Andrea Flumini - Iconicità, non arbitrarietà: simbolismo fonetico ed evoluzione del linguaggio...

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  Le Scienze C ognitive in Italia 2011 (A ISC’11) Iconicità, non arbitrarietà: simbolismo fonetico ed evoluzione del linguaggio verbale Andrea Flumini University of Bologna, Department of Psychology, Viale Berti Pichat 5, 40127 Bologna, Italy (e-mail: [email protected]).  Abstract Le scienze del linguaggio contemporanee hanno accettato il convenzionalismo. Una prospettiva alternativa suggerisce che la  forma fisica delle parole può intrattenere una relazione non arbitraria con il significato indicato, secondo un processo detto  simbolismo  fonetico. La conferma empirica che lo sviluppo linguistico è supportato da processi fonetico- simbolici offre spunti per possibili analogie con la filogenesi del linguaggio verbale: è possibile che un sistema di suoni iconici sia divenuto sempre più arbitrario attraverso crescenti convenzioni. Inoltre se consideriamo le moderne lingue dei segni è evidente il contenuto iconico: i gesti vanno a riprodurre i più svariati aspetti di ciò cui si riferiscono. È quindi plausibile che un protolinguaggio di gesti iconici accoppiati a brevi parole abbia preceduto e favorito l’emergenza della verbalizzazione come mezzo preferenziale di comunicazione.   Index Terms — linguaggio, convenzionalità, iconicità, simbolismo fonetico, parole, gesti I. IL LINGUAGGIO VERBALE: NATURA O CULTURA? NELLE SUE INSTITUTIONES (VI sec. d.c.) Giustiniano affermava che nomina sunt consequentia rerum. Il dibattito filosifico sull’origine del linguaggio precedeva però di almeno qualche secolo il detto latino, perché già nel Cratilo d i Platone (IV sec. a.c.) - considerato da molti come il primo testo di linguistica della cultura occidentale - Socrate affermava l’esistenza di un “legame di somiglianza” tra la struttura delle parole e di ciò che denotano, proponendo una visione naturalistica del linguaggio in opposizione a quella convenzionalista difesa da Ermogene. A tutt’oggi il principio dell’arbitrarietà del linguaggio è largamente accettato tra linguisti, filosofi, psicologi del linguaggio etc. (Kovic et al., 2010; Nielsen & Rendall, 2011; Nygaard et al., 2009a, b), per lo più acriticamente. Le scienze del linguaggio infatti, sulla scia tracciata dal Corso di linguistica generale (de Saussure, 1916), hanno accettato la prospettiva secondo cui quando assegniamo a dei referenti (oggetti esterni, eventi, relazioni etc.) certe etichette verbali ogni attribuzione di un dato segno (sonoro, visivo o tattile che sia) si fonda esclusivamente su convenzioni socio- culturali. È però evidente che una visione di questo tipo, che nega il rapporto intrinseco di nomi ed oggetti, priva le parole di qualsiasi potere espressivo naturale, cercando semplicemente di sfuggire il fatto incontestabile che la convenzionalità del lessico non può apparire che ad uno stadio tardivo dell’evoluzione di una lingua, visto che ogni tipo di convenzione per potersi stabilire richiede delle forme preliminari di comunicazione (Merleau-Ponty, 1945). Per de Saussure l’arbitrarietà risultava tanto irrinunciabile nella definizione del linguaggio umano da fargli ridurre a forme verbali convenzionalizzate anche le onomatopee, termini che con i propri referenti intrattengono un rapporto iconico trasparente, da intendersi come un mapping congruente tra certi aspetti del gesto/parola e certi aspetti di ciò che viene denotato (Corballis, 2009). Nella convenzionalizzazione dobbiamo piuttosto rintracciare uno strumento indispensabile alla massimizzazione dell’efficienza del sistema espressivo linguistico (Burling, 1999): è infatti grazie ad essa se i segni col tempo tendono a diventare più compatti e se le parole si abbreviano con l’aumentare della loro frequenza (Corballis, 2009; Zipf, 1949). Ricompresa quindi, in una prospettiva fenomenologica, la convenzionalità linguistica come il risultato di un processo ricorsivo intersoggettivo che chiaramente è tutt’ora in corso, sono proprio le parole onomatopeiche o mimetiche che ci permettono di intuire che la forma fisica delle parole - o di costrutti linguistici di ordine superiore e inferiore - può intrattenere una relazione non arbitraria con il significato denotato o con il referente indicato, secondo un processo che è stato definito simbolismo  fonetico (Dogana, 1988; Hinton et al., 1994). II. IL SIMBOLISMO FONETICO E LE ORIGINI DEL LINGUAGGIO VERBALE  Già nella prima metà del secolo scorso Edward Sapir (1929) suggeriva che le etichette verbali sono in grado di catturare gli aspetti sensibili di ciò cui si riferiscono, presentando un suo esperimento in cui, dovendo assegnare i nomi inventati “mil” e “mal” ad un oggetto piccolo e ad uno grande, la quasi totalità dei partecipanti - madrelingua inglesi - accoppiava “mal” al grande e “mil” al piccolo, correlando quindi intuitivamente il suono del nome e la  taglia dell’oggetto. Nello stesso periodo uno degli studi gestaltici di Wolfgang Köhler (1929) svelava anche l’esistenza di solide corrispondenze tra suono delle parole e forma visiva  degli oggetti: i soggetti sperimentali, madrelingua spagnoli, associavano parole inventate con vocali arrotondate (“maluma”) ad oggetti inventati tondeggianti, e parole inventate con vocali non-arrotondate (“takete”) ad oggetti inventati spigolosi. Infine, l’inaspettata abilità cross-culturale di indovinare

