ANNO 2015 CIRCOLARE NUMERO 1 Le Circolari della … · assunti con contratto di lavoro subordinato...

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JOBS ACT, ENNESIMO CAMBIO DI REGOLE. VARIERÀ IL RISULTATO? La domanda è sempre la stessa e ricorre insistentemente, anche perché è l'interrogativo più gettonato nel Paese. Ma il Jobs Act porterà nuova occupazione? Dopo avere analizzato le prime disposizioni attuative dare una risposta decisa e definitiva continua ad essere difficile, se non impossibile. È notorio infatti che le buone regole - e qualcuna si ritrova anche in questi provvedimenti - non creino automaticamente occupazione; al contrario delle pessime regole che la distruggono. Di certo c'è che siamo al quarto intervento riformatore in poco più di due anni in un settore nel quale più che le regole lavoristiche manca il terreno su cui innestare l'occupazione. Che, per essere rilanciata, necessita di affiancare alle buone norme sostanziali e corposi interventi sull'economia. D'altronde, è dal lavoro autonomo che nasce quello subordinato e non viceversa. Dalla legge Fornero di luglio 2012, passando per quella firmata Giovannini prima e Poletti poi, si arriva al Jobs Act ma non cambiano i presupposti di base. Le Pmi assumono nuovi dipendenti solo dopo avere acquisito nuovo lavoro e non viceversa. Quindi, fin quando stenterà l'economia stagneranno (se non peggio) i livelli occupazionali. E certo non si potrà parlare di nuovi occupati se l'applicazione del contratto a tutele crescenti - che potrebbe risultare economicamente più conveniente di cocopro e lavoro a termine - porterà alla stabilizzazione di queste figure di lavoratori già occupati. Quelli non potranno essere considerati nuovi posti di lavoro, perché non riguarderanno gli attuali disoccupati. Ma va salutato con positività l'accantonamento (definitivo?) della diversificazione tra imprenditori e professionisti, che ha caratterizzato decine e decine di norme penalizzanti DIPARTIMENTO SCIENTIFICO della FONDAZIONE STUDI Via C. Colombo, 456 00145 Roma (RM) fondazionestudi@consulentidellavoro .it Le Circolari della Fondazione Studi ANNO 201 5 CIRCOLARE NUMERO 1 n.1 del 07.01.2015

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JOBS ACT, ENNESIMO CAMBIO DI REGOLE.VARIERÀ IL RISULTATO?

La domanda è sempre la stessa e ricorreinsistentemente, anche perché è l'interrogativo piùgettonato nel Paese. Ma il Jobs Act porterà nuovaoccupazione?

Dopo avere analizzato le prime disposizioni attuativedare una risposta decisa e definitiva continua adessere difficile, se non impossibile.

È notorio infatti che le buone regole - e qualcuna siritrova anche in questi provvedimenti - non creino

automaticamente occupazione; al contrario dellepessime regole che la distruggono.

Di certo c'è che siamo al quarto intervento riformatorein poco più di due anni in un settore nel quale più chele regole lavoristiche manca il terreno su cui innestarel'occupazione.

Che, per essere rilanciata, necessita di affiancare allebuone norme sostanziali e corposi interventisull'economia.

D'altronde, è dal lavoro autonomo che nasce quellosubordinato e non viceversa. Dalla legge Fornero diluglio 2012, passando per quella firmata Giovanniniprima e Poletti poi, si arriva al Jobs Act ma noncambiano i presupposti di base.

Le Pmi assumono nuovi dipendenti solo dopo avereacquisito nuovo lavoro e non viceversa. Quindi, finquando stenterà l'economia stagneranno (se nonpeggio) i livelli occupazionali. E certo non si potràparlare di nuovi occupati se l'applicazione delcontratto a tutele crescenti - che potrebbe risultare

economicamente più conveniente di cocopro elavoro a termine - porterà alla stabilizzazione di questefigure di lavoratori già occupati. Quelli non potrannoessere considerati nuovi posti di lavoro, perché nonriguarderanno gli attuali disoccupati. Ma va salutatocon positività l'accantonamento (definitivo?) delladiversificazione tra imprenditori e professionisti, che hacaratterizzato decine e decine di norme penalizzanti

DIPARTIMENTO

SCIENTIFICO della

FONDAZIONE STUDI

Via C. Colombo, 456

00145 Roma (RM)

fondazionestudi@consulentidellavoro .it

Le Circolari della Fondazione Studi

ANNO 2015 CIRCOLARE NU MERO 1

n.1 del 07.01.2015

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per gli studi professionali, perennemente esclusi dabenefici e agevolazioni. E sul fronte dell'accesso non sipuò non sottacere che sempre il contratto a tutelecrescenti è quasi più conveniente del contratto diapprendistato; situazione che può determinare ildefinitivo accantonamento di quello che per lungo

tempo è stato il vero (se non l'unico) strumento inmano ai giovani per entrare nel mondo del lavoro.Istituto già indebolito, se non depotenziato, daivariopinti livelli decisionali del nostro Paese. Si delineacosi un sistema sempre più incentrato sul rapporto dilavoro subordinato a tempo indeterminato, che vanella direzione opposta non solo delle esigenze di chil'occupazione la crea; ma anche del volere espressodall'Esecutivo. E il sistema si conferma bloccato suqueste posizioni se si pensa alla vicenda del

coinvolgimento nella schiera dei destinatari dellanorma dei lavoratori pubblici, che secondo dirittosono ricompresi ma che il volere politico sembravolere escludere. Segnale questo in controtendenzacon la necessità che la P.A sia più produttiva e menocostosa. Si perde cosi l'occasione di dare alle nuovegenerazioni un segnale che va nella direzionedell'etica e dell'efficienza, caratteristiche che invece sirinvengono nel positivo riequilibrio della previstadimensione dell'indennizzo. Per rispondere

positivamente all'interrogativo iniziale si dovrannodunque attendere i tanto auspicati interventi asostegno dell'economia, preparandoci per ora adassistere alla mera stabilizzazione di lavoratori giàoccupati. Con il costo del lavoro che continua adessere elevatissimo ed insostenibile per le aziende,onere non ridotto dai benefici del contratto a tutelecrescenti vista la gravissima dipartita della legge407/90. Una norma soppressa con troppa fretta e i cuieffetti negativi si ripercuoteranno ben presto sui livelli

occupazionali. Che necessitano di condizioni strutturalicompletamente diverse per essere innalzati, ondeevitare il trito rituale di rapporti di lavoro agevolati checessano con il venir meno delle agevolazioni.

Rosario De Luca

Presidente Fondazione Studi

Consulenti del Lavoro

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IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

PROFILI GIURIDICI ED ECONOMICI

1.Premessa

Il 24 dicembre scorso è stato approvato lo schema didecreto legislativo (in seguito “decreto”) in attuazione

della legge n. 183/2014 che dispone la delega alGoverno in materia di riforma degli ammortizzatorisociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive,nonché in materia di riordino della disciplina deirapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela econciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

In particolare, la legge delega n. 183/2014, all’art. 1comma 7 lett. c) stabilisce che l’attività legislativa delGoverno dovrà essere ispirata alle seguenti direttive:“previsione, per le nuove assunzioni, del contratto atempo indeterminato a tutele crescenti in relazioneall'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamentieconomici la possibilità della reintegrazione dellavoratore nel posto di lavoro, prevedendo unindennizzo economico certo e crescente conl'anzianità di servizio e limitando il diritto alla

reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e aspecifiche fattispecie di licenziamento disciplinareingiustificato, nonché prevedendo termini certi perl'impugnazione del licenziamento”.

Il decreto introduce una specifica disciplina sulle

conseguenze per il datore di lavoro nel caso in cuiponga in essere un licenziamento illegittimo; siconsidera tale il licenziamento nullo perchédiscriminatorio, o per altre cause di nullità previstedalla legge, oppure quando risulti accertato dalGiudice che non ricorrono gli estremi dellicenziamento per giustificato motivo oggettivo,soggettivo o giusta causa.

Resta evidente che, laddove in base ad unavalutazione di proporzionalità accertata dal Giudice,sia riscontrata la legittimità del licenziamento, nessunareintegrazione o indennità è dovuta al lavoratore.

Inoltre, l’obiettivo del decreto è quello di regolare inmodo completo la materia dei licenziamenti – siaeconomici che disciplinari – per i soggetti assunti atempo indeterminato dopo l’entrata in vigore deldecreto, ponendo quindi una disciplina alternativaall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che per essi nontroverà più applicazione.

