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Sheila Gaggetta Lavoro di maturità anno 2007 1 ANALISI DEL MIELE Lavoro di maturità di chimica di Sheila Gaggetta prof. Michele Bernasconi Liceo Cantonale di Locarno, anno 2007

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ANALISI

DEL MIELE

Lavoro di maturità di chimica di Sheila Gaggetta

prof. Michele Bernasconi Liceo Cantonale di Locarno, anno 2007

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PARTE

TEORICA

Storia composizione e proprietà del miele

Liceo Cantonale di Locarno, anno 2007

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PARTE TEORICA

Storia composizione e proprietà del miele

Indice

1. La storia del miele ...................................................................... 4

2. Composizione chimica ............................................................... 5 2.1 Introduzione ........................................................................... 5 2.2 Glucidi ..................................................................................... 6 2.3 Acqua ...................................................................................... 8 2.4 Enzimi ..................................................................................... 8 2.5 Acidi organici .......................................................................... 8 2.6 Sostanze azotate ..................................................................... 9 2.7 Vitamine ............................................................................... 10 2.8 Sostanze minerali ................................................................. 10 2.9 Sostanze volatili ................................................................... 10 2.10 Altre sostanze ....................................................................... 11

3. Proprietà fisiche ....................................................................... 12 3.1 Colore .................................................................................... 12 3.2 Viscosità ................................................................................ 13 3.3 Acidità ................................................................................... 13 3.4 Densità .................................................................................. 13 3.5 Indice di rifrazione ............................................................... 13 3.6 Conduttività elettrica ........................................................... 13 3.7 Rotazione specifica ............................................................... 13 3.8 Conservazione ...................................................................... 14 3.9 Cristallizzazione ................................................................... 14 3.10 Igroscopicità ......................................................................... 15 3.11 Proprietà antibatterica ........................................................ 15

4. Proprietà organolettiche ........................................................ 16 4.1 Analisi visiva ........................................................................ 16 4.2 Analisi olfattiva .................................................................... 17 4.3 Analisi gustativa .................................................................. 17 4.4 Analisi tattile ........................................................................ 17

5. Proprietà fisiologiche .............................................................. 17 5.1 Proprietà nutrizionali .......................................................... 17 5.2 Proprietà terapeutiche ......................................................... 18

6. Sitografia .................................................................................... 18

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1. La storia del miele

Le prime arnie rudimentali costruite dall’uomo risalgono al neolitico, circa 7000-8000 anni fa. Tuttavia, non bisogna pensare che prima di allora l’uomo non si cibasse di miele: esistono graffiti nelle grotte, risalenti al paleolitico, in cui sono raffigurati uomini che vanno “a caccia di miele”. Nel 3000 a.C. in Egitto gli apicoltori si spostavano con le loro arnie lungo il Nilo per seguire la fioritura delle piante. Gli egizi apprezzavano moltissimo il miele, tanto da depositarlo nelle tombe dei faraoni. Era contenuto in vasi ermeticamente chiusi e quando essi sono stati aperti, più di 4000 anni dopo, si è potuto constatare che il miele si era perfettamente conservato e non aveva perso alcuna delle sue proprietà organolettiche. Nell’Antico Egitto era molto utilizzato in medicina per curare disturbi digestivi e per creare unguenti da applicare su piaghe o ferite. Una delle fonti principali che documenta l’alta considerazione di cui godeva il miele nell’antichità è sicuramente la Bibbia, in cui sono presenti numerose citazioni. Era molto popolare tra gli ebrei, i quali credevano che nella terra promessa scorressero fiumi di miele. Nel mondo islamico il miele rivestiva un ruolo così importante da essere citato perfino nel Corano: "... il tuo Signore ha ispirato le api a costruire i loro alveari sulle colline, sugli alberi e nelle abitazioni degli uomini. Dai loro corpi fuoriesce una bevanda di vari

colori, in cui c'è la salute per il genere umano". Da questo estratto si può dedurre che era utilizzato anche per scopi terapeutici. I sumeri ci hanno tramandato ricette in cui l’elemento base è il miele (creme di bellezza, …). I babilonesi lo utilizzavano molto in medicina e in cucina (per esempio per preparare focaccine di farina, sesamo, datteri e miele), utilizzo che viene confermato dalle numerose citazioni presenti nella letteratura babilonese. Nel famoso “Codice di Hammurabi” (1792-1750 a.C.) tra i reati per i quali erano previste pene severe era compreso il furto di miele dalle arnie. Da ciò possiamo dedurre che i babilonesi non si limitavano alla ricerca del miele selvatico, ma praticavano l’apicoltura. Nello stesso periodo, ma più ad oriente, gli Ittiti hanno inciso su tavolette d’argilla informazioni fondamentali sul miele, giunte fino a noi. In particolare, dobbiamo a loro il termine che utilizziamo ancora oggi per definire il miele: in ittito si parla per la prima volta di “melit”. Per i greci il miele ebbe molta importanza, dato che era considerato “cibo degli Dei”. Secondo la mitologia greca le divinità olimpiche si nutrivano esclusivamente di “nettare e ambrosia”, probabilmente preparati a base di mieli di diversa consistenza. Per questa ragione era essenziale per compiere riti che prevedevano offerte agli Dei. Perfino il poeta Omero, in alcune delle sue opere, ci parla della raccolta e della conservazione in anfore del miele e Pitagora garantiva lunga vita a chi se ne cibasse. Il popolo romano utilizzava il miele come conservante alimentare, dolcificante, ingrediente di salse agrodolci e per la preparazione di bevande alcoliche, quali la birra di miele o il vino di miele (più comunemente conosciuto con il nome di idromele). Oltre che per uso alimentare, era utilizzato anche per curare e prevenire malattie. Veniva

Figura 1: Raffigurazione dell’apicoltura su un papiro dell'Antico Egitto

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utilizzato talmente tanto che la domanda superava la produzione, così i romani furono costretti ad importarne grandi quantità da Creta, Cipro, Spagna e Malta (il cui nome originale “Meilat” significa “terra del miele”). I romani ci hanno tramandato molte conoscenze sulle api: infatti, alcuni tipi di alveari che utilizziamo oggi sono stati inventati proprio da loro. Altri popoli, invece, praticavano l’apicoltura sugli alberi (per esempio i germani e gli slavi). I celti e i merovingi si dedicarono molto all’apicoltura ed essa ebbe una grande importanza: in molte tombe dei loro re sono stati trovati dolci fatti a base di miele e anfore contenenti il miele che servivano, come vuole la tradizione, come merce di scambio per poter raggiungere l’aldilà. In India il miele è molto apprezzato e viene perfino utilizzato nell'antichissima medicina Ayurveda, che risale a più di tremila anni fa, secondi la quale il miele ha un’azione purificante, afrodisiaca, dissetante, vermifuga, antitossica, regolatrice, refrigerante, stomachica, cosmetica, tonica, leggermente ipnotica e cicatrizzante. Ogni sintomo viene curato con un tipo di miele differente, che può essere di cereali, di ortaggi, di frutti o di fiori. Prima di essere sostituito dallo zucchero di canna verso la metà del XVI secolo e da quello di barbabietola all’inizio del XIX, il miele era l’unico alimento zuccherino concentrato conosciuto. Con la scoperta del Nuovo Mondo arrivò sulle nostre tavole lo zucchero di canna. Esso era ritenuto, a torto, un alimento con proprietà migliori rispetto a quelle del miele. Inizialmente era molto costoso, ma con il clima favorevole la produzione aumentò, con una conseguente diminuzione del prezzo e quindi aumentò anche la sua diffusione nel nostro continente. Con la scoperta della possibilità di poter estrarre lo zucchero anche dalle barbabietole, il fascino del miele crollò completamente. Solo recentemente ci siamo resi conto del grande errore commesso; infatti, ultimamente il miele sta riacquistando considerazione: inizia ad essere riutilizzato come ingrediente culinario (soprattutto nella preparazione di dolci, ma anche per antipasti, primi e secondi) ed è oggetto di diversi studi scientifici.

2. Composizione chimica

2.1 Introduzione La composizione del miele è in stretta relazione con la sua provenienza botanica. Ad esempio, il miele di castagno presenta un basso contenuto di saccarosio e percentuali alte di isomaltosio; il miele di robinia (più conosciuto come miele di acacia) è caratterizzato dalla presenza del trisaccaride erlosio e ha un tasso elevato di saccarosio; il miele di girasole mostra un basso contenuto di disaccaridi; il miele di timo presenta una bassa percentuale di saccarosio; i mieli di melata sono caratterizzati da alte percentuali di trisaccaridi. Si parla di miele uniflorale quando esso proviene principalmente da un’unica origine botanica, altrimenti viene considerato miele millefiori. Questo non significa che i mieli millefiori sono da considerare di qualità inferiore: infatti, in molte zone di produzione, i mieli millefiori presentano caratteristiche esclusive e costanti di anno in anno, come i mieli uniflorali. Esistono quindi prodotti regionali identificabili attraverso denominazioni di origine geografica.

