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Amigdala Un manto di petali Sono i Greci a narrare di Fillide dai bianchi petali. La principessa Tracia incontrò Demoofonte figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani si innamorarono perdutamente, ma Demoofonte fu costretto a proseguire con gli Achei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopo dieci anni di attesa, non vedendolo tornare si lasciò morire per la disperazione. La dea Atena commossa da questa struggente storia d’amore decise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. Ma Demoofonte non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata in albero abbracciò la pianta che, per ricambiare le carezze fece prorompere dai suoi nudi rami, fiori invece di foglie. Un manto di bianchi petali cadde ai piedi dell’amato, da allora il bianco dei mandorli annuncia la primavera. Ovidio recupera il mito greco nelle Heroides facendo scrivere a Fillide, che presto sarà trasformata in mandorlo, una lunga struggente lettera a Demofoonte, interessante la descrizione dei luoghi in essa contenuti, gli stessi luoghi in cui dimoreranno per secoli i mandorli. “Io, la tua Fillide nata nella terra del Rodope, io che ti accolsi, o Demofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso. Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco completo. Per quattro volte la luna si è nascosta e per quattro volte ha completato nuovamente il suo disco, ma l'onda sitonia non porta con sé navi attiche. Se fai con precisione conto del tempo, che noi innamorati sappiamo calcolare bene, il mio lamento non giunge troppo presto. Anche la speranza è stata tarda a lasciarmi; non ci affrettiamo a credere alle cose che, se credute, ci procurano dolore; ma ora mi fanno male perché mio malgrado le credo, e continuo ad amarti. Spesso ho ingannato me stessa a tuo favore, spesso ho creduto che i venti tempestosi respingessero le tue bianche vele. Ho maledetto Teseo, perché non voleva lasciarti partire, ma forse non fu lui a ritardare il tuo viaggio. Talvolta ho temuto che mentre ti dirigevi verso le acque dell'Ebro, la tua nave naufragasse, sommersa dai flutti spumeggianti. Spesso con preghiere e sacrifici fumanti d'incenso ho supplicato gli dèi che tu, scellerato, fossi salvo. Spesso vedendo i venti favorevoli in cielo e sul mare mi sono detta: "Se sta bene, ritorna". Insomma il mio amore fedele ha immaginato qualunque ostacolo si può opporre a chi si affretta, e fui abile ad escogitare pretesti. Ma tu ti attardi lontano, non ti riportano indietro i giuramenti fatti sugli dèi e il nostro amore non ti sprona a tornare. Demofoonte, tu hai sciolto ai venti le vele e le tue promesse: lamento che le vele non abbiano ritorno e le parole sincerità. 1

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AmigdalaUn manto di petali

Sono i Greci a narrare di Fillide dai bianchi petali. La principessa Tracia incontrò Demoofonte figlio di Teseo, sbarcato nel

suo regno per una sosta durante la navigazione verso Troia. I due giovani siinnamorarono perdutamente, ma Demoofonte fu costretto a proseguire con gliAchei per combattere nella guerra di Troia. La giovane principessa, dopodieci anni di attesa, non vedendolo tornare si lasciò morire per ladisperazione. La dea Atena commossa da questa struggente storia d’amoredecise di trasformare Fillide in uno splendido albero di mandorlo. MaDemoofonte non era morto e quando seppe che Fillide era stata trasformata inalbero abbracciò la pianta che, per ricambiare le carezze fece prorompere daisuoi nudi rami, fiori invece di foglie. Un manto di bianchi petali cadde aipiedi dell’amato, da allora il bianco dei mandorli annuncia la primavera.

Ovidio recupera il mito greco nelle Heroides facendo scrivere a Fillide,che presto sarà trasformata in mandorlo, una lunga struggente lettera aDemofoonte, interessante la descrizione dei luoghi in essa contenuti, gli stessiluoghi in cui dimoreranno per secoli i mandorli.

“Io, la tua Fillide nata nella terra del Rodope, io che ti accolsi, oDemofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso.Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando lecorna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il discocompleto. Per quattro volte la luna si è nascosta e per quattro volte hacompletato nuovamente il suo disco, ma l'onda sitonia non porta con sé naviattiche.

Se fai con precisione conto del tempo, che noi innamorati sappiamocalcolare bene, il mio lamento non giunge troppo presto.