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Si tratta, dunque, di una disciplina parallela che siritiene legittima sul piano Costituzionale e che neltempo troverà applicazione per la generalità deilavoratori dipendenti.

2. Ambito di applicazione

Il decreto trova applicazione per i lavoratori cherivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri,assunti con contratto di lavoro subordinato a tempoindeterminato a decorrere dalla sua data di entrata invigore presumibilmente individuabile nei primi giorni difebbraio 2015, al termine dell’iter stabilito dalla leggedelega n. 183/2014.

Restano, dunque, esclusi i rapporti a tempodeterminato cui resta applicabile la disciplinagiurisprudenziale in caso di recesso anticipato che si èformata sull’applicazione dell’art. 2119 c.c.. Sonoaltresì esclusi dal decreto i rapporti con qualificadirigenziale cui si applica la tutela contrattuale diriferimento e l’art. 18, comma 1 dello Statuto.

La tendenza espansiva e universale del nuovo regimeè in ogni caso confermata dal fatto che essa trovaapplicazione anche per le aziende che operano intutela obbligatoria (cioè 15 dipendenti nell’unitàproduttiva in ambito comunale, ovvero 60 dipendenti

complessivamente), nonché per le stesse aziendeche, mediante nuove assunzioni, supereranno lapredetta soglia della tutela reale, in quanto ad essenon si applicherà più l’art. 18 dello Statuto deilavoratori (art. 9 del decreto, infra par. 7).

In relazione ai contenuti del decreto e in base ad unainterpretazione sistematica, la nuova disciplina si deve

ritenere applicabile anche ai dipendenti del pubblicoimpiego.

La circostanza che il decreto sulle tutele crescenti nonprevede una specifica esclusione dei dipendentipubblici consente la piena efficacia dell’art. 2,comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 (testo unico per ilpubblico impiego) il quale opera un rinvio generalealle leggi sui rapporti di lavoro privati (salvo che vi sia

una specifica disciplina della materia per il settorepubblico). Lo stesso d.lgs. n. 165/2001, in altra parte deltesto (art. 51, comma 2), conferma tale impostazionestabilendo che “la legge 20 maggio 1970, n. 300 esuccessive modificazioni ed integrazioni, si applica allepubbliche amministrazioni a prescindere dal numerodei dipendenti”.

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Da un punto di vista sistematico, la stessa disciplina

dei licenziamenti contenuta nella Riforma Fornero (l. n.92/2012), ove si prevedeva la necessità di una“armonizzazione” tra settore pubblico e settoreprivato, (art. 1, commi 7 e 8 “7. Le disposizioni dellapresente legge, per quanto da esse nonespressamente previsto, costituiscono principi ecriteri per la regolazione dei rapporti di lavoro deidipendenti delle pubbliche amministrazioni di cuiall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30

marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incoerenza con quanto disposto dall'articolo 2, comma2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme leprevisioni di cui all'articolo 3 del medesimo decretolegislativo.

8. Al fine dell'applicazione del comma 7 il Ministroper la pubblica amministrazione e lasemplificazione, sentite le organizzazioni sindacalimaggiormente rappresentative dei dipendenti delleamministrazioni pubbliche, individua e definisce,anche mediante iniziative normative, gli ambiti, lemodalità e i tempi di armonizzazione della disciplinarelativa ai dipendenti delle amministrazionipubbliche”) è stata invece ritenuta direttamenteapplicabile anche al settore pubblico proprio in virtù

del rinvio mobile operato dall’art. 51, comma 2, deld.lgs. n. 165/2001 (così la giurisprudenza nettamentemaggioritaria: v., tra le molte, Trib. Perugia 9 novembre2012, Trib. Ancona 13 gennaio 2013; Trib. Santa MariaCapua Vetere 2 aprile 2013, in Lav. giur., n. 6/2013, p.624).

Resta evidente che laddove la volontà del Governosia quella di escludere i pubblici dipendentidall’ambito di applicazione del decreto, sarànecessario introdurre una specifica previsione diesclusione.

Infine, il decreto trova applicazione anche per ilavoratori già assunti in azienda prima dell’entrata invigore del decreto e che successivamente a tale dataavviino un nuovo rapporto presso una nuova aziendacon soluzione di continuità.

E’ possibile inoltre, che per lo stesso lavoratore si possaapplicare il doppio regime di tutela (articolo 18 e delnuovo decreto) come, ad esempio, nel caso in cui illavoratore abbia due rapporti part-time a tempoindeterminato di cui uno avviato con le tutelecrescenti.

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3. Licenziamenti nulli e applicazione dell’opting outunilaterale.

L’art. 2, comma 1 del decreto stabilisce che “Ilgiudice, con la pronuncia con la quale dichiara lanullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero

riconducibile agli altri casi di nullità espressamenteprevisti dalla legge, ordina al datore di lavoro,imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione dellavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dalmotivo formalmente addotto”.

Se si escludono alcune variazioni di stile oterminologiche, l’art. 2 del decreto è sostanzialmenteriproduttivo dei primi tre commi dell’art. 18 delloStatuto dei lavoratori, così come attualmente in vigoreper effetto della riforma operata dalla legge n.92/2012, e come tale conferma quel regime di tutelareintegratoria piena quale reazione dell’ordinamentodi fronte a licenziamenti la cui illegittimità attinge adiritti che secondo il legislatore appaiono degni difondamentale attenzione e garanzia.

Il legislatore delegato conferma così, nell’ambito diquesto specifico regime di tutela per il caso dilicenziamento illegittimo, il compito assegnato algiudice di dichiarare la nullità del licenziamento e diordinare al datore di lavoro la reintegrazione del

lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dalmotivo formalmente addotto, con l’integralerisarcimento del danno patito.

A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto dilavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia

ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datoredi lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennitàdi cui al terzo comma dello stesso articolo 2.

Così come i primi tre commi dell’art. 18 dello Statuto,questo regime si applica indipendentemente dalla

natura imprenditoriale del datore di lavoro ed aprescindere dalle dimensioni aziendali.

Da osservare come il legislatore delegato ha adottatoil termine “pronuncia” sostituendolo alla “sentenza”contenuta nell’art. 18 dello Statuto, per indicare ilprovvedimento del giudice dal quale scaturiscono

effetti e termini conseguenti alla dichiarata illiceità dellicenziamento.

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3.1 Il licenziamento nullo perché discriminatorio

Nel testo del decreto manca uno specifico rinvioall’art. 3 della legge n. 108/90 che ha introdotto ilregime di tutela reale per il licenziamentodiscriminatorio indipendentemente dal requisitodimensionale del datore di lavoro.

La omissione può ritenersi riconducibile alla recente esempre più diffusa accezione del caratterediscriminatorio del licenziamento come nonnecessariamente legata ad una prescrizione legale

tassativa, bensì risultante dalla complessiva evoluzionedella disciplina in materia, così da garantire unamaggiore adesione alla realtà sociale effettiva, infunzione della attualità ed efficacia concreta dellanorma stessa, resa sensibile alla evoluzione dell’interoordinamento.

A questa fattispecie sono perciò riconducibili tutti queicasi in cui il licenziamento si verifichi essere statodeterminato da motivi di natura politica, razziale, dilingua, sesso, handicap, età, orientamento sessuale econvinzioni personali (art. 15, legge n. 300/1970).

3.2 Altri licenziamenti nulli

L’art. 2 del decreto stabilisce che il Giudice dichiari lanullità del licenziamento perché discriminatorio“ovvero riconducibile agli altri casi di nullitàespressamente previsti dalla legge”.

L’introduzione dell’avverbio “espressamente” non puòportare a ritenere che la norma voglia operare unarestrizione delle fattispecie che diano diritto allareintegrazione rispetto all’attuale previsione.

D’altronde proprio l’art. 18 dello Statuto, che è normavigente, elenca in modo puntuale (e dunque“espressamente”) le ipotesi di nullità e pertanto adesse occorre fare riferimento.

Appartiene inoltre all’ampia categoria deilicenziamenti nulli, per espressa previsione di legge,anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia,quando costituisce l’ingiusta ed arbitraria reazione,quale unica ragione del provvedimento espulsivo,essenzialmente quindi di natura vendicativa.

Così come pure per il licenziamento discriminatorio,l’intento ritorsivo, la sua esclusività quale fondamentodella motivazione del licenziamento, devono essereprovati dal lavoratore, con la dimostrazione dielementi specifici, tali da far ritenere con sufficientecertezza l’intento di rappresaglia, il quale deve averavuto efficacia determinativa, esclusiva della volontà

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del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fattirilevanti ai fini della configurazione del provvedimentoillegittimo.

