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61 anno 16 marzo 2006 MADRUGADA Non dite mai cosa sia la vita: un pozzo d’acqua sorgiva nel deserto, la ghirlanda di colori intorno al collo dei colombi in amore un raggio di luce nel buio di una cella o il silenzio dell’alba quando sorge la luce... E danzare finché la gente ritorni a sorridere! E non chiedere nulla nemmeno la fede: cantare all’amore e spandere gioia, con gli occhi colmi di bellezza. rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli

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m a r z o 2 0 0 6

MADRUGADA

N o n d i t e m a i c o s a s i a l a v i t a :

u n p o z z o d ’ a c q u a s o r g i v a n e l d e s e r t o ,

l a g h i r l a n d a d i c o l o r i

i n t o r n o a l c o l l o d e i c o l o m b i i n a m o r e

u n r a g g i o d i l u c e n e l b u i o d i u n a c e l l a

o i l s i l e n z i o d e l l ’ a l b a

q u a n d o s o r g e l a l u c e . . .

E d a n z a r e

f i n c h é l a g e n t e r i t o r n i a s o r r i d e r e !

E n o n c h i e d e r e n u l l a n e m m e n o l a f e d e :

c a n t a r e a l l ’ a m o r e e s p a n d e r e g i o i a ,

c o n g l i o c c h i c o l m i d i b e l l e z z a .

r i v i s t a t r i m e s t r a l e d e l l ' a s s o c i a z i o n e p e r l ' i n c o n t r o e l a c o m u n i c a z i o n e t r a i p o p o l i

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direttore editorialeGiuseppe Stoppiglia

direttore responsabileFrancesco Monini

comitato di redazioneStefano BenacchioGaetano Farinelli

collaboratoriMario Bertin

Alessandro BresolinEgidio CardiniFulvio CorteseSara DeganelloGiovanni Realdi

progetto graficoAndrea Bordin

stampaGrafiche Fantinato

Romano d’Ezzelino (Vi)

Stampato in 3.000 copie

Chiuso in tipografia

il 10 marzo 2006

Registrazione del Tribunale di Bassano n. 4889 del 19.12.90La redazione si riserva di modificare e abbreviare i testi originali.

Studi, servizi e articoli di “Madrugada” possono essere riprodotti,purché ne siano citati la fonte e l’autore.

MADRUGADA61

a n n o 1 6m a r z o 2 0 0 6

Via Romanelle, 12336020 Pove del Grappa / Vitelefono/fax 0424 80.84.07

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veneto banca(cin N - abi 05418 - cab 60260)

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SOMMARIO

3 controluceLaicità, ovvero credere diversamentela redazione

4 controcorrenteDio ti dà il volto, sorridere tocca a tedi Giuseppe Stoppiglia

7 dentro il guscioLaicità ed eticadi Franco Monaco

9 laicità / 1Politica e laicitàdi Mario Tronti

11 laicità / 2Impensata nozionedi Maurizio Ciampa

13 scritture a confrontoCorpo di luce, corpo di terradi Yarona Pinhas

Il corpo nella concezione islamicadi Hamza R. Piccardo

Il corpodi Agnese Mascetti

16 dal diritto ai dirittiSulla funzione politicadei principî costituzionalidi Fulvio Cortese

18 il piccolo principeSorella Interdi Egidio Cardini

20 pianoterraMuoversi tra le ombre cinesidi Giovanni Realdi

22 itinerariBruxelles e le trasformazioni urbanedi Alessandro Bresolin

24 diario minimoIl tempo del tradimentodi Francesco Monini

26 luoghiUn incontrodi Sara Deganello

28 notizieMacondo e dintornidi Gaetano Farinelli

31 redazionaleFotografare, un riposo per la mentedi Luca Bonacini

Hanno scritto fino ad oggi su Madrugada:Alberton Diego, Ales Bello Angela, Allegretti Umberto, Allievi Stefano, Alunni IstitutoAlberghiero Abano Terme, Alves Dos Santos Valdira, Amado Jorge, Amoroso Bruno,Anonimo peruviano, Anonimo, Antonello Ortensio, Antoniazzi Sandro, Arsie PaoloPelanda, Arveda Gianfranco, B.D., Balasuriya Tissa, Baldini Marco, Barcellona Pietro,Battistini Piero, Bayuku Peter Konteh, Bellemo Cristina, Benacchio Stefano, Benedetto daSillico, Berrini Alberto, Bertin Mario, Bertizzolo Valeria, Berton Roberto, Bianchin Saul,Bonfanti Vittorio, Bordignon Alberto, Borsetti Corrado, Boschetto Benito, Boselli Ilaria,Braido Jayr, Brandalise Adone, Bresolin Alessandro, Brighi Cecilia, Brunetta Mariangela,Callegaro Fulvia, Camparmò Armida, Canciani Domenico, Cardini Egidio, Carlos Roberto,Casagrande Maurizio, Castegnaro Alessandro, Castellan Gianni, Cavadi Augusto, CavaglionAlberto, Cavalieri Giuseppe, Cavalieri Massimo, Ceccato Pierina, Cescon Renato,Chieregatti Arrigo, Chierici Maurizio, Ciampa Maurizio, Ciaramelli Fabio, ColagrossiRoberto, Collard Gambiez Michel e Colette, Colli Carlo, Corradini Luca, Correia Nelma,Cortese Antonio, Cortese Fulvio, Crimi Marco, Crosta Mario, Crosti Massimo, CucchiniChiara, Curi Umberto, Dalla Gassa Marcello, Dantas Socorro, De Antoni Luca, DeBenedetti Paolo, Della Chiesa Roberto, De Lourdes Almeida Leal Fernanda, De MarchiAlessandro, De Silva Denisia, De Vidi Arnaldo, Deganello Sara, Del Gaudio Michele,Della Queva Bruno, Demarchi Enzo, Di Felice Massimo, Di Nucci Betty, Di SanteCarmine, Di Sapio Anna, Dos Santos Isabel Aparecida, Elayyan Ziad, Eunice Fatima, EusebiGigi, Fabiani Barbara, Fantini Francesco, Farinelli Gaetano, Ferreira Maria Nazareth,Figueredo Ailton José, Filippa Marcella, Fiorese Pier Egidio, Fogli Luigi, Fongaro Claudioe Lorenza, Franzetti Marzia, Furlan Loretta, Gaiani Alberto, Galieni Stefano, GandiniAndrea, Garbagnoli Viviana, Garcia Marco Aurelio, Gasparini Giovanni, Gattoni Mara,Gianesin Roberta, Giorgioni Luigi, Gomez de Souza Luiz Alberto, Grande Ivo, GrandeValentina, Gravier Olivier, Grisi Velôso Thelma Maria, Gruppo di Lugano, GuglielminiAdriano, Gurisatti Paolo, Hoyet Marie-José, Jabbar Adel, Kupchan Charles A., LanziGiuseppe, Lazzaretto Marco, Lazzaretto Monica, Lazzarin Antonino, Lazzarini Mora Mosé,Lima Paulo, Liming Song, Lizzola Ivo, Locatelli Lorenzo, Lupi Michela, Manghi Bruno,Marchesin Maurizio, Marchi Giuseppe e Giliana, Margini Luigia, Marini Daniele, MascettiAgnese, Masina Ettore, Masserdotti Franco, Mastropaolo Alfio, Matti Giacomo, MedeirosJ.S. Salvino, Meloni Maurizio, Mendoza Kuauhkoatl Miguel Angel, Menghi Alberto,Mianzoukouta Albert, Miguel Pedro Francisco, Milan Mariangela, Milani Annalisa, MinozziMirca, Miola Carmelo, Missoni Eduardo, Monaco Franco, Monini Francesco, MoniniGiovanni, Montevecchi Silvia, Morelli Pippo, Morgagni Enzo, Morosinotto Tomas, MosconiLuis, Murador Piera, Naso Paolo, Ortu Maurizio, P.R., Pagos Michele, Parenti FabioMassimo, Pase Andrea, Pedrazzini Chiara, Pedrazzini Gianni, Pegoraro Tiziano, PellegrinoMauro, Peruzzo Dilvo, Peruzzo Krohling Janaina, Peruzzo Krohling Cicília, PetrellaRiccardo, Peyretti Enrico, Peyrot Bruna, Piccardo Hamza R., Pinhas Yarona, Pinto LúcioFlávio, Plastotecnica S.p.A., Priano Gianni, Ramaro Gianni, Ramos Valdecir Estacio, RealdiGiovanni, Reggio Stefano, Ribani Valeria, Rigon Alberto Maria, Ripamonti Ennio, RossettoGiorgio, Rossi Achille, Ruffato Monica, Ruiz Samuel, Sansone Angelica, Santacà Antonella,Santarelli Elvezio, Santiago Jorge, Santori Cristiano, Sartori Michele, Sarzo Paola, SbaiZhor, Scandurra Enzo, Scotton Giuseppe, Sella Adriano, Sena Edilberto, Senese Salvatore,Serato Stefano, Simoneschi Giovanni, Sonda Diego Baldo, Spinelli Sandro, StanzioneGabriella, Stivanello Antonio, Stoppiglia Giuseppe, Stoppiglia Maria, Stradi Paola,Tagliapietra Gianni, Tanzarella Sergio, Tessari Leonida, Tesini Mario, Tomasin Paolo, ToniniGiorgio, Tonucci Paolo, Tosi Giuseppe, Touadi Jean Leonard, Trevisan Renato, Tronti Mario,Turcotte François, Turrini Enrico, Vulterini Stefania, Zambrano Maria, Zanetti Lorenzo,Zaniol Angelo, Zanovello Ivano.

copertinaversi di David Maria Turoldo

fotografieLuca Bonacini

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Laicità,ovvero credere diversamente

Scorrendo le pagine di Madrugada

Fa freddo d’inverno e sembra una banalità, però sene è accorto anche il ministro. Se l’inverno è avarodi frutti, Madrugada in questo numero offre due per-le: il monografico sulla laicità e il confronto delle re-ligioni sul corpo. Ma forse tu preferisci il gas. A tut-to gas, dunque. E andiamo veloci, come i sette nanial rientro.

Apre il cammino Giuseppe Stoppiglia, piè veloce,con il controcorrente Dio ti dà il volto, sorridere toc-ca a te, che sarà il motivo che ci accompagnerà finoalla festa di maggio. Qui nel testo si sviluppa attra-verso il racconto di storie vere e nei loro volti.

Ti passo lo zaino dei rifornimenti: non pesa molto,lo puoi portare. Contiene prodotti unici, firmati: Lai-cità ed etica di Franco Monaco, uno scritto chiaro,quasi didascalico, sull’utilità di interrogarsi, sulle con-dizioni atte ad assicurare un ethos condiviso, a nonrassegnarsi all’idea di etiche separate o addiritturaall’assenza di ragioni forti a fondamento della vita diuna comunità.

Mario Tronti con Politica e lai-cità scrive cosa manifesta e co-sa nasconde la parola laico, e neespone i significati: senso criticoe libertà di giudizio da coltivarecon strumenti culturali via via ag-giornati nella coscienza mutan-te, attraversata dagli avvenimen-ti temporali.

Nel fondo dello zaino trovi Im-pensata nozione di MaurizioCiampa, che scorre le varie in-terpretazioni della parola e delpensiero che la sottende.

Segue la rubrica Scritture a con-fronto, che ha per oggetto il cor-po; con il contributo di YaronaPinhas, Roberto Hamza Piccar-do e Agnese Mascetti.

A questo punto seguono le ru-briche rubiconde, rubizze, chéfa freddo e il naso arrossisce. Eciascuno porta la sua. Ci contia-mo, che poi non dicano che era-vamo diecimila, mentre eravamoventimila.

Fulvio Cortese procede a pas-so misurato, tiene un piccolo con-tenitore, un cofanetto dal qualesi raccolgono cose nuove e co-

se antiche (non mi si imputi il furto della citazione)sul diritto, sui diritti umani, con attenzione all’uomoconcreto.

Egidio Cardini tiene i pugni chiusi nei guanti di la-na, stringe due carte, una per mano, batto sulle noc-che e mi apre il pugno di destra per chi guarda, si-nistra per chi vede. A sorte mi tocca l’Inter e mi sfug-ge Maddalena: Sorella Inter ovvero Perdere vincen-do.

Segue Giovanni Realdi che contesta la semplifica-zione del complesso; di Edipo? Non faccia lo spiri-toso; della complessità sociale che si vuole sempresintetizzare a scapito della realtà, con il titolo: Muo-versi tra le ombre cinesi. Un’intelligenza binaria nonbasta.

Viene da Bruxelles, ma vive con Nunzia a Napoli,Alessandro Bresolin. Il suo cartello è Bruxelles e letrasformazioni urbane ed è la descrizione di una pro-posta urbanistica, che cambia un quartiere, lo rendeabitabile, mantiene i vecchi abitanti e non cede alla

speculazione.Il nostro direttore Francesco

Monini, corteggiato e desidera-to, ma sempre amato, rispondeinfine all’ultima chiamata: a lun-go atteso, ci invia al fotofinish ilsuo diario minimo, come sempreuna piccola perla per la nostrarivista.

Sara Deganello parla un pocobrasiliano e lancia su di un car-tello: “Meninos de rua”, un in-terrogativo nascosto, che non tro-va risposte, solo raccoglie sottoil ponte di un cavalcavia un ba-cio inaspettato e un ballo strug-gente, che la tiene, che ci tieneal passo.

Conclude la cronaca dell’e-spositore che si sovrappone.

Copre tutto lo spazio visivo, incontrasto con la par condicio, ilservizio fotografico di Luca Bo-nacini.

E chiudo per esaurimento delgas. E quando fa freddo, abbas-sate i termosifoni. Risparmiate!lettori, risparmiate!

La redazione

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c o n t r o l u c e

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Quel si bemolle stonato

Antonio Martins de Araujo si guada-gnava da vivere facendo l’orefice, maera nato musicista. Quindi era giustoche lo chiamassero Maestro Antonio.Tanto forte era la musica nel corpo delmaestro Antonio, che i suoi figli, tut-ti e sei, nacquero musicisti. Ritengoche questa coincidenza si debba alfatto che il maestro, nel momento su-premo dell’atto d’amore, stava so-gnando qualche musica. Violino, cla-rinetto, flauto, mandolino, chitarra,violoncello formavano una bella or-chestra domestica. E questa era la fe-licità suprema del maestro: vedere ifigli uniti, intonati, che suonavano sot-to il comando della sua bacchetta.

Gli spartiti del maestro Antonio fe-cero, però, una brutta fine. Dopo lasua morte, il baule nel quale eranoconservate le sue composizioni fu tra-sferito nello scantinato oscuro di unavecchia casa colonica. Qualcuno la-sciò aperta la porta dello scantinato:entrò una capra ignorante di musicae divorò le composizioni.

Invece la morte del maestro è statabella. La sua città, Goias Velho, cometutte le città brasiliane antiche di tradi-zione culturale, aveva un bel palco fis-so dove suonava la banda municipale.

Dalla stanza del maestro Antonio,malato di cancro, agonizzante, si udi-va la banda suonare. Ecco che im-provvisamente il maestro, fino alloraassopito, si agita e fa cenno di volerparlare. Tutti si avvicinano attenti. Unodei figli gli tiene il capo sollevato. Eglibalbetta in agonia: «Il clarinetto hastonato nel si bemolle». Dette questeparole rende l’anima a Dio. Non po-teva permettere che la sua morte fos-se turbata da un si bemolle stonato.

Il Signore per ultimo

«Mio caro, la parrocchia mi è caduta

sulle spalle: aiutami a portarla. Quin-dicimila anime vestite di un corpo piut-tosto esiguo; ricche, in compenso, dimoltissimi sentimenti, non precisa-mente ortodossi e amorevoli. Vivonoin tuguri rabberciati alla meglio, dal-le mura precarie sempre in pericolo,con tetti di bandone; dormirci sotto,quando piove o grandina, è un amo-re. L’igiene, per molti è una leggenda,il lavoro un rischio, il pane avventurad’ogni giorno. Riguardo a Dio, nonc’è gran che da dire, se ne ricordanonelle occasioni d’emergenza e con in-negabile dimestichezza: quasi sem-pre per pregarlo poco e per bestem-miarlo assai. Ho cominciato le visitealle famiglie. Ogni casa, un’avventu-ra. Ho le spalle buone, ma il cuore miscricchiola sotto questo peso, anchese è un peso che non si vede. Pregaperché non si rompa».

Con questa lettera, p. Mosè mi hacomunicato che l’hanno fatto parro-co. La tegola che da mesi temeva edesiderava nello stesso tempo, gli èarrivata sulla testa in questi giorni. Èfinita la libertà di vagabondo di Dio.L’hanno confitto nella palude nebbiosadella periferia. Non ne uscirà più. Losa. Quando si alza di prima mattina,non vede dalla finestra né alberi, nécampanili. La natura della periferia èlivellata e grigia come gli uomini del-la miseria che gli sono toccati in sor-te. Tra quella nebbia egli dovrà pe-scare, inseguire, rubare qualche ani-ma, ogni tanto respirando solitudinee diffidenza.

Sono convinto che dimagrirà. Tutta-via, egli non ha perduto ancora quelfare da ragazzo disattento che l’ac-compagna in ogni cosa. Sulla faccio-na rotonda, s’affacciano occhi inutil-mente impegnati a dimostrarsi burbe-ri e non c’è verso che intorno alla boc-ca nasca una ruga. Se non lo cono-scete, non vi potete fare un’idea di co-me sia buffo questo pastore di animecon la faccia da bambino. La voce leg-

Dio ti dà il volto, sorridere tocca a teLa rosa senza perché

di Giuseppe Stoppiglia

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c o n t r o c o r r e n t e

«Potete chiudere

le vostre frontiere,

bloccare i vostri porti

e le vostre spiagge,

ma le canzoni viaggiano a piedi,

in segreto, nelle anse dei cuori.

