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1 M odulo 1 Le caratteristiche del testo narrativo Unità 1 Verifica su “La struttura di un testo narrativo” F. Brown, La sentinella 3 G. Verga, Malaria 4 G. Bassani, La necropoli etrusca 6 Unità 2 Verifica su “C’è chi ascolta e chi narra” J. L. Borges, La forma della spada 8 E. Morante, La fantastica avventura di Useppe 10 L. Pirandello, Il figlio cambiato 11 L. Pirandello, Ciàula scopre la luna 13 Unità 3 Verifica su “I personaggi, le loro parole e i loro pensieri” G. Flaubert, L’infelice matrimonio di Emma 15 G. Bassani, Il rifiuto di Micol 17 F. M. Dostoevskij, Il protagonista si presenta 19 Unità 4 Verifica su “Il tempo” A. Camilleri, L’odore del diavolo 21 R. L. Stevenson, La mappa del tesoro 23 R. Bradbury, Il pan di segala 25 A. Puskin, La tempesta di neve 27 Unità 5 Verifica su “Lo spazio” J. London, Guerra 29 G. Deledda, La casa di Cosima 30 A. Manzoni, Due palazzi a confronto 31 R. Bacchelli, Il palazzaccio del Raguseo 33 J. Cortázar, Casa occupata 34 J. K. Huysmans, Progetti per la casa di Fontenay 36 Unità 6 Verifica su “Le scelte stilistiche ed espressive” R. Queneau, Zazie e il metrò 37 E. Hemingway, Il coraggio di un vecchio pescatore 39 C. Pavese, L’arresto di Cate 40 D. Buzzati, La fortezza Bastiani 42 M odulo 2 Le forme della narrazione Unità 1 Verifica su “Il mito” Ovidio, Dedalo e Icaro 44 Platone, Come nacque l’amore tra gli uomini 45 Ovidio, Apollo e Dafne 46 Ovidio, Piramo e Tisbe 48 Verifica su “La leggenda” Jacopo da Varazze, La leggenda di San Giuliano 50 Anonimo, La bella annegata 51 Unità 2 Verifica su “La novella” Gabriele D’Annunzio, Dalfino 52 G. Boccaccio, Frate Cipolla 54 Unità 3 Verifica su “Il racconto realistico” Italo Calvino, L’avventura di due sposi 56 B. Fenoglio, L’andata 57 Verifica su “Il racconto fantastico” Iginio Ugo Tarchetti, Un osso di morto 59 Verifica su “Il racconto psicologico” Stefano Benni, Coincidenze 61 N. Ginzburg, Un’assenza 62 Unità 4 Verifica su “Il romanzo comico” S. Benni, Franco il Formicone 64 C. Dickens, Un equivoco decisamente imbarazzante 66 Unità 5 Verifica su “Il romanzo epistolare” Natalia Ginzburg, Il carteggio tra Angelica e Michele 67 Verifica su “Il romanzo autobiografico” Christiane F., Una lenta discesa nell’abisso 69 G. Ledda, Gavino e il servizio militare 70 M. Rigoni Stern, Un piatto di minestra 72 In questo file vengono messe a disposizione dell’Insegnante le “Analisi del testo” dei brani delle Verifiche, siano essi in carta o online. A nalisi del testo

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Modulo 1Le caratteristiche del testo narrativo

Unità 1Verifica su “La struttura di un testo narrativo”F. Brown, La sentinella 3G. Verga, Malaria 4G. Bassani, La necropoli etrusca 6

Unità 2Verifica su “C’è chi ascolta e chi narra”J. L. Borges, La forma della spada 8E. Morante, La fantastica avventura di Useppe 10L. Pirandello, Il figlio cambiato 11L. Pirandello, Ciàula scopre la luna 13

Unità 3Verifica su “I personaggi, le loro parole e i loro pensieri”G. Flaubert, L’infelice matrimonio di Emma 15G. Bassani, Il rifiuto di Micol 17F. M. Dostoevskij, Il protagonista si presenta 19

Unità 4Verifica su “Il tempo”A. Camilleri, L’odore del diavolo 21R. L. Stevenson, La mappa del tesoro 23R. Bradbury, Il pan di segala 25A. Puskin, La tempesta di neve 27

Unità 5Verifica su “Lo spazio”J. London, Guerra 29G. Deledda, La casa di Cosima 30A. Manzoni, Due palazzi a confronto 31R. Bacchelli, Il palazzaccio del Raguseo 33J. Cortázar, Casa occupata 34J. K. Huysmans, Progetti per la casa di Fontenay 36

Unità 6Verifica su “Le scelte stilistiche ed espressive”R. Queneau, Zazie e il metrò 37E. Hemingway, Il coraggio di un vecchio pescatore 39C. Pavese, L’arresto di Cate 40D. Buzzati, La fortezza Bastiani 42

Modulo 2Le forme della narrazione

Unità 1Verifica su “Il mito”Ovidio, Dedalo e Icaro 44Platone, Come nacque l’amore tra gli uomini 45Ovidio, Apollo e Dafne 46Ovidio, Piramo e Tisbe 48

Verifica su “La leggenda”Jacopo da Varazze, La leggenda di San Giuliano 50Anonimo, La bella annegata 51

Unità 2Verifica su “La novella”Gabriele D’Annunzio, Dalfino 52G. Boccaccio, Frate Cipolla 54

Unità 3Verifica su “Il racconto realistico”Italo Calvino, L’avventura di due sposi 56B. Fenoglio, L’andata 57

Verifica su “Il racconto fantastico”Iginio Ugo Tarchetti, Un osso di morto 59

Verifica su “Il racconto psicologico”Stefano Benni, Coincidenze 61N. Ginzburg, Un’assenza 62

Unità 4Verifica su “Il romanzo comico”S. Benni, Franco il Formicone 64C. Dickens, Un equivoco decisamente imbarazzante 66

Unità 5Verifica su “Il romanzo epistolare” Natalia Ginzburg, Il carteggio tra Angelica e Michele 67

Verifica su “Il romanzo autobiografico” Christiane F., Una lenta discesa nell’abisso 69G. Ledda, Gavino e il servizio militare 70M. Rigoni Stern, Un piatto di minestra 72

In questo file vengono messe a disposizione dell’Insegnante le “Analisi del testo” dei brani delle Verifiche, siano essi in carta o online.

Analisi del testo

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Unità 6Verifica su “Il romanzo storico”Sebastiano Vassalli, La fiera bestia 74

Verifica su “Il romanzo naturalista e verista”Giovanni Verga, La morte di Gesualdo 76G. Verga, Due ideali di vita a confronto 78

Unità 7Verifica su “Il romanzo di formazione”Khaled Hosseini, La fine di un’amicizia 80P.P. Pasolini, Tommaso si comporta da eroe 81J. Kerouac, In viaggio 83

Verifica su “Il romanzo d’avventura”Ernest Hemingway, Santiago e il pesce 85J. Verne, In lotta contro il tempo 87

Unità 8Verifica su “Il romanzo psicologico”Alessandra Arachi, Io e il cibo 89G. Flaubert, Sognando Parigi 91

V. Woolf, Una spiacevole notizia 93

Verifica su “Il romanzo poliziesco”Georges Simenon, Alla ricerca del messale scomparso 95R. Chandler, Un brutto incontro 97

Unità 9Verifica su “Il romanzo horror”Robert Louis Stevenson, La metamorfosi 99 H. Walpole, La fuga di Isabella 101

Unità 10 Verifica su “Il romanzo fantasy”John Ronald Reuel Tolkien, Bilbo e il drago 102

Verifica su “Il realismo magico”Gabriel García Márquez, La peste dell’insonnia 104

Verifica su “Il romanzo di fantascienza”Jules Verne, Al centro della Terra 106H. G. Wells, Arrivano i marziani! 108

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L’esordio e le scelte narrativeIl narratore comincia il suo racconto in medias res: al lettore viene subito presentato un povero soldato infred-dolito e affamato che sta svolgendo – informazione con-fermata anche dal titolo, che, essendo chiaro, ha proprio il compito di dare un’idea del contenuto del testo – un importante servizio di pattugliamento lontano da casa.Per fare in modo che il lettore non nutra alcun sospetto sulla reale identità del personaggio di cui si sta parlando, chi racconta utilizza, nelle sequenze che compongono il testo, tutte di natura narrativa e descrittiva, un vocabo-lario ricco di termini propri del lessico militare (fanteria, aviazione, avamposto…) oppure colloquiale (riportare

a casa la pelle, fottuto pianeta, schifosi…): in questo modo egli consolida nel lettore l’impressione di avere a che fare con un suo simile e provoca in lui un senso di partecipazione emotiva e di umana solidarietà, visto che il poveretto si trova lontano da casa ed è costretto a combattere contro nemici pericolosi, violenti e amanti della guerra.La missione è resa credibile e plausibile anche dalle spie-gazioni fornite dall’intreccio, che, sconvolgendo il line-are andamento della fabula con alcuni salti temporali nel passato, fornisce le motivazioni della guerra in cui la sentinella e il pianeta si trovano coinvolti.

Il sorprendente scioglimentoPer tutti questi motivi l’aspetto più significativo del rac-conto è indubbiamente il finale, che rovescia comple-tamente le aspettative del lettore: del resto la fama di questo scrittore statunitense è legata proprio ai suoi ce-lebri finali, capaci di sorprendere con risvolti inaspettati. In questo caso il lettore scopre che la sentinella che sta

raccontando la guerra in cui si trova coinvolta non è un povero soldato di fanteria che teme di trovarsi di fronte un alieno, ma l’esatto contrario: lo scioglimento, inaspet-tato, aperto e ambiguo, apre la strada a una serie di riflessioni sul diverso che l’autore prova, con il suo rac-conto, a stimolare nel lettore.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 1

La sentinella Fredric Brown

Verifica su “La struttura di un testo narrativo”

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Le sequenzeLa maggior parte delle sequenze che compongono il te-sto è di tipo descrittivo, perché l’autore vuole dare un’i-dea chiara e concreta dei luoghi e degli ambienti (umani e non) in cui è ambientato il suo racconto. Nelle sequenze si alternano, così, ampi squarci paesag-gistici (là, dappertutto, torno torno alle montagne che la chiudono, da Agnone al Mongibello incappucciato di neve) e primi piani (il pastore, giallo di febbre, e bianco di polvere anche lui schiude un istante le palpebre gon-fie…), entrambi caratterizzati da immagini particolarmen-te dense di significato (per esempio quella del vento che urla come un lupo che abbia fame e freddo) o emotiva-

mente intense (per esempio la madre che diviene curva al pari di un gancio). Tutte le sequenze comunicano un senso di calura e d’im-mobilità sia direttamente (l’estate arsa, il lago liscio ed im-mobile) che indirettamente (vi accasciate sul basto della mula, l’asino lascia cascare il capo…): in questo modo ap-pare ancora più evidente il contrasto che c’è tra l’invivibilità dei luoghi e la loro positività, perché proprio questa terra così calda, afosa, inospitale è benedetta da Dio. L’immobilità dei luoghi rimanda, dunque, all’immobilità di questi uomini, rassegnati, per cogliere i frutti del loro lavoro, a vivere una vita faticosa, stancante, sempre uguale a se stessa.

Una terra malata e la sua genteL’esordio della novella è chiaramente in medias res: il lettore è immediatamente trasportato nella piana di Catania, afosa, asfissiante e malata, di una malattia, la malaria, che incombe su uomini e cose ma li ripaga con una terra fertilissima, che si riempie, a giugno, di spighe gonfie di grano. La descrizione di questi luoghi è così accurata e preci-sa che il lettore ha quasi l’impressione di toccarli con mano: davanti a lui ci sono il fiume, le strade bianche, i paesi deserti che la sera si riempiono di uomini e donne

e, soprattutto, c’è il treno, che porta lontano dai pericoli della malattia ma, allo stesso tempo, sconvolge la vita tranquilla di coloro che, dopo averla vinta, abitano e lavo-rano queste terre. Le loro storie individuali, raccontate in brevi sequenze narrative, si intrecciano come in un mosaico, di cui la protagonista assoluta resta però sem-pre lei, la malaria (che non a caso dà anche il titolo alla novella), capace di unire in uno stesso destino di morte uomini, animali e cose…

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 1

Malaria Giovanni verGa

Verifica su “La struttura di un testo narrativo”

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Il messaggio del testoNell’ultima parte della novella l’attenzione di chi racconta si sposta sul treno, l’unica cosa capace di dare un senso di movimento e di vitalità a un paesaggio desolato, che accomuna tutto in un immobilismo che toglie il respiro. È il treno, infatti, l’unico elemento vitale, che spazza via, con il suo arrivo, modi di vita, tradizioni, gesti, movenze sem-pre uguali nel tempo e ormai consolidate: proprio per

questo Verga vuole mettere in guardia dai danni prodotti dallo scontro tra il mondo contadino e il progresso, che, in luoghi condannati all’immobilismo come questo, può solo avere gravi conseguenze (come dimostra la triste storia di “Ammazzamogli”, che ci aveva due nemici al mondo: la ferrovia che gli rubava gli avventori, e la malaria che gli portava via le mogli).

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Il titolo e il messaggio del romanzoIl romanzo, che nasce, dunque, da un flusso di ricor-di, ricostruisce uno spaccato della comunità ebraica della Ferrara della fine degli anni Trenta, che di lì a poco, a causa della guerra e delle persecuzioni razziali,

non sarebbe più stato lo stesso. Di questo mondo chi narra ha a cuore, in particolare, come evidenzia il titolo del romanzo, il giardino di casa Finzi-Contini, un luogo dalle magiche atmosfere fatte di serenità, di passeggia-

La struttura del testo: tra presente e passatoSiamo nel 1957: il narratore, che parla in prima persona, decide di fare una gita al mare con alcuni amici, tra cui ci sono una bambina di nove anni, Giannina, e i suoi genitori. Sulla strada del ritorno il gruppetto si ferma a Cerveteri (nel Lazio settentrionale) per visitare una necropoli etru-sca: proprio qui una frase di Giannina (anche gli etruschi sono vissuti… e voglio bene anche a loro) sconvolge il naturale andamento della fabula, dando il via a una narrazione che rievoca, in un intreccio che si muove continuamente tra presente e passato, gli anni della giovinezza del narratore, trascorsi nella città di Ferrara, e,

in particolare, l’affettuosa amicizia che ebbe con Micòl, appartenente all’aristocratica famiglia dei Finzi-Contini, che egli frequentò, insieme ad altri giovani ferraresi, nell’estate del 1938. In quell’anno, infatti, i Finzi-Contini, che fino allora avevano condotto una vita appartata, de-cisero di aprire la loro grande villa ai ragazzi ebrei che, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali1, non pote-vano più frequentare il locale circolo di tennis: tra l’uomo che racconta e la giovane e ribelle Micòl, nacque, così, un’affettuosa amicizia, intensa ma destinata a durare, tra alti e bassi, lo spazio di un’estate…

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 1

La necropoli etrusca GiorGio Bassani

Verifica su “La struttura di un testo narrativo”

1 Le leggi razziali, promulgate nel 1938, discriminavano gli Ebrei (ritenuti esseri inferiori in base a una presunta divisione dell’umanità in “razza ariana” e “razza non ariana”) rispetto agli altri cittadini italiani. Esse, tra l’altro, vietavano i matrimoni misti (cioè quelli in cui uno dei due coniugi non fosse ebreo), impedivano l’impiego di Ebrei in amministrazioni civili e militari, toglievano loro la possibilità di frequentare scuole pubbliche e associazioni sportive, li dispensavano dallo svolgere il servizio militare.

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te, di partite a tennis, di giochi di ragazzi e delle prime emozioni d’amore, che misero al riparo il narratore e i suoi amici, finché fu possibile, dalle brutture della guerra. Questo mondo, che è stato stravolto a suo piacere dal futuro, come quello degli Etruschi che l’ha richiamato alla memoria, ha avuto un triste destino: le sequenze rifles-sive sul valore della tomba spiegano infatti al lettore che il passato, se affidato a una tomba (come quella della famiglia Matuta) che ne perpetui il ricordo, può rivivere almeno per un attimo (per esempio nelle sequenze narrative e descrittive in cui chi racconta s’immagina le

antiche famiglie etrusche che s’inoltrano tra le tombe a cono per visitare il cimitero suburbano, nella speranza – anzi, pazzia – che lì nulla sarebbe mai cambiato); se invece esso non è tutelato nemmeno dall’unico luogo che lo possa preservare, è destinato a morire per sem-pre, a meno che non sia protetto dall’affetto dei vivi (e proprio per questo la voce narrante prova a salvare il ricordo della famiglia Finzi-Contini, destinata, forse, dalla vergogna di questa pagina della storia, a non aver trovato nemmeno una sepoltura qualsiasi).

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La struttura del racconto e il ruolo del narratoreIl primo elemento che risulta evidente, leggendo il raccon-to, è la sfasatura tra fabula e intreccio: nel testo, infatti, gli eventi non sono narrati nell’ordine in cui si sono svolti, ma con un continuo andirivieni nel tempo (prima è presentato l’Inglese, poi il viaggiatore che, a causa della piena di un torrente, è costretto a chiedergli ospitalità per la notte e infine è raccontata la storia della cicatrice, che, ovviamente, è precedente all’epoca in cui è ambientato il racconto). Non solo. Pochi scrittori hanno la capacità di stupire il lettore come sa fare Borges: egli, in particolare, è un vero maestro della tecnica del racconto nel racconto, che in questo caso determina la scelta di creare due narratori, entrambi interni al racconto, e uno schema narrativo (a cornice) che può essere così schematizzato:

Il I narratore (anonimo) incontra il II narratore (l’In-glese), un uomo solitario e misterioso Il II narratore racconta al I narratore (che diventa, dunque, il narratario e che, solo nel finale, rivela indi-rettamente la sua vera identità, che è quella dell’autore reale) la storia di Vincent Moon

Il narratore racconta al lettore la sua storia (come e perché ha incontrato l’Inglese) la storia che l’Inglese gli ha raccontato a proposito di un certo Vincent Moon.

Il I narratore, dunque, quando racconta al lettore la sto-ria, sa già chi sia, in realtà, Vincent Moon: egli, di con-seguenza, potrebbe comportarsi come un narratore onnisciente, rivelando dettagli e particolari in grado di far capire il segreto nascosto dall’Inglese. Ma ciò non suc-cede (anzi, il narratore lascia intendere di sapere davvero poco dell’uomo di cui sta parlando, riferendo addirittu-ra informazioni che ha attinto da altri: dicono che fosse severo… dicono anche che si ubriacasse…), perché in questo modo lo scioglimento giunge davvero inaspet-tato e sorprende il lettore, che si accorge che il narratore non ha mentito (cosa che guasterebbe il patto narrativo che è alla base di ogni racconto), ma ha semplicemente narrato la storia assecondando il falso punto di vista del narratore di secondo grado, che ha indotto il narratario (e con lui il lettore) a credere a cose che erano vere ma distorte, perché presentate non attraverso gli occhi di Vincent Moon, ma attraverso quelli di coloro che lo vedevano in azione.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 2

Verifica su “C’è chi ascolta e chi narra”

La Formadella spada JorGe luis BorGes

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Lo scioglimento e il messaggio del testoLo scioglimento del racconto (inaspettato, aperto e am-biguo) lascia senza risposta alcune domande: che cosa farà il I narratore (ora narratario del racconto) dopo aver saputo chi ha davvero davanti a sé? Che cosa farà l’Ingle-se, dopo aver rivelato il suo segreto? E, soprattutto, qual è il vero significato di questo racconto? Questo tipo di scioglimento è tipico della scrittura di Bor-ges, che ama presentare la realtà come un intricato labi-rinto, cioè come un mistero che è difficile risolvere: in questo senso risulta particolarmente densa di significato la descrizione della villa in cui si nasconde Moon, scalci-nata, oscura, piena di perplessi corridoi e vane antica-mere, che alludono proprio, così come gli incompatibili

libri della biblioteca, ai tortuosi, complessi e forse inutili percorsi che caratterizzano la vita di ogni uomo. Ma lo scioglimento aperto suggerisce un’altra possibile lettura del testo, determinata dal contesto personale e storico in cui nacque questo racconto. Esso fu infatti scrit-to nel 1942, mentre il mondo cominciava la sua lunga e difficile lotta contro l’ideologia nazista: Borges, già malato agli occhi, si sentiva ai margini di questa lotta, impossibi-litato com’era ad agire concretamente nella storia. Di qui il suo rammarico e il suo rimorso, che si concretizzano nell’invito – sotteso al testo – a non aver paura e a non essere vigliacchi, per non scontare la propria codardia per tutta la vita…

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La diversa focalizzazione…Questo romanzo di Elsa Morante s’inserisce in un nutrito filone narrativo dedicato alla seconda guerra mondiale e, in particolare, alla fase della Resistenza. La grande novità che l’ha reso famoso e che ne ha decretato il notevole successo, trasformandolo in un best seller degli anni Set-tanta del Novecento, è legata alle modalità con cui avvie-ne la narrazione: il romanzo, infatti, per buona parte narra la realtà del conflitto attraverso lo sguardo del piccolo Useppe, un bambino di soli cinque anni che ha la guerra nel sangue, dal momento che è nato in seguito allo stu-pro della madre da parte di un soldato tedesco ubriaco. Nel romanzo si possono dunque distinguere due diver-se prospettive narrative. Il narratore, infatti, chiaramente esterno alle vicende, racconta nei toni e nei modi che gli sono propri (per esempio correggendo le impressioni del bambino – (era, in realtà, un pàmpino di vite, a non molta distanza)… in realtà, questi due non canarini dovevano essere, ma piuttosto lucherini… – e con qualche vocabolo di tono poetico – è il caso di tramato di ombre, incrociata

di fossatelli scintillanti… –); molto spesso, però, egli pre-ferisce adottare la focalizzazione interna (che, nel passo proposto, si estende – a tratti – anche a Nino, il fratello più grande di Useppe), per presentare la realtà esattamente come essa appare agli occhi dei personaggi. In queste pagine, per esempio, Nino, un ragazzo sempli-ce che vorrebbe tentare la fortuna in America, riesce a trasformare in gioco il suo scrutare il cielo in cui passano aerei di guerra (cosicché anch’egli può esclamare, con lo stesso entusiasmo del fratellino, “Ciài indovinato! quello là è il mare!”); Useppe, che non è mai stato in campagna, vive la realtà del casolare diventato una base partigiana come se tutto facesse parte di una straordinaria avventura, in cui si parla con gli animali (il mulo e gli uccellini) e si scoprono mille cose nuove, raccontate non solo con lo sguardo stupito del bambino (che vede addirittura gli uc-cellini chiacchierare assieme e sbaciucchiarsi) ma anche, per una chiara esigenza di realismo, con il suo stesso lin-guaggio (LAMERICA… Ninielli… Eppetondo…).

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 2

… e il messaggio del testoLa particolare struttura narrativa adottata dalla Morante ha lo scopo di mettere il più possibile in risalto la tesi che l’autrice si propone di diffondere con questo roman-zo. Ella è infatti convinta che la storia sia uno scandalo che dura da diecimila anni, perché si accanisce so-prattutto contro chi è più debole e indifeso o contro

chi ama troppo la vita: come ha avuto modo di sotto-lineare un noto scrittore, Carlo Sgorlon, “la Morante ha scritto un romanzo storico in cui un vasto solco divide gli umili e i puri di cuore dai potenti che scatenano le guerre e le persecuzioni” per dimostrare l’incolmabile distanza che c’è tra chi fa la storia e chi la subisce.

Verifica su “C’è chi ascolta e chi narra”

La Fantastica avventuradi useppe elsa morante

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Le molteplici spiegazioni di una disgraziaL’ambientazione della novella nella realtà paesana del-la Sicilia non deve trarre in inganno: Pirandello sceglie di ricostruire con attenzione uno spaccato naturale e umano che rimanda alla Sicilia dei suoi giorni, ma non certo per offrirne un ritratto fedele, alla maniera ver-ghiana, quanto piuttosto per creare un ambiente adatto alla presentazione di personaggi che hanno l’importante compito di illustrare la sua concezione della vita. In questa novella, infatti, il lettore è inserito, in medias res, in una vicenda che ha dell’incredibile: egli si trova, di notte, in un paesino della Sicilia, che fa da sfondo a una vera e propria tragedia, la scomparsa di un bambino ancora in fasce, annunciata da urla, non si sa se di bestia o umane. Ma la tragedia è ancora più tremenda perché chi ha rapito il neonato ha lasciato al suo posto un altro bambino, deforme e malato.Il lettore resta subito disorientato e confuso: a far chiarez-za non lo aiuta certamente la voce dell’io narrante, che adotta, per riferire gli avvenimenti, una strana instabi-lità di punti di vista. Ognuno, infatti, dice la sua sul mi-sterioso episodio: la madre e le comari del paese sono fermamente convinte che la scomparsa del piccino e la sostituzione con un mostriciattolo siano dovute alla catti-veria delle “Donne”, pericolose e cattive streghe dell’aria; il narratore, più razionalmente, ritiene che il bambino, duran-te la notte, sia stato vittima di un attacco di paralisi infantile, mentre il padre, più prosaicamente, pensa che la moglie lo abbia ingannato per nascondergli la morte del figlio. Gli eventi della novella, dunque, pur riferiti da un uni-

co narratore che è per di più un testimone diretto degli eventi (e, di conseguenza, nella condizione migliore per narrare!) non sono filtrati e ordinati attraverso una sola voce narrante, ma dispersi e frammentati in più punti di vista, ognuno vero per colui a cui appartiene ma inconcepibile e incomprensibile per gli altri. La focalizzazione interna multipla è la strada scelta dall’autore per proporre diverse interpretazioni della stes-sa realtà: essa consente a Pirandello di dimostrare uno dei punti di forza del suo pensiero, la convinzione che sia impossibile, per gli uomini, avere la medesima visione della realtà perché ciascuno la valuta dal suo punto di vista, sulla base delle proprie esperienze che, proprio perché individuali e strettamente personali, non possono essere né condivise né capite dagli altri. Così la madre e le donne del paese, che si nutrono di supersti-zione, leggono l’accaduto come un episodio di magia, la maga, che vive di magia ma che sa il fatto suo, lo usa per arricchirsi e per dare un avvenire a un povero infelice, il narratore, persona di un discreto livello culturale, perde il suo tempo cercando di far capire che esiste una chiara ed evidente spiegazione medica e scientifica in grado di giustificare l’accaduto…Tutto inutile. Ognuno resterà con il proprio punto di vista, ma per tutti varrà un’unica e inconfutabile certezza, quella della vita, che continuerà, con i suoi dolori, le sue brutture, le sue sofferenze, tristemente esemplificate dalle condizioni di vita del figlio cambiato, a infierire su queste povere creature…

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 2

Verifica su “C’è chi ascolta e chi narra”

Il FiGlio camBiato luiGi pirandello

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L’importanza delle sequenze dialogateQuesta novella, scritta nel 1902, ha avuto una felice tra-sposizione teatrale: Pirandello, infatti, tra il 1930 e il 1932 l’ha trasformata in un testo teatrale intitolato La favola del figlio cambiato, andato in scena con un discreto succes-so nel 1934.Questo passaggio non deve stupire, perché la novella pirandelliana nasce già con una forte impronta tea-trale, come dimostra la presenza di numerosi dialoghi, che non hanno solo la funzione di far conoscere meglio i personaggi ma anche quella (che li avvicina al teatro) di far evolvere la narrazione: si pensi, per esempio, alla forza espressiva e narrativa delle brevi sequenze dialo-gate poste all’inizio della novella (- Rubato! E chi gliel’ha rubato? – Le “Donne” – Le donne? Che donne?), che

informano dell’accaduto in maniera rapida, essenziale, precisa, dando anche contemporaneamente l’idea dello stupore del narratore, oppure alle sequenze che riferisco-no in modo diretto i discorsi concitati delle donne (per esempio Uh, ne facevano tanti, di quei dispetti, alle po-vere mamme!…), che conservano il colore popolare di chi le pronuncia.È dunque evidente che Pirandello, nelle novelle, descri-ve e fa agire i suoi personaggi come se li vedesse già muovere sul palcoscenico, consapevole del fatto che tra palco teatrale e palco della vita il confine è assai labile, essendo noi poveri mortali delle semplici ma-schere costrette a recitare una parte per tutta la durata della nostra esistenza…

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Una novella siciliana

Il ruolo del narratore

Questa novella s’inserisce, apparentemente, nella cor-rente del Verismo, perché presenta uno spaccato della dura vita dei siciliani che vissero verso la fine dell’Ot-tocento, proprio come faceva il massimo esponente del Verismo italiano, Giovanni Verga: il racconto è infatti am-bientato in una zolfara, in cui lavorano e agiscono uomini e ragazzi (i carusi) abbrutiti dalla fatica, dalla durezza del lavoro e dalla miseria.