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Il miele è una sostanza che le api ricavano dalla melata o dal nettare dei fiori (in Svizzera quello di melata rappresenta i 2/3 della produzione, mentre il resto è miele di nettare). Il nettare è un liquido zuccherino secreto da particolari tessuti ghiandolari vegetali, solitamente situati alla base dei petali. Essenzialmente è costituito da acqua e zuccheri (i principali sono glucosio, fruttosio e saccarosio), ma sono presenti anche enzimi, sostanze aromatiche, acidi organici, aminoacidi, vitamine, pigmenti e sali minerali (sostanze che successivamente si ritrovano nel miele). La melata è una sostanza prodotta da alcuni insetti, i quali succhiano la linfa delle piante per nutrirsene, trattengono le sostanze azotate ed eliminano il liquido in eccesso, ricco di zuccheri. Le gocce di melata rimangono sulla superficie delle foglie o dei rami, in attesa che le api o altri insetti le raccolgano. Come il nettare, anche la melata è composta principalmente da acqua e zuccheri, ma presenta valori più alti di oligosaccaridi, che si formano per azione di enzimi secreti dagli insetti produttori di melata. Oltre agli zuccheri contiene anche aminoacidi, proteine, acidi organici, sali minerali, vitamine, enzimi, aromi, pigmenti. Le piante da cui si può ricavare melata sono moltissime, tra cui si possono citare l’abete, il pino, la quercia, il pioppo, l’acero, il castagno, la robinia e vari alberi da frutto. La composizione del nettare e della melata può variare molto a seconda della specie botanica di provenienza e determina le caratteristiche chimiche, fisiche e organolettiche del miele (per approfondimenti vedi anche capitoli 3 e 4). Una volta raccolti il nettare o la melata dalle api, vengono trasporti all’alveare, dove subiscono due processi che segnano la loro trasformazione in miele: la concentrazione e la trasformazione enzimatica degli zuccheri. La concentrazione avviene per evaporazione dell’acqua contenuta nel nettare e nella melata, grazie all’aria secca e calda dell’alveare e al continuo scambio della sostanza tra le api. L’evaporazione termina quando il miele viene definito maturo, ossia ha un tenore d’acqua attorno al 18%, cosa molto importante per evitare fenomeni fermentativi (per approfondimento vedi punto 3.8). La trasformazione enzimatica del nettare e della melata avviene attraverso vari enzimi. Particolarmente importante è l’azione dell’invertasi, un enzima contenuto nelle ghiandole salivari delle api, che trasforma quasi tutto il saccarosio presente nel nettare e nella melata in glucosio e fruttosio. Attraverso la trasformazione enzimatica avviene una standardizzazione della composizione degli zuccheri; per questo motivo, mieli ottenuti da melate e nettari con concentrazioni zuccherine molto diverse tra loro hanno una composizione di zuccheri molto simile. 2.2 Glucidi Il miele è composto principalmente da zuccheri (75-80%), che rappresentano più del 95% della sostanza secca. Essi contribuiscono a caratterizzare numerose proprietà fisiche del miele quali la viscosità, l’igroscopicità, lo stato fisico (liquido o cristallino), il valore energetico e il potere dolcificante (per dettagli vedi capitolo 3 e punto 5.1). Gli

Figura 2: Un’ape che succhia il nettare dal calice di un fiore

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zuccheri principali sono il glucosio, con una percentuale media del 30%, e il fruttosio, con una percentuale del 40%. Essi derivano direttamente dal nettare e dalla melata, oppure si sono formati in seguito all’azione dell’enzima invertasi, il quale scinde il saccarosio (presente nella melata e nel nettare) in glucosio e fruttosio (per approfondimento vedi punto 2.4). In quantità minori sono contenuti anche di-, tri- e oligosaccaridi (5-10%) di cui fino ad ora, analizzando vari mieli, ne sono stati identificati oltre 20. La presenza di saccarosio è dovuta al fatto che l’enzima invertasi non idrolizza tutte le molecole di saccarosio, ma una minima quantità rimane nel miele. Il maltosio e l’isomaltosio sono altri due disaccaridi normalmente presenti nel miele. Altri zuccheri (come i trisaccaridi erlosio e raffinosio) non sono presenti nella melata o nel nettare, ma sono il risultato di trasformazioni enzimatiche. Questi zuccheri non influiscono sulle proprietà fisiche e organolettiche come il glucosio e il fruttosio, ma possono essere utili per determinare l’origine botanica del miele. Ad esempio, attraverso la presenza del polisaccaride melezitosio, si può stabilire se un miele contenga della melata: se il valore di melezitosio è maggiore dello 0,5% è molto probabile che contenga melata.

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α-D-glucopiranosio (glucosio)

β-D-fruttofuranosio (fruttosio)

α-D-glucopiranosil-β-D-fruttofuranoside

(saccarosio)

4-Ο-(α-D-glucopiranosil)-β-D-glucopiranosio

(maltosio)

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isomaltosio erlosio

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raffinosio melezitosio

Figura 4: Strutture chimiche di alcuni glucidi presenti nel miele

Figura 3: Composizione media del miele

glucosio

fruttosio

acqua

altri zuccheri

acidi organici

sostanze azotate

sostanze minerali

altre sostanze

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2.3 Acqua La quantità d’acqua può variare dal 15% al 20%, con un valore ottimale attorno al 18%. Se il valore è troppo alto si verificano fenomeni fermentativi (per approfondimento vedi punto 3.8), se invece è troppo basso si hanno problemi durante la lavorazione del miele, in particolare durante la centrifugazione per l’estrazione dello stesso. 2.4 Enzimi Gli enzimi1 contenuti nel miele provengono dalle secrezioni ghiandolari delle api, dalla melata, dal nettare e dagli insetti produttori di melata. Questi enzimi si degradano progressivamente nel tempo o in seguito a trattamenti termici, quindi la quantità di enzimi presenti nel miele è indice di freschezza. Gli enzimi principali sono la glucoso ossidasi e l’invertasi (o saccarasi), secreti da una specifica ghiandola delle api. La diastasi (o amilasi) è di origine in parte animale e in parte vegetale. La catalasi deriva invece dal nettare e dalla melata. La glucoso ossidasi, in presenza di acqua, provoca l’ossidazione del glucosio con liberazione di acido gluconico e acqua ossigenata:

L’invertasi idrolizza il saccarosio in glucosio e fruttosio:

La catalasi catalizza la conversione dell’acqua ossigenata in acqua e ossigeno:

La diastasi, in presenza di acqua, scinde gli oligosaccaridi (come ad esempio l’erlosio) in composti più semplici: La quantità di diastasi presente nel miele (indice diastasico) viene utilizzata come indice di freschezza e per determinare se un miele ha subito trattamenti termici. Infatti, questo enzima si degrada con il trascorrere del tempo o se viene sottoposto a temperature troppo elevate. L’indice diastasico, secondo la scala di Schade, non deve essere inferiore a 8, anche se può variare a seconda dell’origine botanica (il miele di agrumi è caratterizzato da un indice diastasico al di sotto del limite fissato). 2.5 Acidi organici Nel miele si possono trovare vari acidi organici (0,1-1%) quali l’acido gluconico, formico, piruvico, tartarico, lattico, malico, succinico e butirrico. L’acido gluconico è il più abbondante e contribuisce a determinare l’aroma del miele. Esso si forma per

1 Università degli studi di Udine facoltà di agraria, http://web.uniud.it/dial/documenti/tesine_degli_studenti/il%20miele/il_miele_dall_alveare_al_vasetto_Pustetto_Helen.pdf

OH2

+

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invertasi O

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glucoso ossidasi O

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l’azione dell’enzima glucoso ossidasi, che provoca l’ossidazione del glucosio con formazione di acqua ossigenata. Gli altri acidi organici provengono dal nettare o dalla melata oppure si formano durante l’elaborazione del miele per intervento delle api. La presenza di questi acidi determina un pH compreso tra 3,4 e 4,5, ma si possono anche trovare mieli con pH inferiore o superiore (ad esempio il miele di castagno ha un pH compreso tra 5 e 6).