Anche la speranza è stata tarda a lasciarmi; non ci affrettiamo a crederealle cose che, se credute, ci procurano dolore; ma ora mi fanno male perchémio malgrado le credo, e continuo ad amarti.Spesso ho ingannato me stessa a tuo favore, spesso ho creduto che i ventitempestosi respingessero le tue bianche vele. Ho maledetto Teseo, perché nonvoleva lasciarti partire, ma forse non fu lui a ritardare il tuo viaggio.

Talvolta ho temuto che mentre ti dirigevi verso le acque dell'Ebro, la tuanave naufragasse, sommersa dai flutti spumeggianti. Spesso con preghiere esacrifici fumanti d'incenso ho supplicato gli dèi che tu, scellerato, fossi salvo.Spesso vedendo i venti favorevoli in cielo e sul mare mi sono detta: "Se stabene, ritorna". Insomma il mio amore fedele ha immaginato qualunqueostacolo si può opporre a chi si affretta, e fui abile ad escogitare pretesti. Ma tu ti attardi lontano, non ti riportano indietro i giuramenti fatti sugli dèi eil nostro amore non ti sprona a tornare.

Demofoonte, tu hai sciolto ai venti le vele e le tue promesse: lamento chele vele non abbiano ritorno e le parole sincerità.

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Dimmi, che cosa ho fatto se non amarti dissennatamente?Con la mia colpa, avrei potuto guadagnarmi la tua benevolenza?Mi si può accusare di un solo misfatto, di averti accolto, malvagio, ma

questo misfatto ha assunto il peso ed il valore di un merito.Dove sono adesso i giuramenti, la fedeltà e la destra unita alla destra e

quel dio più volte invocato dalla tua bocca menzognera? Dov'è ora Imeneo,promesso per gli anni di vita comune, che era per me garanzia e pegno dimatrimonio?

Mi hai giurato sul mare sconvolto dai venti e dalle onde, che spesso haiattraversato e che avevi l'intenzione di attraversare ancora, e su tuo nonno,se anch'egli non è frutto di invenzione, che placa le acque sconvolte dai venti,e su Venere e sulle armi anche troppo efficaci su di me, l'arma dell'arco el'arma delle torce, e su Giunone che benigna protegge i talami nuziali e suisacri misteri della dea che porta la fiaccola.

Se di tanti che hai offeso, ciascun dio vendicasse la sua maestàoltraggiata, tu da solo non basterai per i loro castighi. E dire che io, folle, horiparato le navi squarciate, affinché fosse solido lo scafo col quale tu potessiabbandonarmi e ti ho dato remi perché ti allontanassi, pronto a fuggire.Ahimè, soffro per le ferite inferte dalle mie stesse armi. Ho creduto alle tueparole carezzevoli, delle quali sei prodigo; ho creduto alla tua stirpe e ai tuoiavi illustri; ho creduto alle lacrime, o anche a queste si insegna a fingere?Anch'esse conoscono gli artifici e sgorgano a comando? Ho creduto anche agli dèi.

Perché tante garanzie per me? Una qualsiasi parte di esse sarebbe statasufficiente a conquistarmi. E non rimpiango di averti aiutato concedendotiapprodo e rifugio: ma questo avrebbe dovuto essere il limite massimo dellamia generosità. Mi pento di aver aggiunto alla mia ospitalità il lettoconiugale, coprendomi di vergogna, e di aver unito il mio fianco al tuo.Preferirei che la notte precedente a quella fosse stata l'ultima per me, quandoio, Fillide, potevo morire ancora onorata.

Ho sperato in meglio, perché credevo di averlo meritato: è legittima ognisperanza che deriva dal merito. Non è gloria conseguita faticosamenteingannare una fanciulla fiduciosa: la mia ingenuità avrebbe meritatoriguardo. Sono stata ingannata dalle tue parole e come donna e comeamante: concedano gli dèi che questo sia il tuo merito più alto!

Ti si innalzi una statua nel centro della città, fra i discendenti di Egeo e tistia dinanzi tuo padre, celebrato da iscrizioni onorifiche. E dopo aver letto diScirone e del bieco Procuste e di Sini e dell'essere dalle fattezze di toro einsieme di uomo e di Tebe sottomessa in guerra e della sconfitta dei centauribimembri e della violazione della cupa reggia del re delle tenebre, la tuastatua, collocata dopo quelle con tante scritte sia contrassegnata da questoattestato d'onore: "Questi è colui che sedusse con l'inganno la donna che loamava e che lo aveva ospitato".