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  • Le Scienze Cognitive in Italia 2011 (AISC11)

    Iconicit, non arbitrariet: simbolismo fonetico ed evoluzione del linguaggio verbale

    Andrea Flumini

    University of Bologna, Department of Psychology, Viale Berti Pichat 5, 40127 Bologna, Italy (e-mail: [email protected]).

    Abstract Le scienze del linguaggio contemporanee hanno accettato il convenzionalismo. Una prospettiva alternativa suggerisce che la forma fisica delle parole pu intrattenere una relazione non arbitraria con il significato indicato, secondo un processo detto simbolismo fonetico. La conferma empirica che lo sviluppo linguistico supportato da processi fonetico-simbolici offre spunti per possibili analogie con la filogenesi del linguaggio verbale: possibile che un sistema di suoni iconici sia divenuto sempre pi arbitrario attraverso crescenti convenzioni. Inoltre se consideriamo le moderne lingue dei segni evidente il contenuto iconico: i gesti vanno a riprodurre i pi svariati aspetti di ci cui si riferiscono. quindi plausibile che un protolinguaggio di gesti iconici accoppiati a brevi parole abbia preceduto e favorito lemergenza della verbalizzazione come mezzo preferenziale di comunicazione.

    Index Terms linguaggio, convenzionalit, iconicit, simbolismo fonetico, parole, gesti

