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Silenzio, si uccide. Non chiedetemi di quelli. Non so di cosa state parlando. Silenzio, lasciatemi riposare. La colpa non è mia: “non poteva che andare come è andata” “il sistema funziona così” “le circostanze storiche lo richiedono” RIVISTA TRIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE “MACONDO” PER L’INCONTRO E LA COMUNICAZIONE TRA I POPOLI Anno 6° Novembre 1996 23 Silenzio, si continua ad uccidere. La responsabilità è degli altri.

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Silenzio, si uccide.Non chiedetemi di quelli.

Non so di cosa state parlando.Silenzio, lasciatemi riposare.

La colpa non è mia:“non poteva che andare come è andata”“il sistema funziona cos씓le circostanze storiche lo richiedono”

RIVISTA TRIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE “MACONDO” PER L’INCONTRO E LA COMUNICAZIONE TRA I POPOLIAnno 6° Novembre 1996

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Silenzio, si continua ad uccidere.La responsabilità è degli altri.

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Rivista trimestraledell’Associazione

per l’incontro e lacomunicazione tra i popoli

Autorizzazione Tribunale di Bassanon° 4889 del 19.12.90

Direttore EditorialeGiuseppe Stoppiglia

Direttore ResponsabileFrancesco Monini

Comitato di RedazioneOrtensio AntonelloStefano BenacchioGaetano Farinelli

CollaboratoriMario Bertin

Enzo DemarchiEttore Masina

Ennio RipamontiAngelo Zaniol

Macondo giovaniRoberta Gianesin

Michela LupiStefano Serato

CopertinaFoto di Daniele Pellegrini

Versi: libera interpretazione da“Non fatemi domande”

di Pablo Neruda

Progetto GraficoRinaldo Cutini

StampaLaboratorio Grafico BSTRomano d’Ezzelino (VI)

Tiratura: 2.700 copie

Stampata su carta senza cloro

Associazione MACONDOper l’incontro e la

comunicazione tra i popoliVia Romanelle, 123

36020 Pove del Grappa (Vi)Tel. 0424/808407 - Fax 0424/808191

Conto corrente postale 12794368

S O M M A R I O

EDITORIALEAmare per passione o amare per compassione?

pag. 3 / 4 / 5

REDAZIONALEIl perdono

Le immagini di questo numero di Madrugadapag. 6

IN CERCA D’ALI«Sì, desidero volare!»

pag. 7 / 8

IN CERCA D’ALIDa comparse a protagonisti

pag. 9 / 10

RECENSIONI E RIFLESSIONISpiritualità in America latina

pag. 11 / 12 / 13

VOCI VOCIGli uomini tutti vedranno il Duemila attraverso i vetri?

pag. 14

SPECIALEPer una teologia degli oppressi e degli esclusi

Una riflessione sulla Teologia della Liberazionein attesa della caduta del “muro sovietico” eretto anche nella Chiesa...

Pag. 15 / 16 / 17 / 18

CUBA VIVELa seconda rivoluzione cubana

Pag. 19 / 20 / 21

INCONTRO TRA CULTUREIl caboclo o dell’arte di vivere a Curuai

Pag. 22

LETTERERiconoscere gli amici, anzi, sentirli

Pag. 23

MESSICOIn Chiapas la parola contro la forza: una sfida aperta

Intervista al vescovo dom Samuel RuizPag. 24 / 25 / 26

AMERICA ANDINAPerù: i nuovi volti dei poveri

Pag. 27 / 28

NOTIZIEMacondo e dintorni

Cronaca dalla sede nazionalePag. 29 / 30 / 31

MACONDO IN FESTA

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«La vita ama e segue i forti,ma l’atto religioso predilige i miti,gli umiliati e offesi,gli storpiati e impalliditi».[Aldo Capitini]

«Cristo non è un idealema una forza.Questo è il più del cristianesimosull’ideologia».[Italo Mancini, Introduzioneall’etica di D. Bonhoeffer]

Laura

Laura ascolta lo sciabordo lievedel ruscello sui sassi, il frusciodelle foglie sui bordi del Brenta. Siallunga sui ciottoli e guarda ilcielo, le nuvole che si addensanoin figure e si disfano svelando leprofondità azzurre. «È così bellala vita» - mi dice con un sorriso.«C’è tanta gente meravigliosa inquesto mondo»... e, dopo unsilenzio lungo: «Cerco di vivereogni giorno come se fosse l’ultimo,mi godo questo dono attimo perattimo, mi assorbo in ogni sensa-zione, lascio che si dilati in tutto ilmio essere. Mi sciolgo nell’im-menso e sento che l’immenso è inme. So che mi resta ben poco:mesi, settimane. I medici nondicono mai la verità, io invece nonho voluto rinunciare a questo dirit-to primario di ogni essere umano,di poter guardare in faccia il pro-prio destino, di poter prenderecongedo dalla vita, dalle cose,dagli affetti più cari».

Se non avessi saputo...

«Se non avessi saputo, nonconoscerei l’intensità di questi gior-

ni: mi sarei lasciata vivere in super-ficie, credendo di avere chissàquanto tempo davanti a me percercare, per cercarmi e per riem-pirmi d’infinito».

E chiude gli occhi. Una calmaindicibile è sul suo viso. Ma, ad untratto, dalle palpebre abbassate fil-trano le lacrime, scorrono lente,rigando gli zigomi, le tempie. Lauravolge il capo dall’altra parte. Nonso se far finta di niente, per discre-zione, o stringerle la mano, oabbracciarla senza parole. Vorreipregare. «Un assai lungo momen-to è il soffrire» (W. Shakespeare).Lungo soprattutto quando all’ab-bandono degli uomini si aggiungeil silenzio di Dio. Lungo se nellanotte solitaria serpeggia incoerci-bile nel tuo corpo, che non è piùtuo e ti immobilizza impotente edevi portarne il peso, scheletro evene, fragilità e tristezza, e nessu-no che ti aiuti per i bisogni più ele-mentari.

Ma passa. Credilo, passerà, nonrassegnarti all’inevitabile, se la tuaora non è ancora giunta.

Non è discrezione, rispetto...

Ogni anno, in due sole città diprovincia nella regione del Norde-st d’Italia, si registrano ben cin-quecento tentativi di suicidio, inmaggior parte di giovani, di cuiuno su tre recidivo entro i sei mesisuccessivi alla prima crisi. E sututte queste storie cala il silenzio:che non è discrezione, rispetto,delicatezza, pudore, ma sempli-cemente, nel nostro mondo indaf-farato e sazio, disattenzione, indif-ferenza.

È un esame di coscienza per noi“intellettuali”, per noi “letterati”, per

il nostro impegno a parole, chenon s’incarna nei fatti e negli attidella vita. Quale coerenza fra ilpensiero e l’azione? la teoria e lapratica, la parola e la vita? Datempo avverto il disagio, se non ildisgusto, della stessa “alta cultu-ra”, privilegiata e narcisistica, chevale tutta insieme assai meno, perme, di una sola lacrima rasciuga-ta, di un solo dolore lenito in silen-zio («La tua mano destra non sap-pia quel che fa la sinistra»).

È facile e comodo dire: «Dio miha chiamato ad insegnare, predi-care e scrivere... è la mia vocazio-ne». In passato, forse, la mia atti-vità sociale è stata più utile epiena, ed ho anche pagato dura-mente per questo. Ho coinvolto inbattaglie e testimonianze ingenuee forse inconcludenti i miei cari. Hosconvolto e sventrato i valori “nor-mali”, ma puliti e sani, che pure eroriuscito a realizzare... e ne è rima-sto un sapore amaro e dissuaden-te d’inutilità, di sconfitta e disin-canto.

Ogni pane non spezzatocoi fratelli è furto

Eppure sento, continuo a sentire,che ogni bene non spezzato coifratelli è furto, rimorso... e avvertol’ingiustizia e lo scandalo di ogniagio superfluo che potrebbe con-vertirsi in opera di soccorso se noncrescesse a dismisura in questasocietà materialista l’indifferenza ela chiusura verso la povertà e lasofferenza altrui.

La bontà non nasce da una con-vinzione, né da un rito o da unapratica di culto: è una disposizionedell’animo, dei sentimenti, dellavolontà. La lealtà, la solidarietà, la

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Amare per passioneo amare per compassione?

diGiuseppe Stoppiglia

E D I T O R I A L E

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riconoscenza per molti sono paro-le vuote. Non parliamo poi di quel-li che si mettono sul pulpito e siritengono infallibili depositari diverità e tracciano giudizi e ammo-nimenti non richiesti a destra e amanca. Preferisco l’umiltà del dub-bio e della ricerca, la sincerità, ladiscrezione e la tolleranza di chiammette di essere imperfettocome tutti e mostra rispetto delleopinioni e dei comportamenti altrui.

La bontà, la generosità, la giusti-zia, non s’identificano con la cre-denza religiosa e tanto meno conl’apparato ecclesiastico.

Conosco tante persone che sonopraticamente fuori di ogni chiesa eche agiscono tuttavia in modoretto, pulito, onesto ed altri cheprendono la religione come unguscio vuoto di formalismi esterio-ri, sterili di efficacia concreta nel-l’operare quotidiano.

I professionistidella carità

Lo stesso Oscar Wilde scriveva:«Quanti segreti inconfessabili puòcelare una persona “perbene” equanta bontà un reprobo». A pro-posito, mi tornano alla mente levisite in Brasile ed in America Lati-na di tanti “professionisti” dellacarità. Sono visite di sagrestani.Figli umili del parroco, parlano unlinguaggio così stucchevolmenteclericale, che non possono cherichiamare le sagrestie ammuffiteitaliane.

Sono anche “ministri” della paro-la e dell’Eucarestia, addetti aimalati, ai poveri, all’assistenzadegli anziani, ma non passa nep-pure lontanamente per la loro testal’ideale di costruire una societànuova, giusta.

Anche il suggerimento forte diGiovanni Paolo II: «La nuovaevangelizzazione è uguale a incul-turazione», cade nel vuoto. Lasocietà politica di cui fanno parte èun’altra cosa, è esterna all’impe-gno.

È sorprendente, almeno per me,conoscere da vicino persone cherivestono cariche importanti e chesvolgono la loro professione consenso di responsabilità, constata-re come siano capaci di vivere inuna società radicalmente ingiustae di convivere con migliaia diesseri umani che letteralmentemuoiono di fame. Mi è facile con-cludere che i responsabili dellaloro formazione hanno pensatopiù alla chiesa che al regno di Dioe la sua giustizia. Non sarà cheapparteniamo ad una chiesa nar-cisistica?

La chiesa schiavadi una verità astratta?

Perché le denunce della chiesaufficiale sono così inefficaci, cosìsterili? Forse la chiesa non haassunto un cambio irreversibile dicultura, non si è liberata da unaconcezione platonica della veritàin sé. Eppure basterebbe con-frontarla con la definizione evan-gelica per dimostrare la sua inef-ficacia operativa.

La verità non si pensa e non si

E D I T O R I A L E

Indios dello Xingu (Brasile) minacciati di estinzione dalle Multinazionali dellegno.

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crede solamente, si fa nell’amo-re. Mentre la conoscenza per unrazionalista è speculazione,astrazione, attività della mente,da cui il corpo è assente, perl’uomo della Bibbia la conoscen-za è esperienza di vita nell’azio-ne. «... Tuo padre difendeva ildir i tto dei poveri... in questomodo dimostrava di conoscermiveramente» [Ger. 22,16]. Siconosce Dio quando si assumela responsabilità dei poveri.

Per parlare di inculturazione,cominciando da casa nostra, chie-diamoci: in che cultura viviamo? Lanostra cultura occidentale ha ori-ginato due ideologie da rifiutareperché, quando si sono incarnatenella storia reale, hanno dato frut-ti di morte: l’ideologia neoliberalee l’ideologia marxista.

La chiesa condanna oggi, con lastessa energia, l’ideologia neoli-berale, il cui ultimo frutto è unademocrazia impotente, passiva, el’ideologia marxista, verità senzaamore. Ma il livello con cui la chie-sa condanna, non è quello sceltoda Gesù: è il livello accademico,intellettuale, astratto.

Una scelta accademica,una condanna superflua

Gli uomini di chiesa non dannosegni di accorgersi che si è insi-nuato nella nostra cultura un tre-mendo male, una epidemia letaleche distrugge il centro dell’uomo,il suo nucleo fondamentale che èil suo essere persona?

Il mandato della chiesa al laicatoè quello di santificare la propriaattività quotidiana nella società,tralasciando però di richiamare allaprima responsabilità, quella di cri-ticare questa società.

La santificazione della vita è un’il-lusione quando non è inserita nellaresponsabilità del regno, propria diogni cristiano.

Amore, cuore e consenso

L’amore misericordioso, quelloche si china sulle sofferenzeumane, e che non si chiede qualine siano le cause, è sempre statoprivilegiato dalla chiesa. Non è

assolutamente polemico, è ogget-to di ammirazione universale.Diventa polemico unicamente seassunto da quelli che usano tutti imezzi per evitare l’opposizione alsistema.

«Tu sei cristiano, occupati dicurare le piaghe aperte dell’u-manità, lascia la politica chesempre appanna la carità» è undiscorso che, con poche varian-ti, si dirige a coloro che si inte-ressano del loro prossimo. Que-sto tipo di amore dà la sicurezzaassoluta di scalare di virtù invirtù, di non avere crisi interiori,se non crisi di stanchezza, lasicurezza di essere acclamati interra e nell’eternità.

L’amore politico, quello che vedeil povero come vittima e comeresponsabile della liberazione, èun amore drammatico. L’amorepolitico non sboccerà mai in unaglorificazione, in un’approvazioneglobale, vede come punto d’arrivola crocifissione fuori dall’accampa-mento e la scoperta del regno ciha messi inesorabilmente su que-sta linea.

L’umile solidarietàdi un cuore politico

Non possiamo però allontanarcimai dall’amore verso quelli chenon entreranno mai in un calcolopolitico: gli inutili. La mancanza dimisericordia si pagherebbe con laperdita definitiva della capacità dicritica delle ideologie.

Ogni ideologia ha in sé i germiche maturano in un tiranno occul-to, dietro la maschera democrati-ca e populista. Solo l’amore mise-ricordioso sradica definitivamentela possibilità di convertire la libertàin tirannia. Gesù non sarebbemorto in croce se avesse amatosolo misericordiosamente e nonanche politicamente.

Così la parola solidarietà che insé indicherebbe un rapporto diuguaglianza, un camminare gomi-to a gomito, si colora spesso diuna tinta assistenzialistica e si alli-nea con tutte le iniziative cherinforzano la dipendenza, piuttostoche creare uguaglianza.

Solidarietà significa per noieuropei e per quelli del primo

mondo riunirsi e mettersi insiemeper decidere quello che possia-mo fare per i disgraziati del terzomondo, mettere a disposizionedella loro incapacità, la nostracapacità.

Non sempre una decisione disolidarietà, quindi, è conseguentead una conversione, ne manca lanota essenziale, che è quella del-l’umiltà.

La cappa dell’integrazioneeconomica

Forse la mia critica sulle questio-ni affrontate può apparire spinta:ma temo che il metodo capitalisti-co delle multinazionali, che sotto lacappa dell’integrazione economi-ca, nascondono lo sfruttamentopiù cinico e crudele, contamini l’in-tenzione così umana e cristiana disolidarietà.

L’elemosina che non ha un lungotempo per fecondare le “viscere”,di compiere una rivoluzione allaradice, è un insulto e contribuiscea questo freddo polare che minac-cia la nostra capacità di sopravvi-vere.

Non penso assolutamente cheun teologo o un vescovo debbanoandare a vivere fra i baraccati perraggiungere quella vicinanzaessenziale alla loro attività di pen-siero e di spirito, ma ritengo inevi-tabile che gettino le fondamentadelle loro costruzioni di pensiero,o dei loro progetti pastorali, fra ipoveri e con loro.

È certamente una grande sco-perta quella del filosofo E. Levinas,che il pensare porta all’apparizio-ne del volto del fratello che cimette davanti all’alternativa: oassassini o liberatori. Il primopasso del pensare è etico e nonteoretico. Il pensiero dell’uomo ècreativo, costruttivo e soprattuttovero, quando parte dalla coscien-za della responsabilità che legaciascuno agli altri e alle cose. Unaresponsabilità che assumo nonperché ho un buon cuore, perchélo voglio, ma perché costitutiva delmio essere uomo.

Pove del Grappa, ottobre 1996.

Giuseppe Stoppiglia

E D I T O R I A L E

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Perdono viene da “perdonare”,parola di origine latino-medievaleche, a sua volta, deriva da “con-donare”.

L’idea di perdono si sviluppa, sto-ricamente, lungo due direttrici prin-cipali: vi è un perdono nell’ambitodelle religioni e vi è un perdonoche è proprio della “polis”, cioè dipertinenza esclusiva dello Stato.

