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1 - 2015 Ancora tagli, la sanità al bivio. GLI ITALIANI E IL FEDERALISMO SANITARIO DIABETE, MODELLI SOSTENIBILI RETINOPATIA DIABETICA, UN PROBLEMA ANCORA IRRISOLTO ISS: A COLLOQUIO CON WALTER RICCIARDI

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1 - 2015

Ancora tagli, la sanità al bivio.• GLI ITALIANI E IL FEDERALISMO SANITARIO • DIABETE, MODELLI SOSTENIBILI

• RETINOPATIA DIABETICA, UN PROBLEMA ANCORA IRRISOLTO

• ISS: A COLLOQUIO CON WALTER RICCIARDI

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In copertina: ATELIER ITALIAIllustrazione a cura di Marco Olivari

La moda, come l’economia, subisce costanti mutazioni e tendenze.Il taglio ai fondi per la sanità viene così rappresentato come il taglio di un sarto (Politica) all’abito (Sanità).I bozzetti appoggiati sul tavolo rappresentano gli ulteriori tagli che caratterizzeranno il panorama italiano dei prossimi anni.Lo stilista sulla destra, disegnato come gli altri personaggi in forma volutamente allegorica e impersonale, ammira la collezione futuro, dando un messaggio di ottimismo e di speranza.

La copertina è il risultato della selezione di numerose proposte di un nostro bando lanciato a giovani illustratori allo scopo di valorizzare il loro lavoro creativo e di produrre un’immagine originale coerente con i temi di questo numero.

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Anno I - N°1 2015

EditoreALTIS Omnia Pharma Service S.r.l.Viale Sarca 22320126 MilanoTelefono +39 02 49538300Fax +39 02 [email protected]

Direttore ResponsabileMarcello PortesiVicedirettoreStefano Del MissierComitato editorialeStefano Del MissierFederico MeretaMarco PolcariMarcello PortesiMario SensiniAnselmo TerminelliKetty Vaccaro

IL PUNTO di Mario Sensini

Ancora tagli, la sanità al bivio. 2TENDENZE E SCENARI di Ketty Vaccaro

Gli italiani e il federalismo sanitario. 4RISORSE E SALUTEMuro contro muro tra governo e medici. 7MODELLI IN SANITÀDiabete, in cerca di modelli sostenibili. 10Il progetto IGEA. Un modello di disease management. 10Che cosa accade in Italia. 12Il Cities Changing Diabetes. 13

INNOVAZIONE E TERRITORIOL’impatto dell’edema maculare diabetico sul paziente e sui caregiver. 15Retinopatia diabetica, una potenziale bomba socio-sanitaria. 17Il nuovo welfare lombardo vuole anticipare il futuro. 21POLITICA & ISTITUZIONIA colloquio con Walter Ricciardi. 24IL MONDO ADVOCACYMalattie infiammatorie croniche intestinali: intervista a Salvo Leone. 26PILLOLE REGIONALIA cura di Anselmo Terminelli 28

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IL PUNTO

Due miliardi l’anno prossimo. E altri quindici nel triennio successivo. A tanto ammontano i tagli alla sanità previsti dalla manovra di bilancio appena varata dal governo. Una sforbiciata mai vista, che rischia di far precipitare il peso della spesa italia-na per la salute addirittura sotto il 6% del prodotto interno lordo, un livello che secondo l’Organizza-zione Mondiale della Sanità determina la riduzione delle speranze di vita in un Paese.Può anche darsi, come dice il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che nella sanità italiana si spre-chino 30 miliardi di euro ogni anno (cioè quasi un terzo della spesa). Ma la dimensione dei tagli ipotiz-zati, unita alla situazione dei bilanci regionali, che rischiano di esporre in pochi mesi un buco mostruo-so (vedi il Piemonte), è preoccupante. Al punto che in questa manovra qualcuno può leggerci quasi il tentativo di rimettere in discussione tutto l’asset-to della sanità nazionale, che il ministro minaccia esplicitamente di “sfilare” alle regioni, accusate di non saper arginare le diseconomie. Anche se stiamo parlando sempre del sistema sanitario cui viene universalmente riconosciuta un’efficienza, e una qualità, ben superiore rispetto a quelli degli altri grandi paesi industrializzati.I numeri della manovra sono spietati. Il Fondo Sanitario, che nel 2016 doveva salire da 110 a 113,1 miliardi, si fermerà a quota 111. L’esecutivo si difende, dice che non è un taglio, e che anzi c’è un miliardo in più. La stessa Ragioneria dello Stato, però, ammette che l’operazione si tradurrà in un minor deficit pubblico, dunque in un risparmio, di due miliardi di euro. Con quel miliardo “in più”, in ogni caso, bisognerà finanziare i nuovi Livelli essenziali di assistenza, cui sono vincolati 800 milioni di euro, ma anche i piani per i vaccini e per i farmaci innovativi, in particolare quelli, costo-

sissimi, contro l’epatite C. Non bastasse, dentro il Fondo dovranno essere trovati anche i soldi per il rinnovo dei contratti di lavoro nel settore, sbloccati dalla Consulta dopo un congelamento durato anni.Per tenere a bada la spesa la legge prevede controlli più stretti su Asl e aziende ospedaliere con i conti squilibrati, attraverso piani di rientro triennali, controlli trimestrali e il rischio di licenziamento dei direttori generali in caso di mancata approva-zione dei risultati. Magari la Legge di Stabilità non è la sede giusta, ma di tutti i piani miracolosi che vengono sistematicamente riproposti per risolvere i problemi, dalla sanità digitale, al contrasto alla medicina difensiva, alla chiusura dei piccoli ospe-dali, all’appropriatezza delle prescrizioni, non c’è traccia. Così come incide ben poco, su tutto l’im-pianto della manovra, la “spending review” tanto attesa, fatta eccezione proprio per la sanità. Qui i tagli ci saranno, altrove molto meno: il vero sacrifi-cio imposto ad esempio alla macchina del governo, cioè ai ministeri propriamente detti, sarà di appena 150 milioni, 100 sugli acquisti, 50 col blocco del turnover del personale.Per i bilanci delle regioni il peggio, però, arriverà dopo. Nel 2017 la manovra mette a loro carico un nuovo taglio di 3,9 miliardi, poi altri 5,4 nel 2018 e nel 2019. In totale, una sforbiciata di 15 miliardi in un triennio. Da farsi seguendo le stesse identiche procedure previste dalla Legge di Stabilità dell’an-no scorso, quelle che, per capirci, hanno determi-nato la riduzione del Fondo 2015 di 2,3 miliardi di euro: intesa tra le regioni, o intervento d’imperio delle forbici di Stato. Di fatto, si profila il congela-mento del Fondo a 111 miliardi nei prossimi quattro anni. Già oggi otto regioni sforano il tetto di spesa e sono in piano di rientro: se il tetto di riduce ancora, in termini reali, le regioni inadempienti rischiano di

di Mario Sensini

Ancora tagli, la sanità al bivio.

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essere molte di più. Per molti cittadini si profila un aumento dei ticket, se non delle tasse locali. Anche questo è un punto controverso: Renzi ha annunciato il congelamento delle addizionali per il 2016, ma l’aumento delle imposte regionali sull’Irpef, nelle regioni dissestate, è per legge obbligatorio.Il problema del deficit di bilancioFosse finita qui, sarebbe già abbastanza. Su questo scenario, però, pesa come un macigno l’ombra di un deficit di bilancio di dimensioni enormi e finora tenuto sotto traccia dalle regioni, con la complici-tà dello Stato. La Consulta a luglio ha bocciato il sistema con cui i governatori hanno contabilizzato i prestiti del governo per pagare i fornitori. Molti li hanno usati come mutui per finanziare nuova spesa, seguendo per giunta le indicazioni del ministero dell’Economia, ma di fatto creando un disavanzo di bilancio. In quello del Piemonte è venuto fuori un buco di 3 miliardi, nel Lazio rischia di arrivare a 7-8 miliardi, in Campania a 2,5, in Veneto a 1,5 miliar-di, un miliardo in Toscana ed Emilia-Romagna. In tutto, nelle regioni, ballano tra 9 e 20 miliardi di euro, che qualcuno prima o poi dovrà coprire.Lo Stato studia una soluzione contabile che non comporti oneri per la finanza pubblica. Il che, tradot-to in pratica, vuol dire il solito: a pagare saranno i cittadini. Ma la vicenda è paradossale e rischia di non finire lì. Per anni, il governo ha consenti-to alle regioni di sterilizzare, cioè di cancellare dal bilancio, una parte della spesa per gli investimenti in sanità, nascondendo la polvere sotto il tappeto. Una pratica contabile inconciliabile con le nuove regole, che hanno fatto emergere il buco arretrato, per compensare il quale sono state concesse le anti-cipazioni. Che a loro volta hanno creato altri buchi. Sembra assurdo, ma la situazione è questa, e rischia seriamente di attirare l’attenzione di Eurostat, che

vigila sulle pratiche contabili degli stati membri, e della Commissione Europea.Come se non bastassero altri elementi di frizione tra Bruxelles ed il governo sui conti pubblici. Renzi, giustamente, vuole sfruttare tutti i margini possibi-li per sostenere la crescita dell’economia, appena ripartita. Il deficit nominale del 2016 aumenta, ma cresce pure quello strutturale, e questo alla Ue non sta bene. I tagli alla spesa sono marginali (6 miliar-di, compresi i 2 della sanità, ma uno di questi è puramente virtuale, perché in realtà viene ridotto, utilizzandolo, il fondo “taglia tasse”), e la flessione del debito promessa dal 2016 potrebbe non bastare. Il via libera incondizionato della Commissione Ue non è scontato, al di là delle polemiche di queste ultime settimane sull’opportunità di ridurre le tasse sulla casa. Anche gli studenti di economia sanno che per rafforzare la crescita è più utile uno sgravio fiscale sul lavoro che sul patrimonio. Ma la politica fiscale è sempre stata e resta prerogativa nazionale, e Renzi fa bene a difenderla.Tanto più che il taglio delle tasse sulla casa è solo una parte del piano di riduzione complessiva delle imposte (che per il momento, comunque, ha solo rinviato al 2017 l’aumento di 3 punti dell’Iva). Prima è toccato ai lavoratori dipendenti, con il bonus di 80 euro, poi alle imprese con l’Irap e l’Ires (forse già l’anno prossimo) e infine le persone fisiche, con il taglio delle imposte sui redditi nel 2018 (anno, guarda caso, di fine legislatura). L’abolizione delle tasse sulla prima casa in questo quadro ci sta tutta. Peccato solo che, in pieno revival democristiano, non si abbia il coraggio di difenderlo per quello che è: un aiuto, forse il primo dopo anni drammatici, alla classe media, ai redditi medio-alti.

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I dati del Monitor Censis

Gli italiani e il federalismo sanitario

Ketty Vaccaro

Cresce il timore sull’adeguatezza delle risposte di alcuni servizi sanitari regionali - La capacità di spesa e i livelli delle prestazioni - Dal 2012 al 2014 sono cresciuti coloro che considerano peggiorati i servizi sanitari della propria regione - Dal 2006 al 2014 sempre meno coloro che hanno percepito miglioramenti nel livello dei servizi

La sanità è stata ed è tuttora il settore guida per la sperimentazione dell’assetto federalista in Italia, sia per gli aspetti normativi, che per quelli gestionali, di spesa e di finanziamento. Ma la questione delle responsabilità dei diversi livelli di governo è oggi al centro del dibattito sulla sanita italiana anche perché è ormai evidente che il divario Centro-Nord/Sud-Isole nella sanità si è ampiamente riflesso anche sulla visione degli assetti istituzionali e delle modalità di finanziamento del sistema.In tempi di forte stretta sulla razionalizzazione econo-mica che condiziona il servizio sanitario di molte regioni, tra le commissariate e quelle ancora in piano di rientro, è ormai sempre più evidente che l’arti-colazione regionale della sanità comporta non solo profonde differenziazioni dei livelli e della capacità di spesa ma soprattutto delle performance dei servizi sanitari locali, in termini di risposta ai bisogni di salute di salute dei cittadini di diversi ambiti territoriali, in evidente deroga al principio della salute commisurata ai bisogni in modo equo su tutto il territorio nazionale.Anzi, la frattura tra regioni con una sanità adeguata e regioni dove la sanità inadeguata è addirittura in peggioramento sembra oggi evidente in modo più marcato, tanto è vero che, in misura crescente gli italiani dichiarano la loro poca fiducia nella capa-cità dei meccanismi della devolution di far fronte a questa dinamica divaricante e questo a fronte di una sempre più marcata sensazione di riduzione o perdita di qualità della risposta dei propri sistemi sanitari regionali.Dai dati dell’ultimo Monitor del Censis sull’evoluzio-ne della domanda di salute in Italia, l’indagine su un campione di 1.000 italiani dai 18 anni in su che da anni rileva il punto di vista di cittadini su molteplici

aspetti della salute e della sanità del paese, emerge una importante inversione di tendenza.

Dal 2014 cambiano le opinioni

Negli anni, l’attribuzione alle regioni di maggiori responsabilità in materia di sanità è stata costante-mente sostenuta da una quota maggioritaria di italiani, dal 56,3% del 2002 al picco (59,8%) del 2006 fino al 57,3% del 2012. È vero che le opzioni pro e contro sono sempre risultate molto connotate territorialmen-te, con quote minoritarie di rispondenti del Sud favo-revoli alla regionalizzazione sanitaria, al contrario di quanto rilevato in tutte le aree del Paese, con l’unica esclusione del 2012 in cui la quota raggiunge la metà del campione (50,1%).Ma nel 2014 si assiste a una importante variazione nei giudizi degli italiani e solo il 44% circa giudica posi-tiva l’attribuzione alle regioni di maggiori responsa-bilità in materia di sanità, a fronte del 35,6% che si esprime in senso contrario, mentre solo gli abitanti del Nord-Ovest rimangono in maggioranza favorevoli (52,4%) (fig.1).Le motivazioni prevalenti di chi continua a sostene-re il valore della regionalizzazione sono articolate tra il 19% che la valuta positivamente perché ha creato una sanità più vicina alle esigenze delle popolazioni locali, il 15,5% che ritiene abbia contribuito a deter-minare maggiori responsabilità tra i soggetti della sanità e il 10% circa che semplicemente afferma che essa rispecchia l’attuale situazione di differenziazione nella sanità di varie regioni (tab. 1). Tra le motivazioni dei contrari il peso maggiore è quello legato all’accentuazione delle disparità terri-toriali (17,8%), in particolare i rispondenti del Sud e

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Isole (28,0%), mentre un italiano su 10 ritiene che in alcune regioni i costi a carico dei cittadini siano dive-nuti eccessivi. Ma il dato forse più interessante è proprio l’incremen-to, molto consistente rispetto al passato, di chi non si sente più in grado di esprimere un’opinione al riguar-do, il 20% circa contro il 12% del 2012, con diffe-renziazioni territoriali molto ridotte, che fanno rite-nere che anche tra gli abitanti delle aree del Nord del paese, quelle con una sanità regionale tradizionalmen-te più efficiente, stiano affiorando dubbi sulla capacità del modello attuale di garantire risposte adeguate ai bisogni di salute dei cittadini.