OHO

OH

OH

OH

OH

OH

O

OH

O

OH

O

CH3

OH

OH

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OH

OH

O acido D-gluconico (acido gluconico)

acido metanoico (acido formico)

acido 2-ossopropanoico (acido piruvico)

acido 2S,3S-diidrossibutandioico

(acido tartarico)

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OH

CH3

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O

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OH

O

O

OHOH

O

CH3 OH acido 2-

idrossipropanoico (acido lattico)

acido 2S-idrossi-1,4-butandioico

(acido malico)

acido 1,4-butandioico (acido succinico)

acido n-butanoico (acido butirrico)

Figura 5: Strutture chimiche di alcuni acidi organici presenti nel miele

2.6 Sostanze azotate Nel miele la presenza di sostanze azotate (aminoacidi liberi e proteine) è minima (0,2-0,3%). Esse possono provenire dalle secrezioni ghiandolari delle api o essere già presenti nella melata, e nel nettare, oppure provengono dai granuli di polline. L’aminoacido presente in maggior quantità è la prolina. Essa viene secreta da alcune ghiandole delle api e perciò è presente in tutti i mieli. Fino ad oggi, nel miele sono stati identificati 20 aminoacidi, tra cui troviamo: prolina, arginina, istidina, leucina, lisina e metionina. Le proteine contenute nel miele sono composte da tutti gli aminoacidi essenziali, ossia aminoacidi che il nostro organismo non può sintetizzare e che quindi devono essere assunti con il cibo. Alcune di esse sono: albumine, globulina, istoni e protamine.

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NH

OH

NH

O

NH

NH2

OHNH2 H

O

N

NH

OHNH2

H

acido 2(S)-pirrolidincarbossilico (prolina)

acido 2(S)-ammino-5-guanidilpentanoico

(arginina)

acido 2(S)-ammino-3-(4-imidazolil)propanoico

(istidina)

O

CH3

CH3

OHNH2

H

O

NH2

NH2 OHH

O

SCH3 OH

NH2 H acido 2(S)-ammino-4-

metilpentanoico (leucina)

acido 2(S),6-diamminoesanoico (lisina)

acido 2(S)-ammino-4-metilmercaptobutanoico

(metionina) Figura 6: Strutture chimiche dei principali aminoacidi contenuti nel miele

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2.7 Vitamine La quantità di vitamine presente nel miele è scarsissima (siamo nell’ordine dei mg/kg): il miele può contenere provitamina A (o carotene), alcuni gruppi della vitamina B, vitamina C, D e E. Derivano dai granuli di polline che si trovano nel miele.

CH3 CH3

CH3 CH3

CH3CH3

CH3CH3CH3

CH3

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NH2

β,β-carotene (provitamina A)

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CH3

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CH3

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CH3

acido L-ascorbico (Vitamina C)

colecalciferolo (Vitamina D3)

α-tocoferolo (Vitamina E)

Figura 7: Strutture chimiche di alcune vitamine presenti nel miele

2.8 Sostanze minerali Il miele contiene poche sostanze minerali (0,003-1%). Il minerale che si riscontra in maggior quantità è il potassio (costituisce circa la metà o i ¾ dei minerali presenti), ma il miele contiene anche zolfo, sodio, calcio, fosforo, magnesio, silicio, ferro, rame e manganese. I minerali provengono dal terreno: vengono assorbiti dalle piante e raggiungono il nettare e la melata attraverso la linfa. I sali minerali caratterizzano la colorazione del miele: quelli scuri sono solitamente ricchi di sali minerali, mentre quelli chiari ne sono poveri. 2.9 Sostanze volatili Le sostanze volatili contribuiscono a definire l’aroma del miele, il quale subisce notevoli variazioni con l’invecchiamento o a causa di trattamenti termici troppo drastici. Si tratta di composti chimici diversi: alcoli, acidi grassi, aldeidi, chetoni, esteri, eteri e altre sostanze ancora. Essendo sostanze volatili e termolabili si degradano e si trasformano con facilità. Quindi, risulta difficile identificarle con precisione, ma grazie alla gas-cromatografia sono stati rilevati da 120 a 150 composti volatili.

R OH

O

CR OH

O

CR H

O

CR R'

O

CR OR'

OR R'

alcoli acidi

carbossilici aldeidi chetoni esteri eteri

Figura 8: Struttura chimica generale di alcune sostanze volatili contenute nel miele. I simboli R e R’ indicano un qualsiasi gruppo alchilico

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Figura 9: Pollini di girasole, campanella turchina, giglio, primarosa, e ricino al microscopio elettronico

2.10 Altre sostanze L’idrossimetilfurfurale2 (HMF) è indice di freschezza. È praticamente assente nel miele appena estratto, aumenta proporzionatamente con l’invecchiare del miele e cresce molto rapidamente se il miele è stato sottoposto a trattamenti termici a temperature elevate. Si forma in ambiente acido per degradazione degli zuccheri, in particolare per l’ossidazione del fruttosio. Il limite massimo di HMF è stato fissato a 40 mg/kg, anche se è un valore altissimo: mieli di buona qualità presentano valori attorno ai 20 mg/kg. Il miele ha un contenuto di lipidi praticamente nullo. I pochi lipidi presenti sono dovuti a qualche traccia di cera derivata dall’estrazione del miele. Tra pigmenti vegetali contenuti nel miele si trovano, carotenoidi, flavonoidi, antociani e xantofille. Sono componenti tuttora poco conosciuti, ma si è a conoscenza che contribuiscono, alla determinazione della colorazione del miele. Questi pigmenti sono prodotti dalle piante e arrivano al miele tramite il nettare e la melata raccolti dalle api. Nel miele si trovano sostanze, ancora poco conosciute, dette inibine. A esse viene attribuita parte della proprietà antibatterica del miele (per dettagli vedi punto 3.11). Attraverso la melissopalinologia (lo studio del polline nel miele), si può determinare la provenienza botanica di un miele, in quanto ogni polline originato da piante diverse, ha una sua forma che lo caratterizza. La quantità di granuli di polline presenti nel miele può variare molto a seconda della specie botanica: il miele di acacia è molto povero di polline (10 grammi contengono mediamente 9'200 granuli), mentre quello di castagno ne è ricco (10 grammi presentano 288'000 granuli). Generalmente la quantità di polline in 10 grammi di miele può variare da meno di 10'000 granuli fino a più di un milione, con una media attorno ai 75’000 granuli pollinici. Il polline è composto per il 16% da acqua, il 37% da monosaccaridi (glucosio, fruttosio e lattosio), il 30% da proteine, il 22% da aminoacidi (principalmente aminoacidi essenziali) e il 5% di altre sostanze quali grassi, pigmenti, enzimi, acidi organici, vitamine.

Il miele può contenere tracce di propoli, una resina che le api raccolgono da gemme e cortecce di varie piante per utilizzarla come materiale da costruzione all’interno dell’arnia. La propoli viene impiegata per stuccare fessure, costruire barriere di difesa contro eventuali nemici esterni e restringere l’apertura dell’alveare qualora le condizioni climatiche lo richiedessero. Normalmente la composizione è di circa il 30% di cera, il 50-55% di resine e balsami, il 10-15% di oli essenziali, il 5% di polline e il 5% di sostanze organiche e minerali. È stato provato, grazie a ricerche scientifiche, che la propoli agisce da antibiotico naturale, antinfiammatorio, antivirale e potenzia le

2 Sezione di Apicoltura di Roma dell’Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, http://www.apicoltura.org/mieli/html/1_3_7_altro.html

Figura 10: Un’ape raccoglie la propoli

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difese organiche immunitarie del nostro organismo. Il miele può contenere residui di sostanze utilizzate dall’apicoltore per combattere il parassita Varroa destructor3, un acaro che si nutre dell’emolinfa delle api fino a causarne la morte. Tra le sostanze utilizzate per combattere la varroa troviamo l’acido ossalico, l’acido formico, l’acido lattico (acidi organici normalmente presenti nel miele) e timolo. Per tutelare il consumatore, l’agenzia Europea deputata alla valutazione dei medicinali (EMEA) è stata chiamata a stabilire un limite massimo dei residui (MRL). L’EMEA ha stabilito che l’acido formico, lattico e ossalico non necessitano di un MRL. Anche per il timolo non è stato stabilito un MRL in quanto, essendo un olio essenziale, non presenta un pericolo per il consumatore e quindi è superfluo stabilire una soglia massima.

