ANNIBALE CARRACCI E I FASTI, DI ALESSANDRO FARNESE A · 2017. 10. 18. · DANTE BERNINI ANNIBALE...

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\. DANTE BERNINI ANNIBALE CARRACCI E I 11 FASTI, DI ALESSANDRO FARNESE A o ARRAs, nell'abbazia di St. Vaast dove si era ritirato ormai allo stremo, consunto dalle fatiche, da lunghi malanni e infine da una ferita da moschetto riportata ad un braccio, moriva nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del I 592 Ales- sandro Farnese, III duca di Parma, governatore della Fiandra in nome del re di Spagna Filippo II. A Bruxelles i soldati onorarono con sincera com- mozione la salma, che nel marzo del I 593 giunse a Parma dove i funerali si ripeterono con solennità. Roma non poteva essere da meno. Qui si era fatta la fortuna dei Farnese, e fino a qualche anno prima vi aveva tenuto alto il prestigio della casa il Gran Cardinale, Alessandro, zio omonimo del con- dottiero, ornamento della città e della corte ponti- ficia, grande elettore di papi, morto nel I 589 tra il generale compianto. Non era possibile sottrarsi all'ossequio dovuto a una così potente famiglia e all'obbligo di tributare giuste onoranze a un suo illustre membro, tra l'altro un condottiero celebre, che aveva speso la sua vita al servizio non tanto della Spagna quanto della Fede (il binomio difatti era inscindibile). Non per nulla nelle esequie so- lenni celebrate per il conquistatore di Anversa nella Chiesa di S. Maria in Aracoeli, il 3 aprile del I593 1 l'epitaffio s'intitolava al "catholicae fidei acerrimo propugnatori ,. Qualche mese più tardi una statua era eretta in onore di Alessandro nel Palazzo dei Conservatori (fig. 56), una statua ro- mana alla quale era stata sostituita la testa, secondo una pratica dove la retorica imperiale si combinava egregiamente col senso del risparmio. tl Nel I594, esauritesi le celebrazioni ufficiali, in- combeva sui discendenti l'obbligo di ricordare de- gnamente il famoso generale. Dopo la morte del Gran Cardinale, era toccato proprio al figlio del duca Alessandro, al giovane Odoardo, di succedere al prozio nel compito di rappresentare e difendere gli interessi della casa in Roma. Ricevuta la por- pora, poco .più che adolescente, nel I59I (era nato nel I573), Odoardo cercava di rinverdire il fasto tradizionale dei Farnese, dando nuovo impulso alle opere di perfezionamento della dimora di famiglia a Roma. La " sala grande , del palazzo veniva destinata da Odoardo alla celebrazione del genitore. " Ho risoluto di far dipingere la sala grande di questo palazzo dell'imprese del signor duca nostro padre di gloriosa memoria dalli pittori Carraccioli Bolognesi, quali ho perciò condotti a miei servitii, et fatti venire a Roma alcuni mesi sono·, . Così scriveva Odoardo, in una lettera datata 2I feb- braio I 595, :Il al fratello Ranuccio duca di Parma. L'esatta designazione del luogo prescelto dal gio- vane cardinale per la rappresentazione delle gesta del padre era sfuggita alla critica, fino alle- recenti precisazioni del Vitzthum e del Martin, 3) i quali hanno dimostrato con argomentazioni ineccepibili che il programma apologetico voluto da Odoardo non riguardava affatto - come si era supposto - la Galleria. La " sala grande , è infatti il salone al piano nobile del Palazzo Farnese, quello del- l'angolo sud-est, comprendente due elevazioni, e lì, a completamento dei " fasti farnesiani , dipinti nella sala attigua dal Salviati e da Taddeo Zuccari, doveva celebrarsi l'apoteosi del duca Alessandro. Nel I594, dunque, Odoardo chiamava a Roma i Carracci e da Parma faceva venire Simone Mo- schino, al quale affidava la statua del duca incoro- nato dalla Vittoria, trionfante sulla Fiandra e sulla Schelda, 4l destinata anch'essa alla "sala grande,, dove infatti venne collocata, come risulta dall'in- ventario del palazzo del I653· sl Nel gruppo mar- moreo (fig. 57), finito nella Reggia di Caserta se- guendo un suo particolare itinerario nelle peregri- nazioni delle collezioni farnesiane, l'immagine di Alessandro è consacrata nel tipo dell'imperator; nella rappresentazione allegorica si condensa il programma celebrativo immaginato da Odoardo e dal suo entourage per la decorazione della " sala grande,. Il progetto peraltro, così come dapprin- cipio appare strutturato nelle sue linee essenziali, non esaurisce nell'allegoria il suo intento evocativo. Le imprese del duca Alessandro, per quanto leggendarie potessero apparire, erano ancora og- getto di cronaca: neppure dieci anni erano tra- scorsi dall'epico assedio di Anversa. Volendo rie- vocare quelle imprese, non si poteva sfuggire al problema di riprodurre i termini reali in cui si erano svolte; tanto più che proprio da una visua- lizzazione conforme al vero quei fatti sarebbero apparsi in tutta la loro singolarità, e maggior gloria ne sarebbe venuta al geniale stratega che li aveva concepiti e portati a fine. Da qui l'esigenza espressa nella citata lettera di Odoardo al fratello Ranuccio, secondo la quale l'opera affidata ai Carracci "ha bisogna di essere aiutata dal libro dei disegni delle imprese che il conte Cosimo Masi ha fatto venire di Fiandra ••• , . Non sappiamo che disegni fos- sero, ma non sarà errato pensare che si trattasse di rilievi dal vero di disposizioni tattiche di truppe e ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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DANTE BERNINI

ANNIBALE CARRACCI E I 11 FASTI, DI ALESSANDRO FARNESE

A o ARRAs, nell'abbazia di St. Vaast dove si era ritirato ormai allo stremo, consunto dalle fatiche, da lunghi malanni e infine da una

ferita da moschetto riportata ad un braccio, moriva nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del I 592 Ales­sandro Farnese, III duca di Parma, governatore della Fiandra in nome del re di Spagna Filippo II. A Bruxelles i soldati onorarono con sincera com­mozione la salma, che nel marzo del I 593 giunse a Parma dove i funerali si ripeterono con solennità.

Roma non poteva essere da meno. Qui si era fatta la fortuna dei Farnese, e fino a qualche anno prima vi aveva tenuto alto il prestigio della casa il Gran Cardinale, Alessandro, zio omonimo del con­dottiero, ornamento della città e della corte ponti­ficia, grande elettore di papi, morto nel I 589 tra il generale compianto. Non era possibile sottrarsi all'ossequio dovuto a una così potente famiglia e all'obbligo di tributare giuste onoranze a un suo illustre membro, tra l'altro un condottiero celebre, che aveva speso la sua vita al servizio non tanto della Spagna quanto della Fede (il binomio difatti era inscindibile). Non per nulla nelle esequie so­lenni celebrate per il conquistatore di Anversa nella Chiesa di S. Maria in Aracoeli, il 3 aprile del I5931 l'epitaffio s'intitolava al "catholicae fidei acerrimo propugnatori ,. Qualche mese più tardi una statua era eretta in onore di Alessandro nel Palazzo dei Conservatori (fig. 56), una statua ro­mana alla quale era stata sostituita la testa, secondo una pratica dove la retorica imperiale si combinava egregiamente col senso del risparmio. tl

Nel I594, esauritesi le celebrazioni ufficiali, in­combeva sui discendenti l'obbligo di ricordare de­gnamente il famoso generale. Dopo la morte del Gran Cardinale, era toccato proprio al figlio del duca Alessandro, al giovane Odoardo, di succedere al prozio nel compito di rappresentare e difendere gli interessi della casa in Roma. Ricevuta la por­pora, poco .più che adolescente, nel I59I (era nato nel I573), Odoardo cercava di rinverdire il fasto tradizionale dei Farnese, dando nuovo impulso alle opere di perfezionamento della dimora di famiglia a Roma. La " sala grande , del palazzo veniva destinata da Odoardo alla celebrazione del genitore.