I dubbi e i timori di chi vive al Sud

Tra chi vive al Sud, poi, sembra molto meno presen-te l’idea che il federalismo sanitario possa funzionare come un meccanismo di potenziale armonizzazione verso l’altro, mentre prevale invece la convinzio-ne, più marcata proprio per chi si sente più debole, che possa fungere da acceleratore delle disparità. Il timore, ancora più marcato in tempi di crisi e di piani di rientro, è che si debba finire per pagare di più per avere una sanità peggiore o più ridotta.

Tab. 1 - Opinioni sull’attribuzione alle Regioni di maggiori responsabilità in materi di sanità, per area geografica (val %)

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e Isole Totale

Favorevoli 52,4 48,7 44,5 35,4 44,4

Un fatto positivo, perché ha creato una sanità più vicina alle esigenze delle popolazioni locali

19,5 19,3 17,6 19,3 19,0

Un fatto positivo, perché ha reso i vari soggetti della sanità (operatori, amministratori, ecc.)

22,4 17,9 15,9 8,2 15,5

Un fatto positivo, perché rispecchia l’attuale situazione di differenziazione nella sanità di varie regioni

10,5 11,5 11,0 7,9 9,9

Contrari 30,6 32,9 33,1 44,5 35,6

Un fatto negativo, perché è cresciuta la burocrazia 10,2 10,8 9,2 4,1 8,0

Un fatto negativo, perché in alcune regioni i costi a carico dei cittadini sono eccessivi

9,7 9,8 5,8 12,4 9,8

Un fatto negativo, perché si sono accentuate disparità territoriali

8,8 12,3 18,1 28,0 17,8

Non so 18,9 18,4 22,4 20,1 20,0

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

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57,3

30,5

12,2

35,6

44,4

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20142012

■ Un fatto positivo

■ Un fatto negativo

■ Non so

Fig. 1 - Opinioni sull’attribuzione alle regioni di maggiori responsabilità in materia di sanità, anni 2012 e 2014 (val. %). Fonte: indagine Fbm-Censis, 2014

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42,6

41,6

15,8

14,7

72,2

13,1

NordOvest

■ Inadeguati

■ Adeguati

■ Non so

NordEst

Centro Sud eIsole

Totale

27,5

55,2

17,3

38,4

41,5

20,1

49,2

34,8

16,0

Fig. 2 - Giudizio sull’adeguatezza dei servizi sanitari della propria regione, per area geografica (val. %). Fonte: indagine Fbm-Censis, 2014

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Quello della territorialità della qualità dei servizi sani-tari è certo un tema antico che riappare però in modo netto nelle risposte degli italiani, rafforzato da una nuova e più netta percezione di peggioramento del sistema espressa da chi vive al Sud. Quasi la metà dei rispondenti (49,2%) giudica inade-guati i servizi sanitari della propria regione, ma si tratta di una percentuale soggetta ad un’importante variazione territoriale, che si riduce notevolmente considerando le opinioni dei residenti nel Nord Est (27,5%) e che aumenta in modo consistente quando sono chiamati in causa gli abitanti del Sud e Isole (72,2%) (fig. 2).Ed anche la sensazione che qualcosa sia cambiato in peggio nel sistema sanitario della propria regione in anni recenti appare connotata territorialmente: complessivamente, la maggioranza degli intervistati ritiene che il Servizio Sanitario della propria regione sia rimasto uguale, con una percentuale che sale al 70% circa del Nord-Est, mentre il 38,5% ritiene che sia peggiorato, e ad avere questa opinione sono in particolare i rispondenti del Sud e Isole (46,1%). A considerarlo migliorato è solo il 5,5%, una quota che

a Nord-Ovest e Nord-Est si approssima al 9% (fig. 3).Ma anche in questo caso la valutazione complessiva del sistema appare caratterizzata da una sensazione di crescente inadeguatezza: dal confronto con il 2012 risulta più ampia la percentuale di rispondenti che ritengono il Servizio Sanitario della propria regione peggiorato, mentre si riducono le quote di chi lo reputa inalterato o migliorato (fig. 4).I dati sulle opinioni degli italiani ed il loro andamen-to nel tempo mettono in luce una crescente fragilità del sostegno sociale al federalismo, soprattutto tra le regioni del Sud, rispetto alle quali dovrebbe fungere da meccanismo di razionalizzazione e revisione della spesa e dell’organizzazione sanitaria, che temono viceversa di non riuscire a superare il gap di una sanità che sembra al contrario indietreggiare in termini di spesa, qualità e performance.Cresce poi il timore trasversale nei confronti di un sistema che si rattrappisce un pò sottotraccia, che impone ai cittadini sempre maggiori esborsi di spesa privata e che può correre il rischio di accentuare le differenze territoriali e sociali nella sua capacità di risposta ai bisogni di salute degli italiani.

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46,1

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2,6NordOvest

■ Rimasto uguale

■ Peggiorato

■ Migliorato

NordEst

Centro Sud eIsole

Totale

69,9

21,3

8,8

58,1

39,2

2,7

56,0

38,5

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Fig. 3 - Giudizio sulla performance del Servizio Sanitario della propria regione negli ultimi due anni, per area geografica (val. %). Fonte: indagine Fbm-Censis, 2014

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50,9

26,6

22,5

2006

■ Rimasto uguale

■ Peggiorato

■ Migliorato

2012 2014

60,1

28,9

11,0

56,0

38,5

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Fig. 4 - Giudizio sulla performance del Servizio Sanitario della propria regione negli ultimi due anni, anni 2006, 2012, 2014 (val. %). Fonte: indagine Fbm-Censis, 2014

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Decreto appropriatezza (clinica)

MURO CONTRO MURO TRA GOVERNO E MEDICI

Anselmo Terminelli

I camici bianchi contestano al Governo il metodo punitivo nei loro confronti - Tutti comunque vogliono porre fine alle iperprescrizioni di esami inutili

Sono oltre 200 su 1.715 le presta-zioni di specialistica ambulatoria-le che dovranno essere erogate dal Servizio Sanitario Nazionale esclusivamente secondo criteri di appropriatezza clinica. L’elenco è in via di definizione presso il Ministero della Salute, in base a quanto stabilito dal “decreto degli Enti Locali” (vedi box pagina 8), anche se una prima bozza ha avuto il parere favore-vole del Consiglio Superiore di Sanità ed è stata presentata ai sindacati della categoria medica dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin lo scorso 22 Settembre.La Lorenzin ha motivato il prov-vedimento ai sindacati sottoline-ando che l’eccesso di prestazio-ni costa ben 13 miliardi di euro l’anno e queste risorse “potreb-bero essere ridistribuite per garantire un accesso migliore”.Il provvedimento, criticato molto duramente dai medici, è stato rispedito al mittente con toni molto accesi in quanto, come stanno sottolineando tutti i rappresentanti della categoria, limita molto l’autonomia terapeu-tica del professionista. “Non si può affrontare l’appropriatezza clinica per via amministrativa e la politi-ca non può invadere l’autonomia e la responsabilità dei medici”, è il commento di Costantino Troise, leader dell’Anaao Assomed, il

sindacato più rappresentativo degli ospedalieri. “Il decreto, evidenzia Troise, nasce piuttosto per fare cassa, ignorando che due persone con la stessa malattia non saranno mai due malati uguali”. “Le sanzioni economiche, aggiunge Massimo Cozza, segretario nazio-nale della Fp-Cgil Medici, sono un grosso errore. In alcune regioni è stato avviato un lavoro sull’ap-propriatezza degli esami, senza sbandierare nessuna sanzione economica”.Se il provvedimento non sarà riscritto, i sindacati hanno annun-ciato una grande mobilitazione a Roma e uno sciopero nazionale per il prossimo mese di novem-bre, mentre la Federazione degli ordini dei medici e odontoia-tri (FNOMCeO) ha convocato in ottobre nella Capitale gli Stati generali della professione medica a difesa del SSN e soprattutto, tra l’altro, per “perseguire l’appro-priatezza clinica, patrimonio della professione”.

L’amarezza del ministroIl ministro Lorenzin lo scorso 2 Ottobre, nel corso di una audi-zione al Senato su questo prov-vedimento, ha espresso “amarez-za per il modo, ha specificato, in cui è stato presentato, non solo dagli organi di stampa ma anche

da certa parte degli operatori del settore sanitario”.Per il ministro ci sono state “affer-mazioni gravissime che hanno creato allarme, per non dire scon-certo e preoccupazione nei nostri concittadini”. “Nessuno, e sottolineo nessuno, ha continuato Lorenzin al Senato, può permettersi di giocare con la salute dei cittadini; nessuna riven-dicazione sindacale e nessun timore, come vedremo del tutto immotivato, di possibili sanzioni può giustificare che si arrivi ad affermare che un Ministro della salute voglia privare i cittadini di un diritto costituzionalmente garantito, quale è la salute”.Il provvedimento ministeriale è stato redatto, come dicevamo, in base a quanto stabilito dal “decre-tolegge sugli Enti Locali”, conver-tito in legge dal Parlamento lo scorso 6 Agosto. L’articolo 9-quater (vedi box pagina 9) e, in particolare, la rela-zione tecnica che lo accompagna prevede un risparmio annuale intorno ai 106 milioni di euro l’anno.Per i medici che non si attengono a questo provvedimento, o non motivano il loro operato, sono previste pesanti penalizzazioni sulla retribuzione mensile.Il provvedimento, in pratica, ricalca la struttura delle Note AIFA

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Le prestazioni a rischio di inappropriatezzaL’elenco completo delle prestazioni di specialistica ambulatoriale soggette a prescrizione limitata ancora deve essere definito nei dettagli. Nello scorso mese di agosto si era parlato di 180 prestazioni, poi a settem-bre il ministro Lorenzin ha presentato un documento ai sindacati con un elenco di 208, all’audizione al Senato il ministro ha parlato di 202 e poi di “circa 200” aggiun-gendo: “sono ancora all’esame tecnico-scientifico del Consiglio Superiore di Sanità e verranno, comunque, assicurate secondo le indicazioni di medici”.Comunque le prescrizioni da parte del medico di queste prestazioni di specialistica ambulatoriale a rischio di inappropriatezza, individuate nell’elenco di 1.715 stabi-lito dal Dm 22 Lluglio 1996, sono soggette a due tipi di vincolo:- condizioni di erogabilità, che, come specifica una nota del ministero, definiscono i limiti e le modalità di erogazione. Indicano che “l’erogazione della prestazio-ne nell’ambito e a carico del SSN, specifica il ministero, è limitata a specifiche categorie di destinatari e/o per particolari finalità. Condizioni o indicazioni cliniche”;- indicazioni di appropriatezza prescrittiva, che invece definiscono i casi in cui la prestazione risulta priorita-riamente utile e appropriata. “Rappresentano indicazio-ni per aiutare il medico nella prescrizione appropriata e forniscono alle Asl e alle Regioni elementi conoscitivi per governare il sistema”.Vediamo di seguito cosa riguarderanno le prestazioni con prescrizione limitata.Allergologia. Alcuni test allergologici e vaccini potran-no essere prescritti solo a seguito di visita specialistica allergologica.Genetica. Non ci sarà più nessuna mappatura del genoma a spese del SSN. Questi esami, molto costosi, saranno riservati esclusivamente alla diagnosi di speci-fiche malattie genetiche, alla conferma della natura genetica di determinate malattie o condizioni, all’accer-

tamento del rischio di sviluppare una malattia genetica nei familiari di soggetti affetti.Laboratorio. Vietato prescrivere generici “follow-up”, in questo caso l’intero costo è a carico del cittadino. Le analisi di laboratorio a carico del SSN dovranno invece essere prescritte su precise indicazioni cliniche, evitan-do ripetizioni a breve scadenza. La nota del ministero fa l’esempio del colesterolo che nei soggetti sani potrà essere ripetuto solo ogni 5 anni. Stretta anche per altre prestazioni utili per la diagnosi e il monitoraggio di alcune patologie (per esempio il test del sudore per la fibrosi cistica).Medicina nucleare. Si tratta di sei prestazioni (PET, radioterapia stereotassica, irradiazione cutanea con elettroni) per le quali vengono definite condizioni di erogabilità e indicazioni prioritarie esclusivamente per patologie gravi di tipo neoplastico.Odontoiatria. Queste prestazioni nell’ambito del SSN sono già destinate a soggetti di particolare vulnerabilità sanitaria e sociale. Il decreto si limiterà a omogeneizza-re le condizioni già applicate, definendo esplicitamente i criteri utilizzati e specificando per ciascuna prestazione quali sono i soggetti beneficiari (minori fino a 14 anni, vulnerabili per motivi sanitari, vulnerabili per motivi sociali), lasciando comunque alle Regioni il compito di fissare le soglie di reddito o di Isee che discriminano la vulnerabilità sociale.TAC E RMN. Il provvedimento in questo ambito riguar-da 10 prestazioni esclusivamente per TAC e RMN degli arti e della colonna. Per esempio nel caso della “RMN muscoloscheletrica” (di spalla, braccio, gomito, artico-lazione coxo-femorale, ecc.) si specifica chiaramente che l’esame è inappropriato in caso di degenerazione artrosica. Gli esperti, si afferma nella nota del ministe-ro, ritengono porre questi limiti per contribuire anche a ridurre le liste di attesa.

per i farmaci, prevedendo anche le multe ai medici che non rispet-tano le indicazioni delle Note. Nel caso dei farmaci l’appropriatezza viene definita dalle indicazioni cliniche per le quali il farmaco è stato dimostrato essere effica-ce. L’appropriatezza invece delle prestazione specialistiche ambu-latoriali è definita di fatto per

limitare l’eccesso di prestazioni prescritte dai medici nell’ambito della cosiddetta “medicina difen-siva”, per fatti di corruzione e anche per assecondare il pazien-te che chiede il controllo periodi-co, per esempio, del colesterolo.Proprio l’esame del colestero-lo è compreso nell’elenco delle oltre 200 prestazioni elaborato

dal ministero della Salute e la condizione di erogabilità è previ-sta a distanza di cinque anni, “in assenza, si legge nella nota, di valori elevati, modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici”.