O

O OH

O

OH

O

OH

CH3

CH3

CH3

OH 5-(idrossi-metil)-2-furaldeide

(idrossimetilfurfurale) acido etandioico (acido ossalico)

5-metil-2-(1-metiletil)fenolo (timolo)

Figura 11: Strutture chimiche di sostanze varie presenti nel miele

3. Proprietà fisiche

Le proprietà fisiche sono in stretta relazione con la composizione chimica: ad esempio, l’acqua e gli zuccheri determinano l’indice di rifrazione, l’igroscopicità, la cristallizzazione. I sali minerali condizionano invece la conduttività elettrica e, insieme ad alcuni derivati degli acidi, pigmenti vegetali e aminoacidi, contribuiscono a determinare la colorazione. 3.1 Colore La colorazione del miele può variare molto: si possono trovare mieli con colorazioni sul giallo, altri incolori, ambrati, rosati, beige, marroni, perfino verde scuro tendente al nero. Il colore è molto legato all’origine botanica: ad esempio, il miele di robinia è di colorazione ambrato chiaro, mentre quello di abete ha una colorazione rosso-bruna, talvolta con una lucentezza verde. Le sostanze responsabili del colore del miele sono in parte ancora sconosciute. Tuttavia, si sa che alla colorazione contribuiscono alcuni derivati degli zuccheri, alcuni pigmenti vegetali, aminoacidi e sali minerali. Con l’invecchiamento solitamente il colore diventa più scuro. Può anche variare a causa di interventi dell’apicoltore (come la lavorazione a temperature troppo elevate) o per le modalità di immagazzinamento (se esposto a luce o calore). 3 Stazione di ricerca Agroscope Liebefeld-Posieux, http://www.alp.admin.ch/themen/00502/00515/index.html?lang=it

Figura 12: Varie colorazioni del miele

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3.2 Viscosità La viscosità, ossia l’attrito interno dei fluidi, è generalmente molto alta a causa dell’elevata concentrazione zuccherina. Può variare a seconda della quantità di acqua contenuta e della temperatura: infatti, maggiore è la quantità d’acqua, minore è la viscosità. La viscosità diminuisce anche aumentando la temperatura, ma si stabilizza a temperature superiori di 40°C circa. 3.3 Acidità L’acidità del miele è dovuta principalmente alla presenza di vari acidi organici, come ad esempio l’acido gluconico, l’acido formico, l’acido malico. Il pH, influenzato dall’origine botanica, è compreso tra 3,4 e 6,1 (con una media di 3,9), ma può variare a causa di sostanze aggiunte, come ad esempio acidi organici utilizzati per la lotta contro la varroa (acido ossalico, formico e lattico). Le direttive europee fissavano il limite massimo di acidità a 40 meq/kg (milliequivalenti di acidi organici contenuti in 1 kg di miele), ma dato che alcuni mieli (per esempio quello di trifoglio) presentano valori superiori a 40 meq/kg per naturali caratteristiche di composizione (senza indicare una bassa qualità), il limite è stato alzato a 50 meq/kg. 3.4 Densità La densità di una sostanza è il rapporto tra la sua massa e il suo volume e solitamente si esprime in g/cm3 (corrispondenti a kg/L). La densità del miele, a 20°C, è compresa tra 1,39 e 1,44 g/cm3, con una media attorno a 1,422 g/cm3. 3.5 Indice di rifrazione Passando da un mezzo a un altro, un raggio di luce subisce una deviazione e una variazione della velocità. L’indice di rifrazione di un mezzo è il rapporto tra la velocità di propagazione della luce nell’aria e la velocità di propagazione nel mezzo considerato. Nel miele liquido, a parità di temperatura, l’indice di rifrazione varia in modo lineare a seconda del contenuto di acqua: diminuisce con l’aumentare dell’acqua contenuta, quindi è inversamente proporzionale alla percentuale di acqua. Per questo motivo, l’indice di rifrazione viene utilizzato per determinare la quantità di acqua presente nel miele. 3.6 Conduttività elettrica La conduttività elettrica (CE) di un liquido è dovuta a sostanze ionizzabili in grado di condurre corrente elettrica e viene espressa in milli Siemens (mS) per centimetro. La CE del miele è determinata dall’acidità e soprattutto dai sali minerali (per questo motivo la determinazione della conducibilità elettrica può essere utilizzata per determinare la quantità di sali minerali presenti). Più un miele è acido o contiene sali minerali, maggiore sarà la conduttività elettrica. La CE dei mieli di melata deve essere almeno di 0,8 mS/cm, mentre i mieli di nettare presentano CE non superiore a 0,5 mS/cm. 3.7 Rotazione specifica La rotazione specifica è la proprietà di una sostanza otticamente attiva di deviare un piano di luce polarizzata a destra o a sinistra. Gli zuccheri sono molecole chirali, quindi presentano attività ottica. Nel miele l’angolo di rotazione dipende dalla somma matematica dell’angolo di deviazione dei singoli

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zuccheri. La rotazione specifica caratterizza i mieli di melata, i quali presentano una rotazione destrogira. Per mieli di nettare, invece, non vi è una rotazione specifica caratteristica. 3.8 Conservazione Il miele è considerato un alimento a lunga conservazione: basti pensare ai mieli ritrovati nelle tombe dei faraoni, che si sono conservati per più di 4000 anni senza subire variazioni nelle proprietà organolettiche. Tuttavia, se il miele non viene conservato al fresco (a temperature inferiori ai 20°C), al riparo dalla luce e in un recipiente ermetico, potrebbe deteriorarsi molto presto. Però il sistema di conservazione del miele non è l’unico fattore che può determinare un peggioramento della sua qualità: anche la composizione chimica gioca un ruolo determinante. Per esempio, se la percentuale d’acqua risultasse superiore al 20%, si potrebbero verificare fenomeni fermentativi. La fermentazione avviene a causa di alcuni lieviti che, trovandosi in condizioni favorevoli al loro sviluppo, si moltiplicano a scapito del glucosio, provocando danni irreversibili. Tuttavia, il contenuto d’acqua non è l’unico fattore che determina la fermentazione (seppure sia il più determinante), ma concorre anche la temperatura di conservazione del miele. Le temperature critiche si situano attorno ai 30°C, mentre sotto i 15°C e sopra i 35°C la fermentazione viene inibita. Il miele fermentato presenta un sapore leggermente acidulo ed è irrimediabilmente perso, in quanto non è più commerciabile per uso diretto (come miele da tavola), non perché sussistano problemi sanitari, ma in quanto è un prodotto degradato e instabile, quindi di qualità inferiore. È tuttavia permesso il suo utilizzo nelle industrie per produrre prodotti trasformati. 3.9 Cristallizzazione La cristallizzazione, insieme al colore, è la caratteristica fisica più importante per il commercio. Molti ritengono che il miele cristallizzato non abbia le stesse proprietà di quello liquido, ma ciò non è vero. Gli unici cambiamenti consistono nell’aspetto e nel sapore, che diventa leggermente meno dolce. Dato che il miele liquido si vende più facilmente, alcuni apicoltori trattano il miele che si è cristallizzato a temperature molto alte per farlo ritornare liquido, ma questo procedimento fa perdere alcune delle sue proprietà fisiche e fisiologiche. Quindi, acquistando del miele cristallizzato, si hanno meno probabilità che sia stato riscaldato e si dispone comunque di un prodotto genuino. La cristallizzazione è un processo naturale nel miele, in quanto è una sostanza sovrassatura di zuccheri, cioè ne contiene più di quelli che potrebbero stabilmente

rimanere in soluzione. Avviene quindi che questi zuccheri in eccesso (soprattutto il glucosio, essendo meno solubile in acqua rispetto al fruttosio) precipitano sotto forma di cristalli. I mieli ricchi di glucosio come il miele di colza, di girasole o di tarassaco cristallizzano molto velocemente, mentre in quelli poveri di glucosio e ricchi di fruttosio, come ad esempio il miele di castagno, di melata o di acacia, la cristallizzazione si sviluppa più tardivamente e in maniera incompleta. In generale, si può dire che se il tenore di glucosio supera il 28%, i cristalli si formeranno molto rapidamente.