    I. IL LINGUAGGIO VERBALE: NATURA O CULTURA? NELLE SUE INSTITUTIONES (VI sec. d.c.) Giustiniano affermava che nomina sunt consequentia rerum. Il dibattito filosifico sullorigine del linguaggio precedeva per di almeno qualche secolo il detto latino, perch gi nel Cratilo di Platone (IV sec. a.c.) - considerato da molti come il primo testo di linguistica della cultura occidentale - Socrate affermava lesistenza di un legame di somiglianza tra la struttura delle parole e di ci che denotano, proponendo una visione naturalistica del linguaggio in opposizione a quella convenzionalista difesa da Ermogene. A tuttoggi il principio dellarbitrariet del linguaggio largamente accettato tra linguisti, filosofi, psicologi del linguaggio etc. (Kovic et al., 2010; Nielsen & Rendall, 2011; Nygaard et al., 2009a, b), per lo pi acriticamente. Le scienze del linguaggio infatti, sulla scia tracciata dal Corso di linguistica generale (de Saussure, 1916), hanno accettato la prospettiva secondo cui quando assegniamo a dei referenti (oggetti esterni, eventi, relazioni etc.) certe etichette verbali ogni attribuzione di un dato segno (sonoro, visivo o tattile che sia) si fonda esclusivamente su convenzioni socio-culturali. per evidente che una visione di questo tipo, che nega il rapporto intrinseco di nomi ed oggetti, priva le parole di qualsiasi potere espressivo naturale, cercando semplicemente di sfuggire il fatto incontestabile che la convenzionalit del lessico non pu apparire che ad uno stadio tardivo dellevoluzione di una lingua, visto che ogni tipo di convenzione per potersi stabilire richiede delle forme preliminari di comunicazione (Merleau-Ponty, 1945). Per de Saussure larbitrariet risultava tanto irrinunciabile nella definizione del linguaggio umano da fargli ridurre a forme verbali convenzionalizzate anche le onomatopee, termini che con i propri referenti intrattengono un rapporto iconico trasparente, da intendersi come un mapping congruente tra certi aspetti del gesto/parola e certi aspetti di ci che viene denotato (Corballis, 2009). Nella convenzionalizzazione dobbiamo piuttosto rintracciare uno strumento indispensabile alla massimizzazione dellefficienza del sistema espressivo linguistico (Burling, 1999): infatti grazie ad essa se i segni col tempo tendono a diventare pi compatti e se le parole si abbreviano con laumentare della loro frequenza (Corballis, 2009; Zipf, 1949). Ricompresa quindi, in una prospettiva fenomenologica, la convenzionalit linguistica come il risultato di un processo ricorsivo intersoggettivo che chiaramente tuttora in corso, sono proprio le parole onomatopeiche o mimetiche che ci permettono di intuire che la forma fisica delle parole - o di costrutti linguistici di ordine superiore e inferiore - pu intrattenere una relazione non arbitraria con il significato denotato o con il referente indicato, secondo un processo che stato definito simbolismo fonetico (Dogana, 1988; Hinton et al., 1994).

    II. IL SIMBOLISMO FONETICO E LE ORIGINI DEL LINGUAGGIO VERBALE Gi nella prima met del secolo scorso Edward Sapir (1929) suggeriva che le etichette verbali sono in grado di catturare gli aspetti sensibili di ci cui si riferiscono, presentando un suo esperimento in cui, dovendo assegnare i nomi inventati mil e mal ad un oggetto piccolo e ad uno grande, la quasi totalit dei partecipanti - madrelingua inglesi - accoppiava mal al grande e mil al piccolo, correlando quindi intuitivamente il suono del nome e la taglia delloggetto. Nello stesso periodo uno degli studi gestaltici di Wolfgang Khler (1929) svelava anche lesistenza di solide corrispondenze tra suono delle parole e forma visiva degli oggetti: i soggetti sperimentali, madrelingua spagnoli, associavano parole inventate con vocali arrotondate (maluma) ad oggetti inventati tondeggianti, e parole inventate con vocali non-arrotondate (takete) ad oggetti inventati spigolosi. Infine, linaspettata abilit cross-culturale di indovinare