Delle tante imprese e gesta di tuo padre, solo l'abbandono della fanciullacretese si è impresso nella tua mente; ammiri in lui quell'unico fatto, l'unicodi cui dovrebbe scusarsi: tu ti comporti come erede dell'inganno di tuo padre,o traditore. Ma lei - non la invidio - gode di un marito migliore e siede in altosul carro trainato dalle tigri aggiogate. Invece i Traci, che ho disdegnato,rifuggono dal matrimonio con me, perché si dice che ho anteposto uno

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straniero ai miei compatrioti. E qualcuno dice: "Se ne vada ormai alla dottaAtene; ci sarà un altro a governare la Tracia bellicosa: il risultato riconoscela validità delle azioni". Mi auguro che non abbia successo chiunque ritengache le azioni vadano giudicate dal loro risultato.

Ma se il mio mare spumeggiasse sotto i colpi dei tuoi remi, allora solo sidirà che ho provveduto bene a me e ai miei. Ma io non ho provveduto bene etu non ti darai pensiero della mia reggia e non laverai le stanche membranell'acqua bistonia. Mi rimane fissa negli occhi l'immagine della tuapartenza, quando la flotta, pronta a salpare, era assiepata nel mio porto.

Osasti abbracciarmi e, abbandonato sul collo di chi ti amava, unirestrettamente a lungo le nostre bocche nei baci e confondere le mie lacrimecon le tue e rammaricarti perché la brezza era favorevole alle vele e, sulpunto di partire, dirmi con le tue ultime parole: "Fillide, ti raccomando,aspetta il tuo Demofoonte!". Dovrei aspettare te, che sei partito per mai più rivedermi? Dovrei aspettaredelle vele alle quali è interdetto il mio mare?

E tuttavia aspetto.Torna, anche se tardi, da chi ti ama, fa' in modo che la tua promessa sia

stata solo rinviata nel tempo. Ma che cosa mi auguro, sventurata?Ormai forse ti trattiene un'altra sposa e Amore che ci è stato avverso. Da

quando la mia immagine ti è sfuggita dalla mente, tu non conosci più, credo,nessuna Fillide, se chiedi, ahimè, chi sia Fillide e da dove venga!

Sono quella che offrì un porto in Tracia e ospitalità a te, Demofoonte,provato dal lungo errare; io che ho accresciuto i tuoi beni con i miei e che daricca offrii molti doni a te nel bisogno, e molti te ne avrei ancora dati; sonocolei che mise ai tuoi piedi l'immenso regno di Licurgo, poco adatto adessere governato da una donna, dove il Rodope coperto di ghiacci.4 siestende fino all'Emo ombroso e il sacro Ebro riversa nel mare le sue acqueche scorrono impetuose; a te sacrificai sotto funesti presagi la mia verginitàe la casta cintura fu sciolta dalla tua mano infida. Tisifone presiedette allenozze e fece risuonare il suo ululato in quel talamo, e un uccello solitariointonò un lugubre canto; era presente Alletto, con il collo cinto di piccoliserpenti, e una torcia funebre spandeva la sua luce.

In pena mi aggiro tra gli scogli e gli arbusti della marina e, sia che laterra si schiuda al calore del giorno, sia che brillino le gelide stelle, spingoinnanzi il mio sguardo, là dove si apre alla mia vista l'ampia distesa delmare, per veder quale vento muova le onde. E ogni vela che vedo avvicinarsida lontano, subito mi auguro che siano i miei dei. Vado di corsa verso ilmare, trattenuta a stento dalle onde, là dove il mare frangendosi protende lesue acque, e quanto più le vele si avvicinano, tanto meno sono padrona dime, mi sento mancare e cado fra le braccia delle mie ancelle, pronte asorreggermi.

C'è un'insenatura che si incurva leggermente come un arco teso, alle sueestreme propaggini si ergono rocce scoscese. Ho avuto il pensiero di gettarminelle acque sottostanti, e, poiché continui ad ingannarmi, così sarà. Le ondesospingano il mio cadavere ai tuoi lidi e il mio corpo si presenti insepolto altuo sguardo! Anche se superi in durezza il ferro, l'acciaio e te stesso, dirai:"Non in questo modo, Fillide, dovevi seguirmi!".