Figura 13: A destra miele liquido e a sinistra lo stesso miele cristallizzato

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Il miele cristallizzato è più facilmente soggetto a fenomeni fermentativi: infatti, con la cristallizzazione, gli zuccheri si disidratano e quindi viene liberata acqua, che costituisce un fattore determinante per la proliferazione dei lieviti, organismi responsabili della fermentazione. Il miele che presenta una quantità d’acqua compresa tra il 15 e il 18% cristallizza in modo ottimale. Se la quantità d’acqua è superiore o inferiore, la cristallizzazione avverrà con più difficoltà o sarà quasi assente. La cristallizzazione è influenzata anche dalla temperatura: nel miele stoccato in luoghi freschi (tra i 10 e i 18°C, con una temperatura ottimale di 14°C) essa viene favorita, mentre a temperature troppo elevate o troppo fredde viene inibita. Infatti sopra i 25°C il processo rallenta, poiché i cristalli iniziano ad essere distrutti. A 78°C la distruzione è completa e quindi il miele non può più cristallizzare. Invece, a temperature sotto i 4°C la viscosità aumenta e ciò limita i movimenti delle molecole che compongono il miele, quindi il processo di cristallizzazione subisce un rallentamento. I cristalli, se formati lentamente, saranno più grossi rispetto a quelli formatisi velocemente, che tenderanno ad essere molto più piccoli. I cristalli tendono a formarsi dove trovano un “appiglio”, ossia un nucleo di condensazione da cui far partire la reazione di cristallizzazione, come il fondo o le pareti del vaso, oppure una piccolissima sostanza solida, come ad esempio un granello di polline o una microbolla d’aria. La cristallizzazione è quindi un processo naturale influenzato dalla quantità di zuccheri, dal tenore di acqua, dalla temperatura e dalla presenza di piccole sostanze e non intacca in alcun modo le proprietà del miele. 3.10 Igroscopicità Il miele, avendo una concentrazione zuccherina molto alta, è una sostanza molto igroscopica. L’igroscopicità è la capacità di una sostanza di assorbire molecole d’acqua presenti nell’ambiente circostante per mantenere uno stato di equilibrio igrometrico. In ambiente umido, il miele tende ad assorbire acqua, mentre in ambiente secco la cede (anche se con più difficoltà) per cercare di mantenere questo equilibrio. È quindi molto importante conservare il miele che non si trova in contenitori ermetici in ambienti che non superino l’60% di umidità, per evitare una variazione del tenore d’acqua, che determina importanti proprietà (come ad esempio la conservazione, la cristallizzazione). 3.11 Proprietà antibatterica La proprietà antibatterica del miele non può essere ricondotta ad una sola causa, ma ci sono molti fattori da prendere in considerazione. Uno di questi è la concentrazione di zuccheri: se è molto elevata, gli agenti patogeni vengono privati dell’acqua (elemento vitale) per osmosi. Un altro fattore da considerare è il pH acido compreso fra 3,4 e 4,5, il quale impedisce la riproduzione batterica. Tuttavia, il miele di castagno e di melata hanno un pH che varia tra 5 e 6, e il miele liquefatto ha una concentrazione di zuccheri relativamente bassa, ma impediscono comunque la proliferazione degli agenti patogeni. Di conseguenza, la proprietà antibatterica non è riconducibile solo all’elevata concentrazione zuccherina o al pH acido. Nel miele sono state identificate delle sostanze, dette inibine4, che svolgono un ruolo determinante in questo ambito. 4 Stazione di ricerca Agroscope Liebefeld-Posieux, http://www.alp.admin.ch/themen/00502/00503/00505/index.html?lang=it

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L’acqua ossigenata è considerata la principale inibina del miele e viene prodotta dalla seguente reazione:

L’enzima glucoso ossidasi, in presenza di acqua, provoca l’ossidazione del glucosio con formazione di acido gluconico e acqua ossigenata. La glucoso ossidasi è un enzima prodotto da una ghiandola specifica delle api. Il suo antagonista è l’enzima catalasi, il quale trasforma l’acqua ossigenata in acqua e ossigeno:

La concentrazione di acqua ossigenata presente nel miele dipende dall’attività di questi due enzimi. L’azione della glucoso ossidasi è inibita dalla presenza di luce o calore, ed inoltre la produzione di acqua ossigenata può avvenire solo in soluzione acquosa. Il miele maturo presenta una concentrazione di acqua troppo bassa e di conseguenza la reazione è bloccata (può avvenire solo nel miele immaturo, più ricco di acqua). Di conseguenza, la concentrazione di acqua ossigenata nel miele maturo è sufficiente a malapena ad impedire la proliferazione batterica. Per spiegare la proprietà antibatterica del miele maturo si devono prendere in considerazione le inibine non perossidi, suddivise nei seguenti gruppi: acide, basche, neutre e volatili. La loro importanza e la loro provenienza sono al centro di accesi dibattiti e inoltre, non si è ancora in grado di stabilire con certezza la loro composizione. Diversi studi hanno dimostrato che alcune inibine non perossidi sono di origine vegetale, ma non è da sottovalutare l’importanza delle api, che svolgono un ruolo determinante. Le inibine non perossidi sono poco sensibili alla luce e al calore rispetto all’acqua ossigenata, quindi rivestono un ruolo di maggiore importanza nell’attività antibatterica del miele.

4. Proprietà organolettiche

Le proprietà organolettiche sono proprietà che si identificano attraverso i nostri sensi. Su un campione di miele da esaminare si possono eseguire diverse analisi sensoriali quali l’analisi visiva, olfattiva, gustativa e tattile. I risultati che si ottengono da queste analisi contribuiscono a dare molte informazioni riguardanti il miele, come ad esempio se è soggetto a cristallizzazione o fermentazione, l’origine botanica, la qualità. 4.1 Analisi visiva Attraverso l’analisi visiva si può verificare se il campione di miele contiene impurità quali cera, schiuma, piccoli insetti o altre sostanze estranee. Si riesce, inoltre, a determinare se un miele è liquido, viscoso, omogeneo, limpido, fluido o cristallizzato. Infine, si identifica il colore, che può variare molto a seconda della composizione. Esso può essere color panna, ambrato, rosato, paglierino, ma bisogna anche tener conto delle diverse tonalità, ossia se è tenue, brillante, pesante, intenso.

H2O2 OH2 O2

+

catalasi 2

2

glucoso ossidasi O

OHOHOH

OH

OH

OH2

+ H2O2

+ OH

O

OH

OH

OH

OH

OH

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4.2 Analisi olfattiva Per mezzo dell’analisi olfattiva, si percepisce l’odore del miele, che può essere fruttato (per esempio se odora di mela, uva), floreale (di lavanda), vegetale (di malto, cacao), animale (di cuoio), nullo, debole o intenso. Inoltre è possibile, per alcuni tipi di mieli, determinarne l’origine botanica. 4.3 Analisi gustativa Tramite l’analisi gustativa si percepiscono i quattro sapori fondamentali (amaro, acido, salato e dolce) e le loro diverse combinazioni. Inoltre, ci sono altre percezioni quali acre, astringente, rinfrescante, piccante e altre ancora. Anche il retrogusto è da prendere in esame e ciò può avvenire quando le sensazioni che rimangono in bocca dopo la deglutizione sono diverse da quelle provate inizialmente. 4.4 Analisi tattile Attraverso l’esame tattile di un miele cristallizzato si è in grado di determinare se è cremoso, pastoso, compatto, duro, asciutto o gelatinoso. Anche la dimensione dei cristalli è importante per poter stabilire se la cristallizzazione è avvenuta velocemente (in questo caso i cristalli saranno molto fini) o lentamente (i cristalli saranno invece grossi). Se il miele è liquido si definisce la fluidità del miele, ovvero se è molto fluido, fluido, normale, denso o filante.

5. Proprietà fisiologiche

5.1 Proprietà nutrizionali Il miele è un alimento che fornisce molta energia: è stato calcolato che 100 grammi di miele forniscono tanta energia quanta ne forniscono 4 uova o 250 grammi di carne, ossia circa 1340 kJ. Ciò è dovuto all’alta concentrazione di monosaccaridi (glucosio e fruttosio), i quali determinano anche una facile digeribilità. Il glucosio non deve subire alcun processo digestivo, perciò può entrare immediatamente nella circolazione sanguigna attraverso le pareti intestinali. Il fruttosio viene consumato più lentamente, perché prima di essere assimilato dal nostro organismo deve essere convertito in glucosio dal fegato. Questo processo è abbastanza lento, quindi il glucosio (derivato dal fruttosio) viene messo in circolo molto lentamente. Di conseguenza, un miele con un’alta concentrazione di glucosio rispetto a quella di fruttosio (come il miele di acacia) è più indicato per chi necessita un notevole e immediato apporto energetico per particolari prestazioni fisiche come lo sport o lo studio. La facilità con cui il miele viene digerito non è da attribuire solo al fatto che è composto essenzialmente da zuccheri semplici, ma anche alla presenza di molte sostanze organiche, sali minerali e enzimi, che non devono subire particolari processi digestivi e quindi non appesantiscono lo stomaco. Il miele presenta un alto potere dolcificante, superiore a quello dello zucchero da cucina (saccarosio). È dovuto principalmente al fruttosio, che presenta un potere dolcificante molto alto: infatti, ponendo a 100 il potere dolcificante del saccarosio, in paragone avremo a 173 quello del fruttosio e a 74 quello del glucosio. Inoltre 100 grammi di saccarosio forniscono circa 1670 kJ, contro i 1590 kJ del miele. Quindi

