Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella ... · Dopo un’analisi della dimensione...
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di Andrea De Lia
Docente a contratto di Diritto penale Università della Campania “L. Vanvitelli”
Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella “biutiful cauntri”:
osservazioni rapsodiche
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2 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 21/2018
Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella “biutiful cauntri”:
osservazioni rapsodiche *
di Andrea De Lia Docente a contratto di Diritto penale
Università della Campania “L. Vanvitelli” Abstract [It]: Il contributo offre una panoramica di alcune delle problematiche che solleva il microsistema dei reati ambientali rispetto ai principi sanciti a livello costituzionale in materia penale. Dopo un’analisi della dimensione statistica del fenomeno della criminalità ambientale in Italia, ed un sintetico excursus delle evoluzioni del c.d. “diritto penale dell’ambiente”, vengono evidenziate alcune caratteristiche generali della complessa materia. A fronte di alcuni elementi che ne denotano una certa coerenza e razionalità, di interessanti prospettive offerte tanto dal ricorso, ad opera del legislatore, a strumenti premiali legati al ravvedimento post-delictum quanto dalla figura criminosa disciplinata dall’art. 452-ter c.p., si evidenziano tuttavia i molti, troppi elementi di tensione rispetto ai principi cardine dell’ordinamento. Abstract [En]: The paper offers a brief overview of the critical issues that raises the system of the criminal environmental offense with respect to the principles established at constitutional level. After a brief description of the "statistical" dimension of the phenomenon of environmental crime in Italy, and of the evolution of the c.d. "Criminal law of the environment", some "figures" characterizing the complex subject are highlighted. In the face of some elements that denote a certain "coherence" and rationality of this system, however, there are many, too many elements of tension with respect to the "pivotal" constitutional principles. Sommario: 1. Cenni alla dimensione statistica del problema ambientale. Il diritto dell’ambiente come “osservatorio privilegiato” per il penalista. 2. Breve excursus storico della disciplina penale dell’ambiente. La “piramide punitiva”, tra illeciti amministrativi e penali. 3. Le costanti sistematiche, ed i loro riflessi problematici. 4. L’eterointegrazione normativa ed il ruolo delle fonti di soft law. Il deficit descrittivo di alcune fattispecie. Efficientismo versus principio di legalità e colpevolezza? 5. Teleologia del sistema dei reati contro l’ambiente e principio di offensività. Il problema delle violazioni formali e della tutela delle funzioni. L’applicazione dell’art. 131-bis c.p. alla materia. 6. Il principio di precauzione. 7. Morte o lesioni come conseguenza dell’inquinamento ambientale e prova epidemiologica. Il problema dell’accertamento del nesso eziologico rispetto agli eventi lesivi della sfera individuale. L’art. 452-ter c.p. come modello alternativo di ascrizione, con passaggio dalla responsabilità per l’evento a quella per la classe di eventi? 8. Considerazioni finali.
* Articolo sottoposto a referaggio.
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1. Cenni alla dimensione statistica del problema ambientale. Il diritto dell’ambiente come
“osservatorio privilegiato” per il penalista
Il rapporto “Ecomafia 2018” di Legambiente1 ha recentemente posto in luce dei dati statistici degni di
attenzione per l’interprete; in particolare, detto studio ha evidenziato un trend in ascesa del numero delle
contestazioni aventi ad oggetto reati (lato sensu) ambientali, soprattutto nel settore dei rifiuti;
particolarmente interessanti, in questo contesto, sono per il vero le stime relative alle figure delittuose di
più recente introduzione (di cui infra): per l’anno 2017 risultano attivati 140 procedimenti penali per
inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.), 13 per morte o lesioni come conseguenza del delitto di
inquinamento (art. 452-ter c.p.) ed addirittura 24 per disastro ambientale (452-quater c.p.).
Peraltro, circa il 44% degli illeciti è stato registrato nelle quattro Regioni tradizionalmente più interessate
da fenomeni mafiosi, e quindi in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria: si tratta dunque di segni tangibili
degli interessi della criminalità organizzata in tale ambito, sospinti dagli enormi profitti illeciti conseguibili
(stimati in oltre 14 miliardi di euro soltanto per l’anno 2017), che si concentrano soprattutto nell’attività
di smaltimento dei rifiuti.
L’emergenza ambientale nel nostro Paese è del resto ormai da tempo anche all’attenzione dell’Unione
europea; è ben noto in proposito che con la sentenza del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13 la Corte
di Giustizia dell’Unione europea ha comminato pesanti sanzioni all’Italia in ragione della presenza sul
territorio nazionale di innumerevoli discariche e cave abusivamente utilizzate per il deposito di rifiuti, che
oggi sono oggetto di un’impegnativa attività di bonifica e messa in sicurezza, vigilata e coordinata da un
Commissario straordinario2.
Lo scenario sinteticamente descritto, e l’allarme sociale che gravita attorno al problema ambientale,
alimentato peraltro costantemente dai mass media con la diffusione di notizie ed immagini particolarmente
suggestive, è governato da strumenti, regolatori e sanzionatori, che compongono quell’ampio e variegato
settore dell’ordinamento giuridico denominato “diritto dell’ambiente”, che per l’effetto di continui
interventi del legislatore ha assunto struttura proteiforme.
A fronte dei danni, e dei pericoli, ma come si dirà anche dei rischi che tale complesso normativo intende
prevenire, ben si giustifica allora il ruolo primario che assume il diritto penale, e l’interesse che da tempo
questa materia riveste per la scienza penalistica, che deve però confrontarsi con una articolata
1 D. TAVAZZI (a cura di), Ecomafia 2018. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia, Milano, 2018. 2 Vd. la Relazione sulla bonifica dei siti di discarica abusivi del Commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all’adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale del 25 giugno 2018, reperibile in www.commissariobonificadiscariche.governo.it. Si tratta per l’appunto del tema affrontato nella pellicola “Biutiful cauntri”, film-documentario del 2007 sulla c.d. “terra dei fuochi”, che ha ispirato il titolo del presente contributo, e che ha messo in luce in maniera particolarmente efficace i riflessi dell’inquinamento provocato dalle discariche abusive in alcune aree della Regione Campania.
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nomenclatura, e con uno strumentario molto variegato, che si rapporta con difficoltà ai principi cardine
sanciti dalla Carta costituzionale e che mostra (perlomeno in determinati casi) scarsa ortodossia ai dogmi
tradizionali.
Tale interesse è stato peraltro amplificato per l’effetto dell’introduzione nel 2015 dei nuovi delitti
ambientali, sui quali si è già generata una letteratura imponente; molte di queste figure criminose, difatti,
coniate per sanzionare severamente macroeventi lesivi, risultano il frutto di una tecnica legislativa non
ineccepibile, ed hanno ricevuto critiche da gran parte dei commentatori, come meglio si dirà a seguito di
brevi cenni preliminari in ordine all’evoluzione di tale settore del diritto penale.
2. Breve excursus storico della disciplina penale dell’ambiente. La “piramide punitiva”, tra
illeciti amministrativi e penali
2.1. Il legislatore, sotto il profilo del diritto penale, si è pressoché disinteressato per lungo tempo della
tutela ambientale, affidandola soprattutto a figure delittuose contro l’incolumità pubblica compendiate
nel Codice penale del 1930, adattate dalla prassi giurisprudenziale3, quali l’avvelenamento di acque ex art.