Nei secoli passati sia le Chieseche gli Stati hanno dato diverseinterpretazioni della parola perdo-no che è sempre stata associata altema dell’”oltraggio” e a quellodella “giustizia”.

Nel ventesimo secolo, il tema delperdono è stato dibattuto principal-

mente in relazione ai crimini diguerra o riferito alle grandi perse-cuzioni politiche e religiose. Eccoallora che se “perdono” è la parolachiave che ci viene consegnata daicrimini, dai soprusi, di varia originee natura, che abbiamo alle spalle,“pentimento” è la vera parola chia-ve per capire se il perdono puòessere dato e a quali condizioni.

Certo è che anche il pentimentosta diventando sempre più unavera e propria categoria dello spi-rito internazionale. Pentiti degli olo-causti, pentiti delle guerre ideolo-giche, pentiti della criminalità ter-roristica e mafiosa, pentiti dellacorruzione del sistema politico.

Il mondo si sta trasformando inuna gigantesca aula di tribunaledove il giudiziario e il carcerariohanno preso il sopravvento, nellacomunicazione pubblica, sosti-tuendolo al politico e al sociale.

Il giudizio sul passato, ancherecente, è diventato l’ossessio-nante cartina di tornasole per valu-tare la leggittimità e la credibilitàdel presente. Ma non sono gli sto-rici, gli uomini di cultura a menarela danza, sono i magistrati, i penti-ti e i mezzi di comunicazione dimassa che quasi tutto ci fannovedere e sentire tranne che il gridodi Vladimir Jankelevitc: «Ma cihanno chiesto perdono?».

Il perdonoLe immagini

di questo numero di Madrugada

diOrtensio Antonello

R E D A Z I O N A L E

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«Ci sono quelli aiquali il perdono hafatto torto. È unacosa molto semplice:capire tutto eperdonare tutto. Nelgiudaismo c’è lafesta del grandeperdono dove siprega per le offesefatte a Dio. Ma per leoffese fatte all’altrobisogna chiedereperdono all’altro. Dionon può perdonareper l’altro. Non può,e sarebbe grave selo facesse. Perchè,in questo caso, sipotrebbe fare almondo tutto ciò chesi vuole e poi, dopoaverlo fatto, chiedereperdono a Dio».

Dialogo conE. Lévinas

Maggio ‘92. Posusje - una donna mussulmana scappata dal suo villaggio.(foto di Paolo Siccardi)

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«Nessun incontro lasciaindifferente chi lo vive,in quanto è luogo creativo,come nessun dono lasciavuoto chi lo porge in quantoviene dall’alto».[Arturo Paoli]

Ormai sono persuaso e consa-pevole, non per convinzione intel-lettuale ma per esperienza vissu-ta, che l’incontro e la relazionestanno assumendo nella mia vitaun valore unico e inestimabile. Larelazione diventa vitale, come ilrespiro per il corpo. È nell’incontrogratuito che la vita assume lospessore dell’unico e del definitivo,perché è nell’esperienza dellacomunicazione vera che vibrano lecorde dell’anima, che si decompri-mono negli spazi interiori, che sirivelano i desideri profondi nasco-sti negli interstizi dell’anima. È nel-l’evento del “noi” che mi riscoprosognatore e viandante incammi-nato verso le più riposte e rischio-se contrade della mia interiorità, làdove si aprono orizzonti e cielinuovi.

Il camposcuola ad Amelia è statoquesto: scoprire nell’incontro e neldialogo quel nucleo di luce cheabita nel profondo, quel sogno nondel tutto dimenticato, la NovitàLiberatrice che porta ad abbrac-ciare il proprio cammino persona-le, per portare ad unità e compi-mento il nostro essere.

La vita è un’opera d’arte!

«Cominciare da se stessima non per finire con se stessi,prendersi come punto di partenza,ma non come meta.La trasformazione di me stesso è

il punto di Archimede a partire dalquale posso da parte mia solleva-re il mondo».[Martin Buber]

Ricercare il senso ma non chiu-dersi in esso. Scendere nel fondodi noi stessi, non per trovarvi l’ioovvio dell’individuo egocentrico,ma la coscienza dell’individuale, ilsé profondo della persona cheregala un sorriso, che ama unfiore, che abita il mondo intero.Raggiungere quell’ultima dimen-sione in cui l’uomo si riconcilia conse stesso e si scopre figlio dellaLibertà e della Vita. L’ultima dimen-sione è quella che dà il senso allanostra vita, per cui valga la pena diesistere, di alzarsi al mattino e diaddormentarsi alla sera.

L’ultima dimensione è la nostrasete di essere e di creare. Perché

siamo chiamati ad essere poeti,cioè creatori dell’impossibile, arti-sti capaci di osare Nuovi Possibili.

Con l’uomo libero, cosciente eresponsabile, il possibile fa partedel reale!

Siamo dei primi destinatiad essere secondi

Attendere, aver pazienza, ascol-tare. Questo aveva imparato Sid-dartha dal fiume, e questo lo con-dusse alla sapienza.

Ascoltare! Questo deve essere ilnostro passo nel cammino di ricer-ca. Interamente immersi in ascol-to, totalmente disposti ad assorbi-re il canto delle mille voci dellacreazione, il flusso degli eventi, lamusica della vita, di ciò che eter-namente diviene. Ascoltare, perrenderci vuoti, terra feconda chelascia spazio al seme e gioisce delfiore che nasce, come la madreche accoglie il seme nel ventre esi meraviglia della vita che nasce.Svegliarsi ad un evento nuovo,farci aggredire dalla realtà, dall’al-tro, per acquisire la consapevolez-za vitale che siamo, nel momentoin cui il Gratuito ci investe, come«l’occhio vede quando si rivestedel paesaggio» [Mario Bertin].

La nostra identità sta nella liberaespressione che possiamo dareall’Essere Sorgivo che ci abita,nella creaturalità che possiamoesprimere per trasformare la crea-zione in Regno.

Lasciarci andare in caduta libera,come una pietra nell’acqua. «Se tugetti una pietra nell’acqua, essa siaffretta per la via più breve fino alfondo. E così è Siddartha quandoha una meta. Siddartha non fanulla, pensa e aspetta. La sua

«Sì,desidero volare!»

diStefano Serato

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meta lo tira a sé, perché egli nonconserva nulla nella propria anima,che potrebbe contrastare a questameta» [H. Hesse].

Vorremmo essere dei primi, ma ilnostro compito è umilmente esse-re dei secondi, chiamati a darerisposte più che a fare progetti.

Lentius, Profondius,Suavius

Tempi di grande disorientamentoquelli che stiamo vivendo. Appaio-no talvolta tempi di resa più che diresistenza. Tempi in cui siamo ten-tati di ritirarci in pantofole, chiusinel limitato orizzonte delle nostrefinestre di casa, invece di scende-re in piazza. Tempi in cui è neces-sario farci testimoni, sentinelleprofetiche che annuncianotempi nuovi, orizzontinuovi di senso e di lotta.Tempi in cui occorreguardarsi intorno, recu-perare la memoria, darecorpo alle speranze dicambiamento. Tempi incui bisogna riconquistareil coraggio della speran-za, per continuare osti-natamente a sognare l’U-manità Nuova, a ricerca-re il cammino comuneverso l’utopia della Fra-ternità Possibile.

Non si tratta di fuggire larealtà, né di disertare questomondo per raggiungere un’inno-cenza che non è di questo mondo.L’utopia è un’altra cosa; ti tormen-ta e ti invita a cercare quello chenon è nel presente, ma che tu deviraggiungere. L’utopista è colui chesta con i piedi nel presente, ma losguardo nel futuro, teso all’Alter-nativa che è principalmente cultu-ra alternativa, il cui valore nonrisiede tanto nelle sue bibliotechee nella “scienza”, quanto nella suacapacità di approfondire l’umano,di creare vita dentro di noi e attor-no a noi.

Questa nuova cultura ha le sueorigini nel recupero della coscien-za di sé che si acquista nellaconoscenza e coscienza degli altri.«La riappropriazione della coscien-za di sé è legata al riconoscersi inaltri con cui si fa comune unione

(comunione)». [Giuliana Martirani].Recuperare la propria identità per-sonale e comunitaria rompe l’o-mogeneizzazione culturale, per-mette la riappropriazione del pro-prio potere decisionale per arriva-re a quella che Capitini chiamal’onnicrazia.

Fare comunità per trasformare larealtà, per fare politica. Passaredalla passività del consenso allacoscienza personale comunitariache erode il potere verticale, perriappropriarsi di un potere diffuso,di un potere di tutti. Il perno delcambiamento è il passaggio dalladelega alla partecipazione. Solocon un tale progetto politico capil-lare sarà possibile pensare di pas-

sare dall’attuale democrazia for-male ad una democrazia sostan-ziale.

È una posta in gioco che ci coin-volge tutti e mette dentro di noi l’ur-genza della lotta e dell’azione.Un’azione nuova, libera da condi-zionamenti ideologici, che si nutrealla sorgente profonda della vita.«Più lento, più profondo,più dolce, in alternativaad una società che ad ognilivello, personale e politico,è organizzata secondo il moto,più veloce, più alto, più forte».[Alex Langer]

Uomini nuovi enuovi uomini!

La fraternità ci sta chiedendo di

cambiare il cuore mirando almondo intero. Aprirsi all’incontro,all’ascolto, alla condivisione, percostruire già da ora, nel nostroquotidiano, delle piccole fraternità.Acquisire coscienza critica dellastoria, per individuare i meccani-smi dell’ingiustizia, per anticipareil gioco dei potenti, per individuarei segni di negazione ma anchequelli di speranza.

Proprio l’attenzione alle personee alla storia ci fa vedere che c’è unmiscuglio di ombre e di luci. L’im-portante è cogliere i motivi e isegni di speranza. Se nella frater-nità stiamo scoprendo il verosenso, la nostra vocazione, è nellasperanza che ci mettiamo in cam-mino per realizzarla. «La speran-za scruta l’orizzonte, fissa nel

cuore le caratteristiche dellameta da raggiungere. Essa è

come la memoria dell’uto-pia e della scommessa»[Carlo Carretto].Alzare lo sguardo oltre ilcontingente, con gli occhifissi sulla meta, i piedipiantati a terra, e le manitese all’uomo, al povero,diventando così servidella fraternità. Questo ciè chiesto se decidiamo di

partecipare a questa scom-messa. Di condividere gra-

tuitamente le sorti del poveroper cercare insieme la libera-

zione, certi che la storia va nelladirezione della giustizia e della

pace.La condivisione è il segno più

chiaro se stiamo o no camminan-do. Perché la condivisione chiedel’appartenenza, mentre il serviziofine a se stesso chiede la presta-zione. Solo nell’incontro, nell’a-scolto e nella condivisione puògermogliare la testimonianza vera.Quella testimonianza autenticache è profezia della fraternità checrediamo possibile, e che già pos-sediamo nei presentimenti delnostro cuore.

A noi ora il compito di metterci incammino, trasformando i desideriin speranze, la disponibilità e l’im-pegno in servizio che si fa condivi-sione, i sogni nascosti in utopiapossibile.

Stefano Serato

I N . C E R C A . D ’ A L I

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L’arrivo e l’accoglienza

28 luglio ore 7.30: Michela ed iopartiamo per raggiungere Amelia(Terni) dove altri ragazzi come noihanno scelto di vivere l’esperien-za del primo campo scuola Incerca d’ali di Macondo.

Dopo parecchie ore di viaggio inquella calda domenica, arriviamoa destinazione. Una freccia indi-ca la direzione per il Romitorio, illuogo dell’appuntamento. Colsenno del poi, nel programmaspeditoci, alla voce “occorrente”sarebbe stato bene specificare“consigliato il fuoristrada”. Quellapiccola e impervia stradina bian-ca, non prometteva nulla dibuono, sembrava essere un’ac-coglienza piuttosto spartana. Èstato Giuseppe, una volta arriva-ti, a rassicurarci aprendo le brac-cia e stingendoci in un calorosoabbraccio e presentandoci poiagli altri.

Michela è stata subito colpita daquesto volto in parte incorniciatoda capelli lunghi e una folta ebianca barba: non è servito a nullacercare di spiegare Giuseppe, perconoscerlo ha dovuto viverlo.

Subito il pranzo, sono ormai le13.30 e la fame si fa sentire, poiin camera per un riposino, con l’in-vito di Gianni alla puntualità per l’i-nizio dell’attività. Gianni, semprepreciso, puntuale ed efficienteinsomma un sindacalista con ifiocchi!

Sono in camera con Stefano eDavide, loro si conoscono già.Subito mi accolgono dicendo chepotevo parlare pure in dialettotanto loro mi avrebbero capitougualmente. Beh, anche loro sonoriusciti a farmi sentire subito a mioagio.

Alcuni momenti al campo

In quel palcoscenico del Romito-rio abbiamo subito avuto la sensa-zione di essere attori protagonisti,e non semplici comparse, di unevento, di un incontro: un incontrotra una trentina di ragazzi di tuttaItalia che arrivavano ad Amelia conzaini pieni di cose da raccontare,aspettative, sogni e... desiderio difare casino.

C’è stato subito presentato “lospettacolo ufficiale”, scandito rigo-rosamente dal programma, dai con-tenuti e dal metodo, difficile da rac-contare perché è per me quasiimpossibile tradurre la complessitàdi quegli incontri in parole. Perso-naggi ricchi di vitalità e fascino sisono succeduti in questi cinquegiorni per raccontarci le loro espe-rienze estremamente diverse mapur tuttavia unite dallo stesso filoconduttore, come ha sottolineatoSergio Tanzarella: «l’aver deciso ungiorno di uscire dal proprio comodosalotto di casa per affacciarsi allaporta che immette nella piazza ».

P. Stefano Bianchi, francescano,ha proposto la sua riflessione su“Cercai me stesso...”, Mario Bertin,invece, ci ha tenuto compagnia perdue giorni facendoci da cicerone inun inedito itinerario francescano.Dal mondo semplice ed essenzia-le di Francesco siamo stati cata-pultati a riflettere da Tanzarella, exparlamentare siciliano, sulla com-plessità della realtà politica con-temporanea e sulla difficoltà adeducare ad un efficace impegnosociale, soprattutto al sud.

Spesso si cerca, di fronte all’ur-genza del reale, di rispondere inmodo efficiente ai problemi dellagente senza soffermarsi sui veribisogni della persona che ci sta

davanti, insomma: “siamo piùattenti ai problemi che alle perso-ne” questo è quanto ha sintetizza-to Laura al termine dell’incontroche ci ha fatto riflettere sul valorevero della solidarietà spogliata daisoliti luoghi comuni che rischianodi farne una parola passe-partoutvuota di senso e terribilmente infla-zionata.

Vale però la pena soffermarsianche sui commenti, le battute, glisguardi, la vita del campo “dietro lequinte”, un sottobosco di pensieri,emozioni, interrogativi non previsti(ma sperati) dal programma.

Martedì sera Anna, Enrico ed ioeravamo nell’accogliente salottinodel caminetto, era tardi ormai efuori faceva abbastanza freddo.Enrico ad un certo punto del suodiscorso esclama: «Caspita! Sonosolo due giorni che ci siamo incon-trati e sembra che ci conosciamoda una vita». È proprio vero, ancheAnna ed io siamo della stessa opi-nione. C’è già una certa armonianel gruppo che ci ha permesso dilavorare fin da subito a buoni livel-li. Ai gruppi di lavoro tutti sono statichiamati ad esprimere le proprieidee e non sono mancati anchemomenti divertenti.

È stato bello vedere durante gliincontri con i vari testimoni leespressioni di tutti: c’era chi ascol-tava estasiato e prendeva appunti(Stefano con Mario Bertin), chi nonriusciva a mascherare il sonno, chiincrociando il tuo sguardo ti comu-nicava ammirazione e stupore(Michela sempre), chi ad una fraseparticolare sospirava così forte dadisturbare l’assonnato vicino (sem-pre Michela), chi invece ti guarda-va e rideva e basta (Davide).

Provvidenziale arrivava allorauna breve pausa che ci permette-

Da comparsea protagonisti

diMarco Lazzaretto

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va di staccare dal lavoro per poiriprendere più riposati. In queimomenti, si scambiavano duechiacchiere, si prendeva una tazzacalda di caffè o un buon secchio diacqua gelida sulla schiena (il clas-sico gavettone): anche questo eraun modo per conoscersi! Vi assi-curo che non è stato risparmiatoproprio nessuno!