L’assurdità delle iperprescrizioniL’esigenza di un intervento in questo settore era condivi-

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Articolo 9-quater

• Che cosa prevede la leggeLe regole per definire il decreto ministeriale sull’appropriatezza prescrittiva sono stabilite dai primi sei commi dell’articolo 9-quater, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, “decreto-legge Enti Locali”, convertito in legge 125/2015. Questo articolo recepisce il punto B.1 dell’Intesa Stato-Regioni del 2 luglio 2015. Di seguito i contenuti della norma.• Asl e altri enti del SSNCurano l’informazione e l’aggiornamento dei medici ed effettuano i controlli necessari per assicurare che la prescrizione sia conforme alle condizioni e alle indicazioni previste dal decreto ministeriale.• Decreto ministerialeEntro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione dovranno essere indivi-duate le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale previste dal Dm 22 luglio 1996 e successive modifiche.• MedicoDeve specificare nella prescrizione le condizioni di erogabilità della prestazione o le indicazioni di appropriatezza prescrittiva.• Pagamento prestazioni Le prestazioni erogate al di fuori delle condizioni di erogabilità sono a totale carico dell’assistito.• SanzioniIn caso di un comportamento prescrittivo non conforme l’ente chiede al medico le ragioni. In caso di mancata risposta o di giustificazioni insufficienti, l’ente applica al medico prescrittore dipendente una riduzione del trattamento economico accessorio e nei confronti del medico convenzionato (specia-lista ambulatoriale, medico di famiglia o pediatra di libera scelta) una riduzione delle quote variabili della Convenzione e dell’accordo integrativo regionale. La mancata adozione di questi provvedimenti per il direttore generale è valutata in sede di verifica in merito al rispetto degli obiettivi assegnati dalla regione.

so da tutti. Già alcuni anni fa la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari aveva denunciato che la medici-na difensiva, cioè quella prescri-zione di esami clinici non legata a finalità terapeutiche ma alla riduzione del rischio di conten-zioso, comporta uno sperpero di risorse che si aggirerebbero intorno ai 10 miliardi, ovvero lo 0,75% del prodotto interno lordo. Dati questi confermati anche da una recente indagine dell’Agen-zia per i servizi sanitari regionale (Agenas). L’Agenzia nell’indagine ha stimato i costi della medicina difensi-va per settori ed emerge che gli esami strumentali incidono il 25%

sulla spesa totale, mentre quelli di laboratorio il 23%. Le iperpre-scrizioni inoltre vengono monito-rate anche per i casi di corruzione in Sanità. Nel “Libro Bianco sulla Corruption in Sanità”, promosso dall’Istituto per la promozione dell’etica in sanità (Ispe), viene calcolato che sprechi e inefficien-ze, compresi anche gli episodi non sanzionati, fanno perdere ogni anno alla sanità ben 23 miliardi. Dall’ultimo rapporto della Guardia di Finanza emerge che nel 2013, dopo oltre 10 mila controlli, sono state denunciate circa 1.200 persone per frodi e danni erariali al SSN pari a 1 miliardo di euro, naturalmente non tutti imputabili

a iperprescrizioni.C’è insomma una esigenza di regolare la materia ma quello che i medici contestano è il metodo punitivo adottato dal Governo nei loro confronti. Allora come uscire da questo muro contro muro? “Se si dicesse semplicemente, propone Pierluigi Bartoletti, vice segretario nazionale della Fimmg, il sindacato dei medici di famiglia, che il sistema sanitario pubblico garantisce tutto il necessario per curarsi, anche qualcosa di più, ma il superfluo non lo rimborsa e chi decide è il medico, suppor-tato nelle decisioni e non certo multato, nessuno griderebbe allo scandalo”.

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Per il diabete quasi il 9 per cento del budget per la sanità

DIABETE, IN CERCA DI MODELLI SOSTENIBILI

Federico Mereta

Una sfida per il presente e il futuro del sistema sanitario - L’impatto delle complicanze del diabete ha ancora un effetto devastante - Quasi il 10% la prevalenza del diabete nella popolazione “attiva” - Una migliore gestione della patologia rafforzando l’integrazione tra ospedale e territorioDa un lato la persona. Dall’altro il sistema sanitario. Non capita spesso che le malattie possano avere un impatto tanto pesante su entrambi questi obiettivi. A questa regola sfugge il diabete, che oggi impegna tutti in una sfida globale da non sottovalu-tare. Purtroppo nel mondo si è superato, in anticipo rispetto alle previsione, lo scoglio del mezzo miliardo di casi e si pensa che, se non si interverrà con serie strate-gie di educazione e prevenzione, la soglia del miliardo di pazien-ti potrebbe essere superata già

prima del previsto, incontro al 2030. La sfida globale del diabete insomma deve essere affrontata e, se possibile, vinta. O almeno le strategie gestionali della patolo-gia in termini di individuo e spesa sociale vanno strutturate per evitare una vera e propria cata-strofe sanitaria.Partiamo dal singolo. Sebbene il trattamento e la cura del diabete siano migliorati negli ultimi dieci anni, le complicanze del diabete sono ancora molto comuni e spesso hanno un impatto deva-stante sull’individuo e sui suoi

familiari. Milioni di persone muoiono anche per il diabete ogni anno, altri soggetti vanno incontro a cecità o ad amputa-zione di arti per lo scarso control-lo metabolico, anche perchè un diabete non controllato può portare ad insufficienza renale secondo una probabilità tre volte maggiore rispetto ad una persona in controllo.Passando ai sistemi sanitari, la disponibilità degli Stati appare in continuo aumento tanto da far diventare il diabete una criticità difficilmente sostenibile.

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IL PROGETTO IGEA: UN MODELLO DI DISEASE MANAGEMENT

Prove per una strategia complessiva e uniforme a livello nazionale e regionale - Il riferimento l’evidence based medicine - Un materiale informativo condivisoC’è ancora molta strada da fare, soprattutto in termini di rispo-sta regionale (ad oggi solo poche regionI hanno sviluppato un progetto per la gestione integrata delle persone con diabete come Piemonte e Toscana) per ottene-re gli output attesi dal progetto Igea (Integrazione, Gestione e Assistenza) dell’Istituto superio-

re di Sanità. L’iniziativa, partita nel 2006, prevede la definizio-ne di una strategia complessiva nazionale e regionale ed è nata dalla collaborazione tra il Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie (CCM) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS): Il modello, come si legge sul sito dell’ISS, dovrebbe prevedere:

- la garanzia di interventi efficaci per la totalità dei diabetici;

- l’attuazione di interventi secon-do i principi della medicina ba-sata sulle prove;

- la possibilità di misurare sia la qualità delle cure che il migliora-mento degli esiti;

- l’attivazione graduale di un modello di assistenza su tutto

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IERil territorio nazionale, tenendo

conto delle diverse realtà terri-toriali, ma garantendo comun-que uniformità negli interventi.

Nell’ambito del progetto IGEA sono state realizzate una serie di azioni volte a favorire il migliora-mento dell’assistenza al paziente diabetico.In primo luogo sono stati definiti, attraverso un documento d’in-dirizzo, i requisiti minimi per la gestione integrata del diabete di tipo 2 nell’adulto. Un gruppo di lavoro multidisciplinare, indivi-duato dall’ISS, ha definito formal-mente gli aspetti prioritari dell’as-sistenza alla persona con diabete

mellito e formulato le relative raccomandazioni, sulla base di una revisione sistematica della letteratura. Il documento contiene informa-zioni e raccomandazioni che, ispi-randosi al modello del disease management, mirano a favorire il miglioramento della qualità delle cure delle persone con diabete.Sono poi stati definiti i requisi-ti informativi per un sistema di gestione integrata del diabete mellito di tipo 2 nell’adulto. Il documento di indirizzo offre un inquadramento generale delle tematiche dei sistemi informa-tivi necessari per sostenere il

programma di gestione integrata nell’ambito del progetto IGEA. Infine sono stati predisposti pacchetti formativi e di un piano di formazione rivolto ai medici di medicina generale e ai diabe-tologi, oltre ad una campagna di informazione e comunica-zione sulla gestione integrata del diabete e sulla prevenzione delle complicanze che prevede la partecipazione attiva dei diversi interlocutori (pazienti giovani, adulti, operatori della rete dei servizi, associazioni di pazienti) per arrivare alla produzione di materiale informativo condiviso.

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A colloquio con Fulvio Moirano *

DIABETE: DALL’OSPEDALE AL TERRITORIO SI PUÒ

Direttore, il progetto IGEA ha costretto a definire un modello di lavoro che fosse di garanzia per tutti e che rispettasse i principi della medicina basata sulle prove. Possiamo dire che la cura del diabete in Piemonte non è più soggetta a certi livelli di variabilità clinica cui siamo abituati, sia all’interno delle regioni che nel confronto tra regioni?La domanda è molto semplice nella sua definizione, ma nasconde una complessità notevole, perché non è automatico che, avendo definito modelli di lavoro univoci si passi ad avere modelli di cura e di esito altrettanto univoci.Definire e perseguire dei modelli è lavoro non proprio semplice, ma con un grado di successo apprez-zabile; far sì che i modelli di lavoro, nella prassi quotidiana, diventi-no non solo un fattore di lavoro comune, ma che generino anche risultati altrettanto apprezzabili è particolarmente difficile. Ci vuole tempo e perseveranza.

Nella nostra regione, partecipare ad un progetto di questo tipo ha significato fare un lavoro impor-tante, sia nei percorsi ospedalieri che in quelli territoriali, generando cambiamenti che non hanno infi-ciato la qualità delle cure ma anzi l’hanno migliorata, negli esiti di salute così come nei costi di gestio-ne.Significa che il Piemonte oggi ha risultati apprezzabili in termini di uniformità e di condivisione dei percorsi di cura?Diciamo, in estrema sintesi, che abbiamo provato da tempo a spostare sul territorio la gestione di alcune patologie a grave rischio di inappropriatezza se trattate in regime di ricovero. Il diabete, stori-camente nella nostra Regione, è una patologia che ormai trattiamo con una certa coerenza a livello di sistema.Il tentativo, appunto, è quello di spostare la gestione delle croni-cità fuori dai percorsi ospedalieri privilegiando i percorsi territoria-

li, e questa scelta è perseguita a prescindere dagli ostacoli che si frappongono. La chiusura di posti letto, per esempio, è stata più volte e da più parti contestata nel corso degli anni, ma le scelte sono state ugualmente fatte ed oggi ci trovia-mo una situazione per la quale non abbiamo ricoveri ospedalieri per la gestione del diabete, senza dover pagare costi di inappro-priatezza che altri, che non hanno avuto il coraggio di certe scelte, oggi pagano.Un altro dei requisiti del modello è stato quello di lavo-rare sugli strumenti, su tutti la creazione di sistemi informa-tivi capaci di misurare esiti e qualità delle cure. Che ci dice a riguardo?Qui ci sono ampi margini di miglio-ramento per quanto riguarda la nostra Regione.Abbiamo sicuramente un’infra-struttura in grado di generare gli obiettivi attesi dal progetto, e io stesso ne ero già a conoscenza nella mia passata esperienza alla

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L’Assessorato alla Sanità del Pie-monte ha scelto una nuova strada per la distribuzione dei presidi di assistenza integrativa per diabe-tici ed incontinenti. La regione comprerà direttamente i prodotti, al prezzo indicato dalla Consip, più basso di quello di oggi. Dal 1 ottobre, quindi, i pazienti con diabete ricevono in farmacia un solo tipo di glucometro, co-

munque di ultima generazione, con lancette e pungidito. Per gli altri il cambiamento è più lento e comunque non interesserà quanti fanno uso di infusori né i bambini. Inoltre su richiesta del diabetolo-go, che dovrà certif care le neces-sità del paziente, è possibile con-tinuare ad impiegare il misuratore impiegato da tempo, senza spese ulteriori. L’impostazione dell’As-

sessore Antonio Saitta appare di grande interesse, soprattutto considerando la numerosità dei malati. In Piemonte su 280.000 diabetici 112.000 si sottopongono regolarmente al controllo della glicemia ed impiegano presidi in questo senso, per un valore di cir-ca 25 milioni di euro.

direzione dell’Agenas: nel corso del “progetto Matrice”, mi ero reso conto delle potenzialità intrinseche nella regione Piemonte.Oggi, quindi, godiamo di un maggior sviluppo di queste poten-zialità, anche se abbiamo margini di miglioramento che dobbiamo perseguire. Ci sono infatti ASL che hanno sviluppato appieno queste potenzialità e, di fatto, oggi sono in grado di trascinare le altre più in ritardo: è un altro sintomo di come riduciamo la variabilità nei

percorsi di cura riducendo la varia-bilità nell’utilizzo degli strumenti e nella creazione di percorsi di cura uniformi.Direttore, abbiamo visto che anche le politiche degli acqui-sti contribuiscono a ridurre questa variabilità clinica.Sì, è un dato di fatto: l’acquisto centralizzato del glucometro è un esempio eclatante di questo.Tuttavia, bisogna considerare che le centrali di acquisto nascono da altri presupposti e per altri settori

di mercato: dobbiamo lavorare bene e duramente perché anche nel settore sanitario si possano godere i benefici di questa nuova funzione.La prossima uscita di un decreto a questo proposito sarà un ulteriore strumento normativo a suppor-to dell’allargamento delle aree di risparmio nei processi di acquisto in sanità.* Direttore Generale Sanità, Regione Piemonte.

CHE COSA ACCADE IN ITALIALe cifre non sono certo esaltanti: la malattia diabetica impegna già oggi quasi il 9% del budget desti-nato alla sanità, con una spesa che appare invariabilmente desti-nata a salire. Le cifre, peraltro, non fanno guardare al futuro con ottimismo. Oggi si pensa che la prevalenza della malattia superi il 5% della popolazione. Il proble-ma è che ragionando in termini assoluti non si percepisce corret-tamente l’impatto della patologia. Quando si vanno a valutare le persone “attive” o che comunque sono in pensione senza essere particolarmente anziane, ci si

accorge che la prevalenza arriva a sfiorare il 10%: in pratica una persona adulta su dieci deve fare i conti con la patologia. Oltre a preoccupare, il dato attuale rappresenta solamente una sorta di “anteprima” per il futuro, anche in considerazio-ne dell’evoluzione demografica della popolazione. il trend infatti prevede un aumento dell’età media della popolazione, con un picco tra qualche decina d’anni che, in assenza di contromisu-re efficaci, porterà anche ad un aumento esponenziale dei casi di diabete.