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Spesso ho sete di veleni, spesso vorrei finire la mia vita con una mortesanguinosa, trapassata da una spada; vorrei anche stringermi un laccioattorno al collo, perché si è offerto alla stretta delle tue braccia infide.

Ho deciso di riscattare il mio pudore giovanile, con una morte opportuna.Indugerò ben poco nella scelta della morte. Tu sarai indicato sulla miatomba come l'odioso responsabile e sarai ricordato per questo epitaffio o peruno simile: "Demofoonte causò la morte di Fillide, lui, suo ospite, fecemorire lei che lo amava; egli fornì la causa della morte, lei la mano".1

1 Publio Ovidio Nasone, “Heroides”, Torino, Einaudi, 1966, pp.25-31

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La mandorla: tema sacro ed erotico

Nella simbologia paleocristiana e poi nell’iconografia medievale, lamandorla è la figura che circonda spesso il Cristo o la Vergine Maria. E’l’aureola di luce che rivela la presenza divina anche nell’arte rinascimentale.Per i mistici essa è il frutto simbolo dell'essenziale, creato dalla intersecazionedi due cerchi, la figura risultante è detta anche “vescica pescis”,simboleggiante l’incontro/differenziazione dei mondi e delle sostanze. Lecirconferenze sono emblemi di spirito e materia, di cielo e terra, di antico enuovo. Alla sostanza essenziale e nascosta della mandorla si contrappone ilguscio: l’apparente, l’ingannevole, il mutevole.

Gesù è spesso raffigurato racchiuso in una mandorla a simboleggiare chela natura divina è nascosta e discosta da quella umana.Una più estesa valutazione del significato della “vescica piscis” rivela unamolteplicità di significati; essa è sia simbolo femminile somigliante alla vulva(vescica in latino è anche vagina), sia rimando all’elemento acqua, universofemminile per eccellenza. Inoltre, nella simbologia cristiana, il pesce, ICTUS,rimanda alle iniziali di Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore.

Il riferimento al tema della mandorla appare costante anche nell’arteorientale (basti pensare alla sua presenza come tema decorativo nei disegnidei tappeti Bothè), mentre la correlazione tra mandorla e sesso femminile èesplicitata nella letteratura orientale.

Per i “Coralli” di Einaudi nel 2005 è uscito il lungo racconto eroticodell’autrice marocchina Nedjma dal titolo “La mandorla”.L’autrice considera l'educazione sentimentale e sessuale di una donnamarocchina che rieduca il proprio corpo all’amore; la mandorla è perl’appunto il nome del sesso femminile della protagonista. Fuggendo il mondomaschile in cui tutto è combinato e sottoposto al giogo della tradizione, chedel corpo femminile valuta verginità e capacità riproduttive, Nedjmariacquista il suo corpo, l’identità individuale e la libertà spirituale che derivadalla cognizione di tutte le parti del sé.2

2 Nedjma, La mandorla, Torino, Einaudi, 2005

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Introduzione

“Il raccolto si fa quando la drupe è aperta e la frutta bene asciugata si portanel magazzino.” 3

Scrive così il torittese Felice Scarangella nel suo “Armadietto agricolo”,raccolta di note teorico-pratico di agraria e zootecnia, datato 1933.

I 232 metri sul livello del mare del Comune di Toritto ne fanno un luogoperfetto per la diffusione della mandorlicoltura. Il comune, complice ilmicroclima (clima freddo e ventilato in inverno che ritarda la fioritura edevita le gelate primaverili dei germogli) e il terreno arido e roccioso (checostringe a potature annuali con la duplice funzione di ridurre laramificazione e mantenere fresca la pianta, oltre che rendere concentratol’assorbimento di quelle sostanza e che danno tipicità al frutto) fino alla metàdegli anni 70 deteneva il record di produzione di mandorle in Europa.

La mandorla è il seme di un albero che appartiene alla stessa famiglia delpesco (prunus amygdalus). originario della Persia e diffusosi in tutto ilmediterraneo, si presenta come una drupa verde, a forma ovoidale conendocarpo legnoso contenente uno o due semi oleosi commestibili, di saporedolce o amaro secondo la varietà.