Quando il licenziamento è concomitante con ilmatrimonio, ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 198/2006, è

nullo. Il regime si applica dunque a quei licenziamentiattuati a causa del matrimonio (comma 2), o irrogatinel periodo intercorrente dal giorno della richiestadelle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo lacelebrazione (comma 3) del matrimonio, salvo che ildatore non provi la sussistenza di una giusta causa, lacessazione dell’attività aziendale o lo spirare deltermine del rapporto (comma 5).

È altresì nullo e perciò riconducibile nell’ambito indiscorso, per effetto dei divieti di cui all’art. 54, d.lgs. n.151/2001, il licenziamento dall’inizio del periodo digravidanza fino al compimento di un anno di età delbambino (comma 1); quello causato dalla domandao dalla fruizione del congedo parentale e per malattiadel bambino da parte del genitore (comma 6);

irrogato in caso di fruizione del congedo di paternitàex art. 28 (comma 7), anche in caso di adozione oaffidamento (comma 9).

3.3 Il licenziamento orale.

L’art. 2 estende gli effetti del regime di nullità anche allicenziamento inefficace in quanto intimato in formaorale. La forma scritta è il requisito minimo di rilievogiuridico che il nostro ordinamento richiede perl’efficacia del licenziamento, pertanto l’omissione ditale adempimento minimo comporta l’inefficaciairreparabile del provvedimento espulsivo, che è perciònullo ed improduttivo di effetti, a prescindere daqualsiasi altra valutazione di merito.

3.4 Il risarcimento del danno

Alla pronuncia dichiarativa della nullità dellicenziamento, il legislatore fa discendere una tutelarisarcitoria che, come già premesso, è del tuttoidentica alla tutela reintegratoria piena di cui all’art.18 dello Statuto dei lavoratori.

La scelta legislativa, che qui risulta confermata, deveriferirsi alla ritenuta alta lesività dei diritti della personache proviene dalle ragioni cagionanti la illegittimità enullità del licenziamento, tale che appare necessario ilristoro integrale della posizione giuridica lesa dal

provvedimento espulsivo perché del tutto ingiustificatoe perciò nullo.

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Accertata dunque la nullità e l’inefficacia dellicenziamento, il giudice è chiamato a condannare ildatore di lavoro al risarcimento del danno subìto dallavoratore, stabilendo a tal fine un'indennitàcommisurata all'ultima retribuzione globale di fattomaturata dal giorno del licenziamento sino a quellodell'effettiva reintegrazione, maggiorata degli interessie della rivalutazione monetaria, dedotto quantopercepito, nel periodo di estromissione, per losvolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde

perceptum, principio di risalente e diffusaapplicazione giurisprudenziale, trasfuso in norma perla prima volta dalla l. n. 92/2012 e qui confermato). In

ogni caso la misura del risarcimento non potrà essereinferiore a cinque mensilità della retribuzione globaledi fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per ilmedesimo periodo, al versamento dei contributiprevidenziali e assistenziali.

3.5 Opting out unilaterale

L’art. 2, comma 3 stabilisce che “fermo restando ildiritto al risarcimento del danno come previsto alsecondo comma, al lavoratore è data la facoltà dichiedere al datore di lavoro, in sostituzione dellareintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a

quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale difatto, la cui richiesta determina la risoluzione delrapporto di lavoro, e che non è assoggettata acontribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennitàdeve essere effettuata entro trenta giorni dallacomunicazione del deposito della pronuncia, odall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, seanteriore alla predetta comunicazione”.

In passato, era già concessa al lavoratore soggettoalla tutela reale, l’opzione alternativa allaconservazione del posto di lavoro, costituita da unaindennità che si aggiunge al risarcimento del dannostabilito dal giudice.

È quella che oggi per effetto del premesso neologismoè detta “opting out” unilaterale, in quanto è un dirittoil cui esercizio è riconosciuto in via esclusiva in capo allavoratore, mentre al datore è negata identicafacoltà.

Il capoverso riproduce nella sostanza il diritto allaindennità sostitutiva della reintegrazione riconosciutoal lavoratore già dalla normativa vigente. Nel ribadirela natura esclusivamente indennitaria, edescludendone quella retributiva della indennitàalternativa delle quindici mensilità, la norma confermala non assoggettabilità dell’importo a contribuzione

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previdenziale e fissa nel momento della richiestaquello della risoluzione del rapporto di lavoro.L’indicazione espressa della norma conferma ilsuperamento dell’orientamento giurisprudenziale chesubordinava, invece, la cessazione degli obblighiincombenti sul datore di lavoro in conseguenza delladeclaratoria di illegittimità del licenziamento, nontanto alla dichiarazione, quanto al momentodell’effettivo pagamento dell’indennità. Pertanto,prevedendo l’articolo la risoluzione del rapporto di

lavoro al momento della richiesta, è da ritenersi cheda tale momento non debba essere più maturatal’indennità risarcitoria. La richiesta dell'indennitàsostitutiva deve essere effettuata entro trenta giornidalla comunicazione del deposito della pronuncia odall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, seanteriore alla predetta comunicazione. Trattasi ditermine avente natura perentoria, il mancato rispettodel quale determina la decadenza.

4. Il licenziamento disciplinare

Per quanto concerne il licenziamento disciplinareingiustificato, cioè non supportato da giusta causa egiustificato motivo soggettivo, il legislatore sceglie lastrada di privilegiare la tutela indennitaria rispetto a

quella reintegratoria, optando, tuttavia, per unadecorrenza della nuova normativa a partire dalleassunzioni successive alla data di entrata in vigore deldecreto.

L’art. 3 comma 1 del decreto prevede una tutela

esclusivamente risarcitoria nell’ipotesi in cui risultiaccertato che non ricorrono gli estremi dellicenziamento per giustificato motivo soggettivo odella giusta causa.

Si ritiene che vadano ricomprese in tale ambito quelle

ipotesi di licenziamenti che si caratterizzano per unasostanziale sproporzione tra il fatto accertato e lasanzione applicata.

Laddove, dunque, il fatto materiale sia accertato, mala reazione del datore di lavoro sia ritenuta eccessivava applicato il comma 1 dell’art. 3, secondo il quale il

giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla datadel licenziamento e condanna il datore di lavoro alpagamento di un'indennità risarcitoria (vedi infra par.6).

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La scelta del legislatore raggiunge lo scopo dieliminare la discrezionalità del giudice rispetto allaquantificazione del risarcimento, mantenendo, invece,tale discrezionalità in tutta la sua pienezza circa laproporzionalità o meno del licenziamento irrogato.

4.1 L’insussistenza del fatto materiale

La Corte di Cassazione con la Sentenza del 6novembre 2014, n. 23669 ha tenuto distinta dal fattomateriale la sua qualificazione come giusta causa ogiustificato motivo, imponendo, pertanto, unadistinzione tra l'esistenza del fatto materiale e la suaqualificazione. Secondo la Suprema Corte lareintegrazione si realizza in relazione alla verifica dellasussistenza/insussistenza del fatto materiale posto a

fondamento del licenziamento, così che tale verifica sirisolve e sì esaurisce nell'accertamento, positivo onegativo, dello stesso fatto, che dovrà esserecondotto senza margini per valutazioni discrezionali.Con la conseguenza che esula dalla fattispecie che èalla base della reintegrazione ogni valutazioneattinente al profilo della proporzionalità della sanzionerispetto alla gravità del comportamento addebitato.

Il decreto raccoglie l’indirizzo della Cassazione e lodeclina nel comma 2 dell’art. 3, fissando il principiosecondo cui la tutela reintegratoria deve riconoscersiesclusivamente nelle ipotesi di licenziamento pergiustificato motivo soggettivo o per giusta causa, incui sia direttamente dimostrata in giudiziol'insussistenza del fatto materiale contestato al

lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ognivalutazione circa la sproporzione del licenziamento.

Pertanto, la dimostrata insussistenza del fatto materialeoggetto di contestazione determina l’illegittimità dellicenziamento, essendo, all’uopo, del tutto ininfluente

un giudizio di proporzionalità, atteso che perquest’ultimo sarebbe comunque necessaria lasussistenza del fatto materiale.

Inoltre, la nuova norma elimina totalmente il rimandoalle tipizzazioni individuate dalla contrattazionecollettiva.

In effetti, la scelta di eliminare la valutazione in meritoalla proporzionalità del licenziamento può destarequalche perplessità in riferimento a quelle situazioninelle quali, seppur sussistente, il fatto materiale risultiessere comunque di nessuna o di lieve dannosità nel

contesto aziendale. Infatti, l’individuazione della giustacausa o del giustificato motivo soggettivo richiedonosempre un giudizio di valore, che in uno sviluppo

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corretto del procedimento logico giuridico non puòmai prescindere da un giudizio di proporzionalità.