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utilizzando il miele al posto dello zucchero da cucina, si ha un piccolo risparmio calorico, cosa positiva per persone che desiderano fare una dieta ipocalorica. 5.2 Proprietà terapeutiche Il miele viene utilizzato per uso domestico con lo scopo di curare vari disturbi dell’apparato respiratorio, circolatorio, digestivo e per molti altri usi terapeutici. Tuttavia la reale efficacia del miele per curare queste patologie non è ancora stata provata, anche se è innegabile che apporti un certo beneficio. Alla fine degli anni ’70 il miele era molto utilizzano anche negli ospedali a scopo terapeutico, tanto da essere perfino inserito nella farmacopea degli ospedali britannici. È questo il periodo a cui risalgono i primi test clinici per stabilire l’effettiva efficacia del miele come cura per infezioni insorte in seguito ad ustioni o amputazioni, ulcere da decubito ed altre lesioni traumatiche. Nel corso dei decenni, molti medici hanno curato i loro pazienti con miele e zuccheri invece dei soliti metodi convenzionali e i risultati sono stati sorprendenti: diminuivano le complicazioni, la percentuale di guarigione aumentava, diminuiva molto il periodo di degenza e inoltre i pazienti curati con questo trattamento non dovevano essere sottoposti a interventi di chirurgia plastica. Questo grazie ad alcuni tipi di zuccheri, che ritardano la formazione del collagene, una proteina che forma il tessuto connettivo e viene prodotta in eccesso dai tessuti cicatriziali. Le cellule che si trovano a contatto con una soluzione sovrassatura di zuccheri si disidratano a causa della pressione osmotica. Se queste cellule sono sane, e quindi collegate a una vasta rete di vasi sanguigni e linfatici, reagiscono a questa carenza d’acqua assorbendone da altre parti del corpo. Soltanto quelle danneggiate oppure isolate (come per esempio i batteri) si disidratano a tal punto da morire. Quindi, medicando ferite con miele e zuccheri, le cellule morte vengono distrutte e la ferita rimane pulita e sterile.

6. Sitografia

La consultazione di questi siti è avvenuta tra febbraio e luglio 2007.

Stazione di ricerca Agroscope Liebefeld-Posieux, http://www.alp.admin.ch

Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani, http://www.mieliditalia.it

Apicoltura on line, http://www.apicolturaonline.it

Sezione di Apicoltura di Roma dell’Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, http://www.apicoltura.org

Confederazione italiana agricoltori Lombardia, http://www.cialombardia.org

Osservatorio nazionale della produzione e del mercato del miele, http://www.osservatoriomiele.org

Assessorato dell'Agricoltura e Risorse Naturali, http://www.regione.vda.it

Enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org

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Università degli studi di Udine facoltà di agraria, http://web.uniud.it/dial/documenti/tesine_degli_studenti/il%20miele/il_miele_dall_alveare_al_vasetto_Pustetto_Helen.pdf

Associazione produttori Agripiemonte miele, http://www.mielalpi.it

Wellness Gourmet, http://www.cibo360.it/index.shtml

Azienda biologica Apicoltura Calabria Pierino, http://www.apicolturabio.it/index2_ita.html

Apicoltura Vastola di Giugliano Carmela, http://www.vastapi.it

Evoluzione Telematica s.r.l., http://www.ricetteonline.com/index.php

Apicoltura Biologica Perona Marco, http://www.apibioperona.it

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PARTE

SPERIMENTALE

Alcune analisi del miele

Liceo Cantonale di Locarno, anno 2007

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PARTE SPERIMENTALE

Alcune analisi del miele

Indice

1. Campioni analizzati ................................................................. 22

2. Contenuto di acqua .................................................................. 22 2.1 Procedimento di base ........................................................... 22 2.2 Variazioni ............................................................................. 22 2.3 Materiale .............................................................................. 22 2.4 Procedimento ........................................................................ 22 2.5 Spiegazioni teoriche ............................................................. 23 2.6 Risultati e conclusioni .......................................................... 23

3. Determinazione degli zuccheri riducenti ........................... 24 3.1 Procedimento di base ........................................................... 24 3.2 Variazioni ............................................................................. 24 3.3 Materiale e sostanze ............................................................ 24 3.4 Procedimento ........................................................................ 24 3.5 Spiegazioni teoriche ............................................................. 25 3.6 Risultati e conclusioni .......................................................... 25

4. Determinazione dell’acidità ................................................... 26 4.1 Procedimento di base ........................................................... 26 4.2 Variazioni ............................................................................. 26 4.3 Materiale e sostanze ............................................................ 26 4.4 Procedimento ........................................................................ 26 4.5 Spiegazioni teoriche ............................................................. 27 4.6 Risultati e conclusioni .......................................................... 28

5. Bibliografia ................................................................................ 29

6. Sitografia .................................................................................... 29

7. Ringraziamenti ......................................................................... 29

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1. Campioni analizzati

Per svolgere il lavoro sperimentale ho utilizzato due campioni di miele dello stesso apicoltore. Le arnie sono situate a Riazzino e le api trovano le varie componenti del miele nella regione circostante. I mieli contengono prevalentemente nettare o melata di castagno, ma anche una quantità importante di robinia. Il campione A proviene dalla smielatura avvenuta all’inizio del mese di agosto del 2006, mentre il campione B è miele più fresco e proviene dalla smielatura dell’anno successivo. I campioni sono stati conservati in un ambiente luminoso e a temperatura ambiente. Dalla figura 14 si può notare che il campione A è in parte cristallizzato, mentre il campione B è fluido e più scuro.

2. Contenuto di acqua

2.1 Procedimento di base5 Circa 2 g di miele sono pesati in una capsula di porcellana piatta insieme a una bacchetta di vetro ed a 10-20 g di sabbia lavata e calcinata. Si aggiungono 5 cm3 di acqua distillata rimescolando bene con la bacchetta e si mette la capsula a bagnomaria bollente, continuando a mescolare. Quando questa operazione diventa difficile, si mette la capsula in stufa ad acqua finché la massa diventa costante. La pesata deve essere fatta rapidamente; moltiplicando per 50 la perdita di massa, che corrisponde alla quantità di acqua contenuta nel miele, si ottiene la percentuale di acqua presente originariamente nel miele. 2.2 Variazioni Il procedimento descritto sopra è molto complesso e richiede troppo tempo. Per determinare il contenuto d’acqua, basta mettere il miele in un forno; in questo modo l’acqua evapora e questo comporta una diminuzione di massa. Inoltre, la sabbia serve unicamente ad aumentare la superficie di contatto del miele con l’aria; si ottiene lo stesso effetto spalmando uno strato molto sottile di miele su una capsula. 2.3 Materiale Per questa esperienza ho utilizzato due capsule, un forno e una bilancia analitica al decimillesimo di grammo (10-4 g). 2.4 Procedimento Per la determinazione del contenuto di acqua si procede essiccando il miele e determinando la perdita di massa, che corrisponde alla quantità di acqua evaporata. Si pesa accuratamente una capsula di vetro e successivamente si aggiungono 1-2 g di miele. Per aumentare il più possibile la superficie di contatto e garantire quindi la

5 Fonte: Prof. Dr. G. Vittorio Villavecchia, “Chimica analitica applicata”, Volume II, editore Ulrico Hoepli Milano, 1966

Figura 14: Il campione A (sinistra) e B (destra)

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massima evaporazione dell’acqua è necessario rendere lo strato di miele il più sottile possibile: ad esempio, facendo pressione sullo strato di miele utilizzando il fondo piatto di un bicchiere o di un’altra capsula. Successivamente, si pesa di nuovo la capsula per poter ricavare la massa esatta del miele aggiunto (la pesata va effettuata rapidamente). In seguito, si mette il tutto in un forno a 60°C per 15 ore circa e poi si pesa di nuovo (anche in questo caso il più rapidamente possibile, per evitare che il miele assorba umidità dall’aria). La diminuzione di massa corrisponde alla quantità di acqua presente nel miele. 2.5 Spiegazioni teoriche È molto importante cercare di aumentare il più possibile la superficie di miele che si trova a contatto con l’aria. Infatti, in questo modo si accelera l’evaporazione, si aumenta la quantità di acqua che riesce ad evaporare e quindi i risultati ottenuti saranno più precisi. Però, in questo modo, c’è il rischio che dell’acqua evapori prima che il miele venga pesato; per questo motivo, è importante non lasciare il miele spalmato sulla capsula a contatto con l’aria per troppo tempo prima che venga pesato. La pesata del miele essiccato va effettuata rapidamente, poiché il miele, essendo una sostanza igroscopica, tende ad assorbire facilmente umidità dall’aria e questo potrebbe alterare i risultati dell’esperienza. Per questo motivo è molto importante conservare il miele essiccato in un essiccatore se non c’è la possibilità di pesarlo subito dopo averlo tolto dal forno. 2.6 Risultati e conclusioni Ho raccolto i risultati intermedi dell’esperienza nella tabella seguente (figura 16). Da questi dati si vede che il campione A presenta una quantità d’acqua del 16,20%, mentre il campione B del 14,96%. I risultati sono leggermente più bassi rispetto alla media: ciò potrebbe dipendere da due fattori. Il primo è l’evaporazione di un po’ d’acqua dalla lamina di miele (prima della pesata): in questo caso, la quantità di acqua che si misura con la bilancia è inferiore alla quantità originale e quindi il risultato finale è più basso rispetto alla realtà. Questo riguarda soprattutto il campione B, che è rimasto a contatto con l’aria per molto più tempo rispetto al campione A. Ciò potrebbe spiegare il valore così basso del campione B. Il secondo fattore da considerare è l’igroscopicità del miele: l’umidità assorbita dal miele essiccato prima della pesata ne aumenta la massa, rendendo la percentuale di acqua ottenuta più bassa della realtà. Questo fattore è quello che ha influenzato meno i risultati, poiché il miele essiccato è stato pesato rapidamente. Dunque, è molto importante pesare il miele il più rapidamente possibile per evitare che questi due fattori possano alterare i risultati.