Il mandorlo, pianta robusta che cresce anche su terreni poveri, pocoprofondi e aridi è nota non solo per i preziosi semi, ricchi in vitamine eproteine, ma anche per le foglie che costituiscono un ottimo mangime,apprezzato soprattutto dagli ovini. Inoltre, i malli e i gusci si prestano allaproduzione tradizionale di carbonella, così come le ceneri dei gusci, ricche dipotassio, sono un ottimo fertilizzante naturale.

I lavori di smallatura e le conseguenti fasi per ottenere il frutto seccohanno costituito per la comunità torittese, un ricco apparato di precisi ritualiper lo più celebrati nelle strade, complice il numero ridotto di autoveicoli.Negli scorsi anni, era lavoro prevalentemente femminile quello dellasmallatura che avveniva lungo il ciglio della strada o sui marciapiedi,complici le giornate miti e piacevoli di settembre. Su un piano sorretto dasedie, si svuotavano i sacchi di mandorle fresche ancora nei verdi malli e siprocedeva alla smallatura da parte di donne e bambini. Sui marciapiedi elungo interi pezzi di asfalto stradale si sistemavano lunghi teli (i panni) su suile mandorle venivano adagiate al sole. Per favorire e facilitare l’asciugatura sirivoltavano con la pratica dell’aratura. Si entrava con le scarpe nel tappeto dimandorle e si praticavano dei solchi. Quando i noccioli risuonavano nellebucce, e la resa era buona e si trovava un mediatore disposto a pagaredegnamente il prodotto, si continuava con la schiacciatura. Ancora le donne.Armate di aggeggi in ferro e di pile di pietra in cui si deponevano lemandorle, si procedeva alla schiacciatura a cui sarebbe seguita la fase dellaseparazione del nocciolo dalla buccia. Venduti i noccioli, restavano le scorze,ottime alleate dei focolari invernali.

L’automazione subentrata negli ultimi anni ha affidato alle macchine illavoro femminile, mentre l’asciugatura lungo le strade è diminuita di granlunga, tanto che il ricordo di queste vaste distese di mandorle è consegnatoalla memoria dei più adulti.Si deve all’operosità e allo spirito di iniziativa di alcuni agricoltori nell’800 leintroduzioni di alcuni varianti locali di mandorli: la “Antonio De Vito”, la

3 Felice Scarangella, Armadietto agricolo, Roma, Carlucci Editore, 1933, p. 59

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Genco e la “Filippo Cea” (di cui sopravvive la pianta “madre” in localitàMatine di Toritto).

Alla diffusione negli anni 80 e 90 della mandorla californiana, altamentepiù competitiva della mandorla pugliese, è subentrata la sempre più coscientevalorizzazione delle biodiversità che di recente ha riacceso l’attenzione sullevarietà locali. Il rilancio della mandorla Cea, supportata dai giovaniagricoltori che ne hanno riconosciuto la superiorità rispetto alle più produttivevarietà californiane, la nascita di associazioni nate per la tutela e il rilanciodella qualità Filippo Cea (un consorzio per la difesa è in corso dicostituzione), così come la promozione del prodotto e dei suoi impieghi ingastronomia in manifestazioni quali slow food, è suggello di un progetto diampio respiro.

La presenza di un Presidio Pugliese che si propone di sostenere questacomplessa attività culturale ed economica, avendo come obiettivo lasopravvivenza della mandorlicoltura tradizionale, è un ulteriore avallo diquanto detto. Dal Presidio Pugliese leggiamo che: “ La mandorla Filippo Cea, presentacaratteristiche di eccellenza: un alto contenuto in olio e acidi grassipolinsaturi, una bassissima acidità e una sapore intenso ma, allo stesso tempo,equilibrato, con note di burro finali. La spiccata pastosità la rende ideale perl’utilizzo in pasticceria.

La mandorla è tra i principali protagonisti della pasticceria pugliese sottoforma di Pasta Reale e “torte rosate” in particolare, ma è consumata anche alnaturale, da sgranocchiare semplicemente dopo una leggera tostatura che lapriva della buccia. Una delle modalità di consumo più frequente è caramellatasotto forma di “croccante”. A Toritto però, la tradizione è il latte di mandorlache qui si serve fresco con qualche chicco di riso.4

4 Presidi di Puglia:www.slowfoodpuglia.itmandorla%20toritto.htm

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Amigdala

Il progetto Amigdala, nasce nell’ambito del Master “Studi culturali,comunicazione e cultura visuale” della Facoltà di Scienze di Formazionedell’Università degli Studi di Bari. Nell’ambito del modulo di fotografia si è imposta in modo imperante ladimensione progettuale inerente la visione fotografica, la carica conoscitiva,interpretativa e concettuale di ogni singolo scatto.

