sue esperienze a livello corporeo sono state sicuramente lontane da quelle che ci si aspetta da uno sviluppo fisiologico. Giulio a causa dei deficit sensoriali di vista, udito e, non meno importante, dell’ipotono, ha investito e percepito tutte le esperienze corporee in maniera deficitaria e frammentata, inoltre sin dalla nascita ha provato l’esperienza di un corpo che rimanda dolore. In uno sviluppo fisiologico si considera che con il linguaggio la conoscenza del proprio corpo dovrebbe giungere alla sua espressione più elevata: il corpo nominato rappresenta il simbolo dell’esperienza vissuta del e con il proprio corpo. Giulio invece sembrava servirsi del linguaggio per porre rimedio a tutta l’esperienza di corpo vissuto che gli è mancata o che è stata sperimentata in maniera negativa o parziale. La ripetizione meccanica delle parti del corpo era forse un modo per “tenere insieme” quello che invece la sua esperienza gli comunica come frammentario. Nasce quindi l’esigenza di poter restituire a Giulio, durante il processo riabilitativo, la possibilità di vivere positivamente il proprio corpo, ripartire proprio da dove il processo di strutturazione dello Schema Corporeo si è interrotto, per ricondurlo ad una riappropriazione mentale della corporeità, in precedenza segmentaria e confusa. La formazione dello Schema Corporeo risulta fondamentale nello sviluppo del bambino, in quanto tramite essa il bambino può elaborare le sue possibilità di azione; è legata all’adattamento al mondo esterno, per il quale viene conferita una struttura cognitiva all’azione corporea: secondo la teoria piagettiana infatti l’azione non è soltanto esecutrice, ma stimolatrice dell’attività mentale. Si ritiene necessario in questo periodo aggiornare il progetto terapeutico per Giulio, andando proprio a concentrare maggiormente l’attenzione sulla possibilità dell’investimento libidico del proprio corpo mediante la sperimentazione senso-motoria. Inoltre Giulio iniziava a voler stare nella stanza senza l’apparecchio acustico e senza gli occhiali, a maggior ragione è stato possibile incentivare e privilegiare il senso del tatto, come canale preferenziale per potersi “sentire”, per affermare sé stesso. Inizialmente il suo gioco era ancora tutto incentrato sulla costruzione della casa, ma con una maggiore interazione, una maggiore possibilità di “dialogo tonico” e contatto empatico con l’altro.

Il progetto riabilitativo rivisto ed aggiornato in particolare si prospetta di: sostenere lo sviluppo dello Schema Corporeo; favorire l’espressione attraverso una traccia grafica spontanea; favorire la rappresentazione di quanto vissuto nella stanza con vario materiale. Per il sostegno dello sviluppo dello Schema Corporeo sono state sperimentate nella stanza diverse esperienze senso-motorie che potessero aiutare Giulio a sentire positivamente il proprio corpo:

- il dondolio che si ipotizza solleciti e soddisfi il desiderio profondo di ritrovare una condizione tonico-emozionale indifferenziata, senza pensieri né chiara coscienza del mondo esterno;

- il rotolamento che afferma il suo senso sul mondo e ciò avviene giocando a perdere lo spazio, per

poi ritrovarlo, quando il bambino viene a contatto con un elemento presente in quello spazio;

- l’equilibrio/disequilibrio che sono fonti di forti emozioni, in genere di paura espresse, fanno sentire al bambino i limiti del suo corpo.