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    il senso di parole straniere, registrata con partecipanti di diverse lingue (ad es. Brown, Black & Horowitz, 1955; Gebels, 1969; Kunihira, 1971), ha spinto a parlare esplicitamente di unevoluzione del linguaggio verbale a partire da connessioni imitative tra suoni e significati (Kovic et al., 2010). Negli ultimi dieci anni parecchi studi osservazionali e sperimentali condotti con parlanti di differenti idiomi (Akita et al., 2008; Kovic et al., 2010; Iwasaki et al., 2007; Nielsen & Rendall, 2011; Nygaard et al., 2009a, b; Parault, 2006; Ramachandran & Hubbard, 2001; Spector & Maurer, 2008; Westbury, 2004) hanno prodotto risultati che supportano queste intuizioni, in particolare per quel che riguarda le corrispondenze suono-stato/maniera (di cui un esempio molto studiato sono le parole giapponesi giseigo e gitaigo, che sono mimetiche rispettivamente per modi di ridere e di camminare) e le corrispondenze suono-forma, mostrando anche una certa continuit ontogenetica del simbolismo fonetico: nei compiti di denominazione effettuati finora si sono infatti registrati tali effetti anche con bambini da 1 a 4 anni (Arata et al., 2010; Asano et al., 2011; Imai et al., 2008; Maurer et al., 2006; Yoshida & Smith, 2003). La conferma che durante lo sviluppo lapprendimento linguistico supportato da processi fonetico-simbolici (Berko-Gleason, 2005; Imai et al., 2008; Parault, 2006; Parault & Parkinson, 2008; Parault & Schwanenflugel, 2006; Yoshida & Smith, 2006) offre spunti per possibili analogie con la filogenesi del linguaggio verbale: come i primi stadi di acquisizione nello sviluppo sono modulati da tali relazioni, cos potrebbero esserlo state anche le fasi originarie di un sistema linguistico parlato. infatti plausibile che un sistema di suoni iconici possa esser divenuto sempre pi arbitrario, fino ai livelli oggi osservabili, attraverso le crescenti convenzioni lessicali, grammaticali e sintattiche. Evidenze recenti relative sia alla produzione che alla comprensione del linguaggio verbale ci suggeriscono che il simbolismo fonetico agisce a diversi livelli del discorso parlato: siamo di fronte ad un processo linguistico-cognitivo che va ben oltre limitativit dellonomatopea, in cui si crea uneco attraverso la fonoarticolatozione di suoni naturali di oggetti od eventi. Se a sostegno di questa idea ci sono di certo le ricerche che hanno mostrato con metodi impliciti la facilitazione fonetico-simbolica allaccesso lessicale (Westbury, 2004), come quelle che hanno rinvenuto questi effetti anche nella prosodia (Nygaard, 2009a; Shintel, Nusbaum & Okrent, 2006), sono altri gli studi che ci stanno mostrando quanto tali modulazioni possano agire a livelli impliciti e ben pi inattesi: ce lo conferma lanalisi statistica recentemente condotta da Farmer, Christiansen & Monaghan (2006), dai cui risultati sembrerebbe evidente che lInglese moderno presenti estese propriet fonetico-simboliche, in particolare una relazione probabilistica tra suono della parola e categoria lessicale dappartenenza (cfr. anche Kelly, 1992). Questi studi suggeriscono che levolversi del lessico e delle grammatiche ha generato non la scomparsa, ma pi probabilmente lestensione delle originarie capacit predittive fonetico-simboliche che erano proprie alle prime parole, e che quindi di l hanno impregnato e coinvolto tutte le dimensioni dellespressione verbale, fino alle pi evolute, tra cui troviamo appunto le stesse categorie lessicali e sintattiche. Sempre a proposito di categorie, dati recentemente raccolti nel nostro laboratorio (Flumini et al., in prep.) stanno mostrando che le corrispondenze suono-forma emergono anche quando i partecipanti devono ridenominare degli oggetti gi noti, e che nei compito di denominazione che usano materiali gi conosciuti anche la categoria concettuale cui appartengono gli oggetti mostrati (ad es. animale) pu esercitare una sua influenza sulla scelta del nome da assegnare, rivelandoci un processo di simbolismo fonetico che, connettendo aspetti tipicamente associati alla categoria delloggetto da denominare agli aspetti fonoarticolatori della parola, si basa anche sulla conoscenza precedente circa i referenti. Ci suggerisce quindi unulteriore estensione, in questo caso semantica, del classico effetto percettivo di corrispondenza fonetico-simbolica: se in questo tipo di processo a partire da propriet effettivamente presenti in ci che viene percepito si punta, per mezzo di analogie sonore, a propriet attribuite al concetto di ci che viene percepito, allora in questo modo verranno catturati e rinforzati dalla denominazione i tratti pi prototipici dellattuale oggetto di percezione, con probabili vantaggi cognitivi per la categorizzazione concettuale e linguistica.