In realtà ci si accorge ben presto che l’intento di Pirandel-lo non è, come per Verga, quello di documentare la lotta per la sopravvivenza in una situazione di sofferenza e di degrado, ma piuttosto proporre il ritratto di un perso-naggio, Ciàula, che invita a meditare sulla vita e sulle sofferenze che essa porta con sé, alla ricerca di una pos-sibile – anche se effimera – consolazione.

Nel conseguimento di questo scopo è fondamentale il ruolo del narratore, che è esterno, onnisciente e decisa-mente lontano dalla mentalità e dai comportamenti dei personaggi che ritrae nel suo racconto (egli, infatti, giudica con una certa superiorità tutti i personaggi, sia quelli più umili che quelli più “importanti”: Zi’ Scarda, si sa, quel povero cieco d’un occhio, sul quale Cacciagalli-na poteva far bene il gradasso). Proprio questa lontananza permette al narratore di re-lazionarsi alla vicenda in modo distaccato (evitando, cioè, una partecipazione emotiva che ridurrebbe l’ap-proccio a un puro senso di pietà per lo sventurato pro-tagonista) e di indirizzare il lettore verso una corretta interpretazione dei fatti narrati e dei personaggi con commenti e osservazioni espliciti, che servono a spiegare

comportamenti che potrebbero essere fraintesi (Ma no: Zi’ Scarda, fisso in quel suo strano atteggiamento, non si burlava di loro, né faceva una smorfia a Cacciagallina) oppure atteggiamenti che solo un narratore onnisciente può saper motivare e giustificare (per esempio perché Ciàula si muova perfettamente a suo agio nella tenebra fangosa delle profonde caverne, in cui è sempre vissuto, al punto di avvertirle come l’alvo materno, e perché sia invece così impaurito dal buio della notte, legato al trau-ma che ha subito in occasione dello scoppio della mina). Pirandello, insomma, vuole che il lettore comprenda che Ciàula non è il simbolo del siciliano sfruttato e vessato dai padroni della miniera, che si approfittano di un essere debo-le e indifeso, ma di un uomo qualunque che sopravvive alla fatica del vivere e che a un tratto, per caso (e il caso

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 2

Verifica su “C’è chi ascolta e chi narra”

Ciàula scoprela luna luiGi pirandello

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ha, nella narrativa pirandelliana, un ruolo importantissimo), trova consolazione nell’improvvisa e inaspettata apparizio-ne della Luna (con la maiuscola, proprio come se si trattasse di una divinità), che lo ripaga della fatica di vivere, mostran-dogli, per un attimo, un mondo luminoso, puro, infinito, da cui egli, fino a questo momento, è sempre stato escluso.

In questo modo Pirandello prova a fornire, ai suoi simili, un messaggio di speranza: se non si può eliminare la bruttura del vivere, si può almeno provare a trovare una speranza di consolazione, che possa, anche se solo per un attimo, riuscire a farci scordare la negatività che ci cir-conda.

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I pensieri di una donna insoddisfattaNel passo proposto ha una grande rilevanza la descri-zione delle sensazioni che lentamente s’insinuano nella vita di Emma: la rabbia e il rimpianto per ciò che non ha (e non avrà), la noia e la tristezza determinate dalla ripetitività di giorni sempre uguali, l’insoddisfazione per la propria vita, la cessazione della speranza che le cose pos-sano, un giorno, cambiare, la malinconica solitudine, la delusione nei confronti del marito, che si dimostra mol-to al di sotto delle aspettative, perché Emma, abituata a pensare agli eroi dei romanzi, si rende conto che egli non potrà mai essere come loro. La vita, insomma, appare a Emma come un profondo e irreversibile conflitto tra ciò che ha e ciò che vorrebbe avere: di qui le ansie, i tormenti, l’angoscia che la divorano ogni giorno di più.Il narratore (che, per lasciare libero campo a Emma e ai suoi pensieri, i veri protagonisti del passo, sceglie di esse-re il più possibile assente dalla narrazione, cioè esterno e

nascosto) riferisce queste sensazioni e questi sentimen-ti con estrema precisione grazie

■ alla sua perfetta conoscenza del personaggio (egli, in-fatti, essendo onnisciente, è al corrente di ogni suo pensiero, anche di quelli più inconfessati e segreti: si persuase facilmente che nella passione di Charles per lei non vi era nulla di eccessivo)

■ all’utilizzo, soprattutto nella parte centrale, della fo-calizzazione interna, per presentare la realtà proprio come la vede Emma (lei cominciava con il guardarsi intorno… ritrovava al loro posto le digitali…)

■ al frequente ricorso al discorso indiretto libero, che permette di conoscere i pensieri di Emma in tutta la loro spontaneità e immediatezza (Non insegnava nul-la, Charles, non sapeva nulla Charles, non immagina-va nulla Charles).

Analisi del testo

Le ragioni delle scelte narrative Il ritratto di questa figura femminile nasce per asseconda-re l’idea che sta alla base della scrittura di Flaubert: egli è infatti convinto del fatto che un romanzo debba essere in grado di ricostruire una verità (in questo caso enun-ciata nel sottotitolo, “Costumi di provincia”) che deve essere preparata con scrupolo e rigore documentari

(motivo per cui l’autore studiò a lungo, prima di iniziare la stesura dell’opera, il mondo della provincia francese, per imparare a coglierne sfumature, genesi dei compor-tamenti, problemi e difetti). In questo scenario, ricostruito con precisione, si devo-no muovere, secondo lo scrittore, delle figure altrettanto

Modulo 1 • Unità 3

Verifica su “I personaggi, le loro parole e i loro pensieri”

L'inFelice matrimoniodi emma Gustave FlauBert

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vere e credibili (e dunque dei personaggi a tutto tondo): esse hanno il compito di dimostrare il condizionamen-to che gli esseri umani subiscono dall’educazione rice-vuta, dall’ambiente in cui vivono, dall’ereditarietà del carattere.

Per tutti questi motivi Flaubert può essere a buon dirit-to considerato il precursore della narrativa naturalista, che si proporrà di indagare e di rappresentare con fedeltà i meccanismi e le leggi che sono alla base della società e degli individui che la formano.

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Il protagonista-narratore…Questo romanzo, ambientato nella comunità ebraica di Ferrara all’epoca delle leggi razziali1, è narrato in prima persona dal protagonista, che rievoca un’estate di molti anni prima.Siamo nel 1938. Il narratore-protagonista (che resta ano-nimo per l’intero romanzo) è un giovane studente di Lettere che trascorre le vacanze estive ospite della fa-miglia Finzi-Contini, che ha messo il parco e il campo da tennis della sua villa a disposizione dei giovani ebrei ferraresi cacciati dalle associazioni sportive. Il narratore, assiduo frequentatore della casa, si è perdutamente in-namorato di Micòl Finzi-Contini, una ragazzina dal ca-rattere sensibile (ma contemporaneamente anche molto determinata nel farsi valere) che a tratti sembra ricambia-re il suo interesse, a tratti, invece, lo respinge bruscamen-

te, infastidita dalla sua gelosia e possessività.Il passo proposto contiene proprio la narrazione di que-sto rifiuto, che, essendo rievocato a distanza di tempo, è rivissuto con il “senno di poi”, che consente all’io narrante di valutare i fatti con la giusta serenità e il dovuto distacco. Egli può così riflettere sui momenti del passato con maggiore consapevolezza, per compren-derli meglio (il narratore, per esempio, riesce a cogliere perfettamente il momento in cui ha sbagliato mossa nei confronti di Micòl – Fu qui, però, che sbagliai – confer-mando i sospetti che aveva già avuto all’epoca) e per osservarli e giudicarli da una nuova prospettiva (che gli consente di capire, per esempio, che il suo corteggia-mento era un noioso, assurdo, eterno assedio, opinione che certamente non appartiene all’io narrato!).

… e la deuteragonistaMicòl, raffinata, colta, anticonformista, determinata e iro-nica, è una delle prime eroine dei romanzi del Novecento dotata di una forte personalità: è lei, infatti, a condurre il gioco di seduzione del protagonista, è lei a gestire il rap-porto con il fratello e gli altri amici del gruppo del tennis, è lei, insomma, a scegliere per sé e per la propria vita. Ma Micòl è anche attraversata da paure e da tristi pre-

monizioni per la situazione che si profila all’orizzonte (e, in effetti, sarà deportata in Germania con la sua famiglia e di lei non si saprà più niente): Micòl, insomma, è una figura a tutto tondo, una degna deuteragonista per un personaggio complesso e tormentato come il narratore-protagonista che, rispetto a lei, appare giovane, inesper-to, immaturo e profondamente insicuro.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 3

Verifica su “I personaggi, le loro parole e i loro pensieri”

Il riFiuto di micol GiorGio Bassani

1 Le leggi razziali, promulgate nel 1938, discriminavano gli Ebrei (ritenuti esseri inferiori in base a una presunta divisione dell’umanità in “razza ariana” e “razza non ariana”) rispetto agli altri cittadini italiani. Esse, tra l’altro, vietavano i matrimoni misti (cioè quelli in cui uno dei due coniugi non fosse ebreo), impedivano l’impiego di Ebrei in amministrazioni civili e militari, toglievano loro la possibilità di frequentare scuole pubbliche e associazioni sportive, li dispensavano dallo svolgere il servizio militare.

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Le parole e i pensieri dei personaggi

Le scelte espressive

L’autore ha utilizzato diverse tecniche per riferire le paro-le e i pensieri dei personaggi: nel passo proposto sono infatti presenti discorsi diretti (“Adesso basta”, disse), discorsi diretti liberi (“Arrivederci. Vieni, domani?” “Do-mani non so. Vediamo”), discorsi indiretti (Aggiunse che il mio modo di condurmi da molto tempo in qua non era dignitoso) e discorsi indiretti liberi (Macché: appena potevo, io, al contrario, le venivo addosso con baci e altro…), questi ultimi in grado di mantenere la forza e l’autenticità dei pensieri dei personaggi (si pensi al monologo in cui Micòl rimprovera al narratore il suo comportamento: esso è pieno di esclamazioni e di pro-posizioni interrogative retoriche, che mantengono intatto

– e rappresentano perfettamente – il tono stizzito che ha la ragazza mentre pronuncia queste parole). In alcuni punti del testo vi è un uso davvero originale di questi espedienti, in particolare per quanto concerne il loro accostamento: l’autore, infatti, apre i dialoghi facen-do in modo di presentare una battuta di dialogo diretto in risposta a un discorso indiretto libero (Secondo me, qualcuno di mezzo c’era, invece, o perlomeno c’era sta-to, a Venezia, durante l’inverno. “Ti ripeto per l’ennesima volta che ti sbagli” diceva Micòl), per dare l’impressione dei pensieri che si trasformano in parole o per animare la discussione (proponendo solo le parti dei discorsi che ritiene meritevoli di uno spazio più ampio).

Bassani ha scelto, per il suo romanzo, una lingua carat-terizzata da un lessico quotidiano, che tende ad avvi-cinarsi al parlato (come dimostrano espressioni come balle, immusoniti, trescare…) nelle parti che riferiscono i dialoghi tra i personaggi, e a innalzarsi un po’ in quelle che sono pronunciate dal narratore (come dimostrano alcuni vocaboli “preziosi” – melanconico, insolentirla… – e la sintassi più complessa). Così facendo egli riesce a rendere credibili i personaggi e il narratore attribuendo a ciascuno il giusto modo di esprimersi; è dovuta a questo intento anche la presenza

di alcuni vocaboli stranieri o italianizzati (per esempio hütte e bai-bai), che cercano di ricreare l’atteggiamen-to un po’ snob della famiglia Finzi-Contini.Interessante, infine, l’impiego del corsivo, che l’autore, sempre per l’esigenza di realismo che lo contraddistin-gue, utilizza per sottolineare la pronuncia enfatizzata di alcuni vocaboli da parte dei personaggi (per esempio nell’espressione tanto so anche chi è la persona, dove il corsivo lascia intendere la malizia con cui il protagonista pronuncia questa parola, per far capire a Micòl che egli ha più di un sospetto sul suo presunto rivale).

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Lo scavo interiore… Queste pagine costituiscono un chiaro esempio della scrittura di questo grande autore russo: il dato più rile-vante e innovativo è senza dubbio costituito dall’innega-bile capacità di penetrare nelle profondità dell’animo del personaggio, per portare alla luce, con lucidità, ogni suo piccolo dettaglio e sfaccettatura e farne, di conse-guenza, una figura a tutto tondo. L’uomo che sta parlando si presenta a un ipotetico pub-blico con un lungo monologo in prima persona, in cui dà l’impressione di essere spietatamente sincero (ammette, per esempio, di essere stato villano e di averci provato gu-sto) e determinato a offrire, di sé, un’immagine precisa, magari persino eccessiva per chi lo ascolta. Egli, in modo certamente un po’ presuntuoso, lascia infatti intendere di non avere molta fiducia nelle potenzialità del narratario (questo probabilmente voi non lo capirete, ma io inve-

ce lo capisco), ma di voler ugualmente parlare di sé per un certo compiacimento che prova nel sentirsi superiore e nel sottomettere gli altri (Lui non voleva assolutamente sottomettersi). Così egli svela quello che l’autore definisce il sottosuolo, ossia quell’insieme di caratteristiche com-portamentali che costituiscono la personalità nascosta di ogni individuo: in questo caso il protagonista ammette, per esempio, di provare rifiuto – e, in taluni casi, addirittura odio – nei confronti dei propri simili, cosa che lo induce a chiudersi in se stesso e a diventare cattivo ed egoista, salvo poi correggersi per ammettere, molto più banalmen-te, il proprio fallimento esistenziale (non sono riuscito a diventare niente di niente), giustificandolo, però, con l’i-nadeguatezza dei tempi (una persona intelligente, nel di-ciannovesimo secolo, deve, anzi è moralmente obbligata a diventare un essere essenzialmente privo di carattere).

Analisi del testo

… e gli strumenti del narratoreAnche questo personaggio, come tanti eroi dostoevskiani, è dunque un uomo complesso, tormentato, inquieto e irrazio-nale; lo scrittore riferisce il suo travaglio interiore avvalendosi di tutti gli strumenti che ha a disposizione per presentarlo nel modo più realistico e diretto possibile: di qui

■ l’uso della prima persona singolare (con il conse-guente rapporto tra io narrante e io narrato)

■ la scelta della focalizzazione interna al personaggio

■ l’utilizzo del monologo

■ la presentazione dei pensieri in modo contorto (per esempio con contraddizioni) e con il tempo misto

■ la prevalenza della paratassi (particolarmente adatta a raccogliere e a proporre le impressioni e le sensazio-ni che il protagonista desidera comunicare al lettore)

Modulo 1 • Unità 3

Verifica su “I personaggi, le loro parole e i loro pensieri”

Il protaGonistasi presenta Fedor m. dostoevskiJ

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tutti espedienti che consentono al personaggio di entrare davvero in contatto con il lettore, che ha l’impressione di ricevere le informazioni da un amico.Il monologo, inoltre, è ricco di proposizioni interrogative retoriche (Ma sapete, signori miei, dove stava il punto essenziale di tutta questa mia cattiveria?… Ma forse, si-gnori miei, vi sembra che io mi penta di qualcosa davan-

ti a voi, che vi chieda perdono di qualcosa?) che hanno una duplice funzione: da un lato vogliono dare l’impres-sione della presenza di un narratario, che ha il compi-to di ascoltare le confidenze del protagonista, dall’altro “muovono” il racconto, che altrimenti rischierebbe di risultare monotono.

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Una strana indagine… Il commissario Montalbano è un poliziotto certamente poco convenzionale: amante della cucina, lettore at-tento e appassionato, ironico, brusco, a volte scorbutico, sbrigativo nei modi e poco ortodosso nei metodi (come dimostra il pugno con cui mette a K.O. il diavolo!), pre-ferisce lavorare da solo o, al massimo, appoggiandosi a pochi collaboratori, in particolare il suo vice, Domenico

(detto Mimì) Augello, e l’efficientissimo ispettore Fazio. Il suo metodo d’indagine è basato sull’intuito: Montal-bano, attento osservatore della realtà che lo circonda, ne scruta le pieghe e i dettagli per cercare di comprenderne ogni sfaccettatura, sicuro che la soluzione del mistero po-trà arrivare proprio da lì.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 4

Verifica su “Il tempo”

L’odore del diavolo andrea camilleri

… e i suoi tempiLa spaventosa esperienza toccata alla signora Antoniet-ta (nientedimeno che le visite del diavolo in persona!) è raccontata senza alcun rispetto della fabula: l’acca-duto è infatti riferito da uno dei personaggi (la signora Clementina) per mezzo di flashback, che s’inseriscono nella scena del pranzo. Il primo, più breve, mette al cor-rente di ciò che è successo il giorno precedente; il secon-do, più lungo, ricostruisce, invece, tutto l’antefatto. Esso, annunciato da una battuta della donna (per dirmi che ha sentito nuovamente il feto del diavolo), ha la funzione di stuzzicare la curiosità del commissario (pronto a cogliere l’invito indiretto al racconto dell’accaduto: Perché m’ha detto che la sua ex maestra ha sentito “nuovamente”?) e si chiude esattamente dove era cominciato, rivelando il ritorno a una situazione che si credeva finita per sempre (E ora la storia sta ricominciando para para). Sia la ricostruzione dell’accaduto sia la narrazione degli

sviluppi della vicenda sono caratterizzati dall’utilizzo di due altre importanti tecniche di presentazione del tem-po della storia, l’ellissi (per esempio Dopo una quinni-cina di giorna che tutto pareva tornato normale… Due giorni appresso però Montalbano telefonò di matina alla signora Clementina) e il sommario (per esempio era stata costretta a passare due notti assittata sullo scalino… stavolta travagliò molto bene, gli bastò una sola nottata), che permettono di sorvolare sui tem-pi “morti” (che non presentano, cioè, fatti rilevanti né ai fini dell’apparizione del diavolo né per l’indagine) e, soprattutto, di tacere al lettore la soluzione del miste-ro, che gli è proposta, a sorpresa, nello scioglimento, direttamente con la cattura del colpevole da parte dell’ef-ficientissimo Montalbano, che ha capito, semplicemente ascoltando con attenzione il racconto della signora Cle-mentina, come si possono essere svolti i fatti.

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Il lessicoUno degli aspetti più interessanti della prosa di Camille-ri è certamente costituito dal lessico, che nasce da una strana mescolanza d’italiano e siciliano: questa scelta, dopo un primo (e comprensibile!) momento di disorien-tamento, immerge il lettore nella realtà isolana, rendendo

la narrazione più credibile e coinvolgente, anche per-ché quest’originale impasto è usato sia per i dialoghi, che risultano ancora più vivi, sia per le parti narrative, che ne ricevono altrettanta immediatezza.

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Un’atmosfera da brivido…Il narratore (che coincide con il protagonista, scelta par-ticolarmente felice per un romanzo d’avventura, perché consente la facile immedesimazione del lettore e il suo coinvolgimento nei fatti narrati) è un ragazzino, Jim Hawkins, che si trova improvvisamente trascinato nel mondo dei pirati poiché viene casualmente in possesso di una mappa che indica dove il pirata Flint ha nascosto tutto il bottino che ha accumulato in anni di razzie. Il passo proposto presenta proprio questo momento, che, essendo uno dei più importanti del romanzo, è pre-parato con estrema attenzione ai particolari. Non è un caso, per esempio, che il lettore avverta, nel paesaggio

notturno, un senso di mistero: la nebbia, la luce ros-sastra della luna, il freddo contribuiscono a tratteggiare un’atmosfera poco rassicurante per chi, come Jim e sua madre, sa di dover frugare nelle tasche di un cadavere…Allo stesso scopo contribuiscono anche le sensazioni uditive: il silenzio che avvolge luoghi e persone è a tratti interrotto da rumori minacciosi, come i rintocchi improv-visi della pendola (che scandisce il tempo che passa, avvicinando l’arrivo dei pirati alla locanda, previsto per le dieci di sera), il battito del bastone del cieco, il cigolio della maniglia…

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 4

Verifica su “Il tempo”

La mappadel tesoro roBert louis stevenson

… e la gestione del tempoLa narrazione non procede sempre allo stesso modo: il lettore attento si accorge, infatti, che il tempo del rac-conto si contrae o si dilata in rapporto agli avveni-menti narrati. Gli avvenimenti iniziali (l’avvicinamento alla locanda e l’entrata), per esempio, sono proposti in modo più rapido (un solo capoverso per ospitare un sommario che copre il tragitto che porta dal paese, dove Jim e la madre si sono rifugiati dopo la morte del pirata, alla loro locanda!) rispetto agli altri, emotivamente più coinvolgenti, dal mo-mento che madre e figlio si trovano ad avere a che fare con individui pericolosissimi e disposti a tutto. In questo caso il narratore ha deciso di intervenire sul tempo del

racconto, contraendolo rispetto a quello della storia, per lasciare in secondo piano dei momenti narrativi che han-no, rispetto al resto, decisamente poca importanza.Da quando l’atmosfera si fa più tesa (con l’ingresso nella locanda, buia, silenziosa e con il cadavere ancora al suo posto), Jim rallenta notevolmente il ritmo del suo racconto, soffermandosi a riferire, con dovizia di partico-lari e in scene-azione o scene-dialogo, ciò che egli e la madre fanno o dicono mentre cercano il denaro che il vecchio pirata doveva loro. Ma anche all’interno di questo momento narrativo esistono delle variazioni. È significa-tiva, per esempio, a questo proposito, la minuziosa de-scrizione che egli fa degli oggetti trovati nelle tasche del

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capitano e nella sua cassa: mentre si sofferma, con una scena-azione, sulla cura esagerata che la madre impiega per non prendersi più del dovuto (espediente narrativo che non solo ne elogia implicitamente l’onestà ma dif-ferisce anche il loro allontanamento dalla locanda, cosa che li esporrà al pericolo dell’arrivo dei pirati), Jim accen-na solo velocemente, con un breve sommario (dichiarai afferrando l’involto di tela cerata), al pacco che cela la mappa, che egli afferra solo per pareggiare i conti, ma che si rivelerà presto di fondamentale importanza per lo svolgimento dei fatti (e che proprio per questo ora non

deve catturare eccessivamente l’attenzione del lettore, per non rovinare l’effetto sorpresa).Infine, quando gli eventi precipitano (con l’arrivo del cieco e dei suoi degni compari, che creano un forte mo-mento di Spannung), ecco che la narrazione riacquista un ritmo veloce, questa volta per accrescere l’effetto suspense: i due, con un rapido sommario, scendono le scale a tastoni, lasciano la candela presso il baule vuoto e, dopo aver aperto la porta, se la danno a gambe, per poi fermarsi di nuovo, dopo una breve fuga, in attesa di ascol-tare (e poter raccontare!) gli sviluppi della situazione…

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La labilità dei ricordi Questo racconto fa parte di una raccolta, intitolata Molto dopo mezzanotte, che si muove tra passato, presente e futu-ro. In questo caso la narrazione si volge al passato, recupe-rato a causa di un improvviso ricordo suscitato da un oggetto qualunque, una forma di pan di segala che il narratore-prota-gonista vede in un localino per metà rosticceria e per metà tavola calda in cui si è recato con la moglie dopo il cinema.I due protagonisti, il signore e la signora Welles, sono, come accade nella maggior parte dei racconti di Bradbu-ry, delle persone comuni, che non hanno alle spalle vite eccezionali: per questo il ricordo è quello di una semplice gita al lago, compiuta dal protagonista molti anni prima, quando era giovane e spensierato, con alcuni amici.Il dato interessante è, però, che questa gita, a mano a mano che emerge dai ricordi, si rivela già pervasa da un senso di malinconia, del tutto incongruente con i prota-gonisti e la situazione: il tempo in cui essa si svolge, l’e-state, non ha, infatti, le sue tipiche connotazioni positive, perché i protagonisti sanno già che quello poteva essere

l’ultimo picnic che avrebbero fatto insieme.E così è stato. Fallito anche il proposito di rivedersi dieci anni dopo, di quei ragazzi resta, ora, solo il ricordo che, per un attimo, consente di rivivere il passato renden-dolo presente (ed è significativa la scelta del narratore di passare dai tempi narrativi ai tempi commentativi quan-do il protagonista si lascia invadere dai ricordi: i ricordi si riversarono su di lui… adesso… egli vede una forma di pan di segala… si trova trasportato nel passato). Ma, si diceva, il tempo della memoria (in cui ciò che è sta-to rivive davanti a noi con la freschezza e l’immediatezza di un tempo) può durare solo un attimo: il narratore, che usa la terza persona ed è esterno alla vicenda, riferisce con i tempi commentativi – altrettanto significativamente – anche i pensieri del personaggio, che è consapevole del fatto che dopo, l’università, il lavoro, il matrimonio vi dividono. È dunque per lui naturale, il mattino successivo, legare a quel pan di segala solo la difficile decisione del numero delle fette da mangiare per colazione…

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 4

Verifica su “Il tempo”

Il pan di seGala ray BradBury

Il tempoL’autore sceglie di non precisare il momento in cui si svolgo-no i fatti narrati, che coprono un periodo di tempo piuttosto breve (dalla notte alta alla colazione del giorno seguente): esso è però ricavabile da due indicatori temporali presenti nel testo (il signor Welles afferma che la gita si svolse nel 1910, quando avevo vent’anni e il narratore precisa due volte che da allora sono trascorsi quarant’anni: siamo, per-tanto, negli anni Cinquanta del Novecento).

Il tempo della storia, disposto sulla linea della fabula, è dunque molto ampio, perché parte dall’estate del 1910 per arrivare agli anni Cinquanta; l’intreccio, che procede per analessi, e il tempo del racconto, che comprende sommari ed ellissi, lo riducono però a poche pagine, in cui trovano posto numerose scene-dialogo e scene-azione, che si legano, non a caso, ai momenti in cui il protagonista enuncia le sue riflessioni più significative.

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L’importanza dei dialoghiI personaggi non sono presentati dal narratore in modo diretto: gli aspetti più indicativi del loro carattere traspaio-no, infatti, dai dialoghi. In particolare è importante notare che tutti i dialoghi diretti e diretti liberi hanno il compito di tratteggiare il carattere e il modo di essere dei personaggi (il marito svagato e sognatore, la moglie pratica e decisa) mentre gli indiret-

ti liberi servono per far emergere le considerazioni del protagonista, che, riferite dal narratore come da lui condi-vise (Tra venticinque anni, un suo ritratto di com’era allora sarebbe parso strano ai suoi figli proprio come lo era ai suoi occhi quello di suo padre: così incredibilmente gio-vane, un estraneo venuto dall’ignoto, dal tempo che non ritorna), forniscono la vera chiave di lettura del racconto.

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Un amore e una tempestaI protagonisti di questa complicata vicenda, ricca di colpi di scena, sono tipici eroi romantici: belli, innamorati e tormentati. Mar’ja, infatti, una bella ragazza che è cre-sciuta divorando romanzi d’amore francesi, vive il senti-mento d’amore (dapprima per il semplice alfiere Vladìmir e poi per Burmín) come una delle storie che ha letto nei libri, con un attaccamento alla realtà ideale (a scapito di quella reale) che contraddistinse tutto l’Ottocento ro-mantico; Burmín, come tutti i grandi eroi della letteratura del periodo, è forte e coraggioso (è un ufficiale degli us-sari), bello, misterioso e di nobili origini; il povero alfiere, infine, è il prototipo di un’altra categoria di eroi romantici,

le vittime, che, come lui, vivono un’esistenza infelice che non può che concludersi con la morte.Il caso, incarnato dalla tempesta di neve, scombina e rimescola le vicende delle storie d’amore di cui essi sono protagonisti: il narratore onnisciente osserva dall’al-to e con un atteggiamento ironico (evidente, per esem-pio, quando sottolinea che la febbre di Mar’ja non va attribuita all’amore ma al freddo preso durante la notte) il loro correre e affannarsi nella neve, perfettamente con-sapevole del fatto che ciò che il caso ha deciso avverrà comunque, indipendentemente dalla volontà e dalle in-tenzioni dei personaggi.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 4

La struttura del raccontoLa bellezza e la felice riuscita di questo racconto non sono dovute solo alla storia, ma anche – e soprattutto – alla struttura narrativa che Puskin ha scelto per rac-contarla, che si basa su due punti di forza: la sfasatura tra fabula e intreccio (e la conseguente gestione del tempo della storia e del tempo del racconto) e il ruo-lo del narratore.