Ci sono però buone notizie. Prendendo in considerazione quanto emerge in termini di esiti della patologia, oggi in Italia il livello di assistenza è sovrappo-nibile a quello degli altri Paesi europei. Ma occorre mettere a punto scelte di politica sanitaria, sia nazionali che regionali, che consentano di strutturare un’as-sistenza in grado di affrontare al meglio questa come altre cronici-tà in aumento, anche attraverso un’ottimale gestione della patolo-gia integrando le attività di ospe-dale e territorio più di quanto non si sia ancora fatto.

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IL CITIES CHANGING DIABETESVivere in città aumenta da 2 a 5 volte il rischio di sviluppare il diabete - 246 milioni sono le persone con diabete che vivono nelle città - Verso la pro-gettazione di città che favoriscano uno stile di vita salutare

Il 64 per cento delle persone con diabete nel mondo vive in città, soprattutto in Paesi a basso-me-dio reddito. Vivere in città è asso-ciato ad un peggioramento dello stile di vita: questo rappresenta un fattore chiave dell’aumento delle malattie croniche in tutto il mondo, e studi internazionali stanno evidenziando la connes-sione fra lo stile di vita degli abitanti delle aree urbane e la prevalenza del diabete. Come ha dichiarato Jacob Kumaresan, direttore del World Health Organization’s Centre for Health Development: ”Siamo vivendo un momento crucia-le della storia in cui è ancora possibile affrontare i problemi di salute associati all’urbanizzazio-ne delle città”. Questo è l’obietti-vo del progetto Cities Changing Diabetes: credere che la pande-mia del diabete sia evitabile. Cities Changing Diabetes non nasce con lo scopo di sostitui-

re quanto già messo in atto, ma desidera creare un movimento in grado di unire le forze per creare una campagna di sensibilizzazio-ne che modifichi “la regola dei mezzi” del diabete. Il progetto si articola in tre fasi:1. Mapping: mira a far luce sulle dinamiche che determinano l’aumento della prevalenza del diabete nelle persone che vivono nelle città; l’interazione di fattori sociali, economici e ambientali. Questo è il motivo per cui la prima fase del programma, sotto la guida dell’University College London (UCL) e lo Steno Diabetes Centre, prevede la realizzazione di una mappatura del problema.2. Condivisione di soluzioni: prevede la diffusione delle bestpractice, e l’identificazione di una strategia di intervento che possa essere utilizzata dai deci-sori che condividono scenari e priorità.

3. Intervento: ha come obiettivo stabilire le priorità di intervento e di condi-videre con tutti gli stakeholder una strategia di azione che possa essere adottata con il supporto delle autorità e delle Istituzioni.Il programma ha visto fino ad ora il coinvolgimento di cinque città: Houston, Copenhagen, Tianjin, Shanghai e Città del Messico.

Bibliografia

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Revision. United Nations, Department of

Economic and Social Affairs.

State of the World’s Cities 2012/2013,

Prosperity of Cities United Nations Human

Settlements Programme (UN-Habitat).

World Economic and Social Survey 2013,

Sustainable Development Challenges.

United Nations, Department of Eco-nomic and

Social AffairS.

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Cities Changing Diabets è stato lanciato con successo a Houston, Copenhagen, Tianjin, Shanghai e Città del Messico.

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ONFOCUS

I DATI DI ARNO OSSERVATORIO DIABETE

Ci sono nuove opportunità dia-gnostiche e terapeutiche in molti campi della medicina che rischia-no di non essere colte per la man-cata copertura economica. D’altro canto non si possono eludere le raccomandazioni delle linee gui-da. Per essere conformi a queste ultime e per avere pronto acces-so all’innovazione bisogna liberare risorse non tagliando in maniera indiscriminata ma ottimizzando i processi diagnostici e i program-mi terapeutici. In tale contesto si dovrebbe rif ettere sulla effetti-va necessità di quello che si sta prescrivendo. La Società Italiana di Diabetologia (SID), in collabo-razione con il Consorzio interuni-versitario per il calcolo automati-co (CINECA) di Bologna, da anni sta monitorando i f ussi ammini-strativi (ricoveri ospedalieri, pre-scrizioni di esami e di farmaci) in oltre 10 milioni di cittadini italiani, di cui oltre mezzo milione di per-sone con diabete. È l’Osservato-rio ARNO Diabete. Gli ultimi dati disponibili sono del 2012 mentre l’analisi dei dati del 2014 è in cor-so. I dati dell’Osservatorio ARNO Diabete sono di grande interesse perché mostrano come vengono assistiti gli italiani con la malat-tia e cosa costa curarli. La spesa è impressionante, soprattutto se il dato desunto dalle tariffe viene corretto per i costi reali (maggiori di quelli virtuali). La spesa è in larga parte attribu-ibile ai ricoveri ospedalieri, a loro volta causati dalle complicanze della malattia. Una parte di spesa

(in base ai costi reali è circa il 10%, in base alle tariffe è circa il 15%) è però attribuibile agli esami di la-boratorio e strumentali prescritti nel territorio da medici di famiglia e specialisti di tutte le discipline. “L’analisi di queste prescrizioni, afferma il professor Enzo Bonora, presidente della SID, documenta una frequente inappropriatezza. In alcuni casi è inappropriatezza in difetto e in altri è inappropriatezza in eccesso. Entrambe dovrebbero essere corrette”.

Attenzione alle prescrizioniEsiste, ad esempio, una inappro-priatezza nel prescrivere la de-terminazione dell’emoglobina gli-cata, il principale indicatore del controllo glicemico. Solo il 70% delle persone con diabete esegue l’esame almeno una volta all’anno mentre tutte lo dovrebbe control-lare 2-4 volte all’anno. In compen-so, una percentuale analoga di persone con diabete esegue più di due volte all’anno l’esame emo-cromocitometrico che si stima sia appropriato in non più del 10% dei casi. Solo il 60-70% e non il 100% delle persone con diabete riceve una prescrizione all’anno di cole-sterolo e creatinina, entrambi da tenere strettamente monitorati. In una percentuale simile di sog-getti vengono misurate due volte all’anno le transaminasi, esame che è giustif cato in non più che il 15-20% dei soggetti con diabete. Inoltre, il 40% di essi misura due volte all’anno il sodio che è giu-stif cato in meno del 5% dei casi e uno su 4 misura l’azoto due vol-te all’anno, esame appropriato in meno dell’1% delle persone con

diabete. “Ci sono molti esami, afferma il professor Bonora, che non sono indispensabili o che do-vrebbero essere prescritti molto meno frequentemente nelle per-sone con diabete, sia nel territorio che dentro l’ospedale, e sui quali la SID sta scrivendo un documen-to specif co che sarà disponibile entro due mesi”. Il f ne del docu-mento è coerente con il piano del ministro Beatrice Lorenzin: con-tribuire a ridurre le prescrizioni in eccesso per liberare risorse e po-ter eseguire più spesso gli esami indispensabili.

Verso un nuovo equilibrio“Le stime della SID, afferma il suo presidente, indicano che la pre-scrizione di esami inappropriati nei diabetici italiani costa annual-mente non meno di 50 milioni di euro. Una somma che potrebbe essere impiegata per quello che invece non viene prescritto ab-bastanza”. “Quello che avanza da questa prescribing review, affer-ma Bonora, dovrebbe però restare nell’area diabetologica e permet-tere così l’accesso ai più moder-ni dispositivi diagnostici e i nuovi farmaci antidiabete”. Negli ultimi anni si sono resi dispo-nibili nuovi sensori per il glucosio, nuovi glucometri, nuovi microinfu-sori, nuove insuline, nuovi farma-ci iniettabili diversi dall’insulina e nuovi farmaci orali. Altri ne arriveranno a breve. “Dob-biamo poterli prescrivere, conclu-de Bonora, altrimenti i diabetici italiani saranno discriminati ri-spetto ai diabetici di altre nazioni europee”.

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Un problema ancora irrisolto

EDEMA MACULARE DIABETICO: L’IMPATTO SUL PAZIENTE

E SUI CAREGIVERFederico Mereta

L’intervista a Pasquale Troiano - Un approccio mutato alle patologie retiniche - Le problematiche del paziente con edema maculare diabetico - Il 65% dei pazienti che si sottopongono a iniezioni intravitreali deve essere accompa-gnato - Il problema dell’ingolfamento delle strutture sanitarie “autorizzate”

Le iniezioni intravitreali hanno profondamente modificato l’ap-proccio alle patologie della macu-la retinica, offrendo ai pazienti un miglioramento significativo rispetto alle terapie precedenti. Tuttavia, anche questo approccio presenta una serie di impatti che a volte sono difficili da sostenere nel tempo, sia per il malato che per i familiari, e che per essere meno pesanti richiedono una maggior attenzione in termini di programmazione e gestione delle strutture sanitarie. Specie per chi soffre di edema macu-lare diabetico. A dirlo è il Prof. Pasquale Troiano, Oftalmologo e Presidente di Per Vedere Fatti Vedere Onlus.

Quali sono le problematiche attuali per il paziente con edema maculare diabetico?Partiamo dai dati a nostra disposi-zione. Secondo quanto emerso in un’indagine condotta su un campio-ne di pazienti della nostra Onlus, le iniezioni intravitreali rappresentano sicuramente un momento di diffi-coltà sia in termine di adesione sia per il fatto che le patologie oculari potenzialmente trattabili con queste

terapie sono potenzialmente gravi. Ma soprattutto, come oggi sappia-mo, per avere effetto nel tempo le cure vanno ripetute a cadenza regolare e questo rappresenta un impegno sia per il paziente che per le strutture deputate ad effettuarle.

Che cosa intende dire?Penso che sia necessario considerare anche il carico organizzativo deri-vante dalla modalità di sommini-strazione di questi farmaci. Si tratta di medicinali che devono essere somministrati con una cadenza mensile e questo determina l’ingol-famento delle strutture sanitarie. Per fare un esempio, uno dei fattori a maggior impatto sulla qualità di vita dei malati che emerge dall’indagine svolta da Per Vedere Fatti Vedere è la necessità di essere accompagna-ti da un familiare all’ospedale (65% degli intervistati). Questo fatto ha un forte impatto negativo non solo sul malato, ma anche su tutta la fami-glia, con un evidente aggravio anche in termini economici sotto forma di costi indiretti. Ovviamente, questo elemento è tanto più sentito quanto maggiore è la distanza tra abitazio-ne del paziente e struttura sanitaria. Peraltro, non si tratta di un proble-

ma solo italiano: anche nel Regno Unito un’indagine ha dimostrato che le terapie intravitreali con iniezio-ni ripetute hanno un forte impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti, sui familiari e sul sistema sanitario.

Che cosa occorrerebbe fare?Appare fondamentale rendere dispo-nibili per i pazienti terapie innovati-ve, ma al contempo anche adeguare i processi organizzativi del Sistema Sanitario, che dev’essere in grado di offrire a tutti i malati la cura miglio-re, erogata nei modi e nei tempi più opportuni. La somministrazione di farmaci per via intravitreale, ripetu-ta mediamente sette volte l’anno per ciascun occhio malato, ha potenti ripercussioni sulle liste d’attesa di tutte le prestazioni sanitarie oftalmi-che con evidenti difficoltà a garantire un’intensità di cura ottimale per le condizioni del singolo paziente.

Veniamo più specificamente all’edema maculare diabetico: è un problema diffuso?La retinopatia diabetica rappresen-ta oggi una delle complicanze più temute del diabete ed è la prima causa di cecità legale nei paesi indu-

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strializzati tra i soggetti in età lavora-tiva. Non tutte le persone con diabete vanno incontro a questa complican-za: oggi si calcola che i danni a carico della retina siano presenti in circa tre pazienti su dieci. Più in generale, oggi sappiamo che l’edema maculare diabetico è presente in meno del 3% dei soggetti con diagnosi recente della patologia metabolica. Il problema va visto però soprattutto in prospettiva nel decorso della patologia: la preva-lenza dell’edema maculare diabetico aumenta progressivamente con l’au-mento degli anni di malattia diabe-tica attestandosi intorno al 30% nei soggetti che soffrono della patologia diabetica da oltre vent’anni.

Qual è oggi il percorso terapeu-tico del paziente?La combinazione della laserterapia con i più recenti farmaci da sommi-nistrare per via intravitreale offre una valida opportunità di trattamen-to soprattutto nell’edema maculare diabetico. Grazie a questi trattamen-ti, oggi è possibile aiutare i malati a conservare la capacità visiva e, in alcuni casi, anche a migliorarla con importanti effetti positivi sulla qualità della vita. Tuttavia, la necessità di ripete-re le terapie iniettive intravitreali può comportare notevoli difficoltà nell’approccio a queste terapie. In primo luogo, appare estremamente pesante per molti pazienti sostene-re un ritmo di sette e più iniezioni ogni anno, non tanto per l’aspetto propriamente legato al trattamen-to, quanto per l’impatto che questo progetto terapeutico ha sul paziente e sulla sua famiglia.

Quali sono i problemi principali?In base alle indicazioni dell’autorità regolatoria, alcuni trattamenti intra-vitreali possono essere eseguiti sola-mente in ospedali pubblici “ad alta specializzazione”. In questa definizio-ne, peraltro scarsamente motivata

sul fronte dei requisiti cui dovrebbero rispondere, rientrano poche strut-ture. Addirittura, in alcune regioni non esistono centri “autorizzati” per questi trattamenti mentre, dove sono stati individuati, la selezione dei centri è effettuata in base a fattori scarsamente legati alle caratteristi-che di competenza e di organizzazio-ne della struttura, ma solamente in base alla discrezionalità non motiva-ta degli uffici regionali. Questo comporta pesanti ripercus-sioni sui pazienti e sui loro familiari che si traducono anche in un incre-mento dei costi indiretti per la fami-glia del malato. Per accompagnare una persona all’ospedale “autorizza-to” per l’iniezione intravitreale, oggi molte persone hanno la necessità di assentarsi dal lavoro, con evidenti conseguenze sull’attività che svolgo-no, anche in termini economici.

