Amos Oz su L'espresso 31 del 7 8 14

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NEMICI INSEPARABILI

Primo Piano LA GUERRA INFINITA

In un obitorio di Beit Hanun, a Gaza, un uomo bacia un bambino morto in un attacco israeliano

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NEMICI INSEPARABILI

Il delirio omicida di Hamas. Il potere dei coloni. Gli errori di Israele. Visti da un grande scrittore. Che non ha perso la speranza nella pace e nella convivenza. Parla Amos Oz DI WLODEK GOLDKORN - FOTO DI ALESSIO ROMENZI

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Primo Piano

Amos Oz pone una condi-zione per parlare della guerra in corso tra lo Sta-to d’Israele e Hamas, «un procedimento non con-venzionale, ma i tempi sono fuori dal comune»,

si giustifica. «Voglio essere io a porre le prime due domande e darne le risposte», dice con una voce alterata che tradisce l’e-mozione di questo signore 75enne, di solito tranquillo, estremamente razionale, da de-cenni in prima fila nelle battaglie per la pace e per un compromesso coi palestinesi e scrittore tra i più seguiti e famosi del mondo. «Ebbene, la prima domanda è la seguente: lei cosa fa quando il suo dirimpettaio si mette seduto sul terrazzo con il proprio fi-glio sulle ginocchia, tira fuori la mitraglia-trice e comincia a sparare verso la cameret-ta dei suoi figli?». Prosegue: «La seconda domanda è, invece, che cosa fa quando il suo vicino di casa scava un tunnel che dalla cameretta dei propri bambini porta alla cameretta dei suoi per ammazzare o seque-strare la sua famiglia?». E qual è la risposta, signor Oz? «Lei in quei casi chiama la poli-zia. Ma qui non c’è polizia. Purtroppo la polizia internazionale non esiste».

Oz, reduce da alcuni interventi chirurgi-ci all’ospedale («Niente di grave»), è appe-na tornato a casa a Tel Aviv (comoda, per niente lussuosa, l’abitazione che potrebbe avere un ingegnere o un medico dopo una trentina di anni di lavoro), dove si è trasfe-rito dal deserto del Negev per stare vicino ai suoi nipoti. La famiglia e anche le rela-zioni tra vicini di casa sono sempre stati al centro del suo universo narrativo e di vita. Non è quindi un caso se per parlare di quello che succede oggi in Terra Santa ri-corre a una metafora che richiama la fami-glia e il vicinato, appunto. E del resto lui stesso non si stanca di ripetere quanto israeliani e palestinesi si assomiglino, quan-

to il conflitto sia una tragedia perché ambe-due le parti hanno ragione, e quanto per continuare a vivere senza ammazzarsi reci-procamente occorra un «divorzio consen-suale», per coabitare «da separati in casa, con una divisione degli spazi negoziata e accettata, e la speranza di tornare, un gior-no, ad avere rapporti civili».

Ma ora di civile c’è poco. C’è sangue e morte. Soprattutto c’è l’impressione che il governo di destra, guidato da Benjamin Netanyahu, stia usando mezzi sproporzio-nati (oltre mille i morti, quartieri interi rasi al suolo) in risposta alla sfida lanciata da Hamas (centinaia di razzi sparati contro le città dello Stato ebraico, tentativi di pene-trare nel territorio israeliano per ammazza-re civili e soldati). Per dirla esplicitamente, la sensazione è la seguente: Netanyahu si comporta come se l’orizzonte temporale dello Stato ebraico fosse di pochi anni, come se il premier non credesse che Israele sia una realtà consolidata e legittima, e come se invece volesse guadagnare qualche anno di vita ancora, senza pensare a come vivranno i nipoti e i pronipoti tra 30 o 70 anni, dato che la bolla di odio cresce di bombardamen-to in bombardamento. Oz reagisce dura-mente: «Non bisogna dimenticare l’artico-

«LA NOSTRA DESTRA È OTTOCENTESCA. MA I PALESTINESI

FONDAMENTALISTI PARLANO

IL LINGUAGGIO DEL SESTO SECOLO»

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lo quarto della Carta programmatica di Hamas: vi si dice che dovere dei musulma-ni è uccidere gli ebrei ovunque nel mondo, indipendentemente dalla questione palesti-nese». Aggiunge: «Nello stesso documento si citano i “Protocolli dei savi anziani del Sion” (libello antisemita dei primi del No-vecento, ndr) e si asserisce che gli ebrei go-vernano il mondo nel campo dell’econo-mia, delle organizzazioni internazionali, e che sono stati gli ebrei ad aver provocato la

prima e la seconda guerra mondiale». Tace per un minu-to, la voce si fa serena, sorride infine e dice: «Ora possiamo parlare di politica e di Netan-yahu».