    III. LEMERGERE DELLE PAROLE DAI GESTI Il carattere iconico e indicale di cui abbiamo affermato esser intessute le parole ci fa supporre unorigine gestuale per il linguaggio verbale. Osservando le moderne lingue dei segni facile rendersi conto dellaltissimo tasso di iconicit che tutte quelle ad oggi conosciute presentano (Corballis, 2009; Pizzuto & Volterra, 2000; Thompson et al., 2009, 2010): i gesti delle lingue segnanti copiano, mimano, riproducono aspetti percettivi, processuali, strutturali etc. di ci che denotano e descrivono. Ci sembra quindi plausibile che un protolinguaggio di gesti iconici accoppiati a vocalizzazioni emotigene e parole indicali molto brevi - secondo un modello che dovrebbe essere piuttosto vicino a quello ancora osservabile nei click languages africani (Crystal, 1997) - possa aver preceduto e favorito lemergenza della verbalizzazione come mezzo preferenziale di comunicazione. Se ci pu essere ammissibile proprio perch il simbolismo fonetico, gi rintracciato in pi della met dei phyla conosciuti dei linguaggi umani (Parault, 2006), una conferma vivente che gli originari suoni che hanno tratto luomo dal silenzio del mondo animale dovevano avere oltre che lo stesso scopo anche la stessa struttura dei gesti che accompagnavano (Corballis, 2009; Gallese, 2008; Gentilucci et al., 2004b; Gentilucci & Corballis, 2006; Merleau-Ponty, 1945; Nietzsche, 1878; Rizzolatti & Craighero, 2004) - e che hanno poi finito col sostituire, in virt della loro maggiore economicit sia cognitiva che fisica. Da sottolineare che un tale emergere del verbale dal gestuale nellevoluzione filogenetica del linguaggio umano comprensibile in una

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    prospettiva teorica quale quella proposta dalle teorie della Embodied and Grounded Cognition (Barsalou, 1999, 2008; Gallese, 2008; Gallese & Lakoff, 2005; Glenberg, 1997; Lakoff & Johnson, 1980, 1999). Ci che immaginiamo sottendersi alla nostra storia parlata fin dalle sue radici pi antiche quindi un percorso filogenetico ininterrotto, un continuum aperto da unoriginaria comunicazione gestuale che, facendosi sempre pi sonora per gli ovvi vantaggi offerti da una tale modalit (che utilizzabile anche a distanze relativamente grandi), si votata ancora e ancora alluso della vocalizzazione, fino ad essere capace di forgiare parole che denominando potessero verbalizzare gli aspetti pi salienti ed urgenti di ci che si voleva esprimere, in una maniera di certo pi specifica e riconoscibile di quanto grida o sibili avrebbero mai potuto fare. Il valore adattativo del simbolismo fonetico per un ominide parlante doveva quindi essere quello di un processo linguistico-cognitivo capace di supportare in modo non dispendioso una comunicazione sonora in cui i poteri espressivi del corpo riuscissero ad essere implicitamente sintonizzati sullo stile percettivo del reale (Merleau-Ponty, 1945), per lo meno con la stessa immediatezza ed efficacia di quanto ci gi probabilmente avveniva attraverso luso di gesti e suoni non-verbali nella comunicazione dei gruppi di ominidi non-parlanti.

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