■ Il racconto si apre con una specie di prologo che ha la funzione di introdurre i personaggi (Mar’ja e Vla-dimir) e di raccontare, con una chiara coincidenza tra fabula e intreccio, ciò che è successo in precedenza (i due ragazzi si amano ma non possono realizzare il

loro sogno d’amore perché appartengono a due classi sociali diverse: per questo hanno deciso di sposarsi di nascosto). Lo spazio narrativo dedicato a questi fat-ti varia secondo la loro importanza: così, avvenimenti che durano mesi (l’innamoramento) sono condensati in poche righe e altri (i preparativi delle nozze segrete), che durano un giorno, sono narrati in modo più esteso

■ a questo punto si verifica l’evento che altera l’equi-librio iniziale: lo scoppio della tempesta di neve. Il narratore racconta le peripezie del giovane innamo-rato; con un’evidente e consistente ellissi narrativa, omette invece completamente ciò che capita alla

Verifica su “Il tempo”

La tempestadi neve aleksandr puskin

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I tempi verbali

ragazza: questo espediente gli consente non solo di non dilungarsi nella narrazione, ma anche di creare la suspense che permetterà, nello scioglimento, di rivela-re i sorprendenti avvenimenti che hanno determinato un… cambio di sposo

■ la narrazione riprende con i fatti accaduti durante la mattina successiva al mancato matrimonio; dopodiché il narratore, tramite una serie di ellissi e di somma-ri, riassume in una decina di righe gli avvenimenti di alcuni mesi: la malattia di Mar’ja, l’abbandono di Vladimir, il trasferimento in un’altra città, il ristabilimen-to di un equilibrio, interrotto dall’arrivo di un nuovo personaggio, Burmín. Dopo il racconto dell’interesse che i due cominciano a provare l’uno per l’altra, in cui fabula e intreccio tornano a coincidere, il narratore rivela, finalmente, con una lunga retrospezione affi-data a Burmín, ciò che è accaduto durante la notte della tormenta. Nella scena finale, che costituisce lo scioglimento della vicenda, i due si riconoscono e si preparano all’ovvio lieto fine

■ l’autore, dunque, ha sapientemente giocato col rappor-to tra fabula e intreccio e con quello tra tempo della storia e tempo del racconto, lasciando ampio spazio ai fatti relativi alla tormenta, che sono minuziosamente narrati in un cospicuo numero di righe, ma omettendo (o semplicemente differendo) la narrazione di fatti altrettan-to importanti, espediente che gli ha consentito di creare un effetto suspense e il colpo di scena finale

■ tutto ciò è stato possibile solo perché il narratore è onnisciente: mentre i singoli personaggi conoscono, di questa complessa storia, soltanto la piccola porzione di cui sono stati protagonisti (Mar’ja sa di essersi spo-sata ma non sa con chi; Burmín sa di essersi sposato, ma non sa con chi; Vladimir sa che Mar’ja si è sposata ma non sa con chi; i genitori pensano che Mar’ja abbia trascorso la notte nel suo letto…), il narratore conosce fin dall’inizio quello che è accaduto a ciascuno di loro, cosicché egli può scegliere di raccontarlo a suo piaci-mento (Affidata la signorina alle cure della sorte… volgiamoci al nostro giovane amante).

Nel racconto si alternano due tempi narrativi, il passato remoto e l’imperfetto, il cui impiego è giustificato dal fatto che la narrazione si situa nel passato. In realtà essi non hanno lo stesso valore: il passato remoto è infatti utilizzato per raccontare le azioni che si sono concluse, mentre l’imperfetto per presentare

quelle che sono in corso di svolgimento (il cavallo camminava alla ventura e ogni momento o entrava in un mucchio di neve, o affondava in una buca) oppure per riferire sentimenti e sensazioni (Ella non poteva non riconoscere che gli piaceva molto).

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L’importanza dello spazio

Una tragica visione della vitaLa lotta per la sopravvivenza è uno dei temi più cari alla narrativa di London: in un mondo che o è o assomiglia sempre di più a una foresta, non c’è spazio, secondo l’autore, né per la fratellanza, né per la solidarietà, né per la pietà, ma solo per affermare se stessi, prima che gli altri ci possano schiacciare e avere la meglio su di noi. Questa tragica visione della vita nasce dalla convinzione – dimostrata dai fatti – che in ogni uomo è insito un istinto di violenza che non può essere arginato in al-cuna maniera: ecco perché, secondo l’autore, esso deve essere assecondato, per sfruttarlo almeno nel miglior modo possibile, ossia per garantirsi la sopravvivenza. Il giovane soldato protagonista del racconto, per esem-

pio, paga cara la sua scelta di non seguire l’istinto (che gli ha fatto imbracciare la carabina al minimo segnale di pericolo) e di risparmiare il nemico: l’uomo che non ha voluto colpire sarà, infatti, il suo assassino (e con un tiro da lunga distanza, proprio lui che doveva essere ucciso, senza fatica, con un tiro da breve distanza!). Il narratore non dà alcuna indicazione sulla guerra e sui soldati che la combattono (di cui non conosciamo nem-meno il nome!) perché vuole che il suo racconto faccia riflettere su quest’amara – ma innegabile – verità gli uo-mini di ogni tempo e di ogni luogo, che vi devono ri-conoscere un insegnamento fondamentale, valido da sempre e per sempre.

Lo spazio ha, in questo racconto, un’importanza fondamen-tale, non solo perché London è un maestro nella descri-zione dei paesaggi (che sono proposti al lettore con la bellezza e la precisione di veri e propri quadri), ma anche e soprattutto perché esso assume un chiaro valore simbo-lico in relazione al messaggio di cui il testo si fa portavoce.In questo racconto, infatti, una natura rigogliosa, selvaggia e lussureggiante, ricca di luce, profumi e colori, fa da sfondo a una scena di morte: l’autore crea questa contrapposizio-ne proprio per far riflettere sull’importanza di saper vivere la vita. L’uomo (rappresentato dal soldato) non deve mai avere paura di agire e di vivere: egli deve muoversi con attenzione e padronanza nella foresta della vita, affrontando la calura, le fatiche, gli ostacoli con cui essa lo mette in pericolo, ma

attingendo, contemporaneamente, tutti i piaceri, siano essi le fresche acque di un ruscello o delle mele mature. Non è quindi un caso il fatto che, nella massa indistinta e indifferenziata con cui il narratore ritrae i nemici, spicchi solo l’uomo dalla barba rossa, perché il rosso della barba e il rosso delle mele sono i due elementi che racchiudono il vero messaggio del testo. Se il soldato avesse fatto la scelta più ovvia, eliminando il rosso della barba del ne-mico (fuor di metafora, avesse dato la morte, come im-pone la legge della sopravvivenza), avrebbe goduto del rosso delle mele (fuor di metafora, avrebbe continuato a vivere); poiché egli non ha ottemperato a questa legge, ha lasciato vivere il nemico e ha scelto la morte, conta-minando il rosso delle mele con il rosso del suo sangue.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 5

Guerra Jack london

Verifica su “Lo spazio”

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Una casa sarda…Cosima narra la storia di un’adolescente e del suo per-corso di crescita: il fatto che Cosima sia anche il secondo nome dell’autrice fa subito comprendere che il personag-gio ha in sé molto della scrittrice sarda (nell’opera, che la Deledda non riuscì a rivedere prima della morte, per tre volte si trova l’espressione la nostra casa, che tradisce l’ispirazione autobiografica del racconto).La presentazione della protagonista, ancora bambina, av-viene con uno degli esordi più classici: la descrizione della casa in cui ella vive. Questa casa ha molto del-le tipiche case sarde dell’epoca e, in particolare, della vera casa di Grazia Deledda, che la descrive, utilizzando la terza persona singolare, con estrema attenzione ai

dettagli, soffermandosi sia sulla sua struttura, sia sulle stanze, sia sugli oggetti che vi si trovano; la stessa cura è riservata anche all’esterno della casa, cioè all’orto, al pozzo, al giardino.L’autrice punteggia la descrizione con frequenti anno-tazioni e rimandi agli usi, costumi e abitudini della sua isola (per esempio precisa la forma degli oggetti che non si usano più – una lucerna primitiva… una specie di padellina quadrata – o che sono tipici della regione – il tagliere pastorale, cioè un vassoio di legno, con l’incavo, in un angolo, per il sale –) proprio per fare in modo che il lettore possa conoscere con precisione gli spazi e le atmosfere che fanno da sfondo alla vicenda.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 5

… e il suo valore simbolicoQuesta descrizione così precisa e accurata non ha, però, solo lo scopo di fungere da sfondo al racconto. A volte, infatti, il narratore onnisciente lascia spazio allo sguardo del personaggio e così il lettore vede la casa, i suoi am-bienti, gli oggetti che vi si trovano e lo spazio esterno con gli occhi della piccola Cosima: ogni particolare descritto subisce, pertanto, una sorta di deformazione iperbo-lica per cui diventa, come spesso accade nei bambini, più bello e più grande della realtà (una serratura con la chiave grande come quella di un castello… forno monu-mentale… grande portone).In questo modo la descrizione rivela anche il suo valore simbolico: lo spazio noto della casa è quello dell’infan-

zia, delle certezze, dello stupore, che la piccola Cosima, di lì a poco, sarà costretta a lasciare, per incamminarsi lungo il faticoso e non sempre facile sentiero della vita.Estremamente significativi sono, a questo proposito, l’at-mosfera della cucina (una sorta di ritrovo per la famiglia, l’ambiente più abitato, più tiepido di vita e d’intimità, che fa sentire al sicuro dalla paura della fame, del freddo, della solitudine) e il ruolo delle finestre, che permetto-no alla vista di spaziare lungo l’orizzonte (una finestra che dava sull’orto) ma che hanno un’inferriata, l’estre-mo inutile tentativo di trattenere Cosima in un luogo pro-tetto, lontano dai dolori e dalle sofferenze che la vita ben presto le metterà di fronte.

la casa di cosima Grazia deledda

Verifica su “Lo spazio”

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Il palazzotto di don Rodrigo

Il castello dell’innominato

Il palazzotto in cui abita don Rodrigo si trova su uno dei poggi che formano l’alta sponda del lago: la posizione elevata (ma non troppo) evidenzia subito che don Ro-drigo è un signorotto locale di scarsa rilevanza, perché esercita il suo potere solo su un mucchietto di casupole. Del resto l’architettura stessa dell’edificio non promet-te molto: esso, privo di eleganza, con finestre piccole ma difese da grosse inferriate (che rivelano la chiusura verso il mondo e il contemporaneo bisogno di protezione), in evidente stato di decadenza (imposte sconnesse), di-mostra di essere abitato da un poco degno erede di un passato migliore, un rapace che tiene inchiodati al muro degli avvoltoi per spaventare chi si avvicina, ma che, così facendo, dà solo un chiaro indizio della propria brutalità. Anche il lungo e caotico elenco di oggetti che si trovano nelle stanze terrene delle casupole (che comprende

sia attrezzi da lavoro – zappe, rastrelli, cappelli di paglia… – sia strumenti di morte – schioppi, tromboni… –) non serve solo a tracciare un ritratto della vita del tempo, ma anche – e soprattutto – a illustrare, con un chiaro valore simbolico, la degenerazione e la mancanza di valori morali che accomunano don Rodrigo e i suoi contadini, che si dedicano indifferentemente alla vita (il lavoro) e alla morte (le armi). È dunque naturale che in un ambiente del genere si muovano omacci e donne dalle facce maschie, vecchi privi di zanne (un chiaro riferimento alla loro bestialità) e ragazzini con qualcosa di provocativo: spazio e ambien-te umano sono in perfetta sintonia, dimostrando che la descrizione del primo è stata fatta proprio per mettere maggiormente in luce il secondo.

Anche in questo passo la descrizione dello spazio è molto realistica: l’autore, per bocca del narratore, forni-sce numerosi particolari oggettivi che definiscono con precisione il luogo in cui si trova il castello (una valle in-cassata tra due catene di monti e percorsa da un torren-te, il poggio sporgente, i massi, i dirupi, le fenditure…), che è costruito su un monte, e dunque su uno spazio più elevato rispetto al poggio in cui si trova il palazzotto di don Rodrigo, perché l’innominato, sebbene sia un perso-

naggio negativo, è destinato, a differenza di quest’ultimo, ad avere un riscatto. Una lettura più attenta rivela, infatti, che c’è, da parte del narratore, anche in questo caso, una continua attenzione alla connotazione soggettiva dei luoghi e dell’edificio: per esempio i sostantivi e gli aggettivi usati mirano a evi-denziare, attraverso il rimando all’area semantica dell’a-sprezza (angusta, aspra, massi, dirupi…), la negatività dei luoghi, che sono aridi, brulli, privi di vita; allo stesso

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 5

due palazzia conFronto alessandro manzoni

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modo l’abuso di dispregiativi (castellaccio, torrentaccio) e le similitudini (con l’aquila dal nido insanguinato) contribuiscono a delineare la cornice in cui si situa il sel-vaggio signore che ha scelto questi luoghi come sua dimora: egli, significativamente, domina tutti dall’alto del

castellaccio e non vede nessuno sopra di sé, dimostran-do così di essere irrispettoso tanto nei confronti del suo prossimo (tenuto costantemente alla lontana: non ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal pa-drone del castello) quanto in quelli di Dio.

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Un palazzo…Il palazzo in cui abita il Raguseo si trova a Ferrara, in stra-da degli Armari: la prima informazione che lo riguarda (aveva conosciuti tempi migliori) mette subito in eviden-za che il Raguseo si trova in difficoltà, come confermano tutti i successivi elementi del palazzo presi in esame, che sono accomunati, nella descrizione, dall’area semantica del disfacimento e della decadenza (il portone sfascia-to pendeva… cardini che avevan ceduto… mucchi di cocci e di calcinacci e di immondizie… il pavimento del portico sconnesso e mezzo disfatto… le volte e gli archi affumicati e muffosi…). L’interno del palazzo non è da meno, perché comunica altre sensazioni negative: gli oggetti in esso stipati, infatti, ricchi ma strani e disparati, non abbelliscono le stanze,

ma fanno pensare a un bottino, cosicché la casa sembra la stiva d’un pirata o la spelonca di un predone, anche perché la luce (simbolo di positività) vi arriva in maniera insufficiente (quando facesse nuvolo… lì bisognava vi-ver coi lumi tutt’il giorno). È significativo il fatto che persino la natura si adegui alla costruzione: infatti l’erbaccia è alta, folta e piena di ortica e nel cortile si aggirano cani randagi, sporchi e sospetto-si… gatti irsuti e selvatici… topi grossi e prepotenti.Insomma, ancora una volta ci troviamo di fronte a uno spazio che non serve solo a contestualizzare il racconto in un luogo reale, ma anche a fornire chiare informa-zioni sul personaggio, perché il palazzo non promette nulla di buono a proposito del suo abitante…

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 5

il palazzaccio del raGuseo riccardo Bacchelli

Verifica su “Lo spazio”

… e il suo degno occupanteIl palazzo descritto è, infatti, l’abitazione del Raguseo, un vocabolo che a Ferrara, in quegli anni, era usato per indicare una persona spregevole, ripugnante e mal-vagia. Proprio per questo Bacchelli sceglie di utilizzarlo come nome di uno squallido ricattatore, il cui ritratto è delineato con abbondanza di elementi negativi: egli, infatti, preceduto da una fama di crudeltà e di cattiveria, appare, vestito alla maniera orientale (cosa che lo rende estraneo e sospetto), con occhi astutissimi e scrutatori incapaci di sorridere e con un atteggiamento cruccioso e

minaccioso, tipico degli uccelli predatori. Le labbra sottili perennemente sorridenti (di un sorriso, però, freddo e ipocritissimo), la voce falsa e la fronte rugosa (e ogni ruga fa pensare a una mala azione) confermano l’im-pressione di trovarsi di fronte a un uomo di cui è meglio diffidare.Ancora una volta, dunque, lo spazio e l’uomo che lo abita sono in perfetta sintonia, dimostrando che la de-scrizione del primo è stata fatta proprio per mettere mag-giormente in luce il secondo.

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Una misteriosa vicenda… Il racconto comincia in medias res: il narratore, infatti (interno alla narrazione, perché prende parte agli eventi in qualità di protagonista), che pure propone spesso ri-flessioni, informazioni e ricordi, inizia a raccontare senza spiegare che cosa sia successo in precedenza. Il lettore apprende così, all’improvviso, che a Buenos Aires (Bue-nos Aires sarà una città pulita…) una misteriosa presen-za ha occupato la parte in fondo alla casa in cui abitano

i due protagonisti: egli, però, non viene informato né su chi si sia insediato nella casa né su che cosa sappia-no realmente i due fratelli. Il lettore non sa nemmeno quando si svolge la vicenda narrata: sulla base di un’af-fermazione contenuta nel testo (Dal 1939 non arrivava niente d’importante in Argentina), egli può solo supporre che i fatti narrati siano posteriori al 1939.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 5

… e i suoi protagonisti: due fratelli e una casa I due protagonisti del racconto sono delineati con tratti precisi, che si ricavano, soprattutto, dalle loro azioni e dai comportamenti. Il fratello (di cui non conosciamo il nome) ha circa qua-rant’anni (entrammo nella quarantina) ed è molto le-gato alla sorella (con cui sente di avere un semplice e silenzioso matrimonio di fratelli); egli ama molto anche la sua casa, in cui vive con estremo piacere (ci piaceva la casa; per noi era piacevole pranzare pensando alla casa; è della casa che mi interessa parlare), dedican-dosi al suo passatempo preferito, la lettura (molte cose che amavamo. I miei libri di letteratura francese, per esempio…). È un uomo molto abitudinario (la sua gior-nata prevede: sveglia, pulizia della casa, pranzo, lettura e cena) e tranquillo: non si pone domande e non ha reazioni violente di fronte alla misteriosa presenza che lo sta, di fatto, cacciando da casa.

La sorella, Irene, anche lei quarantenne, è una ragazza nata per non dare noia a nessuno; è molto legata al fratello, di cui si fida ciecamente, per qualsiasi cosa (Ire-ne aveva fiducia nel mio gusto). Irene condivide con il fratello l’amore per la casa, che tiene, con lui, in ordine e pulita (facevamo le pulizie del mattino), ma dedica mol-to tempo anche all’altra sua grande passione, il lavoro a maglia (trascorreva la giornata facendo lavori a maglia sul sofà in camera sua). Anche Irene accetta passiva-mente l’occupazione della propria casa: è solo un po’ più impaurita (lei tardò un istante a riprendere il suo lavoro) ed emotivamente coinvolta (credo che stesse piangen-do) rispetto al fratello.Accanto ai due protagonisti vi è una deuteragonista: più che dalla misteriosa presenza che occupa la casa (pro-babilmente pericolosa, perché il narratore dice Mi gettai contro la porta prima che fosse troppo tardi), essa è

casa occupata Julio cortázar

Verifica su “Lo spazio”

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Il significato del racconto Non è facile comprendere il messaggio di questo strano racconto. L’autore, che ama scrivere per invitare a riflette-re sulla vita e sul suo mistero, ha probabilmente voluto fornire al lettore due spunti di riflessione:

il primo, legato all’idea della casa come “nido”, può evidenziare che pericoli di ogni sorta si possono insi-nuare anche nei luoghi che gli uomini considerano più sicuri, come la propria casa (che, pur essendo pu-lita, cioè non contaminata dal male, può essere ugual-mente invasa da forze negative)

il secondo, legato al progressivo restringimento dello spazio (esso, all’inizio assai ampio – potevano vive-re otto persone senza darsi fastidio – diventa, con il procedere della narrazione, sempre più piccolo – le pulizie furono talmente semplificate che anche alzan-doci tardissimo… con le mani in mano –), potrebbe alludere al fatto che l’allontanamento dalle proprie radici (simboleggiate dagli ambienti della casa) com-porta la perdita dei ricordi e degli affetti più cari, fino a quel momento tenuti in vita (= spolverati) con grande cura.

costituita dalla casa, situata a Buenos Aires e affacciata su via Rodrìguez Pena. Di lei, infatti, sappiamo molto: è antica ed è stata abitata da più generazioni; ha numerose stanze, è grande e ben disposta. Il narratore si sofferma a descrivere con attenzione la sua struttura e le sue di-mensioni (La stanza da pranzo… muoversi appena), i mobili (il sofà, il comò…), gli oggetti in essa contenuti (i libri di letteratura francese, i lavori a maglia, gli attrezzi da cucina – il bricco, il vassoio, il bicchiere…–), il suo silen-zio (casa profonda e silenziosa) e la sua pulizia (basta-vamo noi soli a tenerla pulita). Quest’attenzione rivela il profondo affetto che sia il protagonista che la sorella nutrono nei confronti della casa: essa, infatti, conserva i

ricordi dei loro antenati e della loro infanzia. Il loro amore per la casa è così grande che essi pensano che, piuttosto che lasciarla distruggere da parenti alla lontana quando saranno anziani, l’abbatteranno essi stessi.L’intensità di questo rapporto è particolarmente evi-dente grazie all’uso, da parte del narratore, della focaliz-zazione interna, che comporta una percezione soggetti-va dello spazio: così egli arriva a credere che era stata la casa che non ci aveva permesso di sposarci e descrive gli ambienti come se fossero dotati di vita propria (non a caso, non riesce mai a collocare i rumori in un posto preciso: udii un rumore in cucina; forse nella cucina o forse nel bagno…)

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Un uomo e il suo spazio Lo spazio è il protagonista assoluto di questo passo: il narratore (onnisciente, dal momento che conosce per-fettamente il personaggio, le sue abitudini e i suoi pen-sieri) descrive accuratamente, infatti, il luogo in cui Des Esseintes ama vivere, illustrandone le principali carat-teristiche, che rispecchiano totalmente quelle del suo abitante.Fontenay-aux-Roses è una piccola cittadina della provin-cia parigina: Des Esseintes l’ha scelta proprio perché essa è l’esatto opposto di Parigi, che gli appare una città cao-tica, disordinata, regno della volgarità e del malcostume. In questo luogo di pace egli ha posto la sua dimora, che ha curato (e cura) con estrema attenzione ai dettagli: il protagonista fa in modo che ogni cosa concorra alla crea-zione di uno spazio unico e straordinario prestando una maniacale attenzione alla disposizione di mobili e og-getti, ai loro colori, alle sensazioni che determinano (le tende, per esempio, sono di seta) e persino agli aromi

e ai profumi (è il caso dell’aroma di menta che emana dal legno dei mobili). Il narratore descrive il risultato di questa fatica con evi-dente compiacimento: egli si sofferma, in particolare, sugli oggetti, di cui sono messi in rilievo i dettagli che li rendono preziosi e rari (come i mobili scolpiti nella pal-lida laurocanfora del Giappone), perfettamente adatti al gusto raffinato di un esteta. Per fare in modo che gli ambienti abbiano il giusto risalto, Des Esseintes dedica la stessa cura e attenzione anche a se stesso (è, infatti, un uomo molto elegante, che, in fatto di moda, si ritiene infallibile come il Papa, al punto da fare prediche a sarti e calzolai) e agli eventi mondani che organizza nella sua abitazione, come i suoi celebri desinari, durante i quali nessun particolare è lasciato al caso (per il banchetto di lutto i viali sono impolverati di carbone e la vasca riempita d’inchiostro!).

Il ruolo del tempo La descrizione dello spazio è a sua volta esaltata e ravvi-vata dalla descrizione del tempo: il narratore fa infatti in modo di alternare la dimensione del passato e quella del presente, per dimostrare che il passato ha avuto una parte importante nella formazione del carattere e della personalità di Des Esseintes. Secondo il narratore, infatti, la sua triste infanzia (rap-

presentata dalla piccola gabbia in cui si trova il grillo) ha determinato in lui un forte istinto di ribellione, che si manifesta nel difficile rapporto con le donne e in una persistente malinconia, atteggiamenti che egli sfoga nel-la ricerca del capriccio, della stravaganza e dell’eccen-tricità, che non a caso caratterizzano i luoghi in cui si sente finalmente a suo agio.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 5

proGetti per la casadi Fontenay Joris-karl huysmans

Verifica su “Lo spazio”

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Una lingua… che racconta la vita La costante ricerca di nuove forme espressive e lin-guistiche che ha caratterizzato la prosa di questo famo-so autore francese ha dato i suoi migliori frutti in testi come quello da cui sono state tratte le pagine proposte: una scrittura allegra, movimentata, piena di umorismo e di vivacità, che si concretizzano in

■ giochi di parole (l’impalcatura e l’armadio a spec-chiera, metafore umoristiche che alludono alla corpo-ratura massiccia di Gabriel)

■ doppi sensi (la vacca potenziale nell’angioletto ferito) o non sensi (il treno delle sei e sessanta)

■ espressioni ricercate e complesse (pentasillabo mo-nofasico)

■ accostamenti inusuali (fiutava la paglia tra le putrelle dei lamenti) o paradossali (il verbo muggire usato per un uomo)

■ errori linguistici (io ce l’ho detto)

■ vocaboli poco usati (colei, coprirla, proferire, forgiar-si, purchessia, beffardo…), insoliti (froge, che non si usa per le narici umane), colloquiali (ganzo), gerga-li (tardona, macinino…), inventati (eurekazione) e stranieri (natürlich)

■ grafie originali (Macchiffastapuzza) e sorprendenti (Quelkaidettòra)

■ storpiature (Fior per il più celebre Dior)

■ costrutti inusuali (che nauseante costrizione… corte-semente sorridendo)…

Tale modalità di scrittura non è frutto, ovviamente, solo del-la voglia di osare e di sperimentare né, tanto meno, della volontà di provare a imitare la lingua parlata: Queneau è in-fatti convinto che una vera rappresentazione della com-plessità della realtà possa essere ottenuta solo utilizzando un linguaggio completamente nuovo, che sia vario, arti-colato e difforme come ciò che deve rappresentare.

L’importanza dei dialoghi Per dare il massimo risalto a quest’originale amalgama linguistica, Queneau utilizza molto il dialogo, soprattutto nella forma del discorso diretto e diretto libero, che permettono ai personaggi di presentarsi da soli (esat-

tamente come accade nella vita) e all’autore di dare libe-ro sfogo alla sua creatività, facendo parlare i personaggi a ruota libera, spesso con battute brevi (talvolta brevissi-me), sagaci e taglienti.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 6

Zazie e il metrò raymond Queneau

Verifica su “Le scelte stilistiche ed espressive”

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Quando il sorriso svanisce… Queneau è indubbiamente stato uno dei più grandi scrit-tori umoristi del nostro secolo, ma il suo intento non è mai stato solo il divertimento. Leggendo attentamente queste pagine, infatti, non possono sfuggire due temi che sono legati alla vicenda raccontata:

■ la difficoltà che gli uomini incontrano per comunica-re tra loro, esemplificata dai continui fraintendimenti e dalle incomprensioni che caratterizzano il testo (ciò

che per uno è un profumo per un altro è una puzza, ciò che per uno è un monumento per l’altro è un al-tro…)

■ l’impossibilità, per gli uomini, di comprendere il mondo in cui vivono, saggiamente sintetizzata da Ga-briel nella battuta finale del testo: La verità… come se tu sapessi che cos’è. Come se qualcuno al mondo sapesse cos’è.

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Verifica su “Le scelte stilistiche ed espressive”

Il coraGGio di un vecchio pescatore ernest heminGway

Il racconto di un pescatore Hemingway scrisse il romanzo da cui sono tratte queste pagine mentre si trovava a Cuba, dove si era recato per praticare una delle sue grandi passioni, la pesca d’altura. Egli conosceva pertanto molto bene i meccanismi della sfida contro le creature del mare: la lotta tra Santiago e il grosso pesce era simile a quella che egli stesso aveva messo in atto durante le numerose battute di pesca vis-sute in prima persona. Per questo motivo l’autore non

solo usa con competenza e precisione i termini propri del linguaggio tecnico dei pescatori (per esempio len-za, gaffa…) e tutti i vocaboli che hanno a che fare con il mare e il suo mondo (bonaccia, aliseo, tuna, bonito, addugliare, prua, poppa…), ma descrive con dovizia di particolari anche i movimenti, le astuzie, le accortezze del pescatore, che ingaggia una lotta quasi epica con la sua preda.