Sono le madri che le insegnano

ai loro bambini che le ripetono.

Finiranno per esplodere

sotto il cielo della libertà».

[Yves Duteil]

«I maestri aprono l’uscio,

ma devi entrare da solo».

[Proverbio cinese]

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germente roca, ma forte e calda. Eglideve controllarla spesso, addolcirlacome meglio può, specialmente quan-do l’avversario ha torto.

P. Mosè non ha chiesa. Incastrato frale catapecchie, un garage irregolare enon certo olezzante, somiglia alle ca-se che lo circondano. Dentro, comeun disoccupato qualunque, ci passa igiorni il Signore. Un Signore alla buo-na, che si accontenta di un lumino mi-nuscolo e non ha neppure un lampa-dario di quelli che splendono nellechiese del centro. Quando piove, c’èmusica anche sul tetto del Signore,poiché anche lui ha il suo bravo tettodi bandone e basta.

Avrei voluto esserci, quando p. Mo-sè ha fatto l’ingresso da parroco. In-credibile: quel giorno aveva tutte leinsegne. Si trovava evidentemente adisagio: non l’hanno mai visto cosìgoffo.

In una tale chiesa ha parlato alla suapovera gente in veste di parroco.

«Mi hanno buttato in mezzo a voi edobbiamo andare d’accordo per for-za. Sono sicuro che ci dobbiamo vo-ler bene: il vostro bene non ve lo chie-do finché non me lo sarò meritato. Qui

non potete lamentarvi: casa non neavete voi e neppure il Signore, lo ve-dete, ce l’ha. Né io né voi siamo ric-chi, ma sento che saremo uniti, se pre-gheremo e lavoreremo assieme, po-tremo cominciare anche a fare la ca-sa a quelli tra voi che ne hanno biso-gno. Lasceremo il Signore per ultimo,lui ha pazienza».

Dopo la prima diffidenza, i cuori sisono schiariti. Ha cercato lavoro ai di-soccupati, ha portato di nascosto ilsuo mangiare ai bambini più pallidi,ha giocato a pallone coi giovanotti,ha passato ore della notte al capez-

zale dei malati. Non si è mai lamen-tato di nulla, non ha mai parlato ma-le di nessuno. Quando non ha più avu-to niente da dire e da dare, è tornatocurvo, nel garage, mostrando al Si-gnore le enormi mani vuote.

Senza sogni la notte è buia

Teresa, 19 anni, abita a Lamezia Ter-me, in Calabria. Ci siamo conosciutialcuni mesi fa, in un incontro sull’in-tercultura. Siamo rimasti in contatto eieri mi è arrivato il suo ultimo mes-saggio.

«Nel suo intervento, citando Berg-son, lei ammoniva con forza noi ra-gazze e giovani del Sud dicendo: “Larassegnazione non è che un orienta-mento verso il passato, un impoveri-mento delle nostre sensazioni e del-le nostre idee, come se ciascuna diesse stesse ora tutta intera nel pocoche dà, come se l’avvenire si fosse inqualche modo chiuso”. Aggiungen-do, subito dopo: “La ribellione, però,resta comunque un incidente e nonincide granché nel tessuto del futu-ro”. In questo momento io sono con-

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c o n t r o c o r r e n t e

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fusa. Non riesco a decidere se mi de-vo conformare alla realtà o ribellar-mi. Ma contro chi? Forse contro gliinsegnanti, che sono senza sogni enon sono in grado di rispondere ainostri silenzi? Forse contro i politici,che pensano principalmente al pro-fitto personale e non ai cittadini, to-gliendoci le speranze in un avveniremigliore, le aspirazioni, la dignità,l’amore alla vita stessa? Forse controi commercianti che fanno affari d’o-ro, sfruttando le commesse? Le sem-bra giusto continuare a subire questisoprusi e giocare sulla disperazionedei cittadini?».

La cosa più terribile del sud, ma ditutti i Sud del mondo, sono le letterecome questa, dove l’alternativa è co-me una tenaglia che chiude e stroz-za.

Perché chi si ribella alla realtà ha lasensazione di perdere; se invece siconforma, perde ugualmente, o co-munque perde quello slancio vitaleche all’attesa preferisce la speranza.

Quando, infatti, l’attesa diventa sen-za oggetto si trasforma in disperazio-ne o, peggio, in rassegnazione. E al-lora quello slancio giovanile che met-te avanti il sogno alla realtà, affinchéqualcosa si possa realizzare, si spe-gne. Quando si spegne un sogno, lanotte si fa più buia.

Cosa fare per impedire che i sognidei giovani del Sud si spengano? Pen-so sia giusto stimolarli a muoversi, pri-ma dentro e poi fuori di loro, non co-me capita ai giovani del Nord nelladirezione presente-avvenire, ma inquella più coraggiosa, stante la lorocondizione, indicata dalla direzioneavvenire-presente.

L’avvenire che vogliono realizzaredeve condizionare il loro presente, far-lo esistere in un altro modo, e mentrei loro amici del Nord guardano il pre-sente come ciò che costruisce l’avve-nire, i giovani del Sud devono fare ilcontrario, devono fare dell’avvenireche sperano, la base per la costruzio-ne del loro presente.

Speranza e desiderio

Non è facile, lo so. Ma se la tenagliachiude, loro devono salvare la spe-ranza dalla morsa, perché, in ordineall’avvenire, la speranza va più lonta-na dell’attesa. Nelle loro condizioni,guai a chi si ferma all’attesa, dove l’av-venire viene verso di me, ma io non

vado verso di lui. A differenza dell’attesa, la speranza

allontana da noi il contatto immedia-to con l’ambiente deprimente, e nondice cosa posso attendere da questoambiente, ma cosa posso fare al di làdi questo ambiente.

«L’attesa - scrive Umberto Galim-berti - non ha mai avuto efficacia neltessuto dell’avvenire. Assomiglia adun ripiegamento su se stessi, ad un ac-cartocciamento, con l’unico scopo diesporre il minimo di sé all’opacità del-l’ambiente. La ribellione è il suo con-trario, è il prendere fiato per un gior-no, dice solo “no”, ma non innescaun “sì” perché non crea. E per creareoccorre una dose pazzesca di desi-derio, nutrito di speranza».

Ho tentato di far parlare i volti, ascol-tandoli con umiltà. Ho cercato di rac-contare storie vere di uomini e di don-ne che hanno scelto di vivere la pro-pria esistenza come dono. Ho volutoascoltare la vita di chi fatica ad espri-mersi, perché bloccato dalla mancanzadelle condizioni essenziali.

Lo stupore negli occhi e nelle mani

Per nascere e svilupparsi, la vita ha bi-sogno di un universo morbido di te-nerezza. Il pregiudizio, la violenza, l’i-solamento, la miseria, la chiusura so-no le principali cause che impedisco-no il suo dispiegarsi nelle diverse po-tenzialità [Mario De Maio].

Christian Bobin a tale proposito ag-

giunge: «La verità è ciò che arde. Es-sa non è tanto nella parola definitiva,è negli occhi, nelle mani, nel silenzio.La verità sono occhi, mani che ardo-no in silenzio».

La nostra epoca ha perso l’ansia del-la scoperta, il fremito della ricerca eil coraggio di andare oltre?

Soltanto chi è ancora capace di stu-pirsi è pronto alla partenza, pronto al-l’ascolto. L’altro non è mai scontato,la vita di ciascuno è sempre nuova.

In questo i bambini sono maestri.Non sono vittime di quella malattiache fa soffrire gli adulti e che si chia-ma “mancanza di senso della vita”.Gli adulti non si accontentano di vi-vere il quotidiano, essi vogliono ca-pirne le ragioni. Ignorano la poesia delmistico Angelus Silesius: «La rosa èsenza perché: fiorisce perché fiorisce,a se stessa non bada, che tu la guardinon chiede», ed esigono ragioni sul-la propria missione nel mondo.

Il bambino non pone mai simili do-mande. Giocare con l’acqua, giocarecon la trottola, far volare l’aquilone,giocare a mamma e papà, queste pic-cole gioie bastano ai bambini. Sonoragioni sufficienti per vivere. Per que-sto sono felici.

Nietzsche diceva che egli amava lepersone che non hanno necessità diguardare dietro le stelle per incontra-re ragioni di vita: il bambino, infatti,non cerca ragioni dietro le stelle.

Pove del Grappa, febbraio 2006

Giuseppe Stoppiglia

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c o n t r o c o r r e n t e

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Laicità ed etica sono parole inflazio-nate, di cui un po’ si abusa, di cui sidà per scontato il significato, che sipresuppone condiviso. Spesso cosìnon è, compromettendo la discussio-ne pubblica su di esse.

Il significato

Etica è la riflessione a proposito delbene umano. Nella sfera pubblica ilsuo oggetto è la vita buona della po-lis, il bene comune inteso come il be-ne di tutti e di ciascuno, la qualità buo-na delle relazioni umane e sociali. Lai-cità, nel suo etimo, viene da laikos,

che in greco designa il popolo. È lacondivisione della condizione comu-ne degli uomini, in opposizione a chida essi si differenzia in ragione di unostatus speciale quali, per esempio, imilitari o i chierici.

Mettere a tema il nesso tra laicità edetica, se capisco bene, significa in-terrogarsi sulle condizioni atte ad as-sicurare un ethos condiviso, a non ras-segnarsi all’idea di etiche separate oaddirittura all’assenza di ragioni fortia fondamento della vita di una co-munità. Laici sono dunque quanti, cre-denti o non credenti, scommettonosulle risorse del dialogo e della coo-perazione. Essi si oppongono, sem-

Laicità ed eticaProcesso di confronto tra persone alla pari

di Franco Monaco

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d e n t r o i l g u s c i o

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mai, agli integralisti, ahinoi, presentiin entrambi i campi: quello di chi pro-fessa una fede religiosa e quello di chinon ne professa alcuna. Decisamen-te fallace è dunque l’opposizione, spes-so evocata in Italia, tra laici e cattoli-ci. Una polarità figlia della singola-rità-anomalia della storia italiana e,segnatamente, della “questione ro-mana”, cioè del lungo contenzioso traStato unitario e Chiesa cattolica.

Il contesto

Due fattori convergono nel produrretensione tra laicità ed etica, nell’o-struire lo sviluppo di un ethos condi-viso. Da un lato, specie sul versantedi chi professa una fede, tantopiù sestrutturata entro una chiesa, l’idea chesolo nell’orizzonte della fede si pos-sa dare fondamento a un’etica che im-pegni la coscienza. Con l’inclinazio-ne conseguente a ridurre il fisiologi-co pluralismo delle concezioni etiche,caratteristico delle società occidenta-li contemporanee, a grigio relativismoetico. Dall’altro, specularmente, lapregiudiziale rinuncia da parte di ta-li società all’elaborazione e alla pro-mozione delle ragioni della convi-venza. Sino al limite di affidare in ap-palto alle chiese l’intera sfera dell’e-tica. Urge correggere entrambe le di-storsioni, che si alimentano a vicen-da: sia la pretesa del monopolio del-l’etica da parte delle religioni, sia laresa scettica di comunità che abdica-no al compito di maturare un ethoscondiviso. Che, a ben guardare, rap-presenta l’intimo nucleo vitale del pat-to costituzionale.

Le procedure

Ciascuno, singolo o comunità, più omeno consapevolmente, fa riferimen-to a una propria etica, cioè a un pa-niere di principi e di valori che infor-mano la vita e orientano i comporta-menti. Può trattarsi di etica dotata diun fondamento religioso e trascen-dente ovvero di un’etica naturale edumanistica. Entrambe degne di ap-prezzamento. Nessuno può rivendi-carne una sorta di primazia di princi-pio nella sfera pubblica. Neutrali ri-spetto ad esse (salvo che ledano dirit-ti umani universali), le istituzioni po-litiche devono piuttosto propiziare lacomunicazione e il fecondo scambio

tra loro. Uno Stato laico e democrati-co deve assicurare procedure atte afavorire quello scambio, attraverso ilquale si produce l’ethos che tiene in-sieme la comunità. È la “laicità delconfronto” (Ricoeur) tra persone, cul-ture, esperienze religiose che fannoricca e vitale la società. Una laicità inpositivo, che non si contenta di un’a-gnostica neutralità, ma che si attivaper favorire quel dialogo-comunica-zione, attraverso i quali matura l’ethoscondiviso.

Il contenuto

A quali elementi oggettivi può attin-gere la convergenza etica tra diversinel quadro del pluralismo etico odier-no? Ne suggerisco tre. Il primo è lacomune condizione umana. Non èpoco. Essa suggerisce la pari dignità,la sostanziale uguaglianza degli esse-ri umani, pur nelle differenze antro-pologiche e culturali, nonché la co-mune responsabilità verso la sorte del-la famiglia umana. Il secondo è la ra-gione umana, una facoltà universale,comune a tutti gli uomini, che abilitail dialogo e la comunicazione tra i sog-getti. Anche i più diversi per la lingua,cultura, razza, religione. Nessuna bar-riera rappresenta un ostacolo invinci-bile allo scambio tra esseri umani do-tati di ragione. Il terzo è il valore del-la persona umana, soggetto libero, do-tato di una sua singolarità, cui sonodovuti rispetto e cura.

Sembrano concetti astratti, ma, a benriflettere, non lo sono affatto, anzi so-no pregni di implicazioni concrete sulpiano dei diritti e dei doveri e co-munque rivestono una valenza uni-versale. Ispirandosi ad essi, si può ela-borare un ethos comune, scongiuran-do lo scetticismo di chi misconosceogni legame etico o il fondamentali-smo dei cultori dello scontro di civiltà.

Franco Monacodeputato

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d e n t r o i l g u s c i oa p p u n t a m e n t i

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27 e 28 maggio 2006

Festa nazionaledi Macondo

«Dio ti dà il volto, sorridere tocca a te»

Spin di Romano d’Ezzelino (Vi)Scuola dei Fratelli

delle scuole cristiane

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Campiscuolaestivi

Dal 30 luglioal 5 agosto 2006

Tuzla (Srebrenica, Bosnia Erzegovina)

Incontro e scambio interculturale

tra rappresentanze di lavoratori bosniaci ed esperienze italiane

di volontariatoPer giovani e adulti

dai 20 ai 35 anni

Per informazioni e adesioni:Fulvio Gervasonicell. 335 5378499

e-mail: [email protected]

Dall’8 al 16 agosto 2006Isola Polvese

(Lago Trasimeno)Per giovani dai 18 ai 25 anni

Per informazioni e adesioni:Luca Realdi

cell. 338 6100602 / 335 6724761e-mail: [email protected]

Andrea Agostini - tel. 049 9703471Emanuele Felotticell. 349 0834612

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Per ogni altra informazione e aggiornamento visitare il sito

www.macondo.it

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Laicità è parola ambigua. È stata resaambigua dall’uso che se ne è fatto nel-la storia. E la storia recente ha aggra-vato tutti i tratti della sua doppiezza.Perché laico non è più contrapposto achierico, ma configura i rapporti piùcomplessi tra ragione e fede, tra mon-do e Chiesa, tra non credenti e credenti,tra religioni e fondamentalismi. Tra que-ste difficili frontiere va quindi districa-to il nuovo senso della parola e l’usoproblematico che se ne può fare.

Laico/clericale

Il lato, diciamo così, positivo del con-

cetto, che sta sotto il cono di luce delsenso comune, è quello più facile dadescrivere. Oggi, tutti si dicono laici.Anche i preti. Come tutti si dicono de-mocratici. Anche i padroni. Quandouna parola della vita pubblica perdeil carattere di idea chiara e distinta, eviene assunta da tutti come opzionegenerica, allora è il momento di co-minciare a chiedersi non che cosa es-sa dice ma che cosa essa nasconde.Quando su un concetto non si deli-nea un conflitto, non vale la pena dimaneggiarlo, perché serve soltanto achi vuole che tutto rimanga com’è. Etuttavia, con equilibrio, bisogna sal-vare nella parola laicità quello di buo-

Politica e laicitàCosa dice e cosa nasconde la parola laico

di Mario Tronti

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no che essa conserva. Il contrario dellaico non è il religioso ma il clerica-le. E cioè il religioso come chiesasti-co, qualcosa che si presenta come po-tere vicario, organizzato in strutturagerarchica, in possesso di una veritàassoluta da trasmettere dogmatica-mente al popolo di Dio. Laicità, “sa-na laicità”, in questo senso è criticità,libertà di giudizio da coltivare con stru-menti culturali via via aggiornati allacoscienza mutante dei tempi che cam-biano.

Laico: passare al vaglio le cose

Assumere un punto di vista laico vuoldire disporsi in una dimensione di va-glio critico su ogni problema pub-blico, riguardo quindi ai rapporti oriz-zontali fra gli esseri umani e ai rap-porti verticali tra soggetti e autorità.In questo senso è vero che va non so-lo difesa ma promossa una dimen-sione laica della religiosità, in quan-to fede adulta o fede dell’uomo adul-to, come ci ha insegnato Bonhoeffer.Il contrario della credenza dogmati-ca. Ragione e fede, “in divergente ac-cordo”. E dall’altra parte, come con-troparte conflittuale, ogni forma diintegralismo. L’integralismo è, per ilproprio orizzonte religioso, la stessacosa che il fondamentalismo di altrereligioni: un pericolo, una tentazio-ne di chiusura, di arroccamento, unDio con noi, e soltanto con noi, con-tro altri senza Dio. Un ritornello gior-nalistico di oggi recita: laicità sì, lai-cismo no. Non è una grande distin-zione. Rischia anch’essa di nascon-dere più che di affermare. A menoche non la si metta come Raimon Pa-nikkar la mette con la questione, ana-loga, di relatività e relativismo. DicePanikkar: «Il relativismo distrugge sestesso. Ai suoi occhi una cosa valel’altra… La relatività invece è la con-sapevolezza che qualsiasi cosa io pos-sa dire ha un senso e una pretesa diverità in relazione a un contesto delquale io non sono completamenteconsapevole».