Chi non sembrava aver bisognodi una pausa era padre Stefanoche in fatto di vitalità ed energianon aveva nulla da invidiare a noiragazzi... infatti cominciava le sueriflessioni con “NOI GIOVANI...” .Momenti significativi erano il pran-zo e la cena dove, sulle tavole,oltre che girare abbondanti porzio-ni di pasta “passavano” anche lenostre esperienze, i nostri vissuti:ci raccontavamo! Il tavolo presod’assalto era naturalmente quelloin cui pranzava l’ospite; si cercavacosì di “sfruttare” ogni minuto dellasua presenza e della sua disponi-bilità, eravamo tutti attratti dalla ric-chezza della storia personale diogni singolo relatore che si lascia-va generosamente interrogaresulla propria esperienza. Ci si con-frontava, si chiedevano chiarimen-ti e si poteva arrivare, anche, a verie propri scontri verbali... comequello tra Bepi e Gianni: il lorotavolo sembrava un ring con lasola differenza che i pugni si dava-no al tavolo e non all’avversario.

Com’è finita? Con una stretta dimano e ad ognuno la propria idea.

E poi... le serate quando bans(canzoni animate), canti e balliimpedivano la noia, perfino il nostro

Presidente insieme all’intellettualeMario Bertin è stato trascinato nellamischia. C’era sempre una grandefretta di arrivare alle barzellette perascoltare Davide. Era bello sentir-lo parlare, e attorno a lui non c’erail silenzio, solo un “operoso” brusio:il suo dialetto veneto doveva esse-re tradotto ai ragazzi pugliesi,toscani, emiliani... e qualche voltaanche a noi veneti!

Davide infatti non cedeva, purnon essendo compreso non vole-va rinunciare al colore del suo dia-letto, chiedendo a tutti lo sforzodella traduzione simultanea.

Tante sono le cose che vorreidire, quante parole, espressioni,volti, situazioni, dovrei raccontarema ci vorrebbero alcuni numeri diMadrugada e penso che Farinellimi ucciderebbe!

La partenza

Sabato 3 agosto ore 15.30:Michela, Stefano, Davide ed iopartiamo per tornare a casa.

Alla partenza di Carla il venerdìmattina, ci ha preso un nodo allagola e un forte dispiacere, mentretutt’altri sentimenti aleggiavano alRomitorio alla nostra partenza.L’incontro di sabato mattina infatti,durante il quale abbiamo cercatodi scoprire in modo più approfon-dito cos’è la nostra Associazione ciha aiutato a capire che “Macondounisce e non divide” quindi per noiquello non era un addio ma solo unarrivederci. Questo campo non erafinito, lo spettacolo teatrale cam-

biava solo scenario e continuava,partiva solo per una tournée che ciavrebbe visto ancora protagonisti,magari come solisti, a casa o inchissà in quali altri luoghi.

Per dovere di cronaca devo direche ai ragazzi pugliesi il viaggio ècostato più di centomila lire mentrea noi è costato una macchina eparecchie ore di attesa alternate dafrenetiche corse per raggiungere iltreno. All’altezza dei lidi ferraresiinfatti la mia macchina ha ceduto;così il primo spettacolo del campodi Macondo è stato messo in scenaal binario 2 della stazione di Rovi-go in piena notte, un bans propo-sto da Enrico e realizzato da Ste-fano, Davide e Marco con la regiadi Michela che, stravolta, osserva-va divertita dal finestrino del treno.

È stato davvero bello sapere dipoter essere attori protagonisti diuna storia, la nostra; è stato belloanche perché degli adulti in gambahanno pensato di darci spazio edhanno accettato di entrare seria-mente in rapporto con noi, diincontrare i nostri dubbi, la nostraingenuità, ma “far scorta” anchedel nostro entusiasmo e voglia divivere. Per qualche giorno noiragazzi abbiamo potuto credereche il ruolo di comparsa o, peggioancora di “maschera”, non è undestino a volte irreversibile alquale ci condanna la nostrasocietà, ma solo un momento ditransizione, nell’attesa di fiorire allanostra maturità di uomini.

Un caloroso abbraccio a tutti.

Marco Lazzaretto

I N . C E R C A . D ’ A L I

I S C R I V I T I . A . M A C O N D O«Macondo è educazione e insieme

sperimentazione di gratuità...

è stile, un modo di vivere con le persone...

di andare contro vento, sta a noi volare...

è sogno...

cammino che dà senso alla nostra vita...

esperienza di comunicazione, di dialogo...

percorso educativo...

è gruppo di persone che cercano di cogliere

i segni dei tempi dell’umanità,

che scommettono ancora sull’Uomo...

Macondo è ciò che abbiamo vissuto».

[Dai diari dei ragazzi che hanno partecipato al camposcuoladi Macondo, Amelia, Terni, 28 luglio - 3 agosto 1996]

Se non hai ancora rinnovato la Tua iscrizione aMacondo puoi farlo a mezzo del conto correntepostale numero 12794368 intestato all’AssociazioneMacondo. Costa lire 50.000 e comprende anchel’invio di Madrugada.

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Autori “doc”

A scrivere, di comune accordo,un libro sulla spiritualità in Ameri-ca latina - Spiritualità della libera-zione, trad. presso Cittadella Ed.,Assisi 1995 - sono «due temerariautori europei (spagnoli)» che datempo cercano di «rinascere lati-noamericani» (p. 28): PedroCasaldáliga, da ventott’anni brasi-liano di adozione, vescovo di SãoFélix do Araguaia, nel Mato Gros-so e José María Vigil, ex profes-sore della pontificia Università diSalamanca, da sedici anni parte-cipe, come pastore e teologo, del-l’avventura spirituale, culturale,umana e politica del Nicaragua. Vasubito detto che essi hanno spo-sato in pieno la “causa” di quellaspiritualità della liberazione che sivuole caratteristicamente latinoa-mericana e tuttavia capace di par-lare cattolicamente, anzi ecumeni-camente, a tutti.

Spiritualità vissuta

Il libro non espone teorie subli-mi, non è un trattato di teologiadella spiritualità, nemmeno di unaspiritualità esclusivamente e rigi-damente cristiana. È invece unlibro di spiritualità vissuta, e quin-di incarnata (“inculturata”) nell’og-gi dell’America latina; una spiri-tualità cristiana, certo, e in sensoforte, di un cristianesimo di lotta(cfr. pp. 264 ss), di liberazione,appunto: un cristianesimo che hala macroecumenicità di Dio stes-so (cfr. pp. 296 ss).

Si tratta di una spiritualità cristia-na capace di abbracciare (e dirispettare!) «tutta la spiritualitàumana, nel suo versante più inti-

mamente personale e nelle sueimplicazioni più comunitarie esociali» (p. 27). Senza dimenticareche «hanno uno spirito anche quel-li che non hanno il nostro spirito.Hanno spiritualità anche quelli chenon hanno una spiritualità cristia-na, perfino quelli che dicono di rifiu-tare le spiritualità...» (p. 37); que-sto perché lo spirito di una perso-na è «ciò che vi è di più profondonel suo essere: le sue “motivazio-ni” ultime, il suo ideale, la sua uto-pia, la sua passione, la mistica dicui vive, con cui lotta e da cui sonocontagiati gli altri» (p. 33 e 38).

Spiritualità umana ecristiana

Il libro si divide in tre capitoli(suddivisi a loro volta in numerosisottotitoli). Il primo illustra edesemplifica la distinzione tra spiri-tualità umana fondamentale e spi-ritualità esplicitamente cristiana.Distinzione, non dicotomia o, peg-gio, esclusione: c’è un’unica storiaumana che è storia di salvezza,animata dal medesimo Spirito,anche quando non conosciuto onon riconosciuto come tale.

La spiritualità umana fondamen-tale, o etico politica, «esiste in ognipersona (...) e attinge alle fontidella vita, storia, realtà sociale,prassi, riflessione, sapienza, con-templazione... in una parola, atutte le fonti della ragione e delcuore» (p. 51).

Il secondo capitolo, Lo Spiritoliberatore nella “patria grande”, èdedicato a questa spiritualità e pre-senta quindi caratteristiche antro-pologiche e storico-culturali comevalori umani atti a delineare unafisionomia spirituale dei popoli lati-

noamericani. Così si potranno leg-gere sottotitoli come: indignazioneetica, allegria e festa, ospitalità egratuità, solidarietà, ecc. Vienespontaneo confrontare tali qualitàcon quelle tipiche del nostro mondoeuropeo-occidentale: ci sembreràforse di ritrovare qualcosa cheabbiamo dimenticato in qualcheangolo della coscienza e a cui aspi-riamo con nostalgia (cfr., per es., Incontemplazione, pp. 111-113).

Il terzo capitolo parla della spiri-tualità esplicitamente cristiana oevangelico-ecclesiale, quella chesi realizza nelle modalità della federivelata, «nello spirito di Gesù libe-ratore», come dice il titolo. È laparte più estesa e approfondita dellibro (pp. 143-359). Vi sono detteappassionatamente e semplice-mente cose “antiche e nuove”, ani-mate dal “soffio” vivificante e tra-sformante di una fede inculturatain un continente oppresso e pove-ro. Accenno solo ad alcuni deglispunti per noi più significativi.

Il Dio cristianoe la lotta contro gli idoli

«La questione che ci si pone e citocca più profondamente (in Ame-rica Latina) non è tanto se siamocredenti o atei, ma di quale Diosiamo credenti e di quale Diosiamo atei. Il nostro problema nonè se esiste o non esiste Dio, maquale sia il vero Dio: discernere trail Dio vero e la moltitudine degliidoli (...). Ancor oggi, cristiane sonole maggioranze oppresse d’Ameri-ca Latina e cristiani si dicono purei loro oppressori. Diventa evidenteche gli idoli del potere e del dena-ro sono attivi ed esigono molte vit-time, anche se camuffati sotto par-

Spiritualitàin America latina

diEnzo Demarchi

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venze cristiane. (...) Ci dichiariamoatei di fronte agli idoli, anche quel-li che hanno nome cristiano. Ciuniamo all’ateismo di tutti quelli cherifiutano gli idoli» (pp. 152-153).

Se possono sembrare paroleforti, lo si deve solo al fatto che siricollegano paradossalmente allapiù genuina tradizione biblico-monastica (cfr. le penetranti rifles-sioni di Enzo Bianchi, della comu-nità ecumenica di Bose - Biella, inIl radicalismo cristiano, Gribaudi,1985, pp. 15-16) e che forse...

sono diventati deboli i nostri pala-ti. Ci sono idoli per credenti e noncredenti; l’idolo infatti è quello chepretende di sostituire Dio e altempo stesso schiavizza l’uomo;ed è sulla pelle dell’uomo che sigioca ogni discorso su Dio.

La sequela di Gesù

«Il Nuovo Testamento non cidice tanto che Gesù è Dio, quan-to che Dio è Gesù. Ciò significa

che tutto ciò che noi possiamosapere di Dio lo dobbiamo impa-rare da Gesù; che non possiamomanipolare la rivelazione che Dioci fa in Gesù correggendola a par-tire da quello che già pensava-mo... bensì dobbiamo, al contra-rio, correggere la nostra idea diDio in funzione di ciò che Gesù cimanifesta di Dio» (p. 154).

«Il problema non consiste per noinella de-mitizzazione della figuradi Gesù, ma nella sua de-manipo-lazione (...). Ciò che si vuole inAmerica Latina nel tornare a Gesùè che non si possa presentare Cri-sto in connivenza con gli idoli (...).Per noi quindi “tornare a Gesù”,rivendicare insistentemente il“Gesù storico” non è un eserciziointellettuale, né una mania per l’ar-cheologia o per le catacombe,bensì fedeltà appassionata, zeloper il ricupero dell’autentico voltodi Gesù, dell’autentica e normati-va rivelazione di Dio, del genuinocarattere cristiano di Dio e dellaChiesa...» (pp.147-148).

E ancora: «Essere cristiani èessere seguaci di Gesù... Siamo ilsuo corpo storico adesso (...). Nelcorso della storia la sequela è statatravisata ed offuscata da una dupli-ce tentazione: quella di codificarein dogmi dottrinali il mistero stessodel Gesù storico con la “rivoluzio-ne” spirituale che portava con sé,oppure quella di ridurre a una sortadi mimetismo - imitazione - quellache lungo i secoli sarebbe dovutaessere sostanzialmente eguale ecostantemente diversificata, unasequela responsabile, creativa,profetica» (pp.186-187). Non sitratta qui evidentemente di rifiutarei dogmi, ma di non fare della “dot-trina di fede” un comodo sostitutodel “cammino di fede” : questocomprende quella, non necessa-riamente l’inverso. Nemmeno sitratta di scegliere il Gesù della sto-ria contro il Cristo della fede; alcontrario, è in gioco la concretezzastorica della nostra fede in Cristo.

Alcuni lineamenti del voltodi Gesù, quale emerge oggiin America Latina

· Gesù, rivelatore di Dio e profon-damente umano: «Tutto nella

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Fame, denutrizione, malattie rischiano di trasformare il mondo africano inun vasto cimitero.Con quale coraggio chiederemo perdono?

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sua vita diventa per noi esempiodi umanità conquistata. Solo Diopoteva essere così profonda-mente umano»;

· annunciatore e realizzatore delRegno, e denunciatore dell’anti-regno: «Tutto ciò che Gesù hapraticato tende a realizzare lavolontà di Dio - il Regno - nellastoria stessa, nella sua situazioneconcreta (...). Denuncia gruppisociali che sfruttano il popolo nel-l’ambito sociale e/o religioso... siscontra anche col Tempio e con lareligione oppressiva» (cfr. pureRegnocentrismo, pp.163-175);

· uomo povero e incarnato tra ipoveri, uomo di conflitto: «La suabuona notizia per i poveri fu altempo stesso cattiva notizia per iricchi. Prese inequivocabilmentepartito per i poveri e gli esclusi»;

· uomo libero, compassionevole,ecumenico: (limitandoci al trattoecumenico) «Figlio di un popoloche si sentiva “eletto”, Gesù nonha una mentalità settaria; è venu-to anzi ad abbattere il “muro dellaseparazione”. Propone a model-lo la condotta del samaritano sci-smatico... presenta l’amore aipoveri come criterio ultimo di sal-vezza»;

· via, verità e vita: «I vangeli ci pre-sentano Gesù come uomo incammino verso la “sua ora”: laPasqua... Egli è stato, come nes-sun altro in vita, la “speranzacontro ogni speranza”... Per que-sto è giunto ad essere per tuttinon solo la Via e la Verità, maanche la Risurrezione e la Vita»(pp.190-195).

Il Cristo risorto è lo stesso Gesùche passò facendo il bene, che“patì sotto Ponzio Pilato, morì e fusepolto”. Ci sentiamo interpellati:nei nostri atteggiamenti e nellenostre azioni si vedono i tratti delvolto di Gesù? Lo si vede nellacatechesi, nella predicazione, nellecelebrazioni comunitarie, lo sitocca con mano nella nostra vita?(cfr. p.196 ss).

Incarnazione e vitadella Chiesa

In Gesù, Dio si è fatto carne, sto-ria, umiliando se stesso fino alla

morte, assumendo una cultura,accettando il conflitto, entrandonel processo storico dei popoli...(cfr. pp.175-185).

«Gesù Cristo è la solidarietà sto-rica di Dio nei riguardi degli uomi-ni... Per la nostra fede i dirittiumani sono interessi storici di Dio(...). Se crediamo in questo Dio, seaccettiamo questo Gesù Cristo,uomo conflittuale, accusato, con-dannato a morte, appeso ad unacroce, interdetto dai poteri impe-riali, religiosi ed economici del suotempo... dovremo pure necessa-riamente, come Chiesa, rivedere otrasformare la nostra teologia, lapastorale in quanto modo di gesti-re la vita di questa fede, e la spiri-tualità in quanto è questa stessafede vissuta in ognuno dei cristia-ni» (pp.184-185).

Non è questa, nella semplicità enel coraggio della fede, una tradu-zione della “Ecclesia semper refor-manda” secondo lo Spirito diGesù?

La vita di preghiera

Potremmo essere tentati di pen-sare che una spiritualità così impe-gnata come quella che si vive inAmerica Latina non possa daretroppo spazio alla preghiera... maascoltiamo: «Per la spiritualità dellaliberazione l’obiettivo finale è iden-tico a quello di tante altre spiritua-lità: arrivare a vivere in un abituale“stato di preghiera” (...). La pre-ghiera è in ogni caso una dimen-sione che non si improvvisa, mache occorre coltivare seriamente...La preghiera richiede un suotempo e un suo luogo, perfino deglistrumenti suoi (...). Un operatorepastorale che non faccia indivi-dualmente almeno una mezz’ora dipreghiera al giorno, oltre a quellafatta in gruppo, non ha la staturaadatta a un operatore pastorale(...). Sarebbe assurdo prescinderedalla liturgia della Chiesa (...). Lanostra preghiera è anche natural-mente biblica. Lo è sempre statanella vita della Chiesa... È peròancor più biblica nella spiritualitàdella liberazione perché lo è inmaniera più popolare... le comunitàrecitano i salmi, cantano la Bibbia,la utilizzano con destrezza ricor-

rendo alle sue figure, ai fatti e alleparole più toccanti (...). In ognicaso, perché la preghiera sia vera-mente cristiana, secondo lo Spiritodi Gesù, dovrà sempre esprimereil ringraziamento al Padre e l’im-pegno con la storia» (pp.224-236).