439 c.p., la corruzione o adulterazione di acque di cui all’art. 440 c.p., ed il disastro “innominato”, doloso
(art. 434 c.p.) e colposo (art. 449 c.p.), oltre all’ipotesi contravvenzionale di deturpamento di bellezze
naturali (art. 734 c.p.).
Del resto anche la Carta costituzionale originariamente non prevedeva, almeno esplicitamente, l’ambiente
come bene-valore, sebbene esso fosse ricavabile, in via indiretta, da varie disposizioni: il riferimento è
all’art. 2 Cost. che riconosce la necessità di tutela dei beni essenziali allo sviluppo della personalità umana,
all’art. 9 Cost. che al comma 2 menziona il paesaggio, all’art. 32 Cost. che rimarca il valore della salute
umana, all’art. 41 Cost. che consente la limitazione dell’iniziativa economica a fini di tutela della sicurezza,
e all’art. 44 Cost. che stabilisce la possibilità di apposizione di vincoli alla proprietà allo scopo di un
razionale sfruttamento del suolo, anche attraverso l’imposizione di attività di bonifica4.
La normativa interna è stata però progressivamente condizionata, ed in maniera particolarmente incisiva,
dal diritto sovrannazionale e dalle sue evoluzioni; se infatti il Trattato di Roma del 1957 istitutivo della
Comunità europea operava solo un vago richiamo all’ambiente (art. 36), con l’Atto unico europeo in
vigore dall’1 luglio 1987 (cfr. art. 130 R) è avvenuto il pieno riconoscimento di detto bene, e sono stati
coniati il principio di prevenzione, e quello «chi inquina paga».
3 Sul tema vd. anche C. PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Milano, 2004, p. 280. 4 Sul tema vd. G. VOSA, La tutela dell’ambiente “bene materiale complesso unitario” tra Stato e autonomie territoriali: appunti per una riflessione, 11 ottobre 2017, in questa rivista; A. SCARCELLA, La normativa ambientale, in AA.VV., Manuale ambiente, Milano, 2016, pp. 6 ss.
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Ed è in questo contesto che la Consulta, in diverse occasioni, a partire dalla metà degli anni ’80, dopo
l’approvazione della c.d. “legge Merli” (l. 10 maggio 1976, n. 319, recante “norme per la tutela delle acque
dall’inquinamento”)5, ha cominciato dunque ad affermare il rilievo costituzionale del bene-ambiente; così,
ad esempio, si può richiamare la sentenza Corte cost., 15 maggio 1987, n. 184 che ha stabilito che «il
patrimonio paesaggistico e ambientale costituisce eminente valore cui la Costituzione ha conferito
spiccato rilievo, imponendo alla Repubblica - a livello di tutti i soggetti che vi operano e nell’ambito delle
rispettive competenze istituzionali - di perseguirne il fine precipuo di tutela»6.
Dopo la legge dell’8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente, e la l. 6 dicembre 1991, n.
394 in tema di aree protette7, si possono poi rammentare, ancora a livello europeo, il Trattato di
Maastricht del 7 febbraio 1992, che ha introdotto il controverso principio di precauzione, ed a livello
internazionale la Dichiarazione di Rio delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo del 14 giugno 1992
(che ha fatto seguito alla Dichiarazione di Stoccolma del 1972), che ha stabilito la strumentalità della tutela
dell’ambiente rispetto alla salute umana, l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, e che ha ribadito il principio
secondo il quale il responsabile deve sostenere il costo dell’inquinamento.
Nella prospettiva del diritto interno, il legislatore, anche alla luce del progressivo mutamento del
panorama giuridico sovrannazionale, ha quindi dapprima introdotto alcune norme incriminatrici a livello
settoriale, attraverso il c.d. “decreto Ronchi” in tema di rifiuti (d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) ed il d.lgs. 11
maggio 1999, n. 152 sulla tutela delle acque, che prevedevano però pene bagatellari, e successivamente è
giunto alla concreta ed esplicita previsione del bene-ambiente nella Carta costituzionale.
Ci si riferisce, in particolare, alla riforma attuata con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 che
ha inserito (art. 117 Cost.) tra le materie di legislazione con riserva esclusiva per lo Stato «la tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema», e tra le materie a legislazione concorrente delle Regioni la «valorizzazione
dei beni culturali e ambientali» ed «il governo del territorio».
A valle di tale fondamentale innovazione, il legislatore ha poi tentato di razionalizzare la normativa,
attraverso la promulgazione del Testo unico in materia edilizia (d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) e del Codice
dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42), che pure prevedono delle norme penali
lato sensu orientate alla tutela ambientale, e – a seguito della Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004 in
tema di responsabilità ambientale e di riparazione del danno – con il Codice dell’ambiente (d.lgs. 3 aprile
5 Attraverso la quale il legislatore introdusse in materia un’articolata serie di illeciti penali, seppur di natura contravvenzionale. 6 Sui rapporti tra bene-ambiente e Costituzione vd. B. CARAVITA – A. MORRONE, Ambiente e Costituzione, in B. CARAVITA – L. CASSETTI – A. MORRONE, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2016, pp. 17 ss. 7 Sul punto vd. F. SAVASTANO, La protezione della natura: parchi, riserve naturali, boschi, caccia, in B. CARAVITA – L. CASSETTI – A. MORRONE, Diritto dell’ambiente, op. cit., pp. 251 ss.
6 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 21/2018
2006, n. 152), che ha raccolto gran parte delle norme in tema di tutela dell’ambiente che erano
precedentemente allocate in leggi speciali.
Tali interventi però non hanno mutato la natura degli strumenti penali di tutela, che sono rimasti, in netta
prevalenza, contravvenzionali, con ogni consequenziale effetto anche in ordine alla capacità general-
preventiva del sistema nel suo complesso, specie in considerazione dei ristretti termini di prescrizione del
reato a fronte di illeciti che, molto spesso, presentano nella prassi operativa particolari difficoltà
d’accertamento per gli organi investigativi.
Di seguito, la Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008 ha rimarcato il ruolo del diritto penale nel
settore ambientale, imponendo la previsione di specifiche ed efficaci ipotesi incriminatrici, anche per le
persone giuridiche, per condotte dolose «o quantomeno negligenti» pericolose o lesive per gli individui e
per l’ambiente, relative alla gestione illecita dei rifiuti, etc.; il tutto inducendo il legislatore italiano
dapprima all’introduzione (d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121) di due nuove fattispecie contravvenzionali a tutela
della flora e della fauna selvatica (art. 727-bis c.p.) e degli habitat protetti (art. 733-bis c.p.)8, e poi in tempi
più recenti (attraverso la l. 22 maggio 2015, n. 68) delle ipotesi delittuose oggi contenute nel Titolo VI-
bis del codice penale9.
Tale ultimo intervento normativo, peraltro, ha avuto luogo subito dopo la pronuncia della Cassazione sul
caso “Eternit”10, che aveva messo a nudo l’inadeguatezza delle proiezioni in materia ambientale dei delitti
contro l’incolumità pubblica compendiati nel Codice Rocco, ed in particolare del modello offerto dall’art.