E allora ricominciamo dal-la polizia internazionale: è mancata nell’ex Jugoslavia e in Ruanda, manca in Siria e in Libia. E visto che non c’è, cosa si fa tra Israele e Hamas? «Provi a chiedere cosa voglia fare a una persona che sta cadendo dal tetto, mentre si trova all’altezza dell’ottavo piano». E dunque? «Finirà per esaurimento, di una o di ambedue le parti». Niente speranza? «Affatto», Oz si infervora: «Una via d’uscita, benché oggi ipotetica, c’è. Non era necessario arrivare a questa situazione. Bisogna-va parlare con l’Autorità Na-zionale Palestinese. Riaprire

il dialogo con Abu Mazen. Lo si può fare ancora. È sempre possibile proporgli un accordo di pace. I contenuti? Sono noti da anni, da decenni. Fine dell’occupazione, due Stati, Israele e Palestina, con Gerusa-lemme capitale di ambedue». Prosegue: «Se uno Stato palestinese prospero e paci-fico fosse esistito in Cisgiordania, gli abi-tanti di Gaza vedendo come vivono i loro fratelli a Hebron e Nablus, avrebbe fatto fare ai capi di Hamas la stessa fine che i

romeni hanno fatto fare a Ceausescu».E allora parliamo di Netanyahu. Il pre-

mier ha condotto tutta la sua carriera poli-tica facendo leva sulla paura degli israeliani, mai sulla speranza. Oz di nuovo alza la voce: «Lui e la destra sono un fenomeno anacronistico. Non appartengono al 21esi-mo secolo, e neanche al Novecento. Sono uomini e donne del l’Ottocento. La loro idea della nazione e del patriottismo, e perfino l’isterismo, fanno parte di quel pe-riodo». Fa una pausa e dice: «Ho l’impres-sione che Netanyahu sia caduto nella trap-pola di Hamas. Hamas ha un filosofia semplice: è bene ammazzare gli israeliani, ma è meglio ancora se è Israele ad ammaz-zare la gente a Gaza. Hamas vince in am-bedue i casi, sia se ammazza gli israeliani sia se gli israeliani ammazzano i civili. Ripeto», prosegue,«ci troviamo in questa terribile situazione perché il premier non ha voluto firmare l’accordo di pace con Abu Mazen».

E così si arriva al nodo dei coloni. Sono circa 300 mila, risiedono nei territori occu-pati. Armati si oppongono a ogni idea di uno Stato palestinese o di compromesso territoriale. In quell’ambiente è cresciuto l’assassino di Yitzhak Rabin, il generale diventato primo ministro e che firmò nel 1993 il primo accordo di riconoscimento tra lo Stato ebraico e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Ara-fat. Netanyahu è ostaggio dei coloni? «Cer-to», è la risposta. «Ma lui non la pensa di-versamente da loro. Essendo un uomo dell’Ottocento, è convinto che più grande è il territorio e più forte è il Paese. E pen-

Foto

: R. G

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La strage degli otto bambini morti in un campo giochi, con le pistole di plastica insanguinate. Le altre 16 vittime alla scuola delle Nazioni Unite. E poi i piccoli uccisi nelle esplosioni all’ospedale al-Shifa. Scene di vita quotidiana dalla Striscia di Gaza. Massacri che hanno sconvolto l’opinione pubblica internazionale, che osserva impotente un conflitto che ha fatto ormai più di 1100 vittime in campo palestinese, la maggior parte dei quali civili. Una situazione drammatica. Perché ai morti si aggiungono gli oltre 6 mila feriti, e i danni alle infrastrutture che rendono

impossibile la vita alla popolazione. L’aviazione israeliana ha bombardato l’unica centrale elettrica, la Ong britannica Oxfam avverte che mancano acqua, luce e cibo, e su 1,8 milioni di abitanti oltre 220 mila sono sfollati: fuggono dopo essere stati avvertiti dei bombardamenti dagli israeliani, via telefono o tramite volantini, ma non possono lasciare la Striscia, i cui accessi sono controllati da Israele stesso e dall’Egitto. Ma come si è arrivati a questa guerra, la quarta tra israeliani e palestinesi dalla fine del 2008 a oggi? Stavolta la scintilla

è stata, a metà giugno, il rapimento e l’uccisione di tre studenti israeliani, da parte probabilmente di una cellula vicina al movimento palestinese Hamas, ma non ai suoi ordini diretti (come si è lasciato sfuggire il 25 luglio il portavoce della polizia Micky Rosenfeld al giornalista della Bbc Jon Donnison, contraddicendo le iniziali accuse di Netanyahu, secondo cui del rapimento era prima responsabile Hamas). Mentre alcuni settori della destra israeliana andavano radicalizzandosi ancora di più (pochi giorni dopo dei nazionalisti hanno bruciato vivo per vendetta un 16enne