Analisi del testo

Le scelte espressive e il messaggio del testo L’elemento più interessante di questo romanzo è senza dubbio costituito dai discorsi che il pescatore imbastisce con la sua preda, quasi per darsi coraggio e per sentir-si meno solo di fronte alle difficoltà; essi, riferendone i pensieri e le parole in modo diretto o indiretto libero, danno la misura del suo amore per il mare e per i suoi abitanti: Vorrei poter dare da mangiare al pesce, pensò. È mio fratello… Santiago e il grande pesce, infatti, sono entrambi creature della natura, di cui rispettano le leggi: il pesce piccolo, sia esso uomo o animale, ha il diritto e il dovere di sconfig-gere il pesce grande, sia esso uomo o animale, perché questa, per quanto dura e spietata, è la legge della so-pravvivenza e della vita (Devo ucciderlo e mantenermi

forte per farlo. Lentamente e coscienziosamente man-giò tutte le strisce appuntite di pesce). Per questo Santia-go dimostra, nei confronti del suo avversario e delle altre creature della natura, il rispetto che si deve o allo sfidante o al proprio fratello, e non prova mai, per loro, alcun sen-timento né di crudeltà né di superiorità.Questa semplice visione dell’esistenza è espressa con un linguaggio altrettanto essenziale e diretto: le se-quenze dialogiche e riflessive che compongono quasi tutto il testo si avvalgono, infatti, di vocaboli quotidiani, adatti a riprodurre la dimensione culturale e la visione del mondo di quest’umile pescatore, a cui la fatica, la tenacia e il coraggio hanno insegnato molto.

Modulo 1 • Unità 6

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Le scelte stilistiche ed espressive Il realismo con cui è raccontata la vicenda di Corrado non si manifesta solo nella descrizione dei luoghi e degli ambienti, nel tratteggio dei personaggi e nella fedeltà alle vicende storiche che fanno da sfondo al romanzo: esso si avverte, infatti, anche nelle scelte stilistiche ed espres-sive che caratterizzano la prosa e il modo di raccontare di Pavese e cioè

■ un registro lessicale medio in cui compaiono, però, alcune espressioni più alte quando sono riferiti i pen-sieri del protagonista (che, non va dimenticato, è un professore: nel sereno stillante… la metafora galleg-giavo dentro un mare di bontà, di terrore, e di pace…)

■ le ripetizioni (vidi subito il cortile, e vidi due automo-bili ferme… vidi i fucili nelle mani dei soldati… avevo visto tante volte quella casa… vista dal cielo del mat-tino), appositamente create per dare l’impressione di una prosa immediata, diretta, poco curata

■ la scelta degli aggettivi, in particolare di quelli che si riferiscono ai luoghi e agli ambienti, che hanno il compito sia di descriverli in modo veritiero sia di met-terli in rapporto con lo stato d’animo del personaggio (per esempio la tiepida pioggia e il cielo fresco prima-verile, che fanno da contorno alla piacevole passeg-giata di Corrado, si trasformano in un sole che pare

Una vita mediocre Corrado, il protagonista di questo romanzo di Cesare Pa-vese, insegna scienze in una scuola di Torino. Come molti altri sfollati di quegli anni (la vicenda è ambientata duran-te la seconda guerra mondiale, nel 1943) la sera lascia la città per trasferirsi in collina, dove ha una stanza in affitto nella casa in cui vivono due donne, madre e figlia, e da dove assiste alle fasi della guerra senza mai prendere posizione, anche se è attorniato da partigiani. La sua viltà e la sua immaturità non sono scalfite nemmeno dall’arre-sto di Cate, la donna che ha amato in gioventù e che forse gli ha dato un figlio: esso lo spinge, al contrario, a fuggire

lontano, senza essere capace di imprimere una svolta alla mediocrità della sua esistenza, di cui egli, riflettendo nel tempo della scrittura, si rende tristemente conto (Oggi ancora mi chiedo… penso che vivere per caso non è vi-vere). Proprio per questo Corrado può essere considerato uno dei tanti antieroi del Novecento, uomini che scel-gono la fuga, l’inettitudine, il disimpegno senza costruirsi alibi, ma limitandosi a prendere atto della propria de-bolezza, esattamente come l’autore, sempre lacerato dai sensi di colpa per non aver saputo partecipare alla Resistenza né come uomo né come intellettuale.

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 6

Verifica su “Le scelte stilistiche ed espressive”

L’arresto di cate cesare pavese

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coprirsi non appena appaiono, nel cortile, le due au-tomobili, enfatizzando un passaggio dal bello al brutto tempo, assai frequente in primavera, che si carica di un’evidente valenza emotiva)

■ la prevalenza della paratassi, che permette di creare periodi brevi, spesso caratterizzati dall’asindeto, che raccontano in modo chiaro e sintetico (Anche Cate era presa. Anche il vecchio Gregorio. Tutti.)

■ l’uso frequente del discorso diretto e indiretto libero, dove anche i pensieri del professore recuperano l’im-mediatezza e la semplicità del parlato (“se hanno preso la vecchia… hanno preso tutti”; Che fare? Pote-vo fare altro che attendere? Avrei voluto che ogni cosa fosse finita, fosse già ieri).

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Un messaggio semplice… La fortezza Bastiani, avamposto di confine oltre il quale si stende il deserto (che dà il titolo al romanzo) da cui si at-tende l’invasione dei Tartari (una popolazione delle steppe asiatiche che, dopo le devastazioni che causò nell’Europa del XIII secolo, è diventata sinonimo di crudeltà e di terro-re), permette a Buzzati di proporre un messaggio profondo ma, allo stesso tempo, molto semplice: il vero eroismo e il vero coraggio non consistono in grandi gesti (l’epica battaglia contro i Tartari, che non ci sarà mai), ma nella capacità di svolgere quotidianamente il proprio umile dovere, magari silenzioso e inosservato, ma proprio per questo ancora più importante. Buzzati vuol fare capire che, paradossalmente, è molto più difficile resistere alla noia e

al ripetersi delle giornate che lanciarsi contro un nemico e affrontare un pericolo mortale: la fortezza diventa così il simbolo della vita portata avanti con impegno, con la con-sapevolezza del proprio dovere e con spirito di sacrificio, la battaglia più dura e difficile che ogni uomo possa vincere.La collocazione della fortezza in un luogo e in un tem-po indefiniti (evidenziati da molti termini riconducibili a quest’area semantica: una specie di… immenso… si prolungavano a vista d’occhio… confondendosi… vaga eco…) consente di rendere questo messaggio univer-sale: ognuno di noi, infatti, scruta il suo deserto nella speranza che il proprio quotidiano assuma, un giorno, un senso e una spiegazione.

… espresso in modo semplice Il narratore esterno depone, a tratti, la focalizzazio-ne zero per assumere quella interna al protagonista: in questo modo egli può registrarne le sensazioni con maggior immediatezza, anche grazie all’uso del discor-so indiretto libero (E dietro, che cosa c’era? Di là di quell’inospitale edificio, di là dei merli, delle casematte, delle polveriere, che chiudevano la vista, quale mondo si apriva?), che consente al lettore di avvertirle in tutta la loro forza e autenticità.Contribuiscono a dare quest’impressione anche le scelte stilistiche: la prosa di Buzzati, di chiara impronta gior-

nalistica (cosicché il romanzo appare più simile a un resoconto che a un racconto), è infatti caratterizzata da

■ un lessico semplice, quotidiano, quasi elementare (come dimostrano, per esempio, gli scontati abbina-menti deserto pietroso, landa disabitata, torpore mi-sterioso, vago sorriso, densa nube…), per evidenziare anche la prevedibilità della vita della fortezza, che scor-re sempre uguale a se stessa

■ un utilizzo parsimonioso dei termini tecnici del lin-guaggio militare (inevitabili, dato il contesto)

Analisi del testo

Modulo 1 • Unità 6

Verifica su “Le scelte stilistiche ed espressive”

La Fortezza Bastiani dino Buzzati

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■ una sintassi lineare, perlopiù paratattica (Pensò a una prigione, pensò a una reggia abbandonata), o, se ipo-tattica, spesso caratterizzata da semplici rapporti di su-bordinazione (principale/subordinata di primo grado: Un lieve soffio di vento fece ondeggiare una bandiera

sopra il forte, che prima pendeva floscia confonden-dosi con l’antenna)

■ presenza di frasi nominali (Oh, tornare. Non varcare neppure la soglia della Fortezza e ridiscendere al pia-no, alla sua città, alle vecchie abitudini).

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Le caratteristiche del genereQuesto mito presenta molte caratteristiche tipiche del genere:

■ c’è il riferimento esplicito a un dio, Giove, e alle pra-tiche che gli uomini si sentono in dovere di compiere per manifestare la loro devozione (in questo caso i voti: non appena sbarcò dalla nave… sciolse i voti fatti a Giove sacrificando cento tori)

■ la narrazione è ambientata in un tempo lontano, il regno di Minosse, in cui vivono creature straordinarie (il Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro che si nutre di carne umana)

■ i personaggi protagonisti sono due uomini, un padre e un figlio: il padre, però, non solo è famosissimo per il suo talento nell’arte dell’architettura, ma ha anche un notevole ingegno che gli consente di fare fronte persino alle circostanze più avverse

■ lo stile del racconto è semplice e piano: la scelta lessicale privilegia vocaboli quotidiani; la sintassi è paratattica; tra le figure retoriche prevale la simi-litudine (come nelle campagne di Frigia il limpido Meandro… allo stesso modo nasce la rustica zampo-gna…).

Un mito straordinariamente modernoIl mito di Dedalo e di suo figlio Icaro, che sfidano le leggi della natura e si librano nel cielo, ha ispirato poeti, pit-tori e scultori di tutti i tempi. Esso ha il chiaro intento di insegnare all’uomo a non oltrepassare i limiti che gli sono stati imposti attraverso la triste vicenda di un padre che perde il figlio proprio a causa della sua disubbidien-za. Questo mito, però, non riesce a suscitare il biasimo e la condanna del colpevole, come accade in altri miti: la punizione del giovane e inesperto Icaro sembra, a noi moderni, un po’ troppo crudele, perché il desiderio di conoscenza e il bisogno di osare non sono negativi di per sé ed anzi appaiono “scusabili” soprattutto nei giovani. In realtà la severità del castigo risulta eccessiva se la valu-

tiamo come la punizione della mancata ottemperanza al monito che questa vicenda forniva agli antichi (non biso-gna sfidare gli dei), ma comprensibile e sempre attuale se, rileggendo il mito in un’ottica più moderna, la intendiamo come la concretizzazione dei pericoli a cui può anda-re incontro chi (per superficialità, inesperienza, eccessiva fiducia in sé, superbia o quant’altro) non valuta con at-tenzione le possibili conseguenze delle proprie azioni. Sempre moderna e condivisibile è, invece, in questo sen-so, la figura di Dedalo, che incarna e simboleggia l’amore dei genitori, che, di fronte alla volontà di crescere dei figli, possono solo limitarsi a dare dei buoni consigli e a sperare che essi siano ascoltati.

Analisi del testo

DeDalo e Icaro ovIDIo

Verifica su “Il mito”

Modulo 2 • Unità 1

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Un piacevole mito d’origineIl mito proposto, raccontato da un narratore esterno, ha il compito di rispondere a due domande:

perché gli uomini hanno questo aspetto fisico? perché essi hanno un forte bisogno d’amore?

Questo mito può essere considerato d’origine proprio perché risponde in modo chiaro ed esauriente a queste

due domande; Platone ha preferito questo tipo di narra-zione perché per lui il mito serve a spiegare in modo piacevole e divertente dei contenuti che potrebbero risultare di difficile comprensione. Il logos è dunque aiu-tato dalla fantasia: non bisogna però dimenticare che solo il logos può dare una spiegazione razionale dell’ori-gine dell’uomo.

Le caratteristiche del genereQuesto mito presenta molte caratteristiche tipiche del genere:

■ ha a che fare con la religione: i protagonisti sono gli dei ed esso insegna dei valori (il rispetto per gli dei, l’amore e la serenità tra gli uomini) che hanno a che fare con il sentimento religioso

■ ha valore simbolico: questo mito allude al modo in cui l’uomo deve gestire il suo rapporto con gli dei e con i propri simili, lasciando da parte l’arroganza, la mancanza di rispetto e l’amore vissuto in modo sba-gliato (quando non porta alla vita ma alla morte)

■ dà coesione ai membri di uno stesso gruppo: esso fa infatti parte del patrimonio culturale e letterario della Grecia antica

■ è ambientato in un luogo imprecisato (perché lo spazio non ha alcuna importanza per lo sviluppo della vicenda narrata) e in un tempo lontano: il tempo, in

particolare, è così lontano che gli esseri umani (allora diversi nell’aspetto fisico e terribili per il vigore e la possanza) non solo parlano e vivono a stretto contatto con gli dei, ma hanno addirittura una diversa natura (i generi erano tre e non due: gli uomini, le donne e gli androgini)

■ i personaggi hanno caratteristiche tipiche: gli dei si comportano come gli uomini, visto che agiscono per calcolo (non vogliono cancellarli per avere i loro tributi, ma non desiderano neppure sentirsi in pericolo per causa loro); sono presenti anche creature strane e mostruose (gli uomini tondi e i giganti)

■ lo stile è semplice: in questo caso, però, il mito, che fa parte di un’opera letteraria, è caratterizzato da scelte lessicali e sintattiche un po’ più complesse di quelle che si riscontrano in analoghi testi che hanno una de-stinazione orale e popolare.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 1

come nacque l’amoretra glI uomInI platone

Verifica su “Il mito”

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apollo e Dafne ovIDIo

Verifica su “Il mito”

La nascita di una tradizione…Il mito presentato può essere considerato d’origine ed eziologico, perché attraverso la triste vicenda di un amo-re non corrisposto, che finisce in tragedia, il poeta Ovidio spiega l’origine dell’alloro e il motivo per cui questa

pianta è divenuta il simbolo della fama artistica, let-teraria, poetica e politica, cosicché ancora oggi è usata per celebrare i vincitori di gare o coloro che si meritano importanti riconoscimenti per le proprie abilità.

La metamorfosiIl corteggiamento della ninfa da parte del dio è presenta-to con grande semplicità, come se i protagonisti fossero due ragazzini al primo amore; anche il momento più im-portante dell’intero racconto, la trasformazione di Dafne in alloro, è proposto con la stessa semplicità, perché il

poeta descrive la metamorfosi della ninfa in pianta come se si trattasse di un processo del tutto naturale: i ca-pelli si allungano in fronde, le braccia si trasformano in rami, i piedi in radici…, cosicché l’essere umano diventa pianta e la pianta si umanizza, in un tutt’uno in cui, per

…e i suoi protagonistiApollo (o Febo), figlio di Giove (Zeus per i Greci) e di Latona e fratello della dea Diana (Artemide in Grecia), è una delle divinità più importanti del mondo greco: egli è il dio della musica e della poesia (uno dei suoi attributi è infatti la cetra, un antico strumento musicale a corde), della medicina (conosce il potere di tutte le erbe, con cui sa guarire ogni malattia) ed è anche un infallibile guerriero, capace di usare l’arco e le frecce con incredibi-le abilità. Rappresentato come un giovane bellissimo con lunghi riccioli neri, ha anche il dono della profezia: la sede del suo oracolo, Delfi, il più importante del mondo antico, era frequentata da re, condottieri, uomini politici,

che vi si recavano per avere notizie sul proprio futuro at-traverso i responsi della Pizia, una sacerdotessa che pro-nunciava oscure profezie in nome e per conto di Apollo. Stupisce, dunque, che un così buon partito non faccia breccia nel cuore della ninfa Dafne, che, come tutte le ninfe (creature che partecipano della natura divina ma senza essere immortali), è bellissima e leggiadra. Apol-lo prova a conquistarla in ogni modo: la loda per la sua bellezza, si dimostra sollecito e gentile nei suoi confronti, le ricorda i propri meriti, si vanta delle sue origini, prova a giocare anche la carta della pietà dicendosi ferito da amo-re… ma Dafne è irremovibile, perché votata alla castità.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 1

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un attimo, è impossibile scindere le due nature, umana e vegetale.Per Ovidio la naturalezza di questa trasformazione si spiega con la convinzione che tutti gli esseri, uomini e creature della natura, spartiscono lo stesso desti-no di dolore e di sofferenza: è dunque naturale che

essi manifestino questa vicinanza condividendo anche le loro esperienze di vita (del resto Dafne è continuamente paragonata al vento, con cui sembra identificarsi fin dall’i-nizio del mito, in una chiara fusione con la natura che la circonda).

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Rosso come il sangue

Il sentimento d’amore

La tragica storia d’amore di Piramo e Tisbe, due giovani vissuti nell’antica Babilonia, può essere considerata un mito d’origine perché spiega l’origine del colore rosso dei frutti del gelso. Ovidio racconta, infatti, che i frutti di questa pianta, che erano candidi, diventarono di un cupo colore dopo che la radice, intrisa di sangue di Piramo, li

irrorò, tingendoli di vermiglio. Da allora in poi il gelso ha mantenuto questo colore, per eternare il ricordo di un amore sventurato, come richiesto da Tisbe poco prima del suicidio (mantieni sempre i tuoi frutti di color cupo e confacenti a pensieri di morte, quale memoria del san-gue di entrambi).

Ovidio era un provetto conoscitore del sentimento d’amore (non va dimenticato che tra le sue opere fi-gura l’Ars amandi (L’arte di amare), un manuale inte-ramente dedicato all’analisi del sentimento d’amore e alle sue principali manifestazioni): per questo motivo la descrizione di questo sentimento che egli dà nel mito è particolarmente curata e attenta a sottolinearne tutte le sfumature. Ovidio narra, infatti, che all’inizio i due giovani innamo-rati si lasciano andare alla malinconia, perché non ri-escono a superare l’ostacolo della parete che li divide (cosicché ciascuno stampa, dalla sua parte, dei baci che sono destinati a non incontrarsi); in un secondo momen-to, invece, sullo sconforto prevale l’azione, che li porta a organizzare la fuga da casa, programmata con accura-tezza fin nei minimi dettagli.L’improvvisa e inaspettata apparizione, nel luogo dell’in-contro, di una leonessa con le schiumanti fauci insangui-nate e la leggerezza di un velo, che vola via quando non

dovrebbe (a volte basta poco, nella vita degli uomini, per fare la differenza!), cambiano completamente il finale di questa storia d’amore e determinano la tragedia. Il narratore segue e descrive, con malcelata partecipazio-ne emotiva, le reazioni dei due innamorati di fronte alla scoperta della perdita dell’amato: egli si sofferma, pertan-to, sulla disperazione di Piramo (che, senza concedersi il tempo di riflettere sull’accaduto – non basta un velo insan-guinato per fare un cadavere! –, consapevole del fatto di non poter vivere senza Tisbe, preferisce darsi la morte, infilzandosi un pugnale nel petto dopo aver baciato, per l’ultima volta, il velo della sua amata) e sui comportamenti di Tisbe (sottolineando dapprima la paura della leonessa e la perplessità davanti al cambiamento di colore del gelso, e poi, in un drammatico crescendo, l’orrore per la scoperta del cadavere di Piramo e la determinazione a morire con lui, non senza aver prima rivolto una preghiera ai genitori e al gelso, affinché almeno la morte possa riunire gli in-namorati e conservarne il ricordo in eterno).

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 1

pIramo e tIsbe ovIDIo

Verifica su “Il mito” i

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Lo stileLa traduzione italiana ha rispettato la bellezza dell’origina-le latino, che ha i suoi punti di forza nella scelta dell’ag-gettivazione, ricca, copiosa e diversificata, e nell’uso di figure retoriche semplici ma molto ricercate (per esem-pio le similitudini: il sangue zampilla così come quando

un condotto dal piombo difettoso si incrina e dal piccolo foro con sibilo spinge all’infuori lunghi getti d’acqua… rabbrividisce come distesa di mare, che s’increspa quan-do in superficie è mossa da lieve brezza…).

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L’insegnamento dei SantiI Santi ebbero, nell’antichità, ruoli e immagini diversi: tra loro vi furono vescovi, re, principi, uomini potenti e umili fanciulle… tutti caratterizzati, però, da doti inequi-vocabilmente positive, in particolare l’amore per Dio e la capacità di compiere qualsiasi cosa per dare prova di quest’amore. Non stupisce, pertanto, che nei monasteri i fatti e gli episodi salienti di queste vite diventassero dei veri e propri racconti da diffondere tra il popolo, perché potessero costituire degli esemplari modelli di com-portamento.La leggenda di San Giuliano risponde in modo chiaro

a questo intento, perché ha lo scopo di mostrare come sia possibile espiare un peccato, anche gravissimo, per mezzo dell’amore di Dio che sia fa amore per il prossimo, concretizzandosi in atti di carità nei confronti delle persone più bisognose. Giuliano, infatti, per non peccare, non esita ad abbandonare i genitori; quando, involontariamente, li uccide, non si dà pace fino alla to-tale espiazione della sua colpa. È esemplare, in questo senso, anche la figura della moglie, una donna pia che non abbandona il marito peccatore ed anzi lo sostiene e lo aiuta nelle opere che egli compie per redimersi.

Le caratteristiche del genereIl testo letto, che proviene da una delle raccolte di leggen-de sui Santi più famose dell’antichità, presenta in modo esemplare tutte le principali caratteristiche del genere:

■ il chiaro valore simbolico (la lotta tra il Bene e il Male, rappresentati, rispettivamente, dall’amore di Dio, che perdona e salva, e dal peccato, che, se non espiato, porta alla perdizione)

■ il tema ricorrente del Santo che trionfa sul peccato,

che lo sconfigge (perché Giuliano uccide i genitori) ma non lo piega (perché egli riesce a riscattarsi dalla sua colpa e a essere perdonato da Dio)

■ la commistione di elementi reali e fantastici (la pro-fezia del cervo e la visita di un messaggero di Dio)

■ il tempo lontano in cui si svolge la vicenda

■ la narrazione chiara (la prosa elaborata è una caratte-ristica del periodo medioevale).

Analisi del testo

la leggenDa DI san gIulIano Jacopo Da varazze

Verifica su “La leggenda”

Modulo 2 • Unità 1

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Una leggenda… esemplare!Questa leggenda appartiene alla tradizione popolare lombarda: essa, proprio per questo motivo, è molto vi-cina alla forma tradizionale della leggenda e pertanto

■ presenta elementi fantastici, ma sempre calati in una realtà concreta: questa leggenda, infatti, racconta una triste vicenda (basata su una maledizione, che può risultare poco credibile nella sua tempestiva at-tuazione) che si svolge in un luogo reale, definito con precisi riferimenti geografici (sull’argine del Po, fra Ca-selle Landi e Mezzanino, quasi in faccia a Piacenza)

■ ha un valore simbolico, perché, tra le righe, suggerisce di non ostacolare mai un sentimento forte e potente come l’amore, che spinge gli uomini a fare qualsiasi cosa

■ ha un intento educativo, perché insegna a non la-sciarsi sopraffare dai sentimenti: la madre, infatti, spinta dalla sua ingordigia e incontentabilità, determina la morte della figlia, mentre quest’ultima, disobbeden-do alla madre, finisce per causare la propria rovina

■ è collocata in un tempo lontano e imprecisato (molti secoli fa), anche se con qualche barlume di verità storica (una di quelle guerre interminabili che spesso conduceva [la Francia] contro il Papa e gli Spagnoli)

■ presenta temi ricorrenti, in questo caso la persecu-zione di una fanciulla indifesa e l’amore ostacolato da un genitore cattivo

■ ha come protagonisti dei personaggi ricorrenti: ci sono, infatti, il solito re e l’immancabile fanciulla, na-turalmente bella, anzi, splendida, che sa anche il fatto suo, visto che si avvicina al re rispettosa e insieme pro-vocante e civettuola; risulta originale e interessante l’inserimento del ragazzino, che porta, alla leggenda, un tocco di pietà, con quel mazzolino di fiori gettato nelle acque del fiume finché fu vecchissimo

■ è raccontata con uno stile semplice, caratterizzato da un lessico quotidiano (è persino riferito il nome del luogo in cui è scomparsa la ragazza, Mortizza, nel dialetto locale), una sintassi lineare (la subordi-nazione non è complessa e l’andamento del discor-so è, a volte, colloquiale: venne a riferirle la notizia strabiliante il fratellino e la giovane, bruciando dalla curiosità, piantò tutto lì com’era e si precipitò a casa col pretesto di aiutare la madre nel delicato compi-to di servire un così gran signore) e dall’uso di una figura retorica, la metafora, in genere complessa ma qui proposta nel prevedibile accostamento amore = fuoco (l’infatuazione… era ormai un fuoco così devastante).

Da notare, infine, che il narratore (onnisciente) dà largo spazio ai dialoghi, che gli consentono di rendere il suo racconto vivace e particolarmente coinvolgente.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 1

la bella annegata anonImo

Verifica su “La leggenda” i

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La novella dannunziana e le sue caratteristicheIl giovane Gabriele D’Annunzio rimase molto colpito dalla lettura delle opere di Giovanni Verga: la raccolta Vita dei campi (1880) lo indusse a cimentarsi nel genere della novella e, in particolare, della novella che delinea ambienti (nel suo caso quelli del nativo Abruzzo). In realtà non vi sono altri punti di contatto con il modello verghiano: D’Annunzio, infatti, ritrae, della sua terra, non la quotidiana lotta per la sopravvivenza, ma la primitività, le passioni forti legate all’istinto, la barbarie, la super-stizione, l’irrazionalità, tutti aspetti che risultano partico-larmente evidenti nella figura del protagonista, Dalfino, e nel paesaggio in cui egli vive e agisce.

Il narratore onnisciente è in grado di cogliere e di trat-teggiare i sentimenti e le sensazioni che albergano nel cuore di Dalfino (nel cuore ci aveva la burrasca… era un misto di superstizione, d’odio, d’amore…) che appa-re, pertanto, un personaggio a tutto tondo, caratteriz-zato com’è da un animo tormentato e confuso. Dalfi-no è stato scelto come protagonista proprio per questo suo modo di essere, dovuto al fatto di appartenere a un mondo primitivo, in cui predominano gli istinti e le forze della natura. Il narratore non fa mistero del fasci-no che questo primitivismo e queste forze esercitano su di lui: commenti espliciti come Oh bella forte audace giovinezza temprata nell’acqua salsa, come una lama

d’acciaro! lasciano trasparire il culto dannunziano per l’i-stintività, l’irrazionalità, la forza, la vitalità che si legano alla stagione della giovinezza vissuta a stretto contatto con una natura aspra e selvaggia. Di qui i continui paragoni con gli animali: Dalfino nuota come un delfino, freme come un leopardo in catene, si scaglia contro il rivale come una tigre; Zarra (l’alter ego femminile della vitalità del protagonista) è una fiera superba che ha flessuosità da pantera e denti viperini, come una vera mangiatrice di uomini (un’altra immagine che ben si adatta a una natura primordiale e selvaggia).

Anche i paesaggi in cui si muovono e agiscono i per-sonaggi sono caratterizzati da una forte vitalità che si concretizza in colori carichi e sensuali, tra cui pre-domina il rosso, citato in modo diretto (la vela rossa piena di vento) e indiretto (il cielo a ponente sembrava sangue… avvinazzava… mare paonazzo… color di car-mino…). Questa nota di colore non è fine a se stessa: il rosso richiama, infatti, il sangue della passione, che scor-re caldo nelle vene dei due innamorati, e quello che sarà versato per mano di Dalfino, in un intreccio di amore e morte che ben illustra le pulsioni naturali della vita dell’uomo, di un eros che si trasforma prima in gelosia e poi in morte proprio perché vissuto in modo primitivo, passionale e totalmente irrazionale.