434 c.p. in tema di disastro innominato, generando peraltro ampia eco mediatica e accorato disappunto
circa l’ineffettività del sistema repressivo11.
2.2. Il quadro che è stato brevemente tracciato, ove sono stati evidenziati solo alcuni step di una ben più
complessa evoluzione, mostra in definitiva che il contesto normativo attuale, anche nella prospettiva del
diritto penale, è frutto di un lungo processo di “specializzazione”, sollecitato altresì dalla Corte
8 Oltre che all’estensione della responsabilità della persona giuridica per alcune figure (infra). Sul tema vd. anche P. FIMIANI, Diritto penale dell’ambiente. Un’ipotesi sistematica, Milano, 2012, pagg. 395 ss. 9 Per un’analisi storica della disciplina penale dell’ambiente si veda G. AMENDOLA, Il diritto penale dell’ambiente, Roma, 2016, pp. 15 ss; N. LUGARESI, Diritto dell’ambiente, Padova, 2012; N. ASSINI – R. VISCIOLA, Codice dell’ambiente, Padova, 2011. 10 Cass., Sez. I, 19 novembre 2014 (dep. 23 febbraio 2015), n. 7941, in Dejure. 11 L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. Pen. Cont., n. 2/2015, pp. 197 ss; G.L. GATTA, Il diritto e la giustizia penale davanti al dramma dell’amianto: riflettendo sull’epilogo del caso Eternit, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2015, pp. 77 ss.
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costituzionale in ragione dei problemi di adattamento delle figure previste dal Codice del 193012, e di law
enforcement13.
A tale ultimo riguardo non può non essere rilevata allora anche l’ipertrofia degli illeciti amministrativi, ai
quali viene associata una sanzione pecuniaria di importo talora non trascurabile14, e che si integrano
attraverso la violazione puramente “formale” della normativa di settore, e cioè mediante la realizzazione
di alcune attività in assenza di autorizzazione, la violazione delle autorizzazioni già concesse, il
superamento di valori-soglia, e l’inottemperanza agli obblighi comunicativi alle Autorità amministrative e
di controllo.
L’analisi del panorama complessivo, anche nella prospettiva del principio di offensività, restituisce per
l’effetto l’immagine di una “piramide punitiva”, costituita da sanzioni (almeno nominalmente)
amministrative per illeciti di scarso allarme sociale, penali di tipo contravvenzionale per comportamenti
connotati da maggiore gravità, prevalentemente stabilite da norme extra codicem e che rappresentano una
forma di tutela “anticipata” dell’ambiente, e delittuose per le ipotesi più gravi di danno, previste dal Titolo
VI-bis del Codice penale.
Vi è tuttavia che, come subito si dirà, a fronte di alcuni elementi che ad una prima analisi sembrano
attribuire al sistema una certa razionalità ed armonia, molte sono le questioni che si pongono dinnanzi
all’interprete, soprattutto nella prospettiva del rispetto dei principi sanciti dalla Carta costituzionale per la
matière pénale.
3. Le costanti sistematiche, ed i loro riflessi problematici
3.1. Il diritto penale dell’ambiente è contrassegnato da alcuni caratteri fondamentali, che innervano l’intera
disciplina, tra i quali il fatto che essa è il prodotto, contemporaneamente, di una “spinta” sanzionatoria e
di una “controspinta” finalizzata alla tutela del bene ex post, mediante la valorizzazione normativa di
condotte riparatorie, ripristinatorie o “penitenti”.
Quanto alla spinta, ponendo lo sguardo alle figure delittuose di recente introduzione, essa è segnata
dall’aggravante per il delitto associativo prevista dall’art. 452-octies c.p. e da quella “generale” di cui alla
successiva disposizione (art. 452-nonies c.p.); dall’adesione allo statuto generale della confisca, anche per
equivalente (art. 452-undecies e 452-quaterdecies c.p.); dalla previsione della pena accessoria del ripristino
12 Vd. Corte cost., 1 agosto 2008, n. 327 sul disastro innominato. Sul tema vd. anche D. CAMPO, Gli ecoreati, Roma, 2015, pp. 52 ss; G.M. FLICK, Parere pro veritate sulla riconducibilità del c.d. disastro ambientale all’art. 434 c.p., in Cass. Pen., n. 1/2015, pp. 12 ss; D. BRUNELLI, Il disastro populistico, in Criminalia, 2014, pp. 254 ss. 13 Sul tema vd. anche F. CONSULICH, Il giudice ed il mosaico. La tutela dell’ambiente, tra diritto dell’Unione e pena nazionale, 27 luglio 2018, in www.lalegislazionepenale.eu. 14 Tanto da connotare il sistema in termini spiccatamente sanzionatori. Cfr. M. CATENACCI, I reati in materia di ambiente, in A. FIORELLA (a cura di), Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Torino, 2016, p. 440.
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dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies c.p.); dalla sanzione, ulteriore, per l’omessa bonifica (art. 452-
terdecies c.p.); ed ancora dal raddoppio dei termini prescrizionali sancito dall’art. 157 comma 6 c.p.
La controspinta, che attesta il valore oggi assegnato dal legislatore all’ambiente, ma anche la piena presa
di coscienza del costo “sociale” della sua compromissione, è costituita invece dalla previsione di diversi
istituti premiali, con largo ricorso a schemi in parte riconducibili (e quindi non sovrapponibili) alla c.d.
“giustizia riparativa”15, che rappresentano un vero e proprio arnese d’officina nel diritto penale
dell’ambiente.
In particolare occorre menzionare l’art. 257 comma 4 del Codice dell’ambiente, che prevede che la
bonifica dei siti inquinati da parte del trasgressore costituisce condizione di non punibilità per le
contravvenzioni ambientali, ed il successivo art. 318-septies che stabilisce l’estinzione del reato
contravvenzionale nel caso di adempimento alle prescrizioni di rispristino; ed ancora l’art. 452-decies c.p.
che prevede (tra l’altro) per i delitti ambientali una speciale circostanza attenuante nel caso di messa in
sicurezza, bonifica e ripristino dei siti inquinati.
Si tratta di meccanismi caratteristici della disciplina penale dell’ambiente, attuati infatti anche in ordine
alla tutela del paesaggio: il riferimento è al comma 1-quinquies dell’art. 181 del d.lgs. n. 42/04 cit. che
contempla l’estinzione del reato di esecuzione abusiva di lavori su beni paesaggistici a seguito di condotte
ripristinatorie.
Tra gli istituti sopra richiamati assume un particolare interesse l’ipotesi delittuosa di omessa bonifica ex
art. 452-terdecies c.p., atteso che essa, ricalcando la logica dell’art. 257 del Codice dell’ambiente in tema di
omessa bonifica dei siti inquinati, accentua il distacco della disciplina penale dell’ambiente dalla logica
tradizionale del dualismo tra pena e premio legato a comportamenti riparatori post-delictum, in
considerazione del fatto che il legislatore ha inserito un ulteriore elemento dialettico, costituito dalla
sanzione per il mancato conseguimento del premio medesimo, che genera una matrice punitiva a doppia
colonna.