Sembra opportuno soffermare, ulteriormente,l’attenzione sul significato del passaggio normativo incui riconosce la tutela reintegratoria solo alle ipotesi di

licenziamento per giustificato motivo soggettivo o pergiusta causa in cui sia “direttamente” dimostrata ingiudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato allavoratore, rispetto alla quale “resta estranea ognivalutazione circa la sproporzione del licenziamento”.

Va, da subito, sottolineato che rimane in capo aldatore di lavoro l’onere di provare la sussistenza dellalegittimità del licenziamento e, quindi, dellasussistenza del fatto materiale, a prescinderedall’elemento soggettivo.

La condotta del lavoratore va, dunque, valutatasoltanto nella sua dimensione oggettiva.

La norma, inoltre, sembra introdurre un nuovo ambitoprocessuale laddove, richiedendo che l’insussistenzadel fatto materiale venga dimostrata direttamente in

giudizio, sembra volere caricare la posizione delricorrente lavoratore di un gravità probatoriaimportante, a tal punto da limitare in qualche modo glistessi poteri istruttori del giudice di cui all’art. 421c.p.c. .

Risulta in modo chiaro l’intenzione legislativa di limitarela discrezionalità interpretativa della giurisprudenza. Illavoratore, al fine di ottenere la tutela reintegratoria,non potrà limitarsi ad una contestazione generica delfatto addebitato, dovendo, invece, argomentare edimostrare direttamente in giudizio, utilizzando,pertanto, gli strumenti probatori previsti dal processo(documenti, testimonianze ecc.) la insussistenza delfatto medesimo.

Ebbene, in caso di insussistenza del fatto materiale, inbase alla nuova normativa, il giudice annulla illicenziamento e condanna il datore di lavoro allareintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e alpagamento di un'indennità risarcitoria commisurataall'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno dellicenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione

(indennità, assoggettata a contributi previdenziali edassistenziali, che non può essere superiore a dodicimensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto).

Quindi, considerata la maggiore gravità dellafattispecie di cui al comma 2 (insussistenza del fatto

materiale) rispetto a quella del comma 1 dell’art. 3(sussistenza del fatto materiale, ma con difetto di

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proporzionalità), al lavoratore viene riconosciuto undoppio ristoro: a) il risarcimento; b) la reintegra.

In ogni caso è prevista la deduzione d’ufficio da partedel giudice:

- di quanto il lavoratore abbia percepito per losvolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliundeperceptum), tra cui va certamente esclusa ognisomma che il lavoratore abbia percepito a titolodiverso quale ad es. l’aspi;

- di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire(c.d. aliunde percipiendum) accettando una congruaofferta di lavoro.

Sul punto si ritiene che il Giudice possa acquisired’ufficio, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., dagli entiprevidenziali e del collocamento preposti, tutta ladocumentazione ritenuta necessaria per laquantificazione sia dell’aliunde perceptum siadell’aliunde percipiendum.

Infine, il comma 2 dell’art. 3 attribuisce al lavoratore lafacoltà di monetizzare la reintegra così come previstodall’articolo 2, comma 3 del decreto.

Infatti, in sostituzione della reintegrazione nel posto dilavoro, al lavoratore viene data la facoltà di chiedereun'indennità pari a quindici mensilità dell'ultimaretribuzione globale di fatto (infra 3.5).

4.2 Il pagamento dei contributi previdenziali

Nel nuovo testo normativo il legislatore si limita adindicare che il datore di lavoro è condannato, altresì,al versamento dei contributi previdenziali e assistenzialidal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettivareintegrazione. Tale formulazione risulta del tuttoriduttiva rispetto a quanto previsto dall’art. 18, comma4, della legge 300/1970. In questo ultimo caso il datoredi lavoro è condannato, altresì, al versamento dei

contributi previdenziali e assistenziali dal giorno dellicenziamento fino a quello della effettivareintegrazione, maggiorati degli interessi nellamisura legale senza applicazione di sanzioni peromessa o ritardata contribuzione, per un importopari al differenziale contributivo esistente tra lacontribuzione che sarebbe stata maturata nelrapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamentoe quella accreditata al lavoratore in conseguenzadello svolgimento di altre attività lavorative. In buonasostanza, dalla lettura della nuova norma, in

mancanza di altra indicazione, non si evince qualedebba essere il regime sanzionatorio applicabile sui

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contributi previdenziali e se questi ultimi debbanocomunque essere considerati in una logica didifferenziale contributivo, allorquando il lavoratoreabbia svolto altra attività lavorativa durante il temposuccessivo alla reintegra.

5. Il licenziamento economico

L’art. 3 del decreto stabilisce che se il licenziamentoper giustificato motivo oggettivo è illegittimo “ilgiudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla datadel licenziamento e condanna il datore di lavoro alpagamento di un’indennità non assoggettata acontribuzione previdenziale di importo pari a duemensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto perogni anno di servizio, in misura comunque non inferiorea quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”.

Come era avvenuto con la legge n. 92/2012 illegislatore non tocca i presupposti sostanziali dellicenziamento per giustificato motivo oggettivo, chedunque rimangono quelli di sempre: la sussistenza

della ragione produttiva e organizzativa (art. 3 l. n.604/1966) e il nesso di causalità di tale ragione con laposizione soppressa; il c.d. repechage; l’eventualeapplicazione dei criteri di scelta.

Viene invece modificato l’apparato sanzionatorio incaso di licenziamento economico illegittimo.

Prima della legge n. 92/2012 nelle realtà c.d. “grandi”

ove si applica l’art. 18 Statuto dei lavoratori (cioè leaziende sopra i 60 dipendenti, e le unità produttivesopra i 15 dipendenti in ambito comunale) la

conseguenza del licenziamento economico illegittimoera sempre l’applicazione del “vecchio” art. 18, cioèl’inefficacia del licenziamento ed una indennitàrisarcitoria pari a tutte le retribuzioni per il periodo nonlavorato, oltre alla reintegrazione in servizio (sostituibiledal lavoratore con 15 mensilità: c.d. opting outunilaterale).

Dopo la legge n. 92, invece, si è determinato un

doppio regime sanzionatorio: se il fatto posto a basedel recesso è “manifestamente insussistente” siapplica una versione attenuata del vecchio art. 18,con la reintegrazione (salvo l’opting out dellavoratore) e l’indennità risarcitoria contenuta in unmassimo di 12 mensilità, mentre in tutti gli altri casi ilrapporto si interrompe ed il dipendente ha dirittosoltanto ad una indennità che va da 12 a 24 mensilità(a scelta del giudice in base ai criteri legali).

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Tale regime introdotto dalla legge n. 92/2014 è ancorain vigore e resterà tale per i lavoratori delle aziende“grandi” assunti prima dell’entrata in vigore deldecreto in commento.

Viceversa, per i lavoratori assunti dopo l’entrata invigore del decreto si applica il nuovo regime delletutele crescenti.

5.1 Il licenziamento collettivo.

In caso di licenziamento collettivo (artt. 4, 5 e 24 della

l. n. 223/1991), per i lavoratori assunti dopo l’entrata invigore del decreto sulle tutele crescenti, sia laviolazione della procedura (art. 4), che dei criteri discelta (art. 5), comporta l’applicazione del nuovoregime e non dell’art. 18 Statuto dei lavoratori.

Tale previsione non modifica la procedura in sedesindacale, ed eventualmente amministrativa, previstadalla legge per il licenziamento collettivo, né le regoleafferenti ai criteri di scelta.

Sul piano delle conseguenze, essa distingue tra

lavoratori assunti prima della entrata in vigore deldecreto e lavoratori assunti dopo, come avviene delresto anche per i licenziamenti individuali.

D’altro canto, la reintegrazione non è un istitutoimposto dalla nostra Costituzione (Corte Cost. 7

febbraio 2000, n. 46) e rientra nella discrezionalità dellegislatore: infatti la distinzione tra lavoratori con tutelaforte (reintegrazione) e tutela debole (indennità) è dasempre presente nel nostro ordinamento – ad esempio– in base alla dimensione dell’unità produttiva (anchedella medesima azienda), alla natura del datore dilavoro (organizzazione di tendenza o no), alla naturadel rapporto (in prova, dirigenziale, etc.).