Analisi del testo

DalfIno gabrIele D’annunzIo

Verifica su “La novella”

Modulo 2 • Unità 2

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Le scelte stilistiche ed espressiveAlcune espressioni popolaresche sparse per la novella (Bisognava vederlo buttarsi giù con un urlo dallo sco-glio… bisognava vederlo!; il babbo se l’era mangiato il mare, se l’era mangiato, una sera che il libeccio urla-va come cento lupi; un petto che ficcava nel sangue la smania de’ morsi e faceva increspar la pelle delle dita, per San Francesco protettore!; una sera si vide davvero se il sangue era rosso, si vide) non bastano a cancella-re lo stile alto della prosa dannunziana, che, sebbene

alle prime prove, appare già caratterizzata dai suoi tratti stilistici ricorrenti: paragoni raffinati (il raggio di sole fora la nebbia come una saetta d’oro di un dio, espressione che allude alle saette di Apollo, il dio del sole), costrutti elaborati (il latineggiante con erto il petto e le labbra semichiuse) o inconsueti (somiglian quelle), giochi di suoni (co’l cenerino chiaro… sfiocchi scialbi), vocaboli rari (nuvoli) o pregnanti (avvinazzava)…

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Un nuovo modello d’uomo…Questa novella, certamente una delle più famose e di-vertenti del Decamerone di Boccaccio, è tratta dalla sesta giornata, in cui si raccontano novelle che riferiscono motti di spirito che riescono a evitare danni e fastidi. L’argomento in questione non è casuale: tutto il 1300 – e l’opera di Boccaccio in particolare – è caratterizzato dall’esaltazione delle capacità umane, finalmente risco-perte dopo gli anni in cui la mentalità teocentrica aveva portato a concentrare tutta l’attenzione solo su Dio, a sca-pito delle sue creature. La nuova mentalità borghese e mercantile, a cui era dovuto questo cambiamento, non poteva che apprezzare uomini come Frate Cipolla, che incarna uno dei tanti personaggi boccacciani che sono, come sostenevano i latini, faber fortunae suae (“artefice del proprio destino”): egli, infatti, dotato di furbizia e di eloquenza, riesce non solo a volgere in suo favore, proprio grazie a queste sue doti, una situazione poten-

zialmente negativa, ma anche a guadagnarci sopra, approfittando del fanatismo medioevale per le reliquie (resti del corpo di un santo oppure oggetti o indumenti che gli erano appartenuti), a cui la credulità popolare at-tribuiva poteri miracolosi.La sua predica agli abitanti di Certaldo è, in questo senso, un vero e proprio capolavoro di arte oratoria: il racconto del viaggio in terre lontane e sconosciute (dai nomi, però, tremendamente chiari: Truffia, Buffia, terra di Menzogna…) è dilatato a dismisura per dare credibi-lità all’oggetto che sarà mostrato e per creare, contem-poraneamente, un senso di complicità con il vero desti-natario del discorso, il lettore arguto e smaliziato, che, riconoscendo le innegabili (anche se non moralmente ineccepibili!) qualità del frate, si diverte a vedere come egli sia in grado di beffare gli ingenui e creduloni conta-dini di Certaldo.

… e il suo messaggioL’intento di Boccaccio non è solo quello di proporre e di esaltare, in modo scanzonato e divertente, una nuova tipologia umana, ma anche quello di polemizzare – o almeno indurre a riflettere – sui comportamenti di una parte della Chiesa, quella, appunto, dei Frate Cipol-la, che è uno scaltro modello d’uomo ma un pessimo religioso. Egli, infatti, diventa l’esempio concreto di una certa Chiesa del tempo, molto attenta alla vita monda-

na e ai suoi piaceri (il frate tiene la predica dopo aver ben pranzato e ben riposato) e pronta a far del bene a se stessa piuttosto che alle pecorelle di cui dovrebbe pren-dersi cura. Boccaccio non vuole certo fare il moralizzato-re: egli si limita, infatti, a una bonaria presa in giro, per mettere in guardia i creduloni da chi cerca di approfittare della loro buona fede.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 2

frate cIpolla gIovannI boccaccIo

Verifica su “La novella” i

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Le scelte narrative e lo stileLa storia di Frate Cipolla è raccontata da un narratore che usa la terza persona e che punteggia la narrazio-ne di commenti e riflessioni (che lo rendono, pertanto, palese: elemosine fatte al suo ordine dagli sciocchi… pur essendo ignorante… a Certaldo perdurava ancora la semplicità un po’ rozza degli antichi…); egli utilizza la focalizzazione zero, che gli consente di conoscere an-che i sentimenti e gli stati d’animo dei personaggi della novella (Guccio Imbratta era più desideroso di stare in cucina che un usignolo sopra i verdi rami).In questa novella compaiono, inoltre, tutte le principali

caratteristiche della prosa di Boccaccio: essa, infatti, è caratterizzata da

■ un lessico molto espressivo (particolarmente efficaci e ben riusciti i giochi di parole, le assonanze e i nomi equivoci con cui l’autore strappa le risate del lettore)

■ una particolare attenzione agli aggettivi, che caratteriz-zano perfettamente situazioni e personaggi (esemplare la donna grassa, grossa, piccola e malfatta che attira subito l’attenzione del suo degno spasimante, Guccio Porco)

■ una sintassi articolata e complessa.

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l’avventuraDI Due sposI Italo calvIno

Verifica su “Il racconto realistico”

Un racconto che documenta e denunciaArturo ha il turno di notte, Elide quello di giorno: per i due sposi-operai la vita matrimoniale è fatta di brevi incontri, al mattino e alla sera. L’autore sceglie questi due giovani sposi come l’emblema delle difficoltà della vita dell’Ita-lia del dopoguerra, che stava passando da un’econo-mia prettamente agricola a un’organizzazione di tipo industriale: questo passaggio e le sue difficoltà sono ritratti con fedeltà proprio perché Calvino vuole spinge-re a riflettere su una situazione comune negli immensi quartieri-dormitorio che sorsero, dalla fine degli anni ’50,

intorno alle grandi città per accogliere operai e manovali che cercavano fortuna lontano dalla campagna. L’inten-to dell’autore (e di questo racconto) è proprio quello di sollecitare una riflessione sulle difficoltà di questo pas-saggio: esse, infatti, non furono solo pratiche ed eco-nomiche, perché condizionarono pesantemente le persone, la loro vita e i loro sentimenti. Forse, lascia capire Calvino, l’amore di Arturo ed Elide sopravvivrà nel tempo e alla fabbrica, ma ciò avverrà solo con grandi sofferenze e sacrifici.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 3

La struttura e la scansione temporale del raccontoIl racconto è stato suddiviso in due parti, separate da uno spazio bianco: questa ellissi narrativa ha uno sco-po pratico (quello di accorciare il tempo della storia, per consentire al narratore onnisciente di omettere la narra-zione della maggior parte della giornata di Elide e Arturo), e, soprattutto, un importante significato, perché permette al narratore di annullare il tempo dei due sposi, come

se le ore trascorse lontani fossero “non vissute”. È altrettanto significativa la struttura interna dell’intero racconto: esso, infatti, può essere suddiviso, grazie agli a capo, in precise sequenze narrative che riferiscono i momenti della giornata dei due sposi-operai, proprio per evidenziare la monotona scansione della loro avvi-lente e sconfortante quotidianità.

Lo stileL’autore ha scelto una prosa dimessa, simile a quella delle cronache dei giornali: questa scelta è dovuta all’in-tento documentario del racconto, che è evidenziato dalle accurate descrizioni di ambienti, oggetti e persone.

Risulta particolarmente interessante anche la scelta del tempo imperfetto, che contribuisce a dare l’idea del-la ripetizione monotona dei gesti di una vita sempre uguale a sé stessa.

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Uno spaccato di guerra…Questo racconto è ambientato durante la Resistenza, la lotta dei partigiani contro i nazifascisti che Fenoglio conob-be bene, perché vi partecipò personalmente, cosa che gli consente di dare agli avvenimenti narrati un’impronta decisamente realistica. Lo scontro tra i partigiani e i sol-dati della Repubblica di Salò è infatti ricostruito con l’atten-zione ai dettagli (per esempio l’abbigliamento, le armi, gli atteggiamenti e i modi di vita) che deriva dall’esperienza; anche le campagne piemontesi in cui si muovono i cinque partigiani diretti ad Alba sono ben note all’autore, che vi era nato e cresciuto: lo dimostrano le pennellate descrit-tive con cui Fenoglio ritrae gli scorci paesaggistici (dalla piazzetta di Treiso si domina un po’ di Langa a sinistra e a destra le colline dell’Oltretanaro, dopo le quali c’è la pia-

nura in fondo a cui sta la grande città di Torino) e alcune espressioni cariche di affetto messe in bocca ai personaggi (questo mondo è fatto per viverci in pace).Questa ricostruzione dettagliata non ha, però, solo uno scopo documentario: l’autore propone uno spaccato fe-dele e oggettivo della Resistenza per dimostrare che la guerra di cui i partigiani sono protagonisti non è diversa dalla guerra che i nemici conducono contro di loro, per-ché entrambi, partigiani e nazifascisti, sono vittime di una realtà in cui il male e il bene, i buoni e i cattivi, stanno da entrambe le parti, dal momento che la violenza, l’odio, la morte non hanno colore e non risparmiano nessuno, soprattutto i civili, che pagano le conseguenze di un con-flitto che non può che devastare ogni cosa.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 3

… e i suoi protagonisti I cinque giovani protagonisti di questo racconto, dei parti-giani badogliani che organizzano un agguato a un sergen-te della milizia fascista, non sono presentati in maniera diretta: il lettore impara a conoscerli per il modo in cui agiscono, parlano, si rapportano ai diversi momenti della spedizione. L’attenzione del narratore esterno (che narra in terza persona e che si sforza, per esigenza di realismo, di dare una versione il più possibile oggettiva dei fatti, tralascian-do giudizi e commenti) si concentra, in particolare, su due di loro, Bimbo e Negus. Bimbo ha solo quindici anni

(è, infatti, come evidenzia il soprannome, il più giovane del gruppo): proprio la sua giovane età e l’inesperienza lo inducono a vivere questa pericolosa missione come un’avventura esaltante, in cui egli si getta a capofitto (senza rendersi conto dei concreti pericoli che essa com-porta) per dimostrare il proprio valore a Morgan, il co-mandante (Questa è la volta buona che gli tappiamo la bocca); Negus, il capo del drappello, è l’esatto opposto di Bimbo, perché la sua età e la sua lunga esperienza della guerra lo hanno reso consapevole del fatto che questo mondo, che sarebbe fatto per viverci in pace,

l’anData beppe fenoglIo

Verifica su “Il racconto realistico” i

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riserva troppi pericoli e sofferenze, che egli accoglie con una faccia scura e come nauseata. I partigiani non sono quindi eroi, ma giovani qualunque (non è casuale, nell’intento di farli apparire tali, l’insisten-za sul bisogno fisiologico del Colonnello), esattamente

come i loro nemici, quattro o cinque soldati poco più che ragazzi e un sergente che desidera solo farsi ammi-rare dai suoi e bersi un bicchiere di moscato all’osteria: tutti sono uomini comuni, che si trovano coinvolti, vo-lenti o nolenti, in vicende più grandi di loro.

Le scelte stilistiche ed espressivePer fare in modo che la narrazione conservi una forte impronta di realismo Fenoglio adotta uno stile sempli-ce, connotato da

■ un lessico quotidiano (con qualche concessione al dialetto piemontese, per esempio il termine bricco, che indica un’altura, o Langa, che significa “cresta”)

■ una sintassi prevalentemente paratattica (che a volte

presenta qualche costrutto zoppicante – Dov’è la villa che c’è tua sorella da serva? – proprio per avvicinarsi il più possibile al parlato dei partigiani-contadini delle Langhe)

■ la consistente presenza di discorsi diretti, che vivaciz-zano la narrazione e consentono di variare i registri lin-guistici in funzione dei personaggi (come è evidente, per esempio, nel dialogo tra il sergente e l’oste).

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un osso DI morto IgInIo ugo tarchettI

Verifica su “Il racconto fantastico”

Il ruolo del lettoreUn buon racconto fantastico deve rendere verosimile l’inverosimile: a questa esigenza è dovuta, nel raccon-to di Tarchetti, la precisione con cui il narratore (a cui l’autore fa raccontare in prima persona l’accaduto pro-prio per dargli maggior credibilità) circostanzia il luogo (la città di Pavia) e il tempo (gli anni 1855-1866) degli avvenimenti che costituiscono l’oggetto della sua narra-

zione. Il loro valore e la loro credibilità finali sono però lasciati al lettore, che ha sempre, nella letteratura fanta-stica, come sottolinea Todorov, l’ultima parola: del resto lo stesso narratore afferma, fin dall’inizio del racconto, di non essere in grado di dare una valutazione dei fatti e di lasciare pertanto a chi legge l’apprezzamento del fatto inesplicabile che sta per raccontare.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 3

Un’esperienza incredibile?Il protagonista fa sapere, fin dalla prima parte del raccon-to, di essere affascinato dal mondo dei magnetizzatori e delle sedute spiritiche: in effetti nella seconda metà dell’Ottocento lo spiritismo conosceva un discreto suc-cesso in opposizione all’esaltazione della scienza che caratterizzava la cultura di quegli anni. Proprio l’incapacità della scienza di dare una spiegazione a qualsiasi fenome-no spingeva a esaltare, in una sorta di contrappasso, l’ir-razionale e il misterioso, che trovavano appunto espres-sione nella pratica delle sedute spiritiche.Il protagonista, dunque, vive le realtà canoniche (le ossa, la morte, le sedute spiritiche, i fantasmi…) e le emozioni (panico, timore, angoscia, tensione…) tipiche del sottogenere del racconto fantastico: eppure egli

ne parla e le descrive con un filo di ironia che impedi-sce al lettore di prendere veramente sul serio l’acca-duto, cosicché ogni momento della narrazione appare, contemporaneamente, spiegabile e inspiegabile. Si pen-si, per esempio, all’episodio della scrittura automatica, in cui il protagonista insiste sul fatto di sentirsi strano (la mia mente era in uno stato di esaltazione impossibile a definirsi), come se, in qualche modo, egli possa essere stato suggestionato dalle circostanze e indotto a scrivere quello che già aveva pensato tra sé e sé (alcune doman-de che aveva già meditate e discusse nella mia mente), oppure al colloquio con il fantasma, su cui pesano i dub-bi delle conseguenze dell’assunzione dell’alcool…Proprio per questo il finale costituisce un vero capolavo-

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ro: i colpi del fantasma diventano i rassicuranti colpi battuti dalla portinaia che consegna la posta, ma proprio quando la tensione cala e tutto viene ricondotto al quotidiano e tro-va una spiegazione razionale (le suggestioni di una seduta

spiritica e i postumi di una bevuta hanno concretizzato dei latenti sensi di colpa per il possesso di ossa umane) arriva l’imprevedibile, costituito da un banalissimo e insignifican-te nastro nero che giace inspiegabilmente sul tavolino…

Il significato del raccontoCi sono cose che l’uomo non può spiegare e di fronte alle quali è bene ritirarsi in silenzio: è questa la rifles-sione che Tarchetti affida al suo racconto e che propone

ai suoi contemporanei che pensano di poter padroneg-giar tutto ciò che li circonda e di risolvere i grandi misteri della vita

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coIncIDenze stefano bennI

Verifica su “Il racconto psicologico”

Il racconto di un incontro…

… e il suo significato

Questo racconto di Stefano Benni è quasi interamente composto da sequenze dialogiche in cui si alternano, sotto forma di discorso diretto libero, le parole dei due protagonisti, un uomo e una donna. Il lettore non sa nulla di loro, nemmeno i nomi, sia perché il narratore (esterno e con focalizzazione esterna) non dà alcuna informazione (egli si limita, al massimo, a precisare il modo in cui sono pronunciate le parole – sospirò la signora –) sia perché i due, che si esprimono in modo estremamente forma-le e controllato (Gentile signorina… cortese signore), parlano spesso per luoghi comuni e frasi fatte. L’uomo e la donna sembrano, infatti, due automi: essi imboc-cano il ponte da due parti opposte, hanno entrambi om-brello e cappotto (che il narratore cita specularmente: lui ha ombrello e cappotto e lei cappotto e ombrello),

si fermano esattamente a metà del ponte. Non solo: i loro discorsi descrivono con abbondanza di particolari le sensazioni e gli stati d’animo provati con una tecni-ca che si avvicina a quella teatrale (dove le parole dei personaggi devono supplire, con descrizioni e riflessioni che riguardano il proprio io, all’assenza di un narratore) proprio come se i due stessero dichiaratamente reci-tando una parte. Insomma, quest’incontro è davvero strano: l’ambiente, il contesto e la situazione fanno subito pensare a una di-chiarazione d’amore; il comportamento, l’atteggiamento e le parole dei personaggi, invece, riducono il tutto a un banale scambio di parole, da cui ciascuno dei due si al-lontana, sottolinea il narratore, di buon passo, cioè senza alcun ripensamento.

Benni, con lo scanzonato stile narrativo che lo contrad-distingue, ha voluto mettere in scena (di qui la teatralità del racconto) un finto incontro, uno dei tanti che carat-terizzano il nostro quotidiano: ci si incontra, ci si parla, ci si ascolta, ma sempre in modo formale e non realmente partecipe (di qui l’uso del Lei e i modi teatrali). Gli uomi-ni, fa capire Benni, sono talmente abituati, ormai, a non lasciarsi più andare, che vivono di rapporti formali, che, a lungo andare, impediscono loro di comprendere realmen-te ciò che provano (ammesso che sappiano ancora pro-

vare qualcosa): i sintomi dell’innamoramento sono così scambiati per un’impressionante serie di coincidenze per-ché i due, che non sanno più ascoltare il loro cuore e che sono abituati a razionalizzare la realtà, non ricono-scono questo sentimento. Di qui l’asetticità e il rigore geo-metrico dell’ambiente che li circonda, sfondo perfetto per un uomo e una donna che, proprio perché senza nome, diventano il simbolo degli uomini e delle donne di oggi, che non sono più capaci né di provare né di riconoscere le sensazioni e le emozioni vere che la vita sa donare.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 3

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un’assenza natalIa gInzburg

Verifica su “Il racconto psicologico” i

La genesi del racconto

Un marito e un padre in crisi

“Un’assenza è il primo racconto vero che io scrissi. Ave-vo scritto, in precedenza, una profusione di poesie1; e avevo incominciato molti racconti, fermandomi dopo le prime tre o quattro righe […] Quando mi diedi a scrivere Un’assenza tremavo dalla paura di fermarmi prima della fine. Scritta Un’assenza non ricordo se lo giudicai un bel racconto, ma ero trasecolata2 dall’orgoglio e dallo stupore per averlo finito. Ricordo tuttavia che pensai ch’era un vero racconto, un racconto “per adulti” (pensai proprio così, “per adulti”) e mi dissi che ero forse un “enfant prodige”3. Avevo diciassette anni”. Queste parole, tratte da una Nota premessa al volume che raccoglie tutte le

opere della scrittrice, danno una chiara idea di che cosa sia il racconto appena letto: esso si propone, infatti, come una riflessione su uno dei temi cardine della produ-zione di quest’autrice, la famiglia. La Ginzburg è perfettamente consapevole del fatto che la famiglia è la cellula base della società, ma è altrettanto lucidamente consapevole della crisi che essa cominciava ad attraversare già ai suoi tempi (il racconto è stato scritto nel 1933): di qui la sottile analisi psicologica del protago-nista, Maurizio, e del suo tormentato atteggiamento nei confronti della moglie e del figlio.

Il protagonista del racconto è seguito per ventiquattro ore, dal primo giorno dopo la partenza della moglie, Anna, che si è recata a Sanremo, fino alla sera successiva, quando egli, convinto che la moglie lo tradisca, decide di recarsi da una prostituta. Gli eventi di questa giornata sono dunque minimi: tra il primo e il secondo, che, come detto, aprono e chiudono

il racconto, c’è la parte più consistente e significati-va della narrazione, interamente occupata dai pensieri del protagonista, che si rende conto del suo fallimento come marito e come padre (arrivando persino a prende-re in considerazione l’idea del suicidio). L’analisi che Maurizio fa di sé e del suo rapporto con la moglie (che il lettore conosce in modo diretto, perché

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 3

1 Una profusione di poesie: moltissime poesie.2 Trasecolata: strabiliata.3 “Enfant prodige”: “bambino prodigio”, espressione con cui si indica un bambino che dimostra, negli ambiti più disparati, un

talento superiore alla sua età.

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proposta, in una sorta di lungo monologo interiore, con frequenti discorsi indiretti liberi) è, a tratti, davvero spietata: egli è infatti perfettamente consapevole del fatto che il fallimento del matrimonio non possa essere imputa-to ad Anna (per quanto lei si dimostri, a tratti, capricciosa, superficiale e – forse – persino infedele) ma solo a se stesso e alla sua incapacità di amare davvero (Non ricor-dava d’essersi mai innamorato. Non ricordava d’aver mai desiderato, follemente, una donna. Non ricordava altri so-gni che le sue pazze fantasticherie di bambino, confuse con assurde fiabe e vecchie leggende. E a un tratto gli parve d’aver capito quello che veramente egli era).

Maurizio si rende conto di essere un bambino cresciuto (un bambino sono, e nient’altro, un bambino come il mio bambino), di non saper assumersi responsabilità (siano esse lavorative o famigliari), di non riuscire nemmeno ad amare perché, come un novello Peter Pan, egli è trop-po infantilmente concentrato su stesso, sempre pronto a scappare di fronte ai problemi e alle difficoltà della vita (e la scelta che chiude il racconto ne è un chiaro esem-pio), sempre disposto a chiedere scusa (per qualsiasi mancanza, poiché per lui non fa differenza se si siede sul divano senza togliere le scarpe o se tradisce la moglie), ma mai deciso veramente a cambiare.

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Un romanzo che indaga la vita sorridendo

Lo stile

Leone Leoni è stato ucciso con una fucilata: gli investiga-tori brancolano nel buio e così le indagini sono portate avanti anche dai parenti e dagli amici, che interrogano chiunque possa fornire dettagli utili per la cattura dell’as-sassinio.Lucia, la fidanzata, arriva anche nel negozio di Franco il Formicone, boss del ramo alimentari; egli è solo uno dei tanti personaggi che animano le pagine di questo testo, che si presenta come un romanzo poliziesco ma che diventa, ben presto, tutt’altro: il meccanismo portante del romanzo poliziesco, la ricerca del colpevole, viene infat-ti accantonato per dare all’autore la possibilità di traccia-re un affresco di un mondo che, pur calato nel clima fiabesco che tanto gli è caro, somiglia terribilmente al nostro. L’effetto di straniamento che ne consegue (per cui il presente sembra visto da lontano o da un altro mon-do) permette di giudicare cose e persone con uno sguardo obiettivo e distaccato, per rendersi conto, per

esempio, che sono tanti i Franco il Formicone che, nella vita, fanno prevalere la logica dell’utile e del guadagno, perdendo di vista i veri valori.E così quello che sembra un personaggio comico, inse-rito in un contesto comico, si tinge, in realtà, di tristezza o, per dirla con l’autore, di tragedia: alla base di questo romanzo, ha affermato Benni in un’intervista, c’è infatti la scoperta del fatto che “non esiste nessuna opposizio-ne tra la tonalità del comico e quella del tragico”, che si respingono e si attraggono per formare una scrittura “orchestrale” in cui suonano, appunto, diversi strumenti, cosicché non si può mai sapere quale tonalità ci sarà nella pagina successiva. Di qui un romanzo che ritrae un mondo su cui si ride (e si ride molto!) in cui campeggiano, però, la mancanza di valori, la diffusione del conformismo, la povertà di sentimenti, la logica dell’utile… tutte difficoltà che gli uomini devono provare ad affrontare e superare trasfor-mandosi in comici, spaventati ma guerrieri.

Il finissimo umorismo di Benni passa anche attraverso il suo inconfondibile stile di scrittura, che si avvale di

■ nomi parlanti, come quello del protagonista, che ri-manda sia alla forma del suo corpo (un otto perfetto)

sia alla tendenza all’accumulo propria di quest’animale

■ neologismi, alcuni più semplici, come l’aggettivo for-miconica, che descrive la forma del corpo del prota-gonista, altri più complessi, come il tanatotum per i

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 4

franco Il formIcone stefano bennI

Verifica su “Il romanzo comico”

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parassiti, che deriva dalla fusione di una parola greca, thanatos, che indica la morte, e dell’aggettivo latino totus, che vuol dire tutto

■ espressioni artificiose e solenni usate per descrivere semplici realtà quotidiane, come le scamorze, definite, con un costrutto latineggiante, d’orrenda putredine pallide

■ accumulazioni: il protagonista ha infatti licenza pane, pasta, drogheria, frutta, verdura, bombole a gas, ferra-menta; l’orto è pieno di fulminatopo, verderame, polve-re antiblatte, scarafol, tanatotum e altre armi chimiche

■ iperboli, come il muro di carciofini e l’impressionante rumore della battaglia con il topo

■ similitudini, che creano effetti particolarmente diver-tenti: il registratore di cassa, per esempio, incombe minaccioso come un finanziere

■ rime (la vita è dura per chi ha un po’ di verdura)

■ immagini ridicole, come quella che paragona meta-foricamente l’orto a un carcere in cui sono prigioniere diverse qualità di verdure, custodite da uno spaventa-passeri in tuta mimetica oppure quella che descrive il topo che fa le sabbiature nella farina

■ una sintassi fortemente paratattica (Si sente un ru-more nel retrobottega. Il Formicone scatta e scopre un topo che fa le sabbiature nella farina. Il rumore della battaglia è impressionante. Quando Formicone torna nel negozio le ragazze non ci sono più. Il suo occhio esperto coglie un diradamento nella schiera dei carciofini…) o addirittura priva di punteggiatura (Non è passato non l’ho visto era un mese che non lo vedevo).

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Una risata che arriva da lontano

Un viaggio attraverso l’InghilterraMr. Pickwick è un distinto signore calvo e occhialuto, che ha fondato un circolo di gentiluomini, il circolo Pickwick, che ha lo scopo di archiviare i risultati dei viaggi e de-gli incontri dei soci, in modo da creare un repertorio di usanze, curiosità, modi di fare, costumi… in grado di ricostruire fedelmente la realtà cittadina e campagnola dell’Inghilterra dei primi anni dell’Ottocento. Proprio per dare il suo contributo il signor Pickwick co-mincia il viaggio che è alla base del romanzo: esso, in

realtà, è un semplice pretesto per raccontare disparati episodi e le situazioni più improbabili e assurde che hanno per protagonisti migliaia di personaggi (uomini e donne, ricchi e poveri, giovani e vecchi) dotati di un grande fascino grazie al modo in cui sono tratteggiati, siano essi comici o tragici (nel suo peregrinare il protago-nista viene infatti a contatto con vetturini e gentiluomini, signore altolocate e sguattere, ciarlatani e zelanti impie-gati, burocrati e carcerati…).

Il bonario (e a volte sprovveduto) protagonista ha l’incre-dibile talento di riuscire sempre a cacciarsi nei pasticci: in questo episodio, per esempio, una semplice dimen-ticanza causa una situazione decisamente imbarazzante.In realtà lo scambio di camera non è una novità, per-ché rimanda a uno dei meccanismi narrativi tipici del teatro comico greco e latino, la commedia degli equivoci, che si basa, per strappare le sonore risate del pubblico, su un equivoco o un fraintendimento. Lo sche-ma più consueto è, come in questo caso, lo scambio di persona: i due personaggi, che non sanno con chi han-no realmente a che fare, generano, con le loro battute, doppi sensi e divertenti incomprensioni (il povero signor Pickwick, scambiato per un maniaco, è decisamente ridi-

colo in questo ruolo, con tanto di berretto da notte con la nappa diligentemente annodato sotto al mento!).Non è un caso che quest’imbarazzante situazione derivi dal teatro: i personaggi di Dickens, hanno, infatti, nel loro tratteggio, una forte componente teatrale, legata all’uso dei discorsi diretti e – soprattutto – all’esasperata ge-stualità (evidente, per esempio, nell’accurata descrizione del continuo andirivieni della testa di Pickwick dalle cortine del letto e nel suo buffo modo di allontanarsi dalla stanza con tutti i vestiti in mano, con tanto di inchino finale); tale componente è dovuta alla volontà dell’autore di rendere spesso i suoi personaggi delle caricature che rappresenti-no gli aspetti più bizzarri, paradossali e divertenti dell’Inghil-terra dell’epoca e dei suoi abitanti.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 4

un equIvoco DecIsamenteImbarazzante charles DIckens

Verifica su “Il romanzo comico”

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Il carteggIo tra angelIca e mIchele natalIa gInzburg

Verifica su “Il racconto epistolare”

La struttura del romanzo

Le lettere di Angelica e Michele

In Caro Michele si alternano molte lettere e pochi in-serti narrativi. Questa particolare struttura fa sì che il lettore si trovi di fronte più narratori interni al roman-zo – i personaggi – (ognuno dei quali ricostruisce le vi-cende secondo il proprio punto di vista) e un narratore esterno (che interviene per raccordare le diverse parti

della narrazione e per riferire i dialoghi dei personaggi): in questo modo la storia di Adriana e dei suoi cinque figli, in particolare di Michele e Angelica, è presentata da diverse angolazioni, che consentono di cogliere a pieno l’intreccio di sentimenti e di emozioni che costellano l’in-felice quotidianità dei personaggi del romanzo.