Ecco. Il punto essenziale è proprioquesto: non tanto la pretesa di veritàin relazione a un contesto, ma il fat-to che di questo contesto io non rie-sco a volte ad avere una completaconsapevolezza. Soprattutto nel mon-do di oggi, nella dittatura assoluta del-le idee dominanti, che continuano ad

essere le idee delle classi dominanti,con la capacità di penetrazione cheesse hanno acquisito attraverso l’usoperverso dei mezzi di comunicazio-ne di massa, il contesto, cioè la con-dizione storica concreta, risulta in-controllabile dal basso e manipola-bile dall’alto. La verità non mi si di-ce di cercarla, mi viene offerta bellae pronta: o questa, o dall’altra partel’errore. E non è il solo monoteismoislamico che fa così, ma anche quel-lo ebraico e quello cristiano. Di con-tro, non posso che rivendicare un at-teggiamento laico, cioè critico, cioèautonomo, libero, nei confronti diqualsiasi pretesa di verità.

L’ambiguità delle parole

E qui bisogna però illuminare il latooscuro della parola laicità. Spesso sen-tiamo dire: bisogna affrontare in mo-do laico questo o quel problema. Op-pure: bisogna comportarsi laicamen-te in questa o quella situazione. Spes-so si vuole dire che bisogna mettersifuori del problema, al di sopra dellasituazione, non spendere nell’uno onell’altro caso il proprio impegno, lapropria passione, la propria apparte-nenza, non fare una scelta, non pren-dere una decisione, non schierarsi,non contrapporsi. Essere laici vuol di-re allora essere indifferenti, la cosapeggiore che si possa essere. Esserelaici viene ridotto così all’essere noncredenti e non viene invece elevatoa quell’essere “diversamente creden-ti” di cui ha parlato una volta Nor-berto Bobbio. Insomma, laicità di-venta una condizione di aristocraticasuperiorità rispetto alla fede, o alle fe-di, dei più, al bisogno di credere de-gli “umiliati e offesi”. Una condizio-ne di élite illuminata, rischiarata dal-la ragione che è sempre dei pochi.Non a caso, la cultura laica per ec-cellenza è stata la cultura liberale. Ilcapitalismo, di cui liberismo e libe-ralismo sono stati la più avanzata giu-stificazione, è per sua natura, in que-sto senso, laico, oggettivo, indiffe-rente, non credente.

Relativismo e opportunismo

I processi di laicizzazione vanno dipari passo con i processi di secola-rizzazione. Anche questa, la secola-rizzazione, ha grandi aspetti positivi.

Nel senso di fare della fede una di-mensione più aperta alla ragione, ilche vuol dire più aperta alle altre fe-di e quindi più esposta e disposta aldialogo con tutto ciò che è diverso dasé. Solo il confronto può eliminare loscontro. E poi, i processi di monda-nizzazione, di razionalizzazione, ditecnicizzazione, sono oggettivi, e bi-sogna farci i conti. Ma anche qui, unconto è essere nel secolo, un conto èessere del secolo. Stare in questo mon-do va bene, assumerlo così com’è,immutabile e insostituibile, non vabene. Secolarizzazione vuol dire spes-so inseguire i processi, adattarvisi.Mentre il problema non è certo dibloccarli, cosa spesso impossibile, madi modificarli, sì, invertirne il corso ocorreggerne il senso. Io credo che ilpericolo maggiore oggi non sia il re-lativismo, bensì l’opportunismo. Di-ceva Chesterton: attenzione, la mor-te del sacro non vuol dire che non sicrede più a niente, ma che si crede atutto.

Politica e leggi di mercato

Così quando sentiamo dire, con sod-disfazione: finalmente anche la poli-tica si è laicizzata, con l’avvenutamorte delle grandi narrazioni ideolo-giche, dobbiamo sapere che si dà luo-go consapevolmente a un grave in-ganno. Perché si vuole riportare l’a-gire pubblico a più miti consigli, to-gliergli dalla testa progetti di trasfor-mazione, ridurlo a una pragmaticagestione di ciò che è, avvertirlo di nonmettere ostacoli allo spontaneo vir-tuoso movimento delle leggi di mer-cato. Poi ci si lamenta, o ci si mera-viglia, per il fatto che la politica risultipiù vicina agli affari che agli ideali. Ilnemico da combattere è la privatiz-zazione di ogni aspetto della vita quo-tidiana, conseguenza naturale dellaprivatizzazione del rapporto sociale,a sua volta conseguente alla fine diuna soggettività politica in grado dicaricarsi del compito di cambiare ilmondo. Alle antiche ideologie non sideve dunque contrapporre una mo-derna indifferenza, bensì un nuovomodo di credere nelle grandi cose,un modo non tanto razionale quantoragionevole, perché fatto di passionee di libertà, di impegno civile e di ri-gore morale.

Mario Tronti

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«Ripensare la laicità nel XXI secolo -ha scritto Marco Politi su La Repub-blica del 6 settembre 2005 - significain realtà rifondarla».

Siamo ben lontani oggi dal rifonda-re e forse anche dal ripensare la no-zione di laicità. I tentativi, ovviamen-te, sono numerosi. Le riflessioni, piùo meno ponderate, si sono andate mol-tiplicando negli ultimi mesi. Ma la stra-da è difficile, perché è lunga e diffici-le ogni strada che si trovi ad attraver-sare il territorio frastagliato, cedevo-le, franoso, della sfera pubblica. Qualè il suo spazio? Quali sono i suoi con-fini? Come si muovono gli individuial suo interno? Con quali vincoli, con

quali responsabilità?È il pubblico che oggi è conteso, ed

è il pubblico che oggi manca a se stes-so.

Diceva il poeta Mario Luzi: «Que-sto tempo non ha lingua».

Mi pare sia proprio così: ci manca-no le parole, i concetti, le idee. L’e-sercizio dell’intelligenza pare con-dannato all’afasia o al balbettio, o in-fettato dalla semplificazione che è benpeggio.

Come possiamo arrivare a dare arti-colazione alla giustizia necessaria al-la nostre vite? E che cosa può voler di-re eguaglianza in società ormai as-suefatte al consolidamento delle di-

Impensata nozione

di Maurizio Ciampa

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seguaglianze? Che cosa è stato e checosa è individuo? E in che rapporto vi-ve la religione, e le religioni, con l’in-sieme di queste istanze?

La società si è fatta natura, e, para-dossalmente, questo accade proprionel momento in cui la natura rivela ilsuo inestricabile legame con la società,che tende ad occultare i propri pre-supposti, tace o mette in ombra la sto-ricità che la innerva, guadagna una sor-ta di indiscussa e indiscutibile eternità.

Si stenta dunque a pensare la società.La si descrive, la si racconta, non la sipensa. E inevitabilmente impensata èla nozione di laicità - lo si diceva al-l’inizio di questa riflessione - nono-stante il largo uso che di recente se neè fatto. Impensata, immobile, nellatempesta che, negli ultimi quindici an-ni, ha investito l’Occidente, e, in es-so, il nostro paese.

Liberarsi degli idoli

Ne L’Italia dei laici, Arturo Carlo Je-molo diceva che i laici sono gli uo-mini della ragione, quelli non vinco-lati da un credo partitico, intangibilecome le tavole della legge, che nonsubiscono influenze da confessioni opartiti stranieri, che guardano semprealla realtà, a quello che oggi è possi-bile ottenere.

In anni più vicini, Norberto Bobbiocosì sintetizzava: «Il laico è l’uomo diragione, il credente è l’uomo di fede».

Non credo si vada lontano lungoquesta strada. Ha ragione MassimoCacciari a ricordare che «laico puòessere il credente come il non cre-dente». Non corre qui la frontiera. Pos-siamo cominciare a vedere l’esperienzareligiosa con occhi diversi? Possiamocominciare a sperare in un eserciziodel cristianesimo che non necessaria-mente si sviluppi in “religione civile”?

«La differenza - ha scritto Enzo Bian-chi - non è più fra credenti e non cre-denti, ma fra idolatri e antidolatri». Sitratta allora di disfare la trama idola-trica del nostro tempo, un compitoenorme, si tratta di braccare i moltiidoli cui ci prostriamo. Idolo può es-sere lo Stato ma, oggi, decisamente inrovina, idolo può essere anche la Chie-sa, e mai come negli ultimi mesi, ne-gli ultimi anni, questo è apparso inchiara luce. Le giornate della gioventù,Roma e Colonia, celebrate da tutti imedia, come altro possono essere guar-date? E anche i funerali di Giovanni

Paolo II, con tutta franchezza, evoca-no fasto o nudità evangelica?

Idolo, naturalmente, può essere quel-la ragione che molti vorrebbero a fon-damento della laicità.

Credo sia quasi superfluo dire che,già da tempo, la ragione è giunta altermine del suo ciclo storico. Non hasuperato i conflitti e le antinomie delNovecento. E probabilmente anche lalaicità, che dalla ragione derivava lasua forza e il suo convincimento, haesaurito il proprio compito. Non è nep-pure più un’affermazione di principio,è, in qualche caso, un’istanza difen-siva, o un vago costume mentale.

Interrogarsi

È possibile percorrere un’altra strada?

Mi pare che su un’altra strada si tro-vi Pietro Barcellona nel suo recentis-simo Critica della ragion laica, quan-do pensa alla laicità come a uno sta-to d’incessante interrogazione, unasorta di costante veglia, di rinnovataantidolatria. Dice Barcellona: «La mialaicità corrisponde a sostare, il più alungo possibile, nello spazio dell’in-terrogazione, rifiutando il più a lun-go possibile la risposta che chiudel’interrogazione, la risposta che risol-ve».

Ripensare la laicità: siamo partiti daquesto. L’antidolatria e l’incessante in-terrogazione possono essere i primigesti da compiere per uscire dalla ca-verna dove ogni immagine del mon-do è distorta.

Maurizio Ciampa

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Pietro BarcellonaCritica della ragion laica

Colloqui con Michele Afferrante

e Maurizio Ciampa

Città Aperta Edizioni, Troina,2006, Euro 10,00.

Pietro Barcellona è il pensatoreche più di ogni altro negli ultimianni ha legato il dinamismo de-gli affetti a quello del pensiero.Questo suo ultimo libro, scandi-to da un lungo dialogo con Mi-chele Afferrante e Maurizio Ciam-pa, torna a riflettere su tale lega-me, dove sono in gioco la libertàstessa dell’uomo e il suo futuro,dando un contributo assoluta-mente creativo all’ampio dibatti-to che, negli ultimi mesi, si è an-dato sviluppando, con punte as-sai polemiche, sul tema della lai-cità e del rapporto fra coscienza civile e credo religioso.Seguendo il corso del libro attraverso il pensiero moderno, le scienze so-ciali, l’antropologia, la psicoanalisi, il lettore si troverà proiettato al difuori degli angusti confini di due dogmatismi assolutamente comple-mentari: quello dello scientismo e quello espresso dalla religione istitu-zionale.Il libro può essere letto anche come una prospettiva di liberazione dalpotere schiacciante di questi due dogmatismi, come una possibile viad’uscita.La laicità viene così ridefinita come radicale interrogazione sull’uomo ele cose che lo circondano. Si potrà allora guardare con occhi nuovi, gliocchi della consapevolezza e della responsabilità umane, ai nodi chesembrano stringere, e talvolta soffocare, la vita di tutti: il potere sover-chiante della tecnica, le questioni poste dalle nuove scienze della vita,il processo di globalizzazione, ma anche l’articolazione della famigliaumana e quella dello spazio sociale.

u n l i b r o

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l a T o r à

Corpo di luce, corpo di terra

di Yarona Pinhas

«Di-o creò l’uomo a Sua immagine;lo creò a immagine di Di-o; creò ma-schio e femmina. Di-o li benedisse:prolificate, moltiplicatevi, empite laterra» (Genesi 1: 27).

Quando Adam fu creato, gli angelilo confusero con Di-o, tanto era illu-minato e il suo corpo di luce si espan-deva da un punto dell’universo al-l’altro. Questo corpo fu chiamato zehi-ra ‘ila’a, splendore superiore, e in que-sta fase il nome Adam viene intesocome edamè l’eliòn, simile al Supe-riore. Il secondo capitolo di Genesidescrive un’ulteriore sviluppo nellasua creazione: «Il Signore Di-o formòl’uomo di polvere della terra, gli ispirònelle narici il soffio vitale, e l’uomodivenne essere vivente» (2:7). Comepossiamo integrare le due versioni deltesto? Il primo capitolo parla del prin-cipio vitale che anima la creazione,un “ente” essenziale in sé autonomoe autosufficiente, una cellula prima.In potenza ogni forma di vita era com-presa e possibile al suo interno e ilconcetto della compresenza degli op-posti nello stesso insieme assume unvalore speciale in quanto l’immaginecreata da Di-o ha in sé la completez-za divina.

Quando Di-o benedice la sua “me-ga creatura dormiente” innesca il pro-cesso di differenziazione, ovvero fa sìche inizino tutti quei processi dina-mici, chimici, fisici, cinetici e altro.

Nel secondo capitolo troviamo unulteriore passo in avanti nel processodi creazione differenziata e dinami-ca: i due principi maschile e femmi-nile si separano. Di-o crea la donnadall’osso, la struttura portante e in-terna del corpo di Adam formato dal-la polvere della terra e dal soffio vi-tale.

Il corpo di luce conteneva in sé tut-ta la creazione: la terra, i cieli, gli ocea-ni e le stelle o in altre parole i quat-tro elementi: terra, aria, acqua e fuo-co. Terra, perché fu tratto dalla pol-vere; aria, il soffio vitale ispiratogli da

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s c r i t t u r e a c o n f r o n t o

i l C o r a n o

Il corponella concezione

islamicadi Hamza R. Piccardo

Racconta la tradizione che Allah pla-smò il simulacro di quello che dovevadiventare il nostro padre Adamo conle Sue mani. Quando ogni altra crea-tura è stata creata a partire dall’impe-rativo «kun!» (sia!), questa particolareattenzione del Creatore rivela imme-diatamente una straordinaria attenzio-ne per il genere umano, destinato, co-me il Corano ci insegna, ad essere “kha-lifa fil ard”, luogotenente sulla terra.

Adamo ancora non è uomo, ma so-lo forma che si riconoscerà poi comeumana; è cavo e la tradizione riferi-sce che, per dileggio, un dèmone visi introduce, entrandovi da una partee uscendo dall’altra.

Quando poi al Fatir, Colui Che dàinizio a tutte le cose, decide di com-pletare questa parte del Suo progetto,allora «soffia in lui del Suo spirito» eman mano che esso pervade la for-ma, la riempie di carne, sangue, ossae cartilagini e Adamo diventa uomo.Starnutisce e loda Dio, da Lui ispira-to, e subito dopo sente fame e cercadi alzarsi per prendere uno dei fruttidel Giardino ma ancora non ha gam-be e rovina per terra ricevendo con-testualmente il secondo insegnamen-to «non ti affrettare».

Questo racconto sulla maniera incui il corpo è stato formato, sul comegli è stata data umanità e sulle primeazioni che lo hanno caratterizzato intal senso, è particolarmente significa-tivo della maniera in cui l’islam pen-sa il corpo: natura terrena, forma inun “manufatto” divino, umanizzazioneper via spirituale che si estrinseca nel-l’adorazione del Creatore e, infine per-manere del fatto fisico con tutte le sueconseguenze.

Invero la rivelazione coranica è per-corsa dal senso di una profonda unitàdell’essere umano, non esiste un dua-lismo anima e corpo. L’uomo vi vie-ne disegnato prima di tutto come co-lui che è tratto dalla terra, quindi cor-poreità al pari degli altri esseri crea-ti: «Chiedi loro se la loro natura è più

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Il corpo

di Agnese Mascetti

Affrontare una riflessione, sia pur bre-ve, inerente al corpo a partire dal Nuo-vo Testamento è un’impresa complessa:sarebbe come voler scalare il ghiac-ciaio del Monte Rosa senza scarponie piccozza. Possiamo allora darci l’o-biettivo di sorvolare dall’alto, propo-nendoci una panoramica sugli aspet-ti più importanti del tema, da pensa-re in rapporto dinamico tra loro.

È impossibile riflettere sul corpo sen-za fare riferimento alla cultura in cuise ne parla, la quale orienta e inter-preta approcci e significati.

Precisiamo dunque subito che il cri-stianesimo, fin dai suoi albori, si è in-serito nella tradizione culturale gre-ca, assorbendone l’interpretazionedualista platonica che contrapponecorpo-anima, di cui ancora ai nostrigiorni viviamo tracce più o meno for-ti.

È il Concilio Vaticano II (1962-1965)che ha introdotto un cambiamentogenerale di orientamento e, superan-do le categorie dualiste, ha apertonuove strade verso una comprensio-ne globale della persona umana. Nel-l’attuale periodo storico, sempre piùspesso definito di cambiamento epo-cale, affiora sempre più chiaramentela necessità di tornare alle radici del-la tradizione giudaico-cristiana che èquella in cui si è formato il Nuovo Te-stamento.

Così, lentamente, stiamo vivendoun processo di riscoperta e di rivalu-tazione positiva del corpo, e con es-so della sessualità che ne è stretta-mente connessa.