E’ stato costante il dibattito circa l’inserimento o menodei licenziamenti collettivi nell’ambito di applicazionedel decreto in commento. La scelta del legislatore èstata quella di estendere senza riserve il nuove regimesanzionatorio anche alla ipotesi di licenziamentocollettivo. Se si fosse giunti ad una conclusione diversa,al lavoratore nuovo assunto licenziato individualmenteavrebbe trovato applicazione il nuovo regime del

decreto; al lavoratore nuovo assunto licenziatonell’ambito di una procedura collettiva, avrebbetrovato applicazione l’articolo 18 dello Statuto.

Un eventuale ripensamento in tal senso potrebbeporre un problema di legittimità del decreto rispettoalla delega.

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Infatti, l’art. 1, comma 7, lett. c) della legge n.183/2014 (legge delega) detta i casi puntuali direintegrazione “limitando il diritto ….. ai licenziamentinulli e discriminatori e a specifiche fattispecie dilicenziamento disciplinare ingiustificato”. La delegainoltre introduce ulteriori disposizioni puntuali“escludendo per i licenziamenti economici lapossibilità' della reintegrazione del lavoratore nel postodi lavoro”.

6 L’indennità risarcitoria

Nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivooggettivo, soggettivo o giusta causa, dia luogo alriconoscimento di una indennità risarcitoria il giudicedichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del

licenziamento e condanna il datore di lavoro alpagamento di un'indennità di importo pari a duemensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto perogni anno di servizio, in misura comunque non inferiorea quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

Ciò significa che l’importo dell’indennità giudiziale è di4 mensilità fino al termine del secondo anno di servizio,per poi crescere di 2 mensilità ogni anno fino aldodicesimo anno.

Il parametro delle due mensilità per ogni anno di

servizio garantisce un indennizzo economico certo ecrescente con l'anzianità di servizio.

Essa, inoltre, non è assoggettata a contribuzioneprevidenziale come già previsto per le indennitàdell’art. 18 post riforma Fornero (da 12 a 24 mensilità

per il recesso ingiustificato, nonché da 6 a 12 mensilitàper i vizi formali), della tutela obbligatoria di cui alla l.n. 604/1966 (da 2,5 a 6 mensilità) e del contratto atermine di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010(da 2,5 a 12 mensilità).

La norma esclude l’indennizzo soltanto dallacontribuzione previdenziale, lasciando, pertanto,l’obbligo di applicazione delle ritenute fiscali.

La misura dell’indennità è pari all’ultima retribuzioneglobale di fatto percepita dal lavoratore, la qualecomprende tutti gli elementi retributivi salvo quellioccasionali od eccezionali, con conseguentecomputabilità – ad esempio – dei compensi per lavorostraordinario continuativo, dell’indennità di turno, delpremio di produzione, dell’indennità di mensa, etc.

(Cass. 4 ottobre 2011, n. 20266; Cass. 16 settembre2009, n. 19956; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3787).

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Inoltre – fatto salvo il limite minimo di 4 e quellomassimo di 24 mensilità – l’art. 8 del decreto stabilisceche per le frazioni di anno l’indennità in questione èriproporzionata in base ai mesi lavorati, mentre lefrazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni sicomputano come mese intero.

7 Le tutele crescenti nelle piccole aziende

Nelle aziende con unità produttive fino a 15dipendenti in ambito comunale (e sotto i 60dipendenti complessivamente), per i lavoratori assuntia tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore deldecreto non si applica più la legge n. 604/1966 (c.d.tutela obbligatoria) ma un regime di tutele crescentidimezzato rispetto agli altri lavoratori, con esclusione

della reintegra nelle ipotesi di insussistenza del fattomateriale (art. 9, comma 1 del decreto).

In particolare, il licenziamento ingiustificato – siaeconomico che disciplinare – estingue (come sempre)il rapporto di lavoro ed il lavoratore ha diritto ad una

indennità pari ad una mensilità dell’ultima retribuzioneglobale di fatto per ogni anno di servizio, con unminimo di 2 ed un massimo di 6 mensilità. Ciò significache l’importo dell’indennità giudiziale è di 2 mensilitàfino al termine del secondo anno di servizio, per poicrescere di una mensilità ogni anno fino al sesto annodi servizio.

Ne consegue che rispetto alla legge n. 604/1966l’indennità risarcitoria minima passa da 2,5 mensilità a2 mensilità.

8 La nuova conciliazione volontaria

L’art. 6 del decreto prevede una nuova ipotesi diconciliazione volontaria per risolvere in via

stragiudiziale le controversie sui licenziamenti ai quali siapplicano le tutele crescenti.

Il datore di lavoro può offrire al lavoratore entro itermini di impugnazione stragiudiziale dellicenziamento (60 giorni dalla ricezione del recesso) unimporto pari a una mensilità dell’ultima retribuzioneglobale di fatto per ogni anno di servizio, in misuracomunque non inferiore a 2 e non superiore a 18mensilità. Nelle aziende piccole, invece, l’importo chepuò offrire il datore di lavoro è pari a mezza mensilitàper ogni anno di servizio, in misura comunque noninferiore a una e non superiore a 6 mensilità (art. 9,comma 1, del decreto).

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Il pagamento deve avvenire mediante “consegna” allavoratore di un assegno circolare al momento dellaconciliazione.

La conciliazione deve avvenire necessariamente inuna delle classiche sedi assistite di cui all’art. 2113,

comma 4, cod. civ., ovvero presso le commissioni dicertificazione ex art. 82, comma 1, del D.Lgs. n.276/2003.

L’avvenuta conciliazione comporta ex legel’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e

la rinunzia alla impugnazione del licenziamento anchese il lavoratore l’ha già proposta. Naturalmente – salvoche non vi rinunzi espressamente – rimane viva lapossibilità per il lavoratore di far valere ogni altrapretesa nei confronti del datore di lavoro (ad es.,differenze retributive, inquadramento, risarcimentodanni, etc.).

Tale tipologia di conciliazione determinal’applicazione di alcuni benefici previsti dalla legge: inparticolare, l’importo corrisposto non costituiscereddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito dellepersone fisiche e non è assoggettato a contribuzioneprevidenziale. Se le parti vogliono godere di talibenefici, si deve ritenere che non possano discostarsidalle modalità stabilite per legge e cioè: il luogo della

conciliazione (le sedi assistite), il tempo della proposta(60 gg. dal licenziamento), l’entità dell’importo offerto(una mensilità per ogni anno di servizio, con un minimodi 2 ed un massimo di 18), le modalità del pagamento(assegno circolare consegnato al momento dellaconciliazione), il titolo della rinunzia (la rinuncia allaimpugnazione del licenziamento).

A tale ultimo riguardo la norma si presta a due profili dicriticità.

Il primo, riguarda proprio la possibilità di raggiungere

un accordo transattivo anche per controversie ulterioririspetto alla impugnazione di licenziamento. Comesopra indicato si ritiene che tale possibilità siaammessa anche in considerazione del fatto che ilprimo comma dell’art. 6 del decreto fa salva “ lapossibilità per le parti di addivenire a ogni altramodalità di conciliazione prevista dalla legge”.

Per poter conciliare controversi diversedall’impugnazione del licenziamento (esempio,differenze retributive), si ritiene che la norma nonimponga un distinto accordo transattivo redatto nellastesse sede di conciliazione ma è sufficiente che nellostesso atto si tengano distinti i titoli e le sommecorrisposte. Questa soluzione semplifica il processo di

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conciliazione e risulterebbe in linea con quantostabilito dalla legge.

Tuttavia, si ritiene che l’esenzione fiscale e contributivapossa essere beneficiata solo sulle somme che sonocorrisposte a titolo di rinunzia alla impugnazione del

licenziamento, restando ferme le ordinarie regolefiscali e contributive qualora l’azienda dovessecorrispondere ulteriori somme per rinunzie diverse daquelle previste dall’art. 6 del decreto.

Il secondo, riguarda le modalità di pagamento. Infatti,

è verosimile immaginare che nella sede diconciliazione si realizzi una negoziazione delleretribuzioni offerte dal datore di lavoro e ciò risulteràincompatibile con la modalità di predisposizione e di“consegna” dell’assegno circolare (salvo chel’accordo economico non sia raggiunto dalle partipreventivamente alla convocazione). Questocomporterà inevitabilmente un aggravio dell’iterburocratico di conciliazione sia per le parti cheintendono conciliare sia per la stessa commissione di

conciliazione. Su questo aspetto si auspica unamodifica del testo prima della sua pubblicazione ingazzetta ufficiale.