Come si vede, una spiritualitàdella liberazione è eloquente edesigente in fatto di preghiera;anche qui essa vuole seguire ununico maestro: Gesù! (cfr. p.235).

Il primato di Dio

Quanto al prologo e all’epilogodel libro, che meriterebbero tuttoun discorso a parte per la loro den-sità e profondità, non posso faraltro che raccomandarne “encare-cidamente” la lettura. È significati-vo ed istruttivo che la prima e l’ul-tima parola siano imperniate sulprincipe dei mistici cristiani: SanGiovanni della Croce.

Ed è Gustavo Gutiérrez, il padredella teologia della liberazione,autore dell’“epilogo”, a sintetizzar-ne l’attualità e l’importanza per l’A-merica Latina e... per la Chiesatutta: «Anche la giustizia sociale(anche il povero... la nostra stessateologia) può trasformarsi in unidolo e dobbiamo purificarcene peraffermare con chiarezza che Diosolo basta (...). In ultima istanzal’opzione per i poveri è un’opzioneteocentrica, una vita incentrata inDio» (pp.367-368).

Avranno tutti i teologi, anchequelli della Chiesa in Occidente, ilsalutare coraggio di denunciare,oltre che la demagogia in cui siincorrerebbe nel parlare in uncerto modo dei poveri, anche ilpericolo di fare di ogni teologiauna idolatria?

Enzo Demarchiesperto di letteratura e cultura

latinoamericane

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Diamo ospitalità al MovimentoCittadini del Mondo che nascedalla volontà di interscambio cul-turale e di solidarietà tra gli uomi-ni ed i popoli, perché se ne cono-scano il respiro e la traccia.

È nato come un pensatoio.Nome strano, inconsueto. Noncontro. Ma a favore. Ormai dasette anni. Un pensatoio a favoree al servizio dell’umanità silenteche grida. Il silenzio degli ultimi,dei dimenticati, di coloro chehanno la pancia gonfia per la famee il corpo pieno di pus perché nonhanno le medicine e di tutta l’uma-nità che vuole incontrarsi, chedesidera stringersi la mano, cheospita, che è felice, che è entusia-sta di conoscersi.

Il Movimento Cittadini e Popolidel Mondo è venuto alla luce così,semplicemente. Senza strilli.Senza proponimenti faraonici.Semplicemente come gruppo dicultura, di idee, di pensiero.

Fermarsi e riflettere

L’umanità ha così tanto bisognodi fermarsi a riflettere, di incorag-giarsi a pensare.

È Renato Baldan il fautore diquesta idea. Laureato in Scienzepolitiche, ultratrentenne, arriva dauna esperienza intensissima allaTrevisani nel Mondo: lo fanno riflet-tere queste migrazioni imponenti,questo viaggiare delle genti acavallo del mondo, nei secoli, nellastoria, in cerca di terre nuove, dispazi nuovi, di culture nuove, disituazioni nuove. Via, sempre via,sempre in viaggio con in testa l’u-nico cappello, l’unico ombrello:quello di essere uomini, di essere

tutti figli di un medesimo Dio.

Vetri opachi, vetri limpidi

Ora attraverso i vetri opachi, avolte limpidi e trasparenti, notiamoil Sud del Mondo. Non ci è più sco-nosciuto. Chiama , invoca. I pove-ri chiamano i ricchi. Vanno a bus-sare alle loro porte, entrano neiloro cortili.

Il futuro dell’umanità si gioca suquesti valori: essere vicini, al servi-zio, condividere, compartecipare.Questo significa essere fautori dipace, fautori di giustizia. RenatoBaldan costituisce attorno a questoabbozzo, a questo nucleo di idee,un gruppetto di persone. Molti sonoi benefattori, gli uomini di culturache siglano il manifesto del movi-mento che ne sancisce i principi inuna sorta di decalogo intercultura-le, interetnico, internazionale.

Centro di Educazionealla Mondialità

Dopo Crocetta del Montello, lasede operativa si trasferisce aCombai. Se ne fa carico MichelePagos, assieme ad un gruppo digiovani volontari. Ma è in Brasile, aSan Paolo, che il movimento si svi-luppa, fiorisce con delicatezza, connaturalezza, tocca le povertà, correal servizio. È qui, in questo crogio-lo di contraddizioni, che il movi-mento mette radici. Ed è proprio lìche viene costituito il Centro dieducazione alla mondialità e vieneaperta la scuola di arti e mestieri.Le foto testimoniano il lavoro nellefavelas, accanto ai dimenticati delmondo, dove in silenzio la genteurla al mondo ricco. Questa impre-

sa continua, progredisce, dal parti-colare all’universale.

Il movimento intanto cresce, sidota di mezzi audiovisivi, promuo-ve e non si stanca di sollecitarequesta nuova dottrina di compren-sione del destino di tutta l’umanità,che cammina assieme, che simuove assieme. Collabora conistituzioni, con gruppi, con altreassociazioni ed organizzazioniimpegnate nello sviluppo del Terzoe del Quarto Mondo.

Tutti possono aiutare e contribui-re al movimento: organizzandoqueste serate, con mercatini, e conmolte altre attività... I recapiti sonoi seguenti:Renato Baldan, presidentetel. 041/432268,Michele Pagos, collaboratoretel. 0438/899038.

Gli uomini tutti vedranno il Duemilaattraverso i vetri?

diMichele Pagos

V O C I . V O C I

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LA GIUSTIZIA NON BASTA

(...) Questo mondo abitato dal-l’uomo non fu la prima tra le coseterrene create da Dio. Egli avevagià fatto più mondi, ma li avevadistrutti uno dopo l’altro perché dinessuno era stato soddisfattosinché non ebbe creato il nostro.

Neppure quest’ultimo mondoperò sarebbe durato, se Dioavesse mantenuto il Suo propo-sito originario di governarlosecondo un rigoroso principio digiustizia.

Soltando quando vide che lagiustizia da sola avrebbe portatoil mondo alla distruzione, Egli leaffiancò la clemenza e le fecegovernare insieme.

Louis Ginzbergda Le leggende degli ebrei,

1909-38

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Parlare oggi di una teologia deglioppressi e degli esclusi è unasfida, ed è ancora più impegnativoperché la sfida è aperta su duefronti: quello propriamente dellerelazioni di una teologia cristianacon la modernità e con le contrad-dizioni del contesto socioculturalecontemporaneo e quello delle rela-zioni interne alla Chiesa cattolica,con l’apertura di questioni che met-tono apertamente in discussionealcuni fondamenti fino ad oggi indi-scussi e indiscutibili, quali il ruoloistituzionale della Chiesa stessa,la funzione del Magistero (il Papae i Vescovi), la centralità del testobiblico e la sua interpretazione, lescelte di campo da compiere inambito sociopolitico, l’educazionepopolare alla fede e le relazioniecumeniche.

Per questo motivo è necessarioriconoscere alla fede un fonda-mento culturale generato dallanecessità di comprendere che laRivelazione cristiana, così come èdata, va interpretata e collocata inun contesto di riflessione che con-senta al cristiano di capire chi è,dove va e quali sono le basi delsuo confronto con la realtà stori-ca. È stata proprio questa contin-genza storica, con l’esplosione dipesanti e dolorosi contrasti in uncontesto di povertà, di miseria e disfruttamento, a determinare lanascita e lo sviluppo di una Teolo-gia della Liberazione, alla ricercadi una mediazione tra l’elabora-zione culturale della fede e l’agirestorico-politico dell’uomo, in parti-colare nel continente latinoameri-cano.

Una volta stabilita questa pre-messa, è possibile articolare unragionamento secondo alcuniobiettivi fondamentali: cogliere la

relazione tra Rivelazione cristianae contesto storico di oppressione,precisare un’idea di liberazione,inquadrare l’itinerario storico dellaTeologia della Liberazione, verifi-carne le difficoltà, riconoscere l’ec-clesiologia (la concezione dellaChiesa) che soggiace e infine, sepossibile, ipotizzare un futuro.

Annuncio evangelicoe contesto di oppressione

La fede esiste in quanto manife-sta un’evidenza storica e non èpossibile produrre una pura e sem-plice intellettualizzazione dell’an-nuncio evangelico, perché que-st’ultimo può essere comunicatoattraverso un’esperienza di rela-zioni che si esprime in un modellodi società regolata da una dimen-sione politica ed economica, benlontana dall’immagine intimistica,sentimentale e astratta presentespesso in molte architetture pasto-rali. O l’annuncio evangelico sigioca nella concretezza delle rela-zioni storiche o non si gioca. Allo-ra proprio in questa prospettiva l’a-nalisi della congiuntura sociopoliti-ca ha evidenziato, in particolare inalcune aree del pianeta, condizio-ni di povertà, miseria, ingiustizia,oppressione ed emarginazione,che pongono interrogativi pres-santi e angosciosi a chi elaborauna riflessione sulla fede e a chiprogetta un’azione pastorale, pro-prio perché non è possibile astrar-re la povertà dal quotidiano percollocarla in un quadro esclusiva-mente intellettuale o formalmentedialettico (per intenderci, quellodelle omelie e delle esortazioni).

Quindi, in questo contesto, lariflessione teologica ha ritenuto

doveroso e necessario caricarsi diuna responsabilità nuova: ripen-sare la fede, approfondirla e puri-ficarla, alla luce delle «voci profon-de del mondo», secondo il lin-guaggio cristallino e trasparente diPaolo VI.

In questo stato di cose i poverihanno incominciato a riprendere inmano la propria fede, a disegnareun nuovo modello spirituale, ainterpretare la Rivelazione biblica,a modellare evangelicamente laChiesa, riassumendo un’iniziativaperduta o lasciata nelle mani di chiesercitava soltanto una funzioneaccademica.

L’idea di liberazione

Per fronteggiare quest’ingiustiziastorica, fatta soprattutto di soprusie di sofferenza, irrompe l’idea diliberazione, la quale, per la verità,non rappresenta nulla di nuovonella tradizione spirituale e teologi-ca cristiana. È stata semplicemen-te riscoperta, rinnovata e attualiz-zata, attribuendole un aggettivoche la qualificasse in maniera deci-siva: integrale. Ed è questo il pas-saggio decisivo e spesso aspra-mente contestato, perché preten-de di attribuire una valenza politicaall’esperienza di fede, suscitandoal tempo stesso l’attenzione sullecondizioni sociali dell’uomo qualeluogo di liberazione attiva.

«Il senso della liberazione totaledella Risurrezione ci appare soloquando lo si confronta con la lottasostenuta da Gesù per instaurareil Regno in questo mondo. In casocontrario, degenera in un cinismopietoso di fronte alla ingiustizie diquesto mondo, in alleanza con unidealismo senza alcuna connes-

Per una teologia degli oppressie degli esclusi

Una riflessione sulla Teologia della Liberazionein attesa della caduta del “muro sovietico” eretto anche nella Chiesa...

diEgidio Cardini

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sione con la storia» (L. Boff).Pertanto liberazione non è più

solo un processo di purificazionedella coscienza, ma è anche pro-cesso di affrancamento da unaschiavitù che priva dei diritti fon-damentali della persona, rappre-sentando al tempo stesso il puntodi arrivo di un itinerario spirituale.Assistiamo quindi a un supera-mento di fatto della spiritualizza-zione della categoria di liberazio-ne, senza per questo perdere unaspiritualità e una mistica della libe-razione, soprattutto perché cam-biano in modo radicale i modellispirituali, i quali passano dall’im-magine intimistica del deserto edell’estraniazione dalle relazionisociali alla rivalutazione dell’espe-rienza di Dio nella lotta del viverequotidiano. Finisce il dualismo traazione e contemplazione.

«Sono estranei allo spirito delVangelo sia la contemplazione chesi allontana dal popolo per avvici-nare al Padre, sia l’attivismo chenon coglie il senso globale e ulti-mo dell’impegno. Il Vangelo nonconosce il dualismo che separa ildinamismo della vita cristiana dallapratica della preghiera. Il Vangeloannuncia l’incontro con Dio attra-

verso l’incontro con i fratelli,soprattutto con gli emarginati»(Frei Betto).

L’itinerario della Teologia dellaLiberazione si colloca pertantonella prospettiva appena accenna-ta e le ragioni storiche della sua ori-gine sono essenzialmente sociali.

Le dittature militari

In primo luogo occorre conside-rare che in America Latina, neglianni Sessanta e Settanta, unalunga serie di dittature militari sfa-scia il continente, creando unalunghissima serie di oppressioni edi intimidazioni. A questo proposi-to esistono testimonianze chedocumentano ampiamente le pro-porzioni della tragedia.

In questo contesto l’oppressioneè generalizzata. È politica, perchéil popolo non ha più gli strumentiper determinare liberamente l’or-ganizzazione e le scelte delloStato, subendo altresì un’umilia-zione costante da un’autorità chenon ha voluto. È sociale, perché iltotalitarismo riduce sistematica-mente i margini di creatività e dilibertà nelle istituzioni, togliendo a

ogni persona la fiducia nel proprioruolo pubblico. Ma è soprattuttoeconomica, perché si realizzaun’alleanza di ferro tra il poterepolitico e il grande capitale, provo-cando una caduta a precipizio deivalori dell’uguaglianza e della giu-stizia, impoverendo paurosamen-te milioni di persone e generandouna precarietà strutturale che col-pirà le fasce più deboli, sempremeno protette.

La Chiesa si organizza

La Chiesa latino-americana sitrova di fronte alla duplice esigen-za di annunciare il Vangelo e difarlo per gli oppressi, cosciente direalizzare soltanto in questo modoil proprio compito storico di adat-tamento al modello conciliare direlazione con il mondo, a partireda una revisione culturale e reli-giosa molto profonda.

Pertanto l’assunzione in caricodella storia dei poveri e deglioppressi, la sola evangelicamentepercorribile in quel contesto, rac-coglie e sviluppa radicalmente la«scelta preferenziale per i poveri»,che la Chiesa universale compie

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Giugno ‘92. Platak - Sumedja, 13 anni, orfana, cui non resta che la bambola. (foto di Paolo Siccardi)

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attraverso l’analisi conciliare delVaticano II, la redazione dell’enci-clica pontificia Populorum pro-gressio e le conclusioni della Con-ferenza di Medellin. La scelta per ipoveri sarà senza ritorno e il cam-mino della riflessione teologica sisvilupperà parallelamente, artico-lando i suoi contenuti sempre allaluce delle condizioni storiche deglioppressi. È la storia che fa la teo-logia e non viceversa.

Comunità di base a EspíritoSanto

Si apre in questo modo un lar-ghissimo raggio di azione e diinfluenza in ambiti pastorali esociopolitici. Nascono, a partiredalla regione brasiliana di EspíritoSanto, le Comunità Ecclesiali diBase (CEBs), che costituiscono unnuovo modello di Chiesa, dove ilpopolo dei credenti assume inprima persona l’iniziativa e laresponsabilità di azione, promuo-vendo circoli biblici, celebrazionisimboliche e sacramentali, azionidi impegno civile e di difesa delladignità personale, progetti di edu-cazione popolare, lasciando che ladimensione pienamente comuni-taria e orizzontale potesse espri-mersi senza dipendere esclusiva-mente dalla funzione del ministeroordinato, il quale non si appropriapiù di un ruolo dominatore, inva-dente e quasi monarchico, ma simette a servizio dell’unità dellacomunità, garantendo solo la pro-prietà dei beni simbolici.

Spiritualità biblica

Nascono inoltre commissionipastorali per la difesa della terra edel lavoro operaio, in modo dariscoprire una mistica biblica dellavoro e della terra da un lato e dagarantire a tutti una difesa corag-giosa dei diritti al lavoro, alla pro-prietà e al pane quotidiano da unaltro lato.

In questo quadro di presa dicoscienza del proprio ruolo e diconflitti aspri sul terreno, si mette-ranno le radici di una nuova spiri-tualità cristiana, più biblica e menomagisteriale, si moltiplicheranno gli

atti di santificazione individuale ecollettiva e purtroppo anche gli epi-sodi di martirio, si getteranno lebasi per la Chiesa del futuro, menoistituzionalizzata e più radicatanella logica evangelica e nelladinamica storica.

Educazione popolare

Ancora l’impegno sindacale epolitico dei cristiani coinciderà conuna lotta per una società più giu-sta, elaborando una critica serratacontro un capitalismo ormai fuoricontrollo, che soffoca sistematica-mente i più deboli, generando fiumidi anawim (i poveri di Dio, secon-do la concezione biblica, quindi ipiù poveri tra i poveri).