15 Sul concetto di giustizia riparativa si veda, per tutti, G. MANNOZZI – G.A. LODIGIANI, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, con la prefazione di F. PALAZZO, Torino, 2017. Sul tema della riparazione del danno e dei rapporti con il più articolato concetto di giustizia riparativa vd., tra gli altri, C. PERINI, Condotte riparatorie ed estinzione del reato ex art. 162-ter c.p.: deflazione senza Restorative Justice, in Dir. Pen. Proc., n. 10/2017, pagg. 1274 ss.; C. PIERGALLINI, Fondamento, funzioni e limiti delle moderne forme di impunità retroattiva, in E. DOLCINI – C.E. PALIERO (a cura di), Scritti in onore di Giorgio Marinucci, vol. II, Milano, 2006, pagg. 1659 ss; M. DONINI, La Compliance, negozialità e riparazione dell’offesa nei reati economici. Il delitto riparato oltre la restorative Justice, in C.E. PALIERO – F. VIGANÒ – F. BASILE – G.L. GATTA (a cura di), La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Milano, 2018, pagg. 579 ss. L’A. segnala che «il delitto riparato e giustizia riparativa non sono sinonimi. Il primo ha un’estensione più ampia e ricomprende solo in parte la seconda», rilevando che si tratta (quanto per l’appunto al “delitto riparato”) di una locuzione che sta ad indicare istituti correlati a reati di pericolo o, come al riguardo di taluni reati ambientali, “senza vittima individuale” (cfr. pagg. 596-597).
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Vi è tuttavia che mentre l’art. 257 del Codice dell’ambiente sanziona l’omessa bonifica ordinata
dall’autorità amministrativa al soggetto che abbia cagionato l’inquinamento superando valori-soglia, l’art.
452-terdecies c.p. qualifica come delitto l’inadempimento dell’ordine di bonifica, impartito dal giudice
ovvero anche dall’autorità amministrativa, che nelle realtà societarie potrebbe incombere su un soggetto
diverso dal trasgressore, sollevando seri dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio di
personalità della responsabilità penale; così come si rivela problematica anche la disciplina speciale dei
termini di prescrizione, che entra in crisi al cospetto dei principi di proporzionalità e di rieducazione
stabiliti dall’art. 27 comma 3 Cost., e che debbono contrassegnare la sanzione e più in generale informare
il sistema penale.
3.2. Altro elemento che connota la disciplina penale dell’ambiente è quello dell’estensione della
responsabilità alla persona giuridica, in base all’art. 25-undecies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 23116, che riguarda
tanto alcune delle nuove figure delittuose quanto una consistente parte di quelle contravvenzionali17; si
tratta dunque anche in questa prospettiva, almeno in prima battuta, di un ulteriore elemento che sembra
attribuire alla materia una certa coerenza e “ragionevolezza”.
Con la novella del 2011, che ha colmato l’ingiustificato iato normativo che si era prodotto a seguito
dell’introduzione della disciplina della responsabilità dell’ente, il legislatore ha dunque preso atto che
generalmente gli illeciti più macroscopici, o comunque più frequenti, sono proprio quelli generati
dall’impresa e dal profitto da questa ricavabile in termini di “risparmio di spesa”, nonché del fatto che la
previsione della responsabilità della persona giuridica consente di superare le rilevanti difficoltà che nella
prassi operativa spesso si pongono nell’individuazione della persona fisica concretamente responsabile
dell’illecito (cfr. art. 8 d.lgs. 231/2001)18.
Non mancano, tuttavia, anche in tale prospettiva molte criticità, quali ad esempio quella rappresentata
dall’omessa inclusione tra i “reati presupposto” di alcune fattispecie, quali l’ipotesi di cui all’art. 452-ter
c.p. in tema di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento19, il difetto di
coordinamento e la scarsa intellegibilità, nel caso di corresponsabilità dell’ente, della disciplina della
16 Introdotto con il d.lgs. n. 121/11 cit., e poi ampliato dalla l. n. 68/2015. 17 Sul tema vd. anche G. AMARELLI, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente delusa, in Cass. Pen., n. 1/2016, pp. 405 ss. 18 Così F. PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018, pp. 329 ss. 19 B. D’OTTAVIO, La responsabilità da reato dell’ente, in L. CORNACCHIA – N. PISANI (a cura di), Il nuovo diritto penale dell’ambiente, Bologna, 2018, p. 671.
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confisca nel caso di avvenuta bonifica o ripristino di cui all’ultimo comma dell’art. 452-undecies c.p.20, e la
questione della configurabilità della responsabilità dell’ente per ipotesi colpose realizzate dall’individuo21.
3.3. Sempre nell’intento di delineare alcuni caratteri generali del diritto penale dell’ambiente, si può infine
osservare che il sistema è costituito da un insieme di norme che hanno la funzione di garantire un delicato
bilanciamento tra diversi valori di rilievo costituzionale, tra i quali la libertà dell’iniziativa economica (art.
41 Cost.) e la tutela della salute (art. 32 Cost.): le attività umane, ed in particolare quella industriale, infatti,
hanno in maniera pressoché ineluttabile un impatto più o meno significativo sull’ambiente stesso, e quindi
devono essere disciplinate al fine di limitarne le ripercussioni.
Una chiara esemplificazione di questo concetto è resa, ad esempio, dalla fattispecie di inquinamento
ambientale di cui all’art. 452-bis c.p. che fa dipendere la sanzione penale non dal fatto che siano intervenuti
compromissione o deterioramento dell’ambiente ma dalla circostanza che questi eventi siano avvenuti
“abusivamente”22.
Nella stessa direzione possono poi essere lette anche le “leggi-provvedimento” riguardanti l’Ilva di
Taranto, con le quali il legislatore ha tentato di bilanciare l’esigenza di tutela della salute dei lavoratori
dell’impianto siderurgico pugliese e, più in genere, dell’incolumità pubblica con quelle del mantenimento
dell’attività produttiva di interesse strategico nazionale, del livello occupazionale e dell’economia di
indotto locale23.
Perciò, una delle peculiarità di questa disciplina è la funzione che essa assume nel suo complesso, che
non è quella di evitare in assoluto il pericolo o la lesione del bene-ambiente, ma piuttosto, almeno
generalmente, quella di perimetrare il pericolo e di contenere il danno, attraverso un’analitica
regolamentazione delle attività dell’uomo; si tratta di un elemento trasversale a tutte le macro-aree
giuridiche che toccano l’ambiente. Ci si riferisce quindi alle norme contenute nel Codice dell’ambiente,
20 Sul tema vd. F. PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, op. cit., pp. 332-333; su altri aspetti problematici della confisca “ambientale”, ivi incluso il tema della confisca “senza condanna”, vd. A.L. VERGINE, Confisca, recupero e ripristino. Parte I, la confisca ambientale, in C. RUGA RIVA (a cura di), La legge sugli ecoreati due anni dopo. Un dialogo tra dottrina e giurisprudenza, Torino, 2017, pagg. 67 ss. 21 Sui problemi dell’imputazione alla persona giuridica delle ipotesi colpose (nel caso di specie per tutte l’art. 452-quinquies c.p.), vd., di recente, M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, Torino, 2018, pp. 74 ss. 22 Sul significato di tale avverbio vd. anche la Relazione dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione del 29 maggio 2015, reperibile sul sito della Suprema Corte. 23 Sul tema, per i riferimenti normativi, e per le pronunce della Consulta vd. E. APRILE, Osservazioni a Corte costituzionale 23 marzo 2018, n. 58, in Cass. Pen., n. 6/2018, pp. 1961 ss. Sul tema vd. anche F. FORZIATI, Irrilevanza penale del disastro ambientale, regime derogatorio dei diritti e legislazione emergenziale: i casi Eternit, ILVA ed emergenza rifiuti in Campania. Lo stato d’eccezione oltre lo stato di diritto, 11 marzo 2015, in www.penalecontemporaneo.it.