La storia della fotografia è costellata di molteplici vite. Dalla dimensionedocumentaristica a dimensione etno-antropologica (si pensi a tutto ilmateriale incluso negli archivi Alinari in Italia) in Giappone Hamaya Hiroshi,in America è Dorothea Lange che si pone a capostipite del fotogiornalismo,attento ai destini umani, di cui sarà protagonista Robert Capa e i suoireportage di guerra. Alle sperimentazioni avanguardistiche di Lee Miller eMan Ray (in cui grande potere è affidato al ruolo creativo della camera oscuracol metodo della solarizzazione), o dei fotomontaggi di Laszlò Moholy-Nagyper cui si parla di fotoplastica. Alla ricerca dell’obiettivo come “occhioattivo” dell’uomo, capace di creare visioni e prospettive insolite, divergentida quelle della prospettiva classica, nell’ottica costruttivista di Rodcenko.Allo sguardo grottesco e collegato alla cinematografia americana degli anni50 di Cindy Sherman; a quello dissacrante, pungente, spietato e surreale, fattodi forti contrasti drammatici, sottolineati anche dall’alternarsi di luce e buio,sulla società newyorchese di Weeggee.5

A queste vite fotografiche qui appena accennate e per sommi capi, siaffianca il potenziale terapeutico delle foto, lo scrigno di ricordi strettamentepersonale che una più consapevole lettura ordina, scruta e utilizza in funzioneclinica.6

Sontang già negli anni 70 evidenziava il portato rivoluzionario delladiffusione della macchina da presa e il relativo utilizzo di massa, laconstatazione di un salto epocale in cui cade il pregiudizio platonico sulmondo imperfetto delle immagini contrapposto a quello delle verità reale, perfar risaltare un carattere di veridicità che equipara le immagini alla realtà.L’attendibilità e il consenso intorno al mondo della fotografia è attestatadall’uso che ne fanno gli organi preposti al controllo; conservando le fotonegli archivi e negli schedari, quali funzionali strumenti di controllo.7

La facilità con cui oggi si scattano foto da macchine digitali e da qualsiasidispositivo di telefonia mobile, rende la realtà facilmente registrabile ecancellabile, a portata di qualsiasi occhio esperto e non. Al potenzialecreativo della camera oscura subentra l’universo di manipolazione e diinvenzione di photoshop, alla grana della pellicola, i pixel digitali. Lafunzione dialogica della foto classica muta e si velocizza con il digitale,Donata Wenders, afferma che nel digitale si è presi dal risultato immediato equando si è soddisfatti dall’immagine del display, si passa oltre, rendendo piùepisodico e frammentario il rapporto con il soggetto fotografico.8

L’avvento della fotografia digitale che facilita, velocizza e diffondeampiamente la “fotografabilità”, ripropone il tema della perdita dell’aura, untema ottocentesco che Walter Benjamin formula in seguito alla diffusione

5 Fotografia del XX secolo, Museum Ludwig Colonia, Taschen, 20016 Berman, La fototerapia in psicologia clinica, Trento, Erickson, 19937 Susan Sontag in “Teorie della fotografia” Dizionario degli studi culturali, Roma,2004 Meltemi, pp.514-5158 Da un dialogo con Donata Wenders, Bari, 21/04/2005

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della prima macchina fotografica di facile uso da parte della Kodak, il temadella riproducibilità tecnica delle opere d’arte, è in realtà, ieri come oggi,indice del bisogno di nuove categorie estetiche, capaci di leggere una realtàmutata nella percezione e resa di tempi e spazi.

