AM&D_ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA. Vegetali americani nell’alimentazione sarda

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cinque piante americane, patate, fichidindia, fagioli, mais e pomodori, hanno rivoluzionato, in cinquecento anni, i sistemi agro-alimentari europei. Questo libro ricostruisce i percorsi storici, geo-grafici e gastronomici delle piante americane in Sardegna, un fenomeno di globalizzazione ante litteram

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“ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA.

Vegetali americani nell’alimentazione sarda”

di ALESSANDRA GUIGONI

Formato: 15,5 x 21 cm

Anno: 2009

Edizione: 1ª

Pagine: pp. 432

Prezzo: € 30,00

Peso: 630 g

ISBN: 978-88-95462-24-0In copertina: Il frutto esotico, tempera su carta

di Tarquinio Sini (1927-1930), particolare

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INDICE

Nota introduttiva p. 11

Ringraziamenti 22

CAPITOLO I«Le piante coltivate non smettono di viaggiare e dirivoluzionare la vita degli uomini» (F. Braudel) 25

La scoperta di se stessi attraverso la categoria di “selvaggio” 27

«Le piante coltivate non smettono di viaggiaree di rivoluzionare la vita degli uomini» (F. Braudel) 28

Piante americane in cifre 29

Lo scambio colombiano 32

1492: inizia l’era planetaria 34

Wolf, la storia e il gioco del biliardo 35

«Il più sconvolgente fenomeno di diffusione» (M. Pavanello) 37

L’invenzione della tradizione: la dieta mediterranea 39

Sincretismi 40

Cucine antiche? 45

Una parentesi: le vertigini dei napoletani, Linton e l’americano medio 46

L’identità viene mangiando? 49

Linguaggio dei segni e linguaggio del cibo 53

«Chi pensa di lanciare un nuovo cibo è consapevoledi atteggiamenti fortemente difensivi» (M. Douglas) 54

In Sardegna 57

Sardegna, Italia, Europa, o della servitù del pane 59

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Il brodo indiano e altre cose 61

La storia sociale della patata: un soggetto (ancora) in cerca d’autore 63

Cucine popolari e haute cuisine 68

Gli orti, le donne, le piante americane 71

L’orto trascurato? 75

CAPITOLO IIIl sistema alimentare europeo “prima” della scopertadell’America 78

Sistemi alimentari, cultura e società 78

Alle radici del “giardino”: un luogo chiuso, lavoro della mano 85

Quando gli indoeuropei impararono a bere vino 86

Quando la triade braudeliana diventò finalmente europea 90

Nel Medioevo 95

Un “exemplum” di concezione culinaria medievale:il registro di Johannes Bockenheym, cuoco di papa Martino V 100

In Sardegna 102

CAPITOLO IIIDopo il 1492: nuove piante si diffondonoin Europa 111

Dal Nuovo Mondo 111

Gli uomini di mais delle Indie di laggiù 113

Sulle Ande le patate misurano persino il tempo 115

Del ficodindia, o della fondazione della capitale di Tenochtitlan 116

Il cibo degli dei: acqua amara 117

Jean Nicot 118

Del pomodoro e d’altre piante 120

Fagioli per i defunti 121

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Al cuore dell’Europa: nei dialetti e nelle lingue 122

“Vegetariani” per forza 132

In Europa; alcuni casi di studio sul mais 137

Il mais non migliorò l’alimentazione contadina 139

La vera rivoluzione sarebbe stata carne per tutti… 141

Il mais nell’area napoletana e vesuviana 143

Il mais in Meridione 147

Della patata 148

Il caso irlandese e inglese 150

Fame o patate? 155

Le patate in Liguria e il recupero delle varietà locali 158

Del pomodoro 160

Napoli 162

Il colore del cibo o del rosso pomodoro 164

Del peperoncino 165

Il peperoncino in Calabria, o l’aroma della calabresità 168

Dei fagioli 171

Del ficodindia 175

In Sardegna: uno sguardo generale 177

CAPITOLO IVPatate 185

«Utili non solo per nutrimento dell’uomo, ma eziandioper ingrassare ogni genere di bestiame sono le Patate» (G. Cossu) 187

«Se i nostri contadini fossero più accorti nel ricercarei veri loro interessi …» (E. Muscas) 189

«Le patate … cominciasi a ben gustare da tutti» (V. Angius, G. Casalis) 190

«Le patate non si amano» (V. Angius, G. Casalis) 193

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«Una buona parte del pubblico vi si è diggià assuefatto. La fameè la migliore maestra per avvezzarvi il resto» (Reale società agraria) 194

«Ha qualche estensione, secondo il paese, la coltivazionedelle patate» (F. Salaris) 199

Nel Novecento: patate “locali” e patate “globali” 205

Concezioni e pratiche 210

CAPITOLO VFichidindia 239

«I fichi moreschi sono così confacenti al gusto dei Sardi …i quali amano tutte le cose dolci …» (G. Fuos) 239

«Ma tacer non poss’io la pianta amicaChe tanto giova, e insiem non vuol fatica» (D. Simon) 241