Come si può migliorare la situa-zione?Innanzitutto, occorre definire con precisione le caratteristiche struttura-li e organizzative che devono posse-dere i centri preposti all’esecuzione di questi trattamenti, indipendente-mente dal fatto che siano pubblici o privati. La necessità di ricorrere a iniezioni intravitreali ripetute per la cura di un grande numero di malati (numero che peraltro è destinato ad aumentare, visto il progressivo incremento della popolazione in età avanzata, periodo della vita in cui

più si manifestano le patologie dege-nerative della retina e ovviamente anche l’edema maculare diabetico), unita alla difficoltà di offrire risposte efficaci ed efficienti in termini econo-mici e di salute da parte del sistema sanitario, rappresentano oggi un problema ancora irrisolto.

In ultimo, vediamo la situazione dal punto di vista del paziente: quali sfide occorre affrontare?Per chi soffre di edema maculare, gli obiettivi sono semplici. A parità di efficacia e di sicurezza, sarebbe auspicabile ridurre le distanze tra abitazione e luogo di cura, ridurre il numero di iniezioni necessarie. Il primo è raggiungibile con una normativa più razionale e armoni-ca alle esigenze di cura dei malati. Per il secondo punto si può puntare sull’impianto nella camera vitreale di dispositivi in grado di rilasciare il farmaco per periodi prolungati, oggi già disponibili per la somministra-zione di cortisone. Grazie all’impiego di dispositivi con queste caratteristi-che, si può arrivare a raggiungere due obiettivi chiave nell’approccio alla malattia: facilitare l’adesione del paziente al trattamento (sono necessarie al massimo due iniezioni l’anno per posizionare i dispositivi che rilasciano i principi attivi all’inter-no dell’occhio) e favorire un maggior contenimento dei costi per la sanità pubblica, con la liberazione di risorse per la salute dei pazienti.

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I costi per la salute travalicano la sanità

RETINOPATIA DIABETICA, UNA POTENZIALE BOMBA

SOCIO-SANITARIA SU REGIONI E SPESA PUBBLICA

Stefano Del Missier

IntroduzioneLa proposta di revisione dei LEA, da mesi oggetto di discussione tra Ministero della Salute e Regioni, ha generato qualche polemica tra istituzioni e comunità scientifica rispetto al “trattamento” che è stato riservato alla cura diabete: addetti ai lavori sostengono vi sia una sottovalutazione delle nume-rose e gravi complicanze della malattia, causate da cure non adeguate e dal mancato control-lo metabolico, che bruciano due terzi dei quasi 12 miliardi di euro di risorse (ben oltre il 10% della spesa sanitaria nel nostro paese) utilizzate per la cura del diabete.Difficile considerare il diabete solo un “di cui” della malattia endocrinologica: se non si raffor-za l’attenzione alla sua specifici-tà, infatti, si può ingenerare un aumento della spesa pubblica (perché non si parla solo di quella più specificamente sanitaria) fino a farla diventare incontrollabile. E sono molte le specifiche attività diabetologiche utili e necessarie a curare il diabete, e richiedono la presenza di competenze altret-tanto specifiche e l’identificazio-ne delle priorità di azione, sia sul piano strategico che su quello organizzativo.La recente ricerca del CEIS, “Retinopatia diabetica in Italia:

analisi della domanda e dell’of-ferta sanitaria”, ha offerto un’in-teressante fotografia dell’esisten-te, individuando anche possibili linee di azione.Valutando il rapporto intercor-rente tra l’invecchiamento della popolazione e l’incidenza delle malattie cronico-degenerative sulla sostenibilità del sistema sanitario, la ricerca indica come sia necessario un radicale inter-vento da parte delle istituzioni, dal governo centrale alle aziende sanitarie passando, ovviamente, per le Regioni, sull’organizzazione dei servizi e sul sistema di accesso agli stessi per rendere più efficaci le cure nell’ambito di una malat-tia tanto invalidante.Siamo diventati più bravi ad allungare la vita alle persone e a combattere la malattia (c’è il dato oggettivo della sensibile diminuzione delle morti causate dal diabete), ma paradossalmen-te questo ha anche generato un fenomeno preoccupante di innal-zamento del livello di disabilità con cui i malati di diabete sono costretti a vivere. È noto, infatti, che il diabete è causa di compli-canze croniche invalidanti che coinvolgono principalmente l’oc-chio, il rene, il sistema nervoso periferico e il sistema cardiocir-colatorio. Attualmente, il diabete

è la principale causa di cecità in età lavorativa, di insufficienza renale, di amputazioni degli arti inferiori per cause non traumati-che e triplica il rischio di infarto e di ictus.Tra le diverse complicanze, la retinopatia diabetica rappresen-ta la più importante complican-za oculare del diabete mellito: infatti, un terzo della popolazione diabetica soffre, in modo più o meno grave, di retinopatia diabe-tica, e questa costituisce nei paesi industrializzati la principale causa di cecità legale tra i soggetti in età lavorativa.La retinopatia diabetica in Italia è un fenomeno in costante e preoccupante crescita, e la strut-tura di offerta dei servizi per il trattamento di questa malattia e delle sue complicanze non gode di buona salute.In questo quadro non siamo soli, in Europa. Ma mentre altrove qualcosa si muove, da noi rischia-mo di venire travolti dalla lentez-za con cui innestiamo processi di cambiamento.In una ricerca inglese, infatti, dal personale di tutte le cliniche oculistiche in Inghilterra è stato evidenziato come il sistema di offerta in Inghilterra non solo sia scarso rispetto alla domanda presente, ma di come non sia per

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nulla all’altezza di affrontare la domanda futura e, peggio, non sia in grado di interrompere la crescita delle complicanze future causate dall’inefficienza presen-te. Le statistiche inglesi, ritenute “vergognose” sia dai professioni-sti che dal vasto pubblico, trovano purtroppo corrispondenza nell’a-nalisi fatta sul sistema di offerta del nostro paese.Mettendo in stretta relazione da un lato il fabbisogno di offerta di servizi con la domanda e dall’al-tro la mancanza della realizza-zione di alcune attività di preven-zione con l’impatto che questo genera sulla crescita dei livelli di disabilità, la ricerca evidenzia come oggi sia possibile perdere la vista perché i trattamenti cui si è stati sottoposti sono insufficienti o ritardati per carenza di capacità produttiva da parte dei centri di oculistica.Eppure, il lavoro del CEIS ne dà una esaustiva dimostrazione, attività sistematiche di screening riducono drasticamente la cecità causata dal diabete e, dove appli-cate regolarmente, riducono in modo significativo i costi sanitari, delineando un ottimo rapporto costo/beneficio per la prevenzio-ne della retinopatia diabetica. Con l’avanzare dell’innovazione farmacologica e delle tecniche mediche, diagnosticare tempesti-vamente la retinopatia diabetica e iniziare altrettanto tempestiva-mente la terapia significa arre-stare o ridurre drasticamente la malattia.Fare screening, però, genera crescita della domanda di servizi e di trattamenti per evitare le complicanze oculari del diabete, e richiede di adeguare la strut-tura di offerta. E la ricerca, utiliz-zando i soli dati di ricovero ospe-daliero con diagnosi di RD o di diabete con complicanze oculari

per singola regione, dice molto sull’organizzazione dei centri di oculistica in Italia e ne discute ampiamente i risultati, anche in termini di costi indiretti causati dalla cecità.Confrontando i dati del “saldo migratorio” dei pazienti di ogni singola regione con i dati di prevalenza del diabete mellito e dei ricoveri di RD, si dà già una sintesi efficace sulle aree in cui c’è una sostanziale inadeguatez-za delle strutture di offerta.Poi, attraverso un’indagine di tipo più qualitativo sui centri di oculistica di tutta Italia, sommi-nistrando un questionario simile a quello utilizzato in Inghilterra, e svolgendo un focus particola-re sulle iniezioni intravitreali, il quadro complessivo del nostro sistema di offerta emerge in modo preoccupante.Individuando la presenza o meno di ambulatori dedicati alla gestio-ne di pazienti con maculopatie, la disponibilità di sale operatorie dedicate alle iniezioni intravitreali, la capacità di assorbimento della domanda da parte delle strutture e la loro attività di pianificazio-ne per rispondere alla domanda attuale e a quella futura, la ricerca ci offre un quadro piuttosto deso-lante: a fronte di strutture (37,8%) che riescono almeno a far fronte alla domanda attuale e di una piccola parte (13,3%) in grado di far fronte anche alla domanda futura, ci sono altrettante struttu-re (42,2%) che non riescono a far fronte nemmeno alla domanda attuale. La fotografia tende a peggiorare andando verso il sud e nelle isole.Per gli operatori intervistati, le cause di tale carenza nelle strut-ture di offerta sono legate a problemi di budget per la spesa farmaceutica (che per l’89% degli intervistati rappresenta un limite

all’erogazione delle cure) ed a problemi legati al personale, e tali problemi impattano sulla cura dei pazienti e su cosa si dovrebbe fare per far fronte alle carenze, dato l’ormai certo incremento della domanda: programmazio-ne dell’offerta e disponibilità di risorse economiche e umane sono le caratteristiche comuni a tutti i centri che riescono a ridurre al minimo i rischi per la vista degli assistiti.

Sanitaria o previdenziale: è sempre spesa pubblica.Gli operatori intervistati, parlan-do del funzionamento e dei problemi della propria struttura, utilizzano molto le parole “perso-nale”, “tecnologia” e “burocra-zia”. Niente di nuovo: si tratta di problematiche comuni a tutte le strutture di tutte le aziende sani-tarie del nostro paese. Ma dalla ricerca emerge anche come la mancanza di interventi nell’orga-nizzazione delle strutture di oculi-stica per gestire la RD genera effetti disastrosi sulla salute dei pazienti e, di conseguenza, procura ingenti costi certi alla collettività.Il dato più eclatante e disarman-te che emerge sul piano degli effetti sulla salute, è che il 77,8% degli intervistati ha ammesso che la mancanza di risorse genera il peggioramento della vista nei pazienti! Se anche tralasciassi-mo il piano etico e la mettessimo solo sul piano più strettamente economico, partendo dall’assun-to che in Italia il numero delle persone affette da cecità è due volte più alto rispetto allo stesso dato in Francia o in UK, la ricerca stima che per la nostra società il totale dei costi diretti e indiretti derivanti dalla cecità ammonta-no a circa 2 miliardi di euro (circa 9,300 euro per cieco), e che il 68%

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di tale costo è attribuibile alle cure informali.La ricerca svolge una sempli-ce analisi, regione per regione, basata sui dati dell’INPS (cioè, solo di una parte dei costi indi-retti dovuti al peggioramen-to della vista) che, ad oggi, per gli assistiti ipovedenti o ciechi, eroga annualmente oltre 99.000 pensioni (con un importo medio mensile di circa 500 euro) e circa 224.000 prestazioni (importo medio mensile di circa 388 euro) un totale di spesa annua di oltre un miliardo di euro.

Proposte per un’azione di policy sanitaria

Partendo dalle considerazioni fatte dagli operatori intervistati, emergono quattro aree di policy sanitaria, all’interno delle quali ciascun policy maker può intra-vedere cosa serve e cosa fare, nel concreto, per recuperare e presto una virtuosità di sistema.La prima “raccomandazione” è rivolta al SSN e alle direzioni delle aziende sanitarie: incrementare il finanziamento ai dipartimenti di oculistica, una conclusione cui si arriva prendendo in considera-

zione tutti gli aspetti del rappor-to. Stante l’unicità della fonte di finanziamento, maggiori finanzia-menti per l’oculistica comportano minori finanziamento per altri dipartimenti, e questo sembra non avvenire per una relativa deprioritizzazione dei diparti-menti di oculistica rispetto agli altri dipartimenti all’interno della struttura. Tuttavia, minori dispo-nibilità di spazi logistici, di risorse umane, e di budget farmaceu-tico impattano sull’operato dei centri e, come abbiamo visto, sul grado di acuità visiva degli assistiti. Ad esempio, la tempe-stiva erogazione delle iniezioni intravitreali è fortemente scorag-

giata dagli inadeguati spazi logi-stici e dai budget farmaceutici, che non solo non permettono di ampliare la quantità delle presta-zioni erogate per soddisfare la domanda attuale, ma precludono anche il soddisfacimento dell’au-mento di domanda nel futuro.La seconda “raccomandazione” è per le direzioni aziendali e i responsabili dei dipartimenti di oculistica: rafforzare la program-mazione delle attività.Emerge in modo netto che le

strutture sono raramente moti-vate a fare qualsiasi tipo di programmazione dell’offerta, e questo diventa ancora più proble-matico in presenza di stringenti vincoli imposti dai finanziamenti.Al di là dei finanziamenti risicati, se non si definiscono strategie per aumentare la conoscenza e la consapevolezza delle proble-matiche e degli ostacoli dei dipar-timenti di oculistica, le strutture non saranno in grado di affron-tare e gestire l’atteso e inevitabile aumento della domanda futura. Per questo è necessario raffor-zare l’impatto manageriale dei responsabili dei centri di oculisti-ca e creare un ambiente pronto a supportarli nel gestire al meglio i problemi della capacità produtti-va dei centri specialistici.La terza “raccomandazione” è rivolta alle Regioni: predisporre percorsi diagnostico terapeutici ottimizzando i processi di lavoro.Negli operatori c’è una certa sofferenza riguardo l’assenza di percorsi terapeutici ottimizza-ti, causa di inefficienze e ritardi per le diagnosi e l’applicazione dei trattamenti o dei follow-up. Alcuni pazienti perdono l’acui-tà visiva in attesa della diagnosi, a causa di mancanza di scree-ning e di lunghe liste d’attesa, ed altri per ritardi nei tratta-menti e nei follow-up, a volte aggravati dall’obbligo di venire in giorni diversi per accertamen-ti e trattamento oppure, peggio, venendo respinti o rimandati in altri centri. Basterebbe svolgere visite diagnostiche e trattamen-ti durante lo stesso giorno per rendere più efficiente ed efficace la gestione del paziente e ridurre il problema della compliance terapeutica. E lo studio inglese suggerisce l’utilizzo di farmaci a più lunga azione terapeutica quale soluzione prioritaria per

RACCOMANDAZIONE OBIETTIVO DESTINATARI

Maggiori finanziamenti ai centri oculistici

Rispondere tempestivamente alla domanda attuale di

erogazione di iniezioni intravitreali.

Preservare l’acuità visiva degli assistiti presente e

futura.