9 Le organizzazioni di tendenza

Sino alla entrata in vigore del decreto le c.d.organizzazioni di tendenza, costituite dai “datori dilavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucroattività di natura politica, sindacale, culturale, diistruzione ovvero di religione o di culto”, sono rimasteescluse dall’art. 18 Statuto dei lavoratori, in virtùdell’art. 4, comma 1, l. n. 108/1990, trovando per esseapplicazione sempre la tutela obbligatoria di cui allalegge n. 604/1966.

Viceversa, la nuova disciplina prevede che anche perle organizzazioni di tendenza i licenziamenti deilavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del decretosiano regolati secondo la disciplina delle tutelecrescenti, come per ogni altro datore di lavoro.

10 I vizi formali e procedurali

Nel caso in cui il licenziamento sia viziato permancanza della motivazione (art. 2, comma 2, l. n.604/1966) ovvero per violazione della proceduradisciplinare (art. 7 Statuto dei lavoratori), il rapporto dilavoro si estingue ma il lavoratore ha diritto ad una

indennità pari ad una mensilità dell’ultima retribuzioneglobale di fatto per ogni anno di servizio, in misura

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comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12mensilità. Anche tale indennità è dimezzata sel’azienda è nell’area della tutela obbligatoria, con unminimo di una ed un massimo di 6 mensilità, semprecon esclusione della contribuzione previdenziale.

Se il licenziamento in questione è anche nullo oingiustificato, non scatta la sanzione per il vizio diforma ma le tutele previste dal decreto per taliviolazioni.

Infine, il decreto non si occupa della procedura

preventiva ex art. 7 della l. n. 604/1966 poiché taleprocedura non si applica ai casi di licenziamento atutele crescenti.

11 Rito applicabile

In base all’art. 12 del decreto, per i licenziamentiregolati dalle tutele screscenti – essendo escluso l’art.18 Statuto dei lavoratori – non trova applicazione ilc.d. rito Fornero disciplinato dalle disposizioni di cui allal. n. 92/2012 (art. 1, commi da 48 a 68), bensì le regoledel rito ordinario del lavoro (art. 409 ss. c.p.c.).

12 Profili economici del contratto a tutele crescenti

Analizzati i profili giuridici del contratto a tutelecrescenti in conseguenza ad un illecito licenziamento,è possibile analizzare i vantaggi economici che sonoriconducibili all’esonero contributivo contenutonell’art. 1, comma 118 della legge n. 190/2014 (leggedi Stabilità 2015) e alle nuove deduzioni IRAP di cuinell’art. 1, comma 20 e seguenti della medesimalegge.

Va sottolineato che ai contratti a tempo indeterminatoinstaurati nel periodo dal 1 gennaio 2015 e fino alladata di entrate in vigore del decreto (infra par. 2),troveranno applicazione i profili economici esaminati

nella presente circolare, ma non anche le tutelecrescenti come regolate nel decreto.

12.1 Esonero contributivo triennale

L’art. 1, comma 118 della legge di Stabilità 2015introduce una forma di riduzione del carico

contributivo delle aziende al fine di promuovere formedi occupazione stabile.

Sono interessati i datori di lavoro privatiindipendentemente dal settore di appartenenza,compreso il settore agricolo (con alcune limitazioniprevisto dal successivo comma 119).

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La norma facendo riferimento ai “datori di lavoro”attrae nel campo di applicazione della disposizioneanche gli studi professionali anche se organizzati informa associata.

Sono interessate dal provvedimento le aziende private

a capitale pubblico in considerazione della naturaprivata del soggetto giuridico di riferimento. L’esonerospetta ai datori di lavoro sopra indicatiindipendentemente dalle caratteristiche soggettivedel lavoratore ed anche se assunto a tempo parziale.

Si pone il dubbio se l’esonero in questione abbianatura di agevolazione contributiva, oppurerappresenti una riduzione strutturale del costo dellavoro per la tipologia contrattuale cui si riferisce,seppure per un limitato periodo di tempo.

Qualora l’intervento normativo rientri nell’alveo delleagevolazioni contributive le aziende sarebberocostrette a rispettare ulteriori condizioni rispetto alrichiamato comma 118 e in particolare:

alla regolarità prevista dall’articolo 1, commi 1175 e1176, della legge 296/2006, inerente:

o l’adempimento degli obblighi contributivi;

o l’osservanza delle norme poste a tutela dellecondizioni di lavoro;

o il rispetto degli accordi e contratti collettivi

nazionali nonché di quelli regionali, territoriali oaziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalleorganizzazioni sindacali dei datori di lavoro edei lavoratori comparativamente piùrappresentative sul piano nazionale;

all’applicazione dei principi stabiliti dall’articolo 4,commi 12, 13 e 15, della legge 92/2012.

L’estensione generalizzata della riduzione contributivae l’utilizzo del termine “esonero” (in luogo di altritermini più identificativi di una agevolazione),

porterebbe a ritenere che non si tratti diun’agevolazione contributiva che impone alle aziendei vincoli sopra richiamati.

12.1.1 Profili Comunitari

Il beneficio è generalizzato su tutto il territorio

nazionale e senza alcun criterio selettivo con laconseguenza che l’aiuto appare compatibile con ilTrattato sul Funzionamento dell’Unione Europea

(Articolo 107 del Trattato “Salvo deroghe contemplatedai trattati, sono incompatibili con il mercato interno,nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati

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membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero medianterisorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendotalune imprese o talune produzioni, falsino ominaccino di falsare la concorrenza”).

La mancanza di un criterio selettivo di imprese o

produzioni previsto dal richiamato art. 107 del Trattato,esclude il beneficio anche dal campo di applicazionedel Regolamento Comunitario n. 651/2014 e dunque siritiene che non trovino applicazione le condizionifissate dal citato Regolamento, rappresentate da:

1.Il beneficio non può superare il 50% dei costiammissibili che corrispondono ai costi salariali duranteun periodo massimo di 12 mesi successivi all'assunzionedi un lavoratore;

2.L'assunzione deve rappresentare un aumento netto

del numero di dipendenti dell'impresa interessata(criterio ULA) rispetto alla media dei dodici mesiprecedenti (Ministero del Lavoro, Interpello 34/2014).

12.1.2 Assunzioni agevolate

Sono interessate dall’esonero contributivo le nuoveassunzioni con contratto di lavoro a tempoindeterminato “decorrenti” dal 1° gennaio 2015 conriferimento a contratti “stipulati” non oltre il 31dicembre 2015.

Sul piano strettamente letterale, con riferimento allaindividuazione dei contratti compresi nel periodoagevolato, la norma in un primo momento fariferimento ad un principio di “decorrenza” delcontratto, salvo successivamente fare riferimento adun principio di “stipulazione” dello stesso(indipendentemente dalla decorrenza). Appareopportuno unificare l’individuazione dei contrattiagevolati rispetto alla loro decorrenza e non alla lorostipulazione.

12.1.3 Misura dell’esonero

E’ previsto l’esonero dal versamento dei complessivicontributi previdenziali a carico dei datori di lavorofino ad un massimo di 36 mesi e, comunque, nel limitemassimo per ciascun lavoratore, di 8.060 euro su baseannua.

Si pone il dubbio di individuare quali siano le tipologiedi contributi presenti nella stringa contributiva oggettodi esonero poiché da un lato la norma fa riferimento aicontributi “complessivi”, dall’altro lato si fa riferimento

solo ai contributi “previdenziali” e non ancheassistenziali.

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Sul punto, si ritiene corretto valorizzare l’aggettivo“complessivi” per comprendere nell’esonero anche icontributi assistenziali (c.d. contributi minori).

E’ fatta salva l’aliquota di computo ai fini pensionisticie, dunque, i contributi saranno integralmente

accreditati ai fini pensionistici anche se noneffettivamente versati dal datore di lavoro. Sonoesclusi i premi assicurativi INAIL.

L’esonero non è cumulabile con altri esoneri o riduzionidelle aliquote di finanziamento previsti dalla normativavigente.

12.1.4 Condizioni

L’esonero spetta ai datori di lavoro in presenza dellenuove assunzioni decorrenti nel periodo agevolato,

con esclusione di quelle relative a lavoratori che neisei mesi precedenti siano risultati occupati a tempoindeterminato presso qualsiasi datore di lavoro.

Pertanto, ad esempio, un lavoratore assunto il 1gennaio 2015 per dare luogo all’esonero deve aver

interrotto il precedente rapporto a tempoindeterminato prima del 1 luglio 2014.

L’esonero spetta una sola volta per ciascun lavoratoree, dunque, è necessario che l’Inps individui unamodalità semplificata affinché, a regime, possa essere

verificata tale condizione da parte del datore di lavoroche intende assumere.