Amigdala si inserisce come conseguenza di queste riflessioni e letture,

quale percorso amatoriale che inizia a riflettere sulla valenza euristica delloscatto fotografico. Nasce da una visione progettuale a più obiettivi: rendere ilcarico simbolico ed evocativo dell’universo delle mandorle, divergendo dalladimensione documentaristica ed etnografica delle tradizioni popolari;coinvolgere altri sguardi, portarli a guardare lo stesso soggetto, al fine direalizzare un lavoro collettivo, in cui le prospettive, le tecniche e leprospettive possano dialogare e interrogarsi reciprocamente. Tacere la parola,consegnarsi al mondo della immagine e ancor di più a quello dellaintermittenza del senso, della ottusa significanza che è sempre rapporto diunico a unico.9

Di ogni autore si propongono 10 scatti e un breve commento nato daldialogo continuo mantenuto durante le varie fasi del progetto.Le foto a colori sono in formato 20x30 stampate su carta opaca e scattate conmacchina digitale. Le foto in bianco e nero sono stampate su Pellicola ILFORD DELTA 3200-Stampa 24x30 su carta ILFORD MULTIGRADE FB IV.

9 Roland Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi, 1982

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Sostanza Teresa Piccinninno, webgraficdesign.

Teresa Piccininno usa la macchina fotografica come un martello. Se nella iconografia classica il guscio della mandorla rappresenta

l’apparente, l’ingannevole, ma anche il guscio che protegge il nocciolo dellasacralità, Teresa è allora una iconoclasta. La sua mandorla cerca la rottura e ilrapporto con il corpo senza mediazioni di alcun tipo.

E in questo rapporto cerca il ritmo dinamico della sequenza e allude almovimento di un video.La sequenza del piede scalzo che schiaccia senza il ricorso di scarpa ecalzino, ricorda le vecchie e terribili punizioni scolastiche delle ginocchiasulle scorze puntute. Ma si allontana immediatamente da qualsiasi riferimentotradizionale. Stride questa nudità a confronto del legno insidioso dellamandorla e diventa una nudità più nuda.

La sequenza di facce e di bocche e di denti che tentano di schiacciare lamandorla costituiscono il racconto di un dolore passeggero a cui segue ilpiacere di gustare il frutto di cui l’autrice ci esclude per scelta la visione.

Ancora più netto è il distacco dalla tradizione nella foto della mandorla inbicchiere d’acqua. Nell’uso comune, la mandorla deve proteggersidall’umidità, deve conservare la sua secchezza, acquisire la consistenza durache la farà risuonare nel legno della buccia, piccola maracas di Puglia. Ragionper cui, violenti e sacrileghi sono gli acquazzoni che in estate proromponosulle distese di mandorle stese al sole. Si bestemmiano le nubi traditrici, sicorre al riparo, è tutto un andirivieni di secchi e di sacchi e di braccia.

Teresa decide di lasciare in ammollo la mandorla e ci permette una visioneinsolita, di paradosso che si avvera. La rivincita delle nubi e dell’acqua cherestituiscono forza al frutto, il quale si affranca da qualsiasistrumentalizzazione umana e si afferma quale mandorla in acqua.

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AttesaFranca Cicirelli (insegnante di lettere)

L’autrice del presente lavoro, è alle prese con il suo primo progettofotografico. La sua Reflex Yashica FX-3 Super acquistata diversi anni orsono, si è sempre soffermata allo scatto di un ritratto isolato e non ha maicoltivato l’idea di un soggetto da seguire nel tempo. Neppure ha maiseguito i suoi scatti in camera oscura prima di mettere mano a questolavoro.

Le mandorle di seguito presentate, seppure rapportate ai supporti chele ospitano, che le contengono, le afferrano per schiacciarle, oggetti dellatradizione contadina, sono mandorle in cerca di liberazione. Unmutamento che si impone all’orizzonte visivo e che ne cerca il riscatto eil gioco. All’ordine sicuro degli oggetti della tradizione che in una foto èreso dalla nitidezza dell’immagine, dalla precisa dislocazione, dal rigoreconoscitivo con cui si accostano gli elementi del reale, si oppone invecela sfocatura, il disordine del contorno incerto. Così in alcune foto,seguiamo il disfacimento dei contenitori, oggetti indefiniti e per questomeno contenitori, e la liberazione di una sola o di un piccolo gruppo dimandorle. Si cerca così anche di tessere il racconto dell’attesa di unaliberazione, della liberazione dell’orizzonte visivo dallo stereotipo dellatradizione contadina. L’accostamento delle foto in mini sequenze, laproposta di alcune foto pendant si inseriscono nella piccola strutturanarrativa che si vuole proporre.

Contenitori sfuocati. La texture delle mani anziane che le trattengono,e da cui poi guizzano. Quelle più giovani che le liberano dai malli. Cosìla primordiale pietra cava, architettura primitiva e semplicemente perfettaper la funzione affidata, che le trattiene e ne facilita la schiacciatura.