SSN • Direttori Generali; Aziende Sanitarie

Incremento della programmazione delle

attività

Gestire l’atteso e inevitabile aumento della domanda

futura

Direzione strategica aziendale • Responsabili

centri oculisitici

Predisposizione di PDTAOttimizzazione delle attività e migliorare la compliance

del pazienteRegioni

Incremento delle attività di prevenzione e gli screening

in campo oculisitco

Migliore gestione e sostenibilità della domanda

di servizi

SSN • Regioni • Reti di medici • Direttori

Generali • Aziende Sanitarie

Le “raccomandazioni” per una virtuosa policy sanitaria.

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ridurre il numero delle visite.La quarta e ultima “raccoman-dazione” è rivolta al SSN, alle Regioni, alle reti di medici e alle direzioni dei centri di oculistica: aumentare le attività di preven-zione e gli screening in campo oculistico.Tutti gli operatori auspicano un maggior grado di prevenzione e screening a livello di medici di base, pediatri e diabetologi, anche se questo richiede impor-tanti scelte sul piano delle rela-zioni di sistema, per generare un opportuno coordinamento tra le strutture oculistiche e gli altri medici, che hanno l’opportunità di sensibilizzare i pazienti poten-zialmente propensi a sviluppare le patologie retiniche. Sono suggerite anche iniziative più “leggere”, quali l’istituzione delle unità mobili per eseguire i test diagnostici e identificare i pazienti ad alto rischio.Le raccomandazioni che la ricerca suggerisce in chiusura di rapporto, fortunatamente, non cadono in una realtà insensibile o bloccata. Vale, infatti, la pena sottolineare, proprio alla luce di quanto sopra, che qualcosa nel nostro paese già si muove in queste direzioni: è il caso, per esempio, di un innovativo PDTA ospedale-territorio per la gestio-ne del DME, realizzato a livello locale nella regione Veneto, che dimostra come ci siano aree e istituzioni nel nostro paese che si sono messe in moto e che non possono essere lasciate sole, ma devono trovare corrispondenza in una forte azione, sia a livello centrale che a livello delle regioni, per evitare che crescano i proble-mi legati ai ritardi e alla frammen-tazione delle cure. Come, per esempio, in Lombardia, dove è stato di recente analiz-zato il mismatch tra offerta e

domanda e l’appropriatezza della gestione dei pazienti con macu-lopatia, e come nuove tecnologie possono aumentare l’efficienza del sistema, in modo da definire soluzioni per migliorare accesso, appropriatezza e sostenibilità dei servizi erogati.Piccoli grandi esempi per un’a-zione comune, sistematica e orientata a risolvere i problemi di una struttura di offerta in grave sofferenza, assumendosi respon-sabilità nella programmazione, inserendo la patologia nei piani sanitari a livello nazionale, regio-nale e locale.

ConclusioniIn sintesi, soprattutto a partire da quanto detto degli operatori che quotidianamente affrontano il problema, mettere la testa sotto la sabbia non può più rappre-sentare una soluzione all’attuale incapacità di affrontare la pato-logia definendo una strategia di azione, pianificando le attività sulla base della domanda attesa, riorganizzando la struttura di offerta dei servizi, dando spazio all’innovazione tecnologica.Le evidenze riportate dalla ricerca mostrano come alcune realtà a livello Italiano non sono e/o non saranno in grado di far fronte alla domanda dei centri specializzati per lo screening e per i percor-si terapeutici delle retinopatie e di altre complicazioni oculari che sono in grado di portare alla diminuzione di vista o anche alla cecità.Abbiamo dei trend di prevalen-za solidi: il diabete è in aumento, siamo sempre più vecchi e le risorse della sanità pubbli-ca si riducono anche in valori reali. Dovremmo quindi attuare maggiori sforzi per prevenzio-ne e attività di screening e cura della retinopatia diabetica: date

le analogie con la situazione riscontrata in Inghilterra anni fa, potrebbe essere utile confrontar-si con le soluzioni che sono state proposte e attuate in quel paese.Dato l’ottimo rapporto costo-ef-ficacia delle attività prevenzione e cura dei primi stadi della pato-logia rispetto a stadi avanzati e spesso invalidanti, sprona ad attivare attività di screening; ma per non sprecare le risorse che tali attività richiedono, l’offer-ta dei centri oculistici in Italia va organizzata in modo più struttu-rato, con adeguata distribuzione geografica, e tali centri siano in linea con l’eterogeneità del feno-meno del diabete mellito a livello regionale.Dato che la domanda potenziale crescerà notevolmente nei pros-simi anni, bisogna favorire scelte organizzative e tecnologiche che portino ad una più efficiente gestione del paziente retinopa-tico, ad esempio riducendo, a parità di efficacia, il numero di controlli/trattamenti cui si deve sottoporre il paziente.In un paese civile non può essere tollerabile perdere la vista per una cattiva organizzazione dei servizi: questo vale, non solo in termini di giustizia sociale, ma anche per l’impatto che questo genera sui costi sociali di una determinata comunità.E’ vero che cambiare costa, ma è altrettanto vero che con certe malattie il problema economi-co non affrontato oggi diventa un problema economico certo, subìto e non gestibile domani, dato il grave impatto che tali patologie comportano sui costi sociali.E’ ora di dare un forte segnale di discontinuità, soprattutto a livello regionale, dove l’impatto delle scelte genera da subito quei risul-tati che tutti ci attendiamo.

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Approvata la legge regionale di riforma del servizio socio-sanitario

IL NUOVO WELFARE LOMBARDO VUOLE ANTICIPARE IL FUTURO

Fabio Rizzi

La parola a Fabio Rizzi, Presidente Commissione Salute del Consiglio Regionale Lombardia - Servizi migliori con minori costi - Al centro della legge tutela del cittadi-no ed equità di accesso ai servizi

Viviamo un momento storico dove, da una parte, il dibattito politico nazionale si concentra sul tema delle grandi riforme e dove il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) viene chiamato ad avere princi-pi di sostenibilità e appropria-tezza, garantendo nel contem-po innovazione, accesso alle cure e centralità della persona; e dall’altra parte, si stilano clas-sifiche sulla capacità o meno delle Regioni non solo di assol-vere alla propria funzione sia sul piano dell’equilibrio della finanza pubblica, sia sul piano della capa-cità di garantire ai propri cittadini i livelli essenziali di assistenza.Pur avendo dimostrato nel corso degli anni di svolgere appieno la propria funzione, gestendo uno dei servizi sanitari regionali più efficaci sul piano delle cure e più efficienti sul piano della spesa, la Lombardia ha deciso di ammo-dernare il proprio sistema defi-nendo una legge di riforma che vuole anticipare gli scenari futuri di una sanità sempre più esigente e sempre più costosa.Con la legge di riforma sanitaria (n. 23 dell’11 Agosto 2015) appro-vata dal Consiglio Regionale della Regione Lombardia ed entrata

in vigore con la sua pubblicazio-ne sul supplemento del BURL n. 33 del 14 Agosto 2015, la sanità lombarda entra in una nuova dimensione di welfare, puntando a garantire al cittadino più effi-cienza, più servizi, maggiore vici-nanza e prossimità, e riducendo nel contempo le sacche di spreco residuale, il pagamento dei ticket da parte dei cittadini, e i tempi di attesa per usufruire dei servizi.La riforma è suddivisa in due parti (Sanità e Sociale) e punta in particolare a realizzare servizi migliori con minori costi e con una riduzione del carico fiscale per i contribuenti: il sistema lombardo vuole promuovere e tutelare la salute dei suoi cittadi-ni ed è costituito dall’insieme di funzioni, risorse, servizi, attività, professionisti e prestazioni che garantiscono l’offerta sanitaria e sociosanitaria della Regione e la sua integrazione con quella sociale di competenza delle auto-nomie locali.La riforma indentifica così una sottodivisione del Servizio Sanitario Regionale (SSR) in Servizi Sanitari Locali (SSL) e si conforma ai seguenti principi:• rispetto della dignità della

persona, centralità del ruolo della famiglia e dell’equità di accesso ai servizi ricompresi nel SSR;

• scelta libera, consapevole e responsabile dei cittadini per l’accesso alle strutture sanita-rie e sociosanitarie, pubbliche e private, per la cura e la presa in carico, in un’ottica di traspa-renza e parità di diritti e doveri tra soggetti pubblici e privati che operano all’interno del SSL;

• orientamento alla presa in carico della persona nel suo complesso;

• separazione delle funzioni di programmazione, acquisto e controllo da quelle di eroga-zione, svolte dal vertice dell’or-ganizzazione dell’articolazione territoriale del SSL;

• promozione della partecipazio-ne consapevole e responsabile dei cittadini e delle comunità nei confronti dei corretti stili di vita e nei percorsi di prevenzione, di cura, di assistenza e di terapia farmacologica, anche preveden-do politiche finalizzate ad inizia-tive che favoriscano l’invecchia-mento attivo;

• promozione dell’appropriatezza clinica, della trasparenza ammi-

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nistrativa, economica e organiz-zativa e della qualità prestazio-nale;

• garanzia dei controlli e piena applicazione dei costi standard;

• sussidiarietà orizzontale per garantire pari accessibilità dei cittadini a tutti i soggetti eroga-tori di diritto pubblico e di diritto privato, nell’ambito della programmazione regionale, in modo da garantire parità di diritti e di doveri di tutti i sogget-ti che concorrono alla realizza-zione della rete dell’offerta;

• promozione e sperimentazio-ne di forme di partecipazione e valorizzazione del volontariato, che non devono essere conside-rate sostitutive di servizi;

• garanzia dell’universalità del SSL e della continuità terapeutica e assistenziale, attraverso l’imple-mentazione della rete sanitaria e sociosanitaria ospedaliera e territoriale e l’integrazione con le politiche sociali di competen-za delle autonomie locali, coin-volgendo tutti i soggetti pubblici e privati, insistenti sul territo-rio lombardo, nel rispetto delle relative competenze e funzioni;

• promozione delle forme di inte-grazione operativa e gestiona-le tra i soggetti erogatori dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali del SSL e attuazione del principio di sussidiarietà oriz-zontale nell’individuazione delle soluzioni gestionali dei servizi a livello territoriale;

• promozione e sostegno all’attivi-tà di ricerca, sperimentazione e innovazione biomedica e sanita-ria in tutte le componenti del SSL e collaborazione con le universi-tà con la finalità di promuovere la formazione del personale;

• valorizzazione e responsabi-lizzazione delle risorse umane di tutte le professioni sani-tarie, sociosanitarie e sociali

con l’obiettivo di ottenere una costante evoluzione della loro professionalità a beneficio del SSL;

• attuazione dell’attività di pre-venzione e di promozione della salute in coerenza.

Ma la centralità del cittadino resta il cuore dell’intervento legi-slativo, come sottolineato dall’art. 3 della stessa legge, che pone un particolare focus su come la Regione, nell’ottica dell’integra-zione delle politiche sanitarie e sociosanitarie con quelle sociali di competenza delle autonomie locali nell’ambito del SSL, attra-verso il SSR:a) tutela il diritto alla salute del

cittadino;b) garantisce adeguati percorsi di

prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione;

c) sostiene le persone e le fami-glie;

d) promuove, in particolare, l’in-tegrazione dei servizi sanita-rio, sociosanitario e sociale, favorendo la realizzazione di reti sussidiarie di supporto che intervengono in presenza di fragilità sanitarie, sociali e socioeconomiche; le reti sono finalizzate a tutelare il benes-sere di tutti i componenti della famiglia, anche in presenza di problematiche assistenziali derivanti da non autosufficien-za e da patologie cronico-dege-nerative.

Sul piano del modello istituzio-nale e, successivamente, orga-nizzativo, la riforma introduce la possibilità di istituire l’assessora-to unico al Welfare, il superamen-to delle aziende ospedaliere, che diventano ASST (Aziende Socio-Sanitarie Territoriali), e la riduzio-ne da 15 ASL a 8 ATS (Agenzie di Tutela della Salute).Il modello è sinteticamente rappresentato dalla Figura 1.

Obiettivo primario della legge è il riordino del sistema di una Regione che, con circa 10 milioni di cittadini, avvia una riforma epocale nella sanità italiana, che potrà servire da benchmarking alle altre Regioni italiane e colle-gare il sistema sociosanitario lombardo ai modelli avanzati europei.La legge, oltre ad una riduzione dei costi, prevede un aumento dei controlli, un accesso più facile e veloce a visite ed esami e un aumento della prevenzione, per garantire un migliore accesso alle cure da parte del cittadino, una migliore sostenibilità del sistema, una appropriatezza clinica, organizzativa, assistenzia-le e amministrativa, promuoven-do nel contempo l’innovazione e lo sviluppo.Una riforma il cui tema fondamen-tale è che le aziende ospedaliere si trasformino in strutture che si occupano anche del territorio, concretizzando il principio base della riforma stessa che è quello di passare dal curare il malato a prendersi cura del malato, inte-grando l’aspetto clinico a quello umanistico.I principi cardine della legge ruotano così attorno ai soggetti e al ruolo che questi svolgono all’in-terno dello scenario che il legisla-tore regionale ha rappresentato. Tra le più evidenti, sul piano del disegno istituzionale, le ATS, le ASST e l’Agenzia dei Controlli.Il soggetto che rappresenta certamente un fattore di inno-vazione istituzionale è rappre-sentato dalle 8 ATS (Agenzie di Tutela della Salute) che pren-dono il posto delle vecchie 15 ASL, e che avranno funzioni di gestione, programmazione e controllo, oltre che di supervisio-ne sulla continuità delle cure ai malati cronici e gravi. Sarà di loro

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compito l’accreditamento delle strutture sanitarie e socio sani-tarie, la negoziazione e l’acquisto delle prestazioni sanitarie e socio sanitarie.Come le ATS sostituiscono le vecchie ASL, le ASST (Aziende Socio-Sanitarie Territoriali) sos- tituiscono le vecchie Aziende Ospedaliere, delle quali ne restano in vita alcune con confi-gurazioni diverse: Niguarda e Gaetano Pini a Milano, Spedali Civili a Brescia, Papa Giovanni XXIII a Bergamo e Crema, oltre ad un unico, grande polo pediatri-co milanese, il nuovo “Ospedale del Bambino”, frutto dall’ac-corpamento di Buzzi, Sacco, Fatebenefratelli e Macedonio Melloni. Alle ASST spetterà il compito di erogare le prestazioni sanitarie e socio sanitarie e dovranno garan-tire le prestazioni e le cure terri-toriali in sinergia con gli ospedali che confluiranno nelle Aziende stesse. Ogni ASST sarà presie-duta da un direttore generale

unico, ma al proprio interno sarà suddivisa in due strutture tra loro distinte che avranno gestione e bilanci separati: il Polo ospedalie-ro affidato a un direttore sanita-rio e la Rete territoriale affidata a un direttore sociosanitario.La riforma fa nascere l’Agenzia di Controllo, una struttura terza di vigilanza e controllo sull’offerta e l’erogazione delle prestazioni e delle cure sanitarie e sociosanita-rie e di prevenzione di eventuali e possibili criticità, e che dovrà in ogni caso operare come collega-mento funzionale con le singole ATS. L’Agenzia sarà costituita da un direttore nominato dal Presidente della Giunta regionale e da un Comitato di Direzione compo-sto da tre persone nominate su indicazione della Conferenza dei gruppi regionali di minoranza o estratte a sorte tra dieci nomi-nativi, sempre di indicazione dei gruppi di minoranza. Spetterà all’Agenzia il compito di rendere pubblici i dati inerenti le attività

di vigilanza e di controllo svolte.La legge traccia inoltre linee di indirizzo e scelta con riguardo ai Ticket sanitari, alla Conferenza dei Sindaci dei Comuni inseri-ti in ogni ATS, alla scelta di un Assessorato regionale unico al Welfare, oltre a dare indicazio-ni su valorizzazione e svilup-po delle professioni sanitarie, alle funzioni non tariffabili, alla abrogazione di norme su finanziamenti discrezionali, alle modalità di nomina dei diret-tori generali. A temi specifici quali l’odontoiatria, la formazione, la prevenzione.La legge di riforma del Servizio Sanitario Regionale Lombardo, in conclusione, avvia una fase di razionalizzazione e gestione unitaria del Sanitario e del Sociale attraverso sistemi più snelli e moderni di governance, antici-pando così il futuro di un Sistema sociosanitario efficiente e rivolto al cittadino, in un contesto di modernità e visione europea.