Il percorso culturale, cui abbiamobrevemente accennato, mette in luceil contrasto forte tra i vissuti culturalipiù concreti in relazione al corpo el’essenza dell’annuncio cristiano chenel mistero dell’incarnazione e dellarisurrezione pone la centralità del suomessaggio di salvezza: «Il Verbo si fe-ce carne e venne ad abitare in mez-zo a noi» (Gv 1,14) e «Credo nella ri-surrezione della carne» recita il Cre-

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Di-o; l’acqua, gran parte del corpoumano contiene liquidi; e infine l’e-lemento fuoco, esh, che scatura dal-le diverse funzioni corporee e cele-brali, ma soprattutto quando l’ele-mento maschile incontra quello fem-minile.

Dopo l’aver mangiato il frutto del-l’albero della conoscenza che divisel’esistenza umana in bene e male, ilcorpo di luce, l’Anima, si divise dalcorpo: «Il Signore Di-o fece per Ada-mo e per sua moglie delle tonache dipelle e li vestì» (3:21).

L’uomo cadde da un mondo che eracompleto e privo di contrasti a unadimensione parziale, dove il bene eil male sono realtà sensibili e dannovita a un caos esistenziale.

Spiega il midrash: «Le parti superiorisono state create a immagine e somi-glianza di Di-o e perciò non si molti-plicano, mentre le parti inferiori pro-lificano e si espandono. Disse il San-to Benedetto: “Se lo creo solo dalleparti superiori, vivrà in eterno, men-tre se solo da quelle inferiori, morirà;perciò l’ho creato da entrambi i com-ponenti. Se pecca, morirà, e se no, vi-vrà”» (Genesi Rabà 8). Il corpo uma-no è una meraviglia proprio perchémanifesta in terra la presenza divinache creò l’uomo a Sua immagine esomiglianza. Quindi, possiamo co-noscere Di-o meditando sulla fun-zione di ogni organo nel corpo, co-me dice Giobbe: «Dalla mia carne ve-drò il Signore» (19:26). Il corpo stes-so esprime forze spirituali celate ainostri occhi per il semplice fatto che,vivendo nel mondo materiale, la vi-suale dell’uomo riesce con difficoltàa concepire ciò che è privo d’imma-gine e corporeità. La parola organo,evar, è composta dalle stesse letteredi barà, creazione e briùt, salute. Lasalute degli organi è una nostra crea-zione. Ogni organo, ogni osso, ognifibra serve a incanalare e realizzareforze superiori velate ai nostri occhi:l’anatomia del corpo è parallela a quel-la dell’anima.

Ogni ebreo è chiamato ad osserva-re 613 mitzvòt, precetti, ricevuti conla Torà sul Monte Sinai e suddivisi in248 positivi, collegati agli organi e365 negativi, relativi al sistema di tra-smissione nervoso e motorio. I pre-cetti positivi sono collegati al mondomateriale, maschile, mentre i 365 ne-

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s c r i t t u r e a c o n f r o n t o

forte di quella degli altri esseri che noiabbiamo creato: in verità li creammodi argilla impastata!» (XXXVII, 11), pervivere in una terra: «O Adamo abitail Giardino tu e la tua sposa…» (II,35), in relazione con l’altro, di cuil’immagine più pregnante è il rapportouomo-donna che ancora viene de-scritto in termini corporei: «esse so-no una veste per voi e voi una vesteper loro» (II, 187).

L’uomo nella sua interezza è segnodi Dio, non solo nella ragione o nel-l’anima: «Fa parte dei Suoi segni l’a-vervi creati dalla polvere ed eccoviuomini che si distribuiscono (sulla ter-ra)» (Corano XXX, 20). A Dio dob-biamo tutto il nostro essere: «… quin-di gli ha dato forma e ha insufflato inlui del Suo Spirito. Vi ha dato l’udito,gli occhi e i cuori. Quanto poco sie-te riconoscenti!» (XXXII, 9).

L’essere umano è terra e spirito, tan-to che anche le immagini della con-dizione finale non lo descrivono li-berato dal corpo, al contrario propriouna corporeità rinnovata e pienamentesoddisfatta nelle sue relazioni fonda-mentali è espressione della condizio-ne paradisiaca, di cui abbiamo sen-tore nel nostro immaginario del desi-derio e del piacere.

La nostra storia si gioca così, dall’i-nizio alla fine: «È Lui che vi ha datola terra come culla… Da essa vi ab-biamo creati, in essa vi faremo ritor-nare e da essa vi trarremo un’altra vol-ta» (XX, 53-55).

do (451 d.C.) con cui ogni domenicaprofessiamo la nostra fede durante lamessa.

«Non avranno più fame, né avran-no più sete, né li colpirà il sole (...)Dio asciugherà ogni lacrima dai loroocchi». In questo modo l’ultimo librodel Nuovo Testamento, quello del-l’Apocalisse (cap. 7 e 21), nell’an-nunciare il mistero della Resurrezio-ne finale ci propone un’immagine con-creta e tenera di Dio.

Scorrendo i vangeli incontriamo so-vente Gesù che seduto a tavola man-gia e beve con amici, o guarisce per-sone attraverso il corpo: «Chi mi hatoccato?» (Lc 8,45). Gesù prese daparte il sordomuto, «gli mise le ditanegli orecchi, sputò e gli tocco la lin-gua con la saliva» (Mc 7,35) e subitoegli guarì. Un bicchiere d’acqua of-ferto al più piccolo è come offerto aLui, fino a giungere al gesto della la-vanda dei piedi e al «Prendete e man-giate, questo è il mio corpo, questo èil mio sangue. Fate questo in memo-ria di me» in cui Egli istituisce l’Eu-caristia, segno della sua presenza tranoi.

Andando oltre l’approccio dualistadi cui abbiamo parlato, per Paolo nel-le sue Lettere il corpo diviene simbo-lo della Chiesa, Corpo di Cristo. «Noitutti credenti, siamo stati battezzatinello stesso Spirito per formare un so-lo corpo e come nel corpo ci sonomolte membra così siamo anche noiin Cristo Gesù» (1 Cor. 12).

l a T o r à i l C o r a n o i l n u o v o t e s t a m e n t o

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s c r i t t u r e a c o n f r o n t o

gativi agli organi interni, al femmini-le. Perciò fu creato prima l’uomo, oin altre parole, l’esteriore e, solo do-po, la donna, l’interiore.

Adempiere ad un precetto equivalea “nutrire” la parte del corpo corri-spondente. Ogni organo, a sua volta,ha un corrispettivo nel mondo spiri-tuale, che è la vera fonte di nutrimento.Il rispetto di ogni precetto ha di con-seguenza un effetto sia nel microco-smo che nel macrocosmo.

Yarona Pinhaslaureata in storia dell’arte e linguistica,

università ebraica, Gerusalemmelettrice all’orientale di Napoli

Allahumma,tra le Tue creature ci hai sceltocome ricettacolo dello Spirito che da Te proviene.Questa presenza impone al nostrocorpo una regola,alla nostra mente una disciplina.Entrambe sono foriere di sublimi sod-disfazioni e aspre rinunce.Le prime ci rendono possibile que-sta vita,l’altre, l’Altra.

[Tratto da Luci prima della Luce,H.R. Piccardo, Ed. Al Hikma, Imperia, 2006]

Hamza R. PiccardoSegretario nazionale dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni

Islamiche in Italia (Ucoii)

Inoltre nell’invitare a non utilizzareil corpo in modo immorale egli affer-ma: «O non sapete che il vostro cor-po è tempio dello Spirito? Vi esortodunque ad offrire i vostri corpi comesacrificio vivente, gradito a Dio; è que-sto il vostro culto spirituale» (Rm.12,1).

Il corpo, la storia concreta di ognigiorno, è, dunque, per ciascuno dinoi, l’opportunità d’incontro con lasalvezza che il Vangelo ci annuncia.

Possiamo anche noi fare nostre confiducia le parole del salmista: «Il miocorpo per te non aveva segreti quan-do tu mi formavi di nascosto e mi ri-camavi nel grembo della terra» (Sal.139,15); e ancora «Il mio corpo ripo-sa al sicuro: perché mi mostrerai lavia che porta alla vita» (Sal. 16,9-11).

Agnese Mascetti

l a T o r à i l C o r a n o i l n u o v o t e s t a m e n t o

Quest’anno c’è un nuovo modo di dare una mano! Infatti puoi destinare il 5 per mille dell’IRPEF direttamente a Macondo,

con una firma nella tua dichiarazione dei redditi.

Questa scelta non comporta alcun costo per il contribuente e non è in competizione con l’8x1000 che potremo continuare a destinare come preferiamo!

Una piccola parte delle tue tasse non sarà incamerata dall’erario ma verrà versata all’Associazione Macondo.

Come fare per destinare il 5 per mille della propria IRPEF all’Associazione Macondo? È sufficiente indicare nell’apposito riquadro presente in tutti i modelli delle dichiarazioni dei redditi (CUD,

modello 730, UNICO persone fisiche) il codice fiscale dell’Associazione e apporre la propria firma. Null’altro. Ma niente di meno… un errore nel codice fiscale e la tua scelta sarà stata vana. Successivamente lo Stato verserà

l’equivalente di quanto i contribuenti hanno deciso di destinare, senz’alcun costo aggiuntivo per essi.

È quindi importante che ci aiuti a diffondere questo messaggio!

Mandalo agli amici e chiedi anche a loro di portarlo con sé quando

andranno al CAF per fare il 730 o dal commercialista.

Ricordati e chiedi anche a loro di indicarecorrettamente il codice fiscale di Macondo.

Un grazie di cuore a tutti.

Associazione MACONDO onlus Codice fiscale 91005820245

via Romanelle, 12336020 Pove del Grappa (Vicenza)

Consulenza di SISIFO ITALIA

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Nella fortunata e stimolante collanadelle Vele, Einaudi pubblica un inte-ressante contributo del Prof. G. Za-grebelsky, costituzionalista autorevo-le e già presidente della nostra Cortecostituzionale.

Il saggio - che in parte sviluppa ri-flessioni anticipate in un intervento al-trettanto incisivo pubblicato su unadelle più note ed apprezzate riviste disettore: La Corte in-politica, in Qua-derni costituzionali, n. 2, giugno 2005,pp. 273-282 - muove da un interro-gativo apparentemente molto sempli-ce: come è possibile che la Corte co-stituzionale, il custode della normasuprema dell’ordinamento giuridico,per giudicare sull’incostituzionalità diuna legge, debba, nel segreto della ca-mera di consiglio, “mettere ai voti”,tra i singoli membri del collegio, il va-lore di principî che per la loro stessanatura (costituzionale e, per l’appun-to, fondamentale) non sopportano ilcondizionamento di una scelta di so-la maggioranza?

La questione, posta in tali termini,potrebbe sembrare assai insidiosa, poi-ché con essa gli interpreti e i singolicittadini sarebbero indirettamente in-vitati a ritenere che la Corte, a so-stanziale dispetto di ciò che più do-vrebbe caratterizzarla (l’assoluta neu-tralità della legge costituzionale e delgiudizio su di essa fondato), operi po-liticamente. Di ciò sarebbe prova lacircostanza potenzialmente disarmanteche, in sede decisionale, la possibiledivisione in “gruppi” contrapposti trai giudici che fanno parte del collegiolasci trasparire la conseguente even-tualità che l’alternativa finale tra le di-verse opzioni valutative così contrap-poste costituisca l’esito inevitabile diuna scelta ideologicamente orientata.

Il nodo da sciogliere è subito chiaro:«La Corte costituzionale è dentro la po-litica, anzi ne è uno dei fattori decisivi,se per politica si intende l’attività fina-lizzata alla convivenza. La Corte è non-

politica, se per politica si intende com-petizione tra parti per l’assunzione e lagestione del potere. Il procedere tra-mite voti che decidono (…) sarebbecompatibile con la politica nel suo se-condo significato, anzi ne potrebbe es-sere la testimonianza; è problematico,invece, in riferimento con la politica nelsuo primo significato».

Ciò nonostante, nella linea rico-struttiva prescelta dall’autore, l’insi-dioso problema così sintetizzato nonha ragione di porsi.

Sulla Costituzione, infatti, non si vo-ta mai; il voto dei giudici avviene se-condo la Costituzione. In buona so-stanza, la collegialità che regola l’at-tività decisionale della Corte è im-prontata alla migliore realizzazionedella “funzione repubblicana” di cuila Corte medesima è titolare per la Co-stituzione stessa; e una simile “fun-zione” è assolutamente sottratta alladialettica delle maggioranze politiche,poiché il suo scopo consiste nel pre-servare l’equilibrio istituzionale de-mocratico dalle possibili patologie cheesso stesso può generare («La giusti-zia costituzionale protegge la repub-blica e per questo limita la democra-zia, perché vale a preservarne il ca-rattere di specificazione della repub-blica. La sua funzione è specificamentedi evitare che qualcuno, una parte sol-tanto, si impadronisca della “cosa ditutti”, estromettendo l’altra parte dal-la proprietà comune»).

Diritti umani e libertàfondamentali

In questo numero, la rubrica dal di-ritto ai diritti ospita una piccola no-vità. D’ora in poi, infatti, ci si propo-ne di offrire periodicamente ai lettoridella rivista un itinerario tematico diriflessione, selezionando e illustran-do brevemente opere recenti e facil-mente accessibili al grande pubblico.

Sulla funzione politicadei principî costituzionaliUna questione da sciogliere?

di Fulvio Cortese

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Per cominciare da un argomento par-ticolarmente vicino alla sensibilità deilettori e allo spirito di Madrugada, sisegnala un possibile percorso di gra-duale e guidato approfondimento del-le problematiche più attuali della de-finizione e della tutela dei diritti uma-ni e delle libertà fondamentali.

Un primo stadio, per così dire de-scrittivo o riepilogativo dello stato del-l’arte in questa complessa materia,può essere rappresentato dal recentesaggio di A. Cassese, I diritti umani og-gi, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 254.

L’opera merita una menzione del tut-to particolare, non soltanto per il fat-to che l’autore è stato il primo presi-dente del Tribunale penale interna-zionale per l’ex Jugoslavia, bensì an-che per la circostanza che l’intento di-vulgativo del testo non trascura mai diaffrontare con precisa meticolosità econ abbondante corredo di dati e dinotizie gli snodi più delicati degli ar-gomenti di volta in volta esposti: dal-l’illustrazione dei principi internazio-nalistici, così come accolti negli stru-menti convenzionali più importanti(Dichiarazione universale del 1948,Convenzione europea del 1950, Car-ta di Nizza del 2001), alla discussio-ne critica delle principali fattispecie diviolazione dei medesimi principi (conparticolare attenzione al genocidio, al-la tortura e alle nuove forme aggressi-ve connesse al fenomeno terroristico).

Il saggio in esame, inoltre, va ricor-dato anche per un ulteriore profilo. Leconclusioni della riflessione svolta cirammentano con forza che la tuteladei diritti umani esige un profondo ri-pensamento e che i possibili pilastridi una futura e coerente strategia do-vrebbero concentrarsi attorno al rag-giungimento di pochi ma fondamen-tali e convergenti obiettivi: 1) con-centrare l’attenzione su un ristretto nu-mero di diritti essenziali; 2) predisporrepochi e rapidi strumenti di controlloe di garanzia effettiva del rispetto e/odell’attuazione di tali diritti essenzia-li; 3) estendere ed accentuare la ri-sposta penale alle violazioni più gra-vi; 4) prevedere forme eccezionali econdivise di intervento armato fina-lizzate alla cessazione delle violazio-ni su larga scala.

Sempre sul piano della ragionata in-troduzione critica, non si può dimen-ticare il testo di A. Neier, Alla conqui-sta delle libertà. Quarant’anni di lottaper i diritti, Codice Edizioni, Torino,2005, pp.408. L’opera, frutto appas-

sionante e avvicente di un’esperienzamaturata “sul campo” dall’ex diretto-re dell’American Civil Liberties Union,nonché fondatore dello Human RightsWatch, una delle più attive organiz-zazioni per la tutela dei diritti umaninel mondo, è curata da Marcello Flo-res, storico italiano particolarmente sti-mato, e presenta uno spaccato assaianalitico di “quattro decadi di lotta peri diritti” (dal 1963 al 2003).

Una teoria laica dell’origine dei diritti

Un secondo stadio, viceversa mag-giormente “speculativo”, può essereagevolmente sperimentato attraversola lettura di due contributi tra loro tan-to diversi quanto sorprendentementeaffini.

Il primo è la traduzione italiana delsaggio di A. Dershowitz, Rights fromWrongs. Una teoria laica dell’originedei diritti, Codice Edizioni, Torino,2005, pp. 231.

Di questo autore la presente rubri-ca ha già trattato in occasione di unaprecedente riflessione sulla tortura esulle teorie utilitaristiche cui fanno tal-volta ricorso parte degli studiosi ame-ricani per giustificare, nel contesto del-la repressioni dei fenomeni terroristi-ci globali, la violazione dei diritti di“pochi” a fronte della protezione del-le libertà di “molti”.

Il saggio affronta con chiarezza e con-cisione il tema classico dell’indivi-duazione della fonte ultima dei diritticosiddetti “inviolabili”. A giudizio del-l’insigne giurista statunitense, le tesipiù note e tradizionali (i diritti in que-stione derivano dalla Natura, da Dio,dalla logica, dalla legge o da qualsi-voglia criterio “esterno” di legittima-zione superiore) sarebbero tutte facil-mente contestabili: l’origine dei dirit-ti individuali dovrebbe piuttosto ri-scontrarsi in un’esperienza che vieneesplicitamente definita quale “cultu-rale”, giacché, in tale prospettiva, l’e-sigenza di tutelare determinate situa-zioni soggettive deriverebbe diretta-mente dall’esperienza umana, ossiadall’esperienza storica dell’ingiustizia.