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così come a quelle in materia di edilizia e di tutela dei beni paesaggistici e culturali, fino ad arrivare al
recente impianto del Titolo VI-bis del codice penale24.
La materia è dunque necessariamente strutturata sulla base di una stretta interconnessione tra diritto
penale e diritto amministrativo25, particolarmente pronunciata in riferimento alle ipotesi
contravvenzionali, che però a sua volta è giocoforza in posizione di correlazione alla scienza, che ha la
funzione di individuare il punto di equilibrio tra tutela dell’ambiente e dell’incolumità (pubblica ed
individuale) da un lato e lo svolgimento delle attività umane dall’altro26.
Si tratta però, in quest’ottica, come si dirà appresso, di “relazioni pericolose”…
4. L’eterointegrazione normativa ed il ruolo delle fonti di soft law. Il deficit descrittivo di alcune
fattispecie. Efficientismo versus principio di legalità e colpevolezza?
4.1. Come già accennato, diverse ipotesi contravvenzionali in materia di ambiente, in ragione della
peculiarità della materia, sono eterointegrate; la stretta interconnessione tra diritto penale e diritto
amministrativo, ed il ruolo portante della scienza e delle norme tecniche nella definizione delle
disposizioni incriminatrici rappresentano così fattori di grave criticità della disciplina.
Si tratta infatti di un microsistema caratterizzato evidentemente da una particolare complessità,
ampiamente burocratizzato per via dei continui rimandi, e che è allineato all’ideologia della moderna
società del rischio, laddove il work in progress tecnologico è destinato ad influenzare nevroticamente il
diritto penale.
L’affresco è così costellato da norme penali in bianco, quali quelle che sanzionano la violazione delle
prescrizioni di cui agli artt. 29-quaterdecies, 137, 256, 261-bis, 279, e 296 del Codice dell’ambiente, le norme
relative al superamento dei c.d. “valori-soglia”, e quelle che impongono particolari caratteristiche tecniche
degli impianti, che subiscono continue modifiche.
Le difficoltà pertanto non riguardano soltanto l’accertamento, in sede investigativa o giudiziale, di taluni
illeciti sotto il profilo oggettivo ma si estendono alla questione dell’effettiva percepibilità del precetto da
parte dell’indagato/imputato: si tratta di un insieme di norme, dunque, che si pone anche in tensione con
il principio di colpevolezza, oltre che con quello di stretta legalità, senza che possa trascurarsi il problema
della diversificazione della disciplina a livello locale, determinata dall’esigenza di adattamento alle
24 Il tutto secondo una nozione “allargata” di ambiente, che è accolta anche da una parte della giurisprudenza, e che oltre ad acqua, aria, suolo, flora e fauna si estende al territorio sotto profilo urbanistico, al paesaggio ed ai beni culturali. Cfr. Cass., Sez. III, 18 giugno 2018, n. 29901, in Dejure. Tale concezione “unitaria” è stata recepita anche dalla Consulta con la sentenza Corte cost., 22 maggio 1987, n. 210. Sul tema vd. anche M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi delle norme penali a struttura “sanzionatoria”, Padova, 1996, pagg. 15 ss. 25 Sul punto si veda C. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2016, p. 9. 26 Così anche P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente, Milano, 2018, pp. 307 ss.
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caratteristiche peculiari del territorio, che rischia di provocare attrito con il principio di uguaglianza
sancito dall’art. 3 Cost.
4.2. Non mancano altresì ipotesi criminose (anche di natura delittuosa) dal contenuto incerto per l’effetto
di palesi lacune descrittive, imputabili ad un difetto di tecnica legislativa; si pensi, ad esempio, all’art. 452-
bis c.p. e alla locuzione «compromissione o deterioramento significativi e misurabili»; alle formule
«alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema» e «alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la
cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali» di cui
all’art. 452-quater c.p.; al riferimento operato dall’art. 452-sexies c.p. a «materiale ad alta radioattività»27; ed
ancora al concetto di «ingenti quantitativi di rifiuti» di cui al successivo art. 452-quaterdecies c.p. in tema di
attività organizzate per il traffico illecito28.
Il problema del difetto di determinatezza involge poi anche l’individuazione dei confini e dei rapporti tra
fattispecie pensate per disciplinare un’escalation di offese; a tale ultimo riguardo si può rimarcare allora
l’incerto crinale tra la compromissione irreversibile che costituisce disastro, la compromissione non da
disastro, ma comunque significativa e misurabile che integra l’inquinamento di cui all’art. 452-bis c.p., e le
forme di aggressione/lesione più blande disciplinate dalle fattispecie contravvenzionali previste dal
Codice dell’ambiente; ed ancora si può rimarcare lo sfumato border tra il deterioramento significativo che
è elemento costitutivo del delitto di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p. e l’offesa alla pubblica
incolumità di cui al comma 2 n. 3 dell’art. 452-quater c.p.
Quel che è posto in luce da tali brevissime osservazioni è dunque che il sistema affida al magistrato
giudicante un potere enorme, che involge non solo l’applicazione della pena tra minimo e massimo
edittale nel contesto di “forbici” dall’estensione particolarmente ampia, ovvero delle ipotesi circostanziali,
ma addirittura si estende all’individuazione della fattispecie applicabile, o ancor più a monte
all’individuazione del confine tra lecito e illecito29.
27 Su tale definizione vd. L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015, p. 390. 28 Sull’argomento vd. anche P. SEVERINO, Il nuovo diritto penale ambientale. Problemi di teoria del reato e profili sanzionatori, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018, pp. 192-193; C. RUGA RIVA, Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico, in Cass. Pen., n. 12/2016, pp. 4635 ss; T. PADOVANI, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida al dir., n. 32/2015, pp. 10 ss. 29 Sul tema vd. anche, passim, M. TELESCA, La tutela penale dell’ambiente, Torino, 2016. Emblematica, in ordine alla figura di cui all’art. 452-bis c.p. ed al difetto di determinatezza, è ad esempio Cass., Sez. III, 21 settembre 2016, n. 46170, in Dejure, della quale si ritiene opportuno riportare alcuni significativi passi: «caratteri di “significatività” e “misurabilità” della “compromissione” o del “deterioramento” elevano in modo considerevole il livello di lesività della condotta penalmente rilevante, escludendo i fatti di minore rilievo, considerando che il termine “significativo” denota senz’altro incisività e rilevanza, mentre “misurabile” può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile; in ogni caso, l’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l’esistenza di un vincolo assoluto per l’interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l’ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di
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4.3. In conclusione si tratta di un complesso normativo che rappresenta una vera e propria “tela di ragno”
contro l’illecito; non di meno detto sistema mostra una particolare “idiosincrasia” al principio di legalità,
ed ai suoi corollari di determinatezza e tassatività, attribuendo al giudice poteri che si estendono fino al
vero e proprio arbitrio30.
La stretta correlazione tra diritto penale e norme di soft law31, che va ad aggiungersi alla sistemazione della
disciplina penale dell’ambiente prevalentemente extra codicem32, non contribuisce poi ad una effettiva
percezione del precetto criminale, e quindi pone in rilievo come accennato il tema del rispetto del
principio di colpevolezza33, tanto in ordine alla legittimità delle norme incriminatrici quanto in sede di
accertamento giudiziario rispetto all’integrazione di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, che
rappresenta un ulteriore risvolto di problematicità della disciplina34 che, come si dirà qui di seguito,
involge per certi versi anche il principio di offensività.
5. Teleologia del sistema dei reati contro l’ambiente e principio di offensività. Il problema delle
violazioni formali e della tutela delle funzioni. L’applicazione dell’art. 131-bis c.p. alla materia
5.1. Nella particolare prospettiva del principio di offensività e della connessa questione
dell’individuazione dei beni giuridici tutelati dalle varie norme che compongono la disciplina penale
dell’ambiente occorre porre subito in luce, al di là dell’annosa diatriba tra visioni ecocentriche ed
limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile. Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente, non può farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti». Sul difetto di determinatezza delle fondamentali ipotesi codicistiche, id est gli artt. 452-bis e quater c.p., vd. anche i contributi di L. CORNACCHIA, Inquinamento ambientale, in L. CORNACCHIA – N. PISANI (a cura di), Il nuovo diritto penale dell’ambiente, op. cit., pp. 101 ss, e N. PISANI, Disastro ambientale, ibidem, pp. 125 ss; S. MAGLIA, Codice dell’ambiente, Piacenza, 2018, p. 1257. 30 A. GARGANI, Le plurime figure di disastro: modelli e involuzioni, in Cass. Pen., nn. 7-8/2018, pp. 2705 ss. In senso critico anche P. PATRONO, I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, 11 gennaio 2016, in www.lalegislazionepenale.eu. 31 Sul tema vd. C. BERNASCONI, Il reato ambientale: tipicità, offensività, antigiuridicità, colpevolezza, Pisa, 2008, pagg. 86 ss, ed in precedenza M. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente, op. cit., pagg. 51 ss. 32 Sul tema si registra la recente entrata in vigore dell’art. 3-bis c.p., introdotto dal d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che sancisce il principio della riserva di codice. Con il predetto intervento, peraltro, la fattispecie delittuosa di cui all’art. 260 del Codice dell’ambiente è stata “trasposta” nel codice penale, al nuovo art. 452-quaterdecies c.p. 33 Sull’importanza della “riconoscibilità” del precetto penale anche ai fini della sua “deterrenza” vd. G. DE FRANCESCO, Il principio della personalità della responsabilità penale nel quadro delle scelte di criminalizzazione. Suggestioni teleologiche ed esigenze politico-criminali nella ricostruzione dei presupposti costituzionali di “riconoscibilità” dell’illecito penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 1/1996, pp. 21 ss. 34 Anche in ragione di una impostazione giurisprudenziale prevalente che riconduce costantemente l’errore sulla legge extrapenale nell’alveo dell’art. 5 c.p., di massima ritenuto inescusabile. Sul tema vd. anche V. MANES, L’eterointegrazione della fattispecie penale mediante fonti subordinate, tra riserva politica e specificazione tecnica, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 1/2010, pp. 84 ss.
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antropocentriche35, che molte fattispecie incriminatrici sanzionano condotte particolarmente “distanti”
dalla concreta compromissione del bene giuridico-ambiente, dell’incolumità pubblica o di quella
individuale, e talora anche dal pericolo di lesione degli stessi.
Si guardi ad esempio al comma 1 dell’art. 29-quattuordecies del Codice dell’ambiente che disciplina come
illecito contravvenzionale la realizzazione di alcune attività in difetto di autorizzazione amministrativa, ed
al successivo art. 137 che al comma 1 che sanziona lo scarico di acque reflue industriali «senza
autorizzazione».
Ed ancora si possono rammentare in questo orizzonte le fattispecie di cui all’art. 452-septies c.p. e all’art.
137 comma 8 del Codice dell’ambiente, che sanzionano penalmente forme di ostacolo agli organi di
controllo in materia ambientale; quelle che puniscono condotte omissive relative al monitoraggio e alla
raccolta di dati relativi alle immissioni/emissioni (artt. 137 comma 4 e 279 comma 4 del Codice
dell’ambiente) o inottemperanti rispetto agli obblighi comunicativi (artt. 137 comma 7 e 279 comma 3
del Codice dell’ambiente).
Si tratta evidentemente allora di ipotesi criminose che rientrano nello schema del reato di pericolo
astratto/presunto, e che sollevano dubbi di legittimità sotto il profilo del rispetto del principio di
offensività36; si è infatti di fronte a disposizioni che mirano alla tutela delle funzioni amministrative37, ed
in altri casi a sanzionare la mera violazione del precetto (e così delle pure violazioni formali), e che
costituiscono strumenti di tutela particolarmente anticipata, che riflettono una chiara immagine di una
deriva panpenalistica38.
35 Sull’argomento vd. anche C. BERNASCONI, Il reato ambientale, op. cit., pagg. 15 ss e (passim) E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente. Tra esigenze di effettività e simbolismo evolutivo, Milano, 2004. Sulla matrice antropocentrica delle nuove figure delittuose introdotte nel capo VI-bis del codice vd. M. CATERINI, Effettività e tecniche di tutela nel diritto penale dell’ambiente. Contributo ad una lettura costituzionalmente orientata, Napoli, 2017, pag. 335. 36 Sui rapporti tra reati di pericolo astratto/presunto e principio di offensività vd. anche V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, Torino, 2005. 37 Sulla questione della tutela penale delle funzioni vd. anche F. GIUNTA, Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 4/1997, pp. 1097 ss; S. MOCCIA, Dalla tutela dei beni alla tutela di funzioni: tra illusioni post-moderne e riflussi illiberali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 2/1995, pp. 343 ss. Nella prospettiva dei reati contro l’ambiente vd. C. RUGA RIVA, Parte generale, in M. PELISSERO (a cura di), Reati contro l’ambiente e il territorio, in F. PALAZZO – C.E. PALIERO (a cura di), Trattato teorico-pratico di diritto penale, vol. XI, Torino, 2013, pp. 11 ss. 38 Sul tema dell’offensività si veda anche A. GARGANI, Il rischio nella dinamica dei reati contro l’incolumità pubblica e nei reati di pericolo astratto, in Cass. Pen., n. 11/2017, pp. 3879 ss; M. CATENACCI, I reati ambientali ed il principio di offensività, in Riv. Quad. Dir. Amb., n. 0/2010, pp. 43 ss; V.B. MUSCATIELLO, La tutela penale dell’ambiente, in A. FIALE (a cura di), Diritto penale dell’ambiente, Bari, 2006, pp. 21 ss (che ha parlato di un sistema ad «offensività prodiga».).
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La Consulta, d’altra parte, chiamata in più occasioni a vagliare la legittimità costituzionale di fattispecie di
pericolo astratto o presunto, ha mostrato un percepibile self-restraint39, chiarendo in più occasioni che il
modulo di intervento legislativo in materia penale legittimato costituzionalmente non sia rappresentato
soltanto dalle fattispecie di danno; non di meno, la Corte ha però evidenziato che forme di tutela
anticipata del bene giuridico possono ritenersi legittime soltanto laddove la violazione dei precetti in esse
compendiati conduca, secondo l’id quod plerumque accidit, alla lesione dell’interesse “primario” rispetto al
quale è apprestata la tutela stessa40, e fermo in ogni caso il dovere del giudice di verificare, di volta in
volta, una qualche “idoneità offensiva”, in concreto, della condotta ai fini della verifica di tipicità41.
Sicché, nonostante una parte della dottrina abbia rimarcato la maggior efficacia repressiva che assumono
in genere le figure criminose di pericolo astratto/presunto42 e l’indispensabilità nella particolare
prospettiva della disciplina penale dell’ambiente di strumenti di tutela anticipata43, occorre sottolineare la
disarmonia delle figure criminose dianzi citate rispetto al suddetto paradigma costituzionale, e comunque
il serio rischio (ricorrente nel contesto della normazione d’emergenza) che il garantismo finisca con
l’essere sacrificato sull’altare dell’efficientismo (che è concetto ben diverso dall’efficienza).
5.2. Come ben noto l’introduzione nel sistema, ad opera del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 dell’art. 131-bis
c.p. ha peraltro reso ancor più vivace il dibattito dottrinale in ordine alla rilevanza del principio di
offensività, esaminato con particolare attenzione da Franco Bricola ormai quasi mezzo secolo fa e posto
al centro di quella teoria generale che è penetrata in maniera dirompente nel dibattito dei rapporti tra
diritto penale e diritto costituzionale, influenzandolo in maniera pressoché determinante44.
La previsione d’una generale causa di esclusione della punibilità legata a fatti di scarso allarme sociale,
«per l’esiguità del danno o del pericolo», ha infatti implementato i dubbi di legittimità in ordine a quelle
39 G. INSOLERA, Principio di eguaglianza e controllo di ragionevolezza sulle norme penali, in G. INSOLERA – N. MAZZACUVA – M. PAVARINI – M. ZANOTTI (a cura di), Introduzione al sistema penale, vol. I, Torino, 2006, p. 348. 40 Cfr. ad es. Corte cost., 9 marzo 2016, n. 109, in tema di stupefacenti. Sul tema della legittimità costituzionale dei reati di pericolo vd. anche G. FIANDACA, Sulla giurisprudenza costituzionale in materia penale, tra principi e democrazia, in Cass. Pen., n. 1/2017, pp. 13 ss. 41 Vd. Corte cost., 26 marzo 1991, n. 333. Sul tema cfr. G. MARINUCCI – E. DOLCINI (con aggiornamento anche a cura di G.L. GATTA), Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2017, pp. 243 ss. Una parte della dottrina, pur a fronte di una certa apertura rispetto al riconoscimento della legittimità costituzionale di reati di pericolo astratto e presunto, non nega del resto la crisi di tali figure al cospetto del principio di offensività (vd. L. STORTONI, Angoscia tecnologica ed esorcismo penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 1/2004, pp. 70 ss) e rimarca le difficoltà che solleva l’impostazione accolta dalla Consulta, soprattutto nel caso in cui si sostenga che la prova dell’assenza di idoneità offensiva della condotta debba porsi a carico dell’imputato (cfr. M. ROMANO, Commentario al codice penale, Tomo I, Milano, 2004, pp. 343-344). 42 Ad es. L. SIRACUSA, La tutela penale dell’ambiente. Bene giuridico e tecniche di incriminazione, Milano, 2007. 43 Così F. PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, op. cit. 44 F. BRICOLA, Teoria generale del reato, in Nov. Dig. It., Vol. XIX, Torino, 1974, pp. 7 ss.
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fattispecie di pericolo astratto o presunto, particolarmente diffuse per quanto detto nell’ambito della
disciplina penale dell’ambiente, che sanzionano condotte dal contenuto talora molto evanescente rispetto
all’esigenza di tutela dei beni giuridici “primari” di riferimento45.
Sul tema occorre peraltro rimarcare che la Corte di cassazione ha affermato, in diverse pronunce,
l’applicabilità della suddetta causa di non punibilità anche alle ipotesi incriminatrici che prevedono
sanzioni in ragione del mero superamento di “valori-soglia”, ed a quelle che, sostanzialmente, hanno la
mera finalità di tutelare le funzioni amministrative46.
Sicché, nella prospettiva degli illeciti in materia ambientale, l’art. 131-bis c.p., perlomeno in riferimento ad
alcune fattispecie incriminatrici (in considerazione dei limiti edittali alla sua operatività), sembra chiamato
ad assumere la funzione di “valvola di sicurezza”, di potenziale disinnesco dell’arma penale47, valorizzabile
all’occorrenza ai fini della riaffermazione della limitazione dello strumento sanzionatorio caratteristico ad
ipotesi di extrema ratio, conferendo all’istituto un ruolo da protagonista nella dinamica processuale,
attribuendo esso al giudice il potere, per il vero notevolmente discrezionale nella prospettiva dei reati di
pericolo, di controbilanciare l’iperplasia della disciplina di settore, determinata anche dall’irrompere del
c.d. “principio di precauzione”.
5.3. In ordine a quest’ultimo aspetto, si è già detto che l’ordinamento giuridico interno è stato fortemente
condizionato nel tempo dal diritto sovrannazionale; non di meno il processo di omogeneizzazione ha
sollevato non poche questioni giuridiche, come attesta proprio il recepimento del suddetto principio, che
costituisce uno dei “pilastri” della politica ambientale europea ma che, rappresentando una forma di tutela
anticipata di beni giuridici “primari” in contesti caratterizzati dalla carenza di leggi scientifiche di
copertura, genera non poche questioni interpretative e di verifica di conformità con la Carta
costituzionale48, sulle quali è opportuno sviluppare qualche breve considerazione.
45 In argomento vd. O. DI GIOVINE, La particolare tenuità del fatto e la ragionevole tutela del diritto ad una morte degna di aragoste, granchi, fors’anche mitili, in Cass. Pen., n. 2/2016, pp. 807 ss; R. RAMPIONI, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Cass. Pen., n. 2/2016, pp. 459 ss.; F. MANTOVANI, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Giust. Pen., 2015, II, pp. 321 ss; per le opere precedenti all’introduzione dell’art. 131-bis c.p. vd. F. D’ALESSANDRO, Pericolo astratto e limiti-soglia. Le promesse non mantenute del diritto penale, Milano, 2012. 46 Si tratta delle pronunce Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681 (per i “valori soglia”) e della coeva sentenza n. 13682 (per l’altra ipotesi), entrambe in Dejure. Sul tema vd. M. CATERINI, Inoffensività e tenuità del fatto nella recente giurisprudenza delle sezioni unite, in Cass. Pen., n. 2/2017, pp. 624 ss. 47 Sul tema vd. C. BERNASCONI, Reati ambientali e particolare tenuità del fatto, 22 settembre 2017, in www.lalegislazionepenale.eu. 48 E. MEZZETTI, Diritto penale, casi e materiali, Bologna, 2017, p. 251.