" Ho risoluto di far dipingere la sala grande di questo palazzo dell'imprese del signor duca nostro padre di gloriosa memoria dalli pittori Carraccioli Bolognesi, quali ho perciò condotti a miei servitii, et fatti venire a Roma alcuni mesi sono·, . Così

scriveva Odoardo, in una lettera datata 2I feb­braio I 595, :Il al fratello Ranuccio duca di Parma. L'esatta designazione del luogo prescelto dal gio­vane cardinale per la rappresentazione delle gesta del padre era sfuggita alla critica, fino alle- recenti precisazioni del Vitzthum e del Martin, 3) i quali hanno dimostrato con argomentazioni ineccepibili che il programma apologetico voluto da Odoardo non riguardava affatto - come si era supposto -la Galleria. La " sala grande , è infatti il salone al piano nobile del Palazzo Farnese, quello del­l'angolo sud-est, comprendente due elevazioni, e lì, a completamento dei " fasti farnesiani , dipinti nella sala attigua dal Salviati e da Taddeo Zuccari, doveva celebrarsi l'apoteosi del duca Alessandro.

Nel I594, dunque, Odoardo chiamava a Roma i Carracci e da Parma faceva venire Simone Mo­schino, al quale affidava la statua del duca incoro­nato dalla Vittoria, trionfante sulla Fiandra e sulla Schelda, 4l destinata anch'essa alla "sala grande,, dove infatti venne collocata, come risulta dall'in­ventario del palazzo del I653· sl Nel gruppo mar­moreo (fig. 57), finito nella Reggia di Caserta se­guendo un suo particolare itinerario nelle peregri­nazioni delle collezioni farnesiane, l'immagine di Alessandro è consacrata nel tipo dell'imperator; nella rappresentazione allegorica si condensa il programma celebrativo immaginato da Odoardo e dal suo entourage per la decorazione della " sala grande,. Il progetto peraltro, così come dapprin­cipio appare strutturato nelle sue linee essenziali, non esaurisce nell'allegoria il suo intento evocativo.

Le imprese del duca Alessandro, per quanto leggendarie potessero apparire, erano ancora og­getto di cronaca : neppure dieci anni erano tra­scorsi dall'epico assedio di Anversa. Volendo rie­vocare quelle imprese, non si poteva sfuggire al problema di riprodurre i termini reali in cui si erano svolte; tanto più che proprio da una visua­lizzazione conforme al vero quei fatti sarebbero apparsi in tutta la loro singolarità, e maggior gloria ne sarebbe venuta al geniale stratega che li aveva concepiti e portati a fine. Da qui l'esigenza espressa nella citata lettera di Odoardo al fratello Ranuccio, secondo la quale l'opera affidata ai Carracci "ha bisogna di essere aiutata dal libro dei disegni delle imprese che il conte Cosimo Masi ha fatto venire di Fiandra ••• , . Non sappiamo che disegni fos­sero, ma non sarà errato pensare che si trattasse di rilievi dal vero di disposizioni tattiche di truppe e

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56 - Roma, Palazzo dei Conservatori - Statua di Alessandro Farnese

(foto Savio)

57 - Caserta, Reggia - Simone Moschino : Alessandro Farnese incoronato dalla Vittoria

(foto Sopr. Mon., Napoli)

58- Piacenza- F. Mochi : Monumento di Alessandro Farnese- Il ponte sulla Scbelda (foto Manzotto)

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macchine d'assedio, di vedute dei luoghi, di mappe topografich~ e così ~ia: materiale g_rezzo, sog~etto ad elaboraz10ne, ma mtanto P1:1fl~O di,Part~nz~ mso­stituibile per quel processo di smtesi e nduz10ne a dimensione poetica, che era appunto la parte affi­data ai Carr.icci.

Dalla didascalia di un'incisione di Giovanni Mag­gi, in cui è. riprodotto il catafalco er~tto, su I?ro: getto di Giacomo della Porta, per J. funerah di Alessandro in S. Maria in Aracoeli, si rileva che nella gran macchina erano scen~ dipinte ~al Cavalier d'Arpino, " nelle quale storte appanvano tutte l'imprese di guerra fatte da lui [Alessandro] nella Belgia et in altre parte per ordine della Maestà Cattolica ,. 6> Probabilmente quelle " storie ,. non piacquero al cardinale Odoardo, né piacque il pit­tore, se non ritenne di doverlo chiamare per l'opera che s'accingeva ad ordinare nella "sala grande, del suo palazzo. Ad ogni modo, già qui appare chiaro che qualunque programma encomiastico ri­ferito alla figura di Alessandro non poteva prescin­dere dalla rappresentazione dei fatti d'arme da lui compiuti. Si tratta di vedere in quali termini quelle figurazioni dovessero concretarsi, se nei modi trionfalistici ma generici adottati, per esempio, da­gli Zuccari negli affreschi della dimora farnesiana di Caprarola, o non piuttosto in schemi più ade­renti al vero, dove potesse risaltare in tutta la sua originalità il talento militare del Farnese. Crediamo che fosse la seconda soluzione quella più accetta ad Odoardo, che infatti si astenne dal chiamare all'opera un Federico Zuccari o un Cavalier d'Ar­pino, respingendone la visione frigidamente ma­nieristica, mentre faceva urgenza al fratello perché gli mandasse il libro di disegni giunto fresco dalla Fiandra, pieno di notazioni dal vero.

Per Odoardo la figura del padre era così stretta­mente legata alle sue azioni di guerra, da indurlo ad adottare per sua insegna un preciso fatto storico eh~ lo aveva avuto a protagonista. Delle quattro " tmprese , , infatti, che figurano nella Galleria Farnese, 7> mentre quelle del cardinale Alessandro, del duca Ranuccio e dello stesso cardinale Odoardo sono espresse per emblemi, quella del duca Ales­sancir~, con scelta significativa, è l'unica a conte­ne~e, ~n una visione realistica, il riferimentò a un ep~io ben de~ermi~ato, cioè l'assedio e la espu­gnazione della Città di Maastricht. ~ . conclusione, e nei limiti in cui resta valida r lpotesi su un'opera in sostanza mai compiuta

Odaclo celebrativo di Alessandro Farnese com~ oardt· · ' o ~ tmmagmava, doveva contenere una

Pat1te propnamente descrittiva svolta in modo non

mo to dis · ·1 · ' m 1

Slm~ e, m quanto a temi e fatte natura!-~ e ;ebtte proporzioni, dalle scene dipinte da della Vili avarone nel 1614 sulla volta di un salone Ma ich~ ~el. P~radiso dei Saluzzo ad Albaro. s> ~cché il_ n~h·~mo a un'opera di una secchezza gioverà . •~significante può lasciare perplessi,

rlcor are, forse con maggior proprietà, il

rilievo sulla base della statua equestre eretta in onore di Alessandro a Piacenza, 9) in cui il Mochi riprendeva l'episodio del ponte sulla Schelda (fig. 58): un felice inserto di largo respiro paesistico, dove l'avvenimento raggiunge pienezza di signifi­cato poetico senza perdere i propri connotati sto­rici. Precisando che non si desidera stabilire con­nessioni se non appena sul piano del gusto, si ram­menta che quando il Mochi metteva mano, nel 1625, Io) ai rilievi delle basi dei monumenti piacen­tini, Odoardo viveva ancora ed era presente nel ducato.

Se dunque in tali termini era impostato, per una sua parte, il programma apologetico per la " sala grande, di Palazzo Farnese, il libro di disegni fatto venire dalla Fiandra era veramente indispen­sabile. Non può affermarsi tuttavia ch'esso non giunse mai a Roma: nell'inventario del palazzo datato 1653, nella parte dedicata ai mobili, è de­scritto "un involto col disegno di molte Piazze, e Città di Fiandra, è di molte giornate fatte dal Ser.mo Duca Ales.ro, numerate in n° 35 così carta­late ,. n> È impossibile stabilire se fosse proprio, come pure .inclino a credere, il " libro di disegni , richiesto da Odoardo, ma certamente si trattava di qualcosa di molto prossimo. Non dové essere per­tanto la mancanza di un tal libro a provocare il fallimento di quella tra le imprese affidate ai Car­racci, alla quale forse Odoardo teneva di più.