Per maturare e aprire una sfidacontro l’esclusione sociale, lametodologia dell’educazione popo-lare diventerà uno strumento inso-stituibile. È lo stesso popolo deglioppressi che si autoeduca, pren-dendo coscienza della propria con-dizione di sofferenza, definendo lestrategie per uscirne, valorizzandola propria cultura, compresa quel-la religiosa, e riconoscendosi final-mente come insieme di personeche hanno anche diritti e non solodoveri, nel nome di una dignitàdeterminata da Dio stesso.

La reazione degliStati autoritari

Tuttavia l’itinerario della Teologiadella Liberazione, così limpido e tra-sparente nei suoi contenuti, devefare i conti con una serie di conflittiche sono sempre propri delle pro-poste culturali, quando queste met-tono in discussione strutture con-solidate, specie se ingiuste o privedi una capacità di confronto.

Alla maturazione di una coscien-za popolare di Chiesa e di unaradicalizzazione della scelta prefe-renziale per i poveri si associanoconflitti aspri, soprattutto contro ilpotere degli Stati retti secondo ilmodello della sicurezza nazionalee governati di fatto dal solo appa-rato militare e di polizia. In verità icontenuti espressi in chiave teolo-gico-pastorale e sociopolitica dallaTeologia della Liberazione non

saranno mai approfonditi seria-mente da questi settori aperta-mente reazionari, o per mancanzadi capacità interpretativa o permancanza di volontà. Gli stessi set-tori erano soprattutto impressiona-ti dalla potenzialità aggregativa ededucativa di questo nuovo proget-to di Chiesa, che creava sempre dipiù forme di contestazione globaleal sistema rigidamente elitario delcontinente. Di conseguenza scat-teranno tempestivamente, nellediverse aree, intimidazioni, tentati-vi di discredito degli operatori, sol-lecitazioni di intervento della SantaSede e, in casi assai frequenti, vio-lenze di ogni tipo.

Teologi, pastori e laici

Contemporanea a questo innal-zamento della tensione, la produ-zione letteraria organica dei diver-si teologi va affermandosi. La per-sonalità di Gustavo Gutiérrez svi-luppa la riflessione nella direzionedi una nuova spiritualità della Libe-razione, mentre Leonardo e Clo-dovis Boff accentuano in terminisistematici il profilo pastorale epolitico della Teologia della Libera-zione, così come avrà origine inquesto periodo una nuova gene-razione di sociologi, giornalisti, sin-dacalisti che costituiranno in brevetempo lideranças (figure respon-sabili) di prim’ordine.

Parallelamente a questa fioritura,la Chiesa latinoamericana, ormaiprofondamente rinnovata nelle suestrutture e nel suo spirito creativo,esprimerà figure di altissimo rilie-vo umano e spirituale, da HelderCâmara a Pedro Casaldáliga, daOscar Romero (morto martire) aPaulo Evaristo Arns, fino alle cen-tinaia di vescovi, sacerdoti, religio-si/e e soprattutto laici che assu-meranno coraggiosamente e consemplicità la causa del Vangelo diGesù Cristo e della moltitudine deipoveri.

Il ruolo della Santa Sede.Ratzinger

In questo quadro il ruolo dellaSanta Sede passerà da un appog-gio chiaro e coraggioso, sia sotto il

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profilo teologico che sotto quellopastorale, a un progressivo raf-freddamento, già a partire dallafine degli Anni Settanta. Si puòragionevolmente credere che ilcambiamento di pontificato (daPaolo VI a Giovanni Paolo II) abbiaprodotto anche un cambiamento dilinea pastorale nei riguardi dell’A-merica Latina, che ha avuto unaconferma visibile con la redazionedi un’Istruzione vaticana sulla Teo-logia della Liberazione nel 1984,promossa su iniziativa del Card.Josef Ratzinger, Prefetto dellaSacra Congregazione per la Dot-trina della Fede, che mirava princi-palmente a ricondurre il dato dellaTeologia della Liberazione entro ilrecinto rassicurante di una teologiaconvenzionale controllata diretta-mente dall’autorità ecclesiastica,senza tuttavia mostrare la minimapreoccupazione verso un profilopastorale che aveva già messoradici profonde e compromettentinel continente. Questo evento saràdecisivo perché segnerà la radica-lizzazione dei contrasti e l’apertu-ra del tentativo, tuttora in atto, diuna nuova romanizzazione dellaChiesa latino-americana (secondol’espressione testuale a me riferitada Frei Betto), dopo quella dellafine dell’Ottocento, che, come l’at-tuale, ha conseguito il risultato dicambiare le figure istituzionali inpeggio e si è sciaguratamentedimenticata di promuovere unanuova evangelizzazione, una gran-de promozione umana e una fortevalorizzazione della cultura popo-lare continentale.

Se noi ragionassimosecondo...

Se noi ragionassimo secondol’ottica di chi interpreta la Chiesacome luogo di potere equivalentea tanti altri, potremmo concludereche la Teologia della Liberazioneha perso la partita: da vescovi digrande spessore culturale e spiri-tuale siamo passati gradualmentea molti funzionari locali grigi einsensibili, spesso legati a filo dop-pio all’organizzazione da cui pro-vengono (si veda il caso discutibi-le dell’Opus Dei), preoccupati sol-tanto di dare la caccia a inesisten-

ti marxisti e di reintrodurre forme diazione pastorale totalmente avul-se dal contesto sociale presente.In questo senso la casistica è ster-minata. A ciò si aggiunge, malau-guratamente, una serie increscio-sa di provvedimenti disciplinari e diritiri forzati dall’insegnamento perteologi attivamente operanti inquesto progetto.

Una prospettiva di fiducia

Tuttavia, se noi ragioniamo alcontrario secondo una prospettivadi fiducia nell’azione dello SpiritoSanto, dobbiamo pure riconosce-re che il ruolo e la maturità del lai-cato sono cresciuti di pari passo

con la consapevolezza delle pro-prie responsabilità ecclesiali esociali.

A mio giudizio questo è ciò cherende sicura e promettente la viapercorsa, perché c’è in ogni casoun seme buono e fecondo che ènella condizione di portare fruttialtrettanto buoni. Il radicamento diuna coscienza storica della fedecristiana in un contesto popolarerichiede uno sforzo indicibile, magarantisce al tempo stesso un’in-trinseca forza creativa, capace dipassare oltre qualsiasi tentativo diriduzione della fede dentro unquadro esclusivamente dottrinaleo istituzionale.

Egidio Cardini

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Autobus dopo l’attacco e il saccheggio. Mozambico. (foto di Carlos Mula)

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Ritardi

Intervenuto lo scorso anno inoccasione delle celebrazioni perl’avvenuta elezione di Nelson Man-dela alla guida del Sudafrica, il pre-sidente cubano Fidel Castromonopolizzò l’attenzione deinumerosissimi giornalisti e degliintervenuti i quali, incuriositi dallasua presenza, subito dopo la ceri-monia di insediamento lo circon-darono provocando una tale ressache gli impedì di percorrere inbreve tempo il tragitto necessarioa raggiungere la sala dei festeg-giamenti causando il ritardo dell’i-nizio del pranzo ufficiale e prolun-gando per quasi due ore l’attesadei più di cento capi di Stato riuni-ti per l’occasione.

Allo stesso modo nell’ultimo ver-tice sull’ambiente e lo sviluppotenutosi a Copenaghen era stato illeader cubano a carpire l’attenzio-ne dei media, questa volta per lascelta di indossare un rigorosodoppio petto scuro invece dellasolita divisa verde oliva, e per averriscosso per il suo breve ma inci-sivo intervento l’applauso più lungodell’assemblea.

Senza cena

Ben diversa doveva essere,secondo le previsioni, l’accoglien-za riservata a Castro negli StatiUniti in occasione dei festeggia-menti per il cinquantenario delleNazioni Unite che ha visto riuniti aNew York circa centocinquantacapi di Stato provenienti da ogniangolo del pianeta, con le unichebrillanti assenze del presidentetedesco Kohl e del nostro OscarLuigi Scalfaro. Ostracizzato da

Clinton e dal sindaco Giuliani chegli hanno rifiutato l’invito nella cenadi ricevimento data per le autoritàconvenute, unico escluso Castronon si è comunque perso d’animoriuscendo di nuovo a concentraresu di sé l’attenzione dei mass-media internazionali che anchequesta volta hanno preferito dedi-cargli le prime pagine e la mag-giore parte degli scoop.

Nel suo brevissimo discorso illeader cubano ha sottolineato ilnon adempimento dei principi dellacarta costitutiva delle Nazioni Unitee l’inasprimento dei conflitti inter-nazionali dovuti all’incremento deldivario tra la minoranza ricca dellapopolazione mondiale e la mag-gioranza povera. Il discorso si con-cludeva con un appello che chie-deva un mondo «senza egemonie,senza armi nucleari, senza inter-ventismo, senza razzismo, senzaodi nazionali né religiosi, oltraggialla sovranità di alcun paese, conriguardo alla libera indipendenzaed alla libera determinazione deipopoli, senza modelli universaliche non considerano affatto le tra-dizioni e la cultura di tutti i compo-nenti dell’umanità, senza embarghicrudeli che uccidono uomini,donne e bambini, giovani e anzia-ni, come bombe atomiche silen-ziose...».

A passeggio

Escluso dalle serate mondane edalle cene ufficiali Castro avevapercorso le vie di Harlem, riscuo-tendo come trentacinque anni fa,un grande successo nella comu-nità negra e pronunciando undiscorso nella First AbyssinianChurch nel quale aveva esordito

dicendo «Ed eccomi qua, trenta-cinque anni dopo, tale e qualecome allora, ancora un escluso,ancora un isolato, ancora il peri-colo pubblico numero uno. Vi parepossibile?».

Successivamente, segno deitempi, era stato ospite alla CNNdavanti al conduttore BernardShaw e prima di lasciare gli StatiUniti aveva fatto colazione conDavid Rockefeller e altri famosibusinessmen in un clima da tuttidefinito amichevole e simpatico.

Gli esperti di comunicazionehanno attribuito il successo d’im-magine ottenuto dal presidentecubano, ovunque nel mondoaccompagnato da folle di giornali-sti e da gruppi di manifestanti(sostenitori e oppositori) che colo-rano il suo passaggio, alla suacapacità di essere vivo; comeavvenuto recentemente a NewYork, a differenza degli altri lea-ders, invece di lasciarsi imbalsa-mare nella fotografia dei centocin-quanta presidenti, non identificabi-li, si è mosso freneticamente nellacittà attirando curiosi e rilasciandodichiarazioni fuori, per forma econtenuto, dal linguaggio diploma-tico convenzionale. Tale capacitàcomunicativa, attribuita da alcunianche alla sua figura anacronisti-ca e contraddittoria che lo vede daun lato come l’ultimo dei tirannilasciato dalla guerra fredda e dal-l’altro come il portatore dei dirittidei popoli oppressi, gli ha portatoultimamente non poche vittoriediplomatiche. La sua eterna lottacontro il blocco economico impo-sta a Cuba dagli Stati Uniti ha tro-vato recentemente illustri alleati;oltre all’ennesima condanna, quasiall’unanimità, dell’Assemblea delleNazioni Unite anche Giovanni

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La secondarivoluzione cubana

diMassimo Di Felice

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Paolo II, la conferenza episcopalecubana e la Comunità EconomicaEuropea si sono esplicitamentepronunciati in disaccordo con lapolitica attuata dagli Stati Uniti con-tro il popolo cubano. Dal loro cantogli Stati Uniti, dopo l’inasprimentodel blocco attuato dall’emenda-mento Torricelli, stanno proponen-do un ulteriore giro di vite cheviene dalla proposta di Helms-Bur-ton di estendere ulteriormente lesanzioni ai paesi terzi che com-merciano con l’isola.

Oltre le cronache mondane

Ma più che nelle relazioni Cuba-USA che riportano le cronachegeo-politiche all’era della guerrafredda, è possibile scorgere il pas-saggio della storia nei cambia-menti in corso all’interno dell’isolache hanno apportato delle struttu-rali modifiche all’economia e all’or-ganizzazione sociale tanto daspingere gli stessi politici cubani, ipiù attenti osservatori, e lo stessoCastro a parlare di una nuova rivo-luzione.

In seguito al mutato contestointernazionale le relazioni com-merciali sono passate, in brevetempo, dagli ottomila milioni di dol-lari di importazioni del 1989 ai due-mila milioni del 1991-92, situazio-ne che ha causato una conse-guente caduta della produzioneper la mancanza di materie primee di ricambi necessari al normalefunzionamento del ciclo produttivo.Dinanzi a tale situazione, il picco-lo paese ha dovuto ricostruire tuttoil sistema dei rapporti economicicon l’estero iniziando un profondoprocesso di trasformazione che haattraversato tutta la società e chesi poneva come obiettivi principaliquello di affrontare la crisi e la con-servazione delle conquiste socialiraggiunte dalla rivoluzione. Citere-mo di seguito, sia pur in modoestremamente sintetico, le tappeprincipali di tale mutamento.

Rapporto pubblico-privato

In primo luogo il riorientamentogeografico ed economico dell’e-conomia ha comportato la ricerca

di nuovi soci commerciali e laricerca di nuovi prodotti, determi-nando la rottura del monopoliodello stato sul commercio estero ela apertura al capitale straniero,con il difficile obiettivo di giungeread acquisire nuove tecnologie,nuovi capitali e nuovi mercati. Ciòha inoltre portato inevitabilmentealla de-centralizzazione economi-ca e all’allargamento delle formedi proprietà, imponendo la com-parsa, oltre a quella statale e coo-perativa, di quella privata e di

quella mista.A partire dall’estate del 1992,

con la modifica della costituzione,si sono iniziate una serie di strut-turali trasformazioni a cominciaredalla legalizzazione della proprietàprivata e con essa dell’impresamista (quando conveniente allostato) che ha dato il via all’entratadel capitale straniero nel paese,regolamentata da una serie dicondizioni.

In linea generale gli investimentiesteri vengono utilizzati per rimet-

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Militari liberano alcuni prigionieri dei bandos.Mozambico. (foto di Sergio Santimano)

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tere in funzione macchinari, impre-se e hotel che erano completa-mente paralizzati e attualmentenon superano i duemila e centomilioni di dollari.

Un altra misura importante dicambiamento presa nel 1993 èstata la legalizzazione della circo-lazione dei dollari all’interno delpaese. Esistono oggi nell’isola, difatto, tre monete, il pesos, il pesosconvertibile e il dollaro. Le impre-se straniere operano in dollari epagano pertanto imposte in dolla-ri e non possono assumere diret-tamente ma soltanto ricorrendo aduna agenzia statale per l’impiegoche organizza e gestisce la mano-dopera; quest’ultima viene pagatain moneta locale ed è legata allalegislazione vigente nel paese inmateria di lavoro.

Particolarmente importante, an-che se non costituisce una vera epropria novità in quanto vi eranogià state esperienze analoghesoprattutto all’interno del mondocontadino, è stata la legalizzazio-ne del lavoro individuale avutasinel settembre 1993 che ha porta-to al riconoscimento di più di 150categorie di lavoratori autonomiriconosciuti. Ma una delle trasfor-mazioni più grandi è senza dubbioquella avvenuta nell’agricolturasempre nel 1993; le grandi impre-se statali (Granjas) sono statesmembrate e trasformate in coo-perative autonome e autogestite,ossia in imprese cooperative auto-finanziate; oltre il 60% delle terrecoltivabili del paese è attualmentedato in usufrutto a tempo illimitatoalle cooperative che pagano rego-larmente imposte al governo e chepongono fine al lungo ciclo di pas-sività nel quale erano finite leimprese statali, dopo la caduta delCOMECON, per la mancanza diricambi e di tecnologie necessariealla produzione.

Rilancio economico

L’impatto economico di tali rifor-me appare anch’esso, come quel-lo sociale, contraddittorio. A parti-re dal 1994, dopo anni di caduta,l’economia ha avuto una ripresadello 0.7%, ma già dai primi novemesi del 1995 il Prodotto naziona-

le è cresciuto del 2.4% accompa-gnato da una serie di incrementi diproduzione, rispettivamente ilnichel 80% in più, il petrolio il 12%in più, la pesca il 14% e gli ortag-gi il 24% di incremento rispettoall’anno precedente. Complessi-vamente, sostengono fonti gover-native, nonostante l’inasprimentodel blocco economico, nel 1995l’economia cubana è cresciuta del7% ma, d’altro canto, le riformehanno portato allo scoperto lamanodopera in eccesso, generan-do nuovi disoccupati che, in atte-sa di nuovo inserimento, ricevonoun sussidio che si aggira intorno al70% del loro salario. I tassi didisoccupazione sono di gran lungainferiori a quelli europei, masecondo gli esperti sono inevita-bilmente destinati ad aumentare.In altri termini, i meccanismi inne-scati dalla trasformazione econo-mica generano una serie di pro-blematiche di difficile interpreta-zione in quanto vengono ad inne-scarsi in un contesto sociale in tra-sformazione, da sempre politiciz-zato e motivato alla produzioneper il benessere del paese, chesarà difficile da gestire.