Peraltro, si pone il problema di riconoscere ad unnuovo datore di lavoro l’esonero contributivo, per laparte residua, nel caso in cui il rapporto agevolato siinterrompa prima dei 36 mesi.

Si ipotizzi un rapporto agevolato avviato il 1 gennaio2015 e interrotto il 31 dicembre 2015. Il beneficio èstato usufruito per 12 mesi senza sfruttare l’interoperiodo di 36 mesi.

Una valutazione sistematica del provvedimento portaa ritenere che una successiva azienda possabeneficiare dell’esonero per il periodo residuale; unadiversa soluzione penalizzerebbe in modo eccessivo inumerosi rapporti che si interrompono nel periodo diprova o, ad esempio, per le dimissioni degli stessilavoratori.

Anche in questa caso, in attesa dei necessarichiarimenti ministeriali, va valutato di individuare unamodalità di controllo dei periodi residuali da partedelle aziende interessate dalle assunzioni, ovveroconsentire espressamente che sia sufficiente una

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dichiarazione di responsabilità da parte del lavoratoreda assumere.

L’esonero non spetta ai datori di lavoro in caso diassunzioni di lavoratori che hanno intrattenuto con lamedesima azienda un contratto a tempo

indeterminato nei tre mesi antecedenti la data dientrata in vigore della legge di stabilità 2015 (quindi,nel periodo dal 1 ottobre al 31 dicembre 2014), ovveroche nel medesimo periodo, abbiano intrattenuto uncontratto a tempo indeterminato con societàcontrollate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 delcodice civile o facenti capo, anche per interpostapersona, allo stesso soggetto che intende assumere.

Alla luce delle condizioni sopra illustrate è consentitol’utilizzo dell’esonero contributivo nel caso in cui neisei mesi precedenti, anche presso lo stesso datore dilavoro, siano stati avviati rapporti a tempodeterminato, collaborazioni coordinate e continuative,anche a progetto, o rapporto con partita iva.

Sotto il profilo letterale non è ammessa latrasformazione del contratto a termine senza soluzionedi continuità in un contratto a tutele crescenti, fermorestando la possibile interruzione del rapporto e l’avviodel nuovo contratto a tempo indeterminato anche ilgiorno successivo.

12.1.5 Esempio di vantaggio economico

La tabella allegata alla presente circolare mette a

raffronto il costo del lavoro di alcune delle piùimportanti tipologie contrattuali in vigore nel 2015.

L’aspetto che risalta maggiormente in evidenza è laconvenienza del contratto a tutele crescenti rispettoal contratto di apprendistato avviato nelle aziendesopra i 9 dipendenti; il vantaggio è evidente anchenel periodo di sotto inquadramento retributivo checaratterizza questo contratto per i giovani lavoratori.

Il contratto a tutela crescente risulta più convenienteanche rispetto al contratto a tempo determinato ealla collaborazione a progetto, mentre il costo è pocosuperiore ad un lavoratore con partita iva.

12.2 La deduzione IRAP

L’art. 1, comma 20 e seguenti della legge di Stabilità2015 introduce una deduzione IRAP per i soli contrattia tempo indeterminato. Pertanto, il legislatore nongiunge alla detassazione generalizzata del costo dellavoro ai fini IRAP, ma le modifiche introdotte hanno

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l’obiettivo di rendere più vantaggioso il contratto dilavoro a tempo indeterminato.

L’intervento legislativo consiste in una deduzione dallabase imponibile ai fini IRAP, aggiuntiva a quelle giàesistenti, previste dall’articolo 11 del D. Lgs. 15

dicembre 1997, n. 446. La decorrenza è prevista dalperiodo di imposta successivo a quello in corso al 31dicembre 2014; in gran parte dei casi dal 2015, salvoper i soggetti con esercizio diverso dall’anno solare,considerando che per l’Agenzia delle Entrate è tale ilperiodo 1 gennaio – 31 dicembre ( v. Istruzioni allaDichiarazione IRAP 2014). Conseguentemente nonsarà immediatamente spendibile, in quanto si tradurràin un risparmio solamente nel 2016, allorquando siprocederà ai calcoli necessari per la determinazione

dell’IRAP dovuta in sede di dichiarazione, anche se leaziende ne terranno certamente conto in sede dipredisposizione dei budget.

Concretamente, viene ammesso in deduzione dalvalore della produzione ai fini dell’IRAP, determinato ai

sensi del D. Lgs. n. 446/1997, il costo del lavoro relativoai contratti di lavoro a tempo indeterminato; per gliimprenditori agricoli la deduzione si estende anche aicontratti a tempo determinato di durata almenotriennale, a condizione tuttavia che nei singoli periodidi imposta il lavoratore abbia prestato attività peralmeno 150 giornate.

Da un punto di vista sistematico, la deduzione sicolloca all’interno delle altre già previste all’articolo 11del citato decreto istitutivo dell’IRAP. In particolare,viene inserito al citato articolo, il comma 4-octies. Sitratta di un’agevolazione fiscale che riguarda tutti icontratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato,a prescindere dall’orario di lavoro svolto e dunqueriguarda anche quelli a tempo parziale. Circa i

contratti di apprendistato, va ricordato che risultanogià esclusi dal valore della produzione ai sensidell’articolo 11, comma 1, lettera a) n.5) del citatoD.Lgs. n.446/1997.

12.2.1 Le aziende interessate

La deduzione non è generalizzata, ma limitata aiseguenti soggetti passivi, espressamente individuatidalla norma:

• societa di capitali ed enti commerciali;

• società di persone e quelle ad esse equiparate;

• imprese individuali esercenti attività commerciali;

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• esercenti arti e professioni, sia in forma individuale,che in forma associata.

Il richiamo è ai “ […] soggetti che determinano ilvalore della produzione ai sensi degli articoli da 5 a 9”.

Non sono previste pertanto limitazioni settoriali maesclusivamente in relazione alla natura del soggettopassivo.

Sono comprese pertanto le banche ed altri entifinanziari nonché le imprese assicurative, spessoescluse da altri benefici.

Risultano invece esclusi dalla nuova deduzione gli entiprivati diversi dalle società che non hanno peroggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivitàcommerciale (art.3, comma 1, lettera e) D.Lgs.n.446/1997), le amministrazioni pubbliche, nonché leamministrazioni della Camera dei Deputati, delSenato, della Corte costituzionale, della Presidenzadella Repubblica e gli organi legislativi delle regionia statuto speciale (art.3, comma 1, lettera e)-bis cit.);tali soggetti infatti determinano il valore dellaproduzione ai sensi degli articoli 10 e 10 bis.

12.2.2 La misura

Il meccanismo per il calcolo della deduzione sipresenta articolato, ma questa è una precisa scelta

per evitare che il contribuente il quale abbia alleproprie dipendente un lavoratore con contratto atempo indeterminato, possa cumulare le diversededuzioni previste dall’articolo 11 del D.Lgs. n.446/1997ottenendo in tal modo un maggior risparmiod’imposta rispetto a quello voluto dal legislatore.

La norma prevede che “ […] è ammessa in deduzionela differenza tra il costo complessivo per il personaledipendente con contratto a tempo indeterminato e lededuzioni spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater “.

La nuova deduzione va determinata assumendoinizialmente il costo del lavoro complessivo di tutti ilavoratori a tempo indeterminato, tenendo contoquindi di tutte le componenti che lo compongono;questo valore va decurtato delle altre deduzionispettanti al datore di lavoro.

In caso di distacco, com’è noto, il rapporto di lavororimane presso il distaccante ed in genere ildistaccatario procedere al rimborso del costo dellavoro. Si segnala che in tali casi l’Agenzia delleEntrate ha ritenuto che le deduzioni spettano aldistaccatario nella misura in cui ne sostiene le spese

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ed in relazione al periodo di distacco (cfr. risoluzione10 giugno 2008, n.235/E).

Si ritiene pertanto che, se il contratto di lavoro dellavoratore distaccato è a tempo indeterminato,anche la nuova deduzione spetta al distaccatario,

mentre il distaccante dovrà considerare il costo dellavoro sostenuto al netto delle spese rimborsate,nonché applicare le altre deduzioni tenendo contodel periodo di distacco applicando il metodo pro ratatemporis.

Va comunque rilevato che i datori di lavoromaggiormente avvantaggiati rispetto al regimeprecedente sono quelli che potevano godere dideduzioni minori in quanto, decurtandole dal costodel lavoro, avranno un maggior importo da utilizzare indiminuzione dal valore della produzione, a titolo dinuova deduzione sui contratti di lavoro a tempoindeterminato.