Questa la dichiarazione program-matica dell’autore: «Dagli errori del-la storia abbiamo appreso che un si-stema basato sui diritti e sulla difesadi alcuni diritti fondamentali (…) è es-senziale per impedire il ripetersi de-gli errori del passato. Partendo dun-

que dal basso verso l’alto, da un pun-to di vista che prenda in considera-zione tutto il peggio dell’umanità in-vece che, dall’alto verso il basso, dauna teoria utopistica della giustiziaperfetta, costruiremo i diritti sulla ba-se di tentativi, errori e sulla capacitàtipicamente umana di imparare daipropri errori in modo da evitare cheessi si ripetano».

Odradek, chi è costui?

Nella stessa direzione, ma con meto-do e intenzione dichiaratamente op-posti a quelli abbracciati da A. Der-showitz, si muove anche S. Zizek, Di-ritti umani per Odradek?, Nottetem-po, Roma, 2005, pp. 36, il cui pur sin-tetico contributo evidenzia una fon-damentale contraddizione così comenaturalmente e inevitabilmente insitanella rappresentazione “universale”ed “eguale” dei diritti umani.

Seguendo implicitamente suggestionigià avanzate dalla geniale prospetta-zione di Hannah Arendt (di cui v., inparticolare, Ebrasismo e modernità,Feltrinelli, Milano, 5ª ed., 2003, pp.228), il sociologo sloveno assimila lacondizione del soggetto titolare di di-ritti universali e inviolabili al celebre“essere” di nome Odradek, raffigura-to da Franz Kafka e simbolo di un’en-tità che assomiglia ad un essere uma-no senza tuttavia averne le chiare einequivocabili sembianze.

In tal senso, l’uomo concreto, che,pur essendo titolare di diritti umani in-comprimibili e irrinunciabili, non siatuttavia destinatario di una reale pos-sibilità di essere cittadino attivo di unacorrispondente realtà politica, è pa-ragonabile al “mostro” kafkiano, e ciòper la ragione che esso, nell’apparen-te manifestazione della sola essenzadella natura umana (i diritti umani, ap-punto), dimostra pienamente la pro-pria estraneità da qualsivoglia uma-nità storica e reale.

Affermare, pertanto, l’assoluta tute-la dei diritti umani e delle libertà fon-damentali, senza con ciò rendersi re-sponsabili della sollecita e pratica de-finizione delle condizioni materialiche rendano storicamente consape-vole ed operante il loro possibile tito-lare, equivarrebbe a forgiare identitàtalmente astratte e lontane dal risul-tare paradossali e insignificanti.

Fulvio Cortese

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Perdere vincendo

Sì, avete letto bene. Mi piace pensa-re di avere una squadra di calcio co-me sorella e di avere soprattutto “quel-la” squadra, che rappresenta al me-glio la mia proiezione più istintiva, vi-scerale, recondita, in fin dei conti piùautentica. Non avrei mai potuto tuf-farmi in un’immagine diversa, né esi-ste al mondo un quadro che esprimacosì profondamente la mia persona-lità e i miei desideri irrealizzati. Perme l’Inter è una “way of life”, un iti-nerario ideale, uno “status” perma-nente così limpido e solare da brilla-re come il riflesso del sole sull’oriz-zonte.

Io e l’Inter rappresentiamo quoti-dianamente il senso transitorio dellavittoria e la certezza irresistibile del-la sconfitta.

Vinciamo di tanto in tanto, così co-me di tanto in tanto ci pare di afferra-re il trofeo che abbiamo davanti, ane-lando dolcemente a un traguardo chepare finalmente raggiunto. Poi, alla fi-ne della competizione, ci dobbiamosempre accontentare, dicendo primadi tutto a noi stessi che sarà per la pros-sima volta, se Dio vorrà e se avremopiù fortuna.

Come nessun altro abbiamo impa-rato a metabolizzare la sconfitta e asbriciolare l’amarezza in tantissimeminuscole zollette che ci danno sen-sazioni meno forti e dolorose.

Recitiamo sempre attentamente laparte di chi analizza la sconfitta finnei suoi dettagli più nascosti: colpadel portiere, della difesa, del centro-campo, dell’attacco, dell’allenatore,dell’arbitro, degli avversari, dell’am-biente, dei tifosi, della società, delcampo fangoso, del campo rinsec-chito, del campo gibboso, del mondocinico e baro. Finora non abbiamo in-colpato soltanto il Dio di Gesù Cristo,anche se qualche volta siamo sfioratidal dubbio che anch’Egli sia juventi-

no o milanista o magari semplicementeamico di chi vince al nostro posto.

Sorridiamo di noi stessi, delle no-stre mancate vittorie, dei nostri limi-ti, della nostra sfortuna. Ormai ab-biamo una concezione straordinaria-mente addolcita della nostra carenzaaffettiva. Il tifoso interista è come unuomo che ama tutte le donne e chenon riesce nemmeno a farsi apprez-zare dalla più nascosta e insignificantetra loro. È un vincente potenziale, “infieri”, in divenire. Accoglie dentro sestesso tutte le ansie più legittime del-l’umanità e le riversa in una speranzainfinita, incommensurabile, indicibi-le, invincibile.

Noi vinciamo sempre. Con il cuoree con i sogni noi vinciamo. Noi vin-ciamo elegantemente e sportivamen-te e, vincendo così, noi cavalchiamoil futuro di uno sport bellissimo comeil calcio, che purtroppo non esiste piùda tempo e che noi ci ostiniamo amantenere in vita con il nostro tra-sparente romanticismo.

Ecco perché l’Inter, modestamente,sono io.

Corso, Herrera e Jair

Io voglio un gran bene a mia sorella.L’ho conosciuta ancora bambino e daallora non me ne sono più staccato.L’ho sempre amata di un amore di-sincantato, sincero, posato, raziona-le, quasi austero.

Mi ricordo ancora, come se fosse og-gi, la voce stridula di mio padre da-vanti alla televisione in bianco e ne-ro, una di quelle Telefunken con lamanopola a lettere per cambiare ca-nale nella parte retrostante.

«Stasira g’ha giüga l’Inter» - «Stase-ra gioca l’Inter». Era un evento stori-co per una squadra, la Grande Interdi Angelo Moratti e di Helenio Her-rera, che faceva sognare operai e im-piegati, contadini e commercianti, in-

Sorella Inter

di Egidio Cardini

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dustrialotti della ghisa e studenti inprocinto di aprire la stagione della con-testazione.

«Gol!». Il grido era secco, forte, si-mile a una fucilata improvvisa. «Papà,chi ha segnato?» - «G’ha signàa Cor-so». Aaaah, Mariolino Corso... Ma velo ricordate? La foglia morta, i calzet-toni abbassati, il suo trotterellare al-l’ombra per non sudare troppo... E poiquei gol da sornione. «Gol! G’ha si-gnàa Corso. Al g’ha fai la foglia mor-ta». Che tempi...

Andando allo stadio, voi potete leg-gere ancora, negli occhi e nel cuoredi quella gente, che oggi vive di spe-ranze sempre frustrate, proprio le fo-glie morte di Corso, i lanci di Suarez,le corse di Jair, i dribbling di Mazzo-la, le avanzate di Facchetti, le cialtro-nate del Mago. Perché Herrera era pertutti il Mago e, come tutti i maghi, eraun amabile cialtrone.

Allenare non sapeva, la partita nonla leggeva, la squadra non la capiva.Si limitava a dire, in quell’italiano spa-gnoleggiante così ridicolo: «Andia-mos a ganar el partido, porché noso-tros siamos l’Inter». Il povero Picchiassestava la difesa, il classico Suarezassestava il centrocampo, l’abile Cor-so assestava l’attacco e poi via: «an-diamos a ganar». E il merito era delMago.

La mia prima maglia nerazzurra èstata un evento memorabile. La guar-davo in continuazione allo specchio,con quei rigoni così larghi, e non lalasciavo mai. Mia madre mi aveva cu-cito addosso la stella gialla, quella deidieci scudetti che noi avevamo già vin-to e il Milan invece no. E poi il nu-mero undici sulle spalle: naturalmen-te quello di Mariolino Corso. Tiravo ilpallone contro il muro e poi, quandomi ritornava indietro, io lo aspettavocon le calze abbassate e la stessa ariasorniona. Poi mi fermavo lì per una ra-gione molto semplice: non ho mai sa-puto giocare al pallone.

Ero incerto se preferire Corso o Jair.Poi ho scelto il primo perché Jair cor-reva troppo forte per rappresentare unbimbo piccolo e gracile come me.«Jair, Jair, Jair, cross per Mazzola, re-teeeee!». La voce appassionata di Ni-colò Carosio era un impeto che agi-tava il cuore.

Il tifoso bambino

Ho provato lo stesso impeto quando

ho visto per la prima volta mia sorel-la nell’ottobre 1967 allo Stadio SanSiro. Indimenticabile.

Mi ricordo ancora il parcheggio tragli alberi di Via Harar e le poche au-tomobili in circolazione, il bigliettoche costava mille lire, la severità delcontrollore all’ingresso, la salita sullarampa del secondo anello, la mano dimia madre da un lato e quella di miopadre dall’altro. «Stai attento a noncadere dai gradini perché sono alti».Raccomandazione inutile, perché Egi-dio era asceso verso il cielo, come Ge-sù Risorto, come Maria Assunta, co-me gli Angeli Custodi.

La pubblicità del Cinzano, la can-zoncina dei magazzini All’Onestà, gliaerei da turismo con la striscia attac-cata alla coda e la scritta: «Bevete Ra-mazzotti». Io non volevo bere Ra-mazzotti, io aspettavo Mariolino Cor-so, Sandrino Mazzola, Jair da Costa epoi il Mago che salutava «los tifososde San Siro che vienen para veder giu-gar l’Inter».

Uno a zero al Lanerossi Vicenza: goldi Mazzola. Ma che importa? Quelloche importava era che finalmente ave-vo visto l’Inter, avevo visto me stesso,avevo visto il mio futuro. Come l’In-ter, io sono nato con idee grandi e poimi sono ridimensionato poco alla vol-ta. Oggi io e mia sorella andiamo abraccetto in un mondo di cavalieri no-bili e interi, ma fuori dalle cose di que-sto mondo, in un nostro mondo di sen-timenti puri, di tensioni umanissime,di cuori integri e spezzati.

L’anima di Peppino Prisco è la no-stra portabandiera. Spesso siamo in-telligenti come lui, ironici come lui,disincantati come lui. Peppino dal cie-lo disegna la storia di ciascuno di noi,che siamo passati tra decine di alle-natori bruciati e di calciatori falliti.

Però come noi non c’è nessuno. Noisappiamo sorridere amaramente e gioi-re con poco, come i vecchi ai qualibasta un ricordo per essere contenti ecome i bimbi ai quali basta un saltoper sentirsi felici.

Al gol del 3-2 di Adriano, nell’ulti-mo derby, ho fatto un salto. «Go...».E mi sono fermato subito, stroncandol’urlo in gola. «Oddio, che cosa sto fa-cendo? Salto come un bimbo? Nonposso più!». Non lo facevo da anni,sapete? In quel momento sono statocapace di leggere gli sguardi della gen-te che veniva inquadrata sugli spalti eche sembrava dire, dal profondo di uncuore finalmente in subbuglio: «Sia-

mo anche noi come gli altri! Siamoproprio come gli altri! Ogni tanto vin-ciamo anche noi il derby al novante-simo!». Che gioia! Che felicità! Chesensazione stupenda! Pensateci, ami-ci, anche noi come gli altri...

Noi vinciamo sempre

Ti voglio bene, sorella Inter, perché avolte mi sento proprio come te: bellodentro e pasticcione fuori, veloce co-me un fulmine nelle intenzioni e len-to come una lumaca nella realtà, bril-lante nei sogni e deludente nella vitadi ogni giorno.

Noi abbiamo la capacità di nascon-dere le lacrime dietro un sorriso ama-ro, in una battuta caustica, in un attodi apparente superiorità. La speranzaci mantiene in vita e ci conferisce di-gnità. Tu questo lo sai, sorella Inter. Esai anche che incredibilmente il nu-mero dei tuoi tifosi, pur con il passa-re dei giorni senza una vittoria signi-ficativa, invece di diminuire, cresce.I bimbi, gli adolescenti, i ragazzi, gliinnamorati, gli sfigati, gli immigrati,gli adulti, i vecchi si accalcano allatua porta. Tutti quelli che hanno unsogno davanti ti vogliono bene e spe-rano insieme a te. Ci sarà pure un mo-tivo in tutto questo. Noi raffiguriamol’umanità che rincorre e che chiedeagli altri di aspettarci un momentino.Adagio adagio veniamo avanti anchenoi.

«Mamma, io voglio tenere all’Inter,ma mi hanno detto che perde sempre»- ha detto il bimbo di una mia colle-ga a sua madre.

L’Inter perde sempre? No, tesoro mio.Noi vinciamo sempre, perché abbia-mo un cuore che non smette mai dibattere e di sognare. Con noi il desi-derio dell’amore compiuto e un gior-no realizzato non manca mai. Noi can-tiamo la speranza, tesoro mio.

Ti canto, sorella Inter. Anzi, cantia-moci insieme. Io canto la tua puliziae il tuo candore e tu canta pure il miosguardo desideroso di umanità e di af-fetto.

Però ti confido anche che sono piut-tosto preoccupato, perché il giorno incui vincerai qualcosa di importante,magari lo scudetto o la Coppa dei Cam-pioni, poi toccherà anche a me.

Devo dirti che non ci dormo la not-te. Minchia, sorella Inter, e se poi nonsarò all’altezza?

Egidio Cardini

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Che domani sono qui

Arrivano i cinesi, arrivano a milioni,più gialli dei limoni che bevi dentro alté... Così Bruno Lauzi, miliardi di an-ni fa. Era un quarantacinque giri conla fascetta bianca e rossa, che infila-vamo dentro al mangiadischi aran-cione, tra Jeeg Robot d’acciaio e I so-gni son desideri, godendo della reat-tività di quella molla che metteva inmoto il meccanismo sonoro. Un gran-de tappeto rosso e nero, quattro fra-telli con addosso le babbucce di la-na, la casa vecchia di via Ospedale,il parquet tutto sconnesso e fuori ilgiardino che aspettava, spiovuto.

Arrivano i cinesi e mangiano felici lequaglie e le pernici che hai preparatotu. Con chi parlava, Lauzi? A rubizzecasalinghe lombardo-venete, con lafronte imperlata dallo spignattare? Agrasse matrone di Trastevere, con iguanti da forno e la traversa unta? Adaffabili signore bolognesi, coi fianchiun po’ molli, il seno sul piano pada-no, ed il culo sui colli?

Immaginava forse una tavolata pa-cifica: tanti volti orientali mescolati ainostri, uno scambio di vivande, risocontro lasagna, in nome dell’unicitàdei succhi gastrici?

Abitare luoghi comuni

Un sogno, forse. Ma una voce ci de-sta, improvvisa. È quella di un paffu-to bambino padovano, che spicca trale altre colorate di un gruppo acierre,in una parrocchia euganea, gente abi-tuata a infangare adipi teutonici. L’a-nimatrice si preoccupa per una pie-tanza scaduta: la data stampata sul re-tro della confezione non ammette re-pliche. È da buttare. E il candido vir-gulto esclama: no, diamolo ai cinesi!

Non andiamo lontano. Terza liceo,scuola cattolica. Cerco di farfugliarequalcosa sul concetto di crisi, di eva-

dere da quella demografica e agrariadel milletrecento, per suscitare unoscambio sull’attuale congiuntura. Do-ve li trovate voi, i segni della crisi? Sifa qualche cenno ai prezzi, alle fab-briche spostate all’est, al costo dellabenzina. E poi si trova il capro espia-torio, il consueto montone impigliatocon le corna nel cespuglio del perbe-nismo. È colpa dei cinesi, perché nonseguono le regole: e allora tanto valeinsistere in percorsi corretti, qui nonc’è concorrenza. È colpa dei cinesi, edei magistrati, e dell’Europa. Come se,alla faccia di Tocqueville, le leggi fos-sero opera del giudiziario, e, alla fac-cia di tutti i candidi Delors idealisti,l’Unione Europea fosse una manica dibabbei fermi alla metà del XX secolo.

Entriamo in una fase post-Erasmus?I sederini firmati di molti dei miei stu-denti rischiano di non vedere la sediadelle biblioteche di Heidelberg, Bar-cellona, Dublino o Glasgow. Meglioterminare gli studi in tempo, megliorimanere in Italia, meglio sopire stra-ne curiosità e non cercare teorie com-plesse, che se non stiamo attenti lostraniero ci ruba la quaglia e la per-nice di mammà.

Prove tecniche di ghetto?

Dunque il problema sono i cinesi. Livediamo dietro i banconi dei bar del-le piazze, indaffarati e silenziosi, op-pure a fare caffè nei quartieri appenafuori le mura. Poi lo spritz glielo com-priamo e nel bar Raggio di sole, o qual-cosa del genere, poco lontano dal mioportone, c’è gente fino a tarda sera,un Fernet e due battute con gli occhia mandorla.

La vita sociale sta tra il pachidermaed il bradipo: si muove lenta, compiemovimenti circolari amplissimi, sem-bra non avere obiettivi a immediatotermine, se non la sopravvivenza. Einsieme ha una scorza durissima da

Muoversi tra le ombre cinesiUn’intelligenza binaria non basta

di Giovanni Realdi

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cambiare, una pellaccia che pare in-distruttibile, che nulla potrebbe scal-fire. Eppur si cambia.