Sintetizzando, ciò che è avvenu-to a Cuba negli ultimi due anni èstato il passaggio da una econo-mia pianificata ad un nuovo model-lo di economia decentralizzata chei cubani chiamano, rifacendosi aimodelli cinese e vietnamita, eco-nomia di mercato regolato.

«Dobbiamo essere flessibili eresistenti come il bambù», diconoi cubani.

La sfida è aperta

In una recente intervista, appar-sa su Le monde diplomatique,Julio Carranza e Pedro Monreal,due importanti economisti cubani,hanno dichiarato: «Siamo giunti adue conclusioni, le esperienze disocialismo realizzato finora nonaiutano a risolvere i problemi diCuba. Ma neanche i sistemi invigore in America Latina. Allora, cisiamo detti, bisogna inventarequalcosa di nuovo...

«Lo stato deve essere capace dicontrollare i meccanismi fonda-mentali dell’economia, in partico-

lare alcuni ingranaggi essenziali;deve restare proprietario di unaparte dei mezzi di produzione, purcondividendo a volte la proprietàcon soci stranieri o privati delluogo. Deve mantenere la capa-cità di regolare l’economia nel suoinsieme... Secondo, deve esserein grado di finanziare la spesasociale...Un sistema di istruzioneper tutta la popolazione e unsistema sanitario che protegga icittadini più poveri o quelli chesono temporaneamente in disoc-cupazione. Terzo deve sempreavere i mezzi per difendere gliinteressi nazionali contro il capi-tale straniero...

«Non sappiamo se ce la faremo,è una sfida ancora aperta».

Massimo Di Felice

C U B A . V I V E

CRISTOE LA PECCATRICE

Si pensa anche che le tribunedei nostri nuovi tribunali sonoveramente una scuola moraleper la nostra società e il nostropopolo. Il popolo impara in que-sta scuola la verità e la giusti-zia; come possiamo restareindifferenti a ciò che risuona avolte da queste tribune? Capitaa volte di sentirne risuonare glischerzi più allegri e innocenti! Ildifensore alla fine della suaarringa applicò alla sua clienteuna citazione del Vangelo: «Ellaha molto amato, molto le saràperdonato»! Tutto ciò è, natu-ralmente, molto grazioso. Tantopiù che il difensore sa moltobene che Cristo non perdonòalla peccatrice per un simileamore. ...Il signor Utin sa otti-mamente come dev’essereinterpretato il passo del Vange-lo e non ho il minimo dubbioche egli nella conclusione del-l’arringa abbia scherzato. Sol-tanto, non capisco perché!

Fedor Dostoevskijda Diario di uno scrittore,1881

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Amazzonia

Curuai e il Lago Grande, nelmezzo della Amazzonia brasiliana,sono una regione ancora non com-pletamente invasa dagli emigrantidelle altre parti del Pianeta. È veroche ci abita un figlio di italiani, magià civilizzato... Il popolo locale èsangue quasi puro degli IndiosCuruais, arrivati nella regione allafine del secolo XVI. È un popolo“cabloco” (cabloco indica unarazza meticcia, incrocio tra bianchie indios; in alcuni casi è usatocome sinonimo di gente semplice),per questo disarmato, allegro,carente, lavoratore, ma spessoingenuo come un bambino.

Incrocio di culture

L’arrivo di diversi macondini qui,è stata un’esperienza interessante:quest’incrocio di culture differenti,una urbanizzata, del primo mondo,che porta acqua minerale, conpaura della malaria, dei piranha edei coccodrilli, l’altra radicata, chebeve acqua non filtrata, che man-gia pesce con farina di mandioca,usa la canoa con la stessa abilitàcon cui un bianco guida la sua Fiatnelle strade di Milano. I bambini diCuruai sono il miglior termometrodi questa mescolanza culturale.

Il caboclo è curioso

L’arrivo del bianco, lingua diffe-rente, già causa impatto. Ma nonprovoca allarme. Il “caboclo” ècurioso, ma è diffidente, al primoincontro. Nel 1994 arrivarono alLago Grande vari gruppi di italianie uno di olandesi. Ogni gruppo con

la sua peculiarità. Alcuni hannolasciato “saudade” nei bambini,altri sono ricordati di più dagli adul-ti, altri, ancora, sono passati inos-servati.

Il caboclo è affettuoso, ma aspet-ta il primo passo da parte del visi-tatore. Se tu arrivi con la barca ehai bisogno di qualcosa, c’è sem-pre qualcuno pronto ad aiutarti.Non capisce la lingua, ma capiscei gesti e gli appelli SOS.

L’allegria della terra

Se qualcuno esprime uno sguar-do amico, di interesse, le personesi avvicinano subito, voglionocomunicare. Hanno molta curiositàdi sapere come è il loro paese, leloro abitudini, come sono le cosedi là. Qui di bambini ce ne sonotanti quante sono le formiche, è unsegnale culturale. Qui i figli sonoun regalo di Dio. Non c’è la preoc-cupazione del futuro, quel che inte-ressa è che sono l’allegria dellafamiglia e per questo possonoesserci otto-dieci figli, senzapreoccupazione. Infatti, i bambinisono l’allegria della terra, nono-stante siano, anche, fonte dipreoccupazione a causa dellasalute e dell’educazione.

Inconscio e pregiudizio

La presenza di molti stranieri nelvillaggio ha risvegliato la curiositàdelle persone. Arrivavano e chie-devano: chi sono? Cosa sonovenuti a fare? Cosa cercano?Hanno portato molti soldi? Ci sonoquelli che diffidano degli stranieri.In fondo, in passato, la loro pre-senza è sempre stata sinonimo di

invasori - portoghesi, inglesi, ame-ricani. Questa immagine è rimastascolpita nell’inconscio di molti,quella di chi viene solo a cercarela nostra ricchezza.

Però l’atteggiamento amichevo-le, umile, di interesse ad ascoltaree a comunicare, abbatte questebarriere del caboclo. Se il visitan-te arriva con aria di superiorità,disprezzo, con aria da primomondo, allora conferma la diffi-denza del caboclo.

Il visitatore, in Lago Grande, avràla possibilità di conoscere una cul-tura peculiare, con caratteristicheancestrali, ricca di gesti umani, nonancora completamente violentatadall’invasione dei mass media,nonostante si cominci a sentirne glieffetti. Per arrivare a questo incon-tro con la cultura diversa, il visita-tore dovrà spogliarsi dei pregiudizi,smettere di paragonare i duemondi, prendendo il suo esempio.

In un incontro così, entrambi ciguadagnano, perché questa è ladinamica dell’incontro liberatore.Se il visitatore ha la ricchezza dellatecnologia, della civilizzazione edel potere economico, il cabocloha la ricchezza del sapersi goderela vita, ridere e piangere, lottare esambare, la sensualità tropicale eil rispetto per il sacro, come dire,una certa arte di vivere.

Il cabocloo

dell’arte di vivere a Curuaidi

Edilberto Sena

I N C O N T R O . T R A . C U L T U R E

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IL PECCATO ORIGINALE

Il peccato originale, l’anticotorto fatto dall’uomo, consiste nelrimprovero che l’uomo fa conti-nuamente quando afferma chegli fu fatto un torto e che il pec-cato originale fu commesso asuo danno.

Franz Kafka da Egli, 1920

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Cari amici di Macondo,vi chiamo così anche se sono

appena entrata a far parte dell’as-sociazione, però vi sento moltovicini, come se vi conoscessi daanni. Probabilmente è per il modocon cui parlate del mio paese contale carisma e tanta passione chemi riconosco.

Anche voi adesso soffrite di sau-dade, questo male che è tipicobrasiliano e che tanti non capisco-no cosa sia.

Siete persone fortunate, sieteandate lì senza nessun pregiudizio,come invece fa la maggior partedegli italiani quando va all’estero.Siete andati con il cuore e la menteaperti e vi siete arricchiti di unaesperienza indimenticabile e vole-te sapere cosa c’è di tanto magni-fico da innamorarsi del Brasile? Èla semplicità della gente comune,che non la aiuta ad analizzare piùa fondo le problematiche ed è tra lecause dei tanti problemi, da voicitati, che esistono in Brasile.

La base culturale

Una causa è pure la base cultu-rale, che manca nella maggiorparte della popolazione, che nonla porta a vedere le difficoltà maesse vengono affrontate soloquando si presentano e non sem-pre tenta di superarle. Questacarenza culturale è uno dei mag-giori problemi e penso che debbaessere una cosa voluta dallo Stato,perché quando è il momento delleelezioni fa comodo avere la mag-gior parte della popolazione che silascia condizionare facilmenteoppure che dà il voto in cambio diqualche chilo di fagioli o per l’e-strazione di un dente...

Basta una festa

In Brasile noi non siamo educa-ti a pensare ed a risolvere i pro-blemi, li subiamo, li accettiamo. Èmolto difficile che, chiedendo adun brasiliano «Come va?», egli virisponda «non bene» ma vi diràche «va sempre bene». Questoottimismo può anche essere posi-tivo, ma in realtà si aspetta che iproblemi vengano risolti daglialtri. In Brasile vi è un credere inDio molto forte ed è questo chedà tutto questo ottimismo, marende la gente anchemolto passiva. Basta unabella festa o una partita dipallone e già dimenticanoil male.

Fare i conti conun mondo crudele

Il problema che mi toccadi più del Brasile e delmondo è quello dei bambi-ni, che non hanno nessunacolpa e già piccolissimidevono fare i conti con unmondo crudele (pensiamoai bambini di strada). Ognibambino ha diritto ad un’in-fanzia degna, con dei geni-tori od altre persone vicinoe che possa riceverecomunque un’educazione,un po’ d’affetto, che si sentaamato.

Cosa possiamo dunqueaspettarci dai bambini distrada?

Che non rubino persopravvivere, che sianobuoni ed onesti, quandonon conoscono altro chefreddezza e crudeltà, e di

questo un bel po’ di colpa ce l’ab-biamo anche noi? Lo dico non solocome brasiliana ma come essereumano, perché in qualsiasi partedel mondo un bambino è sempreun bambino e se vogliamo unmondo più giusto dobbiamo anchenoi dare il nostro contributo.

Non è che io abbia già fattomolto per questi bambini, sto cer-cando di fare i primi passi per libe-rarmi da questa specie di epidemiadi consumismo e di egoismo.

Un abbraccio brasiliano.

Riconosceregli amici, anzi,

sentirlidi

Socorro Dantas

L E T T E R E

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1942 - Campi di concentramento nazisti.

«Eppuregli uomininon sonocattivi.Smemorati sì.»dal Diario di Anna Frank

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Come sono finite le trattativedi San Andres? Che cosa harappresentato la firma dellaprima mesa (tavolo delle tratta-tive) e quali sono le prospettivepiù immediate?

«Per la decisione presa al tavolodella trattative sui diritti della cul-tura indigena si è raggiunto unprimo accordo sul problema dellagiustizia e della democrazia. Il 5marzo saranno affrontate le diffe-renti tesi sul tema da trattare, ini-zieranno una serie di otto incontri,otto gruppi di lavoro, a cui sonostati invitati anche i rappresentan-ti di ambedue le parti (un numeroabbastanza cospicuo ha già accet-tato l’invito). Saranno organizzati,dunque, due gruppi di discussione:il primo per dare ulteriori apporti eindicazioni specifiche sul tema datrattare, il secondo gruppo inveceavrà il compito di sviluppare eapprofondire concretamente iltema. Avrà probabilmente poiluogo un forum nazionale nelquale verranno riportati i contenu-ti di questi due gruppi di lavoro.Speriamo che questo possa dareun’indicazione di percorso peraffrontare poi in altri incontri i temisusseguenti».

Il governo ha accettato di faruscire tutti i suoi soldati dallaselva?

«Questo problema non è ancorastato discusso e risolto in mododefinitivo, faceva parte di un argo-mento sollevato all’inizio delle trat-tative che però non ha avuto unaconclusione adeguata perché inun primo momento le posizionierano tra loro molto lontane. Il

popolo indios non pretendeva chei soldati uscissero dal Chiapas,ma voleva una presenza dell’e-sercito solo in alcuni luoghi dellaselva Lacandona per favorire lospostamento interno dei gruppiindigeni e delle loro rappresen-tanze; era comprensibile una pre-senza dei militari ma si voleva chenon fossero a contatto diretto conle comunità e che si fissassero deiluoghi precisi dove era possibile laloro presenza.

«Questa discussione è fallita, ilgoverno ha risposto negativamen-te, affermando che le comunitàindigene avrebbero dovuto rag-grupparsi in tre aree (riserve indi-gene), il governo avrebbe dato lorociò di cui avrebbero avuto bisognoe l’esercito sarebbe “stato attento”e sarebbe stato vicino a questi treluoghi. I rappresentanti del popoloindigeno hanno risposto (nonsenza ironia) che così loro fannonormalmente con i maiali, li rin-chiudono in tre recinti e danno loroda mangiare lasciando solo un’u-nica possibilità di uscita… “perandare altrove”. Questa soluzionenon è stata dunque seriamentepresa in considerazione.

«C’è stata poi la proposta dilasciare libere cinque strade all’in-terno della selva, normalmentepresidiate dall’esercito, che sareb-bero state controllate solo alleestremità e libere nel mezzo, cosìil popolo avrebbe potuto transita-re. La risposta del governo è statanegativa, il governo diceva: “oaccettate le nostre proposte o nonse ne fa niente....”, e l’esercitozapatista rispondeva: “dialogo nonsignifica sottomissione, noi faccia-mo una controproposta per arriva-re ad una conclusione accettabileper entrambi”. Ma il governo non

ha accettato e così si è lasciato ilproblema della militarizzazione deiterritori del Chiapas da discuterealla fine di tutto il processo di pace.Può darsi che dopo aver affronta-to il tema della giustizia... si insistasulla possibilità di ridurre la pre-senza dell’esercito in quei territoriperché il 70% dell’esercito messi-cano è qui in Chiapas... il 70%! Sidice che questo dato non siaimportante ma in realtà la presen-za dei militari è tremenda».

Quali sono stati i risultati con-creti di questa prima mesa?

«In questa prima mesa si è defi-nito in accordo un documentoorganizzato in tre punti: il primorelativo alla situazione del Chia-pas, il secondo alla situazione delChiapas e la sua ripercussionenell’intero paese, e l’ultimo antici-pa il problema della costituzione.Si tratta di un unico documentocon tre dimensioni: la dimensionestrettamente locale, la dimensionelocale ma con ripercussione nazio-nale e poi i problemi specificata-mente nazionali. Questo docu-mento è stato nelle mani di ambe-due le controparti per una ventinadi giorni durante i quali hannoavuto luogo le consultazioni inter-ne. Così facendo si puntava adottenere una maggiore chiarifica-zione delle rispettive posizioniattraverso una reciproca accetta-zione di quanto definito, o appor-tando al documento di base lemodifiche indicate dal governo edalla realtà indigena. Come ave-vamo previsto, con piccole modifi-che, si è arrivati alla firma e quan-to deciso dovrà essere ora valuta-to a livello nazionale per far rispet-

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In Chiapas la parola contro la forza:una sfida aperta

Intervista al vescovo dom Samuel Ruiza cura del

gruppo di Macondo

M E S S I C O

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tare i nuovi accordi.«Il 5 marzo con l’attivazione di

una Commissione per la Verificadegli Accordi si ricomincerannodefinitivamente gli incontri, i grup-pi di lavoro si attiveranno dal 20marzo prossimo».

Quale la conseguenza di que-sta approvazione?

«Certamente si può vedere chegli indios e il governo parlano altavolo delle trattative in una situa-zione meno asimmetrica, di svan-taggio, perché gli indios hanno unappoggio molto chiaro da partedella popolazione ed un controllocostante degli osservatori nazionalie internazionali. Così hanno potu-to parlare senza la discriminazionerazziale cui erano stati sottoposti eche si era percepita nei momentiprecedenti. Questo ha fatto sì cheora gli indios siano veramente con-siderati come veri soggetti dellapropria storia, con un ascoltonazionale ed internazionale.

«In secondo luogo, man manoche questo tavolo delle trattativesta cominciando a dare i suoi frut-ti si allontana (c’è ancora, ma si staallontanando) la possibilità di unasoluzione di forza e non di dialogo.La dinamica di violenza recede,anche se non è certo che non sipossa tornare alle tensioni passa-te, pur meno probabili adesso.