Giulio in questa fase della terapia dimostrava di gradire i giochi corporei di sperimentazione senso-motoria e sempre più spesso era lui stesso a richiederli. Durante questi giochi era stabilmente presente l’emozione condivisa e il bisogno, unito alla capacità, del bambino di coinvolgere l’altro in uno scambio emotivo, in un momento di così forte investimento. Il bambino inoltre, grazie alla sperimentazione con il corpo, dimostrava di poterne acquisire sempre maggiore consapevolezza. È riuscito ad attribuire valore positivo alle orecchie: una delle parti del suo corpo fin lì investite negativamente o addirittura negate perché deficitarie. In più occasioni Giulio, mentre stava facendo un’esperienza così primitiva e globale come quella del dondolio, sembrava voler sperimentare la differenza tra la globalità e una parte distale del corpo esposta fuori dal telo, la differenza tra il dentro e il fuori, tra il tutto e la parte. La voglia di sperimentare e di iniziare ad interiorizzare l’esperienza che stava facendo si esprimeva anche quando Giulio proponeva di far fare alle bambole l’esperienza da lui appena vissuta, quasi un voler rivedere da fuori quello che prima è stato vissuto dentro.

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Durante la terapia si è assistito anche all’evoluzione dell’espressione grafica, infatti Giulio all’inizio accettava solo di colorare il disegno fatto dall’adulto ed utilizzava il disegno come mezzo per sottrarsi alla frustrazione in altri giochi. Successivamente invece Giulio disegnava spontaneamente, inizialmente soggetti importanti emotivamente, come la mamma, poi ha iniziato a rappresentare quanto avvenuto nella stanza. Infine si può osservare come Giulio sia arrivato a riproporre l’esperienza fatta su di sé anche sul materiale della stanza, mettendo il materiale nella stessa situazione contenuta in cui prima era stato lui o facendo dondolare nel telo le bambole; si assisteva quindi ad un iniziale tentativo di poter guardare fuori quello che era stato vissuto dentro di sé.

La mia esperienza con Giulio si è conclusa in questa fase; il percorso riabilitativo di Giulio non è stato interrotto, ma è continuato con nuovi obiettivi riadattati alle sue esigenze. Anche se per me non è stato possibile seguire Giulio fino alla dimissione, è comunque possibile poter trarre delle conclusioni per il lavoro fatto fin qui. Partendo quindi dal quesito iniziale di come la terapia psicomotoria potesse risultare utile per un bambino con danno plurisensoriale, riabilitato fin lì solo settorialmente; possiamo affermare che prima di tutto l’intervento si è dimostrato adeguato per favorire la crescita della persona nella sua globalità. Le terapiste si sono inizialmente poste come barriere protettive agli eccessi degli stimoli, ruolo fisiologicamente assunto dalla madre, e Giulio ha quindi potuto uscire dal suo isolamento sviluppato come schema difensivo. Successivamente l’intervento psicomotorio è andato ad agire su quello che è lo strumento principe della terapia psicomotoria: il corpo. Attraverso tutte le proposte di esperienze senso-motorie, Giulio non solo ha provato il piacere dell’agire, ma è stato aiutato nella costituzione del proprio Sé; infatti si considera che tutto l’insieme delle sensazioni periferiche o di impatto del corpo nello spazio serve al bambino per costituire il senso di Sé. Dapprima un Sé tutto corporeo, in quanto formato prevalentemente su sensazioni ed appercezioni, che sono fenomeni corporei, ma esterni al corpo. Ben presto però il Sé diventa fatto di corpo e di mente; ciò ha luogo per gradi, è un processo maturativo nel cui ambito il maturare e l’affinarsi delle strutture permettono l’evolversi delle funzioni, sia a livello neuromotorio, sia sensoriale. Possiamo affermare quindi che il processo riabilitativo neuropsicomotorio di Giulio, bambino con deficit plurisensoriali, si è dimostrato efficace per raggiungere gli iniziali obiettivi di differenziazione dall’altro e dall’ambiente e di affermazione del Sé e ha posto le basi per una integrazione delle esperienze volte a costituire un sé unitario. Giulio ha avuto la possibilità di esperire l’investimento libidico del proprio corpo, attraverso la sperimentazione senso-motoria; di provare un’esperienza di sé unitario; di attribuire valore positivo alle parti del corpo vissute fin a quel momento negativamente. Giulio inoltre si è dimostrato grandemente in grado di comunicare il suo agio/disagio, di saper dire all’altro la distanza ottimale da mantenere. Giulio ha iniziato ad investire emotivamente il materiale della stanza, usandolo come mezzo per far emergere la sua richiesta profonda sul piano simbolico. Evidente è l’evoluzione sul piano affettivo-relazionale: Giulio è finalmente in grado di dirsi, ha accesso alla libertà del poter essere e del poter fare, come gli è possibile.