Le siepi di ficodindia, funzionali al rifiorimento di Sardegna 243

«Vi vuol un’arte per prenderli senza pungersi …» (F. d’Austria-Este) 244

«Vegetano con lusso meraviglioso …» (V. Angius-G. Casalis) 247

«Il fico moresco è quella pianta non più esoticama già resa indigena» (P. Pes) 249

«Il verde livido del fico d’India sparso nella campagnain proporzioni vastissime …» (F. Salaris) 252

Il Catasto del 1929: qualche osservazione preliminare 254

Concezioni e pratiche 256

Un esempio di sfruttamento dei piani ecologici verticali in Sardegna 271

CAPITOLO VI

Fagioli 275

«I fagioli li conoscono in Sardegna di tre spezie, cioè: i fagioli morischi,di Barbaria, più grossi e quelli appellati cornuti» (Manca dell’Arca) 275

Concezioni e pratiche 283

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CAPITOLO VII

Mais 292

Dove la spiga è regina 292

«Il sardo ama mangiare molto pane, e solo panebianchissimo di frumento» (F. d’Austria Este) 293

Dimenticare la miseria, dimenticando il mais… 295

«Benché i Sardi lo conoscano, si semina in tanta poca quantità,che serve più per vivanda e diletto de’ forestieri,che per comune utilità» (A. Manca dell’Arca) 300

«Della farina si fa la pulenta, cibo grato a molti, e la povera gentela mangia cotta in pane» (A. Manca dell’Arca) 301

«Ne ho visti spesso di campi che promettevanoi più bei raccolti …» (A.F. Della Marmora) 302

«Si fa del pane dal granone‚ e alcuni ne fanno pure delle paste‚che ad essi paiono ottime» (V. Angius, G. Casalis) 305

Dalle Regie Patenti all’inchiesta d’Ugo Pellis 309

Concezioni e pratiche 314

CAPITOLO VIII

pomodori 329

Una pianta “esemplare” 329

«Si coltiva […] quantità prodigiosa di meloni e sindriae un altro frutto denominato tomate» (A. Manca dell’Arca) 332

«Corretti con olio e pepe sono ottimi nei giorni di magroe ben accomodati si mischiano eziandio con vivandedi carne» (A. Manca dell’Arca) 333

«Essendo il sugo de’ medesimi assai grato ne’ maccheroni,che tanto piacciono alla media e bassa classe» (V. Angius, G. Casalis) 335

«Zucche del convento e pomidoro …»(Libro di dispensa dei Servi di Maria di Cuglieri) 336

Negli anni Trenta, dalla monografia della Cao Pinna al saggio di Sirotti 337

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Concezioni e pratiche 340

Raccolta e conservazione 347

Quattro (po)mo(do)ri bendati 350

Nota conclusiva 352

APPENDICE

Instruzione di Giuseppe Cossu 366

Instruzioni di Giuseppe Cossu 367

Schede dell’Atlante Linguistico Italiano (ali) 373

Citazioni dal “Dizionario” di Vittorio Angius e GoffredoCasalis, per provincia e nell’ordine alfabetico delle località 395

Provincia di Oristano 395Provincia di Nuoro 397Provincia di Cagliari 399Provincia di Sassari 401

Bibliografia 403

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TITOLO 9NOTA INTRODUTTIVA

La scoperta della molteplicità dei mondi, delle culture, delle credenzereligiose e dei sistemi di valori, lo scontro-incontro con le civiltà “altre”,costituiscono gli elementi distintivi dell’epoca moderna, iniziata con la sco-perta delle Americhe. Eugenio Garin ha affermato che, come in un gioco dispecchi, è l’anima stessa dell’Europa a riflettersi nelle immagini che gli Eu-ropei si fanno dei popoli amerindiani, e dei loro prodotti culturali, materialie spirituali che siano. In quelle immagini, aggiunge, «si esprime così la buo-na come la cattiva coscienza degli Europei» (Garin 1990: 330).

Tra i prodotti giunti in Europa vi sono molte piante (e qualche ani-male) che vengono incorporate nei sistemi agro-alimentari locali, con esitivari e diversificati, secondo processi lunghi di secoli o brevi d’anni, e risultatiduraturi od effimeri.

Questa ricerca ha per oggetto gli elementi distintivi e le qualità speci-fiche dell’incorporazione d’alcune piante alimentari d’origine americana nelsistema agro-alimentare sardo. Gli studi sul cosiddetto scambio colombiano(Columbian exchange), ossia l’analisi dell’introduzione d’animali e piantecondotti dal Nuovo Mondo nel Vecchio e viceversa, non sono ancora mol-tissimi, nonostante l’indubbia importanza di questo campo di ricerca.

Nelle conclusioni di un importante volume edito da Richard Sca-glion e Leonard Plotnicov nel 1999, risultato di una sessione del convegnoannuale dell’American Anthropological Association del 1998 e interamentededicato al destino d’alcune piante introdotte dal Nuovo nel Vecchio Mon-do (e all’inverso), l’antropologo statunitense Sidney Mintz rilanciava l’ideadi un maggiore sviluppo di studi di questo tipo incrociando tre ambiti diricerca: i cosiddetti Food studies, i Consumption studies e infine lo studio dellastoria della diffusione delle piante e dei processi agro-alimentari (Mintz1999: 136).

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10 Alessandra Guigoni

Ancora Mintz ha offerto, in più riprese, una definizione di scambiocolombiano che mette bene in luce le problematiche inerenti all’accettazio-ne o alla resistenza a questi nuovi alimenti:

The Columbian exchange involved a trading of these species, overtime, often with much difficulty, from continent to continent, acrosswide oceans. Each such diffusion meant that people learned to expe-riment with, eat, and appreciate new foods that differed in appearance,colour, texture and taste, and nutritive and other advantages from thefoods they already knew. Sometimes they became quite dependenton them (Mintz 1998: 99-100).

Tra i testi che rappresentano lo stato dell’arte degli studi sullo scam-bio colombiano, di cui tratteremo più diffusamente nel primo capitolo dellatesi, spiccano lo studio pionieristico di Redcliffe Salaman sulle patate, l’an-cora insuperata opera di Alfred Crosby sullo scambio colombiano in toto, einfine alcuni lavori piuttosto recenti, collocabili quasi tutti negli anni ’80 e’90, con un picco intorno al cinquecentenario della scoperta dell’America.

Tra essi spicca un articolo dell’antropologo Stanley Brandes (che nelvolume di Plotnicov e Scaglion si è occupato di presentare l’incorporazionedi patate e pomodori nelle coscienze europee) pubblicato sulla rivista Ethno-logy, incentrato su di un argomento che era talmente manifesto da risultareinvisibile: il “mistero”, per usare sue parole, della resistenza alla coltivazionedel mais da parte degli Europei, a parte alcune circostanziate eccezioni.

In Italia lo stato degli studi non è confortante. Tuttavia nell’ultimodecennio alcune monografie (Mantelli 1994; Teti 1995; Angelini 2001;Esposito-Russo-Vitagliano Stendardo 2002) hanno dato impulso aquesto genere di ricerche; anche su esse ci soffermeremo nel terzo capitolo,quando tratteremo dell’innovazione prodotta dalle piante americane inEuropa, ed esamineremo alcuni casi di studio specifici.

Studiare fattori e processi d’introduzione delle piante americane in unadata area culturale significa verificare ipotesi riguardanti in generale il carat-tere dei sistemi agro-alimentari, i modi e i tempi con cui resistono ai cambia-menti o sono soggetti alle innovazioni e alle rivoluzioni determinate dall’in-corporazione di nuove specie vegetali o animali.

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ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA - Nota introduttiva 11

Ciò che ci ha anche condotti a occuparci dell’incorporazione di que-ste piante nel sistema agro-alimentare sardo è dunque la convinzione che ilcibo – come vedremo nel primo e nel secondo capitolo – sia un fatto socialetotale e, come ha affermato Claude Lévi-Strauss, una sorta di passe-partout pri-vilegiato per la comprensione delle culture, poiché ne traduce inconsciamentela struttura:

Si può così sperare di scoprire, per ogni caso particolare, come la cucinadi una società costituisca un linguaggio nel quale questa società tra-duca inconsciamente la propria struttura, o addirittura rivela, sem-pre senza saperlo, le proprie contraddizioni (Lévi-Strauss 1999: 445).

Il cibo è per l’attore sociale un significativo mezzo d’espressione peresprimere tout-court, attraverso gusti e disgusti, la propria identità; le prefe-renze alimentari sono significativamente legate a meccanismi di autoidenti-ficazione sociale, culturale, etnica:

Genti che mangiano cibi fondamentalmente diversi o anche simili, main modo diverso, sono considerate fondamentalmente diverse, qualchevolta addirittura al di fuori dell’umano consesso (Mintz 1990: 3).

Per il ricercatore il sistema alimentare di un dato gruppo sociale è diconseguenza un oggetto privilegiato per comprenderne la cultura, specieattraverso lo studio dei processi di mutamento di tale sistema, attraverso i qualisi possono cogliere elementi basilari delle mentalità collettive che in tale si-stema si riconoscono.

Infatti cambiamenti, ibridazioni, revival delle “cucine” sono un og-getto di ricerca particolarmente pregnante perché in questo caso (ma non solo)il cibo racconta la Storia, come rileva l’antropologa Susan Tax Freeman (chesi è, tra l’altro, occupata dell’incorporazione del peperoncino nelle cucine delVecchio Mondo):

Historical changes in cuisines tell stories. These can be changes in theinventory of foodstuff (such as massive changes that ensued when theOld and the New World met) or changes in the composition of dishes,in style of cooking and attitudes toward food(s), in culinary fashions.The stories these changes tell are, of course, cultures’ tales about them-selves (Tax Freeman 1999: 75-76).

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12 Alessandra Guigoni

La nostra ricerca si sofferma su fattori e processi di diffusione d’alcu-ne piante americane di carattere alimentare in Sardegna, in particolare difagioli, fichidindia, mais, patate e pomodori.

La scelta di queste piante è motivata innanzitutto dalla loro natura dipiante alimentari, il cui dominio desideravamo esplorare; in secondo luogo dalladiscreta diffusione che hanno avuto (e in taluni casi hanno ancora) nel sistemaagro-alimentare sardo, contrariamente ad altri vegetali come cucurbitacee epeperoni (sui quali è stata redatta una breve nota), la cui frammentarietà delleinformazioni rendeva impossibile una trattazione organicamente strutturata.

Il tema nel panorama antropologico italiano è piuttosto originale eperciò ha comportato una grande mole di lavoro sia nella ricognizione sto-rico-archivistica (molti dei documenti consultati erano inediti) sia nella ri-cerca etnografica, dove l’ampiezza della finestra d’investigazione, ha richie-sto indagini e interviste (anche a campione) in numerosi paesi, in rappresen-tanza di aree valutate come esemplari nella ricostruzione delle dinamiche diacculturazione che ci siamo proposti di trattare.

L’indagine storico-archivistica è stata condotta a partire dal 1998; quellaetnografica in una fase successiva, in diverse aree dell’isola, attraverso l’osser-vazione partecipante e interviste discorsive1.

Sono stati presi in considerazione sia i fenomeni legati alla produzio-ne sia quelli legati al consumo e, in modo conciso, ad altri utilizzi, conside-randoli intimamente connessi.

La ricerca è stata condotta anche incrociando, ove possibile, i datiesperiti durante l’indagine storico-archivistica e le informazioni offerte daitestimoni intervistati.

Inoltre abbiamo cercato di delineare brevemente gli aspetti linguisti-ci, facendo ricorso sia alle schede d’Ugo Pellis, conservate all’Istituto dell’At-lante Linguistico Italiano (ALI) di Torino, sia alle carte onomasiologichedell’Atlante Italo-Svizzero, e naturalmente al Dizionario Etimologico Sardo diM. Leopold Wagner.

1 Intendiamo con quest’espressione sia l’intervista informale sia quella formale,utilizzate dall’etnografo a seconda dell’opportunità del momento (cfr. Cardano 1999: 71-72).

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ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA - Nota introduttiva 13

Dall’indagine è emerso un quadro del sistema agro-alimentare non dis-simile da quello d’altre regioni italiane (specie dell’area centro-meridionale), anchese il terreno sardo presenta diverse peculiarità, date dall’insularità, dalla speci-ficità delle sue vicende storiche, e da alcuni tratti culturali particolari e distintivi.

È anche emersa in più di un caso una sostanziale continuità tra saperiagro-alimentari settecenteschi ricavati dalle fonti, e quelli primo novecente-schi, in alcuni casi sopravvissuti, seppure con alcuni innegabili cambiamen-ti, sino ai giorni nostri: potremmo definirli anch’essi fenomeni «di lunga du-rata», visto che coprono quasi tre secoli di storia.

La ricostruzione puntuale di fattori, momenti, e andamenti dell’in-corporazione delle «nostre piante» nel sistema agro-alimentare sardo, inqua-drato in una più ampia cornice europea, è la finalità principale del saggio, in-sieme alla riflessione sul processo d’acculturazione di tali piante nelle men-talità europee, prima ancora che nei campi e nei piatti.

È anche stato perseguito l’obiettivo di esplorare il contesto attuale, sep-pur per sommi capi, abbozzando alcune questioni che ci sono sembrate par-ticolarmente suggestive, e che ci proponiamo di riprendere e ampliare ade-guatamente in ricerche future.

Tra questi spunti possiamo collocare la questione della scomparsa dellevarietà locali ancor più che degli stili alimentari e delle tecniche di produzio-ne “tradizionali”, e l’invisibilità di tale processo, o meglio il disinteresse po-litico-istituzionale a livello prettamente locale (ma non solo). Un esempioevidente è rappresentato dal ficodindia, pianta ampiamente trascurata puressendo considerata dalla FAO (e da altre organizzazioni) molto interessantee promettente dal punto di vista economico.

Un altro argomento che merita di essere sviluppato è costituito dal-l’attuale dibattito sulla patrimonializzazione di alcune di queste piante, at-traverso il conferimento di certificazioni europee quali IGT e IGP, condottodagli agricoltori, spesso riuniti in cooperative, sotto l’egida della RegioneAutonoma della Sardegna, cui si farà accenno.

Infine vi è il tema della “valorizzazione” di alcuni di questi vegetali edei loro prodotti derivati, attraverso sagre, feste, media tradizionali e nuovi(come Internet), promozione che è vista come mezzo d’espressione d’iden-tità e memoria culturale, ma anche come attrazione turistica.

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14 Alessandra Guigoni

Lo studio etnografico ha comportato la scelta d’alcune aree da noiritenute esemplari per la diffusione di queste piante, selezionate sulla base deirisultati della ricerca storico-archivistica e, naturalmente, della letteraturaantropologica esistente (si vedano per esempio Angioni 1976; Da Re 1990;Murru Corriga 1990). All’interno delle singole aree sono stati scelti alcunipaesi che, sembravano essere promettenti per la coltivazione e l’uso alimen-tare di alcune di queste piante.

Le interviste condotte tra il 2002 e il 2003, una settantina circa, han-no riguardato persone d’età compresa tra i 50 e i 92 anni, nella maggior partedei casi residenti in comunità rurali di piccole e medie dimensioni o, in ognimodo, provenienti da località individuate come basilari per recuperare in-formazioni sugli argomenti della nostra ricerca. La registrazione di concezionie pratiche agro-alimentari, lungi dall’essere fine a stessa, è stata uno strumentoper valutare quantitativamente e qualitativamente la portata dell’incorpora-zione di ciascuna di tali piante nel sistema agro-alimentare isolano. Nel sag-gio sono ospitati ampi stralci delle interviste, nel tentativo di rendere il testoil più dialogi-co possibile, e mimare così attraverso la scrittura etnografical’esperienza dell’autrice sul campo2.

Aree della ricerca sul campo

Le principali aree prese in esame sono state, da sud a nord: il Campi-dano di Cagliari, il Campidano di Oristano, la Barbagia e l’Ogliastra.

È inoltre stato preso in considerazione il Sulcis, dove è stata studiatal’area di Teulada ed è stata condotta un’intervista a campione a Santadi: sitratta di una zona caratterizzata dall’insediamento sparso (o habitat disperso)

2 Per questo motivo i brani desunti dalle interviste sono riportati nel corpo del testo,e non in appendice, e semplicemente segnalati attraverso l’apertura e la chiusura delle virgo-lette. Le nostre parole sono riportate in corsivo, mentre eventuali considerazioni teoriche,traduzioni di termini sardi e note osservative sono poste in parentesi quadra. Anche i terminiin vernacolo sono stati resi in corsivo, trascritti il più fedelmente possibile, generalmente sen-za utilizzare simboli fonetici particolari se non talvolta la k per rendere ch o c gutturale seguendovia via la grafia più usata nei documenti consultati.

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ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA - Nota introduttiva 15

e dalla preponderanza nel sistema agro-alimentare di pomodori e patate,coltivati nei terreni chiusi (kongiau e/o kongiadeddu) e fichidindia.

Il geografo Maurice Le Lannou ha descritto negli anni Trenta la strut-tura socio-economica della regione, caratterizzata dalla presenza d’aggregatidi case rurali, da cinque a quindici (furriadroxiu), dalla coltivazione di gra-no, dalla pastorizia, dalla presenza d’ampi pascoli permanenti e zone cespu-gliose, luogo di raccolta di lentisco, per l’olio, e di fichidindia, e dalla presen-za di terreni chiusi, di varia tipologia, coltivati per l’autoconsumo e per unamodesta vendita.

Nel Campidano di Cagliari sono state condotte diverse interviste, aElmas, Assemini, San Sperate. È una zona pianeggiante, ricca di pozzi e operedi canalizzazione delle acque dei fiumi Cixerri, Mannu e Cannas, storicamentericca d’orti familiari e industriali per l’approvvigionamento cittadino, dovela coltivazione di pomodori e l’essiccazione domestica sono una consuetudi-ne che non è andata perduta, così come la raccolta dei fichidindia.

Crediamo che le parole di Osvaldo Baldacci, autore di un importantesaggio sulla casa rurale in Sardegna negli anni Cinquanta, delinei bene lecaratteristiche di questa porzione di Campidano, rispetto ai Campidani cen-trali, votati alla cerealicoltura:

Nei campidani centrali prevale la cerealicoltura a carattere estensivoe la pastorizia nei periodo di riposo, mentre nel meridionale sono piùsviluppate l’orticoltura e la viticoltura […] Nella zona cerealicola lapopolazione si raggruppa in pochi e grossi centri abitati […] invecenel Campidano di Cagliari, l’orticoltura tende a fissare il contadinopresso la propria terra, e da vari anni si osserva un crescendo sponta-neo sempre più intenso e diffuso di case sparse. Nei Campidani cen-trali […] si sente ancora viva l’influenza della dimora dei Campidanisettentrionali […] non è raro riscontrare una corte retrostante, «saprazzisgedda» adibita principalmente a orto, ombreggiato da qualchealbero fruttifero (melograno, limone, fico) […] Tutte le strade cheirradiano da Cagliari verso le assolate pianure dei Campidani, sonoinvariabilmente fiancheggiate da fitte siepi di opunzie. A destra e asinistra queste barriere proseguono rettilinee per delimitare i confinidelle singole proprietà e delle differenti colture, che sono prevalente-mente vitate verso nord ed est, e prevalentemente orticole verso nord.

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16 Alessandra Guigoni

L’irrigazione degli orti è effettuata con la noria, su mobinu che attin-ge alla falda freatica profonda circa sei metri […] la zona orticola nonmanca di dimore con loggiato antistante utilizzato per una rapidamanipolazione dei prodotti che devono essere immessi nel mercato(Baldacci 1952: 77 e ss.).

Le Lannou ha descritto piuttosto poeticamente le caratteristiche diquesta zona, ancor oggi ricca d’orti industriali (carciofi, pomodori) e serre diortaggi, dove si producono soprattutto primizie e di fiori:

Su quasi trecento ettari, i piccoli appezzamenti ortivi si toccano, rac-chiudendo tra loro pochi terreni a grano. Producono i legumi piùdiversi, carciofi, pomodori, cavolfiori, patate, cipolle, finocchi, seda-no, lattughe, prezzemolo, spinaci, fagiolini, piselli, zucchine, pepe-roni, bietole, cavoli, melanzane, ravanelli: e la lista non è completa.Nessuna specializzazione. È un mosaico meraviglioso di piane deli-cate, in colture principali, intercalari o marginali […] si può rilevareuna certa prevalenza di carciofi e di pomodori (Le Lannou 1979: 249).

Nel Campidano d’Oristano le interviste si sono concentrate a Zeddia-ni, un piccolo paese a pochi chilometri dalla città e non lontano dal fiumeTirso, centro di produzione industriale di pomodori sin dai primi anni delNovecento. Zeddiani rappresenta bene l’area nel suo complesso; qui l’attivi-tà agricola – cerealicoltura, viticoltura e agricoltura specializzata (ortaggi,frutta) – è un punto fermo dell’economia locale.

La regione dei Campidani settentrionali è descritta da Osvaldo Bal-dacci in questi termini:

Immediatamente prima che l’assolata e ventosa pianura dei Campi-dani si articoli nelle ondulate pendici del M. Ferru, il paesaggio sianima di verdeggianti colture e di numerosi piccoli centri abitati. Ilbasso corso del Tirso, torbido e divagante durante le piene improv-vise, per quanto è benefico ed accogliente nei lunghi periodi di nor-malità, è il cuore della regione […] Fitte siepi di opunzie dividonocolture orticole particolarmente redditizie; prosperi vigneti (produ-zione di vernaccia) e pingui seminativi… (Baldacci 1952: 65).

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ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA - Nota introduttiva 17

È stata studiata la Barbagia d’Ollolai, attraverso un soggiorno a Ga-voi, e alcune visite e interviste a Fonni e paesi limitrofi; è un’area montagno-sa, alle falde settentrionali dei monti del Gennargentu; essendo per anticatradizione pastorale, erano soprattutto le donne a dedicarsi all’orticoltura enello specifico alla coltivazione di patate e fagioli3.

Giannetta Murru Corriga ha parlato, a proposito del territorio di Fonni(ma considerazioni analoghe valgono per Gavoi, Ollolai, e i paesi limitrofi),di «campagna ricca e lavorata»; essa forniva sussistenza soprattutto con lacerealicoltura e l’orticoltura, di cui patate e fagioli erano i primi prodotti.

La scarsità di terra agricola nelle zone di montagna ha spinto verso laspecializzazione pastorale, attività maschile, combinata con l’orticoltura,prevalentemente femminile, e con la cerealicoltura, cui le donne non si sot-traevano. Murru Corriga per Fonni (ma il discorso si può estendere agli altripaesi della Barbagia d’Ollolai, e all’Ogliastra) ha sottolineato l’importanzadell’orticoltura, che non è venuta meno fino ai giorni nostri.

Praticata… in tutto il territorio, laddove vi fosse un fiume o anchesolo una sorgente, la coltivazione degli orti aveva in modo particola-re richiesto l’elaborazione di una rigida regolamentazione dell’acces-so all’acqua… l’orto infatti era posseduto dalla quasi totalità dellefamiglie, e solo pochi mìsseros (miserabili) non possedevano almenoquesta risorsa (Murru Corriga 1988: 192).

Anche Benedetto Caltagirone ha parlato di «montagna coltivata» a taleproposito, intendendo l’intenso sfruttamento dei terreni barbaricini, colti-vati, dove possibile, a grano e orzo, o a patate e fagioli (Caltagirone 1988).

3 Così presenta la regione della Barbagia d’Ollolai Osvaldo Baldacci: «La base eco-nomica di tutta la zona è costituita dall’allevamento ovino, in secondo luogo dall’industriadel legname e infine da alcuni prodotti orticoli di buon rendimento e di largo consumo: patatee fagioli. È da relegarsi nel mito la tradizione delle Barbagie selvagge. La transumanza, testi-moniata da documenti del XV secolo, ha posto in contatto i barbaricini con le altre regionidella Sardegna, permettendo un giro d’affari nei quali i montanari, con la loro attività e so-brietà, hanno sempre avuto la meglio. Infatti i pascoli invernali delle pianure sono in gran parteproprietà dei barbaricini, che sono anche tra i più abili venditori dell’isola e portano ovunquela loro merce pregiata (noci, castagne, patate, fagioli) […] La donna è normalmente impiega-ta nei lavori agricoli, senza che per questo ne sia comunque offesa la tradizione» (Baldacci1950: 124-125).

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È stata indagata etnograficamente l’Ogliastra meridionale, soggiornan-do a Lanusei, facendo interviste anche in alcuni paesi vicini, a VillagrandeStrisàili e Loceri. L’Ogliastra è anch’essa prevalentemente pastorale (conproduzioni agricole pregiate di frutta e viticoltura): qui l’orticoltura femmi-nile ha un’importanza rilevante, soprattutto per quanto riguarda la coltiva-zione di patate e di fagioli, e qui ci è parso che il sistema agro-alimentaretradizionale sia ancora vitale, più che altrove in montagna.

È nota la definizione di Alberto Ferrero della Marmora dell’Ogliastra,come di «un’isola nell’isola», a causa delle condizioni geografiche e morfolo-giche del territorio «che ponevano enormi difficoltà allo sviluppo delle co-municazioni» (Lai 2001: 29).

Ciò nonostante patate e fagioli sono stati introdotti nell’area, nel cor-so dell’Ottocento, e sono divenuti colture e alimenti fondamentali nella die-ta ogliastrina, tenuti in alta considerazione, oggetto di detti popolari scher-zosi, di modi di dire; proprio in Ogliastra è stato realizzato su sciasciapatata,un attrezzo per ridurre a purea le patate e usarle così come riempimento didolci, pane, pasta fresca.

Nonostante l’isolamento geografico e l’alto tasso di endogamia localel’Ogliastra «era a suo modo inserita nella circolazione di beni di ogni genere des-tinati al mercato della città di Cagliari e verso l’esterno» (Lai 2001: 30). Le patatead esempio viaggiavano dalle Barbagie all’Ogliastra e, viceversa, prodotti oglia-strini come la frutta arrivavano a Fonni e venivano scambiati con le patate.

Infine sono state condotte alcune interviste a campione ad Aritzo, nellaBarbagia di Seulo; a Fluminimaggiore, nell’Iglesiente; nella regione del Sar-rabus, e in altre località, come a Siddi (Marmilla), Ortacesus (Trexenta), einfine a Cagliari.

Struttura del saggio

Il primo capitolo presenta una rassegna delle riflessioni teoriche e dei casidi studio sulla scoperta del Nuovo Mondo nelle mentalità europee e sullo «scam-bio colombiano», con particolare interesse per le ricerche inerenti all’introdu-zione d’alcune piante americane nei sistemi agro-alimentari europei.

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ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA - Nota introduttiva 19

Tra i concetti chiave del capitolo vi è da un lato la consapevolezzadell’importanza della diffusione delle piante americane in Europa, dall’altrola percezione che tali piante hanno rinnovato, più forse che rivoluzionato, isistemi agro-alimentari europei, tranne che in alcuni casi (come nel contestoirlandese la patata, o nei contesti galiziani e padani il mais).

Nella maggior parte delle situazioni l’incorporazione delle pianteamericane ha prodotto sincretismi e ibridazioni, di cui si darà conto anchenei capitoli dedicati ai vegetali singolarmente.

Il capitolo si propone inoltre di analizzare brevemente alcuni concettipropri dell’antropologia dell’alimentazione, e di esaminare alcune delle cor-renti ideologiche nelle quali si scompone, in modo da collocare i discorsiriguardo alle piante in una più ampia riflessione antropologica.

Il secondo capitolo ruota intorno al sistema alimentare europeo pri-ma della scoperta dell’America. Esso ha sia lo scopo di creare una cornice entrola quale collocare le piante americane oggetto del nostro studio, evidenziandoil fatto che il sistema agro-alimentare europeo si è formato in tempi piutto-sto lunghi ed è, in generale, alquanto conservativo e riottoso alle rivoluzioni.

Tali osservazioni sono precedute da una breve riflessione sui rapportiesistenti tra sistemi alimentari, cultura e società, che riprende idee e concettidescritti nel primo capitolo a proposito del rapporto tra identità culturale,etnica e alimentazione, della connessione tra classe sociale e cibo, in sommadel rapporto tra linguaggio dei segni e linguaggio del cibo: una metaforapiuttosto calzante e perciò spesso usata da storici e antropologi dell’alimen-tazione, che faremo nostra nel corso della trattazione.

Nel terzo capitolo si prende in esame il sistema alimentare europeo aseguito dell’introduzione delle piante americane, e si analizzano alcuni casiparticolari, scelti sulla base della letteratura disponibile sull’argomento e dellarilevanza per un raffronto con il caso sardo.

I capitoli successivi sono dedicati, ciascuno, a una delle cinque pianteoggetto della ricerca, per una ricostruzione sia di saperi e pratiche nel passatoprossimo delle comunità che ci hanno ospitato, sia d’alcune tendenze attualiin atto. Le piante sono state inserite nella trattazione sulla base della quantitàdi dati esperiti; la patata occupa uno spazio incomparabilmente maggiorerispetto ad altre piante e per le fonti scritte e per le testimonianze orali rac-

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colte. Si è guadagnata da sé tale importanza, è il caso di dirlo; noi abbiamosolo raccolto, e cercato di dare organicità alla ricchezza e varietà del materia-le, nella consapevolezza di sbilanciare la trattazione complessiva a favore diquesta solanacea andina.

Ciascun capitolo è suddiviso in due parti: la prima è dedicata alla di-samina delle fonti scritte e al riscontro con alcune testimonianze orali raccolte;la seconda è dedicata ai risultati della ricerca sul terreno, suddivisi, per co-modità, in diversi paragrafi concernenti concezioni e pratiche colturali e ali-mentari risalenti a un periodo che va dai primi decenni del Novecento aglianni Sessanta circa, periodo in cui i sistemi produttivi tradizionali e i consu-mi alimentari sono drasticamente cambiati, in Sardegna come altrove.

Abbiamo già detto dell’attenzione dedicata, dove possibile, agli aspettilinguistici; così è stato attribuito un certo rilievo ai nomi delle piante, delleloro parti, oltre a eventuali attrezzi e azioni legate alla semina, alla raccolta,alla trasformazione in cibo.

I capitoli in questione contengono infine alcune note osservative ba-sate sulla mia esperienza sul terreno e concernenti l’attuale situazione in cuiqueste piante sono coltivate, raccolte, vendute, preparate e consumate inSardegna.

Ringraziamenti

Ringrazio tutti coloro che, a vario titolo, mi hanno aiutato nella mia ricerca, chededico alle testimoni e ai testimoni che cortesemente hanno dialogato con me, ai quali hocolpevolmente sottratto tempo, accompagnandoli nei campi, negli orti, nelle cucine.

Ringrazio i docenti e i colleghi del Dottorato in metodologie della ricerca etno-antropologica con cui ho discusso ipotesi e interpretazioni, e il mio tutor, Giulio Angio-ni, per il costante sostegno e incoraggiamento.

La mia riconoscenza va alle biblioteche e agli archivi che maggiormente hannofacilitato il lavoro; in particolare desidero citare Maria Rita Longhitano (Biblioteca dellaCamera di Commercio di Cagliari); Alessandra Angiolas (Archivio di Stato di Caglia-ri); il personale dell’Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano di Torino, specialmente nellefigure del suo Direttore, Lorenzo Massobrio, e di Giovanni Ronco.

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ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA IN SARDEGNA - Nota introduttiva 21

Sono grata a M. Gabriella Da Re (Università di Cagliari), Marinella Lörinczi(Università di Cagliari), Francesco Manconi (Università di Sassari) e a Gianfranco Tore(Università di Cagliari) per gli utili suggerimenti bibliografici e metodologici; a RobertoMantelli (Università di Genova) e Sandra Pili (Crenos, Cagliari), per avermi segnalatoe procurato materiale bibliografico di non facile reperibilità.

Desidero anche ringraziare chi mi ha aiutato in modo particolare sul campo:Gianna Sanna, Isabella Murtas e Marisa Sanna; la Pro Loco di Zeddiani e in partico-lare Gianni Pinna; a Gavoi la Pro Loco di Gavoi, la cooperativa allora Sar.Doc., laCooperativa Gennargentu e Salvatore Buttu, ex sindaco della comunità gavoese; infineMaria Rosaria Verdicchio e Roberto Uda dell’Università della Terza Età dell’Ogliastra.

Sono grata a Massimo Angelini per gli utili spunti metodologici; a Carole M.Counihan (Millersville University) per la sua cordiale disponibilità allo scambio di idee;a Sidney W. Mintz (Johns Hopkins University), per i preziosi consigli e per avermi se-gnalato lavori che mi erano sfuggiti; a Innocenza Chessa (Università di Sassari) e Patri-zia Erre (Università di Sassari) con cui ho cortesemente discusso dei fichidindia in Sar-degna*.

E ancora: ringrazio Richard Scaglion (Università di Pittsburgh), Stanley Bran-des (Università di Berkeley), Rachel Laudan (Hawaii University) ed Ellen Messer (Bran-deis University) per avermi procurato materiale bibliografico di difficile reperibilità.

Esprimo gratitudine a Suzanne Piscopo (Università di Malta), Carmel Cassar(Università di Malta), e Sophie Tessier (INSERM-CRLC, France) per avermi informatosull’incorporazione delle piante americane nel sistema agro-alimentare maltese, soddi-sfacendo la mia naturale curiosità sulla sorte di queste piante in un’altra isola del Medi-terraneo.

Desidero inoltre citare tutti i listeros della mailing list Sa Limba, che mi hannoin vario modo supportato nella mia indagine**.

Infine ringrazio mio marito Fabio per l’incessante sostegno e l’aiuto nella revi-sione delle bozze.

* A tale proposito ricordo con particolare piacere la visita al Centro dell’istituto dicoltivazioni arboree d’Oristano, dove esiste una collezione di centinaia di piante di ficodindiaprovenienti da tutto il mondo.

** La frequentazione della mailing list sa-limba per oltre due anni (2000-2002) hareso possibile un contatto prolungato con una comunità caratterizzata da una buona cono-scenza della lingua e della cultura sarda, e di potermi fare un’ulteriore idea su concezioni epratiche agro-alimentari odierne concernenti le piante oggetto della mia ricerca. Indirizzo mail:[email protected]

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