È noto peraltro che il progetto non fu abbando­nato dal Farnese. "Havendo Annibale terminato la Galeria, con l'altre opere del palazzo, il Cardi­nale voleva, che egli dipingesse nella sala gli heroici fatti del Grande Alessandro Farnese, non molti anni avanti, morto in Fiandra , , informa il Bello­ri,. 12> E la testimonianza pone in luce la preoc- · cupazione costante di Odoardo, che pur orgoglioso delle magnifiche cose eseguite nel suo palazzo, e la cui fama rapidamente si spandeva, non perciò rinunciava, vivo ancora Annibale, alla realizzazione di un'opera dove la memoria del padre eroico, la gloria del casato e la sua personale rinomanza avrebbero trovato consacrazione imperitura.

Per quanto da una fonte spesso non esente da dubbi, I3) si sa inoltre che l'opera voluta da Odoardo non rimase allo stato di pura intenzione e che Annibale ebbe ad impegnarsi nello studio di quella decorazione, per la quale anzi avrebbe chiesto an­che l'aiuto di Ludovico quando, già malato, non vedeva l'ora di "darvi ben presto attorno, e con l'aiuto de' suoi giovani spicchiarsene ,. Non sem­bra d'altronde arbitrario supporre che il pittore avesse dedicato qualche tempo a quel progetto an­che prima della grave crisi fisica e morale in cui piombò al termine della Galleria. Probabilmente, anzi, aveva cominciato a pensarci, e a buttar sulla carta i primi tentativi, già dal suo primo giungere a Roma, fresco ancora di ricordi bolognesi.

Che poi degli studi dedicati dal Carracci ai • • fasti , di Alessandro Farnese non sia stata rico-

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nosciuta traccia, 14l è facile da spiegarsi per la con­fusione fatta dal Tietze in poi, e durata fino ai recenti contributi già citati, 1 sl tra la Galleria e la "sala grande,. Poiché si fece tutt'uno dei due ambienti, si finì per sommare anche due distinti progetti di decorazione, riferendo alla Galleria di­segni che probabilmente nulla hanno a che fare con essa. E a tal riguardo sembrano utili alcune considerazioni su due disegni di Annibale recente­mente pubblicati.

Nel primo (fig. 6o), conservato all'École des Beaux Arts di Parigi, 1 6l figurano due " ignudi , seduti, con le braccia legate sul dorso: evidentemente, due " prigioni , , nei quali è difficile riconoscere una aderenza alla tematica svolta nella Galleria. Gli " ignudi , sono avvinti ai piedi di una nicchia in cui è una statua di Ercole appoggiato alla clava, simbolo, come ricorda il Ripa, 1 7l della Virtù eroica. Anche il secondo disegno (fig. 59), del Prado, che il Vitzthum 18l mette in relazione sempre con la Galleria, in effetti non si adatta al programma ico­nografico ivi svolto. Vi è raffigurato molto proba­bilmente l'Onore, con gli stessi attributi coi quali lo si ritrova al di sopra di una finestra del Came­rino. 19l In questo disegno si riscontra ancora il motivo della nicchia contenente una statua, e giu­stamente il Vitzthum lo considera tra le prove di una stretta comunanza tra i due fogli di Parigi e di Madrid. La scultura contenuta in quest'ultimo è il gruppo delle tre Grazie, generalmente inter­pretato quale rappresentazione dell 'Amicizia, 20l ma anche della Pace e della Concordia. 21l

Due brani di un progetto che non è neppur giunto a maturazione, come dimostrano talune disparità esistenti, non consentono ovviamente di ricostruire una complessa rappresentazione. Gli elementi che vi compaiono, tuttavia, possono considerarsi, da un punto di vista iconografico, abbastanza omo­genei tra loro e riconducibili ad un unico contesto, il cui significato più evidente è di carattere eroico. Nessuno di tali elementi compare nel programma svolto nella Galleria, alla quale pertanto i disegni in esame sono da giudicare sostanzialmente estranei.

Poiché sappiamo, peraltro, dell'interesse costante di Odoardo verso il programma celebrativo da rea­lizzare nella " sala grande , in onore del padre, sarà utile esaminare l'ipotesi che le raffigurazioni simboliche contenute nei disegni citati _non possano convenire appunto a quel programma. A favore di una tal proposta sembrano concorrere le varie com­ponenti iconografiche, sia quelle in cui, allo stato, non è possibile riconoscere un significato altro che generico, come le raffigurazioni dell'Onore e dei " prigioni , ; sia quelle il cui valore simbolico si carica di un contenuto specifico, strettamente col­legato ai Farnese. In effetti, la statua di Ercole ap­poggiato alla clava trova un riferimento pressocché obbligatorio alla celebre famiglia, della quale essa è quasi emblematica; lo stesso Ripa 22l ricorda che due esemplari se ne trovavano "nel Palazzo del-

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l'Illustrissimo Sig. Cardinale Odoardo Farnese,; il motivo inoltre compare in una moneta di Otta­vio Farnese, padre di Alessandro (fig. 71). Quanto al gruppo delle tre Grazie, esso si collega alla stessa persona del duca Alessandro, come appare da varie monete (fig. 72), coniate a Parma col suo nome. 2 3l

Non si tratta ovviamente di prove conclusive, tuttavia credo che possa ugualmente convenirsi che i disegni considerati aprono uno spiraglio sul lavoro affrontato da Annibale per la decorazione della "sala grande,, l'opera per la quale egli col fra­tello era stato dapprima chiamato a Roma, e che nell'alacre attività svolta per più lustri nella dimora farnesiana fu il legame costante che tenne avvinti insieme, committente e pittore, ad un progetto sfortunato.

Indirettamente datati, mediante il riferimento fattone alla Galleria, i due disegni di Parigi e di Madrid appartengono comunque a un momento maturo dell'attività romana di Annibale. Senz;a dubbio più precoce è il disegno n. 7419 del Louvre (fig. 61), considerato come una prima idea per la volta della Galleria, e giustamente ritenuto una derivazione dal fregio di Palazzo Magnani a Bolo­gna. 24l Esso si ricollega con alcuni fogli carracce­schi noti attraverso le copie dell'album Perrier con­servato al Louvre 2sl e con un altro disegno con­servato agli Uffizi, attribuito ad Agostino dal Tietze, 26l che già ne rilevava i punti di contatto col, foglio del Louvre.

E difficile stabilire con quale progetto questo gruppo di disegni abbia relazione. Il riferimento fattone alla Galleria è una semplice ipotesi senz;a obbiettivi riscontri. Conviene piuttosto fermare la attenzione su quell'ampia veduta paesistica che si apre nel riquadro schizzato sulla destra del citato disegno parigino (n. 7419). Se esso richiama alla mente le vibranti prove di Annibale nella pittura di paesaggio, tra le quali concettualmente si pone, d'altro canto non trova collocazione adeguata nel contesto della Galleria. Sarà allora più opportuno cercare per questo disegno, e per gli altri simili una relazione col programma celebrativo da svol~ gere nella " sala grande , , che doveva prevederé, con la descrizione di assedi e di battaglie, vast aperture paesistiche. Mancando ancora, al suo ap proccio col tema, il famoso libro di disegni eh doveva fornire i dati reali degli episodi bellici illustrare, Annibale si limitava nel suo schizzo suggerire la profondità spaziale deJla scena, in naturalmente si sarebbero inseriti gli elementi co stitutivi dell'evento storico.

Pressocché superfluo è sottolineare come a. medesimo intento obbedisca il disegno attribui dal Tietze ad Agostino, in cui si riscontra anche significativa coincidenza con quello del Prado illu strato dal Vitz;thum, giacché in entrambi è rappr sen~ata una scena sacrificate di indubbio significa erOICO.

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I disegni or ora esaminati sembrano -appartenere al primo periodo romano dei due fratelli. Partico­larmente quello di Annibale, nella flessuosa posi­tura degli "ignudi_!', _nella s~ezzatura _del seg?-o che si preoc~p~ p1u d1 suggenre che d1 c?strmre l'immagine, nchtam~ analogh~ prove comp1~te _Per lo studio del Camenno. E po1ché con quest uluma opera il disegno indubbiamente non ha alcuna atti­nenza né sembra averne una effettiva con la Gal­leria, ~i può supporre per. ess'?, e per ~li altri simili, una collocazione tra le pnme 1dee per il programma di decorazione della "sala grande,. Probabil­mente Annibale studiava per questa grande aula un fregio parietale contin~o, st~uttural_mente simile a quello realizzato pochi anm avant1 a Bologna, nel Palazzo Magnani, dalla " compagnia , dei Carracci.

Non si può, tuttavia, a questo {}unto non rilevare che i due gruppi di disegni considerati si distin­guono tra loro sia cronologicamente che struttu­ralmente, in quanto i più antichi sembrano riguar­dare una decorazione parietale, mentre gli altri sono in relazione con un soffitto; si potrebbe inoltre osservare che i due gruppi non sono facilmente assimilabili dal punto di vista dei contenuti. L'in­conciliabilità, però, risulta solo apparente, se si presta attenzione alla duplice tematica in cui sem­bra articolarsi il programma iconografico, con una parte narrativa ed una allegorica, supponibile la prima sulla base dell'esigenza espressa di servirsi del libro di disegni venuto dalla Fiandra; suggerita la seconda dall'ordinazione al Meschino del gruppo marmoreo col trionfo di Alessandro, destinato al medesimo ambiente. Mi pare allora possibile sup­porre che si prevedesse per i due cicli una diversa dislocazione nella stessa " sala grande , , riser­ando il soffitto alla rappresentazione allegorica e e pareti alla narrazione storica. La diversa data-i_one. dei disegni, mentre si spiega col continuo

erunento della realizzazione dell'opera, dimo­~a d'altra. parte l'interesse costante, che dal com­

ttente s1 trasmetteva all'artista verso un com-lesso celebrativo in cui doveva c~ndensarsi il per­o~ glo~i?so di una famiglia che voleva vantare i uo1 mentt verso la Fede.

L'indagine fin qui condotta, tuttavia, approde­bbe ad un punto morto, se non ci fosse un ele­ento decisivo, capace di dare un contenuto più nereto al problema del lavoro affrontato da Anni­e per la decorazione della " sala grande , del azzo Farnese. In . I . un artico o del 1956, a7l il Bologna segnalava

tpca presenza a Napoli di un dipinto disegnato ragonard e riprodotto dall'Abbé de Saint-

o~ ~Ì 67). aSl Non c'è dubbio che il dipinto stu­g 0

6 Fragonard . a . Capodimonte sia lo stesso g~-t4) ~he ogg1 s1 con_s~rya nei depositi della

él%1onale della S1c1ha a Palermo il cui ettato li • espo 1 almp am~nto dovrebbe consentire presto

r 0 a pubbhco. Le varianti che l'incisione

presenta rispetto alla tela non sono tali da lasciar dubitare dell'identificazione.

La tela giunse con tutta probabilità a Palermo in quel gruppo di 34 dipinti sbarcati il 26 febbraio 1828, dono del re Francesco I alla quadreria della Università; la liberalità reale, sollecitata fin dal r822, intendeva incrementare il patrimonio del primo museo pubblico sorto a Palermo non molti anni avanti, ma non sembra che la scelta fosse fatta con scrupolo pari all'intenzione. Quando, caduti ormai i Borboni, il nuovo Museo di Palermo ini­ziava un periodo di intensa attività, si lamentava del dono Giuseppe Meli, :ag) notando tra l'altro che era stato necessario provvedere al restauro di quei quadri, "sì trasandate e sudice, regalava alla Si­cilia, il Sovrano, le opere che decorar doveano la pubblica pinacoteca di Palermo ,.

Fu probabilmente con quel restauro (fig. 66) che si tentò di camuffare la condizione di frammento in cui il dipinto si conservava, e che era stata pun­tualmente rilevata dall'Abbé de Saint-Non, insie­me alla sua originaria destinazione per un soffitto. Mediante inserti di tela si integrò il frammento in forma regolare, nascondendo i margini mistilinei della parte inferiore e colmando la vasta lacuna della zona superiore. Un disinvolto intervento pit­torico conferì una fittizia interezza al dipinto, nella quale restò soffocato lo scorcio prospettico in cui l'immagine si definisce. Il nuovo restauro, eseguito intorno al 1957 sotto la direzione di Giorgio Vigni, ha eliminato le integrazioni pittoriche, restituendo al frammento i suoi originali valori.

Il dipinto compare nel primo inventario della Università di Palermo 3o) come dono di France­sco I, con l'attribuzione ad Annibale Carracci e sotto il titolo: "Allegoria di uno [dei] fasti di Alessandro Farnese,. Sostanzialmente con gli stessi dati il Meli 3•l l'annovera tra i dipinti di scuola bolognese conservati nella pinacoteca del nuovo museo palermitano. Nel successivo catalogo dei dipinti del Museo Nazionale 3a) risultano ripe­tuti soggetto e attribuzione, ma quest'ultima fu in seguito mutata nel nome insostenibile di Batti­stelle. Così l'opera compare nell'antico saggio del Longhi 33) dedicato al pittore napoletano, col nuovo titolo: "L'Invidia legata e sfrondata dalla Fama,. Eppure allo studioso non era sfuggito lo spirito autentico dell'opera (egli parla di "telone alla carraccesca ,), che tuttavia con giudizio estrema­mente negativo relegò tra i prodotti di bottega di Battistello. In tal modo il dipinto realizzava una doppia perdita: nell'indicazione del soggetto, per suo conto errata, ma da cui soprattutto scompariva il riferimento ad Alessandro Farnese; nell'attribu­zione, dove al nome tradizionale di Annibale si sostituiva la bottega di Battistello.

Il riferimento ad Annibale e l'indicazione origi­naria del soggetto, recuperati dalle più antiche fonti disponibili, lasciano presumere una prove­nienza del quadro dalle raccolte farnesiane. Pur-

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troppo, però, non mi è stato possibile trovarne al­cuna traccia negli inventari ed elenchi delle colle­zioni di proprietà Farnese pubblicati dal Campori 34)

e dal Filangieri di Candida, 3Sl così come nell'in­ventario inedito del r653 conservato nell'Archivio di Stato di Parma, avanti citato.

Nella speranza che ulteriori ricerche abbiano più fortuna, non resta che vedere se il tema svolto nel dipinto abbia davvero attinenza con la famiglia Farnese, e più particolarmente col duca Alessandro. Il personaggio che compare sulla destra, figura alata in atto di scrivere su uno scudo, rappresenta certamente la Vittoria. Il tipo è oggi molto noto attraverso la cosiddetta Vittoria di Brescia, scoperta al principio del secolo scorso; ma si ritrova anche nella Colonna Traiana quale elemento di separa­zione tra i cicli di eventi bellici i vi rappresentati; e inoltre, frequentemente, in monete romane di età imperiale. Del resto, il personaggio simbolico figura già in un'incisione di Agostino Carracci, eseguita su invenzione di Antonio Campi. 36)

In una moneta di Tito 37) la Vittoria traccia sullo scudo il nome dell'imperatore. Anche nel quadro palermitano si legge sullo scudo, lungo l'orlo, una iscrizione dedicatoria, purtroppo lacunosa ma non del tutto incomprensibile (fig. 68). A partire dal basso si distinguono chiaramente le lettere ALEXA e quindi RO; il braccio destro della Vittoria copre lo spazio tra i due gruppi di lettere, che tuttavia facilmente si integrano nel nome ALEXANDRO. L'orlo dello scudo per un terzo circa è poi perduto, ma la scritta riprende in alto a destra, dove si distin­guono le lettere ... ATOR, l'ultima delle quali è nascosta in parte sotto la mano della Vittoria che impugna lo stilo. Intuitivamente questa seconda parola può integrarsi nell'appellativo IMPERATORI, sicché tutta la dedica può ricostruirsi come: ALEXANDRO IMPERATORI. Chiaramente, quindi, il soggetto si collega al duca Alessandro Farnese, il famoso condottiero che investito dell'antica dignità imperiale è già rappresentato nella statua erettagli in Campidoglio e in quella eseguita da Simone Moschino per il Palazzo Farnese di Roma.

A destra della Vittoria, in gran parte perduto a causa del taglio subìto su questo lato dal dipinto, si scorge un cumulo d'armi, e il motivo dipende anch'esso da monete imperiali romane, 38) dove appunto la Vittoria appoggia lo scudo su un trofeo d'armi. Gioverà, tuttavia, a chiarificazione del sog­getto raffigurato nel dipinto palermitano, prendere in esame un altro tipo di rappresentazione fre­quente in monete della stessa epoca. In un sesterzio di Tito (fig. 6g) la Vittoria appoggia lo scudo contro una palma, ai piedi della quale è seduta, sul lato opposto, una figura femminile in atteggiamento doloroso, col capo reclinato in avanti e sorretto dal braccio sinistro piegato. In essa è personificata la Iudaea capta, a memoria della vittoria finale ripor­tata da Tito nella guerra giudaica. Una simile figura femminile, simboleggiante questa volta la

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Germania capta, si scorge più chiaramente in un aureo di Domiziano (fig. 70). In un argento di Ve­spasiano, 39) infine, la Iudaea ha le mani legate sul dorso ed è avvinta alla palma.

Mi pare che gli elementi qui riferiti siano suffi­cienti a chiarire il significato iconografico della rap­presentazione celebrativa svolta nel dipinto con­servato a Palermo. La donna sulla sinistra del di­pinto, corrucciata nel volto, è accasciata ai piedi di un alloro che per la simbologia corrente equivale alla palma nel significato di vittoria; 4o) si sostiene il capo sul palmo aperto della mano sinistra, come la ludaea o la Germania nelle monete dei Flavi; ha il braccio destro avvinto per mezzo di una catena al tronco dell'albero, a significare la sua condizione di " captiva ,. Essa in sostanza, riferita alle vitto­rie riportate da Alessandro Farnese nei Paesi Bassi, vuoi essere la personificazione di una '' Flandria capta , , in una reviviscenza classica che utilizza, per significati attuali, la simbolica antica, quale ponte tra un mondo passato, ma non perçiò pe­rento, e la gloria presente che solo nei modelli elaborati in quella dimensione storica trova ade­guati termini di rappresentazione. 4'>

Il leone belgico, 42) assunto anche a simbolo della potenza doma, aggiunge un connotato specifico alla raffigurazione, e i putti che intrecciano corone di alloro e festoni di palme completano il significato trionfale di tutta la scena.

Già il Ripa, 43) trattando della Vittoria, ricorda le monete dei Flavi, e quindi la loro conoscenza poteva considerarsi diffusa. Tuttavia il Martin, 44> a proposito del Camerino Farnese, pone giusta­mente in luce i contributi che Fulvio Orsini portò nell'elaborazione di temi iconografici tratti da rap­presentazioni antiche, specialmente da gemme e monete. Non sarà quindi arbitrario supporre che nell'ambiente farnesiano in cui Annibale operava, la tematica da svolgere per il ciclo celebrativo del duca Alessandro venisse fissata anche attraverso i suggerimenti che potevano venire dalle approfon­dite conoscenze antiquarie dell'Orsini; e l'ipotesi porterebbe a concludere che il programma icono­grafico fosse già in buona parte elaborato alla morte dell'erudito, avvenuta nel r6oo.

Giudicando attraverso la riproduzione pubblicata dall' Abbé de Saint-Non, il Bologna proponeva per l'originale smarrito di Annibale una datazione nel periodo romano maturo. Credo tuttavia non inutile sottolineare che il dipinto non può che appartenere ad Annibale, così flagrante vi è quella sua conce­zione dello spazio, costruito per moduli estesi, in maniera che l'equilibrio compositivo si realizzi anche nell'ampiezza dei ritmi. I gradoni in cui s'intaglia la roccia propongono direttrici multiple, nessuna delle quali resta in sé conclusa, tronca o magari prolungata all'infinito, bensì ciascuna si riallaccia alla seguente, in un flusso e riflusso co­stante. Donde forse quella '' certa irrequietezza continua, di cui il Wolffiin discorre a proposito

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63• li4 - Palermo, Galleria Nazionale - Annibale Carracci: Allegoria della conquista della Fiandra (particolari)

(foto Sopr. Ga/1., Palermo)

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della Galleria, che è dell'occhio inappagato, ma quale _riflesso dell'instabile scena che davanti ad esso st apre.

Dentro questo spazio, · che si costituisce negli stessi termini della Galleria, si dispongono figure che trovano frequenti riscontri nell'opera maggiore di Annibale. La " Flandria capta , , pur se in uno scorcio accentuato, richiama nella posa, nella larga scansione dei piani, nella fermezza statuaria con cui sono resi i lineamenti, il Bacco del " Trionfo, (fig. 74). La Vittoria sul lato opposto ha lo scatto impetuoso d_ella Mena~e che ne~la stessa scena del " Trionfo dt Bacco, ttene alto 11 cembalo (fig. 75), e in modo simile il manto le scivola via dalle spalle attraversandole il ventre, così da dare più ampio sviluppo alla figura. Sui putti mi pare superfluo richiamare l'attenzione, tanto essi s'apparentano a quelli della Galleria, nelle carnose forme, nel volo greve sostenuto ·miracolosamente dalle alucce stria­te; quello sul fondo, con la corona di alloro tra le mani, tiene la testa sollevata in uno scorcio che riprende l'analoga soluzione dell'" ignudo, che da sinistra regge il medaglione con "Pan e Cupi­do, (fig. 76).

I riferimenti potrebbero moltiplicarsi, ma senza particolare utilità, giacché mi sembrano sufficien­temente provati i rapporti che legano alla Galleria Farnese il frammento di Palermo, dove circola la stessa atmosfera preziosa e dorata, che è come la patina, il velo del tempo, al di là del quale l'alle­goria coincide con la storia. Le smagliature, pur evidenti nel dipinto, specie all'estremità sinistra, possono spiegarsi con le vicissitudini attraverso le quali esso è giunto fino a noi, mentre certa durezza ~he è possibile notare in qualche brano n~n lascta escludere l'intervento di aiuti, in una m1sura però che l'affiato di Annibale ampiamente soverchia.

,..La ri.cos_truz~o.ne ~eometrica del dipinto nelle sue ~e~10m ongmane, basata sugli elementi rica­vabih. da~ frammento, restituisce una forma (fig. 65) ~he nchtama da vicino quella in cui è racchiuso !,affresco d~l Palazzo Sampieri di Bologna con

Ercole g~td~to dalla Virtù,. 45) Lo schema ri­corda soluz10m veronesiane, e il riferimento non è purame~lt~ ester~ore, poiché a Paolo scoperta­~en!e st rtfà Ant:ubale nel concepire quello strombo . ctelo. donde tl gruppo di personaggi simbolici

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11 affaccta i nel bilanciare i rapporti delle figure tra oro e con l . . .

1 o spazto ctrcostante; nel far sentire in

alltutto ~ suo valore evocativo l'imminenza della

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la me~ rtcos~r~z10ne appare chiaro che manca oltre "'"..; .. _ del dtptnto, così come esso era stato origi--._.,ente · forse a .con~eptto. Nella metà superiore doveva sandro )PiY'e 1n 9ualche modo la figura di Ales­una tpotest potrebbe essere autorizzata da svol~erta somiglianza del tema iconografico qui del M co~uello realizzato nel gruppo marmoreo

05 0 • dove appunto Alessandro compare

con la Vittoria, mentre trionfa sulla Fiandra e la Schelda. Ma oltre questa analogia di temi, non esistono altri elementi con cui poter suffra­gare una ipotesi ricostruttiva; ritengo pertanto di dover astenermi dal formulare proposte al riguardo.

Restano tuttavia ancora alcune cose da spiegare intorno a questo dipinto, per cercare di forzare l'ermetico silenzio che intorno ad esso è stato tenuto dalle fonti.

Che esso sia stato concepito quale tela da soffitto pare indubbio: l'aveva già rilevato l'Abbé de Saint­Non, come si è visto. Denunciano la sua destina­zione sia la forma, sia l'idea/prospettica che sta alla base della raffigurazione, sia le sue stesse dimen­sioni. 46> Sappiamo peraltro che l'ambiente desti­nato alla celebrazione di Alessandro era la " sala grande , del palazzo.

Due progetti di decorazione di quella sala, a distanza di circa un trentennio l'uno dall'altro, rimasero ineseguiti, e alla fine sj rimediò collo­cando sulle sue vaste e nude pareti vari quadroni, tra cui alcune copie di Annibale tratte dal Correggio e da Raffaello. 47) Il primo progetto, la cui realizza­zione era stata affidata a Taddeo Zuccari dal cardi­nale Ranuccio, fratello del cardinale Alessandro, era ancora in fase di elaborazione quando la morte del committente nel 1565, seguita l'anno dipoi da quella del pittore, lo vanificò. Sulla base delle idee fornite dall'Orsini, lo Zuccari e Annibal Caro sta­vano mettendo a punto il programma decorativo, che prevedeva la rievocazione di alcuni avveni­menti di Casa Farnese, fra cui le nozze di Otta­vio II duca di Parma con Margherita d'Austria· e quelle di Orazio 4uca di Castro con Diana di Francia. 4Bl Il ciclo pittorico doveva svolgersi lungo le pareti, poiché la sala era già provvista del monu­mentale soffitto ligneo (fig. 73), ed è improbabile che ne volesse disporre la dismissione il cardinale Ranuccio, il quale l'aveva fatto eseguire. Difatti, al centro vi compare il suo stemma, caratterizzato dalla croce che occupa il terzo superiore dello scudo, quale lo si ritrova sul camino del Vignola nella stessa sala, sulla fronte del palazzo a sinistra di quello di . Paolo III e sul cenotafio del cardi­nale in S. Giovanni in Laterano. 49) La circostan­za potrebbe anzi portare un contributo al pro­blema della attribuzione di quel soffitto, che è stato ritenuto del Sangallo, di Michelangelo, del Vignola. so>

Comunque, al tempo di Annibale esso esisteva già, e certo doveva complicare non poco i! pro­gramma di decorazione della sala. Se questo si fosse limitato al fregio parietale scompartito dai gruppi di " ignudi , , secondo lo schema cioè che appare nel disegno del Louvre (fig. 6r), il cassettonato non avrebbe rappresentato un problema, e si sarebbe avuta una soluzione del tutto simile al precedente esempio di palazzo Magnani, dove appunto la fascia affrescata si svolge al di sotto di un soffitto !igneo.

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Non pare dubbio invece che Annibale pensò di utilizzare per il complesso celebrativo di Alessan­dro anche la copertura della u sala grande,. L'ipo­tesi è suffragata non solo dai disegni esaminati, il cui valore è tuttavia di prova parziale e non de­cisiva, ma anche dal frammento palermitano, il cui riferimento al duca Alessandro sembra sufficiente­mente provato e la cui collocazione al centro di un soffitto resta indubbia. Non è superfluo precisare che intorno a quello centrale doveva essere prevista tutta una serie di altre scene racchiuse in vari riquadri, nel modo che appare dai disegni di Parigi e Madrid (figg. 59, 6o). Manca tuttavia ogni ele­mento per ipotizzare se tali scene dovessero essere dipinte su tele, come ad esempio nei soffitti vene­ziani, oppure a fresco, con la tecnica mista usata nel Camerino. Allo stesso modo, nulla è possibile dire, allo stato, sui H contenuti , delle scene medesime.

Comunque, la presenza del cassettonato !igneo nella H sala grande , è forse da considerare tra le cause che determinarono il fallimento anche di questo secondo progetto di decorazione. Non vorrei spingermi troppo avanti con le ipotesi, ma mi pare che quella certa esitazione che sembra di notare in Annibale nell'affrontare il tema dei H fasti, di Alessandro Farnese, possa spiegarsi anche con le difficoltà obbiettive che egli si tro­vava costretto ad affrontare. Ma ci furono ragioni senza dubbio più gravi, e giova a questo punto riconsiderare qualche episodio che finora non ha trovato convincente spiegazione.

Si sa che Ludovico si recò a Roma tra il maggio e il giugno del r6o2, e questa volta la notizia del Malvasia è confermata da una lettera dello stesso Ludovico. SI) Che Annibale ve lo avesse chiamato solo per ottenerne un giudizio sull'impresa ormai compiuta della volta della Galleria non sembra molto plausibile. Il viaggio è fatto in gran fretta e per le vive sollecitazioni di Annibale: sembrano esserei motivi urgenti alla base, quale potrebbe essere la necessità di soddisfare le richieste di Odoardo, che doveva insistere perché Annibale mettesse mano ai H fasti , di Alessandro. E An­nibale era uscito stremato dalla grande prova della Galleria; da qualche mese inoltre era morto Agostino che, malgrado i dissapori, doveva aver lasciato un grande vuoto nel fratello minore. È possibile allora che quella richiesta di aiuto ri-

I) D. G. J. BoDART, Cérémonies et monuments romains à la mémoire d'Alexandre Farnèse, due de Parme et de Plaisance, in Bull. de l'lnst. hist. beige de Rome, fascicolo XXXVII, 1966, p. I2I ss.

2) Ripredotta da H. TrETZE, Annibale Carraccis Galerie im Palazzo Farnese und seine romische Werkstiitte, in ]ahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhiich­sten Kaiserhauses, XXVI, 1906, p. 54· La lettera, già nell'Archivio di Stato di Napoli, è andata distrutta; cfr. G. C. CAVALLI, in Mostra dei Carracci - Catalogo critico, 3" ediz., Bologna 1958, p. 86.

go

volta da Annibale a Ludovico per averne idee in­torno al progetto del ciclo celebrativo di Alessan­dro 52> debba anticiparsi .a questo tempo, quando cominciavano a logorarsi i rapporti col potente protettore. 53)

Ad ogni modo, il contrasto fu senza dubbio se­dato, perché Annibale, pur se amareggiato e imma­linconito, restò al servizio del cardinale. Quanto all'aiuto chiesto a Ludovico, probabilmente questi, malgrado il Malvasia si sbracci ad affermare il con­trario, non ebbe molto da dire al cugino che era andato tanto innanzi. Annibale era rimasto solo ad affannarsi intorno al progetto.

La sospensione dei lavori della Galleria, quando, finita la volta, si preparavano gli stucchi delle pa­reti, 54> l'obbligava a cedere alle insistenze di Odoar­do e a dedicarsi ai '' fasti , di Alessandro. Il pro­gramma iconografico, alla luce delle considerazioni già fatte, poteva ritenersi definito. La celebrazione delle imprese del duca doveva svolgersi, come si è visto, su un doppio registro: il primo, a carattere storico, avrebbe occupato le pareti della H sala grande,, secondo il primitivo disegno, mai ab­bandonato, come si ricava anche da una notizia del Malvasia; ss> il secondo registro, a contenuto allegorico, era destinato a prender posto nel soffitto, con una trasformazione radicale del cassettonato esistente.

Annibale fece solo in tempo a dare inizio alla scena centrale del soffitto, in cui doveva culminare l'apoteosi di Alessandro. Il frammento palermitano è quanto resta degli sforzi compiuti dal pittore sotto le pressioni dell'illustre committente. Durava ancora la stagione felice donde era uscito il favoloso mondo raffigurato nella volta della Galleria, del­la cui poetica il frammento in questione è piena­mente partecipe. Siamo nel r6o2, probabilmente intorno alla data del viaggio di Ludovico aRo­ma. Ma forse già toccato dalla crisi che di lì a poco l'avrebbe travolto, Annibale interrompeva il dipinto. Questo infatti dové restare incompleto, ché altrimenti sarebbe più difficile da spiegare lo stato di frammento in cui ci è giunto, e il silen­zio in cui rimase avvolto. Di riprenderlo, l'ani­mo non bastò più al pittore, e su quell'unico brano si chiuse un progetto accarezzato per anni. Al Bellori s6> non restò che esprimere il rimpianto che il nuovo Alessandro fosse rimasto senza il suo Apelle.

3) W. VITZTHUM, A drawing for the walls of the Farnese Gallery and a comment on Annibale Carracci's "Sala Grande,, in Burl. Magaz., 1963, p. 445 s.; J. R. MARTIN, The Farnese Gallery, Princeton 1965, p. 16 s.

4) H. KEuTNER, Ober die Entstehung und die Formen des Standbildes im Cinquecento, in Miinchner ]ahrbuch der Bildenden Kunst, 1956, p. 138 ss. i cfr. anche W. VITZTHUM, art. cit.

5> P. BoURDON-R. LAURENT-VIBERT, Le Palais Far­nèse d'après l'inventaire de 1653, in Mélanges d'arch. et d'hist., 1909, p. 145 ss.

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Roma, Museo Naz. Romano: 6g - Sesterzio di Tito

70 - Aureo di Domiziano

68 - Annibale Carracci: Allegoria della conquista della Fiandra (particolare)

Roma, 1st. It. Num: 71 - Moneta dt Ottavio Farnese

72 - Mone t.J di Alessandro Farnese

73 - Roma, Palazzo Farnese - Soffitto della "sala grande , (particolare)

(foto G. F. N.)

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6) L'incisione è riprodotta in D. G. J. BoDART, art. cit. 7> J R. MARTIN, op. cit., p. I32 ss., figg. 85-88. 8) A. PETTORELLI, Alessandro Farnese nell'arte, in

Rassegna d'arte, I907, p. 68 ss.; sui disegni prepara­tori del Tavarone, cfr. L. CoLLOBI RAGGHIANTI, Laz­zaro Tavarone disegnatore, in La Critica d'arte, I9541

P· 439 ss. 9) J. PoPE_-HENNESSY, . La scultura italiana, III: . Il

Cinquecento e 1l Barocco, Mtlano I966, p. 454 ss., con btbl. preced. F M h . . . .

10) A. PETTORELLI, rancesco oc 1 e 1 gruppl equestrz jarnesiani, Piacenza I926, p. 38.

u) " Inventario del Palazzo Farnese in Roma, I653 , , Archivio di Stato di Parma, busta n. 86, p. 230. Su questo inventario cfr. P. BOURDON-R. LAURENT-VIBERT, art. cit.

12) G. P. BELLORI, Le Vite ••• , Roma I672, p. 66. 13) C. C. MALVASIA, Felsina pittrice, I, Bologna I678,

P· 447· . 14) J. R. MARTIN, op. c1t., p. I9 s. 15) V. nota 3· 16) R. BAcou, Two unpublished drawings by Annibale

Carracci jor the Palazzo Farnese, in Master Drawings, I964, p. 40 ss.

17) C. RIPA, Iconologia, Padova I63o, III, p. I79· 18) W. VITZTHUM, Two drawings by Annibale Carracci

in Madrid and a comment on the Farnese Gallery, in Master Drawings, I964, p. 45 ss.

tg) J. R. MARTIN, op. cit., p. 3I. 20) C. RIPA, op. cit., I, p. 36. al) E. PANOFSKY, The Iconography of Correggio's Camera

di San Paolo, London I96I, p. 56 ss. Sulle Grazie cfr. inoltre W. CRELLY, The Iconography of the Elian Graces, in Essays in honor of Walter Friedlaender, New York I965, p. 23 ss.

22> V. nota !7· 23l Il conio è ripreso da monete di Ottavio, cfr. Corpus

Nummorum Italicorum, IX, Milano I925, p. 445, n. 75, tav. XXIX, I.

34l J. R. MARTIN, op. cii., p. I9I, 249· 2~> R. BAcou, art. cit., figg. I, 4i sull'album Perrier cfr.

R. BAcou, Dessins des Carraches, Paris I96I, p. 39i W. VITZTHUM, L'album Perrier du Louvre, in L'CE il, 19~, n. I25, p. 20 ss.

l H. TrETZE, op. cit., p. I05 s., fig. 36. . a?l F: BoLOGNA, "Lo Sposalizio di Santa Caterina,

dr Anmbale Carracci, in Paragone I956 n. 83 p. I2 nota 22. ' ' '

• a8J ABBÉ DE SAINT-NoN, Voyage pittoresque ou descrip­tron des Royaumes de Naples et de Sicile, voL I, p. I, Paris 1781, cf.• II8.

• :19) • Mnr, Pinacoteca del Museo di Palermo- Dell'ori-g1 me, del progresso e delle opere che contiene, s. l. d. (Pa­ermo 1873), p. I2.

JO) " lnve t · d · d · R . U . n ano et qua n esistenti nel salone di questa ~g~ ~uversità degli Studi, formato in adempimento di

~Seriale di S. E. il Luogoten_ente Generale del 2 ago­P~e1 30·"·j :r·. press? la Gallena Nazionale della Sicilia,

3,f'(f• ~~rnto v~ compare sotto il n. I8. 331 .. ·c , op. c1t., p. 40.

di Pal atalogo dei dipinti del Regio Museo Nazionale vi è ermo " , ms. presso la suddetta Galleria· il dipinto

l segnato al n. 533. ' gio~an~·. ~~NGHr, Battistello, in Opere complete - Scritti

34> G''c trenze I961, p. 198. Mode~ SW'ORI, Raccolta d1 cataloghi ed inventari inediti,

") I 70, .- AI.e. ~ll:ANGIERI DI CANDIDA op c1·t .,.., rnczsion · d · · ' • •

M. CALVI!Sr V é' Carraccz, catalogo critico a cura di 37) H. MA e . ASALE! Roma 1965, p. 30 ss., n. 75·

Britùh Muse;;rr;~L l, Cdzns of the Roman Empire in the n. Ia, ' ' on on 1930, p. uo, n. 524, tav. 19

H JI) V. ad esempio ·1 b . . . • IIIATTJNGLY

0 1

. ronzo dt Domtztano descritto in ' p. ctt., P· 366, n. 312, tav. 71 n. u.

39) Ibidem, p. 6, n. 43, tav. r n. 13. Debbo le fotografie delle monete qui riprodotte alla cortesia del prof. F. Panvini Rosati, che vivamente ringrazio.

40) G. P. VALERIANO, I Ieroglifici, Venezia 1625, p. 669, 675·

41l È interessante ricordare a questo punto un'altra rappresentazione allegorica, in cui gli stessi avvenimenti storici trovano, su una base concettuale in certo modo analoga, un'interpretazione di significato opposto. Si tratta di una stampa di Cornelis Cort (cfr. J. C. J. BrE­RENS DE HAAN, L'ceuvre gravé de C. C., La Haye 1948, p. 199 ss.), in cui è raffigurata la " Allégorie sur la déli­vrance des Pays-Bas par le prince Guillaume d'Orange, 1

trasposta nei termini del mito di Perseo e Andromeda. È un curioso esempio di attrazìone dei contrari, ma occorre riconoscere che l'analogia è relativa nello svolgi­mento dei due temi, in quanto la rappresentazione del Cort trova la sua fonte, perfino ovvia, nel mito, mentre il dipinto di Annibale si ispira alla storia, sia pure espressa per simboli.

42) Il leone belgico " incatenato e posto sotto il torchio dell'Inquisizione , compare in una moneta di Margherita d'Austria, madre di Alessandro; cfr. I. AFF6, in G. A. ZANETTI, Nuova raccolta delle.. monete e zecche d'Italia, V, Bologna 1789, p. 187.

43) C. RIPA, op. cit., III, p. 187 s. 44l J. R. MARTIN, op. cit., p. 39 ss. 45l H. TrETZE, op. cit., p. 62, fig. 5; F. lVlALAGuzzr

VALERI, La giovinezza di Ludovico Carracci, in Cronache d'arte, I, I9241 p. 32, fig. 6.

46) Nella forma attuale il frammento misura centimetri 285 x 4I2i secondo la ricostruzione, l'intero dipinto avrebbe dovuto misurare circa cm. 595 x 475·

47l P. BoURDON- R. LAURENT-VIBERT, op.cit. Le copie di Annibale, oggi nei depositi della Galleria di Capo­dimonte, sono anche descritte nell'" Inventario de' quadri esistenti nel Palazzo del Giardino in Parma, a. I68o c., pubblicato da G. CAMPORI, op. cit., p. 2I3 1 242.

4BJ F. DE N A VENNE, Rome, le Palais Farnèse et les Farnèse, Paris s. d., p. 6o6 s. .

49) P. BOURDON, Un plafond du Palais Farnèse, in Mé­langes d'arch. et d'hist., Paris I907, p. 3 ss.

5°) Michelangiolo architetto, Torino I964, p. 650 e bibl. preced., p. 906 ss.

51 ) C. C. MAL VASIA, op.cit., p. 406; Mostra dei Carracci, catalogo cit., p. 94·

52) V. nota I3· 53) D. MAHON, Note sur l'achèvement de la Galerie

Farnèse et les dernières années d'Annibale Carrache, in Dessins des Carraches, cit., p. 57 ss., pone subito dopo il viaggio a Roma di Ludovico l'incidente di Annibale col Cardinale Odoardo. Ritengo la ricostruzione cronologica del Mahon del tutto accettabile. Resta da precisare che l'episodio, nei termini in cui viene riferito dalle fonti, risulta incomprensibile. Si tratta dei famosi 500 scudi d'oro portati in una sottocoppa ad Annibale, col conto minuzioso del vitto consumato in tanti anni vissuti a palazzo e detratto dal compenso spettantegli. Il gesto, certamente offensivo, non poté essere compiuto senza coscienza del suo significato, e Annibale giustamente se ne dolse. Ma che tutta la questione fosse nella misura del compenso non è possibile credere: non è ragione che possa conciliarsi col temperamento di Annibale, del tutto indifferente al denaro, come ce lo descrivono concorde­mente le fonti; né con quello di Odoardo, la cui avarizia in fondo non è dimostrata, tanto che si è dovuto spiegare il suo gesto coi cattivi uffici di un cortigiano spagnolo (G. P. BELLORI, op. cit., p. 66). Il compenso di dieci scudi al mese che Annibale riscuoteva nel I 599, secondo una lettera di G. B. Bonconti riportata dal Malvasia (op. cit., I, p. 574) era quello a cui aspirava il Moschino quando lavorava alla statua di Alessatidro e si lamentava per suo conto del trattamento riservatogli (F. DE NAVENNE, Rome et le Palais Farnèse pendant les trois derniers siècles, . I, Paris I923, p. 22. Cfr. anche J. R. MARTIN, op. crt.,

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p. 14). Non intendo sopravvalutare il significato di un elogio funebre, ma penso che di fronte a un'avarizia manifesta di Odoardo, l'autore del suo encomio avrebbe usato un po' più di cautela nel lodarne la liberalità (A. CARISSIMI, In funere ill.mi ac rev.mi principis Odoardi Farnesii S.R.E. Card. et Episc. Tuscul. oratio, Parma r626, p. 6 s.). Comunque sia di ciò, resta che se si vuole rispar­miare non è necessario farlo offendendo, contando i 500 scudi sul piatto e mandandoli in camera al pittore quasi per dargli il benservito. In effetti, dovettero essere altri motivi a porre il cardinale in contrasto con Annibale e a in d urlo a maltrattarlo nel modo che sappiamo; con una ingratitudine che va ben al di là dei 500 scudi numerati 1

ma che tuttavia sembra coinvolgere sentimenti diversi dalla pura taccagneria. Non poteva essere la delusione di Odoardo, nel vedere ritardata la realizzazione di un'opera ambita, ad irritarlo contro il pittore prediletto'? Annibale, stanco fino all'esaurimento, téntava di superare il mo­mento critico invocando l'intervento di Ludovico.

54) D. MAHON, op. cit., p. 59; J. R. MARTIN, op. cit., p. 58 s.

5sl C. C. MALVASIA, op. cit., p. 442 (" ••• la Sala del medesimo Palagio, che tutta fino in terra dipinta, l'eroiche gesta del grande Alessandro Farnese rappresentasse in esempio,).

56) G. P. BELLORI, op. cit., p. 66.

URBANO BARBERINI

GLI ARAZZI E I CARTONI DELLA SERIE u VITA DI URBANO VIII,

DELLA ARAZZERIA BARBERINI

L A SETTIMA ED ULTIMA serie degli arazzi bar­beriniani, destinata a rievocare alcuni dei principali avvenimenti della vita di Urba­

no VIII, venne tessuta ad alto liccio dal 1663 al 1679, esattamente, trentacinque anni dopo la morte del pontefice. Fu un significativo omaggio reso alla sua memoria dal fedele "Cardinal Nepote, Francesco senior fondatore della arazzeria e una preziosa ulte­riore testimonianza del suo illuminato mecenatismo.

La serie composta di dieci arazzi venne ceduta dai Principi Barberini nel 1937 ai Musei Vaticani.

Dei cartoni dipinti a tempera su carta, sette si conservano al Palazzo Barberini presso la Galleria Nazionale di Arte Antica e decorano le pareti del grande salorie di Pietro da Cortona, gli altri tre si trovano a Firenze presso il principe Tommaso Corsini nel suo palazzo di Porta al Prato. Sarebbe auspicabile che venissero riuniti a quelli . conservati a Roma.

Questi tre cartoni passarono in casa Corsini nel 1934 a seguito di divisione patrimoniale, facendo parte del fidecommisso Barberini sciolto in quel­l'anno. L'attuale ubicazione dei singoli cartoni si indicherà allorquando verranno illustrati.

Questa serie venne tessuta in un palazzetto al Vicolo dei Leutari, non molto lontano dal palazzo della Cancelleria, ultima dimora del cardinal Fran­cesco quale Cancelliere di S.R.C.

Ritengo non del tutto casuale la coincidenza che le sedi della manifattura si trovassero nei pressi delle abitazioni del suo fondatore, poiché grandis­simo era l'interesse del cardinal Francesco per la prediletta arazzeria che sovente si recava a visitare.

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La prima sede fu infatti al ·palazzo Cesi presso la porta Cavalleggeri vicino ·ai Palazzi Vaticani dove il cardinale alloggiava essendo Cardinale Bibl~ote­cario, la seconda al palazzo Rusticucci, oggi demo­lito, nella piazza omonima, successivamente al ca­sino degli Accoramboni nei pressi del palazzo Barberini, e da ultimo come si è detto, al vicolo dei Leutari.

I dieci arazzi e quindi i dieci cartoni della " Hi­storia di Urbano VIII, rappresentano: 1) "Quan­do Papa Urbano VIII s'addottorò in Pisa , ; 2) "Quando Papa Urbano VIII andò a Perugia per riparare l'inondazione del lago Trasimeno,; 3) " Quando Papa · Urbano VIII fu fatto cardinale,; 4) " Quando Papa Urbano VIII fu assunto al pontificato , ; 5) " L'Unione dello Stato di Urbino con la Chiesa,; 6) "Quando Papa Urbano VIII consacra la Chiesa di S. Pietro,; 7) "Quando Papa Urbano VIII preservò la città di Roma dalla peste e dalla carestia,; 8) "Quando Papa Urbano VIII concluse la pace nell'Italia , ; 9) " Quando Papa Urbano VIII riceve l'ambasciatori che gli rendono obbedienza,; 10) " Quando Papa Urbano VIII fece fabbricare le mura di Roma ,.

Nel redigere questo elenco abbiamo seguito l'ordine con cui gli arazzi furon tessuti e la medesima grafia e i medesimi titoli desunti vecchie carte d'archivio. I titoli, da documento documento (vedi inventari, cataloghi, pubblicazioni varie, ecc.), possono non solo variare, ma qualche volta possono essere anche errati. Noi li abbiamo corretti e informeremo il lettore allorquando se ne presenterà l'occasione.

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