Man mano che si avanza, tuttiquanti hanno la convinzione chesolo la via del dialogo e della con-ciliazione possano davvero esse-re l’unica strada possibile peravere la pace. E anche la parteci-pazione che la società civile haavuto sia attraverso le commissio-ni sia come pubblica opinionefanno più sicura la possibilità cheil processo di pace diventi più forteperché non sono necessari solo ildialogo o gli accordi scritti su carta,è necessaria la sensibilizzazionedella società civile che partecipa aquesto processo ed è questo chesta progressivamente avvenendo.Queste sono, secondo me, le con-seguenze più dirette ed immedia-te di questa trattativa in atto».

Esiste il pericolo di un proces-so di isolamento dell’area indi-gena, per esempio attraverso icontrolli sull’immigrazione e suiprodotti che possono usciresenza la possibilità di una com-mercializzazione diretta? Non èun tentativo di accerchiamentodi questa zona che rischia dirimanere isolata?

«Il controllo della gente straniera,che può essere testimone direttadel divario che spesso esiste traquello che si dice e quello che sifa, non mette in pericolo per esem-pio l’esportazione dei prodotti indi-

geni prima di tutto perché l’econo-mia di quest’area tende prevalen-temente all’autosufficienza; soltan-to nel caffè, o pochi altri prodotti,esiste una certa eccedenza e dun-que una esportazione che non èimpedita. L’esercito ha cercato diisolare il movimento zapatista, nonla sua povera produzione.

«La politica del passato tendevaa far arrivare degli osservatorischierati con il regime attuale, que-sto potrebbe ancora succedere,anche se ormai è chiaro a tutti chel’apertura internazionale ad “amba-sciatori”, per esempio europei,rende più improbabile un isola-mento di questo tipo. C’è piuttostola minaccia contraria che può cor-rompere le comunità e il rischio didipendere solamente da vecchimodelli di società capitalista senzaforti correzioni».

Un governatore in Chiapas

«Qualche anno fa era presentein Chiapas un governatore che hafatto un lavoro abbastanza inte-ressante invitando tutte le segre-terie dello stato messicano adincontrare le comunità indigene.Queste segreterie hanno svilup-pato una grande quantità di inte-ressanti progetti di finanziamentodelle comunità. Porto l’esempio diuno che riguardava il migliora-mento delle abitazioni degli indi-geni che ha però ottenuto laseguente ripartizione dei contribu-ti: il 40% è rimasto nelle mani delladirezione generale del progetto, il40% è rimasto agli agenti diretti delgoverno che lavoravano nellecomunità, il 10% è stato il ricavatodel commercio attivato nella cittàper la vendita dei materiali e sol-tanto un 10% è arrivato alla comu-nità vera e propria che con il suolavoro ha invece contribuito inmaniera preponderante. Dunque ilpopolo indigeno si è fatto caricodel 90% del lavoro del progetto perottenere poi il 10% dei contributi equesto non è da ritenersi la con-seguenza di una cattiva ammini-strazione ma è la maniera ordina-ria di gestire i finanziamenti desti-nati agli indigeni. Si può verificarequesto in tutti i progetti e le inizia-tive “a favore” del popolo indigeno.

M E S S I C O

Chiapas, Campamento por la Paz.

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Dovrà essere impegno di tutti evi-tare la ripetizione di queste moda-lità per evitare il prolungarsi di ten-sioni e violenze e dovrà esserereimpostato il modo di finanziare iprogetti dando agli indios la possi-bilità di gestire in proprio le loro ini-ziative».

E la questione della terra?

«La terra deve avere una consi-derazione differente da quella chenormalmente le si dà nel mondooccidentale. Per gli indios la terranon è soltanto uno strumento dilavoro, un mezzo per garantirsi lasussistenza ma è una situazionedi identificazione profonda. C’è unrapporto forte con la natura, non èsolo una possibilità di produzionema fa parte della loro identità, è laloro madre. Questa terra che è oraloro e che lavorano per vivere nonè sufficiente per garantire a tutti lapossibilità di sopravvivenza. Nean-che strappando dalle mani di colo-ro che posseggono quella terra inmodo illegale, né recuperandoquella parte che non è ancoraadatta alla coltivazione si potràgarantire la sopravvivenza a tutti igruppi familiari.

«Si tramanda ancora nella storiarecente del Messico che la nostrapatria è stata distribuita tre voltealla popolazione, parte della terraè stata data per almeno tre voltealla gente».

Nessuna soluzioneindividuale

«Quando all’inizio delle trattativequi, a San Cristóbal, ManuelCamacho, rappresentante delgoverno per il dialogo, ha chiestoagli indios cosa pensassero dellaterra hanno risposto semplice-mente e chiaramente: non c’è unasoluzione possibile se pensiamosoltanto in un’ottica di risposta indi-viduale e non collettiva.

«Bisogna ripensare a ciò che sicoltiva qui in Chiapas per valutarealtre possibilità oltre ad unanecessaria nuova relazione traterra e industria cosicché l’agro-industria possa essere un aiutosostanziale per la sopravvivenza

degli indigeni e al fine di raggiun-gere una produzione accettabile.Ci sono anche risorse naturali chefinora non sono state sfruttateadeguatamente.

«Un’altra realtà importante è ilrapporto tra terra e identità indige-na che si potrà realizzare solo conla creazione di regioni specificata-mente indigene che tengano contodella nuova realtà che si è venutasviluppando nella foresta. Qui oranon ci sono più zone dove soprav-vivono singole etnie incontamina-te, ma la convivenza avviene traetnie diverse e meticci; pertantouna soluzione potrebbe esserequella di creare delle municipalitàindigene con l’inclusione di questi“altri”, la maggioranza indigenapresente definirà la propria leggee usanza e darà espressione allapropria identità e ai propri valori.Questo non è certamente facileperché il governo non ha volutoaccettare l’espressione territorialema ha lasciato una piccola portaaperta cosicché si possa arrivaread una soluzione mediante unadecisione delle municipalità che sipossono aggregare per raggiun-gere finalmente una definizionedella regione indigena.

«Quello che gli zapatisti voglionoespressamente evitare è che siconsideri di nuovo questa regionenon appartenente al paese maseparata da quest’ultimo come siè avuto tempo fa una esperienza

di separazione, segregazione,anche se transitoria, di una partedel territorio; non si vuole correreil rischio che l’espressione di“regione indigena” diventi sinoni-mo di isolamento e segregazione».

San Cristóbal de las Casas,Chiapas - Messico,15 febbraio 1996.

Il gruppo di Macondo era compostoda Marco Crimi, Carmelo Miola,Antonio Stivanello, GiuseppeStoppiglia e Giampaolo Zulian.

Trascrizione e revisione della regi-strazione a cura di Paola Lega,Monica Lazzaretto e GiampaoloZulian.

M E S S I C O

Monsignor Samuel Ruiz, 71 anni, dal gennaio 1960 è vescovo di SanCristóbal de las Casas.

«Lei è all’orizzonte» dice Fer-nando Birri. «Mi avvicino di duepassi, lei si allontana di duepassi. Cammino per dieci passie l’orizzonte si sposta diecipassi più in là. Per quanto iocammini, non la raggiungeròmai. A che cosa serve l’utopia?Serve proprio a questo: a cam-minare».

Eduardo Galeanoda Las palabras andantes,

Mondadori, 1996

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Vorrei condividere con tutti voialcune riflessioni sorte durante laXVII settimana di riflessione teolo-gica che il nostro Istituto combo-niano ha organizzato. Dal 6 al 10novembre 1995 abbiamo riflettutosul “Neoliberalismo: sfida alla chie-sa in America Latina”. È stata dedi-cata una giornata ai “nuovi volti deipoveri, vittime del neoliberalismonella società peruviana”. Che tuttoquello che si scrive “sui poveri” ciaiuti a non entrare nella logica mer-cantilista. Una canzone di Ayacu-cho dice: «... anche il nome deipoveri si vende».

A voi quindi queste riflessionisemplici e nello stesso tempoprofonde, presentate da un sacer-dote che lavora nella periferia diLima.

Un processo dolorosodi assimilazione e cecità

In questi ultimi anni la povertà sista aggravando progressivamentee il volto collettivo del Cristo soffe-rente si fa sempre più presente.

La nostra gente vive in uno statodi dipendenza ideologica per potersopravvivere, e:

1) vive con l’affanno di cercaredenaro a tal punto da perdere lapropria dignità;

2) approfitta più che può dell’ap-poggio che il governo e le ONG ledanno, dimenticandosi dei vicini edelle proprie organizzazioni popo-lari;

3) si converte progressivamenteal “fujimorismo”, rimproverandoquelli che non lo sono. Si attaccaagli “idoli” dei beni materiali e dellepersone che incarnano il sistema,arrivando a sostituirlo con la parte-cipazione ecclesiale. Questa mas-

sa della popolazione pensa cheadesso stiamo meglio. I mezzi dicomunicazione sociale le hannochiuso gli occhi davanti alla realtà,per salvare la “buona immagine”del paese, dentro e fuori del Perù;

4) è aiutata dal governo e dipen-de da lui. In verità gli aiuti manten-gono in vita i poveri, finché ci sono.Questi aiuti, distribuiti come sono,producono una incrostazione cheimpedisce lo sviluppo del povero,invece di promuoverlo;

5) nelle organizzazioni il “terrore”toglie la capacità di denuncia dellaforte e sistematica repressione... epurtroppo già non si scende nellestrade come prima per manifesta-re con grandi marce.

Lo smarrimentodella solitudine

Se ci avviciniamo un po’ di più aquesta realtà, ci vengono incontroi volti di molti poveri:

- volti di genitori che «non hannotempo» neppure per la famiglia,per i loro figli; devono lavorare peravere denaro, visto che non è suf-ficiente per le spese quotidiane... eallora cercano lavori alternativi.Quando ritorneranno sarannostanchi e senza voglia di dialogarecon i loro figli e tanto meno di usci-re per riunirsi con i vicini;

- volti di donne imbrogliate eabbandonate. Alcuni credono chela soluzione dei loro problemi siadi tenere un uomo; presto si vedo-no abbandonate e con figli, obbli-gate così a lavorare tutto il giorno,portando sulle spalle i loro wawas(bambini), aspettando che qualcu-no le pigli anche solo per 100soles (50 dollari) al mese, per durilavori domestici. Come potrebbe-

ro avere tempo per partecipare, inun “comedor popular” (mensapopolare) o in un “taller” (incontro)di preparazione professionale? Dicerto non potranno assumere inca-richi dirigenziali di una organizza-zione;

- volti di lavoratori umiliati che,dopo tante lotte, hanno perso i pro-pri diritti sociali o, licenziati, si sonoconvertiti in ambulanti informali.Questi, nella concorrenza spietatadel mercato libero, sono spazzativia e gettati ai margini dellasocietà; non sono preparati per ilmoderno sistema di lavoro, nonhanno certificati e sono esclusi.Per di più non hanno trovato unamaniera efficace di organizzarsi;

- volti dei “desplazados” (sfratta-ti o emigrati forzosamente) chenon potendo ritornare alle loro terreper la permanente situazione diinsicurezza vivono accumulati in“chozas” (baracche) o soffitte. Molticercano di invadere un terrenonella periferia, visto che non pos-sono pagare un affitto di 100 soles(50 dollari). I programmi statali diprestito hanno permesso ad alcu-ni di costruire le loro case congrandi sacrifici, però dentro non c’èche miseria, pur dando un’appa-rente immagine di progresso;

- volti di infermi cronici. Si diceche si sta vincendo la TBC graziealle campagne dei programmi dicontrollo e di aiuto gratuito. Però lacausa della TBC è la mancanza dialimenti e di necessario riposo. Perquesto gli infermi ricadono e diven-tano cronici. Molti professori sof-frono di tubercolosi a causa dellacattiva alimentazione, doppio ora-rio di lavoro, ecc. e non possonosvolgere il loro compito di educa-tori. Incontriamo casi di famigliecon TBC, bambini molto piccoli con

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Perù:i nuovi volti dei poveri

diMosé Mora Lazzarini

A M E R I C A . A N D I N A

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TBC; tra gli infermi incurabili incon-triamo sempre di più casi di amma-lati di AIDS. Il numero degli infermimentali aumenta... sono vittimedella pressione sociale, economi-ca o della “guerra” interna o ester-na... molta gente nervosa, violen-ta, vittime che maltrattano gli altri;

- volti di adolescenti e giovani“ribelli”, “senza rispetto”: salgonoda certe “chozas” con scarpe datennis e jeans alla moda, per anda-re alle feste che terminano in rissecon feriti o morti. Ci sono giovani“rockeros” che pitturano i muri eche si uniscono in piccole bande diladri o “fumatori”.

La sfida

Davanti a questa situazione tantoinumana, la Chiesa svolge un ruolodifficile e delicato, però allo stessotempo è cosciente che i necessari“anticorpi” al sistema corrotto e illuogo teologico per eccellenza èmarcato da questi volti. Per questola Chiesa deve essere e farsisamaritana, accompagnando ilnostro popolo ad una autenticaconversione che è la “rivoluzione”dell’amore e della vita.

Mosé Mora LazzariniMissionario Comboniano

A M E R I C A . A N D I N A

Effetti della guerra. Mozambico. (foto di Ferdinando Lima)

Alla scadenza del triennio diattività, come da Statuto,viene convocata l'Assembleadei soci, per l’elezione delPresidente e della Segreteria.

Sabato 16 novembre1996 alle ore 10.00

presso il Centro diSpiritualità Villa Imelda

a Idice di San Lazzaro diSavena (Bologna)

Via Imelda Lambertini, 8Tel. 051 / 62.55.079

I lavori proseguirannofino al pomeriggio inoltrato(ore 17.30) con una brevepausa di ristoro alle ore 13.L’ordine del giorno sarà ilseguente:1. nomina del presidente

dei lavori;2. verifica dello Statuto;3. relazione del Presidente

uscente sull'attività deltriennio 1993-1996 con iseguenti punti in scaletta:

● coordinamento Brasile e Italia;

● scambi culturali;● viaggi in Brasile e altri

paesi dell'America Latina;● la rivista Madrugada;● i giovani.

Indicazioni per raggiungere la Casa diSpiritualità «Villa Imelda»· con mezzi propri: autostrada uscirea Bologna - San Lazzaro e prendere lavia Emilia nella direzione Imola-Rimini. Dopo Idice e l’incrocio perMonterenzio, prendere la prima tra-versale a destra.· con mezzi pubblici: pullman dall’au-tostazione di Bologna. Prendere lacorriera per Castel S. Pietro - Imola escendere alla fermata Marescotta.

ASSEMBLEAG E N E R A L E

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Non è facile scrivere questa croni-storia, un poco perché mi devo affida-re a ricordi altrui ed un po’ per l’inten-sità emotiva che alcuni di essi conten-gono. Mi proverò, dunque, sperando dinon incorrere in errori e sviste grosso-lane.

12 luglio 1996 - Precipitando dalmonte verso il mare, con ancora i filidella relazione agli iscritti della FILTAnazionale sulla mondialità: anche per-ché il respiro corto dei patri confini èinsufficiente a dare spinta alle prospet-tive future; sulla sua macchina fuman-te come i cavalli dei cavalieri erranti chespirano fuoco e fiamma, Giuseppe arri-va in quel di Comacchio per celebrareil funerale di Lucia, che ci ha lasciato.Il duomo è gremito di gente, che vienea dare l’ultimo saluto a Lucia. Densa diemozione l’aria che si respira. Quandomuore una giovane l’umanità resta piùpovera, per sempre. E il dolore di chirimane è senza nome. Duemila perso-ne si stringono al feretro a chiedere ilperché di tanto dolore ed in segno disolidarietà.

Nello stesso giorno, a Venezia, Ste-fano Benacchio conclude la sua faticauniversitaria e consegue la laurea inEconomia e Commercio nella sede diCa’ Foscari. Con emozione riceve lanomina a dottore anche se il presiden-te che legge la dichiarazione “In nomedel popolo italiano” forse già pensa alprossimo laureando, che non si finiscepiù. Auguriamo a Stefano di potercogliere poi i fiori dell’economia nelleterre rosse del Brasile.

Per quelli della FILTA (non me nevogliano per il salto e la ripresa) è stataun’occasione per entrare tramiteMacondo nello spirito della Mondialità,e riprendere il cammino mai interrottodell’impegno sociale. Quando le ideo-logie si confrontano con il quotidianoproducono frutti che è dato cogliere a

quanti sentono il rumore dell’erba checresce nel campo.