REGIONE LOMBARDIA

AGENZIA DI CONTROLLO DEL SISTEMA SOCIOSANITARIO LOMBARDO

GRUPPO DI APPROFONDIMENTO TECNICO PER LE TECNOLOGIE SANITARIE

GATTS

27 AZIENDE SOCIOSANITARIE TERRITORIALI

ASST

8 AGENZIE DI TUTELA DELLA SALUTE

ATS

4 ISTITUTI DI RICERCA A CARATTERE SCIENTIFICO

IRCCS

EVOLUZIONE SISTEMA SOCIOSANITARIO REGIONE LOMBARDIAFigura 1

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ISS: da Commissario a Presidente

A COLLOQUIO CON WALTER RICCIARDIIl riequilibrio dei conti dell’ISS come primo atto di governo – L’importanza di una politica delle risorse umane condivisa e di un codice etico per ispirare la ricerca – Un ruolo importante di coordinamento centrale nelle politiche sani-tarie e di sorveglianza nazionale in collaborazione con le Regioni

Dopo che, per poco più di un anno, ha guidato l’Istituto Superiore di Sanità in veste di Commissario, il prof. Walter Gualtiero Ricciardi è stato confermato alla guida di questa fondamentale istituzione del nostro sistema sanitario in veste di Presidente.Professore Ordinario presso la facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Direttore del Dipartimento per l’assistenza sanitaria di Sanità Pubblica della stessa Università, Ricciardi ha collezionato una lunghissima serie di incarichi, accademici e non, in ambito nazionale e internazionale, oltre che numerosi riconoscimenti. Un curriculum di altissimo livello, il suo, che è certamente stato alla base dell’ampio e trasversa-le consenso che la proposta del governo ha trovato da parte delle forze politiche in relazione alla sua nomina.

Rh+ ha voluto raccogliere le sue considerazioni sul lavoro fin qui svolto come Commissario e conoscere, seppur a grandi linee, quali siano i suoi programmi per il prossimo futuro, anche in rapporto all’attività che l’Istituto svolge rispetto alle problema-tiche della sanità nelle diverse realtà territoriali.

Da luglio 2014 Commissario, dal-lo scorso settembre Presidente. Che cosa ha caratterizzato il suo impegno nell’anno trascorso all’Istituto Superiore di Sanità (ISS)?Nella prima fase abbiamo rimesso in sesto i bilanci. Un’operazione fonda-mentale per ripartire. Il riequilibrio dei conti, il superamento del disavan-zo è stato il primo atto di governo. Senza i conti in ordine era impossibi-le pensare qualsiasi profilo e qualsi-asi ruolo che l’Istituto potesse giocare in futuro. Successivamente, abbiamo fatto una ricognizione del personale, del precariato, abbiamo dialoga-to intensamente con i sindacati per costruire una politica delle risorse umane il più possibile condivisa. Abbiamo poi cercato di comprendere sia quali competenze sia quali eccel-lenze avevamo a disposizione. E in questo abbiamo trovato una notevole ricchezza umana e profes-sionale. Tutto questo ha creato le basi per scrivere il nuovo statuto e disegnare le basi del riordino.

Quali sono le priorità d’inter-vento per l’Istituto alla luce del nuovo codice etico?Il codice etico non c’era. Per i ricerca-tori è uno strumento che può essere paragonato a ciò che sono le Linee Guida in medicina. Un documento per indirizzare i percorsi che devono ispirare le scelte nell’ambito della

ricerca. La trasparenza è ciò che deve guidare tutti i comportamenti anche e, soprattutto in quelli più comples-si, dalle regole che devono essere seguite nei possibili conflitti d’interes-se al rigore da applicare nelle speri-mentazioni dei farmaci dall’animale all’uomo. Su tutte deve prevalere l’in-teresse e il vantaggio per la collettivi-tà, per la salute pubblica.

In che modo l’operatività dell’ISS si rapporta con le regioni?Tradizionalmente l’Istituto lavora con le Regioni, da sempre tra le sue missioni c’è la consulenza e il supporto alle strategie di sanità nei diversi territori. È intervenuto in diverse emergenze in cui ha svolto un ruolo centrale in rappresentan-za del Servizio Sanitario Regionale. Una per tutte, l’emergenza rifiuti in Campania, dove ha collaborato con la Regione per l’elaborazione di un Piano operativo sulla salute oppure nel caso del team di parassitologi, virologi e epidemiologi che ha inviato in Veneto e Emilia Romagna durante l’emergenza causata dal West Nile virus.

Come giudica la partecipazio-ne regionale ai vari sistemi di sorveglianza avviati dall’Istituto anche con altri enti per specifi-che patologie o stili di vita?È uno dei compiti più importanti a cui il nostro Istituto è chiamato.

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Sorveglianze di patologie, compor-tamenti, registri di patologie o anche di dispositivi medici, in una sanità sempre più regionalizzata ci consen-tono di svolgere un ruolo di coordina-mento necessario per realizzare una fotografia dei bisogni di salute. Sono reti essenziali per concorrere alla definizione di strategie sanitarie effi-caci in termini di cura e prevenzione. Se i dati del territorio sono necessari per operare scelte “su misura” non perdere di vista il quadro nazionale è altrettanto essenziale per avere un sistema di conoscenze utile a tutti in modo trasversale. Come dire che i fotogrammi sono utili ma è necessario poi vedere il film.

Può indicare una specifica inizia-tiva del sistema di sorveglianza che sta registrando una maggio-re partecipazione delle regioni rispetto ad altre?Sono tante. Coordiniamo insieme al Ministero della Salute una rete per l’influenza che pubblica un bollettino settimanale sull’epidemia consen-tendoci una sorveglianza costante dell’andamento stagionale dell’epi-demia anche grazie alla preziosa collaborazione costruita con i medici di medicina generale in tutto il Paese.Anche la carta vascolare del rischio è una rete importantissima, costruita con tutti i cardiologi ospedalieri, che ci consente di sorvegliare stili di vita in relazione a queste malattie che costituiscono la seconda causa di morte in Italia e non solo di monito-rarne il rischio ma anche di renderlo prevenibile. È uno strumento prezioso che permette agli operatori sanitari di calcolare anche il rischio individuale e di intervenire. Una risorsa che può consentire benefici sia sulle persone e sui costi del sistema. Ma le reti sono davvero tante e alcune anche

complesse, come quelle delle infra-strutture sulle quali dovrebbe viag-giare la ricerca, un servizio ai ricer-catori per permettere che le loro idee non restino in fase sperimentale, ma siano supportate nell’iter necessario al loro trasferimento tecnologico.

Quali sono le iniziative in cantie-re dell’ISS per la sorveglianza a livello regionale della salute animale?L’ISS lavora su alcuni piani di sorve-glianza nazionali in collaborazione con le Regioni e gli istituti zooprofi-lattici. Partecipiamo direttamente, per esempio, alla sorveglianza delle malattie dei prioni negli animali. Abbiamo un ruolo anche nella sorveglianza di malattie come la brucellosi, la tubercolosi bovina e la salmonellosi in stretta collabora-zione con gli esperti dell’istituto che lavorano sul fronte delle stesse pato-logie nell’umano. In alcuni casi, quali l’escherichia coli che può causare contaminazioni gravi nelle carni, siamo laboratorio di riferimento non solo nazionale ma anche europeo.

Nella riforma dell’Istituto è prevista maggiore attenzione alle singole regioni?Un Ente centrale, organo tecnico del Servizio Sanitario Nazionale, non può non avere attenzione alle singole regioni. Di concerto con l’AIFA e l’AGE-NAS, abbiamo maturato l’idea di svolgere nei diversi ambiti di compe-tenza un ruolo di coordinamento

centrale nelle politiche sanitarie che, pur salvaguardando le differenze dovute ai diversi contesti sociosani-tari, devono mantenere uniformità nell’equità in salute e uno sguardo sempre a trecentosessanta gradi su tutte le realtà sanitarie.

Attualmente esistono attività dell’ISS che coinvolgono singole regioni?Tutte le sorveglianze e i registri di cui disponiamo sono ovviamente su base regionale. Molti progetti scien-tifici come, per esempio il NIDA, il Network Italiano per il riconoscimen-to precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico, è realizzato in collabora-zione con alcune regioni e ha come obiettivo un protocollo internaziona-le per diagnosticare questi disturbi a partire dal primo anno di vita, ridu-cendo così l’impatto di questi disturbi su genitori e bambini.Il potenziamento di questo network ci permetterà non solo di diffondere su tutto il territorio italiano il proto-collo di valutazione ma anche di identificare marcatori precoci, anche biologici, e validati scientificamente su un vasto campione di bambini.Il monitoraggio delle politiche sani-tarie attraverso la sorveglianza Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute), realizzata in collaborazio-ne con le ASL di tutta italia attraver-so coordinatori regionali e aziendali che compongono il network, è uno strumento di grande importanza. Lo scopo è raccogliere dati sugli stili di vita e fattori di rischio comporta-mentali connessi all’insorgenza delle malattie croniche non trasmissibili e cercare di comprendere come funzio-nano i programmi di prevenzione proposti dalla sanità pubblica e quanta adesione vi sia da parte della popolazione. Un occhio importantis-simo per misurare anche l’efficacia dei programmi di sanità pubblica.

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Molte le incognite sulla sostenibilità della sanità di questo settore

MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI: CRONICITÀ

E INNOVAZIONE, I PAZIENTI ATTENDONO RISPOSTE

In una sanità italiana nella quale il tema della sostenibilità, presente e soprattutto futura, è al centro di una preoccupata attenzione dei cittadini e, si spera, dei deci-sori, le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) sono un ambito sanitario particolarmente esposto. L’intervista a Salvo Leone, Direttore AMICI Onlus.L’innovazione, specie con l’avvento dei farmaci biotecnologici, soprat-tutto nell’ultimo decennio, ha consentito un importante salto di qualità in termini di innalzamento del livello dei successi terapeutici e di miglioramento della qualità della vita dei pazienti ma ha portato con sé un aumento esponenziale della spesa sanitaria. Un fenomeno, questo, che non sembra arrestarsi, anche perché l’innovazione ha offerto rispo-ste solo parziali: restano ancora problemi irrisolti quali la refratta-rietà al trattamento in alcuni casi o la risposta positiva solo parziale per certi pazienti o, ancora, la possibili-tà di reazioni avverse anche gravi. Nuovi filoni di ricerca, di studio clinico e sviluppo farmacologico si sono quindi aperti per offrire risposte alle molte istanze sanita-rie ancora pendenti (è il caso ad esempio dei farmaci detti “anti inte-grine”) ed è facile immaginare che aggravi di spesa da questo certa-mente deriveranno, senza consi-derare l’impatto dei costi sociali e indiretti che queste patologie generano costantemente, a carico di una popolazione di pazienti che

in Italia sfiora le 200mila unità.Sono proprio queste incertezze di prospettiva che hanno ispira-to l’organizzazione di un Dialogue Meeting sul tema “Inflammatory Bowel Diseases: Chronicity, Therapeutical Innovation and Economic Sustainability”, promos-so da Italian Health Policy Brief, rivista di politica ed economia sanitaria. Un momento di confron-to tra esponenti della comunità medico-scientifica, del mondo accademico, di quello industria-le, delle istituzioni, oltre che tra i rappresentanti delle associazioni dei pazienti, per delineare strate-gie nuove che assicurino risposte alla crescente domanda di sanità e compatibilità con le imprescindibili regole della sostenibilità economi-ca, in un quadro di finanza pubblica da troppo tempo all’insegna della precarietà. Un contesto nel quale le scelte di politica sanitaria non possono non tenere nella massima conside-razione le posizioni di chi queste patologie le vive e affronta in prima persona: i pazienti. Questa è la ragione per la quale Rh+ ha voluto sentire l’opinione di Salvo

Leone, direttore di A.M.I.C.I. Onlus (Associazione Nazionale per le Malattie Croniche dell’Intestino) e Vice Presidente dell’ E.F.C.C.A. (Europeran Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis Associations).