Chi e cosa decide che i cinesi sonoun problema? Perché la Cina fa pau-ra? È una questione che riguarda il si-gnor Gucci e la signora Prada con leloro borse già finite duplicate a cen-tinaia? Che differenza passa tra quel-li stipati nelle Mercedes nere che scen-dono a recuperare l’incasso della gior-nata e quelli che stanno dietro al ban-cone a riempire tramezzini? Ma le do-mande urgenti sembrano altre: avetemai visto un funerale di un cinese? Uncinese all’ospedale? In sala maternità?Ma i cinesi, quando muoiono, dovevanno? Morbose curiosità enigmisti-che, buone da sibilare mentre il cap-puccino si raffredda, buttate là tra iltempo che non si rimette ancora e ilparcheggio che non trovi mai. E Pa-solini: «è la tolleranza che crea i ghet-ti, perché è attraverso la tolleranza chei “diversi” possono uscire alla luce, apatto però di essere e restare mino-ranza, accettata ma individuata e cir-coscritta. La tolleranza è l’aspetto piùatroce della falsa democrazia. Ti diròche è addirittura molto più umiliante

essere “tollerati” che essere “proibiti”e che la permissività è la peggiore del-le forme di repressione».

Il paese delle scorciatoie

Ogni mattina sono costretto a impe-gnare un incrocio. È la svolta a sinistraper immettersi nella strozzatura di unponte di metallo, uno di quelli che pun-teggiano il Bacchiglione. La corsia disvolta è pensata per un’unica fila diauto. Ma ogni mattina la fila è doppia:puntualmente una serie di vetture siaccosta a destra di quelle già in attesae al verde si getta nella mischia.

Facile. Siamo tutti esperti scarpina-tori del Club Alpino: cerchiamo scor-ciatoie, apriamo nuove veloci vie. Ognimattina non mi rimane che il clacson,

ora che i gestacci sono stati giudicatipossibile reato.

La facilità è la scorciatoia: troviamostratagemmi per fare meno strada, perpassare in fretta un esame, per recu-perare gli anni di scuola, per pagaremeno tasse, per guadagnare di più,per individuare le cause dei nostri ma-lanni, per tappare il buco del debitopubblico. La facilità è il paradigma:dallo schermo televisivo tutto sbucameno difficile. Governare un paese èun hobby da imprenditori o da inge-gneri, che sistemano in alcuni graficianni di crisi economica e in alcunebattute più di un secolo di dibattitodottrinale e giurisprudenziale. Non cipassa mai per la testa che è difficilecapire come funziona una finanzia-ria, come va fatta una riforma dellaCostituzione, quali sono le dinamichedel mercato internazionale? Perchénessuno ci dice che le risposte sonocomplesse? Che i colpevoli non sonoalla luce del sole?

I cinesi? Adesso sono forse più sim-patici perché stanno dentro al Gran-de Fratello.

Giovanni Realdi

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«[…] quel che ci commuoveva di più,che costituiva per noi un insegnamentoinconfutabile, era l’architettura stessadella città. L’enorme Palazzo di Giu-stizia, che noi paragonavamo agli edi-fici assiri, è costruito su un’altura pro-prio al di sopra dei quartieri poveri delcentro, che domina con la sua orgo-gliosa massa di pietra tagliata. Cittàdivisa in due parti: la città superiore,sullo stesso piano del palazzo, moltoricca, ariosa, straniera, con i bei pa-lazzi dell’avenue Louise; e, sotto, laMarolle, quell’ammasso confuso di vi-coli puzzolenti, imbandierati di bian-cheria, pieni di marmaglia mocciosache gioca tra mucchi di spazzature,con gli urli delle bettole e i due fiumiumani della rue Blaes e della rue Hau-te. Dal Medioevo, la stessa plebe vistagnava, oppressa dalla stessa ingiu-stizia, fra le stesse mura, senza eva-sione possibile».

Così Victor Serge descriveva la divi-sione dello spazio urbano a Bruxellesall’inizio del XX secolo. A distanza dicent’anni la città si è trasformata, maancor oggi, malgrado sia uno dei quar-

tieri più disagiati della città, la Marolleconserva una forte identità popolarecon legami sociali altrove scomparsi.La popolazione è composta da fami-glie operaie, anziani, disoccupati eimmigrati soprattutto africani e ma-ghrebini. Il centro ospedaliero Saint-Pierre a rue Haute ha la reputazionedi essere il più solidale della capitaleper il suo spirito d’accoglienza, tantoche la maternità Saint-Pierre a Bruxel-les fa partorire il 10% di donne clan-destine, che arrivano il più delle vol-te dopo essere state rifiutate da mol-te altre cliniche e ospedali.

Negli ultimi anni, però, tra le casepopolari si fanno largo ristrutturazio-ni di lusso per alloggi destinati a clien-ti agiati, attratti dal carattere pittore-sco del quartiere. Una trasformazio-ne che fa parlare ormai di sabloniz-zazione dei Marolles, un neologismoche deriva dal vicino Sablon, quar-tiere chic di raccordo con il centro.La sablonizzazione è legata soprat-tutto al commercio e al turismo cul-turale e appartiene a un fenomenopiù vasto chiamato gentrification (dal-l’inglese gentry, nobiltà). Con questotermine si indicano operazioni di va-lorizzazione urbana in cui i fruitoridei beni ristrutturati sono ceti più agia-ti di quelli che abitano il territorio.Una delle caratteristiche di Bruxelles,infatti, eredità dell’epoca industriale,è la massiccia presenza di un prole-tariato e sottoproletariato urbano au-toctono e immigrato. «Fino a qualcheanno fa i benestanti abitavano nellearee residenziali dell’hinterland, og-gi il loro spostamento nei quartiericentrali ha fatto aumentare i prezzidegli affitti, dei commerci, dei nego-zi, provocando la progressiva espul-sione verso i quartieri periferici deiceti popolari. Questi non fanno par-te del nuovo processo economico-fi-nanziario, quindi devono essere ridi-slocati altrove - dice Laurance di Recy-clart. Gli affitti bassi hanno spinto an-

Bruxelles e le trasformazioni urbaneCome recuperare lo spazio privato dei suoi abitanti

di Alessandro Bresolin

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tiquari, galleristi e artigiani a instal-larsi qui anziché al Sablon, ma fino-ra la sablonizzazione si è fermata al-le due grandi arterie rue Blaes e rueHaute».

La stazione Bruxelles-Chapelle:una frattura urbana

Lasciandosi alle spalle antiquari e tea-rooms, si scende verso la zona più po-vera del Marolles. Tra popolosi com-plessi di edilizia sociale, appare la so-praelevata della linea ferroviaria chetaglia in due il quartiere e spezza ilnormale susseguirsi di case slabbrate,rese pericolanti a causa delle vibra-zioni. Qui i treni passano a fianco del-le case, e la sablonizzazione ripren-de un significato puramente esotico.

Tra i ragazzi del quartiere è moltodiffusa la cultura hip hop, e quindi loskateboard, il cui spirito originarioconsiste nell’appropriarsi illegalmen-te di strutture degradate o poco ac-cessibili, con grandi superfici di asfal-to e cemento. Elementi che vengonotrasformati, scivolandoci sopra, in qual-cosa di morbido e plasmabile. Sui mu-ri scritte colorate, graffiti, firme e fra-si come la ricorrente les marollés bai-se la police. I tunnel e le vie adiacen-ti alla sopraelevata sono decorati dadecine di graffiti, vere e proprie ope-re grafiche di giovani artisti raccolteda Recyclart ed esposte su grandi pan-nelli semovibili. I disegni raccontanoscene di vita metropolitana, con cita-zioni dal mondo del fumetto e dellafantascienza.

Bruxelles è una delle rare città eu-ropee interamente attraversata da unalinea ferroviaria nel suo centro stori-co, da nord a sud. La linea parte dal-la stazione sud, la gare du Midi, e ar-riva al Marolles con una sopraeleva-ta che lo taglia in due parti. «Questoha portato alcuni vantaggi sul pianodei trasporti e della mobilità genera-le, privilegiando però le infrastrutturealle strutture, il trasporto alla vivibilitàe alle esigenze degli abitanti. Lo sven-tramento del quartiere con l’abbatti-mento anche in questo caso di centi-naia di case lungo l’asse dei binari, haaperto ferite che solo a distanza di al-cuni decenni si stanno rimarginando».

Dall’altra parte della linea, su Ruedes Ursulines, si trova la stazioneBruxelles-Chapelle. I locali compren-dono il tunnel, che dà l’accesso ai bi-nari, e un portico di cemento armato

sotto alla sopraelevata, con spazi con-cepiti per uso commerciale. Le fun-zioni “dinamiche” della stazione perònon hanno mai funzionato, anche labiglietteria dopo qualche anno è sta-ta chiusa perché poco frequentata. Perdecenni i locali della stazione conti-nuavano a ospitare solo migliaia dimetri cubi di archivi, costituendo nonsolo una frattura urbana difficile da ri-comporre, ma perdendo ben prestoanche la sua utilità.

L’esperienza Recyclart

«Recyclart è nata per rianimare que-sta frattura, per valorizzarla anzichénasconderla, per trasformare la frat-tura in legame. Quando si valorizzauna determinata area urbana nor-malmente si assiste all’esodo della po-polazione più povera, mentre que-st’esperienza vuole dimostrare comeuno dei modi per garantire che i quar-tieri popolari del centro rimanganotali è valorizzarli, migliorando la qua-lità degli spazi pubblici e sviluppan-do nuovi stili di vita e mestieri. Que-sto è l’unico modo concreto per resi-stere alla gentrification». Laurance la-vora al progetto artistico di Recyclart,un’associazione nata nel ’97, quan-do la commissione europea approvòil “Progetto Pilota Urbano Recyclart”nel quadro del Fondo Europeo per loSviluppo Regionale. L’obiettivo delprogetto proposto era di recuperaregli spazi sottostanti la stazione Bruxel-les-Chapelle e le vie che costeggianoi due lati della sopraelevata. Questosviluppando progetti artistici, urbanie sociali che coinvolgessero gli abi-tanti del quartiere. Recyclart è com-posta da quattro équipe: falegname-ria, costruzioni metalliche, sistema-zione d’interni, ristorazione. Sono sta-ti assunti quattro coordinatori di squa-dra e dodici ragazzi con contratti PTP(Programme de Transition Professio-nel), un programma per lo sviluppodi qualifiche professionali per disoc-cupati.

Le équipe tecniche si sono occupa-te della ristrutturazione completa deilocali della stazione, che ha portatonel 2000 all’apertura delle strutture dibase e di un bar. Nel 2001 la fase delprogetto pilota si chiude, e la struttu-ra organizzativa si adatta in vista diuna gestione indipendente a lungo ter-mine. Così dal marzo 2002 i ragazzidelle diverse équipe sono diventati di-

pendenti a tempo indeterminato perRecyclart, i loro lavori si aprono al-l’esterno, cominciano ad avere diver-se commissioni per installazioni. Nel-lo stesso anno è stata inaugurata lapiazza ribattezzata “La Plage” davan-ti alla stazione Bruxelles-Chapelle, difronte a dove ora sta il bar di Recy-clart. Su La Plage da qualche estate sisvolge un festival ricco di manifesta-zioni artistiche e concerti per coloroche rimangono in città.

«Sono cresciuto qui e se chiedi ingiro chiunque ti dirà come le vie era-no morte, insicure, l’abbandono del-la stazione dava un tono lugubre alquartiere. Ora non è più così; la gen-te ha ripreso a vivere e ha cambiatola vita di questo angolo di quartiere,diventato luogo di incontro e di gio-co, soprattutto per gli skaters» - diceun ragazzo che fa skate a “La Plage”,ideata isolando l’ingresso della sta-zione dal traffico di rue des Ursulines,deviata per consentirne la realizza-zione. Di fronte al collegio di matto-ni rossi di Saint Jan Berchmans, tantovasto da coprire un isolato, il pome-riggio gli adolescenti danno corsi diskateboard ai piccoli di quattro-cin-que anni. Sotto al portico di cementodella sopraelevata, i locali sono statiriconvertiti in ateliers artistici, e anchedal lato di rue des Brigittines si trovaun equipe di costruzioni metallicheche propone progetti d’interni, co-struzioni di mobili e tramezzi, decoriper teatri e altro.

Nel 2003 un collettivo di skaters,Brusk, del vicino complesso di con-domini popolari di rue des Brigittines,si è rivolto a Recyclart per proporre larisistemazione di due piste da skate aipiedi dei loro palazzi. Dopo diversiincontri in cui Recyclart ha assunto ilruolo di negoziatore urbano tra il Co-mune e gli skaters, è stato avviata lasistemazione degli spazi attorno aicondomini come piccolo parco urba-no, con una zona a facilità di rollag-gio per i ragazzi. In soli otto anni il la-voro svolto da Recyclart è diventatomotore di una nuova dinamica urba-na, focalizzata sul recupero degli spa-zi pubblici attraverso gli abitanti stes-si, coinvolti nei progetti. L’intera areadella stazione Bruxelles-Chapelle damostro urbanistico è diventata un gran-de centro polifunzionale che valoriz-za il quartiere e la qualità della vitadei suoi abitanti.

Alessandro Bresolin

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Ancora sull’innocenza.Amo di vero amore i miei tre bam-

bini. E adoro i bambini e i ragazzi chelasciano gli ormeggi e prendono il ma-re della vita adulta. Tutti. O quasi tut-ti. Alcuni - pochi - sono francamenteinsopportabili. Ma basta passare unquarto d’ora con i loro genitori per ve-dere il tradimento che hanno com-piuto verso i figli. Molti regali e mol-tissime merendine, ma poco tempo,poco ascolto, pochissima attenzione.Poco amore. Anche perché - vivaddio- non è con l’amore che ci si fa stra-da in un mondo di lupi.

O perché semplicemente - poverigenitori - la grammatica dell’amorel’hanno dimenticata da un pezzo.

• • •

Bisogna essere molto distratti per di-re certe cose. Dal lavoro, dal denaro,da se stessi.

Per dire - come sento dire tutti i gior-ni - che i bambini e i ragazzi non so-no più quelli di una volta. Che i bam-bini - bombardati dagli omogeneiz-

zati, dalla tivù, dalla pubblicità, dal-la play-station, dalla moda-bimbo -abbiano smesso di essere bambini?Che l’etica del mercato, del consumo,della violenza, abbia estirpato l‘inno-cenza dall’infanzia?

Negli anni Sessanta, quando eropiccolo piccolo, ricordo che ancorasi premiava in tutte le cento città d’I-talia “il bambino più buono”. In ci-ma a tutti, distintosi per un partico-lare atto di eroismo o di dedizione alprossimo, c’era anche il Garrone na-zionale. Sui giornali, e sullo scher-mo in bianco e nero, aveva una fac-cia composta, mesta, un po’ all’an-tica. Lo avevano incoronato campionedella bontà e dell’innocenza, ma sem-brava un bambino tutt’altro che feli-ce.

Oggi gioco coi bambini e parlo coni ragazzi. Rimango affascinato dallaloro inestinguibile innocenza. Sonosvelti, tecnologici, indipendenti, mo-ralisti. Seguono le mode e la pubbli-cità. Coltivano miti. Sanno un muc-chio di parole - anche quelle inglesi,anche quelle sporche - mandano a

Il tempo del tradimento

di Francesco Monini

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quel paese i genitori, prendono in gi-ro quelle s… delle insegnanti.

Sono smaliziati, ma non conosconola malizia. Non sanno cosa sia il tra-dimento. Quindi non tradiscono. Nonpossono, anche volendolo.

• • •

Una cara amica mi racconta una re-cente scoperta che ha cambiato map-pa e orizzonte della sua vita interio-re: «Occorre riconoscere e accettareil tradimento».

Per due estati di seguito, recidiva!,è andata in bicicletta a Santiago deCompostela. Ama le lingue del mon-do e, sopra le altre, il latino. Tradireed essere traditi - mi spiega - è unafaccenda grande e complessa, che po-co o niente ha a che fare con le cor-na La radice di “tradire”, la stessa di“tradizione” è il latino tradere, lette-ralmente “consegnare”.

“Tradire”, leggo dallo Zingarelli, èinfluenzato nel significato dall’uso peg-giorativo della tradizione evangelica,nella quale Gesù è “consegnato”, ecioè “tradito”, da Giuda.

Consegnare e prendere qualcuno oqualcosa in consegna. Tradire ed es-sere traditi.

• • •

Da molti giorni questo pensiero nonmi abbandona. Cancello i brani di que-sto diario minimo per fargli posto. Eancora continuo a ripetere dentro dime, continuamente, quelle due paro-le, innocenza e tradimento. E ancoranon riesco a comprendere il senso,l’eco profonda di quella che mi ap-pare comunque come una “scoperta”,un “disvelamento”.

Mi pare giusto. Cresciamo quandoabbandoniamo l’innocenza. Quandosiamo traditi e cominciamo a nostravolta a tradire. È giusto. È inevitabile.Senza eccezioni. Senza questa perdi-ta (l’innocenza), senza questo nuovocompagno (il tradimento), non potre-mo crescere.

Ma forse la differenza - quello chedipende da noi e dalla nostra coscienza- è riconoscere questo processo. Perfarlo ci vuole molto lavoro, molta fa-tica, molto coraggio.

So questo: mai più crederò ad unadulto, me compreso, che si dichiarainnocente.

• • •

Quel che resta del diario. In uno spa-zio piccolo e poche parole. Le elezio-ni. Le elezioni, finalmente! Cambieràtutto! Non cambierà un bel niente!

Cambierà, spero, qualche cosa. Miaspetto e mi auguro una riduzione pro-gressiva della chirurgia plastica. Me-no sondaggi, meno convention, me-no contratti con gli italiani, meno «ghepensi mì», meno promesse strampa-late. Soprattutto, meno volgarità.