<< Anna aiuta >> “Arrivo e ti sistemo la coperta”

<< Anna grazie... Anna sei vicino casa? >> “ Sì Giulio, ci sono.”

…ci sono io e ci sei anche tu, Giulio...

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• Bertozzi G. e Guglielmi M., Pediatria –Principi e pratica-, Ed. Masson (2003)

• Ferrari A., Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili. Pisa: Edizioni del Cerro (1997)

• Gaddini R., Il processo maturativi – Studi sul pensiero di Winnicott a cura di G. Remondi, Padova:

CLEUP Editore (1982), pp.39.

• Mahler M., Pine F., Bergman A., La nascita psicologica del bambino. Torino: Ed. Bollati Boringhieri

(1996)

• Mark F. Bear, Barry W. Connors, Michael A. Paradiso, Neuroscienze – Esplorando il cervello (III

edizione), Milano: Ed. Masson (2007)

• Pecorari D., Diani F., Tanganelli E., Medicina dell’età prenatale e del puerperio, Ed. Piccin (1992):

• Piaget J. e Inhelder B., La psicologia del bambino. Milano: Ed. Einaudi (2001)

• Pisaturo C., Appunti di psicomotricità. Padova: Edizioni Piccin Nuova Libreria (1996)

• Russo R. C., Diagnosi e terapia psicomotoria. Milano: Casa Editrice Ambrosiana (2000)

• Winnicott W. D., Fisioterapia e relazioni umane, in Esplorazioni psicoanalitiche, Milano, Cortina

(1989)

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Anno 4 Numero 1 – Marzo 2009 Sezione Lombardia

Buongiorno, scrivo per chiedere a voi e/o ai colleghi alcune informazioni sull’attività privata come TNPEE. Sto iniziando infatti una attività privata, ma non sono titolare di partita IVA. Sono certa che per quest’anno il mio reddito da attività privata sarà inferiore ai 5000 euro. Posso emettere delle semplici ricevute o devo per forza aprire la partita IVA ed emettere fatture? Certa della vostra attenzione, ringrazio e saluto tutta la Redazione.

Francesca Cara Francesca, il quesito che ci poni è sempre molto attuale, anche alla luce della grande difficoltà oggi di trovare velocemente un posto di lavoro come dipendenti. Proviamo ad aiutarti con qualche nozione generale sull’ordinamento fiscale, ma apriamo la discussione anche ai colleghi che spero partecipino a questo tuo messaggio con i loro contributi, condividendo opinioni ed esperienze sull’attività da libero professionista. L’articolo 5 del DPR 633/72 stabilisce che “per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche…”; da qui si evince che è possibile svolgere attività professionale in assenza di una regolare posizione IVA, ma questa attività non deve essere abituale. Quindi viene da qui la possibilità di effettuare le cosiddette “prestazioni occasionali”, per le quali ci sono però ovviamente delle limitazioni. Si intendono prestazioni occasionali i rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con uno stesso committente, a patto che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare non sia superiore a 5000 euro. In questo caso ci sembra che la tua nuova attività possa perfettamente essere considerata come “prestazione occasionale”. Ai fini fiscali queste attività rientrano fra i cosiddetti redditi diversi (articolo 67, comma 1, lettera I del Tuir – quadro RL della dichiarazione dei redditi) per i quali il lavoratore deve emettere delle semplici ricevute (quietanze), inserendo una marca da bollo da euro 1,81 qualora l’importo superi i 77,47 euro. Su questi compensi va operata una ritenuta del 20% a titolo di acconto Irpef solo nel caso in cui il committente non sia una persona fisica ma per esempio un'impresa. Apriamo il dibattito con quanti condividono la stessa fatica… fiscale e professionale!

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