campione A campione B

PRIMA capsula 45,3902 50,9108 capsula con miele 46,7224 52,4064 miele 1,3322 1,4956

DOPO capsula con miele 46,5066 52,1827 miele 1,1164 1,2719

variazione 0,2158 0,2237

percentuale 16,20% 14,96%

Figura 16: Risultati intermedi (espressi in grammi)

Figura 15: Il campione A e il campione B essiccati

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3. Determinazione degli zuccheri riducenti

3.1 Procedimento di base6

Soluzione A: Sciogliere 1,73 g di citrato di sodio (diidrato) e 1.0 g di carbonato di sodio anidro in 8 mL di acqua distillata calda.

Soluzione B: Sciogliere 1,73 g di solfato di rame (pentaidrato) in 20 mL di acqua distillata.

Immediatamente prima dell’utilizzo, preparare il reagente di Benedict mischiando 0,8 mL di soluzione A con 0,2 mL di soluzione B. Per testare la presenza di zuccheri riducenti, aggiungere 0,2 mL di una soluzione all’1% di carboidrati a 1 mL di reagente di Benedict. Mettere le provette a bagnomaria per 5 minuti; in seguito lasciarle raffreddare.Un precipitato rosso-mattone indica un risultato positivo al test per gli zuccheri riducenti. Infatti, soluzioni basiche di rame (II) sono ridotte a rame (I) dagli zuccheri aventi un gruppo chetonico o aldeico libero.

O-

O-

ONa+

Na+

OH

O-

O-

OO

O O-

Na+ Na

+

Na+

carbonato di sodio citrato di trisodio solfato di rame Figura 17: Struttura chimica dei componenti del reagente di Benedict

3.2 Variazioni Dato che questa esperienza ha unicamente lo scopo di determinare o meno la presenza di zuccheri riducenti, senza stabilirne l’esatta quantità attraverso calcoli stechiometrici, non è necessario che la soluzione di miele sia esattamente dell’1%. È utile effettuare l’esperienza anche con una soluzione contenente unicamente acqua, per poter confrontare il cambiamento di colore. 3.3 Materiale e sostanze Per svolgere questa esperienza ho utilizzato un Bunsen, un trepiedi, tre provette e una bilancia da laboratorio al centesimo di grammo (10-2 g). Le sostanze necessarie sono: citrato di trisodio (Na3C6H5O7), carbonato di sodio (Na2CO3) e solfato di rame (CuSO4); serviranno per preparare il reagente di Benedict. 3.4 Procedimento Il reagente di Benedict viene utilizzato per determinare la presenza di zuccheri riducenti. Per prepararlo sono necessarie due soluzioni:

Soluzione A: Sciogliere 1,73 g di citrato di trisodio (Na3C6H5O7) e 1,0 g di carbonato di sodio (Na2CO3) in 8 mL di acqua calda distillata.

Soluzione B: Sciogliere 1,73 g di solfato di rame (CuSO4) in 20 mL di acqua distillata.

Se si hanno difficoltà a far sciogliere le sostanze della soluzione A, la si può riscaldare leggermente sulla fiamma del becco Bunsen per accelerare la reazione.

6 Fonte: http://www.science.edu.sg/ssc/detailed.jsp?artid=6273&type=6&root=5&parent=5&cat=59

Cu2+

2+

S

O-

O

OO-

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Appena prima dell’utilizzo, preparare il reagente di Benedict in una provetta mischiando 0,8 mL della soluzione A con 0,2 mL della soluzione B. Poi, aggiungere 0,2 mL di una soluzione di miele all’1% circa. Ripetere lo stesso procedimento con un’altra provetta ma, invece di aggiungere 0,2 mL di soluzione contenente miele, aggiungere 0,2 mL di acqua distillata (per poter confrontare il cambiamento di colore). In seguito, mettere le provette a bagnomaria per circa 5 minuti. La formazione di precipitato rosso indica la presenza di zuccheri riducenti. 3.5 Spiegazioni teoriche Il reagente di Benedict, se messo a contatto con sostanze che possiedono un potere riducente (che hanno quindi la capacità di ridurre altre molecole), reagisce formando del precipitato rosso. Infatti, il rame con numero d’ossidazione 2+ è di colore azzurro7 e ben solubile, mentre in forma 1+ è di colore rosso e poco solubile. Gli zuccheri riducenti riducono il rame da 2+ a 1+ e quindi si osserva del precipitato rosso. Nella soluzione composta dal reagente di Benedict e dalla soluzione di miele avvengono diverse reazioni. Per prima cosa il solfato di rame, essendo un sale con una buona solubilità in acqua, a contatto con essa si dissocia in ione rameico e ione solfato. Lo ione rameico (ben solubile in acqua) conferisce alla soluzione un colore azzurro.

(aq)24(aq)

2(s)4 SOCuCuSO −+ +→

In seguito, avvengono due reazioni di ossidoriduzione, entrambe in ambiente basico e in presenza di un gruppo chetonico o aldeico. Lo ione rameico si riduce a idrossido di rame (CuOH) oppure ossido rameoso (Cu2O):

OH2CuOHRCOOH4OH2CuRCHO 22 ++→++ −+

OHOCuRCOOH4OH2CuRCHO 222 2++→++ −+

In entrambi i composti, il rame ha il numero d’ossidazione 1+ e quindi i composti risultano rossi e poco solubili. Inoltre, l’ossido rameoso, in presenza di acqua, è in equilibrio con l’idrossido di rame:

OHOCu 22 + 2CuOH Quindi, il precipitato che si forma è dovuto sia alla presenza di ossido rameoso, sia alla presenza di idrossido di rame, essendo entrambi i composti rossi e poco solubili in acqua. 3.6 Risultati e conclusioni Come si può vedere dalla figura 19, sia nella provetta contenente il campione A (a sinistr5a) che in quella contenente il campione B (al centro) si è formato del precipitato rosso e ciò indica una riduzione del rame da 2+ a 1+, mentre la provetta contenente acqua è rimasta azzurra. Di conseguenza, è stata accertata la presenza di zuccheri riducenti (come ad esempio glucosio e fruttosio) in entrambi i campioni.

7 In realtà, lo ione Cu2+ è incolore. È il complesso [Cu2+(H2O)5]2+ ad essere di colore azzurro, ma per comodità dirò semplicemente che è lo ione Cu2+ ad essere di colore azzurro.

← →

Figura 19: Provette dopo il test per gli zuccheri riducenti

Figura 18: Provette a bagnomaria

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4. Determinazione dell’acidità

4.1 Procedimento di base8 Per il calcolo dell’acidità si sciolgono, in 75 mL di acqua, 10 g esatti di miele e si titola la soluzione così ottenuta con NaOH 0,1 M, usando come indicatore la fenolftaleina. Moltiplicando per 10 i mL di NaOH impiegati per titolare si ottiene l’acidità, che si esprime in meq/kg di miele. 4.2 Variazioni La fenolftaleina è un indicatore usato nelle titolazioni acido-base: a pH inferiori di 8,2 è incolore, mentre a pH superiori a 9,9 assume un intenso colore rosso violaceo. Tuttavia, non è molto facile determinare il momento esatto in cui avviene il cambiamento di colore. Per questo motivo non ho utilizzato un indicatore, ma ho titolato la soluzione con una base forte ed ho raccolto i dati della variazione del pH in rapporto ai millilitri di NaOH 0,1 M aggiunti. In seguito, ho determinato il punto di neutralizzazione, con cui ho ricavato il pH del miele (per approfondimenti vedi punto 4.5). Questo metodo è migliore rispetto a quello descritto al paragrafo precedente, perché non è detto che il pH della soluzione corrisponda al cambiamento di colore della fenolftaleina e inoltre la precisione è limitata dal viraggio dell’indicatore (il viraggio è l’intervallo in cui il nostro occhio non è in grado di determinare il cambiamento di colore, ossia se le due sostanze, che conferiscono le colorazioni caratteristiche, sono presenti in soluzione in rapporto minore di 1:10). 4.3 Materiale e sostanze Per questa esperienza ho utilizzato una buretta (da 10 mL), un agitatore magnetico, un pH-metro, una bilancia da laboratorio al centesimo di grammo (10-2 g), un computer con il programma data studio e delle pasticche di NaOH. Il pH-metro va calibrato prima del suo impiego e va sempre risciacquato con acqua distillata prima e dopo il suo utilizzo. 4.4 Procedimento Per determinare l’acidità del miele bisogna preparare una soluzione di NaOH 0,1 M che fungerà da titolante.