• • •

Leggi ad personam, riforma costitu-zionale, spinello fuorilegge, scudo fi-scale, sconti agli evasori, controrifor-ma scolastica… quale obbrobrio can-cellare per primo, appena dopo le ele-zioni? Ammesso e non concesso cheil Cavaliere sia costretto dagli elettoria farsi da parte.

C’è veramente l’imbarazzo della scel-ta. Ma io non ho dubbi. Prima di tut-to, prima ancora del sacrosanto ritirodei nostri soldati dall’Iraq, bisognacancellare la cosiddetta “legge sullalegittima difesa”.

La quale legge non è solo sbagliata,incivile, violenta, controproducente.Ma soprattutto veicola dentro le no-stre città la cultura del far west. Unacultura che l’America continua a col-tivare e ad esportare, e che continuaa generare mostri. Il famigerato car-cere fuorilegge di Guantanamo, di cuiEuropa e ONU chiedono invano lachiusura, è l’ultimo esempio di un so-vrano disprezzo dei diritti dell’uomoe delle leggi degli stati.

Nelle nostre città di frontiera, gioiel-lieri, benzinai e agenti di commercio,armati dal governo, scaricano il cari-catore sui ladruncoli in fuga. È la cro-naca di queste settimane.

• • •

Sono stati mesi sporchi per la finanzaitaliana. Finalmente il governatore del-la Banca d’Italia ha tolto il disturbo ei vari Fiorani, Ricucci, Consorte van-

no avanti e indietro dal carcere o daipalazzi di giustizia. A ogni nuovo ca-pitolo, la vergogna aumenta.

I danni alla nostra credibilità inter-nazionale, dicono i commentatori, sa-ranno incalcolabili. È vero: mentre an-che Alberto di Monaco promette cheMontecarlo non sarà più il rifugio perfinanzieri corrotti, evasori illustri e ban-chieri chiacchierati, la piccola Italiadi inizio millennio si candida a nuo-vo paradiso di evasori e faccendieri.Il paese delle banane o meglio, perdirla con Elio e le storie tese, l’Italiadei cachi.

Ma della credibilità internazionale,noi, comuni mortali, saremmo puredisposti a farne a meno. Il problemaè la puzza di marcio che sale dalle no-stre banche e dalle nostre imprese. Ilsenso di nausea che ha preso milionidi cooperatori, me compreso, a sen-tire che per competere «bisogna farecome gli altri».

Va bene, il movimento cooperativoè altra cosa di uno, due o dieci diri-genti furbi e ladri, ma per tutti, per lemigliaia di cooperative che lavoranocon passione e onestà, è stato uno spa-ro a sangue freddo, un tradimento, unaferita difficile da rimarginare.

• • •

Questo diario, ancorché minimo, enon per la prima volta, arriva in gran-de ritardo. Fuori tempo massimo. Ste-fano con la febbre, Gaetano senza feb-bre, ma entrambi, con infinita pazienza,mi hanno aspettato.

Loro: mail, telefonate, sms di solle-cito, accorati appelli, ultimatum. Io:ripetute richieste di proroghe, solen-ni giuramenti, promesse non mante-nute: «Domani sicurissimamente, en-tro domenica sera, sto scrivendo, hoquasi finito…». Un comportamentoindegno e puerile. Un reiterato tradi-mento.

Mi dichiaro colpevole. E non ac-campo giustificazioni. Cosa si aggiungea queste note, che è successo di im-portante negli ultimissimi giorni? Lamaglietta idiota di un ministro irre-sponsabile. Quando mi leggerete, do-po le elezioni, confido che l’ex mini-stro e candidato capolista Calderolisia ben sistemato. Nel compost ver-de, tra le zucchine e le bucce di pa-tate, nella spazzatura della storia del-la Repubblica.

Francesco Monini

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«La Storia, si capisce è tutta un’osce-nità fino dal principio, però anni osce-ni come questi non ce n’erano mai sta-ti. Lo scandalo - così dice il proclama- è necessario, però infelice chi ne è lacausa! Già difatti: è solo all’evidenzadella colpa che si accusa il colpevo-le… E dunque il proclama significa:che di fronte a questa oscenità decisi-va della storia si aprivano due scelte:o la malattia, ossia il farsi complici de-finitivi dello scandalo, oppure la salu-te definitiva - perché proprio dallo spet-tacolo dell’estrema oscenità si potevaancora imparare l’amore puro… E lascelta è stata: la complicità!».

[Elsa Morante, La storia]

Rio de Janeiro, quartiere di Grajaù,rua Henrique Morize 47: quella cheera la casa di accoglienza di Macon-do. Le suore pregano e io scrivo. Sta-mattina siamo andati a fare l’abbor-daggio dei bambini di strada con ilgruppo di educatori dell’associazioneAmar. Si tratta di un’attività di avvici-namento ai ragazzi, l’inizio di un pro-cesso che cerca, oltre che di portarlivia fisicamente dalla strada, di toglie-re loro la strada dalla testa. Pioveva.Nelle giornate di sole si va tutti insie-me a giocare a calcio dietro la fiera diSão Cristovão ma con la pioggia nonsi muove nessuno e ci siamo spinti fi-no alla stazione Rodoviaria, nella zo-

Un incontroMeninos de rua

di Sara Deganello

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na del porto. Lungo la strada vendito-ri ambulanti di tutti i tipi nell’acquadegli scarichi, su in alto due strade so-praelevate che si intrecciano in unrombare fastidioso di motori. Il miointestino in subbuglio forse per il chur-rasco della sera prima. Il cielo biancoe bagnato non si vede; siamo entratiin un girone basso, lontano dagli ho-tel di Copacabana. I bambini sono ran-nicchiati dietro un pilone di sostegnodella sopraelevata, in mezzo ad altredue strade, sotto coperte sudice. Dor-mono lì. È la loro casa, la loro base acui tornare. Distribuiamo caffelatte ebiscotti. Molti di loro hanno una bot-tiglietta di plastica vuota. Ci gioche-rellano, ma stanno attenti a non per-derla. La usano per sniffare il solven-te. Alcuni lo fanno sotto la magliettao direttamente, sotto i miei occhi.

Abitare dietro un pilone

Ma che ci facciamo noi lì? Siamo dav-vero i turisti della miseria? È un attodi sensibilità sociale, di attenzione aiproblemi del mondo, di sete di giu-stizia andare a trovare i meninos derua quando si svegliano sotto alla so-praelevata? Non sono qui per eserci-tare la mia pietà occidentale e ricca.Sono qui per provare a capire e a pren-dere coscienza di me, prima di tutto,credo. Forse dovrei pregare un po’ an-ch’io, come le suore di Grajaù. Potreichiedere l’umiltà intellettuale.

Mi sono avvicinata ai ragazzini, lo-ro sapevano che ero amica dei loroamici di Amar. Mi sono avvicinata eho chiesto i loro nomi. Non sempre ilnome con cui ti rispondono è quellovero. È una difesa, la menzogna. Hoprovato a dire qualcosa nel mio por-toghese zoppicante. Il rumore dellastrada non aiutava per nulla. Non sem-bravano molto interessati alla mia pre-senza. Sembravano piuttosto indiffe-renti, a dir la verità. Lontani, in unmondo assuefatto all’abbandono, abi-tuato all’assenza, al non aspettarsi nul-la da nessuno. Poi uno di loro mi hafatto un cenno, mi sono chinata e miha baciato e abbracciato. Mi ha chie-sto di portarlo a vivere nella mia ca-sa. C’erano anche delle bambine, unami ha chiesto se le potevo dare unagiacca. Invece non avevo nulla da da-re. Loro erano bambini dell’altra par-te del mio mondo. Bambini che si na-scondono nell’ombra della città, ne-gli angoli fetidi e sudici, che non han-

no una casa, né qualcuno che li ab-bracci, che si muovono leggeri ai mar-gini di una civiltà che li rifiuta, quasiinvisibili, che lottano per sopravvive-re tra la violenza e l’oltraggio, che nonsono nulla, che non devono rispon-dere di niente a nessuno, liberi e sfac-ciati. E io sono stata presa alla sprov-vista. Sospesa tra la tentazione di chiu-dere gli occhi o di tenerli così apertida farmi contaminare da quello chevedevo. Consolata dall’idea che la vi-ta a cui appartenevo non fosse la lo-ro, sedotta dalla prospettiva di torna-re alla mia isola felice di benessere,certezze e pulizia senza alcun pen-siero o dubbio che potesse scalfirla.Allo stesso tempo non potevo non es-sere testimone, come colui che di fron-te allo scandalo non può tacere. Nonpotevo fare a meno di pensare che era-vamo noi, quelli che nel mondo con-tano, a essere responsabili di quelloche succedeva lì.

Un giorno sull’autobus

Lascio Rio alle prime luci dell’alba tro-picale. Sorvolo le terre rosse dell’in-terno nella direzione di Brasilia. Ri-penso all’ultima settimana. Siamo an-dati tutti i giorni all’abbordaggio. Re-stare in un posto a fare una data cosainsieme con le stesse persone avevagenerato quel leggero refrigerio del-l’abitudine e del sapere già domanidove si sarà, placando l’ansia del viag-gio e del movimento. Anche i ragaz-zini si erano un po’ abituati a noi, secosì si può dire. Idaliana veniva da Mi-nas Gerais. Arrivata a Rio si era persae non riusciva più a trovare la sorella,con cui vorrebbe ora tornare a casa.La stai cercando? - le chiedo - mi sor-ride: no, ma lo farò domani. Ogni gior-no mi diceva così. E sorrideva fissan-do un po’ me, un po’ la linea imma-ginaria della città, che era la sua casaeppure non le apparteneva. Un gior-no sull’autobus che mi riportava a ca-sa sono saliti alcuni ragazzini, scalzi

e solo con un paio di pantaloncini ad-dosso. Scherzavano tra loro, schia-mazzavano: volevano scendere, an-che se non c’era la fermata. Al se-maforo l’autista ha aperto la porta.Non so da dove è sbucato un uomoche ha acchiappato un bambino perun braccio, facendolo scendere. Unaltro è saltato giù dal finestrino aper-to. La scena si è ricomposta. L’incisodestabilizzante portato dai meninos,messo a tacere. Loro, i folletti che sbu-cano da ogni dove e spariscono comesono venuti, si muovono nella cittàcome fosse un grande usa e getta. Di-sponibile al minuto, ricca e prolificadi espedienti da sfruttare. Da attra-versare tutta senza mai fermarsi a guar-dare oltre la necessità del momento.Loro, gli scarafaggi della città, che sirifugiano negli angoli, nei buchi e ne-gli anfratti della macchia metropoli-tana. E puzzano. Tra il loro odore e lezaffate di solvente la repulsione nonè difficile. La società non li vuole e avolte arma il braccio della polizia perfarli fuori. Sono incontrollabili, insta-bili, inaffidabili.

Nella baia di Botafogo

Jurona è ora un educatore di Amar, maè stato un menino de rua. La sera del-la festa sulla baia di Botafogo abbia-mo ballato insieme più volte, o me-glio lui ha cercato di farmi ballare,portandomi al di là dei meccanici pas-si dei balli europei. Era una sensazio-ne strana stringere a me un corpo eun’anima che era appartenuta, alme-no per un certo tempo, alla strada.Cioè al burrone della civiltà, alla ver-tigine della libertà e della licenza, al-la lama finissima della paura e del-l’insicurezza, al gelo mortale di nonavere nessuno a casa che ti aspetta,che aspetta proprio te.

Sull’aereo portano la colazione. Pas-sa un documentario muto sui pesci.Lo scandalo è già lontano, si annidasotto la città, non chiede visibilità néascolto: i bambini di strada non han-no niente da dire a noi, al mondo. Mane fanno parte, come noi. Condivi-diamo la stessa umanità. Considerarei meninos de rua figli nostri e della no-stra civiltà è il primo passo, forse, diuna scelta di responsabilità che nonsia complice dello scandalo, ma siaribellione, e abbraccio.

Sara Deganello

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2 novembre 2005 - ValleSan Floriano, Marostica (Vi).Fa buio la sera e ci guarda-no ancora i morti, con no-stalgia dei nostri passi e deinostri volti. Nella sede del-la Provalle, Fabio Lunardonconvoca il comitato dellamarcia per sentire le voci(dei vivi), ascoltare i pareri,decidere sui prossimi in-contri, in particolare si par-la della maratona e delle suedifficoltà. Restano gli inter-rogativi sulla sua percorri-bilità e sulle forze disponi-bili per l’organizzazione del-l’evento; infine si definiscela destinazione dei contri-buti che la marcia per l’in-fanzia ha raccolto.

7 novembre 2005 - Troina(En). Si riunisce il Comitatoscientifico della casa editri-ce Città Aperta. Presiede ilprofessor Pietro Barcellona;il fondatore dell’opera, pa-dre Luigi Ferlauto, parla delruolo e della funzione del-l’Oasi all’interno del terri-torio e dello spazio che neoccupa la casa editrice di-retta dal dottor Mario Ber-tin. Del comitato fa parte an-che il nostro presidente, cheè volato a Catania la seraprecedente l’incontro conqualche ora di ritardo, a cau-sa di un’influenza aerea, manon era aviaria, che intaccale ali dei volatili.

10 novembre 2005 - Pa-lermo. A dieci anni dalla suamorte, nel quartiere dell’Al-bergheria si celebra, si ri-corda, si riflette sull’attivitàdi don Rocco, un sacerdoteche è vissuto a Palermo, de-

dito ai poveri, agli emargi-nati. Ne celebra la memoriail sindacato popolare, lachiesa locale, con una ta-vola rotonda cui partecipaanche il nostro presidenteGiuseppe Stoppiglia, che midice quanto sia difficile spie-gare che cosa significhi sin-dacato popolare e come pos-sa trovare possibilità di in-contro con la chiesa locale,a Palermo.

13 novembre 2005 - To-nezza del Cimone (Vi). As-semblea generale di Ma-condo per il rinnovo dellecariche; negli intervalli, pub-blicità delle cariche Dura-cell, la batteria che dura dipiù. La giornata si divide indue momenti: al mattino larelazione della signora Agne-se Mascetti, antropologa, sultema Vivere tra tenerezza eviolenza; afferma la signorache siamo dominati dal mer-cato, ci sfuggono le conse-guenze della tecnologia, siriempiono i supermercatidell’Ikea, ai giovani mancail respiro della vita. Quel cheresta è allora il recupero del-l’interiorità, il percorso del-la misericordia, l’orizzontedella pace per superare l’an-goscia di vivere.

Nel pomeriggio si passa alrinnovo delle cariche eletti-ve: presidenza e segreteria.Vengono consegnate e vidi-mate le schede per la presi-denza e la segreteria. Si co-stituisce nella sala una fron-da libertaria, che presentaun secondo nominativo al-la presidenza, che raggiun-gerà quota quattro su cen-to, sotto il livello del quo-

rum per aver voce. La se-greteria si apre su cinque no-mi. Alla fine tutti applaudo-no al nuovo presidente, an-che la cricca che aveva ten-tato la scalata e offerto alcronista transeunte la bra-mata sedia.

Presidente: Giuseppe Stop-piglia. Segreteria: GaetanoFarinelli, Vittorino Deganel-lo, Elisabetta Grigoletto, Lu-ca Realdi e Fulvio Gervaso-ni.

14/20 novembre 2005 -Todi-Mostar. Il mio (è Mar-ta che scrive) viaggio versoMostar comincia una sera dinovembre assieme ad Ame-deo, che organizza ogni an-no il trasporto: ci sono lanebbia, un furgone blu e unmagazzino della Toppetti 2,fabbrica di materiale ediledi Todi. Tengo a bada la miaansia di arrivo a destinazio-ne, perché i passaggi in fron-tiera da queste parti richie-dono molta pazienza.

Sbrigate le pratiche di fron-tiera, possiamo finalmentedare inizio alla nostra per-manenza in Bosnia-Erzego-vina, a Mostar. La distribu-zione degli aiuti ci consen-te di entrare in contatto conrealtà diverse: sono realtàappena sfiorate, ma l’im-patto è fortissimo e le sen-sazioni molteplici. Incon-triamo vecchi e bambini,uomini e donne, ognunocon la sua storia, triste edrammatica; li troviamo nel-le strutture di assistenza enelle loro case. E cammi-niamo dentro un paesaggio,tra montagne e boschi inac-cessibili, fatto di contrasti e

bello, di quella bellezza chequasi ferisce, perché portai segni di una deturpazionerecente, una bellezza cari-ca di dolore, ma più fortedel dolore.

Mi sembra di percepire chel’atteggiamento nei confrontidell’altro, del musulmano odel cattolico, è ambivalen-te, c’è la volontà di convi-venza pacifica, che però siscontra con un’incapacità divenirsi incontro, un’intran-sigenza di principio, che na-sce dalla sensazione che unapace e una divisone giustanon ci sia stata, un’incom-prensione che è legata so-prattutto alla politica (cro-naca di Marta Biasin).

19 novembre 2005 - Cam-posampiero (Pd). Una gior-nata di sole, ma è già arri-vato il freddo. La chiesa ègremita, in veglia davanti al-la bara. Parte Aquino Moro-sinotto, lascia la sua casa, lasua terra. Resta di lui l’affa-bilità e la fermezza, la pa-rola e il silenzio, la cura deicampi e il gioco delle carte,gli affetti e la riservatezza. Eraggiunge la sua cara Maria,che lo ha anticipato di qual-che anno e le porta notiziadei suoi figli, cui è riservatoil compito di custodire lamemoria.