Dei 200mila pazienti colpiti dalle MICI in Italia, quanti si appoggiano sistematicamente alla vostra o ad altre associazioni di pazienti?Bisogna distinguere tra chi si iscrive e chi si rivolge ad un’associazione per aiuto. Sottoponendo alla valutazione degli intervistati le attività promos-se dall’associazione, si può innan-zitutto rilevare un ottimo livello di apprezzamento delle proposte fino ad oggi sviluppate e il chiaro soste-gno alla dimensione d’aiuto sviluppa-ta da AMICI. Tra le attività ritenute più importanti si individuano gli approfon-dimenti e la collaborazione allo studio delle malattie ed alla divulgazione delle informazioni: ad esempio, promuo-vendo azioni a sostegno della ricerca scientifica e soprattutto ponendosi come catalizzatore delle informazio-ni, rilevabili in Italia e all’estero, sulle azioni a favore dei malati di Crohn o colite ulcerosa , sui provvedimenti legi-slativi che si legano alla condizione di

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malato e su quanto altro può rivelarsi utile per gli stessi malati e i loro parenti nell’affrontare la malattia e sostenerne la cura.L’attività prevalente proposta per A.M.I.C.I. appare quindi di taglio isti-tuzionale, come interlocutore forte del mondo medico e scientifico e come interprete dei bisogni delle persone malate di MICI di fronte al continuo sviluppo dell’informazione e dell’assi-stenza offerta.Sebbene meno rilevanti, si può ricono-scere un alto livello di adesione anche per le attività a più alto impatto rela-zionale tra l’associazione ed il malato, quale l’organizzazione di incontri di confronto ed approfondimento tra le persone malate, gli specialisti e le Pubbliche Amministrazioni, ma anche, per alcuni, strutturare azioni di autoa-iuto e servizi specifici che diano soste-gno alla quotidianità dei malati di MICI.Se invece si analizza il dato iscrizioni, purtroppo il numero è molto inferiore rispetto a quello che ci dice l’epidemio-logia. Credo che si possa affermare che solo un 10% dei pazienti sente il bisogno di iscriversi ad un’associazio-ne di volontariato, penalizzando di fatto l’efficacia maggiore che potrebbe avere un’associazione con un maggio-re numero di iscritti.

Dovendo fare una scala delle priorità delle istanze della vostra associazione, in che ordine le proporrebbe?Non si conosce il numero dei pazienti. Pertanto la realizzazione di un registro di patologia permetterebbe di conosce-re la reale entità del fenomeno MICI in Italia e non basarsi esclusivamente su delle stime o sul numero degli esenti ticket, che comunque è un dato sotto-stimato, per delle valutazioni di carat-tere economico.Aggiornamento dei LEA. Siamo fermi al DM 329/99 nel frattempo la scienza è andata avanti ed oggi ci sono esami molto utili che non sono rimborsati e

prestazioni obsolete e poco utilizzate che lo sono.Accesso ai farmaci. C’è disparità di trattamento da Regione a Regione a causa di ulteriori controlli da parte di commissioni che, a nostro avviso, non fanno che replicare il lavoro di AIFA. Sulla farmaceutica deve prevalere un coordinamento centrale efficace per contenere i costi e ridurre il rischio di diverso trattamento del cittadino a seconda del territorio di residenza.Presa in carico e gestione del paziente non standardizzata su tutto il territorio nazionale. La non standardizzazione dei percorsi è, a nostro avviso, fonte di spreco perché genera mobilità di pazienti che si spostano alla ricerca di offerta sanitaria migliore.

I nuovi LEA: come si presenta il quadro, soprattutto per quanto riguarda gli esami diagnostici? È sempre ampia la distanza temporale tra i primi sintomi delle malattie e la loro diagnosi?Un’indagine condotta da EFCCA, la European Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis Association, nel 2010 ci ha detto che secondo il 13% dei rispondenti (su un campione di circa 1.000 pazienti italiani) sono stati necessari da uno a due anni affinché fosse formulata la diagnosi. Sul campione totale, è risultato che il 14% ha dovuto attendere cinque o più anni per ottenere la diagnosi. Tuttavia, abbiamo motivo di credere che questo dato negli ultimi anni si sia abbassato grazie ad una maggiore attenzione da parte dei medici e ad un affinamento delle tecniche diagnostiche.

Qual è il livello di ascolto che AMICI riesce ad avere presso i decisori e le istituzioni della sani-tà del Paese e cosa occorrerebbe fare per aumentarlo?Essere ascoltati non significa essere coinvolti. È anche vero che, se devo essere sincero, il livello di ascolto da parte delle Istituzioni nei confronti di

AMICI è molto alto, così come il coin-volgimento.

L’innovazione per fortuna avanza e apre nuove e positive prospet-tive terapeutiche ma porta con sé anche un aumento dei costi generati dalla ricerca e quindi della spesa sanitaria. A suo avvi-so come va affrontato il problema delle nuove risorse e comunque della sostenibilità?La sostenibilità del sistema è un tema centrale al quale come pazienti non ci possiamo sottrarre facendo la nostra parte. Bisogna però fare attenzione a non tagliare i costi diretti senza consi-derare che ci sono anche costi indiretti e intangibili, relativi alla qualità di vita di un malato. Tagliare un costo nell’im-mediato non è detto che sia un rispar-mio nel futuro. Senza considerare anche che, se non si conosce il numero dei pazienti, risulta difficile calcolare i costi effettivi della malattia e parlare di sostenibilità.

Le MICI sono patologie cosiddette immunomediate, come lo sono anche l’artrite reumatoide, la spondilite e la psoriasi. Pensa che un patto d’azione con le associazioni che si occupano anche di queste malattie potrebbe aumentare la vostra forza negoziale e la capacità di orientamento di alcune scelte di politica sanitaria?Ne sono convinto. In Italia esiste già il CnaMC di Cittadinanzattiva, il Coordinamento Nazionale delle Associazioni di Malati Cronici che racchiude al suo interno diverse asso-ciazioni che svolge questo ruolo in maniera egregia. Serve per aumenta-re la forza negoziale e la capacità di orientamento di alcune scelte di politi-ca sanitaria, ma anche per individuare aree di interesse comune tra diverse patologie.

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Piemonte

I 25 anni del Centro trapianti

delle Molinette

Il Centro di Trapianto di Fegato di

dell’Ospedale Molinette di Torino

dopo 25 anni di attività è uno dei mi-

gliori centri internazionali per stan-

dard di qualità e per volumi di atti-

vità. In Italia detiene da diversi anni

il primato per il numero dei trapianti

effettuati e nella qualità degli esiti.

Sono solo pochi i Centri nel mon-

do che possono vantare una simile

esperienza. Il primo trapianto è sta-

to effettuato il 10 ottobre 1990 in

un uomo di 44 anni, affetto da epa-

tite virale, vissuto per 13 anni. Da

allora fino a oggi sono stati eseguiti

2.737 trapianti di fegato, anche chi-

rurgicamente molto complessi: 126

sono infatti trapianti di una sola par-

te del fegato (il cosiddetto “split”),

57 sono trapianti in combinazione

con altri organi, quali rene, pancre-

as o polmone, 14 sono trapianti da

donatore vivente e 6 sono trapianti

con tecnica “domino”.

Veneto

Coletto conferma i fondi

per i diabetici

“I 700 mila euro per i diabetici sono

una certezza”, lo ha dichiarato nei

giorni scorsi l’assessore regionale

alla Sanità Luca Coletto, interve-

nendo sulle polemiche riguardo ai

fondi regionali dedicati a questi pa-

zienti.

“Le risorse, ha spiegato Coletto, ver-

ranno inseriti nell’imminente asse-

stamento di bilancio. Nemmeno un

euro verrà a mancare per aiutare

questi malati. Sono reperibile pres-

soché sempre, prima di strumenta-

lizzare e lanciare allarmi sarebbe

stato più semplice e onesto infor-

marsi con me”.

Valle d’Aosta

Gli ospedali aperti al tirocinio

per studenti di Torino

Con una convenzione siglata con

l’Università degli Studi di Torino,

gli ospedali della Regione, a partire

dall’anno accademico 2015-2016,

diventano sedi di tirocinio per gli

studenti iscritti al corso di laurea in

Medicina e Chirurgia dell’Università

degli Studi di Torino. La convenzione

con l’Università degli Studi di Tori-

no, che ha validità triennale, è stata

siglata nel mese di agosto dal Diret-

tore generale dell’Ausl Valle d’Aosta,

Massimo Veglio, e dal Direttore del-

la Scuola di Medicina, Ezio Ghigo.

Le strutture ospedaliere dell’Azien-

da USL Valle d’Aosta sono state giu-

dicate idonee ai fini dello svolgimen-

to del tirocinio professionalizzante

da parte degli studenti del III, IV, V

e VI anno.

Lombardia

Approvato il riparto del Fondo

sociale 2015

Approvato dalla Giunta regionale

nei giorni scorsi il riparto di oltre

70 milioni di euro del Fondo socia-

le 2015. “Sono risorse importanti,

ha commentato il presidente della

Regione Roberto Maroni, che ser-

viranno per il cofinanziamento dei

servizi e degli interventi sociali lega-

ti alle aree minori e famiglia, disabili

e anziani”.

L’importo complessivo del Fondo

è di 70.314.150 euro. Di questi,

58.314.150 di parte corrente, per fi-

nanziare i servizi sociali dei Comuni,

e 12.000.000 in conto capitale, per

finanziare adeguamenti strutturali

degli immobili.

Bolzano

Passi in avanti nelle trattative

con i medici di famiglia

Incontro proficuo a Bolzano presso

la Consulta provinciale per le tratta-

tive riguardanti il contratto integra-

tivo dei medici di medicina generale

di cui fanno parte rappresentanti

della Provincia, dell’Azienda sanita-

ria provinciale e dei quattro sinda-

cati dei medici di famiglia.

“Con questo incontro, ha dichiarato

soddisfatta l’assessora provinciale

alla sanità ed alle politiche socia-

li, Martha Stocker, è stato fatto un

passo importante da un lato per un

progressivo recupero delle riduzio-

ni retributive dei medici di medicina

generale e dall’altro per migliorare

il livello di assistenza sanitaria della

popolazione”.

Gli accordi raggiunti riguardano:

- l’indennità per l’attività di medico

d’ufficio (soprattutto in riferimen-

to al rinnovo delle patenti di gui-

da, ai permessi di porto d’armi ed

alle visite necroscopiche);

- la creazione della medicina di

gruppo in rete, che dovrà esse-

re completata entro le prossime

settimane e con la quale si dovrà

giungere ad una migliore coope-

razione tra i medici di medicina

generale nello scambio delle pre-

stazioni sanitarie e del servizio di

reperibilità;

- adeguamento della retribuzione

dei medici di medicina generale, a

partire dal 1° luglio 2009, al tasso

d’inflazione con lo stesso calcolo

previsto per il personale di ruolo.

PILLOLE REGIONALI A cura di Anselmo Terminelli

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Trento

Zeni conclude le visite negli

ospedali della provincia

Con la visita all’ospedale San Loren-

zo di a Borgo Valsugana si è conclu-

so il giro di visite dell’assessore alla

salute e politiche sociali Luca Zeni

negli ospedali del Trentino.

In questa ultima visita l’assessore,

accompagnato dal direttore gene-

rale del Dipartimento alla salute

e solidarietà sociale Silvio Fedri-

gotti, dal direttore amministrativo

dell’Azienda provinciale per i servizi

sanitari (Apss) Franco Debiasi e dal

direttore dell’ospedale Pierantonio

Scappini, ha incontrato i primari e i

coordinatori delle unità operative

dell’ospedale.

All’incontro erano presenti il consi-

gliere provinciale Gianpiero Passa-

mani, il presidente della Comunità

Valsugana e Tesino Attilio Pedenzini

e il sindaco di Borgo Valsugana Fa-

bio Dalledonne.

Nel corso dell’incontro l’assessore

si è impegnato a ritrovarsi per af-

frontare i temi della riorganizzazio-

ne dei servizi. “La mia volontà, ha

detto Zeni, è quella di garantirvi il

massimo coinvolgimento possibile

lavorando a fianco dell’Apss con la

volontà di non nascondere i proble-

mi ma di affrontarli e risolverli”.

Liguria

Il Governatore Toti annuncia

una Riforma sanitaria

Entro la metà del prossimo anno

la sanità ligure sarà completamen-

te riorganizzata. Lo ha annunciato

il presidente della Regione Ligu-

ria, Giovanni Toti, presentando il

crono-programma della sua Giunta

per rilanciare la Liguria. Si parte su-

bito e già nel mese di ottobre per la

sanità “saranno varati i primi prov-

vedimenti, ha precisato Toti, su liste

di attesa e orari di apertura degli

ambulatori”.

“In 100 giorni, ha aggiunto Toti,

abbiamo fatto molto più di quanto

le altre amministrazioni hanno fat-

to in anni di lavoro, stiamo andando

avanti in modo convinto con i soldi e

le risorse che ci sono state lasciate

dal passato per cui dire che sono po-

che è un eufemismo”.

Friuli Venezia Giulia

Mauro Delendi nominato

commissario straordinario Egas

Mauro Delendi è stato nominato

commissario straordinario dell’Ente

per la Gestione Accentrata dei Ser-

vizi condivisi (EGAS). Attualmente

Delendi ricopre anche l’incarico di

commissario straordinario dell’A-

zienda Ospedaliero Universitaria

Santa Maria della Misericordia di

Udine e dell’Azienda per l’Assistenza

Sanitaria (AAS) n°4 Friuli Centrale.

Toscana

Le novità della vaccinazione

antinfluenzale

Sono due quest’anno le novità in

Toscana in merito alla vaccinazione

antinfluenzale: il “pacchetto” preve-

de anche la vaccinazione antipneu-

mococcica e della vitamina D3.

La vaccinazione antipneumococci-

ca, fino ad oggi riservata in forma

gratuita alle sole categorie a rischio,

viene allargata anche ai cittadini

over 65. Le categorie a rischio cui

è consigliata la vaccinazione an-

tipneumococcica sono le persone

affette da particolari malattie (dia-

bete, assenza o malattie della milza,

malattie croniche del cuore, dei pol-

moni o dei reni, sordità con impianti

cocleari, difetti delle difese immuni-

tarie, neoplasie, ecc.), che aumenta-

no ulteriormente il rischio di gravi

complicanze.

La vaccinazione antinfluenzale sarà

anche l’occasione per promuovere

con efficacia la prevenzione dell’o-

steporosi, una patologia ossea tipica

dell’anziano. Ad ogni paziente vac-

cinato verrà infatti consegnata una

confezione di 6 fiale di vitamina D3

da assumere per via orale ogni due

mesi. La confezione è sufficiente a

garantire la copertura per un anno.

Una appropriata e regolare assun-

zione di vitamina D3 è essenziale

negli anziani, non solo per prevenire

le fratture, ma anche per incremen-

tare le difese dell’organismo contro

malattie come diabete, vari tipi di

tumore, malattie cardiovascolari e

autoimmuni, e aiutare la funzionali-

tà muscolare.

PILLOLE REGIONALI A cura di Anselmo Terminelli

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