Mandorle. Il secchio che le ha sul fondo, si bea dell’ombra lunga e sisdoppia. Tra le dita sono tenute ferme col martello premuto contro e lasedia (che condensa così tante immagini di sud), che fa da base allaschiacciatura. In bilico. Vince la mandorla che sfida la mano, il martello ela sedia (la tradizione) e si pone sullo schienale, in equilibrio precario,attestando la propria identità separata. Una sfida che nella precarietà einstabilità acquisisce il senso del ludico.

In cerchio. Senza nessuna funzione rispondente a un uso pratico, per ilpuro disegno, richiamando i disegni dei marmi e dei tappeti in cui lamandorla spesso è protagonista assoluta.

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MetamorfosiGiulio Castellani, architetto.

Lo sguardo di Giulio Castellani è uno sguardo urbano rivolto a una, due,tre mandorle. Lì dove la consuetudine contadina considera il mucchio, ilsacco, la distesa indistinta, Giulio sceglie tre protagoniste assolute, tre primedonne. Vuota lo spazio intorno che diventa bianco o nero, i due non colori,capaci di assorbire e riflettere.Da questi sfondi, le sue mandorle parlano la lingua sconosciuta dei pianetiinviolati. Crateri, crepe, fenditure, squarci, rotture. Cicatrici senza guarigioni.Una, due, tre e viceversa.

L’autore, fortemente attratto dalla soggettività del frutto, ne segue la vitasegreta, misteriosa e affascinante della texture.

Dalle mandorle ancora contenute nei malli grigioverdi coglie la peluria,l’avanzamento della muffa, la punta di arancio ruggine che spunta sul verde,la metamorfosi che avviene sempre quando la vita si aggiunge alla vita. Vitaindipendente. Vita parassitaria.

Dalle mandorle ripulite il calore del legno sottile. Pelle viva. Pellesensuale.

Mandorla vergine che mantiene il segreto inviolabile del nocciolo.Mandorla che accenna nelle sue linee principali alla fenditura, alla doppiavita, alla simmetria del mondo parallelo del fuori che accenna a un dentrointoccabile.

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Scheda Tecnica foto Giulio Castellani NIKON d70Tipo:reflex, obiettivi intercambiabili

Sensore:CCD da 6,10 MP effettivi

Dimensioni sensore:23,70 x 15,60mm

Fattore di moltiplicazione:1,50x

Monitor:TFT di 1,80 pollici

Obiettivo utilizzato per foto mandorle:Nikon 18-70 mm f3.5-4.5 DX G AF-S

sensibilità utilizzata:ISO 200

Modo di misurazione utilizzato:spot e multi-zona

modo colore:Ia (sRGB)

bilanciamento del bianco:8000 °K

FOTO MANDORLE (settembre 2005):DSC_0001.tiflunghezza focale 70mm - 1/160 sec - F/6.3

DSC_0002.tiflunghezza focale 70mm - 1/160 sec - F/6.3

DSC_0003.tiflunghezza focale 35mm - 1/60 sec - F/10

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Le foto sono state scattate in formato JPEG (8-bit) senza l'ausilio di luce artificiale, corrette eritagliate con Adobe Photoshop e trasformate in formato TIFF.

La dimensione originale dei file è di 3008 x 2000.

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Indice bibliografico

Barthes R., L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi, 1982Berman, La fototerapia in psicologia clinica, Trento, Erickson, 1993Fotografia del XX secolo,(autori vari) Museum Ludwig Colonia, Taschen, 2001Hichs R., Schultz F., Fotografia di oggetti, Graphia, Milano, 1998Nedjma, La mandorla, Torino, Einaudi, 2005Presidi di Puglia:www.slowfoodpuglia.itmandorla%20toritto.htmResponsabili del Presidio Pasquale Porcelli, tel. 0833 563282 - 335 6544642 [email protected] D’Urso, tel. 080 5617833 – 349 4374955 [email protected] Ovidio Nasone, “Heroides”,Rebuzzini M., “Guida alla fotografia in studio”, Editrice Reflex, 1996Scarangella, F., Armadietto agricolo, Roma, Carlucci Editore, 1933Sontag, S., in “Teorie della fotografia” Dizionario degli studi culturali, Roma,Meltemi, 2004

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