13 luglio 1996 - Tutti sanno che adImperatrix ci abita una ragazza simpa-tica di nome Luigia ed un padre cap-puccino gioviale ed una comunità difrati. A Negrar si sono incontrati gliamici del gruppo “Maragnao” per farfesta, e nella festa inventare propostenuove e continuare il percorso iniziatoin sintonia con l’attività di Imperatrix.Orlando Conati ha avuto la gioia diospitare il gruppo degli amici.

Quanti sono andati quest’estate inquel del Marañao hanno trovato un’ac-coglienza ed uno spirito eccezionali. Ungruppo pur di arrivare si è avventuratosu di un piccolo aereo, raccomandan-do l’anima a Dio per le cadute di pres-sione, senza ricevere mai risposta.Forse l’hanno trovata sulla terra rossadel sertao.

15 luglio 1996 - Stefano e Mauro sipreparano per il Brasile. Direte che ètardi. Ogni anno sono molti quelli chedecidono la partenza dopo la festanazionale di Macondo a fine maggio.La cosa migliore è quella di prepararsiper tempo.

Quest’anno Farinelli Gaetano pensa diaprire un corso di portoghese perquanti hanno intenzione di partire peril Brasile. Un modo più completo diavvicinarsi alla cultura ed ai volti.

Ricordo di passaggio che gli ospitidella casa in Brasile sono stati al 31 diagosto ben settanta. Ma potrebberoessere di più, tenendo conto che laprovenienza loro è quasi esclusiva-mente dal Veneto, dall’Emilia, dal Pie-monte e dalla Lombardia visto che l’I-talia non si ferma alla Padania ed allacasa di Berta filava; naturalmentesarebbe bene allargare anche i tempidell’uso, visto che quasi tutti si con-centrano nei mesi di luglio ed agosto.

18 luglio 1996 - Riunione in prepa-razione del Campo scuola della dioce-si di Padova. Verterà su fede e impe-gno politico; si deve attenzione almondo in cui viviamo per lasciarcicoinvolgere. Tema affascinante, maanche difficile, che a volte i cattolicinascondono dietro il “Date a Cesarequel che è di Cesare”, quasi a dire cheognuno si faccia i fatti suoi. Qualcunolo definisce “della micro mondialità”,vale a dire che gli spazi ampi dellamondialità si realizzano nella terra checalpestiamo con uno sguardo nuovo,ma non distratto; attento anzi al quoti-diano.

20 luglio 1996 - Matrimonio di Cri-stina Cotti a Salerno (o Santerno?) diBologna. Dolce e decisa la sposa. Losposo la prende per mano e l’accom-pagna all’altare, dove li attende Giusep-pe. Nei primi banchi Oliviero nascondela commozione soffiandosi il naso estringendo forte la mano di Giuseppe.Ivana, mamma di Cristina, avrebbedesiderato vedere la figlia, ma è partitatroppo presto. O forse c’è nelle lacrimeche non si trattengono, o nei battimaniimprovvisi, o quando la sposa inciam-pa, senza cadere. Agli sposi brindiamo:amaro! come gridavano i Boiardi, e chesia di lieto auspicio e ricco di figli.

21 luglio 1996 - Lo staff compostoda Giuseppe, Gianni, Luigia e Lele, cuisi aggiungerà Angelica, progettano ilcampo scuola che si terrà ad Ameliadal 28 luglio al 3 agosto 1996. Ma diquesto si dirà distesamente in altrepagine della rivista.

27 luglio 1996 - A Verona Emanuelee Sara si sposano. Tutto era carico difelicità. Il pavimento della chiesa, i muri.Gli amici che erano in chiesa. Comedentro la nubbe (con due buoi), dice-vano due sposi novelli che mai aveva-

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Macondo e dintorniCronaca dalla sede nazionale

diGaetano Farinelli

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no abbandonato il paese. Ed in cimaall’altare Giuseppe che affermava ilmatrimonio essere un atto di coraggioe di speranza. Ed il coro invece di can-tare l’ave Maria di rito aspettava insilenzio che cessassero i battimani. Chesi prolungarono oltre l’eco, che rincor-reva la sua voce e scherzava coi boccolibiondi della sposa.

Gli sposi sono poi volati in Brasiledove li attendeva la luna ed il miele e legaloppate sui bus, sui taxi e sul delfinodi Curuai che canta di sogni e d’amori.

28 luglio 1996 - Partenza del pullmanper Amelia dove un gruppo di venticin-que giovani da tutta Italia, ripercorren-do il mito di Icaro, andrà “in cerca d’ali”,senza precipitare nel mare d’agosto, pursfiorando la curva del mondo. Malasciamo ad altri il gusto di raccontarele giornate di lavoro.

9 agosto 1996 - Inizia la festa “Orlodel bosco” che si conclude il dodici delmese, cercando di raggiungere l’orlodel sertao dove lavora la Luigia Gottoli.Quando gli estremi si toccano, posso-no cadere anche i confini e nascerenuove illusioni. Batti il tamburo e scuo-ti le chiome, vibra la cima dell’olmo, edallunga lo sguardo oltre il cortile.

19 agosto 1996 - Campo scuola Gio-vani di Padova A.C.I. Tema dell’incontro:“Da che mondo... è mondo”. Ma dellacosa ho già scritto in data precedente.

22 agosto 1996 - Rai: Unomattina,ore sette. Mario Bertin intervistato daAmedeo Goria. L’occasione è data dallascomparsa di minori e dagli episodi diviolenza scoperti in Belgio. Alla doman-da del conduttore di Uno mattina sullaviolenza ai minori, Bertin risponde conun’affermazione drammatica: la mera-viglia, lo stupore e la incredulità che inBrasile (ed altrove) la grande risorsadell’infanzia sia a tal punto trascuratache manco si pensa ad una program-mazione e quindi che i ragazzi cadanonelle maglie dei profittatori che ne sfrut-tano il corpo per i trapianti e per giochisessuali. A Stoppiglia viene chiesta lafunzione di Macondo in Brasile. Un’at-tività, risponde, di sensibilizzazione èquella dell’associazione, che offre spa-zio anche ad una raccolta mirata difondi per associazioni con funzione direcupero umano.

Sul contenuto del libro “E decise dichiamarsi João” Mario ricorda che i

ragazzi brasiliani sono senza passato esenza futuro; appartiene loro soltanto ilpresente che si solidifica nel possessoesclusivo del loro corpo, sul qualecostruiscono la sfida per la vita, e con-tro il quale si avventano come uccellirapaci gli uomini senza anima.

28 agosto 1996 - Molti ormai rientra-no dal Brasile. Uomini e donne chehanno vissuto accanto ad un popolosimpatico e sofferente. Aperto e reti-cente. Accogliente e diffidente. Gioiosoe sarcastico. Un popolo in cammino.Dal sertao alla città. E di nuovo verso laterra. Alla ricerca della politica dallaquale fugge inorridito, deluso, indiffe-rente. I nomi degli itineranti sono scrit-ti negli elenchi disponibili in duplice

copia, che Maria invita a compilare.Qualcuno non pensi che sia l’unicaincombenza della casa, anche perché leore del giorno sono tante, che somma-te a quelle della notte fanno ventiquat-tro, tutte di seguito.

31 agosto 1996 - Sono passati dueamici per Serravalle a visitare il vecchio.Ma era ricoverato altrove, a Bologna.Sono rientrati alle loro case tristi per-ché avevano voglia di vederlo, ed anchelui desidera tornare a casa; non ci siabitua mai al distacco dagli affetti edalla propria terra. Un saluto affettuosoa monsignor Giovanni Marinelli!

5 settembre 1996 - È avvenuto aDeserto un incontro interessante. Nonc’erano leoni e neppure capre smagrite.

Solo quattro uomini ed una donna aparlare con animazione attorno alla mis-sione ed alle sue funzioni in Italia e natu-ralmente in terra lontana. Animata edunque non concorde, forse proficua,certamente cordiale. Quale sarà il futu-ro della chiesa nel mondo? Quale saràil futuro degli uomini, che faticano a cer-care sul loro cammino e scoprire unospazio che sia vitale e vivo? Cosavogliono gli uomini: soldi, denaro, acco-glienza, rispetto? Vibravano i bicchierisul tavolo, che qualcuno si affannava ariempire perché non si spezzassero nellevibrazioni. Ma il vino non era garbo.

7 settembre 1996 - Si ritrovano iragazzi del campo di Amelia, dicono peruna pizza, ma forse per ordire trame edingannare il nemico. O forse solo a pre-parare l’incontro prossimo venturo diDosolo sul Po. O anche per rischiararel’immagine negli occhi degli amici edamiche traslucida, opaca, che perde lapatina dei colori.

8 settembre 1996 - Il signor PaoloRonchi di Bovisio Masciago (MI), vin-citore del primo premio (consistente inun viaggio in coppia a Palma di Maior-ca) alla sottoscrizione a premi dellafesta nazionale di Macondo, avendoacquistato il biglietto n. 3345 serie F, èpartito assieme alla moglie Daniela pergodere una felice vacanza lontano dairumori della città tra delfini ammaestratie foche monache, accompagnati dallasana invidia degli amici non vincenti.

9 settembre 1996 - Continuano i col-loqui con quanti a tempo e fuori tempodesiderano andare in Brasile. E questofa piacere.

13 settembre 1996 - Cena di laureaper Stefano Benacchio, sulla Nave diCampolongo che guarda il fiume Bren-ta. La brezza è soave, dalla prua i gio-vani marinai salutano le dolci ragazzebrindando alla salute. A bordo riman-gono poche donne, e qualcuna oltrel’età canonica. Ma la festa si accendeattorno al festeggiato, che richiamaricordi e rampogna qualcuno dei viciniche interrompe la marea dei ricordi e lelacrime. La cena si consuma via via.Sull’albero di trinchetto qualcuno alzala voce, e vede di lontano fuochi efocherelli che bruciano la vanità del-l’assoluto e la presunzione dell’immu-tabile. La Nave salpa e poi sbarca alporto della buonanotte, e scendono

N O T I Z I E

Maggio 1981. Papa Wojtjla viene gra-vemente ferito da Alì Agca. Poco piùtardi il Papa perdona il suo attentatore.

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dalla passerella i convitati contenti diaver sentito in lontananza il tonfo delletrote e la voce del neoammiragliodot-tore Stefano.

15 settembre 1996 - Non se neabbiano quelli della catena umana sulPo. I giovani di Macondo si sono ritro-vati a Dosolo nelle vicinanze del grandefiume e il cielo era azzurro (da cui celaz-zurro senza traccia alcuna di omonimiaprovocatoria). La giornata era organiz-zata da Gianni, Luigia e gli amici di cuisarebbe bello ricordare i nomi.

Lungo la strada che porta al santua-rio abbiamo incrociato una macchinaferma in mezzo alla strada. Forse erauna macchina di albanesi, che faceva-no sosta per prendere aria. Ci siamoallontanati di pochi metri, ed è com-parsa sul finestrino posteriore la figuradi una giovane donna con in braccio unbimbo di pochi mesi. Era Sonia. Abbia-mo pensato che stessero allestendo uncampo per lupetti; ed invece anche lorostavano arrivando a Dosolo per l’in-contro, solo aspettavano il cambio dellemarce che era un poco lento. Solo allo-ra sono apparsi Giorgio, Ivan; David erail neonato.

In una sala adiacente ad un santuariodella Madonna dell’Alberone si è con-sumata la riesumazione del corso diAmelia, le prime percezioni, le volontà.C’erano i meno giovani, che anche lorohanno voluto partecipare al dialogo ocolloquio per allungare la riflessione epensare a voce alta. Poi i giovani hannoavanzato alcune proposte di attivitàfutura. Occuperanno uno spazio inMadrugada: allo scopo si è già forma-to un gruppo redazionale.

Inoltre si propongono di fare almenodue campi scuola ogni anno: invernaleed estivo. Naturalmente indirizzato adaltri giovani. Ma intanto continuare conil gruppo attuale su nuovi percorsi edargomenti. A breve ci sarà un incontroa Enego, organizzato da Marco.

Si è pure lanciata l’idea di inserire unagiovane (o un ragazzo) nella segreteria.

All’incontro erano presenti più di ventiragazzi tra i sedici ed i venticinque anni.Per arrivare a quaranta si aggiungano imeno giovani. L’incontro si è sviluppa-to in modo cordiale, rallegrato da unpranzo che fa invidia ai ristoratori dellariviera romagnola. Nella notte in mac-china sono rientrati tutti, assieme allecamicie verdi, che manco ridevano, per-ché poi non si dicesse che motteggia-vano il capo dell’ampolla.

19 settembre 1996 - Si ritrovano dinuovo i responsabili del campo giovaniper tirare i fili di Dosolo perché si intrec-cino sull’albero dei desideri e dei sognisegmenti e percorsi; mentre i folletti, imaghi e le fate preparano trabocchetti efiltri a rallentare il cammino. La strada ènera, la strada è rossa; ma il cuore battea ritmo normale. All’incontro Giuseppe,Laura, Tomas e Gaetano.

21 settembre 1996 - Nelle terre dellapianura che sconfina con la nebbia, chese la mangia e la rigurgita piano pianofino alle soglie della primavera si spo-sano Alberto Camata e Cheti. Ne parle-ranno le radio locali, perciò orecchioalle infraonde. Volano le rondini versoil caldo e lasciano spazio a che si formi

un nido segno di speranza in un mondocui sovrasta la marea, e si spengono ingola i richiami.

22 settembre 1996 - Giorno dedica-to alla raccolta dei frutti. Si raccogliel’uva sui tralci e se ne sprimaccia il vinonuovo. E si portano i bimbi all’altare pergustare il sale della sapienza e l’acquadella rigenerazione. Riceve il battesimoMarta; con il sorriso di Monica e Car-melo porta a tre le M in famiglia; eFrancesco, che inaugura il ciclo dell’a-more nella famiglia di Ivana e Andrea.

Nasce sotto la pioggia ed il ventod’autunno, mentre scendono le primenebbie, Anna, figlia di Paola e Giam-paolo. Il padre era disperso nel Chia-pas, trattenuto nella Selva Lacandona,ma contattato via Internet è arrivato peril lieto evento.

Ma ci sono in arrivo o forse già usci-ti dal grembo altri infanti giramondoche rallegrano le famiglie ed il vicinato.Di cui non ricordo i nomi, ma di cuidovrò prendere informazione per nonperdere il conto delle pietre preziose. Eche si dia inizio alle danze.

24 settembre 1996 - Gira per le stra-de d’Italia e salpa nelle acque del Tirre-no Maurizio Ortu che oggi è ospite interra veneta. Ancora per pochi giorni inItalia, e poi il suo rientro a Teofilo Otoninel Minas in Brasile, dove riprende illavoro tra i contadini minarensi.

Da ricordare che anche Adriano edElena la moglie partono per il Brasile,per un periodo di tre mesi, visitando gliamici che in questi anni hanno ospita-to a casa loro, con l’emozione di ritro-varli al lavoro sul loro terreno e coglie-re con loro se non i frutti il sapore dellalotta e della gioia di vivere. Adriano daqualche giorno è in pensione, ma nonvuole riporre il bastone del pellegrino,perché la vita la si può assaporare ecostruire fino all’ultimo respiro edanche oltre. Lo accompagna Elena per-ché non varchi i limiti dell’impossibile esi ricordi dei fuochi della nostra terra.

27 settembre 1996 - A TramonteChiesa, in quel di Teolo, si riunisce lasegreteria al completo. Si fa la verificadelle attività dell’anno: le feste, i viaggiin Brasile ed America Latina, le attivitàeditoriali e relativa distribuzione. Sipassa poi alla preparazione dell’assem-blea elettiva che si terrà a novembre ilgiorno sedici, sabato. Verrà inviata atutti i soci una lettera di informazione.

Quando ci ritroveremo a Bolognaavremo il resoconto di tutto; per intan-to tenetevi una sana curiosità.

17 ottobre 1996 - Gira e rigira sui car-dini la finestra del balcone. Il sole sal-tella dietro l’orizzonte e rimbalza suivetri che vibrano. È mattino; in un fru-scio è passata l’alba. Nella notte Annaci lasciava un anno fa. Avevamo spera-to l’impossibile, ci eravamo legati all’im-probabile; ed il filo si era spezzato. Fuoriabbaia il cane e si scuotono nel freddoi merli. Sull’erba le orme impercettibilidi quanti ci hanno visitato nella notte.Non so se riusciremo a capire la vitaquando tutto è vuoto attorno, e risuo-nano inutili le parole consolatrici... enon vediamo più i volti degli amici.

Gaetano Farinelli

N O T I Z I E

Maggio 1992. Giovanni Falcone e gliuomini della scorta uccisi dalla mafia.

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(VIA ROMANELLE, 123 - 36020 POVE DEL GRAPPA - VI) CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA.

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 31 ottobre 1996 e consegnato alle poste di Vicenza ferrovia per la spedizione nella prima settimana di novembre.

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