Intanto a Gaza è strage continua DI DANIELE CASTELLANI PERELLI

DA SINISTRA: AMOS OZ; EDIFICIO DISTRUTTO DAI MISSILI ISRAELIANI A GAZA CITY

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Primo Piano

palestinese), e mentre Hamas continuava a lanciare razzi verso il Nord, il primo ministro Benjamin Netanyahu l’8 luglio decideva di dare il via a “Margine protettivo”, l’ultima incarnazione di una guerra che va avanti dal 1948. Questa operazione, come la precedente “Colonna di nuvola” del novembre 2012, ha come obiettivo la distruzione dei lanciarazzi e dei tunnel di Hamas nel nord nella Striscia di Gaza. Prima si è proceduto solo per via aerea, poi dal 17 luglio anche con l’invasione terrestre. L’operazione, la più sanguinosa dalla guerra di Gaza del 2008-2009, ha avuto un costo umano relativamente limitato per gli israeliani, più di 50 soldati e

pochissimi civili, anche perché i missili sparati da Hamas verso le città e i villaggi israeliani sono perlopiù intercettati dallo scudo chiamato “Cupola di ferro”. A poco sono valse finora le brevi tregue umanitarie su cui si sono trovate d’accordo le due parti: la prima il 17 luglio, di cinque ore, e la seconda il 26 luglio, di 12 ore, con una successiva estensione di un giorno intero.Intanto, mentre in giro per l’Europa si moltiplicano le manifestazioni pacifiste e gli episodi di antisemitismo, sale la tensione anche in Cisgiordania, l’altro territorio palestinese, governato però dall’Anp del presidente Mahmoud Abbas: almeno due sono state le vittime degli

scontri durante la protesta che ha visto sfilare oltre 10 mila persone il 24 luglio. La conclusione del conflitto è resa più difficile dalla indisponibilità del governo di Netanyahu ad ascoltare le richieste di un cessate-il-fuoco definitivo, come quella arrivata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 28 luglio. Ma a pesare è anche l’assenza di un mediatore, o quantomeno la difficoltà che hanno i due principali e storici mediatori della regione, ovvero Egitto e Stati Uniti, a far accettare le loro proposte di tregua. Da una parte è infatti nota l’ostilità del nuovo presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi nei confronti di Hamas, movimento vicino ai Fratelli musulmani. Dall’altra, gli americani non

sa pure che bisogna tenere i luoghi sacri. Anche quello è un anacronismo. Però, vorrei aggiungere: Hamas è ancora più anacronistico, loro parlano il linguaggio del sesto secolo».

Oz continua la sua riflessione: «Siamo alla follia. Lo scopo del sionismo non era conquistare città bibliche, tombe dei profe-ti, ma dare invece agli ebrei un Paese in cui vivere da uomini e donne liberi e responsa-bili della propria sorte e del proprio avve-nire». Scandisce la parole come se facesse un comizio: «Io come milioni di altri israe-liani sono pronto a combattere per la mia libertà e per la mia vita, non sono invece disposto a lottare, ammazzare e morire per i luoghi sacri». E del resto un anno fa Oz, assieme alla figlia Fania, ha pubblicato un libro, “Gli ebrei e le parole” (Feltrinelli), in cui spiegava come l’identità ebraica stesse nei testi, nei cibi, nelle feste e nella trasmis-sione di certe parole tra le generazioni in famiglia, e non nella sacralità dei luoghi. Poi torna alla questione dell’assassinio di Ra-bin nel 1995, punto di non ritorno per la società israeliana: «Sappiamo tutti che Rabin fu condannato a morte dagli am-bienti dei coloni, sappiamo chi sono i rab-bini che che hanno emesso sentenze (di stampo religioso, ndr) che lo definivano come “traditore”. E del resto fanatici e neo-nazisti ci sono dappertutto. Israele, da questo punto di vista, non è diverso».

I fascisti, gli squadristi si vedono oggi, mentre attaccano gli arabi per strada, o tentanto di assaltare le manifestazioni di chi non è d’accordo con la guerra di Gaza. Ma quella israeliana è una società democratica. Finita la guerra, cosa succederà? «È presto

per rispondere», dice Oz. «Ma vediamo i numeri. Alle ultime elezioni, un anno e mezzo fa, il blocco di Likud, dei coloni e dei religiosi ha ottenuto 61 seggi alla Knesset. I partiti di centro e della sinistra, sommati, hanno conquistato 59 mandati. Ogni sce-nario è aperto, la società divisa in due e in movimento». In altre parole: Netanyahu, stando ai sondaggi, gode di un grande consenso. Ed è difficile stupirsi (dice Oz: «Non scordiamoci che abbiamo di fronte

un nemico, Hamas, che vuole il genoci-dio»). Ma in Israele, ricordano gli esperti, le guerre finiscono in genere con commis-sioni d’inchiesta, dimissioni di governi e repentini cambiamenti politici.

E infatti in questi giorni si parla di un fermento ai vertici delle forze armate, scon-tenti per il compito troppo gravoso richie-sto dal governo, sia dal punto di vista mili-tare sia in termini di vittime civili nel campo palestinese. Q�

ISAAC HERZOG. A DESTRA, GAS LACRIMOGENI ISRAELIANI LANCIATI A NABLUS, IN CISGIORDANIA

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