Soluzione NaOH 0,1 M: Sciogliere 4 g di NaOH in un pallone da 1 L contenente meno di 1 L di acqua distillata. Quando le pasticche di NaOH si sciolgono completamente, aggiungere acqua distillata fino ad ottenere 1 L di soluzione.

Per determinare l’acidità del miele si sciolgono 10 g di miele in 75 mL di acqua distillata e si titola la soluzione con NaOH 0,1 M, agitando la soluzione con un agitatore magnetico. Si raccolgono i dati immergendo un pH-metro nella soluzione. Il

8 Fonte: Roberto Biffoli, “Chimica degli alimenti”, USES Edizioni Scientifiche Firenze, 1990

OH

O

O

OH

fenolftaleina

Figura 20: Struttura chimica della fenolftaleina

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pH-metro è una sonda collegata a un’interfaccia, che invia i dati via USB a un computer in cui vengono raccolti dal programma Data Studio. La raccolta dei dati va effettuata rapidamente per avere una curva di titolazione regolare, così da poter determinare con facilità il punto di neutralizzazione. 4.5 Spiegazioni teoriche Come prima cosa, è necessario individuare il punto di neutralizzazione nella curva di titolazione: bisogna prolungare gli estremi del grafico, in modo da trovare gli asintoti orizzontali. Il punto del grafico che si trova a metà tra questi due asintoti corrisponde al punto di neutralizzazione (che è anche il punto di flesso). Tuttavia, il pH del punto che si ottiene dal grafico non corrisponde alla realtà. Infatti, raccogliendo i dati rapidamente si ottiene una curva di titolazione regolare, ma i risultati ottenuti non corrispondono alla realtà, perché il pH-metro non ha il tempo di rilevare il pH esatto: infatti, il pH-metro che ho utilizzato necessita due minuti circa prima di segnalare il pH corretto. In realtà, la curva di titolazione dovrebbe presentare valori più basici rispetto a quelli che ho ottenuto. Tuttavia, i millilitri di NaOH utilizzati per titolare la soluzione sono comunque esatti. Infatti, il pH-metro ha commesso sempre lo stesso errore, quindi basta traslare la curva di titolazione verso l’alto e di conseguenza i millilitri di NaOH nel punto di neutralizzazione non cambiano. Per conoscere il pH della soluzione titolata nel punto di neutralizzazione basta preparare di nuovo la soluzione contenente miele (sciogliendo 10 g di miele in 75 mL di acqua distillata) e aggiungere i millilitri di NaOH 0,1 M che sono stati necessari per titolare la soluzione. In seguito, si misura il pH della soluzione, lasciando il pH-metro immerso per due minuti (agitando il tutto con un agitatore magnetico). In questo modo, si riesce a determinare il pH del punto di neutralizzazione senza errori dovuti al tempo di reazione del pH-metro. Nel punto di neutralizzazione tutti gli acidi (indicati con HA) presenti nella soluzione di miele sono stati titolati con la base forte NaOH:

−− +→+ AOHOHHA 2 In questo punto il pH risulterà leggermente basico a causa delle basi coniugate (A-) degli acidi HA presenti in soluzione: le basi reagiscono con l’acqua formando ioni idrossido e acidi HA:

Per calcolare il pH del miele si utilizza la formula per gli acidi deboli:

[ ]HA1/2log1/2pKapH −= La concentrazione di HA si ottiene dividendo le moli di HA per il volume di miele utilizzato (non diluito). Le moli di HA corrispondono alle moli di NaOH utilizzate per neutralizzare la soluzione. Il volume del miele si ricava dalla formula

m/Vd = dove m è la massa di miele utilizzato per l’esperienza e d è la densità del miele, che mediamente è di 1,422 g/cm3.

Figura 21: Attrezzatura montata per la titolazione

← → OHA 2+− HAOH +−

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Il pKa degli acidi HA si ricava dalla formula per calcolare il pH di una soluzione contenente una base debole:

[ ]−++= A1/2log1/2pKa7pH Infatti, nel punto di neutralizzazione tutti gli acidi HA hanno reagito con l’OH- formando le basi coniugate A-. Quindi in questo punto il pH (che si ricava dalla seconda misurazione e non dalla curva di titolazione) è determinato dalla concentrazione di A- nella soluzione di miele. Per trovare la concentrazione di A- si dividono le moli di A- (equivalenti a quelle di HA e di OH-) per il volume della soluzione, che si trova (approssimativamente) sommando il volume di miele con il volume di acqua aggiunta. Ora, si può calcolare il pKa medio degli acidi deboli contenuti nel miele:

[ ]−−−= Alog142pHpKa Infine, si può calcolare il pH del miele utilizzando la formula per gli acidi deboli:

[ ]HA1/2log1/2pKapH −= 4.6 Risultati e conclusioni

Dalla curva di titolazione del campione A si può avere la conferma che il pH-metro necessita di alcuni minuti prima di segnalare il pH corretto. Infatti, aggiungendo 0,1 mL di NaOH 0,1 M il pH sarebbe dovuto diventare più basico, invece è diventato più acido. Ciò è dovuto al tempo di reazione del pH-metro, che non aveva ancora avuto il tempo necessario per determinare il pH iniziale della soluzione (più basso di 5,1) e quindi il pH segnalato stava in realtà scendendo. Considerando che la quantità di miele (sia del campione A che del campione B) utilizzata per l’esperienza è di 10,03 g e che per titolare entrambe le soluzioni di miele sono stati necessari 1,4 mL di NaOH 0,1 M, si ottengono i seguenti risultati: nel punto di neutralizzazione la soluzione contenente il campione A presenta un pH di 7,8, mentre quella contenente il campione B di 7,2. Da questi dati, attraverso il procedimento descritto nel paragrafo precedente, si ottiene che il pH del campione A è di 3,03 e il pH del campione B di 2,43. Non so quanto siano attendibili questi risultati poiché, nella seconda misurazione del pH del punto di neutralizzazione, ho ottenuto risultati incoerenti. Infatti, a causa del tempo di reazione del pH-metro, i valori dei pH ottenuti con la seconda misurazione dovrebbero essere più basici dei pH ricavati dalla curva di titolazione (per il campione A questo valore è di 7,5 e per il campione B è di 7,4). Tuttavia, per il campione B ho ottenuto un pH più acido e non sono riuscita a trovare una spiegazione plausibile.

Figura 22: Curva di titolazione del campione A

. punto di neutralizzazione

Figura 23: Curva di titolazione del campione B

. punto di neutralizzazione

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5. Bibliografia

Roberto Biffoli, “Chimica degli alimenti”, USES Edizioni Scientifiche Firenze, 1990

Prof. Dr. G. Vittorio Villavecchia, “Chimica analitica applicata”, Volume II, editore Ulrico Hoepli Milano, 1966

6. Sitografia

La consultazione di questi siti è avvenuta tra settembre e dicembre 2007.

Enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org

Science Centre Singapore, http://www.science.edu.sg/ssc/index.jsp

Bowdoin College, http://www.bowdoin.edu/academics

7. Ringraziamenti

Desidero ringraziare innanzitutto il prof. Michele Bernasconi, che ha saputo motivarmi

per svolgere al meglio questo lavoro ed ha avuto l’enorme pazienza di rispondere alle

mie infinite domande. La sua guida e i suoi preziosi consigli sono stati determinanti

per sviluppare nel modo migliore questo lavoro di maturità.

Un grande ringraziamento va ai miei genitori, che hanno saputo sostenermi e

sopportarmi, specialmente durante le ultime settimane di redazione; a mio padre, che

mi ha fornito i campioni di miele per le esperienze e che, grazie alle sue spiegazioni, ha

saputo farmi conoscere, capire ed apprezzare l’affascinante ed organizzato mondo delle

api; a mia madre, che mi è sempre stata vicina, pronta ad aiutarmi nei momenti di

bisogno.

E, da ultimo, ma non per importanza, ringrazio mio fratello, Jan, il quale,

pazientemente, mi ha corretto, puntigliosamente, la punteggiatura, e non solo, di tutto

il lavoro; di tutte, dunque, le ventinove pagine, mettendo virgole ovunque ve n’era

bisogno, e, forse, anche troppe.

H2O2