20 novembre 2005 - Pa-dova. Il progetto Giovani delComune di Padova, dal ti-tolo Sogno e son desto, haorganizzato un incontro checomprendeva varie manife-stazioni artistiche, teatrali eculturali. Con l’associazio-ne ADUSU (Associazione

Macondo e dintorniCronaca dalla sede nazionale

di Gaetano Farinelli

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per i diritti umani sviluppoumano) e l’associazione IM-POLITIKA avevamo (è Gio-vanni Realdi che scrive) or-ganizzato quella manifesta-zione per iniziare a propor-re qualche parola nuova perla politica in città. Ospiti era-no Giuseppe Stoppiglia eGiuliano Lenzi, già parti-giano e diessino. Provoca-zioni varie, specie di Bep-pe. Eravamo alla ricerca diluoghi che stiano tra il rifu-gio individualista/emotivi-sta e la piazza delle grandioccasioni e dei pochi risul-tati: ne è nata la parola co-ralità, come sintomo di unluogo non privato in cui un’i-dea viene sentita e divisa tratutti. Breve polemica da par-te di un giovane politico sul-le critiche di Beppe a Rui-ni.

24 novembre 2005 - Ner-vesa della Battaglia (Tv). Bru-na dal Secco, presidente del-l’Antea, invita Giuseppe aparlare di un argomento checolpisce tutti, ma che la per-sona anziana sente più vi-cino, la morte e l’elabora-zione del lutto. Riguardal’uomo e la donna che per-dono la compagna/il com-pagno di vita. La serata èfredda, in attesa della neve,che ancora non cade. Giob-be nel suo dolore chiama incausa Dio, che ascolta e ta-ce. Sono presenti una ses-santina di persone, anzianie giovani, che ascoltano, ri-cordano e scuotono il capo,non per dissentire, ma se-guendo un sentimento dirammarico e di dolore, for-se.

1 dicembre 2005 - Bassa-no del Grappa (Vi). Giornatadedicata alla sensibilità sul-la malattia dell’AIDS nelmondo, sui pericoli e suglieffetti della malattia e sulleprecauzioni da adottare neirapporti sessuali, che van-no dalla prudente modera-zione dei rapporti all’usodel preservativo. Il Palasportera letteralmente invaso da-

gli studenti delle scuole su-periori di Bassano. Sul pal-co si sono succeduti espo-nenti rappresentativi di areediverse, tra cui GiuseppeStoppiglia. Gli studenti so-no più di quattromila, va-riamente colorati, vocianti,attenti e distratti insieme,come avviene all’età in cuitutto si raccoglie e lenta-mente si elabora nel tempoche viene.

4 dicembre 2005 - ValleSan Floriano, Marostica (Vi).Il gruppo della Marcia di Val-le San Floriano ha allestitouna cena per quanti hannopartecipato alla preparazio-ne della marcia. Allo scopo,oltre ai piatti consueti, han-no cucinato un maialetto,piccolo maiale ricoperto dispezie e di erbe aromatiche,con una rosa canina in boc-ca, sgusciato dall’involucroda un maestro di cucina edi-le, servito in tavola da quat-tro ragazze dalle lunghebraccia, che stando a capotavola offrivano i piatti chesi adagiavano lenti e frolli afronte del convitato, senzamai spruzzare in faccia lasalsina. Al termine della ce-na, dopo aver premiato i si-gnori Mario e Diego, il coor-dinatore della festa, Fabio,ha dato il resoconto del ri-cavato; Gaetano in qualitàdi responsabile dei progettidell’infanzia ha illustrato lefinalità della marcia e del ri-trovarsi, mentre a lui di fron-te, un bimbo piccolo gli fa-ceva le boccacce. Infine

aleggiava nell’aria compun-ta un dispiacere congiuntoper l’assenza del parroco al-la cena comunitaria, che co-munque ha inviato al comi-tato della marcia, durante ilbrindisi, un messaggio di cor-doglio, che non sono riuscitoa leggere; ma che fa lo stes-so.

7 dicembre 2005 - Vero-na. Per la prima volta si in-contra la nuova segreteriaeletta a Tonezza del Cimo-ne. Si distribuiscono i com-piti per i settori, ci si soffer-ma sui programmi futuri. Dòun breve sintetico resocon-to delle deleghe e degli in-carichi; per l’amministra-zione: Stefano Benacchio,che quest’anno si troverà agestire l’amministrazione diMacondo ONLUS, con uncarico più complesso. Per laformazione: Fulvio Gerva-soni; per l’organizzazione:Vittorino Deganello; delegaalla realtà negata: Luca Real-di; delega al sito Internet:Camata Alberto e Luca Real-di; delega per la rivista Ma-drugada: Gaetano Farinelli.

A gennaio si apre il forumdi Caracas, capo della de-legazione di Macondo saràMauro Furlan.

La festa di Macondo si terràquest’anno in data 28 mag-gio; il tema sarà Dio ti dà unvolto, sorridere tocca a te. AElisabetta e Luigi viene da-ta delega per l’organizza-zione della festa.

Per i progetti di adozionea distanza la gestione viene

data in delega a Ivana Pan-dolfo, Vittorino Deganello eGaetano Farinelli.

20 dicembre 2005 - Vero-na. Incontro dei formatori diMacondo per la program-mazione annuale dei cam-pi. I presenti sono dodici.Fulvio, dopo aver parlato delcampo di Zenica, avanza laproposta per il prossimo aTuzla, in Bosnia, aperto aigiovani bosniaci, ai giovanidel sindacato italiano e aigiovani di Macondo, che ab-bia come finalità: lo scam-bio, la fatica del rapportar-si tra diversità, provenientida due contesti diversi. Se-guono poi le considerazio-ni degli organizzatori delcampo “La Rondine”: Lele,Luca e Andrea. Il campo èun momento forte emotiva-mente, ma necessita unacontinuità. Inoltre il campomette troppa carne al fuocoe rischia di non avere ade-renza alla realtà quotidianadei ragazzi che vi parteci-pano. Bisogna puntare al vis-suto dei giovani, tentare difar loro scoprire la loro iden-tità, a partire anche dal lo-ro disagio. Comunque, l’e-ducazione è un processo,non è un punto fermo, an-che se il campo rappresen-ta un picco.

23 dicembre 2005 - Pio-vene Rocchette (Vi). È di-ventata ormai una consue-tudine; ogni anno Vittorinoe amici invitano Giuseppea parlare, in occasione delNatale, su di un tema a scel-ta. La speranza è il tema dioggi. Quanto spazio resta al-la speranza; se sia una cosache nasce dentro o che vie-ne da fuori; e chi la possafermare e chi la possa av-viare; se significhi attesa onon invece moto attivo chepropone e provoca. C’era-no adulti ma anche i figli chefrequentano l’Università oche lavorano. L’ambiente eracaldo, accogliente. Alla fi-ne, come sempre, le donnehanno preparato il dolce,

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anzi un numero altissimo (inmatematica n+1) di dolci edolcetti e un bicchiere di vi-no.

25 dicembre 2005 - Bas-sano del Grappa (Vi), CasaBetania. Per motivi pastora-li le suore di Sant’Anna nonhanno potuto ospitarci co-me era consuetudine e ab-biamo trovato alloggio pres-so le suore della Divina Vo-lontà a Casa Betania. Ab-biamo celebrato il Santo Na-tale nella cripta. Il messag-gio del Natale è stato pro-posto dal celebrante Giu-seppe. Poi, per famiglia, acoppie, singolarmente, in or-dine sparso, tutti sono rien-trati nelle case loro o casefamigliari per consumare ilpranzo di Natale. E adesso,fino alla Befana, per tutti,per molti, o forse solo perqualcuno, sarà un’immer-sione negli affetti, incontritra amici, incontri sospesi daanni che poi si sono realiz-zati; in casa e fuori casa, perdire, raccontare, riprenderei fili. Sotto l’albero, davantial presepio, inciampandosempre contro il panettonee urtando sullo spumante, eche ti sei macchiato? Peròl’odore è pure fragrante!Buon anno!

26 dicembre 2005 - Ve-nezia. Stefano Benacchioparte per Chicago, per re-carsi in visita agli amici Lu-ca e Roberta, che là vivonoe lavorano. Con lui i geni-tori di Luca, Carlo e Giu-seppina. Si fermeranno finoai primi di gennaio e tra-scorreranno il capodannoin riva al Lago Michigan, trale domande di un quiz, i gi-ganteschi alberi di Nataledel Navy Pier, il freddo pun-gente e le ciabatte che nonsi trovano. Vengono bloc-cati al desk della Lufthansasulla via del ritorno e tra-sferiti di autorità in primaclasse… per un ultimo ge-sto di ospitalità, frutto di unatelefonata del potente di tur-no.

3 gennaio 2006 - San Giu-seppe di Comacchio (Fe). Adue mesi di distanza dallamoglie Corina, deceduta aseguito di una lunga malat-tia nell’ospedale di Comac-chio, se ne parte anche zioVirginio, familiarmente chia-mato John. Ha percorso levarie tappe storiche di Co-macchio nel Novecento:nella seconda guerra mon-diale destinato alla marinanel settore dei sottomarini,sposato, emigrato per lavo-ro in Svizzera e a Torino as-sieme alla moglie e al figlio,il rientro al paese per lavo-rare nella grande opera dibonifica delle Valli di Co-macchio come spondino, iltecnico che organizzava l’at-tività della manovalanza perlo scavo e l’arginatura nel-la palude; dedicato poi, as-sieme al figlio Massimo, al-l’attività turistica sui Lidi diComacchio durante la pen-sione e infine la malattia,che lo ha portato, lenta-mente, alla tomba. Mi restal’immagine di un uomo ot-timista, pur nelle dure vi-cende della vita, con la ca-pacità gioiosa di racconta-re storie.

8 gennaio 2006 - Pove delGrappa (Vi). Visita e pranzocon Paola, Debora, Silvia eAlessandro, per festeggiarela partenza delle prime dueche vanno in Brasile a finemese in qualità di medici,fisiatra la prima e cardiolo-ga la seconda, e partono peril Goias. A Goiania sono ac-colte dai volontari dell’as-sociazione Modena TerzoMondo e quindi via versol’ospedale di Ceres dove la-voreranno per sei mesi. Perfesteggiare la partenza han-no portato una quantità ine-sauribile di tortellini, svariatiprodotti suini (nel senso delmaiale), un’intiera costru-zione dolciaria prodotta damani esperte e ingurgitatasaggiamente con vino bian-co. Il tutto intriso e attraver-sato di parole e di memorieappassionate.

11 gennaio 2006 - Bassa-no del Grappa (Vi). Audito-rium dell’Istituto Graziani,duecentottanta posti a se-dere su poltroncine azzur-re. Conferenza del dottorGustavo Zagrebelsky su Eti-ca, politica, laicità. Cammi-nare oltre lo stato di tutela.Dopo l’introduzione di Giu-seppe Stoppiglia, il relatoreha parlato delle condizioniessenziali per la costruzio-ne della democrazia, che ri-fugge dai dogmi, si nutre didecisioni relative, non asso-lute, su cui discutere e con-frontarsi; non transige (la de-mocrazia) su alcuni valoridella persona, della libertà,dell’uguaglianza e della re-sponsabilità verso l’altro, ver-so il bene comune e versole generazioni future. Il re-latore ha poi affermato chela vera distinzione non è trachi crede e chi non crede,ma tra coloro che dipendo-no da una volontà esterna erinunciano alla propria re-sponsabilità in nome di ve-rità assolute e coloro che ri-spondono a una coscienzaresponsabile e fattiva di unaconvivenza che assieme sicostruisce, senza privilegi disorta: e questo significa es-sere laici. Larga e soddisfa-cente la partecipazione, conoltre duecento persone, at-tente e disponibili al con-fronto.

17 gennaio 2006 - Vene-zia. A piedi per le calli, in vi-sita alla cooperativa Villa Re-nata di cui è presidente ildottor Paolo Stocco. L’ope-ratore Gianluigi Rasera ci ac-compagna alla casa delle ra-gazze madri assieme a Gio-vanna Binotto, che ha lavo-rato in Brasile nel progettoLuanova (Luna Nuova), chesvolge un’attività simile aquella di Venezia, finalizza-ta alle ragazze madri e al lo-ro reinserimento nella vitasociale brasiliana, progettoaggregato alla cooperativaVilla Renata e condotto sulposto (Sorocaba di San Pao-lo del Brasile) dalla dotto-

ressa Raquel. Villa Renata hain Venezia e al Lido variestrutture con funzioni diver-se, volte al recupero di ra-gazzi e ragazze caduti nelcircuito della droga. Nevicasulle calli e piove. Il dottorPaolo Stocco e l’operatoreGianluigi Rasera ci intrat-tengono sulle attività e sullemodalità di lavoro della coo-perativa e sulla possibilità discambio reciproco di cono-scenze e di collaborazione.Giovanna Binotto ripartiràper il Brasile appena ultimatele carte per il visto di sog-giorno a San Paolo.

22 gennaio 2006 - Mila-no. Partono per il Brasile,con destinazioni diverse,Chiara e Luis per Rio de Ja-neiro nel progetto di recu-pero e reinserimento delleragazze madri di NovaIguaçu, e Bruna Peyrot perBelo Horizonte, che lavoraall’interno del Consolato ita-liano per coordinare le atti-vità educative d’Italia sul ter-ritorio; purtroppo, a seguitodella morte del padre avve-nuta il giorno ventisette digennaio, è dovuta rientrareper il funerale, che si è ce-lebrato a fine mese.

28 gennaio 2006 - Povedel Grappa (Vi), sede di Ma-condo. Si riunisce per laprima volta il Comitato del-la festa che si celebrerà il28 di maggio a Spin di Ro-mano. Elisabetta, Luigi, Bal-dassare, Tania definisconole linee essenziali del pro-gramma, controllano le fun-zioni della macchina orga-nizzativa, efficiente sui col-legamenti, efficace negliobiettivi. Quando lascianola sede sull’imbrunire, pri-ma dell’ora del tè, già cor-rono i loro volti sugli scher-mi, le loro voci nei transi-stor e le parole sono tra-dotte in gergo nella postasenza fili. Si farà la festa, dicerto, se Dio vorrà, se deusquiser.

Gaetano Farinelli

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Perché fotografo? Dopo tanti tentativi di risposte - perchévoglio testimoniare, perché è la mia missione, per vede-re come sono le cose una volta fotografate - sono arriva-to a una conclusione molto semplice.

La fotografia mi permette di avvicinarmi alle persone, diaprire porte, di capire un po’ di più e, a volte, di condivi-dere. Il grandangolare, vietato lo zoom, mi spinge ad av-vicinarmi alle persone. Robert Capa non diceva poi chese la foto non è riuscita è perché eravamo troppo lontani?La vicinanza mi aiuta a creare legami, anche se tenui, an-che se passeggeri, certamente intensi. Ricerco momenti,visi emozionanti, il mio cuore deve battere e i miei occhidevono scintillare. Per l’emozione, per la curiosità. Sen-za queste due spinte, fotografare diventa noioso.

Uso fotografare situazioni che non sono semplici e chemi provocano. Sono ragazzi infrattori, sono bimbi chevivono nella povertà estrema, sono i catadores, quelliche sopravvivono della nostra spazzatura. La sfida è far-si accettare. Abitualmente ci riesco con pazienza e unabuona dose di onestà. È un lavoro di lenta approssima-zione. Non si può entrare dando un calcio alla porta. Bi-sogna sapere farsi vedere e sapere aspettare il momentogiusto, la persona giusta, che possa aprirti la porta. E poiascoltare molto. Entrare è difficile ma ancor di più è usci-re e chiudersi la porta dietro. Sapere che mentre loro ri-mangono nella merda, tu potrai comodamente acco-modarti a un bel tavolo di ristorante. Ti accompagnanole domande. Ho contribuito un po’? Ho aggregato qual-cosa? Sarò buon messaggero? O sono solo stato un voyeur,perché nella fotografia c´è sempre una buona parte di

voyeurismo.Mi interessano situazioni di povertà, di sofferenza ma

anche le soluzioni. Mostrare la povertà, per me è un im-pulso, ma mi piace mostrare che esistono organizzazio-ni, uomini, donne e giovani, che si rimboccano le mani-che. Nella “pastoral da criança” sono i giovani sfavoritiche si dedicano allo sradicamento della malnutrizione.

Mi piacerebbe molto passeggiare con la macchina fo-tografica e prendere delle “istantanee”, l’istante decisivo,un po’ come facevano anticamente i “maestri” della fo-to a Parigi, a New York. Ma erano tempi in cui gli incon-tri con le persone non erano mercantili come oggi. Que-sto tipo di foto, vuoi per la malizia delle persone, vuoiper le leggi di preservazione dell’immagine, si stannoestinguendo. Cosa sapranno fra cent’anni i nostri nipotidi come si viveva in strada?

Ma camminare per la città è troppo bello e quindi fo-tografo la città senza le persone. Cosa non difficile a Bra-silia. La capitale futurista non concede molto alle per-sone, perché è una città fatta di macchine, cemento egrandi spazi di natura. Quasi nessuno passeggia, e cosìl’atto di fotografare non incontra ostilità. Le linee di Bra-silia osservano mute. E per me che sono spesso a con-tatto con realtà cariche di sentimenti, siano essi positivi,nel caso della pastoral, o tristi, come nel caso di un la-voro che sto facendo con famiglie vittime di violenza,fotografare Brasilia rappresenta un riposo per la mente.Nulla succede. Ma qui non siamo più nell’“instant dé-cisif”, piuttosto nell’istante... non decisivo. Non me nevoglia Henri Cartier-Bresson.

Fotografare, un riposo per la menteLe immagini di questo numero di Madrugada

di Luca Bonacini

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SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 , COMMA 20/B, LEGGE 662/96 - VICENZA FERROVIA - TAXE PERÇUE - TASSA RISCOSSA.

IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE ALL’UFFICIO DI VICENZA FERROVIA, DETENTORE DEL CONTO, PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE

(VIA ROMANELLE, 123 - 36020 POVE DEL GRAPPA - VI) CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA.