Anna Kuliscioff IL MONOPOLIO DELL'UOMO

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Anna Kuliscioff IL MONOPOLIO DELL’UOMO Fondazione Giangiacomo Feltrinelli IL TESTO RITROVATO Conferenza tenuta nel Circolo filologico milanese

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Anna KuliscioffIL MONOPOLIO DELL’UOMO

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

IL TESTO RITROVATO

Conferenza tenuta nel Circolo filologico milanese

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Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

IL TESTO RITROVATO

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Anna KuliscioffIL MONOPOLIO DELL’UOMO

© Fondazione Giangiacomo Feltrinelliin copertina: Il logo del numero speciale “Alle donne” del settimanale

“La Lotta” di Imola (1 maggio 19900)

Conferenza tenuta nel Circolo filologico milanese

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Il monopolio dell’uomo

La questione della donna e gli altri problemi

Signore e Signori, Voglio anzitutto confessarvi che, pensando in-torno alla inferiorità della condizione socialedella donna, una domanda mi si affacciò allamente, che mi tenne per un momento perplessae indecisa. Come mai – mi dissi – isolare la que-stione della donna da tanti altri problemi sociali,che hanno tutti origine dall’ingiustizia, che han-no tutti per base il privilegio d’un sesso o d’unaclasse?

Potrebbe, teoricamente, sembrare che, poichéal giorno d’oggi il privilegio di qualsiasi natura –cardine essenziale di tutti gli istituti sociali, deidiritti civili e politici, dei rapporti fra le varieclassi e fra l’uomo e la donna – viene discusso,combattuto e perde terreno dovunque – potrebbesembrare, dicevo, che da ciò venir dovesse anche

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un po’ di giustizia per la donna, la vittima piùcolpita nei rapporti sociali moderni.

Ma l’esperienza di altre e molte donne che si at-tentarono a deviare dal binario tradizionale dellavita femminile in genere, e sopratutto l’esperien-za mia propria, m’insegnarono che, se per la so-luzione di molteplici e complessi problemi socia-li si affaticano molti uomini generosi, pensatori escienziati, anche delle classi privilegiate, non ècosì quanto al problema del privilegio dell’uomodi fronte alla donna.

Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e diqualunque classe sociale, per una infinità di ra-gioni poco lusinghiere per un sesso che passa perforte, considerano come un fenomeno naturale illoro privilegio di sesso e lo difendono con una te-nacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio,chiesa, scienza, etica e le leggi vigenti, che nonsono altro che la sanzione legale della prepotenzadi una classe e di un sesso dominante. Ed è perquesto che, malgrado gli intimi rapporti che cor-rono fra i vari problemi, mi parve di poter isolareil problema della condizione sociale della donna,da tutti gli altri fenomeni morbosi dell’organismosociale, generati in gran parte da quel drammaterribile della vita, ch’è la lotta per l’esistenza.

In questa lotta lunga, continua e faticosa, colprogredire e coll’evolvere della società è germo-gliato un sentimento, che si fa sempre più coscien-

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za – il sentimento della giustizia sociale – della ci-vile eguaglianza degli esseri umani. Con questosentimento che nel proletario, spesso, pur troppo,è ancora incosciente, l’operaio alza la testa e recla-mai diritti che gli spettano dal suo lavoro; il conta-dino abbrutito dall’ignoranza e dallo stento, nonsapendo e non potendo reclamare coscientementequel che gli spetta, pur sentendo l’ingiustizia, si ri-bella violentemente per dar un’ultima scossa a tut-ti i residui feudali, che non si reggono più in piedinei rapporti sociali moderni.

Tutti i diseredati, tutti i paria della società co-minciano a muoversi, a chiedere anch’essi un po’di luce, di aria ed una vita conforme alla dignitàumana; ed è quindi naturalissimo che, giusto nelsecolo nostro, si sia accentuato un movimento se-rio e vasto fra gli ultimi e più numerosi dei paria,che formano mezza umanità, cioè fra le donne.

In tutta Europa ed in America si costituisconoeserciti di donne, che combattono per la loro re-denzione e per iscuotere il giogo secolare, impo-sto loro dal sesso maschile. E, sebbene questalotta delle donne non sia tanto manifesta, perché– per una infinità di ragioni fisiologiche e psichi-che – non può mai assumere quel carattere diasprezza e di odio, che distingue la lotta delle di-verse classi sociali; essa non può tuttavia aver al-tro significato che la tendenza ad abbattere il pri-vilegio dell’uomo, e a scrollarne il potere.

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Ed è perciò che, volendo parlare della condizio-ne sociale della donna, non ho trovato migliormodo per scendere al midollo della questione,che mettere in evidenza il monopolio dell’uomonelle varie sue manifestazioni, nelle attività e nel-le funzioni sociali.

So che, trattando la questione da questo puntodi vista, debbo affrontare maggiori difficoltà, per-ché generalmente chi occupa un gradino inferiorenella scala della convivenza sociale, per rendersiaccettabile, non deve mai assalire di fronte i nemi-ci potenti, ma al più domandar loro modestamen-te, qualche piccola concessione, a guisa di favore edi buona grazia, difendersi dagli eventuali attac-chi, e non far mai uso dell’arme spietata della cri-tica; deve insomma modulare la voce in chiaved’umiltà, se pur gli preme di farsi ascoltare.

Non farò, tuttavia, una requisitoria. Non è unacondanna ad ogni costo dell’altro sesso che ledonne domandano; esse aspirano anzi ad ottene-re la cooperazione cosciente ed attiva degli uomi-ni migliori, di quanti essendosi emancipati, alme-no in parte, dai sentimenti basati sulla consuetu-dine, sui pregiudizi e sopratutto sull’egoismo ma-schile, sono già disposti a riconoscere i giusti mo-tivi che le donne hanno di occupare nella vita unposto degno per averne conquistato il diritto.

D’altronde, pur denunciando la tirannide ma-schile, non mi mancherà l’occasione di dire cose

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che parranno forse aspre anche per il sesso alquale appartengo. Ma, appunto, mi pare che mivi autorizzi l’appartenervi io stessa ed il sentirmicon esso solidale in tutto e per tutto – anche nelledebolezze; le quali poi, al pari delle malattie delcorpo, non si tolgono né si scemano senza averleprima coraggiosamente confessate e diagnostica-te. – S’intende bene che le mie osservazioni nonpossono aver nulla di assoluto: esse cercano unamedia delle cose e delle persone, al di qua e al dilà della quale abbondano le eccezioni, che, comeè noto, non scuotono punto la regola.

Condizioni della donna a traverso la Storia

Chi osserva spassionatamente i fenomeni socialimoderni deve riconoscere che la condizione so-ciale della donna, questo elemento così impor-tante della civiltà, è uno dei fenomeni più tristi inmezzo alle istituzioni moderne, è un residuo diun mondo intellettuale e morale che va scompa-rendo dovunque.

Non è con una breve chiacchierata che potreiindagare le cause di codesto fenomeno, causemolto complesse, che richiederebbero lunghi eprofondi studi ed interi volumi. Non è neppurecon una polemica più o meno brillante sulla infe-riorità o superiorità della donna, o coll’attribuire

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al solo egoismo ed alla prepotenza maschile lasua soggezione secolare all’altro sesso, che si po-trebbe spiegare un fatto che dura dacché mondoè mondo, e che poté avere le sue necessità biolo-giche e le sue utilità storiche come le ha forseavute anche la schiavitù del maschio.1

Qualunque fosse quindi l’origine dell’inferioritàsociale della donna, origine fisiologica, economi-ca, etica, o fosse puramente un prodotto del pre-valere brutale della forza, il fatto sta che ora sitratta di una questione di dominio, si tratta delprivilegio di tutto il sesso maschile, privilegio edominio che sono un vero anacronismo inun’epoca, in cui la donna ha progredito sotto tut-ti i rapporti e morali e intellettuali.

Sebbene oggigiorno la evoluzione intellettualee morale della specie umana abbia temperata

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1 Il matriarcato, che ebbe vigore in epoche remotissime e loconserva tuttora in qualcuno dei popoli selvaggi, sembrerebbesmentire che la donna sia sempre sTata soggetta. Ma è per lomeno molto dubbio che il matriarcato sia stato e sia qualcosa dipiù e di meglio che una semplice conseguenza della necessità didistinguere gli stipiti e le discendenze nei clans e nelle tribù tro-vantisi ancora nella fase della promiscuità sessuale. Che il ma-triarcato non rispondesse ad una vera supremazia morale delladonna nell’aggregato sociale primitivo, mi sembra confermatodal fatto che basta una maggiore stabilità di sedi a farlo scom-parire, senza lotta o reazione conosciuta da parte della donna esenza che dell’antica supposta signoria rimanga alcuna traccia otradizione nelle forme di famiglia immediatamente successive.

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l’antica schiavitù della donna e l’abbia convertitain una semplice sottomissione dell’uno all’altrosesso, non si può tuttavia non rimanere sorpresidel fatto che, mentre col progredire della civiltà edella cultura umana, fin dai tempi degli stoici edel primo cristianesimo, si alzarono voci in favo-re degli schiavi, la schiava non ha trovato patro-cinio neppure nella migliore delle religioni, qualè la cristiana.

Anzi il cristianesimo, se da un lato, colla madredel Salvatore, volle consacrare la dignità delladonna, dall’altro lato ha servito a consolidarevieppiù il concetto biblico della donna, cioè dellasua creazione dall’uomo e per l’uomo. Direi per-sino che mai il disprezzo e l’oltraggio alla donnanon sono stati così palesi e chiaramente confes-sati, come dai propugnatori del cristianesimo. Idetti di San Paolo, di San Giovanni Grisostomo,di Sant’Agostino, di Sant’Ambrogio ed altri, tuttid’accordo a chiamare la donna la porta del demo-nio, lo provano a sufficienza. E questi concetti,modificati e rifatti poi dalle varie chiese e sopra-tutto dalla chiesa cattolica, informano ancora do-po tanti secoli la sostanza delle opinioni che han-no gli uomini e, pur troppo, anche le donne stes-se, sulle capacità, sulle attitudini e sui rapportireciproci dei due sessi.

La stessa Rivoluzione francese dell’89, che hademolito tutte le istituzioni basate sul diritto di-

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vino, non ha recato che ben poco profitto – inconcreto – alla causa della donna e, nonostante igrandi principi di libertà, fratellanza ed ugua-glianza, la volle lasciata al posto di massaia, ne-gandole i diritti civili e politici. Condorcet eSieyès potevano invocare con tutte le forze la suaemancipazione politica e sociale; ma l’autoritarioRobespierre coi Giacobini non davano ascolto.

E così per le donne sono rimaste leggi ed istitu-zioni che hanno origine dalla forza brutale, con-sacrate e sanzionate dalla chiesa e diventate poianche base dei codici civili vigenti.

La causa delle donne però ha intanto progredi-to di molto, e gli uomini stessi, per quanto avvintidall’abitudine, da interessi e sentimenti egoistici,dovettero anch’essi velare, mitigare e trasformarela loro dominazione.

Ma non per questo la soggezione della donna èmeno crudele che per lo passato. Anche perché ladonna d’oggi non è più quell’essere impersonale,senza individualità e senza cultura, che una voltafu. Siamo ben lungi dai tempi che la donna siconsiderava come un animale domestico, da po-tersi maltrattare, scacciare od uccidere a capric-cio del suo padrone; o quando si discuteva neiConcili se la donna avesse un’anima o no, e final-mente il Concilio di Macon gliela concedeva apiccola maggioranza. di voti; o quando il fonda-tore delle Orsoline, a Dijon, raccoglieva i dottori

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in teologia per decidere se non fosse un peccatol’insegnare alle donne il leggere e lo scrivere.

Oramai, quasi in tutta Europa e meglio ancorain America, non v’ha ramo dell’industria, nel qua-le le donne non prendano parte; le loro scuoleelementari e professionali diventano sempre piùnumerose; non è lor negato l’accesso all’istruzio-ne superiore; non si vietano loro i titoli necessariad esercitare tutte le professioni che finora furo-no, e sono tuttavia, il monopolio dell’uomo. Nep-pure in Italia, che, eccettuate la Turchia e la Spa-gna, è dei paesi d’Europa quello dove la lotta peidiritti della donna è rimasta più in embrione,neppure qui l’istruzione della donna trova oraquelle opposizioni decise che, non oltre una die-cina di anni fa, formavano ancora uno scoglioquasi insuperabile.

Quale donna studiosa in Italia non sa gli sforzitenaci e coraggiosi di alcune elette di animo ed’intelligenza, come la Poggiolini, la Anna MariaMozzoni, la Laura Mantegazza, la Beccari ed al-tre alle quali le donne italiane debbono il dirittoacquistato di percorrere studi superiori e profes-sionali?

Sembrerebbe quindi che, una volta la donna haconquistato tutti i requisiti necessari ad esercita-re certe professioni, certe arti e mestieri, non viavrebbe ad essere alcuna sufficiente ragione dinegargliene poi direttamente od indirettamente

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l’esercizio oppure di ammettervela solo in condi-zioni molto inferiori a quelle dell’uomo. Eppure,per quanto ciò sia assurdo ed ingiusto vi è unadesolante contraddizione fra la logica e la realtàdelle cose.

La donna nella lotta per l’esistenza

Il monopolio dell’uomo è troppo vasto per poter-ne trattare tutte le manifestazioni: in famiglia,nei diritti civili e politici e nel campo della lottaper l’esistenza, sia materiale sia intellettuale.

Mi limiterò principalmente al monopoliodell’uomo nel campo della lotta per l’esistenza,dove la donna ha sempre avuto una parte notevo-le, ma sempre anche subordinata a quelladell’uomo. Né poteva essere diversamente, quan-do l’arme più efficace per procurarsi i mezzi disussistenza stava nella forza muscolare, che nelladonna è relativamente più debole, e quando ilmaschio, guidato dall’istinto sessuale, conquista-va la femmina stessa colla forza brutale del fisi-camente più forte.

Si potrebbe dire con Letourneau che il primoanimale domestico dell’uomo è stata la donna,perché, in condizioni dispari di lotta, essa rima-neva la vinta, ma vinta soltanto dalla forza bruta-le. Invero nella divisione del lavoro per la conser-

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vazione della specie, animata da quella potenteforza che è il sentimento della maternità, la don-na, anche nelle società primitive, si palesa attivae capace di invenzioni industriose e, come dicegiustamente il prof. Vignoli nel suo notevole stu-dio sulla Psicologia sessuale: – “nelle primitivecondizioni umane la protezione e le cure pei neo-nati rendono la mente della madre alacre e sve-glia e la spronano ad escogitare industrie nuove,industrie che nella prima età umana sono tuttescoperte”.2

La donna nei popoli primitivi

La donna quindi esercitava in tal modo lavoriequivalenti a quelli dell’uomo, anzi lavori non so-lo equivalenti, ma ben più faticosi e molteplici.Chiunque abbia letto libri di viaggiatori o missio-nari sui popoli primitivi nell’Africa, nell’Australiao nelle isole abitate ancora da selvaggi, sarà pro-babilmente rimasto addirittura atterrito dalla sor-te terribile che tocca alle donne. Se per l’uomo leoccupazioni principali sono la caccia e la guerra,che, del resto, non sono continue, la donna invecedeve continuamente attendere ai lavori più duri.

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2 Prof. Tito Vignoli: Note intorno ad una Psicologia sessuale;pag. 12. - Milano, Dumolard, 1887.

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Il capitano Bove nel suo Viaggio nella terra delFuoco, dopo aver narrato con quali fatiche i Fue-gini si procurano uno scarso nutrimento, dice:“Di questa lotta la più gran parte spetta alla don-na. Ad essa i più penosi lavori; la pesca, la con-dotta delle canoe, la conservazione del fuoco... –Quante volte ho veduto gli uomini tranquilla-mente seduti intorno a un buon focolare, mentrele povere donne stavano esposte alla neve, al ven-to, all’acqua, pescando per gli oziosi loro mariti.”

I giovani Australiani dicono ingenuamente, cheprendono moglie per farsi procurare legna, ac-qua, alimenti e farsi portare il bagaglio durantele trasmigrazioni della vita nomade. E, in tutte lefasi che percorse lo sviluppo umano, la donna eb-be quella sorte particolare di essere consideratadall’uomo come uno strumento di lavoro.

Se gettiamo uno sguardo rapido nella famigliapatriarcale, la donna cura i bambini, il bestiame,prepara gli abiti, costruisce le capanne e, quandocominciò la coltivazione della terra, il primo ani-male attaccato all’aratro fu la donna.

Per queste utilità che presentava come forza dilavoro, e non soltanto per istinto sessuale, anchenei periodi primitivi dell’evoluzione umana l’uo-mo sentiva la necessità di conquistare la donna,dapprima colla forza – onde il matrimonio perratto, di cui rimane ancora la tradizione simboli-ca nei costumi nuziali di tanti popoli – indi con

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prestazioni di lavoro e col servaggio. Così Gia-cobbe – secondo la Bibbia – servì sette anni perottenere Rachele, ma il padre di questa, furbo, glidiede invece la sorella Lia, per costringerlo, sevoleva Rachele, al lavoro per altri sette anni. Almatrimonio per conquista succede il matrimonioper compra-vendita. Il fidanzato pagava un tan-to, ed erano quasi sempre giovenche, ai proprie-tari della sposa – cioè ai genitori – indi alla sposamedesima. Chi sa se i regali, che i fidanzati usa-no ancora oggi di fare alle loro promesse, nontraggono origine di là, e, se non hanno più il ca-rattere d’una vera compera, tuttavia quanti uomi-ni non sanno trovare mezzo più efficace per con-quistarsi il cuore d’una ragazza, del regalarle unanello, un braccialetto, una catena o qualche al-tro ninnolo lusingatore della vanità femminile! Èvero però che oggi – fattisi i tempi più civili – nonavviene, tanto che l’uomo comperi la moglie,quanto il suo contrario; che cioè sia la donna chedeve comperarsi un marito. E le ragazze senzadote ne sanno qualche cosa.

La donna nel medio evo

La triste vita della schiava in Grecia ed in Roma ètroppo nota perché io la rammenti. Ma, venuto ilMedio Evo, sembrerebbe che, sotto l’influenza

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del Cristianesimo, di questa religione tutta pietàed amore pel prossimo, la sorte della donna do-vesse migliorare, poiché il prossimo più vicinodell’uomo, mi pare, è sempre stata la donna. Ep-pure – passatemi l’eresia – fu appunto il Cristia-nesimo che sanzionò e, per così dire, consacròquella soggezione della donna, che dapprima nonaveva altro fondamento che il predominio del fi-sicamente più forte. L’ascetismo cristiano fececonsiderare la donna, a quegli uomini assetati diparadiso, come una tentazione di peccato, un pe-ricolo di perdizione, insomma – l’ho già detto –come la porta dell’inferno.

Così agli obblighi già gravi di un lavoro, delquale le massaie moderne non hanno pure unalontana idea – poiché la donna del medio evo do-veva filare, tessere, imbiancare la tela, confezio-nare abiti e biancheria, preparar sapone e cande-le, attendere al campo, all’orto, alla stalla, a tuttiinsomma, i lavori che quella civiltà esigeva sicompiessero nelle mura domestiche e dai qualirifuggivano, disdegnosi, gli uomini guerrieri – siaggiunse il cosciente disprezzo, di cui era fattasegno, in nome di una fede proclamata umanita-ria e redentrice.

Né ci parlino i sentimentali romantici dellapoesia del medio evo, de’ suoi trovatori, delle ca-stellane e delle creazioni poetiche che innalzaro-no la donna al settimo cielo!

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Ma quelle creazioni poetiche erano forse donneDavvero? Le Beatrici, le Laure, le Leonore nonfurono che allucinazioni, create dal vago intuitodei grandi poeti, che sentivano l’uomo un mezzoessere, se non è completato dalla donna; e poiche l’eterno femminino reale era disprezzato edoltraggiato, la fantasia ascetica doveva pur fog-giarlo in una forma eterea di donna bionda, linfa-tica, vicina agli angioli e possibilmente lontanis-sima dal poeta. Queste creazioni poetiche, piùche lusingare l’amor proprio femminile, sono at-te a rattristare l’animo, pensando che gli uominid’ingegno, per trovare uno sfogo alla loro espan-sione affettiva, dovevano collocare la donna im-maginaria nel cielo o nelle visioni allucinatorie.E non poteva essere diversamente, data la condi-zione reale della donna in quei tempi, nei quali iprecetti d’una religione, allora in tutto il suo vigo-re, le prescrivevano, norma suprema, l’ubbidireed il soffrire in silenzio.

La donna moderna

Così tutta la storia dello sviluppo dell’eterno fem-minino sin dall’età primitiva si presenta agli oc-chi nostri come un lungo martirologio.

Il diritto del fisicamente più forte, principioinformatore degli organismi sociali sviluppatisi

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dalla cellula embrionale delle società primitive,fa della donna la eguale del vinto – animale dome-stico prima, poi schiava, poi serva, poi semplice-mente soggetta. Ed è anche perciò che in moltefamiglie la nascita d’una femmina è considerataquasi una sventura. Oggi ancora fra i Brettoni inFrancia, i contadini nel loro linguaggio immagi-noso e rustico, quando la donna partorisce unabimba, usano dire qu’elle a fait une fausse couche.Ed è così generale questo sentimento, che lo si ri-trova, rivestito persino d’identica espressione, neiluoghi più diversi e lontani. Anche in certe pla-ghe della Russia usano la stessa frase; dicono chela donna sdielala vikidisch’ – cioè che ha abortito.

Coll’evoluzione però delle civiltà modernel’elemento della forza muscolare andò semprepiù eliminandosi in moltissime attività sociali,nelle produzioni industriali e persino nell’agri-coltura, così che la donna, nelle classi sociali chesi guadagnano la vita col lavoro, si è trovata apoco a poco in condizioni su per giù eguali aquelle dell’uomo. Ed è sopratutto nel secolo no-stro, che la donna, per leggi di economia politi-ca, che qui non è né il momento né il luogo diprender in considerazione, collaborando diretta-mente nella produzione delle ricchezze sociali,ha potuto diventar consapevole della sua equiva-lenza all’uomo.

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Cause odierne che spingono la donna al lavoro

Il desiderio sempre più manifesto della donna direndersi economicamente indipendente è un fe-nomeno particolare dei tempi recenti; poiché lavita moderna spinge dovunque la donna al lavo-ro, per necessità economiche nella grande mag-gioranza delle classi lavoratrici e delle classi me-die, e per ragioni morali nella piccola minoranzadelle classi privilegiate. Imperocché anche ladonna delle classi dominanti non si contenta piùd’essere un fiore, un angelo, un oggetto d’arte o ladocile compagna e serva dell’uomo, ma reclamadi cooperare con lui al lavoro sociale e rappre-sentare anch’essa un valore sociale.

Ma, sopratutto, quello che spinge la donna allavoro è il fatto che il matrimonio, l’unica pro-spettiva per la donna per ottenere una relativa-mente sicura posizione sociale, diventa anch’essouna cosa molto difficile; e lo sanno, pur troppo,assai bene le mamme che hanno ragazze da ma-rito. Come volete che l’uomo si addossi a cuorleggero il peso di mantener una famiglia, quandola lotta per la vita si fa sempre più aspra ancheper gli uomini? E se la ragazza non ha una dote,non le rimane che il ridicolo di cui la copre la so-cietà col nome di zitellona e l’amarezza di una vi-ta squallida e vuota, se non è preparata a bastar ase stessa col proprio lavoro.

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La vita moderna offre inoltre all’uomo celibemolti di quegli agi che per lo passato non potevaprocurarsi se non in casa propria, di modo cheegli adesso può far a meno della massaia che gliprepari il pranzo, la biancheria ed il resto, evitan-do così le noie ed il peso d’una famiglia.

Per le crescenti difficoltà della vita il matrimo-nio degenera in un semplice affare commerciale– la dote è il suo obbiettivo – la ragazza un’appen-dice inevitabile.

E lo è diventato tanto un affare commerciale,che in Germania, in Inghilterra, in America ed inFrancia esistono vere Borse del matrimonio, di of-ferte e domande, come le Borse del lavoro. Ufficimatrimoniali, giornali d’avvisi per chi cerca unamoglie od un marito, coi loro bravi mediatori chepercepiscono un tanto per cento su ogni matri-monio combinato.

E con tutto ciò il Bertillon ci dà, nella sua stati-stica sui matrimoni, un terzo degli uomini che ri-mangono celibi in Francia e, nello stesso tempo,numerosi connubi di giovi nette con rispettabilimariti di più di 60 anni. E così il matrimonio mo-derno, salvo poche eccezioni, è diventato una del-le selezioni più vergognose: selezione di capitali,senza riguardo né alle simpatie né alle grandi di-sparità d’età. Con qual vantaggio poi per la spe-cie, lasciamolo decidere agli antropologi.

In tali condizioni è naturale che il trovar mari-

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to è diventata la professione quasi più difficile ditutte le altre. E, se poniamo mente che le donnequasi dappertutto, tranne in America, eccedonoil numero degli uomini (secondo il censimentodel 1871, in Inghilterra eccedevano di quasi unmilione, ed un po’ meno in Francia) si capirà be-ne come, secondo Elysée Reclus, possa rimanereil 40 per 100 delle donne non maritate che devonopur in qualche modo guadagnarsi la vita. Contatepoi le vedove, le donne separate dai mariti, le di-vorziate che aumentano in proporzione enormein Francia, in Belgio ed in Isvizzera, ed ecco for-marsi tutto un esercito di donne che, se non lavo-rassero, dovrebbero o vendersi – e sarebbero an-cor troppe – o suicidarsi.

È evidente, mi pare, che non è soltanto l’ideateorica dell’emancipazione, od un principio astrat-to qualsiasi, che spinge la donna ad essere la con-corrente dell’uomo, ma è la lotta per l’ esistenza nelvero senso della parola.

Perché prescelta la questione del lavoro della donna

Ho prescelto poi la questione del lavoro della don-na, perché credo questa il nocciolo di tutta la que-stione femminile, convinta come sono di questagrande verità fondamentale dell’etica moderna,

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che vale per l’uomo come per la donna: che, cioè,il solo lavoro, di qualunque natura esso sia, divisoe retribuito con equità, è la sorgente vera del per-fezionamento della specie umana. Ed infatti, seogni individuo dell’uno e dell’altro sesso, permet-tendoglielo le condizioni di salute e d’età, sentissetutta la portata morale di cotesto ideale e dovesseprocurarsi da sé i mezzi di sussistenza, parteci-pando in un modo qualsiasi nella gran divisionedel lavoro sociale, certo sarebbe tolta una dellepiù grandi piaghe della società moderna – il pa-rassitismo – fenomeno così raro fra gli animali in-feriori d’una stessa specie e, pur troppo, così gene-rale fra gli animali superiori della specie umana.

Il Sergi (vedete che non vi cito un anarchico, néun rivoluzionario e neppure un socialista, masemplicemente il più illustre degli antropologid’Italia), il Sergi, dicevo, vede in cotesta piaga delparassitismo sociale la più potente causa delladegenerazione umana. E un altro dei sociologipiù studiosi e colti d’Italia, e quindi anche nonconosciuto quanto merita, Angelo Vaccaro, di-mostra come “la vita parassitica nuoce tanto allavittima quanto al parassita; la prima subisce unadiminuzione del potere vitale, l’altro una diminu-zione della sua complessità organica”.3

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3 Angelo Vaccaro: Sulla vita degli animali in relazione.alla lottaper l’esistenza; pag. 15. - Milano; Dumolard, 1887.

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Questa legge biologica, applicata ai rapporti so-ciali, allarma gli antropologi ed i sociologi quan-to all’avvenire della specie umana, nella quale ilparassitismo tiene un posto così considerevolenella gran disparità delle diverse classi sociali.Ma anche gli scienziati sono pur sempre uomini,e si cercherebbe invano nei loro scritti l’applica-zione di cotesta legge, così positiva e scientifica,ai rapporti fra l’uomo e la donna, dove spieghe-rebbe davvero tutto il suo immenso valore.

Parassitismo morale della donna

E qui debbo rendermi un po’ più chiara. – Puòsembrare strano che, dopo aver insistito sul fattoche la donna ha sempre lavorato ed anche piùdell’uomo, io le assegni ora un posto di parassita.Ma il parassitismo della donna, nocivo a lei edall’uomo, non è di natura biologica o materiale,ma bensì di natura etica o morale.

Della piccolissima minoranza delle donne, chenon vivono che di frivolezze; di visite e ditoilettes, non parlo neppure, perché sono parassi-ti veri e degenerano al pari dell’uomo della loroclasse. Il patrizio romano, che cercava di vomita-re molte, volte per la voluttà. di poter riempirsi dinuovo, era degenerato al pari della matrona ro-mana, che, dopo ritornata dai giuochi del circo, e

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dopo aver assistito all’agonia del gladiatore, si di-vertiva poi a torturare cogli spilli le sue schiave.

Ma il parassitismo morale della maggioranzadelle donne, che è quello di cui voglio propria-mente parlare, ha la sua origine invece nel servi-lismo e nella sottomissione.

Nella sottomissione e nel servilismo come si èfatta la selezione morale della donna?

Questa ha dovuto sempre compiacere all’uomoin tutto e per tutto. Tutta la sua intelligenza e tut-ta la sua energia dovettero venire sempre direttea contentare il suo padrone. Non un’idea, non unsentimento che non fossero i sentimenti e le ideedel suo dominatore.

La donna fa l’eco dell’uomo, la sua personalitàè quasi abolita. E, se non fa l’eco, deve in fami-glia, pro bono pacis, fingere almeno di farlo; ondequell’astuzia e proclività alla finzione, che tutti lerimproverano, è stata la sua unica arme di difesae, se non altro, è una prova della potenza e dellavitalità intellettuale della donna. Se non avessefinto e simulato – sarebbe demolita e ridotta algrado di vero automa.

Così avviene che i bambini, anche di buona in-dole, appunto e soltanto perché deboli, scappinofacilmente a dire le bugie, e specialmente dovehanno genitori o custodi tirannici. Ma i bambinifortunatamente, se d’indole buona, perdono quelvizio e ne rifuggono, non appena hanno raggiun-

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to un sufficiente sviluppo del loro carattere; ledonne, per cotesto rapporto, non possono usciremai del tutto dall’adolescenza.

Pur troppo questo stato di cose non offrì le con-dizioni più favorevoli allo sviluppo del vero carat-tere nella donna.

Il carattere non si allea mai col servilismo.Ed infatti gli uomini e le donne, e soprattutto

queste ultime, se sono di carattere indipendente,vengono considerate ribelli, gente inquieta, tur-bolenta e pericolosa alla società. Basta che unadonna affermi la sua personalità, perché le donnestesse le diano subito la croce addosso, forse per-ché così piace all’uomo; e per compiacergli, pre-ciso come nelle tribù selvagge, sono le donne chemalmenano la sfortunata loro compagna, se persua sventura perde, per qualche ragione, la gra-zia del padrone comune.

Nella donna il sentimento della maternità hasviluppato, è ben vero, bellissimi ed elevatissimilati di altruismo domestico. Essa è pronta a sacri-ficarsi con amore e rassegnazione per tutte lepersone della sua famiglia. Ma questi sentimenti,se in origine furono la base della convivenza so-ciale, nei tempi moderni confinati a forza nellacerchia ristretta degli interessi esclusivamente fa-miliari, degenerano in grettezza, avarizia ed egoi-smo domestico. L’altruismo familiare, spinto adoltranza, è diventato nemico dell’altruismo socia-

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le, che la donna sente poco o nulla. Onde, comeosservarono molti sociologi e fra gli altri il Prof.Vignoli, la donna nella società è un elemento es-senzialmente reazionario e conservatore

Ripercussione sull’uomo

Ma questa tendenza non si ferma in lei. L’uomostesso, nella convivenza continua colla donna,subisce, volere o non volere, per una suggestioneinavvertita ed incosciente, tutto il conservanti-smo della donna, tutto il suo timore delle innova-zioni, tutti i suoi sentimenti antisociali. E l’uomo-George Dandin – viene punito da quel lato dalquale ha peccato. – Egli ha voluto tale la donna,la tiene e la mantiene tale, e la donna, invece dicompletare l’uomo ed aumentarne la potenza vi-tale, ne impaccia tutti gli slanci, ond’egli si sentecome tarpate le ali.

Forse la leggenda di Sansone, l’eroe biblico, acui Dalila recide colla chioma le forze, contieneun intuito primitivo dell’accennato fenomeno.

Anche, oggidì, se c’è da scrollare le colonne diun tempio di superstizioni, se c’è dei Filistei dapercuotere e da annientare, se si dà il caso di unsacrifizio pecuniario per qualche intento genero-so o se bisogna sacrificare tempo e fatica, condanno lieve della famiglia, per una utilità sociale

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– per un ideale; allora l’uomo risente tutte le con-seguenze del non avere nella sua compagna unavera compagna, che senta e pensi con lui, all’uni-sono, che s’interessi anche di ideali più larghi edelevati, e che veda anch’essa, come il benesserefamiliare sia indivisibile dal benessere sociale.

L’uomo, in questi casi, o cede, o s’allontana mo-ralmente dalla moglie; – in ogni modo, se la don-na, da questa vita moralmente parassitica, perdenella sua complessità, perché non si sviluppa néintellettualmente né moralmente, l’uomo a suavolta subisce una diminuzione di potere vitale,perché deve o disperdere gran parte delle sue for-ze più preziose nelle sterili lotte intestine della fa-miglia, o sacrificare i migliori slanci del suo ca-rattere.

La donna è in sostanza quale l’ha fatta l’uomo,le donne non hanno nessuna colpa del non avereidee e sentimenti propri. Ci vorrebbe una lega diuomini onesti, i quali, non con cortesie di cava-liere medioevale, che hanno solo l’apparenza delrispetto alla donna, ma con una vera cooperazio-ne di fatti, aiutassero a toglierla, mercé una istru-zione più seria e più soda, dalla sua eterna mino-rennità. E ciò sarebbe anche nell’interessedell’uomo e della specie umana, perché, se ladonna è quale l’ha tenuta l’uomo fin ad ora, l’uo-mo, viceversa, è la creazione della donna – è leiche influisce sullo sviluppo del suo carattere – è

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lei che forma la sua intelligenza; ond’è che giu-stamente fu detto che, se gli uomini fanno le leg-gi, sono invece le donne che fanno i costumi; esapete pure che, quando è conflitto fra le leggi edi costumi, il costume, in definitiva, è sempre ilvincitore.

Tutti mettono tanti lagni sulla decadenza delcarattere degli uomini grandi e piccini al giornod’oggi; oh! lasciate, lasciate sviluppare il caratte-re e la personalità nella donna – e la donna, veramadre, non educherà caratteri di pasta frolla, mauomini veri.

L’indipendenza economica condizione dei diritti civili e politici

Mi pare quindi, che solo col lavoro equamente re-tribuito, o retribuito almeno al pari dell’uomo, ladonna farà il primo passo avanti ed il più, impor-tante, perché soltanto col diventare economica-mente indipendente, essa si sottrarrà al parassiti-smo morale, e potrà conquistare la sua libertà, lasua dignità ed il vero rispetto dell’altro sesso.Credo che soltanto allora le donne avranno laforza morale di non subire più le pressioni delpadre, del marito, del fratello, e potranno creareanch’esse, in mezzo al loro sesso, quell’arme po-tente delle lotte sociali moderne, ch’è l’associa-

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zione, per conquistare poi con quest’arme i diritticivili e politici, che sono loro negati come agli uo-mini interdetti per imbecillità, per pazzia o perdelinquenza.

Le leggi vigenti infliggono alla donna questaumiliazione atroce, perché non solo gli uomini,ma anche le donne stesse considerano la donnacome un’eterna minorenne, ed essa non potràmai diventare maggiorenne se non quando potràbastare a se stessa colla propria intelligenza, leproprie capacità e le proprie forze morali.

In America c’è voluto un mezzo secolo di lavorofemminile nell’industria, nell’istruzione pubbli-ca, nelle professioni libere, nessuna esclusa, per-ché le donne americane ottenessero, non il dirit-to al voto deliberativo, che si è ottenuto in unosolo degli Stati Uniti, ma soltanto il diritto al votoconsultivo nei corpi politici, nelle commissionilegislative e nelle assemblee generali.

Non sono che sette anni che la legislatura delKentuky sentiva due donne, la Benet e la Hog-gart, patrocinare i diritti del loro sesso. Le donneavvocatesse di se medesime suscitarono, natural-mente, grande curiosità sia fra i deputati sia fra ilpubblico accorso numerosissimo alla Camera.Gli scettici ed i maligni furono disarmati e vintidall’eloquenza e dall’erudizione giuridica dellaMiss Hoggart; e lo stesso giorno fu presentato unbill, che conferiva alle donne il diritto all’ammini-

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strazione dei loro beni ed alle madri un’autoritàsui figli eguale a quella del padre.

Questo fatto, che troverebbe in Francia, in In-ghilterra ed altrove molti riscontri, che qui omet-to per amore di brevità, non è che un esempioisolato inteso a dimostrare, come le leggi giuridi-che sono la conseguenza di abitudini e costumisociali, e non altro che la sanzione dei rapportisociali già esistenti, allo stesso modo che le leggicosmiche e biologiche non sono che la sintesi deifenomeni osservati.

Non voglio però cadere nell’assoluto e non ne-gherò che, se oggi, per una specie di miracolo, ilegislatori uomini concedessero alle donne i di-ritti civili e politici, questo fatto eserciterebbeun’immensa influenza sul loro sviluppo intellet-tuale e morale, poiché è legge biologica che lefunzioni nuove creano, a poco a poco, organi lo-ro adatti. Fra le donne sarebbe avvenuto su pergiù lo stesso fenomeno che si osserva nella granmassa degli operai, uomini poco atti ancora allavita civile e politica. Eppure, dopo pochi anni dipartecipazione diretta degli operai alla vita politi-ca, vediamo come dal loro balbettare quasi infan-tile si sviluppano oratori poderosi, forniti di co-gnizioni serie e di studi profondi sulle questionivitali che agitano la loro classe.

Ma ormai nessuna persona intelligente e dibuon senso crede più ai miracoli; e le leggi vigen-

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ti, che riguardano le donne, subiranno la stessaevoluzione di tutte le altre leggi. Perché, direi col-le parole dello Spencer, che “a misura che la coo-perazione volontaria modifica sempre più il ca-rattere del tipo sociale, il principio tacitamenteammesso dell’eguaglianza dei diritti per tutti di-venta condizione fondamentale della legge.”4

Le donne, quindi, cooperando a titolo egualedegli uomini al lavoro sociale sotto qualsiasiaspetto, renderanno impossibili le leggi attuali,che le mettono in condizione d’inferiorità fra iminorenni e fra gli incapaci per imbecillità o paz-zia quanto ai diritti politici, e assegnano loro unposto così inferiore in famiglia quanto ai diritticivili. Certo è che, finché la donna non potrà ba-stare a se stessa e per vivere dovrà dipenderedall’uomo, la legge, che la considera come pro-prietà del marito, dovendo la moglie seguirlo do-vunque, rimarrà in tutto il suo vigore; e sequell’articolo, così oltraggioso alla dignità umanadella donna, venisse anche abolito, quest’aboli-zione non rimarrebbe che lettera morta, data ladipendenza economica, in cui si trova la grandemaggioranza delle donne.

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4 Herbert Spencer: Principes de Sociologie. - Tome III. pag.716.

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Il privilegio dell’uomo moderno

Ed infatti gli uomini intuiscono vagamente tuttocotesto processo di conseguenze morali che sa-ranno immancabili, una volta la donna, non solodelle classi povere, ma anche delle classi medie,entrasse nel gran campo della lotta per l’esisten-za; e mettono tutti gli ostacoli possibili per impe-dire il lavoro professionale delle donne.

È vero che ci entra anche in buona parte il timo-re della concorrenza, che viene dissimulato con ra-gioni di etica sociale, basate per lo più sui pregiudi-zi religiosi e sulla consuetudine: ma più di tutto viinfluisce il timore incosciente di dover un giornorinunziare, o per amore o per forza, alla loro auto-rità e prepotenza di sesso, radicate in essi fin daitempi preistorici; E l’abdicare un potere è semprecosa difficile e, lo consento, anche, dolorosa.

Vediamo dunque qual’è il monopolio modernodell’uomo di fronte alla donna che lavora nell’in-dustria, nell’istruzione, nelle arti e nelle profes-sioni, e se vi siano ragioni sufficienti che lo giu-stifichino.

La operaia

Prima di tutto parlerò del lavoro e della retribu-zione della donna salariata, perché la gran mag-

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gioranza delle donne è concorrente degli uominisul gran campo delle produzioni industriali eperché, quanto al valore morale comparativo deivari lavori, mi pare che non vi siano lavori chepossano né inorgoglire né avvilire in modo spe-ciale; fare la sarta o la filatrice non è inferiore,dal punto di vista dell’utilità sociale, al fare il me-dico o l’avvocato.

E poi è anche una questione di giustizia. Chi ri-sente maggiormente tutto l’orrore: dell’inferioritàsociale della donna è precisamente la donna ope-raia. Essa è doppiamente schiava: da una parte almarito, dall’altra al capitale.

“Donna operaia – parola empia” dice Michelet,da un punto di vista sentimentale, e attribuisce alnostro secolo di ferro questo fenomeno che lo fainorridire. Ed io direi; “donna operaia -parola re-dentrice”; poiché è appunto l’industrialismo mo-derno. con tutti i suoi mali, che renderà la donnapovera uguale all’uomo e la sottrarrà alla sua di-pendenza dall’altro sesso.

Il numero delle donne impiegate nelle industriee nelle manifatture è un vero esercito, che in certipaesi e in date industrie supera l’esercito operaiomaschile. E ce lo provano meglio di tutto le stati-stiche, per quanto siano incerte ed incomplete,poiché vere statistiche del lavoro e dei salari nonesistono ancora, e i dati finora vengono fornitidai privati e dalle Camere di Commercio; essi so-

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no però sufficienti per formarci un’idea approssi-mativa sui vari problemi dell’industria moderna.

Invasione della donna nelle industrie

Vittorio Ellena, avendo potuto studiare, coi mez-zi fornitigli dal Ministero del Commercio, alcuneindustrie italiane nel 1880,5 trovò in esse, su382,131 operai, il 27,10% di uomini e il 49,32% didonne, ossia – a parte i fanciulli – 103,562 uominie 188,486 donne, così ripartiti nelle varie indu-strie:

Uomini DonneSeta 15,692 120,428Cotone 15,558 27,309Lana 12,544 7,765Lino e Canape 4,578 5,959Tessitura in materie miste 2,185 2,530Carta quasi egualiManifatture tabacchi 1,947 13,707Conce di pelli tutti uomini

e così pure nelle officine delle Strade ferrate enelle lavorazione di cordami.

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5 Vittorio Ellena: Statistica di alcune industrie italiane; pag.32. - Annali di Statistica. Serie seconda. Vol. XIII. 1880.

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E fra le varie provincie del regno, escluse certeprovincie centrali e quasi tutte le meridionali,ove l’industria è quasi in embrione, trovò la pre-valenza del sesso debole nell’industria, nella pro-porzione seguente:

Uomini DonnePiemonte 22,617 40,388Lombardia 24,438 78,743Veneto 11,151 21,257Emilia 4,448 6,114Marche 2,753 6,248Toscana 7,759 11,386

E questo non avviene solo in Italia.In Inghilterra ed Irlanda nel 1861 erano occu-

pate nelle manifatture 467,261 donne, contro soli308,273 uomini; e la cifra delle donne operaie, se-condo i dati di Leroy-Beaulieu, si è aumentata indieci anni del 60%.6 Infatti il censimento del1875 – cioè 14 anni più tardi – ci dà che in Inghil-terra il numero delle donne impiegate solonell’industria tessile giungeva già a 541,837; quel-lo degli uomini a soli 233,537.7

Molte altre simili cifre avrei raccolto e dell’In-

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6 Leroy-Beaulieu: Le travail des femmes au dix-neuvièmesiècle. Paris.1887. Pag. 28-29.

7 Bebel: Die Frau. Zurigo, 1887. Pag. 86.

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ghilterra e della Francia e di altri paesi, il citare lequali tedierebbe oltre il tollerabile; ma che tutteconfermano questo doppio singolare fenomeno:da un lato l’invasione delle donne nel lavoro ma-nuale, così da formare, esse sole, veri popoli di la-voratrici; dall’altro il fatto che l’aumento delledonne nelle industrie è, comparativamente, assaipiù rapido e più grande di quello dell’elementomaschile. Potrebbe quasi dirsi che, mentre per gliuomini esso avviene in proporzione aritmetica opoco più, per le donne esso avviene poco menoche in proporzione geometrica.

In molte industrie dove gli uomini erano nume-ricamente di gran lunga prevalenti, la proporzio-ne si è perfettamente invertita.

Questo avvenne, per esempio, in Inghilterra,nella produzione delle materie prime. Là nel1861 le donne erano circa 300 mila e gli uominiquasi mezzo milione. In soli 7 anni queste due ci-fre si scambiarono il posto, con qualche vantag-gio anzi per le donne.

Vi sono poi industrie numerosissime – cito peresempio i così detti articoli di Parigi – ove le don-ne stanno ai maschi come 3 ad 1.8

Altre -i lavori in perle, in diamante, certe fab-briche di strumenti musicali o chirurgici, che esi-

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8 Edward Watherston: State of labor in Europe, 1887. - Sunto fattodal signor Viali: Annali di statistica. 1880. Serie seconda, vol. XII.

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gono molta pazienza e finezza di lavoro – sonocompletamente, o quasi, in mano alle donne.

In Francia il grande Opificio dei Gobelins e laStamperia nazionale non impiegano che donnee, stando ai rapporti, se ne trovano benissimo.

Col perfezionamento della meccanica vi sonoormai pochissime industrie alle quali non prendaparte la donna.

Né fanno eccezione le così dette industrie insa-lubri e pericolose. Basti il dire che la si trova nel-le miniere nella lavorazione dei metalli, nelle fab-briche dove si producono le intossicazioni croni-che da esalazioni chimiche velenose.

Per questa grande maggioranza del sesso fem-minile che è la donna operaia, nessuno parla del-la famiglia che va di mezzo, se la donna ha da fa-ticare per 10, 12 e in certe produzioni anche 14 e16 ore. Qui si calpesta la femminilità, la mater-nità, l’allevamento dei figli, tutto ciò, di cui si fan-no arme gli uomini della borghesia quando è ladonna del loro ceto che diventa loro concorrentenelle professioni.

Salari femminili

E come vien retribuita la donna – produttrice ditante e così svariate ricchezze in tutti i paesid’Europa?

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Per rispondere a questa domanda, converrebbefar di nuovo ricorso alle cifre.

Basti il dire che da tutte le statistiche – per quan-to ancora scarse – si desume però, con sufficientecertezza, questa conclusione: che la donna, a parilavoro, è sempre pagata molto meno, dell’uomo.

Come semplice esempio, piglio qualche dato,che ci offre la Direzione Generale delle Statisti-che in Italia nel 1882.9

Qui nel milanese, nei cotonifici Cantoni, i fila-tori ricevono 1,86, le filatrici 1 lira; i tessitori 2,35le tessitrici 1,18.

Nella filatura del lino e della canapa, gli uominiricevono 3,20, le donne 1,05. Questo rapporto simantiene quasi costante in tutte le industrie.Sempre la donna, a lavoro eguale, è pagata unterzo o la metà dell’uomo.

Per Leroy-Beaulieu, in Francia, il rapporto èdel doppio alla metà.10 Per Charles Elliot, in Ger-mania, da 3 franchi ad 1,60.11

E allora si capisce, come sia vero che la donnaoperaia, se deve vivere del solo lavoro, non possageneralmente bastare a se stessa.

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9 Contribuzione per una statistica delle mercedi. Annali diStatistica, 1885. Serie terza, vol. XIV.

10 Leroy-Beaulieu: Opera citata, pag. 132.11 Charles W. Elliot: The North American Review. (Rivista

dell’America del Nord). Mese d’Agosto 1882.

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E si capisce perché tanti economisti, come ilLeroy-Beaulieu e il Jules Simon, tante signore fi-lantropiche, tanti pastori anglicani, che fecero la-vori speciali sopra questo argomento, concludo-no tutti, suppergiù, come concludeva Micheletnel suo umanitario studio, Le peuple:

“La donna la si compiange meno, ed è la più dacompiangere. Schiava del lavoro, essa guadagnacosì poco, che l’infelice deve mettere a profitto lasua gioventù per cavare qualche cosa dai piaceriche offre all’altro sesso”.12

Supposte cause di bassi salari. Domanda ed offerta

Qual’è ora la causa di codesta inferiorità dei sala-ri femminili?

L’economia politica risponde che la causa piùgenerale che determina i salari è la legge dellaconcorrenza, ossia della domanda ed offerta, per-ché il lavoro umano è anch’esso una merce, chesi vende sul mercato come tutte le altre.

Senonché, con questo criterio si potrebberospiegare i salari femminili così bassi, in confron-to ai maschili, se appunto, oggidì, il lavoro fem-minile fosse più offerto e meno ricercato.

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12 Michelet: Le Peuple. Paris,1846, pag. 90.

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Ma abbiamo visto che le donne oggi sono am-messe nelle industrie al pari, se non anche più,degli operai.

Bisogna dunque cercare altrove.

Minore produttività

1.° Si dirà: minor forza produttiva.Sì: sarebbe questa una causa dei minori salari se

fossimo ancora ai tempi in cui la forza muscolareera uno dei fattori prevalenti nella produzione.

Ma oggimai non è più così.Oggi, salvo in certe sfere molto limitate – come

il facchinaggio, l’arte del barcaiolo e simili – lamacchina ha sostituito il muscolo.

Oggi quel che si chiede a un buon operaio nonè più la valida muscolatura, ma la sorveglianzacontinua, l’attenzione sempre desta, abilità, pa-zienza, destrezza – tutte doti che nessuno ne-gherà alla donna, nelle quali anzi vince spesso ilsuo competitore.

Nella Contea di York, dove è in vigore l’industriadella lana – una di quelle che un tempo richiede-vano molta forza fisica – esisteva questo prover-bio: “il lavoro della lana vuol dell’uomo la mano”.Or bene, oggi questo proverbio si è invertito.

Leroy Beaulieu sentì da un grande industrialeesservi molte donne che attendono contempora-

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neamente a due o tre telai; e non un solo uomoche sappia fare altrettanto.

E là dove il lavoro è a cottimo, la moglie e le fi-glie spesse volte portano in casa più guadagni delpadre e dei fratelli.

Aggiungete ancora che, dove lavorano le soledonne, la giornata di lavoro è molto più lunga.

Da un rapporto fatto dal senatore Paris al Se-nato di Francia nel 1881, risulterebbe che la du-rata del lavoro delle donne, in Francia, è in me-dia di 15 ore e mezza.

E voi sapete come sia lunga la giornata di lavorodelle vostre setaiole, mondatrici di risaia e così via.

Non è dunque la minore produttività della don-na che può spiegare l’inferiorità dei salari.

Minori bisogni

2.° Dicono poi che le donne hanno minori biso-gni.

E chi determina cotesti bisogni?Prima di tutto i bisogni non sono una quantità

costante. Chi vive di acqua e polenta, con tutti gliorrori della pellagra, certo ha minori bisognidell’operaio di Parigi, per esempio, che mangiacarne e beve vino ogni giorno.

Del resto, la donna ha da vestirsi, pagare l’affitto,il lume, la lavandaia, precisamente come l’uomo.

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Rimane la differenza nel vitto. Ma, se la donnaesegue lavori uguali a quelli dell’uomo, consu-merà anche forze eguali – anzi ne consumerà dipiù, essendo più debole – e quindi dovrebbe nu-trirsi più, e non meno, dell’uomo.

Il suo salario, per questo riguardo, dovrebbe es-sere superiore o almeno eguale.

Le cause vere. Disunione ed ossequio

Eliminate coteste due grandi obbiezioni, che sifanno dagli economisti e dai non economisti, pergiustificare il vergognoso sfruttamento del lavorofemminile, accennerò ad altre cause, che sono –mi pare – la origine vera di cotesta grande ingiu-stizia.

Le donne non sono affatto coalizzate, non pre-sentano resistenza al capitale sfruttatore, ed èben raro che si servano dell’arme temibile dellosciopero.

La donna è ossequente alla tradizione, più ligiadell’uomo all’autorità, la routine la domina daper tutto ed è anche più ignorante. Qui in Italia ledonne analfabete, secondo l’ultimo censimento,sono il 73,51%; gli uomini analfabeti il 61,03%.13

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13 Bodio: Relazione sul censimento generale del 1881. Sedu-ta26 maggio 1884.

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È vero che nell’alfabetismo anche il sesso fortenon è molto più forte dell’altro.

Per tutte coteste virtù femminili: l’obbedienza,la coscienza meno viva della propria personalità,la rassegnazione, la pazienza -oh! di questa ledonne ne hanno fin troppa! – il capitalista prefe-risce la donna operaia, perché, strumento piùsfruttabile dell’uomo, si identifica con più facilitàcolla macchina produttrice, diventando anch’es-sa una macchina lavoratrice.

Come ho già detto, i secoli di servilismo e disottomissione della donna all’autorità maschilenon hanno lasciato sviluppare in essa il caratterevero – che consiste nella potenzialità, dell’agire edel reagire.

È un salario complementare

Finalmente mi possono dire che il salario delladonna è minore perché non serve che a comple-tare quello dell’uomo.

Questa pare sia anche l’opinione di tutti gli eco-nomisti, perché invano si cercherebbe nelle loroopere voluminose una parola, un cenno, sul sala-rio delle donne.

Si parla del salario familiare, dell’uomo che de-ve guadagnare non meno di un tanto per mante-nere moglie e figlioli. Ma della moglie – lavoratri-

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ce anch’essa – non si parla, come se fosse un fe-nomeno eccezionale, di cui non mette conto oc-cuparsi.

La donna insomma è considerata come un’ap-pendice dell’uomo, non come persona a sé, cheabbia diritto al lavoro ed a vivere lavorando.

Legge del costume

Ciò che, adunque, principalmente determina l’in-feriorità della mercede della donna, non è tantouna legge strettamente e propriamente economi-ca, quanto questo assieme di concetti e di tradi-zioni, questa che chiamerei volentieri la legge delcostume. Quella stessa legge del costume checoncorre pure, sebbene con minor forza, a deter-minare e a tenere stazionari i salari maschili.

Così, nei paesi sopratutto agricoli, certi salari,dal medio evo sino all’epoca nostra, si mantenne-ro allo stesso livello, nonostante tutte le vicissitu-dini dei progressi moderni. Tali in Toscana, peres., i famosi du’ paoli (circa una lira) che si dan-no, da tempo immemorabile, ai braccianti, permercede giornaliera, alla quale – buone o cattivevolgano le annate, infieriscano più o meno lagrandine e l’esattore – nessuno oserebbe toccare.

Or è questa legge del costume che, dacché mon-do è mondo, sanzionò il privilegio maschile; è

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questa legge inesorabile che pesa sopratutto sullainiquità della retribuzione della donna.

La insegnante

L’altra carriera la più accessibile alla donna, e chemeno le si contesta, è quella dell’insegnamento.

La donna insegna, non solo nei giardini d’in-fanzia, nelle scuole elementari, normali e profes-sionali, ma anche quelle materie che conduconoai più alti gradi della scienza, come in America.

Nello stato di New-York vi sono 19,400 istitutri-ci, di fronte a 8000 istitutori. E Mr Hippeau, in-caricato dalla Francia di una missione in Ameri-ca, ha udito donne tradurre Senofonte e spiegarela geometria.

In altri Stati americani si trova super giù lostesso. Per una meravigliosa trasformazione,quasi tutto il sistema dell’istruzione pubblica inAmerica venne a poco a poco a trovarsi in manoalla donna, che pure, per tanti secoli, fu tenutacome straniera alla scienza.

Una statistica recentissima (dell’89) ci dà inFrancia un numero d’insegnanti di circa 100,000,diviso quasi a giusta metà fra uomini e donne.

Per il resto d’Europa mi mancano dati precisi.Ma so che in Russia quasi tutta l’istruzione ele-mentare e dei ginnasi femminili è in mano alledonne.

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Anche in Italia pare che il numero delle profes-sore, maestre e maestrine, cresce ogni anno assaidi più delle scuole, con grande allarme dei geni-tori che hanno figlie fra le concorrenti.

Stipendi delle insegnanti

E come sono retribuite le donne insegnanti?S’intende bene che, ad eguali doveri, hanno mi-

nori diritti dell’uomo.Basti dire che in America, un maestro riceve

3000 dollari e una maestra 1900 – oltre un terzodi meno.

E questo è in America, dove la donna sindall’infanzia studia sulla stessa panca coi ragazzi– dove la donna, colla propria attività; si è giàconquistata un posto incontestabile dappertutto– dove le donne sono più rispettate e sono anchein numero minore degli uomini.

Figuratevi poi nella nostra vecchia Europaquanto meno viene retribuita la donna maestra!

Eppure i posti se li conquista per concorso, vi èanche preferita, e i rapporti riboccano di elogiall’indirizzo delle donne nell’insegnamento.

Qui, come per la operaia, la causa vera sta nelcostume: l’uomo ha il privilegio d’essere maschio;la donna ha la sfortuna di portare gonnelle.

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Le donne impiegate e commercianti

Le note diventerebbero ancor più lamentose sedovessimo gettar uno sguardo, anche superficia-le, sull’innumerevole esercito delle donne impie-gate nel commercio, come lavoranti nelle confe-zioni o come contabili.

La povera vita della commessa (impiegata allosmercio dei prodotti) fu già illustrata ad abbon-danza dalla letteratura e dalla statistica. Abbia-mo statistiche eloquentissime, relative a Parigied a Londra, sui guadagni derisori di coteste di-sgraziate fanciulle, che pure, oltre un lavoroesauriente, sono obbligate al pari e più dei com-messi, pagati circa il doppio di loro, a fare quelloche si dice buona figura, ossia a figurar bene nelvestiario e nella persona; poiché anche questo èuno dei requisiti del mestiere, quando pure nonsi pretende che siano veramente belle.

Immaginate come se la cavano queste infelici,il cui stipendio – detratti i giorni festivi e i giornipossibili di malattia – a mala pena raggiungerà L.600 all’anno!

Questa somma, come aggiunta al guadagno delmarito, può portare un po’ d’agio nella famiglia.Ma, per una donna sola, ragazza o vedova, chedeve bastare a se stessa, immaginate quanti sfor-zi, quante privazioni, impongono finanze così li-mitate.

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E se la donna ha ancora un figlio da mantene-re, allora abbiamo la vera miseria, il ricorso allaCongregazione di Carità, la prostituzione o soffe-renze inaudite.

Il peggio è che lo Stato sembra incoraggiare iprivati nell’ingiusto, odioso, vergognoso sfrutta-mento della donna.

Le impiegate al telegrafo, al telefono, alle ferro-vie, nelle manifatture dei tabacchi sono tutte re-golarmente retribuite meno degli uomini, mentreesercitano funzioni identiche con eguale capacitàed abilità.

Sembrerebbe quasi che anche il lavoro abbiasesso e si trasformi per il solo fatto che è unadonna che lo esegue.

Forse che la donna commerciante non affrontacome l’uomo tutti i pericoli e le difficoltà delcommercio, forse che paga meno tasse o che haminore responsabilità se fa bancarotta?

Eppure nelle Camere di Commercio essa nonha voce.

E quando in Francia, nella penultima legislatu-ra, fu agitata nelle Camere legislative la propostadi concedere alle commercianti il diritto di eleg-gere i propri giudici nei tribunali di Commercio,indovinate voi a chi si rivolse il Ministro Tirardper avere un avviso in proposito?

Niente altro che alle Camere di Commercio –cioè agli uomini che le compongono.

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Questa consultazione è veramente qualche co-sa di comico. Tanto varrebbe domandare al Papala sua opinione sul diritto dei liberi pensatori.

Non occorre aggiungere quale fu la risposta ecome la legge abbia naufragato.

Ma che importava al signor Tirard di sapere ilparere delle donne commercianti sulla conve-nienza che, quando hanno conflitti coi loro con-correnti, i loro interessi si trovino in mano di giu-dici eletti dai loro avversari?

Ciò del resto non recherà nessuna meraviglia,se si porrà mente che i governi difendono sempree dappertutto il monopolio ed il privilegio – e nonpoteva esservi eccezione pel monopolio dell’uo-mo commerciante.

La donna professionista

Tuttavia si deve confessare che questo stato di co-se comincia ad essere scosso nei paesi più incivili-ti. Il principio: ad eguale lavoro eguale retribuzione,si fa sempre più strada nell’opinione pubblica.

In Francia fu recentemente proposto l’aumentodei salari delle donne impiegate nelle poste e neitelegrafi. In Danimarca il governo stesso proponeil pareggiamento dei salari. – A Londra, a Bruxel-les, a Parigi, si fondano Borse del lavoro femmi-nile per la difesa del lavoro delle lavoratrici.

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E l’aver ormai le donne acquistato il diritto diesser elette – e l’esserlo, talune, state realmente –nei Consigli dipartimentali ed anche nei ConsigliSuperiori della pubblica istruzione, come di re-cente in Francia ed in Isvezia e Norvegia, mentreè un segno dei tempi, è pure una garanzia che an-che al lavoro delle insegnanti presto sarà resa unpo’ di giustizia.

Lo stesso non può dirsi, finora, per la donnanelle professioni così dette liberali, cioè per ladonna medico, avvocato, dottore in scienze o let-terata!

Qui l’uomo borghese è doppiamente monopoli-sta – o come sesso, e come appartenente alla clas-se dominante – e si vale di tutti i mezzi per demo-lire la sua concorrente.

Esso mette in giuoco tanti artifizi, tanti cavilli,si appella alle differenze intellettuali (a scapito,s’intende, della donna), alla frivolezza e vanità,che non le permettono di applicarsi con costanzaed assiduità a lavori intellettuali seri: ma soprat-tutto grida l’allarme perché così si distrugge la fa-miglia, si perdono la femminilità e la grazia. In-somma chi più ne ha, più ne metta.

Cominciando dai pastori e dai preti, per finirecon Bischoff, Waldayer, Charcot ed altri scienzia-ti, tutti si danno la mano per metter un argineall’invasione della donna borghese nel campo in-tellettuale della lotta per l’esistenza.

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Obbiezioni

Vediamo un po’ che cosa vi ha di serio in tuttequeste obbiezioni.

Quanto alle differenze intellettuali, quale dei fi-siologi e psicologi moderni potrebbe sul serio ba-sarsi sui dati del volume del cervello? Chi non sache il volume del cervello è così vario anche fragli uomini di grande ingegno! Il Cuvier, per esem-pio, ebbe un cervello di 1861 gr., ed Haussmanninvece di non oltre 1226, preciso come la mediadel volume cerebrale della donna.

Chi non sa che piccoli animali, come le api e leformiche, con una goccia di massa cerebrale, sonointellettualmente superiori alle capre ed alle gio-venche? Che si sa, p. es., sulla struttura finissimadel cervello? E, se anche il microscopio ci avessefornito le minimissime differenze istologiche fra ilcervello dell’uomo e quello della donna, rimarreb-bero ancora tanti coefficienti extra-microscopici,come la composizione molecolare, il movimentomolecolare dei tessuti nervosi, il chimismo cerebra-le, ecc., che non permetterebbero a un vero scien-ziato di pronunciare in buona fede la condanna delsesso debole per la sua debolezza intellettuale.

Ma le donne, pure studiando, che cosa hannoesse scoperto? Che invenzioni hanno aggiunto alcapitale scientifico dell’umanità? – Con questedomande credono demolirci od avvilirci.

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Ma come pretendere che le donne, le quali nonstudiano che da poco tempo, diventino addirittu-ra tanti Newton o tanti Kopernico? Anzi, c’è dafar le meraviglie di quello che esse, in così brevetempo, hanno fatto.

E poi il cervello, come ogni altro organo, è attoallo sviluppo. Concedo che oggidì il cervello me-dio della donna possa essere inferiore a quellodell’uomo, poiché è l’organo che fin’ora in essaha meno funzionato. Abbiamo anche visto che ledonne, pur avendo una muscolatura più sottile edebole di quella dell’uomo, si sono presentate inisquadre di pompiere all’esposizione di Parigi, enon cedevano agli uomini né in forza, né in de-strezza. Certo i loro muscoli si saranno sviluppaticome quelli dell’uomo.

Ed infatti, nei paesi ove le donne non cedonogran fatto nello sviluppo intellettuale agli uomi-ni, come in Inghilterra, in Francia e in Isvezia,Büchner trovò differenze minime fra il volumedel cervello dei due sessi. Sopratutto la differenzaè minima in Francia.

Non sarà già che gli uomini francesi si sianoimbecilliti; ciò contraddirebbe del tutto alla sto-ria moderna, che ci presenta in quest’ultimo se-colo la Francia come faro della civiltà moderna.

Del resto, questa è ormai una questione cosìesaurita e poco seria, che non voglio tediarvi piùa lungo con tutto ciò che in vario senso se ne è

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detto; citerò solo il Topinaud, discepolo di Broca,fondatore della scuola antropologica, che siesprime così:

“…non v’ha differenza di sesso quanto allo svi-luppo cerebrale, e si potrebbe persino sostenere,tenuto conto di quello che l’anatomia comparatadà come il vero progresso nella morfologiadell’encefalo, che nell’evoluzione cerebrale ladonna è più avanzata dell’uomo”.14

Le altre obbiezioni meritano ancora meno diessere confutate.

La frivolezza, la vanità femminile – ma non tro-vano esse un riscontro nel sesso maschile? Io nonvedo davvero gran differenza fra il desiderio fem-minile d’ornarsi d’una piuma, d’un nastro o diqualche fronzolo, e la smania di tanti uomini bor-ghesi di ottener una croce, una commenda o qual-che altra chincaglieria di decorazione artificiale!

Si perde la grazia, la femminilità. – Se questedue parole dissimulano l’ignoranza, debbo con-venire che la grazia infatti si perde. Ma non soperché una bella e gentile signorina debba perde-re in bellezza, se nei suoi occhi brilla anche unadelle più grandi bellezze, qual’è il pensiero?

Ma la donna studiosa è così pedante, piena dipretese e di presunzione, diventa insomma basbleu – dicono gli uomini.

14 Revue d’Anthropologie: 15 juillet 1882. pag. 409.

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Ammetto che qualche volta, sopratutto fra leprime donne che studiano, s’incontrano delle pe-danti, appunto perché lo studio non è ancora dif-fuso fra le donne. Là dove la donna borghese ègià da gran tempo pari intellettualmente all’uo-mo borghese, l’istruzione superiore non la fainorgoglire più del saper leggere e scrivere. Le ra-gazze americane sono le più deliziose di questomondo e le ragazze russe conservano tutta la lorosemplicità, non so se malgrado lo studio o mercélo studio.

Del resto non voglio indugiarmi più oltre sovraobiezioni che considero poco serie; e, quanto alladistruzione della famiglia, mi riserbo di parlarneper ultimo.

E poi, come già dissi, non faccio questione disuperiorità od inferiorità della donna; le polemi-che su questo terreno furono già fatte e con tuttoil possibile brio, da molte donne valentissime.Che cosa si potrebbe dire di più e più brillante-mente di ciò che scrisse la Jenny d’Héricourt nellasua Femme affranchie, rispondendo a Proudhon,accanito accusatore del sesso femminile?

Tutto muta col tempo; il repubblicano ed il mo-narchico del giorno d’oggi non sono più quelli delquarantotto; le argomentazioni in favore delladonna hanno cambiato anch’esse natura.

La polemica su questo terreno ha fatto il suotempo. Se anche si citasse un numero infinito di

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donne che si distinsero e sui troni e nelle scienzee nella letteratura, non si caverebbe un ragno dalbuco. La Sommerwill, la George Sand, la GeorgeElliot, le Elisabette regine, sono eccezioni, mi di-ranno: ed anch’io amo meglio parlare della granmassa inosservata delle donne, anziché di quellea cui nessuno nega di aver mostrato un vero inge-gno superiore.

Non voglio neppure fare confronti fra i due ses-si, poiché non posso ammettere che l’uomo sial’essere ideale della creazione e debba servire daunità di paragone. Il fatto è che la donna non è nésuperiore, né inferiore; è quel che è; e, tale qual’è,con tutte le sue differenze dall’altro sesso, nonv’ha ragione ch’essa si trovi in condizioni inferiori.

Ci sono forse leggi eccezionali per gli uominid’ingegno, gli uomini mediocri e gli uomini creti-ni? Così dovrebbe essere quanto alla donna difronte all’uomo, sia essa più o meno colta, più omeno intelligente, più o meno al di qua o al di làdella media maschile.

La donna-medico

La vita stessa ci dà la prova che tutte le obbiezio-ni dell’uomo borghese, per chiudere alla donna lavia delle professioni liberali, non valgono ad im-pedire il suo cammino.

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In America vi sono già 3000 medichesse, lequali lavorano negli ospedali, nelle Università, di-rigono case di salute e cliniche. Nello stato diNew York si fa adesso un’agitazione, perché unalegge particolare renda obbligatoria la nomina dimedichesse a direttrici dei manicomi femminili.Su 38 Stati, 33 sono favorevoli e soli 5 contrari.Nei manicomi femminili si hanno già in serviziopiù di 20 medichesse.

In Russia esercitano più di 600 medichesse. So-no medici negli ospedali, assistenti nei laboratoriscientifici, medici condotti, hanno vastissimapratica privata fra le donne ed i bambini, presie-dono società di medici come a Mosca, e gli uomi-ni medici, dopo una guerra accanita fatta alle lo-ro concorrenti, hanno finito per accettare il fattocompiuto; poiché si possono schiacciare una,due, tre pioniere, ma non le si schiacciano piùquando diventano centinaia. Il numero si fa for-za, per lottare con esso più non bastano sempliciartifizi maligni.

In Inghilterra, dove solo 10 anni fa le primegiovani, che coraggiosamente si accinsero a fre-quentare la scuola di medicina, a Edimburgovennero cacciate da quegli studenti, ora la donnamedico, in così breve tempo, ha conquistata lastima generale. E il numero delle medichesse vigiunge a 73.

Nello scorso anno fu aperto a Londra un ospe-

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dale di donne, diretto da sole donne; le mediches-se hanno trionfato. Ed ora, in tutte le principalicittà d’Inghilterra, Scozia ed Irlanda, esistonospeciali scuole di medicina destinate esclusiva-mente alle giovinette.

Alla Facoltà di Medicina di Boston sono attual-mente iscritti ben 478 studenti in medicina, deiquali più della metà sono donne.

A Parigi le medichesse sono già tanto numero-se che dovettero ammetterle nei concorsi ai postid’assistenza pubblica. E, per quanto abbiano fat-to i medici-uomini per impedire alle medichessel’internato negli ospedali, eppure le signorineKlumph ed Ewards, avendo esse vinto nel con-corso di un anno fa, furono finalmente ammessecome interne – cioè come medici aiuti che posso-no fare carriera ospedaliera.

A Parigi nel 1890, vennero nominate negliospedali 11 donne, come assistenti-medici ester-ni, e neppur una come interna, perché i giudicidei concorrenti, sempre uomini, per quanto ladonna possa avere meriti eguali, preferisconol’uomo-medico.

All’Università di Ginevra sono iscritte quasi 100studentesse e l’anno scorso il premio scientificodi Davy fu conferito alla signorina Stefanovskaja,studente in scienze naturali.

Vedendo che la donna in certi paesi, come inAmerica ed in Russia, è riuscita così presto a te-

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ner testa. agli uomini-medici, sembrerebbe po-tersene dedurre, che la via dell’esercizio medicosia stata per la donna facile e piana.

Eppure, quali e quanti furono gli ostacoli oppo-sti alla donna-medico dai suoi colleghi, ce lo pos-sono narrare le prime medichesse. Quanti stenti,quante lotte, dirò senza timore del ridicolo, an-che quante lagrime furono procurate alle donne,che abbracciarono una carriera così utile alla so-cietà!

A Edimburgo – l’ho già detto – gli studenti cac-ciarono le studentesse. A Londra i pastori predi-carono dai pulpiti, che colla donna-medico co-mincerà il regno di Satana sulla terra. In Russiala stessa Imperatrice attuale non volle che la don-na diventasse medichessa. I consigli ospedalieriovunque chiudevano loro le porte. Il pubbliconon si fidava della capacità femminile.

Pretesti per scartare la donna-medico da tuttigli uffici sanitari se ne inventarono di tutti i colo-ri, secondo la persona, la località ed il tempo.Preciso come qui a Milano, quando tre anni fa sipresentò una donna-medico al nostro OspedaleMaggiore. Essa fu subito colpita dall’ostracismo.Per quale ragione? Pare per la tutela del buon co-stume.

Insomma le prime medichesse hanno avutoqualche cosa di eroico nella lotta impari coi pre-giudizi e sopratutto coi loro colleghi e, se hanno

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vinto, bisogna pur riconoscere (e non mi si so-spetterà certo di voler adulare il mio sesso dopotutto ciò che dissi prima) che per attività ed ener-gia il sesso debole si è mostrato più forte del ses-so forte. La donna oramai si è meritata il brevettodi capacità.

La donna-avvocato

Chi vince ha ragione; e mi si dirà, che per la don-na-medico passi; ma la donna-avvocato, questafa arricciare il naso in modo sdegnoso o canzo-natorio.

I Consigli dell’ordine degli avvocati, le Corti diCassazione impediranno alle donne l’eserciziodell’avvocatura finché sono poche; quando in Eu-ropa diventeranno legione, come le medichesse,allora non si oserà più negare alla donna un dirit-to conquistato, avendo anch’essa percorso studiregolari ed ottenuto il suo diploma, come ogniavvocato dell’altro sesso.

La Poet a Torino, la Popelin a Bruxelles si senti-rono respinte coi pretesti derisori della gravidan-za, dell’allattamento, del berretto che non si adat-ta all’acconciatura femminile, della toga che di-sconviene alla tournure (e che cosa direbbero orache questa è passata di moda?!), pretesti che nonriescono neppure a dissimulare la loro vacuità e

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tradiscono troppo l’artificio e lo sforzo impiegatialla difesa del monopolio della casta maschile.

La letterata

E le donne letterate?Queste, per affrontare il monopolio dell’uomo,

è almeno necessario che si camuffino il più possi-bile da maschio e facciano passare la loro mer-canzia, anche se eccellente, coll’etichetta di unopseudonimo maschile.

La madre

Ma ora mi si dirà: – E la madre? Voi avete tantoparlato della donna operaia, della donna inse-gnante, commerciante, professionista, e avete di-menticato la donna madre.

No, non l’ho dimenticata – anzi l’ho lasciata perultima appunto perché la più importante.

Imperocché, se il lavoro della donna riguardaspecialmente l’interesse dell’individuo, la mater-nità abbraccia l’interesse della specie umana,l’interesse e l’avvenire dell’umanità.

Senonché è da osservare che, per svariate ca-gioni fisiologiche e sociali, a moltissime donne lamaternità è negata per tutta la vita; altre, pur go-

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dendo(o soffrendo) la maternità fisica, non sannoesser educatrici, perché anche questa, colla ci-viltà moderna, è diventata una vocazione specia-le, come quella che ci porta ad un’arte o profes-sione qualsiasi. D’altronde il periodo attivo dellamaternità e dell’educazione de’ figli non è che unbreve periodo della vita. Anche senza limitarci al-la società borghese, dove il malthusianismo prati-co limita quasi sempre a due o tre al più il nume-ro dei figli, è certo che in generale, a quarant’annitutt’al più – quando cioè per l’uomo ed anche perla donna professionista la vita, la carriera sononel loro fiore e tuttora suscettibili di grande pro-gresso – la donna esclusivamente madre è mortaalla sua funzione, incrocia le braccia sul seno, e, acosì dire, sopravvive a se stessa, inutile e soventedi peso a sé ed agli altri. Quante ne conobbi e nondelle peggiori, anzi di quelle che meno trovanosollievo nel pettegolezzo frivolo e nell’ozio, chegiunte a quell’età considerano la vita come unagrande delusione, piangono in segreto del vuotoche si fa loro dentro e d’attorno ed invocano lamorte, la grande liberatrice.

Certo tutto ciò subirà profonde modificazioni enon ancora precisabili, quando l’evoluzione dellafamiglia, che fa rapidamente il suo cammino,dissolvendo gli antichi rapporti domestici basatisul dominio maschile e sul tipo dei focolari isola-ti (come ne dà indizio l’aumento continuo dei di-

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vorzi, delle separazioni, delle unioni libere, ecc.),avrà preparato una forma di famiglia più elevata,fondata sulla spontaneità e sull’eguaglianza. Èben possibile che allora una gran parte della tute-la della prole venga devoluta alla collettività e sistabilisca, anche fra maternità ed educazione,una separazione più spiccata, in base al principiodella divisione del lavoro e della separazione del-le funzioni, che è il carattere dell’epoca moderna,ed è, al tempo stesso, causa ed effetto di ogni pro-gresso civile.

Ma, per non precorrere i tempi, voglio limitar-mi a considerare la condizione della donna ma-dre nell’attuale periodo di transizione.

La donna maritata, credendo di aver raggiuntocol matrimonio lo scopo della sua vita, di essersiconquistata una posizione sociale, è l’essere il piùdegno di commiserazione. Essa, col suo nome,perde la sua personalità; la sua vita rimane assor-bita del tutto dal marito, dal suo associato nellalotta per l’esistenza. Essa non è padrona dei suoiaveri, come non è padrona dei suoi figli.

L’inferiorità della posizione della donna in fa-miglia può venir compensata dall’affetto edall’armonia psichica di due esseri uniti con vin-colo indissolubile e, per fortuna, queste unioninon sono rare; ma nella maggior parte dei casicol matrimonio comincia la via crucis della suaesistenza di lunghe e umilianti sofferenze.

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Come ho già detto, il matrimonio, nella granmaggioranza dei casi, è una speculazione; gli uo-mini, in alto, sposano la dote, in basso, prendonomoglie per avere una serva. Ben pochi pensanoche verranno dei figli o ci pensano come ad unasventura, e non si preparano affatto ai doveri edai carichi che impone la vera educazione dei figli.

E quando i figli ci sono, che cosa avviene?Le madri non sono che madri a metà: nell’alta

società si prende la balia in casa, perché la si-gnora ha da conservare la sua bellezza, deve faree ricevere visite, frequentare teatri e soirées – ilbambino è un incomodo, che si manda all’ango-lo più remoto dell’appartamento. Nella borghe-sia che lavora, la moglie aiuta il marito nel lavo-ro ed il neonato si manda a balia, in campagna.Nel proletariato, le condizioni misere della vitaobbligano, anche là, la madre a mandar lontanoil bambino, perché la donna deve portar anch’es-sa la sua quota nel misero ménage della loro esi-stenza.

Oh! Sì! La maternità sarebbe uno dei compitipiù elevati della donna nella vita sociale, dei piùsoddisfacenti le sue tendenze psichiche e dei piùconfacenti allo sviluppo del suo organismo.

Ma l’educazione e l’istruzione che si danno ge-neralmente alle donne sono forse dirette a prepa-rarla ad adempiere il più grande dei suoi doveri?

La ragazza, in tutte le classi della Società, igno-

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ra tutto, ed è guidata dall’ignoranza e dai pregiu-dizi delle antenate e delle comari.

Che cosa sanno le ragazze del come nasce, delcome cresce e si sviluppa un bambino? Quali no-zioni di fisiologia e d’igiene ricevono esse peravere un concetto qualunque del come un bambi-no si alleva fisicamente e moralmente sano?

La madre dunque, per l’ignoranza in cui si tie-ne la donna, perde ben presto ogni autorità mo-rale sul figlio. Un ragazzo di la ginnasiale comin-cia a saperne più della sua madre e, andandoavanti, che cosa ne nasce?

L’armonia morale, l’unione intellettuale dellamadre coi figli va sempre scemando – la madre èrispettata, ma il figlio è un ramo che si staccadall’albero, e la madre, dopo una vita triste, trava-gliata da sofferenze e da affanni, non ha con sé eper sé neppure l’ intima amicizia dei suoi figlioli.

Se la donna adempisse i suoi doveri di madre,formando l’intelligenza ed il cuore dei figli, alloraanche la sua inferiorità in famiglia, di fronte al pa-dre, sarebbe di gran lunga scemata, anzi forse deltutto scomparsa, poiché anche il marito – padredei figli – le porterebbe quella stima e quel rispet-to, che ora sono così rari. Il marito vede nella mo-glie una persona ch’egli mantiene, una sempliceménagère nella borghesia, oggetto di lusso nell’altasocietà e donna di servizio nelle classi povere.

La missione della moglie e della madre è così

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poco apprezzata come un lavoro di gran fatica eresponsabilità, che la donna dura tutte le fatichedel mondo, quando all’ultimo del mese deve otte-nere dal marito il tanto per le spese giornaliere,per l’andamento della casa. Non dico poi quandosi tratta delle sue spese personali. Il conto dellasarta è in molte famiglie un casus belli fra maritoe moglie, perché il marito non vuol riconoscerleneppure il diritto di vestirsi, per arrabbiarsi, poi,se la moglie non fa bella figura.

La donna che, essendo madre e direttrice dellacasa, dovrebbe aver una delle più grate professio-ni, finisce per essere considerata dal marito comela persona la più oziosa di questo mondo, né le siriconosce il diritto di dividere, con eguale auto-rità, i mezzi di sussistenza da lui procurati fuori dicasa. Quasi, quasi, la donna di servizio, che per undato lavoro riceve il suo mensile fisso, si trova fi-nanziariamente in condizioni molto migliori dellamoglie, la quale non riceve quasi mai un compen-so materiale spontaneo dalla sua forte metà.

La maternità e l’amministrazione della casa sa-rebbero una professione assai elevata se la donnavi fosse diversamente preparata e se coteste fun-zioni venissero considerate dagli uomini-mariticome una professione, se non superiore, certoeguale a quella del far il medico, l’avvocato, lacommerciante, la sarta e così via; e se fosse rite-nuto che la donna, essendo madre, può ben gua-

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dagnarsi con questo solo stato la sua indipenden-za materiale, ricevendo dal marito un compensoequivalente al suo lavoro, senza dovere umiliarsiper una spesa di più o di meno.

Speranze e voti

E qui, finalmente, ho terminato.E la morale della favola? – È breve.Mi auguro, per il trionfo della causa del mio

sesso, solo un po’ meno d’intolleranza dagli uo-mini ed un po’ più di solidarietà fra le donne.

Allora forse si avvererà la profezia del più granpoeta del nostro secolo – Victor Hugo – che pre-sagì alla donna quello che Gladstone presagìall’operaio: che cioè “il secolo XIX sarebbe ilsecolo della donna”.

PS. – Nel licenziare, a distanza di ormai quasi 4anni, la ristampa di questa conferenza – che fu det-ta il 27 aprile 1890 – null’altro avrei da notare se-nonché le cifre relative all’invasione della donnanei mestieri, nelle arti e nelle professioni sono tutteaumentate considerevolmente; qualcuna dovrebbeessere a dirittura raddoppiata.

Milano, gennaio 1894 A.K.

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Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli è uno deimaggiori centri di documentazione e di ricercaattivi in Europa nell’ambito della ricerca storico-sociale contemporanea.

Costituita da Giangiacomo Feltrinelli allo scopodi raccogliere documentazione sul movimentooperaio e socialista a livello internazionale, la bi-blioteca si è accresciuta con ingenti acquisti difondi archivistici e librari sul mercato antiquario.

Dotata di una ricca biblioteca di collezioni diperiodici e di monografie, di rarità antiquarie edi manoscritti, di fondi archivistici e manoscritti,la Fondazione Feltrinelli è un centro di primariaimportanza per le scienze sociali, le disciplinestoriche, economiche, politiche e sociali e per lostudio delle società moderne.

Orari della sala di lettura Lunedi: chiusoMartedi-Giovedi: 10.30 – 17.30 (orario continuato)Venerdi: 09.00 – 13.00Sabato-Domenica: chiuso

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Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, via GianDomenico Romagnosi 3, 20121 MilanoTel.: 02-874175 – 02-8693911 Fax: +39-2-86461855e-mail: [email protected]/fondazione

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Il testo ritrovato

Dal ricchissimo archivio della Fondazione, la ri-proposta di testi ed estratti da volumi, soprattuttoprime edizioni o edizioni rare, assolutamente in-trovabili sul mercato o impossibili da sfogliare per-ché troppo fragili, scaricabili in formato e-book.

Lista titoli

AA.VV., No alla guerraJean D’Alembert, Essai sur la société de gens de

lettres et des grandsFrançois Noël Bebeuf, Le cri du peuple français

contre ses oppresseursVincenzo Dandolo, L’albero della libertàEdmondo De Amicis, Primo MaggioAnna Kuliscioff, Il monopolio dell’uomoKarl Marx, Enquête ouvrièreCamillo Prampolini, La montagna, ossia la strada

dell’emancipazioneMaximilien Robespierre, Rapport des idées reli-

gieuses et morales avec les principles républi-cains et sur les fête nationales

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Angelo Tasca, Interviste sul fascismoFilippo Turati, Le otto ore di lavoroFilippo Turati, Le problème du fascisme