La narrazione delle vicende per mezzo della finzione del-le lettere consente al lettore di

■ apprendere i fatti articolati in una dimensione tem-porale complessa: nelle lettere, infatti, sono presenti ricordi (quando alla nostalgia viene a mescolarsi la re-pulsione, succede allora che i luoghi e le persone che amiamo li vediamo situati in una grande lontananza), avvenimenti presenti (in questo momento sta cuci-nando pietanze per tutta la settimana…) e persino futuri (Forse verrò nelle vacanze di Pasqua…; devono arrivare da Boston dei parenti di Eileen…)

■ conoscere in modo approfondito gli stati d’animo e le opinioni dei personaggi, che si mettono a nudo con l’interlocutore, con cui hanno un rapporto di inti-mità e di confidenza: in queste lettere, per esempio, Michele fa delle personalissime considerazioni sulla nostalgia che avverte – a tratti – dentro di sé (che

si manifesta in un modo davvero inconsueto, perché mescolata alla repulsione) e confessa il suo disperato bisogno di parlare con qualcuno (è un momento che mi metterei a parlare anche con una sedia); Angeli-ca, più matura e riflessiva, riconosce l’importanza del giudizio e della vicinanza delle persone che si amano, che possono essere giudici estremamente limpidi, mi-sericordiosi e severi, ma, proprio per questo, salutari e benefici

■ essere informato sui fatti (a volte anche sugli stessi argomenti) secondo diversi punti di vista: per Miche-le, ad esempio, Mara è stata contagiata di complica-zioni e malinconie dal suo compagno, mentre Angeli-ca lascia intendere, con la riflessione tutti noi abbiamo una sottile arte nel cacciarci in situazioni disperate che nessuno può risolvere, che Mara ha, nel suo fallimento esistenziale, più di una colpa…

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 5

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Le scelte lessicali e stilisticheL’autrice predilige un linguaggio quotidiano e dimes-so, che si adatta perfettamente al tipo di testo e ai suoi personaggi: proprio per questo motivo il lessico e la sin-tassi sono a volte caratterizzati da volute imprecisioni o errori (ha ragione, non ha mica torto; è un momento

che mi metterei a parlare anche con una sedia; anche questi parenti di Eileen non li ho mai visti) plausibili e leciti nella comunicazione tra persone che sono in confidenza e che badano alla sostanza (non certo alla forma!) di ciò che dicono.

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una lenta DIscesa nell’abIsso chrIstIane f.

Verifica su “Il racconto autobiografico”

Una ragazza vera…La tredicenne Christiane vive a Berlino con la madre e il suo compagno. All’apparenza è una ragazzina come molte altre: frequenta l’ottava classe (e non è sempre soddisfatta degli insegnanti e dello studio), ha un gruppo di amici con cui dice di sentirsi a suo agio, ama le disco-teche, a volte si sente sola, prova un grande affetto per la madre, anche se le pare che la trascuri un po’… Fin qui, dicevamo, il ritratto di una ragazzina qualunque. Ma a un certo punto nella sua vita si fa strada una peri-colosa compagna, la droga. Non è facile capire il motivo – o i motivi – che portano un’adolescente a cercare la droga: la stessa Christiane, che pure non tace nessun particolare della sua lenta discesa nell’abisso, non riesce a individuare con precisione che cosa l’abbia spinta a

fare il primo passo. Del resto illustri sociologi e psicologi discutono da tempo sugli aspetti socio-ambientali (realtà poco sviluppate o degradate, ambienti economicamente privilegiati, povertà, cattive compagnie, colpe della scuola e degli educatori…) e sulle carenze emotive e affettive che inducono i giovani a rifugiarsi nella droga, senza riu-scire a definire con precisione i termini del problema. Nel caso di Christiane il fattore scatenante sembra essere stato proprio il gruppo in cui la ragazzina pensava di aver trovato rifugio e protezione: il bisogno di essere accettata, la paura del rifiuto, il desiderio di essere come gli altri (nonostante essi possano non essere modelli di compor-tamenti positivi) inducono Christiane a compiere il primo e irreversibile passo verso la sua discesa…

Analisi del testo

… e un vero problema La vicenda di Christiane si colloca negli anni Settan-ta del Novecento, ma da allora poco è cambiato: la droga resta, ancora oggi, uno dei principali pericoli a cui vanno incontro ragazzi sempre più giovani. L’unica dif-ferenza (che paradossalmente rende il problema anco-ra più serio e preoccupante) è determinata dal tipo di droga: se ai tempi di Christiane, infatti, il pericolo era rappresentato dalle droghe pesanti (in particolare l’eroi-na), così chiamate proprio perché procurano gravi danni

all’organismo e danno maggior assuefazione, oggi esso è costituito dalle droghe più leggere, come la cocaina, che danno l’illusoria convinzione di non essere par-ticolarmente dannose e di non creare dipendenza. È dunque molto importante riflettere su queste pagine (e proprio per questo invitiamo alla lettura dell’intero ro-manzo) per capire che il racconto di questa vita, dram-maticamente vero, ha molto da insegnare ai ragazzi di ogni luogo e di ogni tempo.

Modulo 2 • Unità 5

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gavIno e Il servIzIomIlItare gavIno leDDa

Verifica su “Il romanzo autobiografico”

Le scelte narrative e linguistiche

La ribellione di un giovane sardoGavino Ledda, deciso a lasciare per sempre la realtà del mondo dei pastori, in cui il padre lo ha tenuto per anni contro la sua volontà, si rende conto che la sua unica speranza concreta di cambiamento è rappresentata dalla leva militare, che costituisce per lui, a differenza di tanti altri coetanei, l’unico modo per migliorare la propria condizione culturale e sociale. Così nel 1958 si arruola nell’Esercito e s’iscrive al Cor-so di Addestramento Reclute: abbandonata la realtà di Siligo, il paese in provincia di Sassari in cui è nato e cre-sciuto, Ledda si ritrova catapultato in un mondo comple-tamente sconosciuto, l’immensa prigione della caserma, in cui egli stenta persino a muoversi, dal momento che conosce a malapena qualche parola d’italiano (l’italiano non lo sapevo parlare che sillabicamente… “signorsì”

per me era divenuta una formula magica, e mi evitò molte punizioni). Proprio da qui parte, però, la sua rinascita: la felice intuizione del superiore di affiancarlo al gruppo dei sardi lo aiuta a sentirsi meno solo e a superare le prime, inevitabili dif-ficoltà. Gavino, studiando e lavorando giorno e notte, sostenuto da una forza di volontà incrollabile – da vero sardo! –, migliora il suo italiano, consegue il diploma di terza media da privatista e diventa sergente radiomon-tatore presso la scuola di Cecchignola, a Roma, da cui continuerà il suo faticoso ma gratificante percorso di for-mazione, che lo porterà ad allontanarsi definitivamente da un mondo fatto di fatica, di duro lavoro e d’ignoranza, quest’ultima l’unico vero nemico che deve essere sem-pre – e a ogni costo – combattuto.

Per fare in modo che questa testimonianza risulti davvero attendibile, Gavino Ledda non ha taciuto nulla della sua esperienza di vita (compresi i particolari e gli episodi più crudi) e ha operato alcune scelte narrative: in particolare,

■ la narrazione affidata a un narratore interno (lo stes-so protagonista) che, avvalendosi della focalizzazione interna, riferisce in modo diretto sensazioni e pensieri

(uno spirito ferino mi ruggiva continuamente e mi sta-va sempre suggerendo di saltare quelle mura)

■ la conseguente separazione di io narrante e io nar-rato, che consente di valutare situazioni e persone in modo più complesso (La divisa ci accomunava solo per i superiori, ma nella realtà tra noi sardi e gli altri soldati c’era di mezzo la separazione della lingua)

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 5

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■ la predominanza della scena-dialogo e della scena-azione come modalità narrativa ricorrente, che permette di presentare al lettore fatti, situazioni e persone nella loro immediatezza (sono particolarmente significativi, a questo proposito, alcuni momenti del dialogo tra Gavi-no e il comandante di compagnia: “Avanti!” “Comandi” “Non si sa nemmeno presentare.”… “E perché te ne vuoi ritornare tra le tue pecore?” “Perché le conosco”).

Anche le scelte linguistiche ed espressive si muovo-no in questa direzione: l’autore sceglie, infatti, vocaboli semplici e concreti (spesso tratti dal linguaggio dei pa-stori e dal dialetto sardo) e predilige la paratassi proprio per creare una prosa facile, scorrevole, adatta a rappre-sentare la sua vecchia realtà di analfabeta e non quella nuova di professore.

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Il ricordo di una guerra…

… e di un piatto di minestra

Mario Rigoni Stern non amava il termine “scrittore”: egli preferiva definirsi un “testimone” perché affermava di saper scrivere solo di ciò che conosceva bene, la natura e la guerra. La sua testimonianza sulla campagna di Russia nacque già durante la guerra: egli cominciò infatti ad abbozza-re alcune pagine de Il sergente nella neve durante la prigionia nei Lager tedeschi, spinto dal desiderio di far conoscere il destino dei tanti che, come lui, furono co-

stretti a sfidare la fame, la fatica, il freddo e i nemici in una terra straniera, ma che, a differenza sua, non ebbero la fortuna di tornare. Egli considera pertanto la scrittura come una sorta di dovere morale, perché alcuni nomi, visi e situazioni ricevano, nelle sue pagine, la giusta ce-lebrazione, che non è fatta di episodi militari riferiti con parole solenni ed enfatiche, ma di momenti di vita rap-presentati con vocaboli semplici, capaci di dare molto a chi li sa ascoltare.

Il sergente maggiore Rigoni Stern ricorda ogni momento della tragica ritirata di Russia dell’inverno 1943: in queste pagine egli rievoca, in particolare, il 26 gennaio, quan-do i soldati italiani, diretti a Ovest, si trovano di fronte il villaggio di Nikolajewska. I proiettili sono pochi, l’attraver-samento del villaggio non è stato minimamente orga-nizzato, i cannoni russi incombono come una minaccia e i rinforzi non arrivano: eppure, quello che rimane di questo scenario di guerra è un piatto di minestra, che segna un armistizio più sincero e duraturo di quello imposto e tutelato dalle armi (un’armonia che non era un armistizio, precisa, infatti, il narratore). Il gesto di bussare alla porta, la richiesta di entrare e di avere del cibo, il “grazie” e il “prego”, atti ovvi e insigni-

ficanti nella quotidianità, acquistano, in un contesto di violenza e di morte, un altissimo significato: lontani, per un attimo, dalla guerra, gli uomini sanno restare uomini e compiere azioni che nascono dal cuore, come quella di dare da mangiare a un affamato. Che poi questo gesto sia compiuto da una donna e alla presenza di bambini è più che un caso: è il segno tangibile della speranza che il mondo recuperi presto i suoi valori più veri e che li insegni agli uomini di domani, perché essi non debba-no mai più provare in prima persona l’orrore della guerra, come evidenzia il narratore nelle sequenze riflessive che chiudono il passo proposto, che hanno il compito di rife-rire il pensiero dell’io narrante, che ha elaborato il fatto e l’insegnamento che se ne può ricavare.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 5

un pIattoDI mInestra marIo rIgonI stern

Verifica su “Il romanzo autobiografico”

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Le scelte stilistico-espressiveSe lo scrittore deve (e vuole) essere un testimone, la sua narrazione deve essere una pura e semplice testi-monianza: è questo il motivo per cui la prosa di Rigoni Stern è scarna, essenziale, immediata, grazie all’uso di un lessico colloquiale (con l’inserimento persino di qualche vocabolo dialettale) e di una sintassi prevalen-

temente paratattica. Assai efficace risulta, a questo proposito, anche l’utilizzo del monologo interiore (Ma perché non scende il gros-so della colonna? Che cosa aspettano?… Che facciamo qui da soli?), che consente di riportare i pensieri del ser-gente in modo diretto e immediato.

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la fIera bestIa sebastIano vassallI

Verifica su “Il romanzo storico”

La storia è una chimeraIn questo romanzo Sebastiano Vassalli ricostruisce la vita di un piccolo paese del novarese, Zardino, tra gli anni 1590 e 1610, per mezzo di alcuni documenti sto-rici, che riguardano, in particolare, un drammatico epi-sodio di caccia alle streghe, di cui fu vittima una povera

trovatella, Antonia. La penna dello scrittore fa dunque rivivere il nulla che è, oggi, Zardino: improvvisamente esso, come una chimera1 (di qui il titolo del romanzo), spunta dal passato, con tutti i suoi abitanti e le sue su-perstizioni.

Analisi del testo

1 La chimera è un mostro mitologico con corpo e testa di leone, una testa di capra sul dorso e la coda formata da un serpente. Il termine è diventato il sinonimo di qualcosa che non esiste, perché indica una creatura dichiaratamente di fantasia.

Il Seicento: la condanna di un’epoca… Il Seicento è stato, come il Medioevo, un secolo di gran-de superstizione: essa ha trionfato soprattutto negli am-bienti poco colti, chiusi e ristretti della provincia. Zardino è, in questo senso, un caso esemplare: il narra-tore ritrae gli abitanti intenti a raccontare, nelle sere tra-scorse attorno al fuoco, le gesta della fiera bestia, che acquistano sempre più spazio e credibilità (soprattutto quando si è bevuto un goccetto!). Dalla fiera bestia alle streghe il passo è breve: quando, durante l’inverno, co-minciano a verificarsi alcuni fatti prodigiosi, o strani, o semplicemente curiosi, è naturale, per le persone esper-te e per le comari, pensare alla presenza di una creatu-ra malefica che opera contro gli uomini e le loro cose. Antonia è una vittima perfetta: la sua bellezza, i suoi atteggiamenti spregiudicati e ribelli, il suo carattere così

diverso da quello del resto della comunità le attirano i primi sospetti, che via via diventano certezze. L’ignoranza collettiva ha scelto il suo capro espiatorio e per Antonia diventa impossibile sfuggire alla pena a cui la condanna-no l’ignoranza, una fede distorta e l’ottusità della sua stessa gente…Il giudizio dell’autore su quest’atteggiamento è pale-semente espresso per bocca del narratore, che, nelle ultime righe del passo proposto, condanna senza riserve il Seicento e la sua mentalità, che gli appare partico-larmente meschina (è significativo, a questo proposito, l’insistito ricorso alle proposizioni esclamative, che danno la misura dello stupore con cui il narratore riferisce gli in-spiegabili episodi di intolleranza e di esclusione compiuti dalla comunità di Zardino ai danni di Antonia).

Modulo 2 • Unità 6

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… e l’inevitabile confronto con Manzoni Manzoni e i suoi Promessi sposi sono l’inevitabile mo-dello di riferimento per chi si dedica al sottogenere del romanzo storico: Vassalli accetta il confronto e ambienta il suo romanzo pochi anni prima di quello manzoniano, ricostruendo il contesto storico (la monarchia spagnola di Filippo II e i piani controriformistici della Chiesa) con la stessa precisione documentaria del suo modello.Anche lo scopo di questa rievocazione è analogo a quello manzoniano: per entrambi gli autori, infatti, la storia è in grado di insegnare molto, perché solo co-noscendo il passato è possibile comprendere il presente

per migliorare il futuro. Manzoni vuole far riflettere sui suoi tempi e sui loro difetti per mezzo della lezione del Seicento: allo stesso modo Vassalli vuole dimostrare che l’intolleranza e la superstizione non hanno mai portato a nulla di buono, e che, proprio per questo, devono essere estirpate con ogni mezzo. Diversa è, invece, la posizione nei confronti della Chiesa: se Manzoni scrive un romanzo che invita ad ac-cogliere la fede cristiana e i suoi rappresentanti come guida e stile di vita, Vassalli dà, della religione e della Chiesa, un’immagine decisamente negativa.

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Le tecniche narrative e le scelte stilistico-espressiveIl desiderio di rappresentare fedelmente il mondo dei manovali e degli arricchiti fa sì che in questo romanzo Verga abbandoni la narrazione corale (adatta al microco-smo di Aci Trezza ma inopportuna nella realtà di Gesual-do) per tornare a concentrarsi sul singolo personaggio.

Di conseguenza, anche in questo romanzo, come ne I Malavoglia, Verga fa ricorso a un narratore esterno (che si astiene da ogni intervento e lascia parlare i fatti) ma sceglie la focalizzazione interna al personaggio, che permette di presentare azioni e persone secondo la logi-

la morteDI gesualDo gIovannI verga

Verifica su “Il racconto naturalista e verista”

Il protagonista: un uomo complesso e tragicamente modernoGesualdo, gravemente malato, si è trasferito a Palermo, nel palazzo in cui abitano la figlia e il genero: egli si ritrova in un mondo che non è il suo, solo e costretto all’inattivi-tà, che porta con sé brutti pensieri. Ormai prossimo alla morte, Gesualdo non fa più nulla per nascondere i due tratti distintivi della sua personalità: l’attaccamento alla roba e la mancanza di affetti sinceri.Gesualdo ha lavorato per tutta la vita per migliorare la sua condizione sociale: con il sudore, la fatica, il risparmio, egli è riuscito a trasformarsi dall’umile manovale di Vizzini che faceva la pappa in mastro don, con un significativo accumulo di titoli (mastro era l’appellativo dato ai maestri artigiani, don il titolo riservato ai signori) che dovrebbero dare la misura del suo riscatto e che invece sono solo il segno tangibile del suo fallimento (la classe d’origine non lo sente più un suo membro e quella di arrivo lo tiene a distanza proprio per le sue umili origini, cosicché egli non è né mastro né don). Gesualdo, con l’avvicinarsi della morte, avverte che tutta la sua fortuna (la roba,

intesa sia come ricchezza sia come beni immobili) non solo non sarà più sua ma verrà dilapidata dalla figlia e dal genero: questo pensiero addolora e strazia non il cuore di un avido, ma l’animo di chi conosce la vera fatica e si accorge che essa non è valsa a niente. La figlia e il genero, infatti, non sono in grado di ripa-garlo nemmeno con la consolazione del loro affetto: il genero, il duca di Leyra, scialacquatore e poco di buono, disprezza profondamente Gesualdo; la figlia, pur pro-vando ad amarlo, è troppo orgogliosa per dimenticare di essere stata sacrificata alla logica del miglioramento sociale (dopo la fuga d’amore con un popolano, Corrado la Gurma, è stata costretta a sposare il duca).Alla luce di queste considerazioni Gesualdo appare un personaggio complesso, decisamente a tutto tondo e tragicamente vicino a tanti uomini moderni, che fan-no dell’affermazione personale un obiettivo a cui sacrifi-care valori e persone, senza rendersi conto del deserto che questo crea attorno a loro.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 6

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ca e il punto di vista di ciascuno di loro: così, per esem-pio, in questo passo, lo stesso avvenimento (la malattia e la morte di Gesualdo) è presentato con gli occhi di Gesualdo, della figlia, dei servitori… Tale intento è perseguito anche con le scelte stilistico-espressive: nel passo proposto (e in tutto il romanzo) ab-

bondano, infatti, il discorso indiretto libero e il discorso diretto, che, oltre a riferire in modo diretto i pensieri e le parole dei personaggi, consentono all’autore anche una discreta libertà linguistica, capace di rappresentare in modo credibile la differente realtà sociale dei personaggi che agiscono nelle pagine del romanzo.

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Un nonno, un nipote e… il progressoL’attenzione di Verga si concentra, ne I Malavoglia, sulle leggi immutabili che regolano i rapporti sociali e che, proprio come accade in natura, determinano la vittoria del più forte sul più debole. Queste leggi, trasferite nel microcosmo di Aci Trezza, sono incarnate da due grup-pi opposti: da un lato, infatti, ci sono gli abitanti del paese, che cercano di perseguire l’utile, il guadagno e il miglioramento sociale anche calpestando, se è il caso, i valori dell’onestà, del rispetto e della solidarietà, dall’altro la famiglia dei Malavoglia, che di questi valori è, invece, uno strenuo difensore e che, per questo, è isolata dal resto della comunità.A un certo punto, però, le irrequietudini per il benes-sere, come le chiama Verga, dividono anche la famiglia Malavoglia, in particolare il nonno e il nipote che porta-no – significativamente – lo stesso nome ma che ormai rappresentano due mondi diversi. Il nonno, ’Ntoni il vecchio, è infatti profondamente attac-cato alla famiglia, rappresentata dalla casa del Nespolo, perché ritiene che essa possa costituire, per il singolo individuo, una sorta di baluardo protettivo, un nido che ripara dai pericoli presenti nel mondo circostante (che si concretizzano, in particolare, nella miseria). Lasciare la casa e la famiglia è, per Padron ’Ntoni, un sacrilegio, una mancanza di rispetto nei confronti di ciò che hanno fatto le generazioni precedenti, un tradimento di quell’ideale

dell’ostrica (che vive solo sullo scoglio in cui è nata) che egli ritiene garanzia assoluta di felicità, perché, secon-do lui, per essere felici, bastano un buon lavoro e un tetto che riunisca la famiglia. Questo suo modo di intendere la vita, che si tramanda da generazioni attraverso il sapere popolare dei proverbi, prevede, dunque, pochi ma ben chiari punti di riferimento: il lavoro, il sacrificio, l’onestà, la famiglia.Il nipote, ’Ntoni il giovane, non la pensa affatto così. Egli non è cattivo (anzi, si commuove al pensiero del dolore che arreca ai familiari), ma non riesce proprio a condividere il pensiero del nonno, anche perché si rende tragicamente conto del fatto che gli sforzi e le fatiche che gli sono proposti non porteranno mai a un miglioramen-to, ma, al massimo, al mantenimento di ciò che ha (che non è molto!). Per questo egli pensa alla città come a un miraggio: la vita comoda della città non comporta, nel suo modo di intendere le cose, né fatica né impegno, perché, secondo lui, in città non si fa nulla e si mangia-no pasta e carne tutti i giorni. Contro queste idee non servono le lacrime della madre e della sorella, l’esempio del fratello, i proverbi e i saggi consigli del nonno: i prin-cipi a cui è stato educato sono destinati a soccombere, proprio come lui, il primo antieroe della letteratura del Novecento.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 6

Due IDealI DI vItaa confronto gIovannI verga

Verifica su “Il romanzo naturalista e verista”

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Le tecniche narrative Il passo proposto presenta tutte le caratteristiche della prosa verista:

■ la presenza di un anonimo narratore popolare, che, rappresentando un qualunque abitante di Aci Trezza, condivide, grazie all’artificio della regressione, ogni aspetto (mentalità, usi, costumi e linguaggio) di questo microcosmo e non ha più nulla a che fare con il punto di vista borghese e colto dell’autore

■ l’uso costante della focalizzazione interna ai perso-naggi, che permette di conoscerne in modo diretto impressioni, pensieri e stati d’animo

■ il frequente ricorso al discorso diretto e indiretto li-bero, che confondono continuamente la voce del nar-ratore e quella dei personaggi

■ la sintassi paratattica, che dà al discorso un ritmo ra-pido e incalzante

■ la coloritura siciliana, ottenuta con l’adozione dei vo-caboli (per esempio i soprannomi) e delle strutture sintattiche proprie del dialetto (in particolare il “che” derivato dal ca siciliano) inseriti in una base d’italiano corrente, che consente a tutti una facile lettura dell’o-pera.

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Le tecniche narrative Queste pagine presentano uno dei momenti più significa-tivi del percorso di crescita del protagonista. Amir è sempre più geloso di Hassan; ora egli prova anche vergogna per non averlo aiutato nel momento del bisogno: ciò che lo fa sentire peggio, però, è la consapevolezza del fatto che Hassan, al suo posto, non avrebbe esitato un attimo a di-fenderlo (come infatti è già accaduto in passato). Il lettore, grazie all’uso della prima persona e della focaliz-

zazione interna, dei discorsi diretti e del discorso indiret-to libero, è messo costantemente al corrente delle sensa-zioni e delle emozioni che Amir avverte dentro di sé e può così seguirne lo sviluppo: egli, infatti, percepisce, insieme ad Amir, dapprima la pungente gelosia, poi la sensazione di vergogna, infine l’incapacità di gestire queste emozioni, che culmina nei tentativi sempre più insistenti e maldestri di eli-minare il problema allontanando da sé l’incolpevole amico.

la fIne DI un’amIcIzIa khaleD hosseInI

Verifica su “Il romanzo di formazione”

Un ragazzino che non vuole crescereAmir, figlio di un ricco uomo d’affari, è, come la maggior parte della popolazione dell’Afghanistan, un pashtun, cioè un musulmano sunnita; Hassan, il suo servo, è invece un hazara, cioè un musulmano sciita, che i pashtun considerano esseri inferiori (e proprio per questo affida-no loro gli incarichi più umili). Eppure, nonostante ciò, i due ragazzini sono davvero amici: essi sono cresciuti in-sieme, condividono giochi e passatempi e non perdono occasione per rendere felice Baba, il padre di Amir, che si occupa di loro con grande amore. Questa splendida amicizia entra in crisi quando i due ra-gazzini sperimentano, per la prima volta, le difficoltà della vita. Amir, infatti, con il passare del tempo, non riesce più a tollerare di essere considerato meno determinato e capace di Hassan: invece di mettersi alla prova e cercare di miglio-rarsi, comincia a nutrire una forte gelosia per l’affetto che suo padre dimostra ad Hassan, che egli tratta come un figlio (e infatti lo è) ed elogia continuamente proprio per quella

determinazione che a lui manca; allo stesso modo, invece di cercare riscatto nella possibilità, che il destino gli offre, di difendere Hassan dalla violenza di Assef, fugge come un vi-gliacco; infine, devastato dal senso di colpa, arriva ad accu-sare falsamente Hassan di furto per farlo allontanare da casa. Amir si rivela, dunque, un ragazzetto immaturo, perché cerca sempre la soluzione più facile: per eliminare alla radice i sentimenti negativi che sente farsi largo dentro di sé, pre-ferisce tradire un amico sincero, ritenendo che questo sia meno faticoso e doloroso del cercare di crescere e cambiare. L’allontanamento di Hassan, ottenuto con la menzogna e l’inganno, non solo non porterà ad Amir alcun beneficio ma segnerà anche la definitiva fine della sua infanzia, perché da questo momento sarà vittima di continui tormenti che, però, lo aiuteranno a crescere (anche se Amir troverà il suo riscatto solo nell’ultima parte del libro, quando, divenuto adulto, riuscirà ad aiutare il figlio di Hassan e a liberarlo dai suoi persecutori, proprio come Hassan aveva fatto con lui).

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 7

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Le difficoltà… Con i romanzi Una vita violenta e Ragazzi di vita Pa-solini concentra la sua attenzione su un mondo, quello del sottoproletariato urbano di Roma, che fino a quel momento aveva trovato posto solo nelle cronache dei giornali perché, per sopravvivere nei quartieri devastati dalle conseguenze della seconda guerra mondiale, met-teva in atto mezzucci ed espedienti spesso ben lon-tani dalla legalità. Esso, ormai dimentico della propria origine contadina ma altrettanto lontano dal mondo degli

operai (di cui non possedeva né la coscienza di classe né le cognizioni politiche), sopravviveva infatti a se stesso nella miseria e nello squallore delle baracche in lamiera costruite sulle rive del fiume Aniene. Eppure proprio questo mondo emarginato, ferito e offe-so dalla miseria e dalla mancanza di attenzione da parte delle istituzioni, si rivela a Pasolini in tutta la sua autenti-cità, nella sua vitalità sana e primitiva, che si contrap-pone ai falsi valori della società arricchita.