Dunque, l’incentivo sarà meno rilevante ed in alcunicasi irrilevante in quanto assorbito dalle altre deduzionigià spettanti, se il lavoratore occupato è di sessofemminile o giovane fino a 35 anni nelle piccoleimprese che non superano il cumulo previsto dallaregola comunitaria de minimis, ovvero se il datore dilavoro svolge l’attività impiegando il lavoratore nelle

regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania,Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

12.2.3 Aliquote IRAP

A fronte delle riduzione descritta, in alcuni casi

potenziale, il comma 22 dell’articolo 1 della Legge diStabilità 2015 abroga i commi 1 e 4 dell’articolo 2 deldecreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, dallalegge 23 giugno 2014, n. 89 che aveva previsto coneffetto dal periodo di imposta successivo a quello incorso al 31 dicembre 2013, la riduzione generalizzatadell’aliquota IRAP dal 3,9% al 3,5%.

La riduzione descritta viene eliminata prima ancorache fosse di fatto goduta dai contribuenti in quanto glieffetti si sarebbero prodotti, in termini di risparmiod’imposta, in sede di determinazione del saldo ai finidell’IRAP e dunque solo nel 2015.

Al fine di evitare conseguenze nei confronti di coloroche avessero calcolato gli acconti IRAP per il 2015 dagiugno a novembre scorsi secondo il metodoprevisione e dunque tenendo conto della minorealiquota e quindi del potenziale e previsto risparmiod’imposta, viene inserita una sorta di clausola di

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salvaguardia per evitare la possibile irrogazione dellesanzioni tributarie.

Il comma 18 prevede espressamente, infatti, lasalvezza degli effetti della norma abrogata ai fini delladeterminazione dell’acconto col criterio previsionale.

Tale metodo costituisce una causa esimente ai sensidell’articolo 4 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69,convertito, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154.

La norma prevede l’inapplicabilità delle sanzioniqualora in sede di saldo delle imposte gli accontiversati in misura differente rispetto a quantonormalmente previsto (tenendo conto delle impostedovuti per il periodo di imposta precedente) gli importiversati a titolo d’acconto risultano comunquesufficienti a coprire rispettivamente il 40% dell’imposta

dovuta per la prima rata, se dovuta, ed il 60% per laseconda.

In buona sostanza, all’atto della determinazionedell’imposta dovuta per il periodo d’imposta 2014,occorrerà procedere al calcolo anche dell’imposta

virtualmente dovuta, applicando l’aliquota base del3,5% (naturalmente tenendo conto delle diverseregole applicabili nelle singole regioni ) ai soli fini dellaverifica della sufficienza dell’acconto versato.

12.2.4 Esempio di calcolo IRAP

Proviamo ora a fare un esempio per illustrare comefunziona la nuova deduzione e i suoi effetti anche aconfronto con la soppressione della riduzionedell'aliquota IRAP.

Ipotizziamo un datore di lavoro che abbia occupatoun lavoratore con contratto a tempo indeterminatoper l’intero periodo di imposta 2015.

Supponiamo che il costo del lavoro sostenuto sia statodi 27.000 euro, di cui euro 6.000 per contributi

previdenziali ed assistenziali ed euro 1.000 quelliassicurativi INAIL.

Le deduzioni spettanti con le regole vigenti per ilperiodo di imposta 2014 sono pari a 14.500 ( euro 1.000per contributi INAIL, euro 7.500 per aver impiegato unlavoratore a tempo indeterminato nel periodo diimposta, euro 6.000 relativi ai contributi previdenziali).

Nel 2015, invece, con le nuove regole, lo stessolavoratore dà diritto sia alla deduzione di euro 14.500che all’ulteriore deduzione di euro 12.500, introdottadalla Legge di Stabilità 2015.

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Il risparmio, considerando l’aliquota base del 3,9%, è di487 euro.

Riprendendo l’esempio precedente, considerandol’aliquota IRAP ridotta del 3,5%, comunque avrebbedovuto pagare 437 euro in più.

Occorre però considerare l’aggravio che viene subitosul valore della produzione complessivo daassoggettare ad imposta e non sulla sola quota dimaggiore deduzione.

Ipotizzando che il suddetto contribuente abbia unvalore della produzione complessivo di 20.000 euro,oltre all’incidenza del costo del lavoro indicato, senzala soppressione della riduzione dell’aliquota IRAP,avrebbe avuto un risparmio su tale valore di 80 euro.

Sull’imponibile totale di 32.500 euro, con la minorealiquota avrebbe risparmiato 130 euro.

E’ chiaro dunque che la nuova agevolazione IRAPprodurrà un immediato aggravio per il periodod'imposta 2014 per tutti i contribuenti, mentre ilbeneficio per coloro che potranno usufruire dellanuova deduzione IRAP sui contratti di lavoro a tempoindeterminato, verrà goduta dal periodo d’imposta2015.

Naturalmente, quanto maggiore sarà il valore dellaproduzione, tanto minore sarà il beneficio introdottodalla Legge di Stabilità 2015.

PERIODO DI IMPOSTA 2014

valore dellaproduzione imponibile

Imposta da versare

Con aumento aliquotelegge di stabilità 2015

32.500 1.137

Con aumento aliquotelegge di stabilità 2015

32.500 1.267

AGGRAVIO NEL PERIODO D'IMPOSTA 2014CON LA LEGGE DI STABILITA’ 2015

130

PERIODO DI IMPOSTA 2015

valore dellaproduzione imponibile

Imposta da versare

SENZA LA LEGGE DISTABILITA’ 2015

32.500 1.137

SENZA LA LEGGE DISTABILITA’ 2015

20.000 780

RISPARMIO NEL PERIODO D'IMPOSTA 2015CON LA LEGGE DI STABILITA’ 2015

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La scelta del legislatore si può riassumere in unaminore spesa attraverso la scelta di eliminare lariduzione dell’aliquota base dell’imposta.

Naturalmente il gettito risparmiato sarà maggiore perl'esercizio 2014 in quanto dal 2015 entrerà in vigore la

nuova deduzione che comporterà lo stanziamento dimaggiori somme per finanziarla.

In definitiva, si sposta il risparmio d’imposta dallageneralità dei contribuenti verso coloro cheoccupano più lavoratori dipendenti a tempoindeterminato.

13 Il contratto di ricollocamento

L’art. 11 introduce in modo stabile nel nostroordinamento il contratto di ricollocazione già presente

nella legge di stabilità 2014 e sperimentato nel nostroordinamento da alcune Regioni.

Con il contratto di ricollocazione si introduce nelsistema lavoro una politica attiva, che si prefigge difavorire il reinserimento del lavoratore nel tessuto

produttivo, stabilendo un contatto diretto fra Stato eRegioni, le quali continuano ad avere competenzalegislativa ed amministrativa in materia di servizi perl’impiego.

Il contratto di ricollocazione è rivolto esclusivamente ai

lavoratori “licenziati illegittimamente o per giustificatomotivo oggettivo o per licenziamento collettivo aisensi degli artt. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n° 223”ai quali è stato applicato un contratto a tutelecrescenti.

Il lavoratore licenziato per le cause sopra ricordate, haquindi il “diritto di ricevere dal Centro dell’impiegoterritorialmente competente un voucherrappresentativo della dote individuale diricollocazione”.

Tale diritto è condizionato dalla disponibilità dellavoratore ad effettuare una speciale procedura didefinizione del proprio profilo personale dioccupabilità.

Solo tramite il voucher, da presentare a cura dellavoratore ad una qualsiasi agenzia per il lavoro,

pubblica o privata accreditata, si potrà stipulare ilcontratto di ricollocazione che conterrà due diritti eun dovere in capo al lavoratore stesso:

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• il diritto ad una assistenza appropriata nella ricercadella nuova occupazione;

• il diritto alla realizzazione da parte dell’agenzia per illavoro di iniziative di ricerca, addestramento,formazione e riqualificazione professionale mirate a

sbocchi occupazionali effettivamente esistenti eappropriati in relazione alle capacità del lavoratore ealle condizioni del mercato del lavoro nella stessazona ove il lavoratore è stato preso in carico;

• il dovere di porsi a disposizione e cooperare conl’agenzia nelle iniziative da essa predisposte.

Il valore del voucher, che non è a beneficio dellavoratore, ma dell’Agenzia per il lavoro, saràproporzionato in relazione al profilo personale dioccupabilità e potrà essere incassato solo a “risultatoottenuto”.

Il comma 7 dell’art. 11, tuttavia, non individua unaprevisione della proporzionalità.