Analisi del testo

… aiutano a crescere Tommaso è, di questo mondo, un degno rappresentan-te: egli, infatti, nato in una baraccopoli della borgata di Pietralata, per sopravvivere ha scippato e rubato, ma ha pagato le sue colpe e ora si sente pronto ad affrontare una nuova vita, che prevede la creazione di una famiglia con Irene, la donna che ama. La sua nuova identità è così vera che egli non esita a mettere a repentaglio la sua già minata salute per salvare le vittime dell’inondazione del fiume: lo stesso istinto che lo guidava verso il male ora lo spinge diritto verso il bene, recuperato nonostante – o proprio forse grazie a – le esperienze precedenti. Tommaso viene dunque presentato come il simbolo del

mondo del sottoproletariato romano che, proprio come lui, potrebbe, secondo l’autore, non solo trovare un riscat-to personale ma addirittura contribuire a migliorare la società. Pasolini infatti, deluso dalla superficialità della so-cietà che lo circonda (attenta al denaro, all’individualismo più esasperato, alla ricerca del benessere), ha imparato, frequentando le borgate romane, che questi ragazzi che vivono di espedienti non hanno scordato i valori più veri e autentici, anzi, spesso li custodiscono dentro di sé in at-tesa di poterli, di nuovo, mettere in pratica: per questo egli li sceglie come incarnazione della speranza di un mondo migliore, più autentico e sincero di quello dei suoi giorni.

Modulo 2 • Unità 7

tommaso sI comportaDa eroe pIer paolo pasolInI

Verifica su “Il romanzo di formazione”

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Le scelte linguisticheL’esperienza di crescita di Tommaso risulta ancora più vera e credibile grazie al modo che Pasolini sceglie per raccontarla. L’autore, infatti,

■ per “far parlare le cose e gli uomini che ci vivono im-mersi” (sono parole di Pasolini) privilegia il romane-sco (intriso di espressioni meridionali – perché molti di questi uomini erano emigranti – e del lessico della malavita), che gli consente di mantenere intatta la patina di autenticità dei suoi personaggi

■ per fare in modo che questa impressione non venga meno durante la narrazione, contamina con il dialet-

to anche le parti in cui parla il narratore onnisciente, innestando vocaboli romaneschi su una base d’italiano medio.

Il risultato di quest’operazione è uno spaccato a vol-te crudo – ma, proprio per questo, vero, credibile ed emotivamente coinvolto – del mondo descritto, perché il narratore non solo conosce bene il sottopro-letariato e ne assume spesso il punto di vista, ma fa anche comprendere che vi si muove perfettamente a suo agio.

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Un inconsueto cammino di crescita I protagonisti di questo viaggio senza meta cercano, nel loro girovagare in macchina o in autostop (da New York prima verso sud e poi verso ovest, percorrendo la mitica Route 66), l’ebbrezza della velocità (che comporta spes-so il mancato rispetto del codice della strada), musica da ascoltare a tutto volume e, soprattutto, tanto divertimen-to (non sempre moralmente lecito). La vita, per loro, è tutta qui: godere al massimo dell’attimo che fugge, sfidando e provocando coloro che hanno un pensie-ro diverso con comportamenti trasgressivi messi in

atto per stupire e scandalizzare (e dunque senza odio né rancore). È questa la filosofia di vita della cosiddetta beat gene-ration, la “gioventù bruciata” di cui questo romanzo è divenuto il manifesto: essa, verso la metà degli anni Cinquanta del Novecento, proponeva, infatti, l’esaltazio-ne di una vita totalmente priva d’imposizioni e di divieti, basata sulla libertà in ogni ambito (da quello morale a quello sessuale), in segno di protesta e disaccordo con le norme della vita borghese.

Analisi del testo

… e il suo protagonista Sal Paradise, io narrante del romanzo e personificazio-ne letteraria dello stesso Kerouac, non vive dunque un’esperienza formativa nel senso più tradizionale del termine1, ma una serie di esperienze che sono comun-que determinanti per la sua crescita e che si concre-tizzano nel

■ viaggiare, vivendo però il viaggio come un’avventura senza meta (semplicemente alla ricerca di vita auten-

tica), che cancella la noia della quotidianità e allontana l’ansia della morte

■ mettersi alla prova, per confrontarsi con persone, usi, abitudini, atteggiamenti diversi da quelli a cui si è abi-tuati e affrontare imprevisti e situazioni che, anche se non sempre moralmente ineccepibili, comportano la necessità di essere gestiti nel migliore dei modi

■ provare ad arrangiarsi, per procurarsi ciò di cui c’è bi-

Modulo 2 • Unità 7

In vIaggIo Jack kerouac

Verifica su “Il romanzo di formazione”

1 Di solito, infatti, il Bildungsroman prevede un miglioramento di sé che spesso coincide con l’entrata nel mondo degli adulti: in questo romanzo, invece, il protagonista, alla fine del viaggio, non solo non trova nulla, ma è addirittura abbandonato in Messico dall’amico perché febbricitante!

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Le scelte linguisticheLa forma asseconda perfettamente i contenuti del roman-zo: il lessico è, infatti, quotidiano, semplice, massima-mente espressivo (come risulta evidente, per esempio, dalle espressioni mondo spettrale… una terribile porta di Gibilterra ammantata di nubi… la grande pianura arden-te di Denver… e dalle ripetizioni – non ci vedeva bene… non ci vedeva bene –, che servono a dare l’idea della

lingua parlata) fino a rasentare, a tratti, la volgarità (per esempio nello sgradevole modo usato per definire l’uomo che ha prestato ai due amici la macchina); la sintassi è modellata su quella della lingua parlata ed è pertanto ricca di frasi brevi, di solito paratattiche, con una netta preva-lenza di proposizioni esclamative e interrogative, che conferiscono al testo vivacità e immediatezza.

sogno (un passaggio, del cibo…) nel modo più pratico e veloce (anche se non sempre lecito)

■ trasgredire le regole, per capire che cosa si prova non rispettando ciò che è stato stabilito dagli altri (e, pro-prio per questo, gli amici violano spesso il codice della strada alla presenza di poliziotti)

■ vivere intensamente l’amicizia, desiderio che si tra-duce nel condividere ogni tipo di esperienza quotidia-na e nel continuo parlare di sé, per mettersi a confron-to con gli altri

■ vivere a contatto con la natura, l’unica cosa che rie-

sca ancora a emozionare un po’ (come quando i pro-tagonisti guardano, dalla collina, il panorama in cui si stagliano i contorni di luce di Salt Lake City).

Sal, insomma, crede, come afferma in una frase del ro-manzo che può esserne considerata la chiave di lettura, che l’unica e nobile funzione nel tempo, sua e dei suoi amici, sia quella di andare (Dean, dice nel passo, era di nuovo felice. Tutto quel che gli ci voleva era un volante fra le mani e quattro ruote sulla strada e, più avanti, la strada è vita): solo andando, secondo lui, si può cono-scere la vita e, forse, imparare a viverla davvero.

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santIagoe Il pesce ernest hemIngway

Verifica su “Il romanzo d’avventura”

Un pescatore… a tutto tondoIl vecchio pescatore cubano Santiago è una delle più belle figure tracciate dalla penna di Hemingway e proba-bilmente quella che gli è valsa, nel 1954, l’attribuzione del premio Nobel per la letteratura. La sua lotta prima contro l’enorme pesce e poi contro i pescecani che vo-gliono divorarlo s’imprime profondamente nella mente del lettore, che vi coglie tutte le sfumature che fanno, del pescatore, un vero e proprio personaggio a tutto ton-do, non solo perché realisticamente tratteggiato (He-mingway amò e frequentò il mondo dei pescatori) ma anche e soprattutto perché Santiago è un uomo che ha davvero compreso il senso e il valore della vita. Santiago, infatti, è tenace e perseverante, sopporta con coraggio e dignità la sua povertà (da tre mesi non pe-sca nulla), è capace di sentimenti sinceri sia per i suoi simili (il giovane Manolin, a cui ha insegnato il mestie-re, che vorrebbe avere vicino a sé) sia per gli animali

(per cui nutre affetto e un profondo senso di rispetto: il pescatore, per esempio, non può fare a meno di ammi-rare la bellezza e la grandezza del suo avversario – È meraviglioso e strano e chissà quanti anni ha; Pesce ti voglio bene e ti rispetto molto – e di sentirsi vicino alla minuscola silvia che si posa sulla sua barca – Fermati in casa mia, se vuoi, uccello… mi dispiace non poter issare la vela e trasportarti nel venticello che si sta al-zando –): Santiago, insomma, non è né un avventuriero né un eroe che ama mettersi alla prova, ma un uomo semplice, dotato di grande umanità, che ha imparato dalle sue esperienze che la più difficile avventura che l’uomo (e, con lui, qualsiasi altra creatura) possa vivere è affrontare la quotidianità e accettare le sfide che la vita presenta (Riposati bene, uccellino… poi vai e rischia quel che devi rischiare come qualsiasi uomo o uccello o pesce).

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 7

Il senso di un’avventuraLe pagine de Il vecchio e il mare non sono dunque solo il racconto di un’avventura, nata dalle battute di pesca che Hemingway aveva sperimentato, fin da bambino, con il padre, tra i laghi dell’alto Michigan: esse contengono un messaggio semplice ma profondo, che ogni uomo do-vrebbe fare suo. Santiago, con la sua esperienza di pesca, ci insegna, infatti, che il valore della lotta e della fatica

risiedono non tanto (o non solo) nel conseguimento del-la vittoria, che può anche non arrivare, quanto nell’impe-gno, nella tenacia, nella volontà che si mettono in campo per evitare la sconfitta. Se poi la sconfitta arriva, non ci si deve preoccupare: essa deve diventare un nuovo punto di partenza, da cui ricominciare ad affrontare un’altra sfi-da della vita…

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Le scelte stilistiche ed espressiveLo stile di Hemingway, perfettamente reso dalla tradu-zione italiana proposta di Fernanda Pivano, è semplice e dimesso: nei lunghi monologhi che il protagonista pro-nuncia tra sé e sé o che propone, sotto forma di dialogo, al suo rivale e alle altre creature del mare, il lessico è quotidiano (con consistenti riferimenti ai termini tecnici

del linguaggio dei pescatori – sono citati, per esempio, la gaffa, il rostro, la fiocina… –) e la sintassi caratteriz-zata da periodi brevi e coordinati, per assecondare al meglio l’intento di realizzare una narrazione estrema-mente aderente alla realtà del personaggio (un umile pescatore).

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Il protagonistaIl protagonista di questo romanzo non è allineabile ai tipici protagonisti del romanzo d’avventura: egli è, infatti, un socio di un aristocratico club londinese, che decide di partire all’avventura per scommessa e che, per non subire troppi disagi, si fa addirittura accompa-gnare dal proprio domestico, il fido Passepartout, che, con le sue premure, rende meno pesanti le fatiche del viaggio.

Fogg è dunque un eroe anomalo: è estremamente ricco, non arde dal desiderio di mettersi alla prova ma vuole sem-plicemente vincere una scommessa, non agisce d’im-pulso o con violenza (anzi, al contrario, non perde mai la calma, persino nei momenti più difficili), non cerca il pericolo, è molto colto ed è dotato di una grande educa-zione, che lo porta a essere gentile, affabile e premuroso con tutti, anche nelle situazioni più anomale (in mezzo alla

Un viaggio-documento La seconda metà dell’Ottocento fu caratterizzata da uno straordinario sviluppo dei mezzi di trasporto, sia navali che terrestri: l’intreccio del romanzo di Verne da cui sono tratte queste pagine prende spunto proprio da questo sviluppo, su cui l’autore condusse, prima della stesura dell’opera, un attento lavoro di documentazio-ne. Verne, infatti, che non aveva mai viaggiato, si preparò con estrema cura sui paesi extraeuropei (soprattutto sulle caratteristiche fisiche, ma anche sugli usi e sui costumi), sulle principali linee di comunicazione e sui mezzi di tra-sporto che consentivano i collegamenti tra un paese e l’altro. Il risultato di questo lavoro traspare da ogni pagina del romanzo, perché il lettore ha costantemente l’im-pressione di visitare davvero i luoghi che il protago-nista e i suoi amici raggiungono durante il loro viaggio e

impara, contemporaneamente, abitudini e usanze diver-se dalle proprie. Da questo passo, per esempio, si possono ricavare molte notizie che riguardano le navi che, verso la fine dell’Ot-tocento, attraversavano l’Oceano Atlantico per collegare New York alle coste dell’Europa: il narratore fa riferimen-to, infatti, alle principali compagnie (Compagnia Imman, Compagnia Amburghese…), alla tipologia di navi (pi-roscafi, transatlantici…) e alle tecniche di navigazione (servizi diretti, traversate supplementari…).Naturalmente quest’accurato lavoro di preparazione e di ambientazione non ha solo lo scopo di far conoscere nuove realtà geografiche, umane e culturali: esso ha an-che il compito di rendere più credibili (e dunque avvin-centi) le avventure raccontate nel romanzo.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 7

In lotta controIl tempo Jules verne

Verifica su “Il romanzo d’avventura”

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Le tecniche narrativeLa narrazione delle avventure di Fogg risulta davvero avvincente anche grazie alle tecniche narrative scelte dall’autore, che usa, con particolare frequenza, il discorso diretto, il discorso diretto libero e il discorso indiretto libero. Quest’ultima tecnica, in particolare, gli consente di dare maggior risalto ai pensieri dei personaggi, che emergono con forza e vivacità contribuendo a ravvivare

la narrazione e a delineare con maggior immediatez-za il loro ritratto (è il caso, per esempio, dei pensieri del capitano Speedy, che, di fronte all’ingente somma offerta da Fogg, comincia a pensare di mettere da parte la sua proverbiale antipatia per i passeggeri – Ottomila dollari senza cambiare meta del viaggio!–, rivelandosi un uomo dotato di un notevole senso pratico…).

natura selvaggia o tra gente rozza e poco civile). L’apparente anomalia di questa figura si spiega con il de-siderio di Verne di proporre un modello d’uomo ra-

zionale e riflessivo, adatto a incarnare la figura dell’eroe nell’epoca del trionfo della scienza e delle sue sco-perte.

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Io e Il cIbo alessanDra arachI

Verifica su “Il romanzo psicologico”

Il romanzo racconta la vitaUna delle tendenze del romanzo contemporaneo è rac-contare la realtà romanzando storie di vita vera: è quello che fa in questo breve romanzo (un centinaio di pagine) Alessandra Arachi, forte della sua esperienza di giornalista. L’autrice ricostruisce, infatti, la storia di una ragazza anoressica, Elena, in modo che la sua vicenda

possa servire da monito a tutte le adolescenti che ri-schiano di fare questa stessa terribile esperienza perché suggestionate dai modelli femminili imposti dai mezzi di comunicazione e non adeguatamente sostenute da valori, ideali, affetti, che ne dimostrino la vacuità e l’irre-alizzabilità.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 8

I problemi di un’adolescenteElena è una ragazza allegra e sportiva, apparentemente senza problemi: proprio la sua vita bella, dunque tran-quilla, dunque noiosa diventa, però, come ammette la stessa protagonista, un grosso problema per un’adole-scente che muove i suoi primi passi nel mondo degli adulti, con tutti i dubbi e le incertezze (di un cervello troppo cupo e di occhi troppo accesi) che caratterizzano questa fase dell’esistenza. Rifiutare il cibo è, per lei, un modo efficace per rifiutare la realtà che la circonda, che non le piace e non la soddisfa, anche se, come rico-nosce con schiettezza, nulla le sarebbe bastato, perché il giusto e il desiderabile erano sempre altrove.Le motivazioni profonde di questo atteggiamento vanno ricercate nel vuoto che si apre, come un baratro, davanti alla protagonista: le amicizie sono, in realtà, un modo per unire (ma solo di facciata) delle solitudini, le chiacchie-re sono sempre le stesse, su culi e bicipiti, la musica è indifferente (un ritmo valeva l’altro) così come le mani-festazioni che si svolgevano nei mesi caldi del 1968. La vita, che scorre tra l’ovatta di una scuola di suore e la

necessità di far passare i pomeriggi il più velocemente possibile, appare davvero inutile, perché Elena non sa più divertirsi. I soldi, la moda, lo sport, l’amore, l’amicizia sono dun-que vissuti nel loro aspetto deteriore: è proprio questa assoluta mancanza di valori che la protagonista rigetta insieme al cibo, perché si accorge della sensazione di schifo che provoca in lei tutto ciò che la circonda.Non manca, in questo quadro desolante, il vuoto affetti-vo, determinato da due genitori che prima assecondano la dieta della figlia (il padre la propone e la madre la aiuta, facendo sparire dalla cucina i biscotti dal sapore infantile) e poi le impongono il cibo con insistenza, perché non vogliono credere a una diagnosi che getta loro in faccia, insieme alla malattia della figlia, anche la sua solitudine e disperazione. Del resto che i genitori (soprattutto il pa-dre) abbiano una grande parte nella malattia è dimostrato dal fatto che l’incredulità paterna viene citata all’inizio del romanzo come uno degli aspetti della storia che ancora bruciano nell’animo della ragazza ormai guarita.

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Le tecniche narrative e lo stileIl racconto di quest’esperienza appare decisamente cre-dibile e coinvolgente anche perché realizzato con l’uti-lizzo della prima persona singolare e con la focalizza-zione interna: la protagonista commenta, riflette, spiega i suoi comportamenti grazie alla distanza che separa io narrante e io narrato, che le permette di guardarsi “da lontano” e di illustrare con un giusto distacco la sua vita di allora (quello stesso spirito di contrasto che mi portava a

piangere quando gli altri ridevano… Da quel momento vomitare sarebbe diventato ogni giorno più facile…).Meritano un breve cenno anche la semplicità della sin-tassi (prevalentemente paratattica) e la quotidianità del lessico, scelti per determinare una comunicazione effi-cace e immediata soprattutto con i giovani, a cui il ro-manzo è particolarmente diretto: si spiega in quest’ottica anche la presenza di qualche termine gergale e volgare.

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Le ragioni di un successoEmma e Charles sono una coppia decisamente male assortita: il romanzo che racconta la loro storia d’amo-re, piuttosto scontata nello sviluppo e prevedibilmente destinata al fallimento finale (lui ama lei, ma lei è insod-disfatta; lei lo tradisce ma poi, tradita a sua volta dagli amanti, sceglie il suicidio; lui muore per il dispiacere), è

però diventato uno dei testi fondamentali della lettera-tura di tutti i tempi. Il motivo di questo straordinario suc-cesso deve essere ricercato nella capacità dell’autore di entrare nell’animo della protagonista, Emma, per coglierne ogni sfumatura.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 8

Emma: un personaggio a tutto tondoEmma, figlia di un agricoltore e cresciuta in collegio dalle suore, è una donna complessa: l’educazione che ha rice-vuto le impedisce di essere ancora una contadina, ma la realtà in cui vive la esclude dal mondo dell’alta borghesia e della nobiltà a cui aspira con tutte le sue forze e che è oggetto di tutti i suoi sogni, nutriti delle immagini false e stereotipate tratteggiate dai romanzi popolari che Emma ha avidamente letto durante la sua giovinezza (e che sono drammaticamente lontane dall’immagine di Parigi che di lì a poco avrebbero rappresentato gli scrittori naturalisti). Il matrimonio con un medico potrebbe essere il primo, importante passo verso la realizzazione di questi so-gni: Charles, invece, si rivela ben presto il prototipo del “brav’uomo” (corretto, serio, lavoratore, sincero, affet-tuoso…) ma, proprio per questo, agli occhi di Emma, terribilmente mediocre. Charles ha sempre desiderato la vita tranquilla che si è costruito e per questo si sente pie-namente realizzato; Emma, che non sa accontentarsi di

ciò che le offre Charles (nonostante esso costituisca già un notevole avanzamento rispetto alla realtà contadina in cui ha trascorso la sua giovinezza), comincia a provare un senso d’insoddisfazione sempre più forte che si concre-tizza in emozioni e sensazioni diverse: lo scontento e la noia si mescolano alla serenità sempre meno frequente che le danno i suoi sogni a occhi aperti, il desiderio e la speranza di riscatto soccombono lentamente di fronte all’inesorabile avanzare della disillusione…Flaubert registra ognuna di queste sfumature dell’ani-mo della protagonista (così ben tratteggiate da meritare la definizione di “bovarismo”) e lo fa perseguendo il suo ideale di scrittura, per cui “l’artista deve essere, nella sua opera, come Dio nella Creazione, invisibile e onnipoten-te: si sente dappertutto e non si vede mai”. Grazie all’ado-zione di un narratore esterno che assume quasi sempre il punto di vista di Emma, i pensieri e le sensazioni della donna appaiono infatti estremamente naturali, come se

Verifica su “Il romanzo psicologico”

sognanDoparIgI gustave flaubert

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sgorgassero, senza alcuna mediazione, dal suo cuore e dal suo animo, che è, poi, quello dell’autore (“Madame Bovary, c’est moi” cioè “Madame Bovary, sono io” ebbe a dire Flaubert): ciò è reso possibile anche dall’abbon-dante adozione del discorso diretto e del discorso in-diretto libero, che si fanno portavoce di una prosa nitida

e asciutta, pregnante e diretta, che ritrae l’animo della protagonista impietosamente e senza alcun giudizio di ordine morale (il romanzo subì un processo per immora-lità non per l’argomento trattato – l’adulterio, certamente non nuovo – ma perché l’autore lo descriveva e ne regi-strava gli effetti senza alcun tipo di condanna).

Le scelte lessicaliFlaubert trascorreva intere ore a valutare l’efficacia del singolo aggettivo o verbo, alla ricerca dell’espressione che potesse rendere perfettamente evidente ciò che egli intendeva dire. In questo passo, per esempio, l’aggettivazione è parti-colarmente curata, per fare in modo che essa esprima, contemporaneamente, l’aspetto valutativo ed emotivo: per esempio Emma ritiene la campagna noiosa, agget-tivo che dà contemporaneamente l’idea del disprezzo con cui giudica quest’ambiente e dello stato d’animo che esso provoca in lei; lo stesso si può osservare per il suo modo di definire i borghesi, che le appaiono imbecilli,

perché, essendo ben lontani dalle dame e dai signori che vorrebbe frequentare, determinano in lei non solo disprezzo ma anche fastidio. È particolarmente significativo, infine, il contrasto che si crea tra gli aggettivi che descrivono la realtà di Charles (buona salute, bel colorito, reputazione consolidata…), tutti appartenenti all’area semantica della positività e della concretezza, e quelli che ritraggono la realtà di Emma (immagine confusa, immaginario soddisfaci-mento, personaggi inventati, ambizioni idealizzate, deliri fantastici…), ispirati, invece, all’area semantica della fragilità e dell’inconsistenza.

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Le scelte narrativeVirginia Woolf basa la sua scrittura sullo scavo interiore dei personaggi: per questo motivo il narratore (esterno) si limita a riferire gesti e comportamenti e, per tutto il resto, assume costantemente il punto di vista dei personag-gi, di cui mette a nudo i pensieri e le sensazioni, gli stati d’animo e le emozioni, le associazioni mentali e i ricordi… che finiscono col prendere il sopravvento, cosicché gli in-serti narrativi si riducono progressivamente, fino quasi a scomparire del tutto. Proprio per questo motivo la prosa di questa scrittrice può essere considerata uno degli stimoli che sono stati più determinanti nella nascita del romanzo moderno, che non presenta più verità oggettive raccontate da un narratore, ma verità soggettive (e, in quanto tali, forse nemmeno vere) proposte dai personaggi.Questa prospettiva di narrazione comporta, inevitabil-mente, una serie di ulteriori scelte narrative, tra cui meri-tano attenzione

■ la nuova percezione del tempo, che diventa misto,

perché non è più quello cronologico scandito dal tra-scorrere delle ore ma quello soggettivo determinato dall’io (per cui passato, presente e futuro si fondono nei pensieri, o per cui avvenimenti lunghi sembrano brevi e viceversa…)

■ l’uso del monologo interiore e del flusso di coscien-za, che registrano e propongono i pensieri esattamen-te come si presentano alla mente dei personaggi

■ la necessità di un ruolo attivo per il lettore, che deve intuire le informazioni e gli altri elementi della realtà che non sono spiegati, perché direttamente proposti per mezzo dei pensieri dei personaggi (dove non han-no, ovviamente, alcun bisogno di essere illustrati!)

■ l’utilizzo di un lessico allusivo, proprio perché legato all’immediatezza e alla contingenza dei pensieri dei personaggi (per esempio, l’espressione nella morte c’è un amplesso evidenzia indirettamente il richiamo e il fascino che la morte ha sulla protagonista).

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 8

Il significato del testoI romanzi di Virginia Woolf lasciano il lettore disorientato e perplesso, perché sembrano non raccontare nulla e presentare soltanto i dubbi, le confusioni e le incer-tezze che affliggono i personaggi: in queste pagine, per esempio, la protagonista non riesce a non pensare alla

morte e alle negatività della vita proprio durante la festa che ha curato, per tutto il giorno, fin nei minimi dettagli; questi pensieri la turbano e, allo stesso tempo, la ren-dono felice, perché le danno la consapevolezza che è necessario perdersi per i meandri della vita, per ritrovarla

Verifica su “Il romanzo psicologico”

una spIacevolenotIzIa vIrgInIa woolf

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poi, con un fremito di gioia, al levar del sole, al declinare del giorno.Lo scopo che si propone la scrittrice, infatti, è proprio quello di lasciare largo spazio a uomini e donne qua-lunque che vivono vite qualunque per dimostrare che ogni vita, anche quella che pare più scontata e priva di allettamenti, è importante e irripetibile: non vi sono an-

gosce, contraddizioni, incertezze e problemi che possano consentire di dimenticare la bellezza e la pienezza del-la vita, che va affrontata con coraggio anche quando pare esserci ostile. Questo, perlomeno, in linea teorica: quando la vita le apparve insostenibile fu proprio la scrit-trice, in preda all’angoscia e alla depressione, a rinunciare a viverla, scegliendo di annegarsi in un lago.

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alla rIcerca Del messalescomparso georges sImenon

Verifica su “Il romanzo poliziesco”

Un commissario credibile…Il commissario della Polizia di Parigi Jules Maigret è uno dei personaggi più amati del sottogenere del romanzo poliziesco perché troppo vero per essere un eroe: egli, di corporatura massiccia (ma attento agli spifferi che possono compromettere la sua salute!), amante della buona cucina e accanito fumatore di pipa, si muove in contesti quotidiani (la periferia di Parigi, una fumosa trattoria, la casa di una povera famiglia di campagna…) risultando immediatamente simpatico al lettore, che gli

perdona il suo carattere scontroso e irritabile, chiara-mente dovuto al tentativo di nascondere la sua sensi-bilità ed emotività. Maigret, infatti, deluso dalla cattiveria e dalla pochezza dei propri simili, con cui il suo lavoro lo costringe a confrontarsi ogni giorno, non riesce a non provare compassione per le persone più deboli e indife-se, anche quando sbagliano, mentre è inflessibile e de-terminato nei confronti di prepotenti e arroganti, anche se non hanno fatto nulla.

… e il suo metodo d’indagine Jules Maigret non si limita a cercare il colpevole: il suo la-voro consiste anche (e soprattutto) nel ricostruire il pos-sibile percorso esistenziale che può aver spinto una persona a commettere il crimine, per fare in modo di comprendere davvero le ragioni del suo agire, senza però arrivare mai né a giudicare né a condannare, perché il compito dell’investigatore è, secondo il commissario, semplicemente la ricostruzione della verità. Proprio per questo motivo durante l’indagine che svolge a Saint-Fiacre Maigret cerca di calarsi il più possibile nel-la realtà del luogo, di lasciarsi guidare dall’istinto e di osservare con attenzione le persone che gli si muovono attorno: l’analisi psicologica di tutti coloro con cui viene a contatto, siano essi testimoni dei fatti o potenziali colpevo-li, riveste, nelle sue indagini, un ruolo fondamentale, per-ché prepara le improvvise illuminazioni che gli consen-tono di risolvere anche i casi più complessi. È significativo il

fatto che spesso esse gli giungano, proprio perché Maigret è un uomo comune e non un eroe, nei momenti di tran-quilla quotidianità, per esempio durante una passeggiata nei campi (come in questo caso) o mentre schiaccia la pennichella pomeridiana, sorseggiando un fresco boccale di birra o quando osserva la moglie lavorare a maglia…Il narratore esterno riferisce ogni dettaglio e ogni parti-colare che il commissario osserva o di cui viene a cono-scenza tramite la focalizzazione interna e la tecnica del discorso indiretto libero (L’arma del delitto! Un ritaglio di giornale non più grande di sette centimetri per cinque!): in questo modo il lettore apprende tutto ciò che serve per la soluzione del caso, ma, mancando dell’acume e della sensibilità del commissario, è costretto ad aspettare le sue rivelazioni finali, che porteranno, inevitabilmente, sia alla scoperta del colpevole sia allo svelamento delle motivazioni che l’hanno spinto a commettere il crimine.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 8

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La descrizione degli ambientiPer tutti questi motivi non stupisce il fatto che vi sia, da parte del narratore, una grandissima attenzione alla de-scrizione degli ambienti. L’ambiente umano è presentato con rapide pennellate, capaci, però, di restituire con chiarezza le condizioni di vita e gli atteggiamenti delle persone con cui Maigret viene a contatto (Una famiglia di contadini, seduta a un tavolo, mangiava il cibo che si era portato da casa… i fedeli uscivano dalla chiesetta lentamente, a piccoli passi), che il Commissario ritiene fondamentali per

trarre indicazioni e indizi utili per la soluzione del caso; anche gli spazi sono oggetto di analoga atten-zione (nelle descrizioni, per esempio, non viene usata solo la vista, ma anche gli altri sensi: Una catapecchia a un solo piano. Ai due lati della credenza, fotografie ingrandite del padre e della madre. La donna già in abito da casa, era nella cucina che odorava di arrosto di manzo), perché sanno rivelare, all’occhio attento del commissario, dei particolari di fondamentale importanza per gli indagini.

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Un mondo di duriNel romanzo da cui sono tratte queste pagine l’investi-gatore privato Philip Marlowe si trova coinvolto nella misteriosa sparizione di una donna, un mistero che dovrà risolvere utilizzando, oltre alla logica, anche la forza e il coraggio, perché il suo sporco lavoro gli impone di adeguarsi al mondo in cui è costretto ad agire. L’inve-stigatore, infatti, secondo Chandler, “dev’essere un uomo completo, un uomo comune, eppure un uomo che ra-ramente s’incontra. Dev’essere, per usare una frase piut-tosto trita, un uomo d’onore; per istinto, perché non può farne a meno […] È un uomo comune, altrimenti non potrebbe misurarsi con la gente comune. Ha un buon fiuto psicologico, altrimenti non saprebbe il suo mestiere. Non accetta da nessuno quattrini disonesti e non tollera insolenze da nessuno. È un solitario e il suo orgoglio con-siste proprio nel farsi rispettare come orgoglioso; chi non lo rispetta dovrà pentirsi amaramente di essergli capitato tra i piedi. Parla come un uomo del suo tempo, cioè con rude umorismo e con un vivo senso del grottesco. Ha disgusto per l’insincerità e per tutto ciò che è meschino”. Da queste parole risulta evidente il tentativo di fare di Marlowe, se non una figura a tutto tondo, almeno un personaggio caratterizzato da credibilità e spessore, che, dovendo muoversi in contesti diversi, per atmosfere

e atteggiamenti, da quelli in cui operano i colleghi più le-gati alla tradizione (un investigatore privato non può certo risolvere i suoi casi comodamente seduto in poltrona!), sappia farsi valere, anche se con metodi non sempre or-todossi (in questo caso, per esempio, impadronendosi delle armi nascoste dietro il bancone del bar).È interessante, a questo proposito, anche la caratteriz-zazione dei personaggi minori, che avviene attraverso la descrizione del loro abbigliamento: sia il bullo negro che il gigante bianco rivelano la loro indole proprio con il modo di vestire, che appare, per entrambi, vistoso, pac-chiano e terribilmente di cattivo gusto (l’uno ha, infatti, elastici rosa attorno alle maniche della camicia e un paio di bretelle bianche e rosa, l’altro una camicia scura, una cravatta gialla e una giacca con improponibili botto-ni), a dimostrazione della loro piena appartenenza allo squallido mondo con cui Marlowe deve confrontarsi. Tutti i personaggi si muovono, infine, in un ambiente degradato (il bar, situato in una periferia descritta con realismo e ricchezza di particolari, non è né pulito né accogliente) dove è naturale aspettarsi minacce e insulti, risse, aggressioni e scazzottate, nel pieno rispetto della hard boiled school, di cui Chandler è sicuramente uno dei massimi rappresentanti.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 8

Verifica su “Il romanzo poliziesco”

un bruttoIncontro raymonD chanDler

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Le scelte narrative e stilisticheChandler sceglie di affidare la narrazione dei fatti al pro-tagonista, che li racconta in prima persona, espediente che gli consente di coinvolgere maggiormente il lettore, infondendogli una sensazione di pathos e di suspense, cosicché egli resta sospeso tra attesa e timore di ciò che sta per succedere. Queste sensazioni sono rafforzate ed esaltate dall’ampio uso di discorsi diretti, caratterizzati dall’abbondanza di battute rapide e taglienti, che contri-buiscono a rendere incalzante il ritmo del racconto.Anche le scelte stilistiche mirano a creare una prosa di facile e scorrevole lettura: di qui una sintassi for-

temente paratattica, che riproduce i modi e i ritmi del parlato, un lessico quotidiano e, soprattutto, un uso frequente di due figure retoriche, la metafora e la si-militudine. Entrambe hanno il compito di variegare il linguaggio conferendogli diverse sfumature: per esem-pio la metafora tana di scarafaggi vuole gettare discre-dito tanto sul locale quanto sui suoi avventori, come fa anche la similitudine come una mosca con un’ala sola; la metafora la giacca grigia sportiva con le palle da golf vuole rendere ridicolo l’abbigliamento del gigante bianco, sottolineandone la grossolanità e lo scarso gusto…

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la metamorfosI robert louIs stevenson

Verifica su “Il romanzo horror”

L’eterno conflitto tra Male e BeneIl dottor Jekyll, un medico che esercita la sua professione nella città di Londra, con il trascorrere del tempo ha acquisi-to una chiara consapevolezza: ogni uomo ha una duplice natura (L’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due dice Jekyll in un punto del romanzo), perché irrimedia-bilmente attratto sia verso il Bene che verso il Male; questa tensione determina, all’interno di ognuno, un conflitto la-cerante, a causa del quale l’uomo non può essere felice, perché avverte la presenza del Male o come un disturbo o, peggio, come un istinto da assecondare. Il dottore, grazie ai suoi studi e alle sperimentazioni che lo hanno da sempre affascinato, è però riuscito a risolvere questo conflitto, non eliminando il Male, ma confinando le due opposte pulsioni in due diversi corpi: da questo esperimento, testato in prima persona, sono infatti nati il dottor Jekyll e Mister Hyde, l’uno stimato e saggio profes-sionista, che pensa solo al Bene e ha un aspetto austero e rispettabile, e l’altro crudele assassino, che si palesa con una fisicità bestiale e repellente, appena scalfita dal

particolare ridicolo dei vestiti esageratamente grandi. In questo modo ognuna delle due pulsioni trova il suo na-turale appagamento e l’uomo si sente finalmente felice, perché pienamente realizzato sia nelle belle che nelle brutte azioni che ha in animo di compiere. In realtà questa soluzione del problema (e la felicità che ne consegue) è solo apparente e momentanea: ben presto il creatore perde il controllo della sua creatura e finisce col diventarne vittima, perché l’istinto del Male chiede sempre più spazio e finisce col soffocare quello del Bene. È questa la realtà che gli uomini sperimenta-no ogni giorno: gli allettamenti e le seduzioni del Male sono decisamente più potenti di quelli del Bene, che si concretizzano, di necessità, in una vita onesta e ligia alle regole, che comporta, oltretutto, fatica e pazienza. Così il Male trionfa e l’unico rimedio per allontanarlo in modo definitivo resta la morte, scelta che il dottor Jekyll non esita a fare nel momento in cui si accorge che la parte peggiore di sé ha preso irrimediabilmente il sopravvento.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 9

Le tecniche narrativeIl racconto dell’incredibile metamorfosi è ancora più affa-scinante e coinvolgente perché effettuato con gli occhi di un narratore di secondo grado, il dottor Lanyon, a cui il narratore onnisciente cede momentaneamente la parola grazie all’espediente narrativo della lettera: in questo modo il lettore si identifica con il narratore che racconta in prima persona, condividendone lo stupore e il crescente

orrore di fronte all’incredibile prodigio a cui egli assiste. L’effetto del coinvolgimento è ottenuto anche grazie alla sapiente alternanza di dialoghi e descrizioni: queste ultime, in particolare, da un lato tratteggiano le paurose fattezze di Hyde, che il lettore, fino a questo momento, ha solo visto in azione, dall’altro rimandano la trasforma-zione, creando un notevole effetto suspense.

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Una denuncia e una riflessioneStevenson scrisse questo romanzo in piena età vit-toriana, cioè nel lungo periodo della storia inglese in cui regnò la regina Vittoria (1837-1901): quest’epoca fu caratterizzata da un clima di perbenismo esasperato e da un’attenzione quasi morbosa alla mortificazione de-gli istinti e al rispetto delle regole e delle apparenze. La storia del dottor Jekyll, ricontestualizzata in quest’ambito, può dunque essere intesa anche come una denuncia del falso moralismo che imperava all’epoca, per cui,

dietro una facciata di correttezza e rispettabilità, non era raro trovare comportamenti poco leciti e decorosi. Non solo. Il fatto che la trasformazione di Jekyll in Hyde si compia grazie a una pozione realizzata sfruttando le conoscenze scientifiche del dottore può essere inteso come un invito a riflettere sul delicato tema dei limi-ti della scienza, che, secondo l’autore, non può e non deve disinteressarsi mai delle possibili conseguenze ne-gative delle sue scoperte.

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Le caratteristiche del genereIl passo proposto presenta le principali caratteristiche del romanzo horror, in particolare del cosiddetto romanzo gotico: esso, infatti,

■ narra una vicenda terrificante ambientata in uno dei contesti più amati dall’horror, l’Italia feudale, un Medioevo cupo e tenebroso ricostruito nel modo ste-reotipato e non sempre storicamente attendibile che caratterizza il sottogenere

■ ha una struttura narrativa articolata e complessa, in modo che ognuno dei personaggi possa raccontare (spes-so in flashback) la propria storia, naturalmente sempre ricca di particolari misteriosi e inquietanti, che rafforzano l’alone di tensione e di paura che caratterizza l’intera opera

■ ha come protagonisti la vittima e il suo persecu-tore: Isabella, infatti, è la tipica fanciulla perseguitata,

l’eroina bella, giovane, ingenua e innocente che cade vittima d’individui (perlopiù uomini) malvagi e crudeli, che ne mettono in pericolo la virtù e la purezza (in questo caso addirittura del suocero, un essere sprege-vole che, subito dopo la tragica e misteriosa morte del figlio, non esita a definirlo un ragazzo malaticcio e a proporsi come un marito nel fiore dell’età)

■ si svolge in un luogo tipico del genere, il castello (e, in particolare, nei suoi sotterranei), che ha, nella trama, un ruolo importante, come dimostra il fatto che dà il titolo al romanzo

■ tratteggia un’atmosfera di angoscia e di terrore, determinata dagli eventi (in questo caso la presen-za di un elmo misterioso) ma anche dai dettagli e dai particolari più raccapriccianti di luoghi, cose e persone.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 9

Il ruolo del narratoreUn ruolo decisivo, per la felice riuscita della narrazione horror, è affidato al narratore: è il narratore, infatti (di so-lito – come in questo caso – esterno e onnisciente), a dover gestire in modo adeguato la narrazione,

■ controllando, come farebbe un abile regista, tutti i dettagli della scena, per far emergere quelli più in-quietanti e spaventosi

■ alternando sapientemente momenti di tensione e momenti di rilassamento emotivo.

Nel passo proposto, per esempio, meritano di essere sottolineati l’attenzione esasperata ai suoni (il suono cupo e frusciante dell’elmo, il profondo sospiro del ri-tratto appeso alla parete, il rumore di passi… ma, esat-tamente al contrario, anche il terribile silenzio che in-combe nei sotterranei) e l’alternarsi delle emozioni di Isabella nel sotterraneo, che passa da brevi momenti di consolazione (l’aiuto dello straniero, la scoperta della botola…) alla tremenda sensazione di essere sull’orlo della rovina.

Verifica su “Il romanzo horror”

la fuga DI Isabella horace walpole

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bIlbo e Il Drago John ronalD reuel tolkIen

Verifica su “Il romanzo fantasy”

Luoghi paurosi…Le vicende raccontate nei romanzi fantasy si svolgono sempre in spazi irreali, generalmente caratterizzati dalla presenza di anomalie fisiche o strutturali che li rendo-no misteriosi e inquietanti. Il protagonista si trova spes-so a dover percorrere luoghi difficili (Bilbo, per esempio, deve scendere in un tunnel) per raggiungerne altri (in questo caso le profonde viscere di una montagna) chiusi, stretti e, soprattutto, bui, in cui i sensi (l’udito, il tatto e l’olfatto) colgono segnali preoccupanti (in queste pagine l’aumento del caldo, rumori sordi, sbuffi di fumo, le varia-

zioni del russare…) che segnalano la presenza o l’avvici-narsi di un pericolo. Le descrizioni degli ambienti dei romanzi di Tolkien, par-ticolarmente ricche di aggettivi, hanno proprio lo scopo di creare, nel lettore, sia un effetto “conoscenza” (dei luoghi immaginari sono presentati in modo così accurato da sembrare reali e noti) sia una suspense che determi-na il desiderio di proseguire la lettura per conoscere al più presto il destino dei personaggi.

Analisi del testo

… e strani personaggiIl destino di Bilbo, mezzo uomo dai piedi pelosi, è quello di imbattersi addirittura in un drago, uno dei tanti mostri paurosi (e in questo caso l’insistenza sul colore rosso, del drago e delle fiamme, ha proprio il compito di aumentare la sensazione di terrore che il drago infonde già con il suo solo aspetto) che nel genere fantasy hanno il compito di incarnare il Male. In questo sottogenere, in-fatti, la lotta tra il Bene e il Male è un elemento irrinun-ciabile: il Male è il drago, la sua caverna buia e paurosa, il Bene è Bilbo, l’eroe buono non convenzionale (non è né forte, né bello né particolarmente coraggioso – Bil-bo se la diede a gambe –: è solo dotato di buon senso

e di tenacia), ma comunque destinato a sconfiggere il Male, perché il fantasy non prevede il compromesso, ma solo la vittoria totale e schiacciante dell’uno sull’altro. È per questo particolarmente significativo il fatto che Bilbo si senta intimorito e confuso (Dire che a Bilbo si mozzò il fiato non rende affatto l’idea) e che si comporti come chi preferirebbe trovarsi da tutt’altra parte (nel caso specifico nella propria comoda caverna a bere birra e a fumare la pipa!): l’eroe della narrativa fantasy, infatti, pur non essen-do mai un personaggio a tutto tondo, ha comportamen-ti, emozioni e sentimenti che lo rendono “imperfetto” e dunque più simpatico e credibile nel suo ruolo.

Modulo 2 • Unità 10

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Il ruolo del narratoreIl narratore che segue Bilbo nella sua impresa conosce già tutto lo sviluppo della storia (per esempio, parlando del drago, dice che non si svegliò – non ancora –) e sa perfettamente che cosa provano i personaggi (Balin fu felicissimo di rivedere lo hobbit, e sorpreso quanto contento): egli è pertanto un narratore onnisciente, espediente narrativo che consente di raccontare storie complesse e articolate (come quelle che caratterizzano questo sottogenere del romanzo) privilegiando, di volta in volta, un personaggio o un episodio, in modo da non stancare mai il lettore e da appassionarlo alla vicenda

narrata. Non bisogna dimenticare, infatti, che Lo hobbit è sicuramente, come hanno osservato alcuni critici, “la più bella storia per fanciulli scritta negli ultimi cinquant’anni”, ma che non è solo questo: dietro la vicenda dai tratti fiabeschi si avverte chiaramente l’intento di insegnare al lettore che di fronte ai pericoli e ai mali della vita occorre aver fiducia nel bene, nella solidarietà, nel coraggio e anche nella furbizia. Tolkien, insomma, vuol farci capire che non c’è male che non si possa affrontare e che non ci si deve vergognare nell’averne paura, perché il corag-gio nasce proprio dalla consapevolezza dei propri limiti.

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la peste Dell’InsonnIa gabríel garcía márquez

Verifica su “Il realismo magico”

Un villaggio senza tempo…Il villaggio di Macondo, in cui si svolge la vicenda narrata, è un luogo irreale, sperduto nello spazio e nel tempo, in cui si respira un alone di mistero. Alla creazione di que-sta sensazione contribuisce indubbiamente la dimensio-ne temporale, che risulta vaga e indefinita come quella delle fiabe (una notte, verso l’epoca… esuli per sempre da un regno millenario…): l’uso dei tempi verbali narrati-vi ci fa infatti comprendere solo che il narratore si riferisce a un tempo lontano da sé. Per amplificare questo effetto il narratore ha differenzia-to notevolmente anche il tempo della storia e il tempo del racconto: il tempo della storia, infatti (che, anche se non è chiaramente specificato, dovrebbe riguarda-

re parecchi mesi), viene spesso condensato per mez-zo di ellissi (Ma pochi giorni dopo…; Dopo parecchie settimane…) e di sommari (Lavorarono tanto… degli orologi; Quando Josè Arcadio Buendia si accorse che… popolazioni della palude) in un tempo del racconto par-ticolarmente ricco di eventi. Quando però è necessario che il lettore si soffermi con attenzione su qualcosa o qualcuno, il tempo della storia e il tempo del racconto tornano a coincidere: è il caso della scena finale, costituita dall’ultima sequenza del te-sto, in cui compare Melquíades. Tale coincidenza rallenta anche il ritmo della narrazione, affinché l’attenzione del lettore si concentri meglio su questo strano personaggio.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 10

… in cui vivono personaggi misteriosi e affascinantiIn realtà tutti i personaggi di questo romanzo sono trat-teggiati in modo da risultare strani, misteriosi e caratte-rizzati da particolari e dettagli che li rendono unici: c’è la piccola Rebeca, un’orfana con il vizio di mangiare la terra, a cui lei, senza radici, è morbosamente attaccata; Visitación, l’india, esule da un regno millenario, vinta da un atteggiamento di fatalismo; José Arcadio Buendía che, dopo essersi sbellicato dalle risa, paga la leggerezza di aver sottovalutato la peste dell’insonnia con mille tentati-vi per opporsi ai suoi devastanti effetti; sua moglie Ursula, più pratica e sensibile del marito; Aureliano, il loro figlio,

che, insonne esperto, aveva imparato a perfezionare l’arte dell’oreficeria; Pilar Ternera, che ha l’idea di leggere il passato nelle carte come prima aveva letto il futuro ed infine il misterioso zingaro Melquíades. Nel passo proposto nessuno di loro ha ampio spazio, perché nel romanzo prevale una narrazione corale: at-torno al nucleo dei protagonisti, costituito dalla famiglia Buendía, compaiono infatti sempre anche gli altri abitanti di Macondo, che determinano la continua creazione di nuove vicende.

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Le tecniche narrativeTutti i personaggi sono presentati dal narratore, che risul-ta onnisciente poiché conosce tutta la vicenda, i singoli personaggi (per esempio sa che Visitación e suo fratello sono esuli per sempre da un regno millenario del quale essi erano i principi) e i loro pensieri (il suo cuore fatali-sta le suggeriva che la malattia letale l’avrebbe insegui-ta in ogni modo fino all’ultimo angolo della terra). Nell’ultima sequenza, però, il narratore adotta, per in-trodurre con maggior suspense la figura di Melquía-des, il punto di vista dei suoi personaggi: lo zingaro, infatti, è presentato così come lo vedono Visitación e José Arcadio (un vecchio bizzarro con la triste campa-nella dei dormienti… un uomo decrepito… le sue mani

sembravano dubitare dell’esistenza delle cose), che non lo possono riconoscere e che per questo fanno su di lui le più assurde ipotesi (pensò che avesse l’intenzione di vendere qualcosa… José Arcadio Buendìa lo trovò sedu-to nel salotto, intento a farsi vento con un cappello nero rattoppato e a leggere con compassionevole attenzione i cartelli appesi alle pareti. Lo salutò con ampie mostre d’affetto, temendo di averlo conosciuto in altri tempi e di non riconoscerlo ora) finché la pozione fa luce nella loro memoria. A questo punto il narratore torna al suo punto di vista onnisciente, svelando, con una presenta-zione ad effetto (Era Melquíades), il nome del misterioso visitatore.

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al centro Della terra Jules verne

Verifica su “Il romanzo di fantascienza”

Un’avventura per ragazzi… cresciuti!Nella letteratura della seconda metà dell’Ottocento il rac-conto di avventure in luoghi lontani e meravigliosi non era solo un modo per assecondare le tendenze culturali dell’epoca, che inneggiavano alla fantasia e all’esaltazio-ne delle capacità umane, ma anche un mezzo per dare una concreta idea delle potenzialità ancora inesplorate che l’uomo aveva a disposizione per migliorare la propria vita e il proprio sapere. Il romanzo di Verne da cui sono tratte queste pagine s’inserisce perfettamente in tale filo-ne narrativo: Viaggio al centro della Terra, molto spesso erroneamente considerato un libro “per ragazzi”, è infatti un chiaro esempio di questo modo di intendere la lette-ratura, perché la narrazione fantastica e incredibile di uno straordinario viaggio è costantemente costellata di rimandi e di considerazioni di carattere scientifico che ne rivelano la destinazione a un pubblico di lettori adulti, a cui Verne propone di riflettere sulle potenzia-lità dell’uomo e della scienza attraverso l’esplorazione di luoghi lontani, pericolosi, sconosciuti, (in questo caso il centro della terra, in Ventimila leghe sotto i mari il mi-sterioso mondo delle profondità del mare, che il coman-

dante Nemo esplora con il suo sottomarino Nautilus). Il narratore di questo romanzo, il giovane Haxel, che rac-conta la sua straordinaria esperienza in prima persona, si sofferma spesso, infatti, a descrivere, con estrema atten-zione e cura dei particolari, i fenomeni e le stranezze che vede nel suo lungo viaggio (in questo caso, per esempio, gli episodi di magnetismo e gli strani comportamenti dei fulmini). Tale precisione e attenzione nascono dall’im-pegnativo lavoro di preparazione che sta alla base dei romanzi di Verne (e che ne conferma, ancora una volta, la destinazione a un pubblico adulto): lo scrittore, che non viaggiò mai (da adolescente tentò di imbarcarsi come mozzo su una nave diretta in India, ma il padre lo scoprì e lo riportò subito a casa), suppliva alla mancanza di esperienze dirette con la lettura e lo studio di testi geografici e scientifici, che gli permisero di documentare le sue narrazioni fantastiche con basi atte a renderle, se non credibili, almeno possibili in linea teorica (per esem-pio Cinque settimane in pallone anticipa gli sviluppi della scienza aeronautica, Dalla Terra alla Luna i viaggi nello spazio).

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 10

I personaggi e la tensione narrativaTutti i personaggi di Verne nascono da una smisurata fiducia nella scienza e, soprattutto, nelle potenzialità dell’uomo: Axel, per esempio, appare in grado di af-frontare le situazioni più pericolose e incredibili perché è

intelligente, possiede una buona preparazione scien-tifica (che gli consente di fare sempre le scelte giuste al momento giusto, come quando si accorge, prima degli altri, della necessità di abbattere l’albero della nave), ha

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coraggio e solidi valori in cui credere. Il suo modo di essere, così lontano da quello di tanti eroi delle avventure di fantascienza più moderne, lo rende credibile e convin-cente, perché egli resta, nonostante tutte le sue indubbie qualità, molto “umano” (come quando confessa di es-sere affranto dalla fatica e agghiacciato dallo spavento).L’esaltazione delle qualità positive del protagonista è resa possibile ed evidente anche dalla costante ten-sione che accompagna la narrazione degli eventi, che mette duramente alla prova i personaggi e tiene il lettore con il fiato sospeso. Tale tensione è ottenuta

sia introducendo sempre nuove e diverse complica-zioni (i fenomeni legati all’elettricità, l’uragano che rad-doppia la violenza, il magnetismo…) sia utilizzando un linguaggio iperbolico e concitato, caratterizzato da un abbondante uso di proposizioni interrogative retoriche (Dove siamo?… Dove andiamo?…), da frasi esclama-tive (Orrore!… Non posso staccare il piede!… Ah! Che luce intensa!…), da espressioni non concluse (Guardo il termometro che indica… Ma allora…), da aggettivi en-fatici (Siamo perduti… innumerevoli colonne d’acqua… velocità incalcolabile…)…

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Le strategie narrative…Lo sbarco sulla Terra di creature aliene è un tormen-tone diffuso da tempo: per alcuni esso rappresenta un fatto augurabile, per altri una possibile minaccia, per altri ancora un evento irrealizzabile. Wells ha immaginato questo sbarco in uno dei suoi più celebri romanzi e, per renderlo più concreto e credibile, ha narrato la vicenda circostanziandola e arricchendola di particolari e dettagli che la fanno sembrare straordinaria-mente reale: essa, infatti,

■ è collocata in un luogo preciso, i dintorni della città di Londra, cosa che permette e giustifica anche il rapido diffondersi della notizia: al mattino alle otto c’è, attorno alla buca, un gruppo di ragazzi e di fannulloni; al tra-monto sono presenti circa duecento persone

■ presenta una precisa scansione del tempo, a partire dai momenti che seguono l’impatto dell’astronave sul suolo terrestre

■ coinvolge personaggi particolarmente attendibili, perché sia il protagonista-narratore sia il suo amico Ogilvy sono astronomi: le conoscenze scientifiche per-mettono loro di motivare, spiegare, approfondire i sin-golari avvenimenti di cui sono testimoni (per esempio di capire subito che l’incrostazione grigia che ricopriva lo strano oggetto non era comune ossido di ferro)

■ lascia ampio spazio alle sequenze descrittive, che hanno il compito di rendere credibili e chiari agli occhi del lettore dapprima lo strano oggetto e poi i suoi spa-ventosi occupanti.

Analisi del testo

Modulo 2 • Unità 10

… e il narratore-testimoneLa scelta di un narratore interno alla narrazione, che è stato testimone diretto dei fatti, è però senz’altro la carta vincente giocata dall’autore per rendere il suo racconto particolarmente credibile: in questo modo, infatti, il letto-re non solo è portato a dare fiducia alle parole di chi ha realmente visto l’accaduto, ma è reso partecipe anche delle emozioni, delle sensazioni e delle reazioni che esso ha determinato nel testimone.Il narratore, infatti, quando apprende dal ragazzo dei gior-

nali la notizia della presenza di “marziani morti”, resta di stucco; poi, dopo aver visto l’oggetto e averne ricono-sciuta la natura, indugia a fantasticare sulla possibilità che all’interno ci siano dei manoscritti, sentendosi molto impaziente.La giornata trascorsa al lavoro (con scarsa capacità di concentrarsi) è liquidata con un breve sommario, perché viene lasciato ampio spazio al ritorno sul luogo dell’acca-duto, che riserva ben altre emozioni: in un crescendo di

arrIvano I marzIanI herbert george wells

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suspense e tensione il narratore, infatti, di fronte all’uscita dal cilindro delle strane creature, avverte prima un brivido improvviso, poi un terrore indicibile, che lo lascia impietrito e con gli occhi sbarrati, finché, sopraffatto dal disgusto e dalla paura, riesce a fuggire correndo all’impazzata, per nascondersi, in preda a una sorta di terrore e di fascino,

dietro a degli alberi, da cui osserva, con un nuovo brivido di terrore, il triste destino del garzone scivolato nella buca. Il lettore, proprio perché gli altri espedienti hanno dato cre-dibilità all’accaduto, condivide con il narratore tutte queste emozioni e prosegue nella lettura, curioso e preoccupato per gli sviluppi di questa inattesa (e minacciosa) visita…