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6. Principio di precauzione
6.1. Il Codice dell’ambiente, all’art. 3-ter49, stabilisce chiaramente che il principio di precauzione
rappresenta perno dell’azione di tutela ambientale, tanto da imprimere alla materia la funzione di
prevenzione anche del rischio, e non solo del pericolo50, e mostra come l’obiettivo del legislatore sia
quello di erigere una diga rafforzata, un avamposto a tutela dell’ambiente, dell’incolumità pubblica e della
salute umana, rispetto ai quali l’individuo e l’impresa finiscono per assumere una sorta di funzione di
garanzia.
Detto principio, nella prospettiva “nomopoietica”, si estrinseca, per approssimare, come già accennato,
nell’introduzione di norme e divieti per prevenire situazioni di rischio in condizioni tecnico-scientifiche
di incertezza circa la reale lesività di determinate attività, o prodotti o sostanze51.
Il precetto a funzione precauzionale, come frutto di scelte di criminalizzazione da parte del legislatore,
importa dunque la sanzione penale per la violazione ex se, per la realizzazione di una condotta (attiva o
omissiva) esorbitante il “rischio consentito” anche in difetto di una reale capacità predicativa della regola
cautelare, e si pone in linea con la funzionalità preminente assunta dal diritto penale nell’era
contemporanea, che è quella di salvaguardare valori ritenuti prioritari dalla società da potenziali e non
ponderabili rischi legati alle attività produttive ed al progresso tecnologico52.
In materia ambientale, il principio di precauzione, che si estrinseca nell’imposizione di obblighi
comportamentali attivi o omissivi della più varia natura, determina dunque forme di responsabilità che
prescindono dall’effettiva lesione di beni giuridici primari (ambiente, incolumità pubblica ed individuale),
ma a ben vedere anche dalla realizzazione di un pericolo per tali valori (presupponendo comunque la
nozione di pericolo la sussistenza di una riconducibilità nomologicamente accertata di un evento ad un
determinato comportamento), tanto da sollevare, innanzitutto, perplessità nella prospettiva del rispetto
del principio di offensività in ordine alle norme incriminatrici che operano sulla base di tale logica53.
6.2. A ben vedere, tuttavia, le maggiori criticità che genera il principio di precauzione sono nell’orizzonte
delle fattispecie ad evento naturalistico.
49 Introdotto dall’art. 1 comma 2 del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. 50 Per la differenza tra la nozione di rischio e quella di pericolo vd. C. PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Milano, 2010, e V. MILITELLO, Rischio e responsabilità penale, Milano, 1988. 51 Sul punto vd. D. CASTRONUOVO, Principio di precauzione e diritto penale. Paradigmi dell’incertezza nella struttura del reato, Roma, 2012, p. 40. 52 Vd. M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, la democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Milano, 2004. Sul rapporto tra esigenza di tutela della salute e principio di precauzione vd. anche A. GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo II, Reati di comune pericolo mediante frode, in C.F. GROSSO – T. PADOVANI – A. PAGLIARO (a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, vol. IX, Milano, 2013, pp. 66 ss. 53 G.P. ACCINNI, Larve di processi e parodie di giustizia, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 2/2016, pp. 559 ss. Sul tema vd. anche G. DE VERO, Il nesso causale ed il diritto penale del rischio, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 2/2016, pp. 559 ss.
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Il problema, per il vero, non è rappresentato dalle ipotesi in cui la regola precauzionale mantenga il
proprio stigma di incertezza in ordine alla relazione con un determinato evento lesivo (la compromissione
dell’ambiente, etc.): a fronte della carenza di una dimostrazione scientifica del nesso eziologico, e quindi
di una violazione meramente formale, l’addebito dell’evento non potrebbe infatti che determinare una
forma di responsabilità oggettiva, ed in quanto tale in contrasto con il principio di
personalità/colpevolezza sancito dall’art. 27 Cost.54
La questione dubbia è dunque rappresentata dai casi in cui, a seguito della violazione di una norma a
carattere precauzionale, si verifichi un evento che, in base alle conoscenze tecnico-scientifiche
sopravvenute alla realizzazione della condotta contra ius, sia da ascriversi causalmente alla predetta
violazione55; anche in questi casi, tuttavia, la dottrina maggioritaria ritiene, per ragioni condivisibili, che
debba pervenirsi ad escludere che la violazione della norma precauzionale possa condurre
all’affermazione della responsabilità penale.
In questi contesti, difatti, pur a fronte dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità, non
sembra potersi ritenere pienamente integrato innanzitutto il “momento oggettivo” della colpa, dovendosi
escludere che la norma precauzionale possa assumere il crisma della regola cautelare, seppur “impropria”,
perché a difettare del tutto è la dimostrazione, sulla base di esperienze pregresse o di dati acquisiti,
dell’idoneità della norma comportamentale a garantire (nel momento in cui è posta) per lo meno la
sensibile riduzione della probabilità di verificazione dell’evento lesivo56; vi è poi che a mancare, in un
contesto scientificamente incerto, è la sussistenza di un reale rapporto di strumentalità tra la regola
cautelare e l’evento lesivo, a meno che si voglia sostenere che tale elemento si possa ritenere integrato
anche nell’ipotesi in cui la norma stessa miri a evitare tutto ciò che non è di impossibile verificazione57.
Quanto poi al versante “soggettivo” della colpa, il principio di precauzione appare incompatibile con la
prevedibilità della situazione di rischio che è alla base di tale forma di responsabilità, e che va valutata in
54 Sul difficile rapporto tra principio di precauzione, logica di precauzione e principi costituzionali vd. ampliamente anche i lavori monografici di F. CONSORTE, Tutela penale e principio di precauzione. Profili attuali, problematicità, possibili sviluppi, Torino, 2013, pp. 69 ss e M.N. MASULLO, Colpa penale e precauzione nel segno della complessità, Napoli, 2012. 55 Il passaggio dal dubbio della regola precauzionale alla certezza della scoperta scientifica rappresenta peraltro uno dei temi ricorrenti nell’ambito dei procedimenti giudiziari per i grandi disastri (“interni”, e cioè con conseguenze lesive a carico dei lavoratori, ed “esterni”, ovvero con compromissione dell’ambiente e della salute della collettività), tra i quali quelli provocati dall’amianto. 56 Sul tema vd. P. VENEZIANI, Regole cautelari proprie e improprie, Padova, 2003, ed in particolare pp. 15 ss. 57 In questi termini F. GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, pp. 227 ss. Sul tema della necessaria connessione tra la regola cautelare ed i più significativi anelli della catena causale vd. Cass., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343, sul caso “Thyssenkrupp”, in Dejure.
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prospettiva (anche in questo caso) rigorosamente ex ante58, tanto da dover condurre ad escludere in
definitiva che la conferma “postuma” possa fondare l’addebito colposo59.
Non si può peraltro trascurare il fatto che il principio di precauzione, o comunque la “logica di
precauzione” si affaccino spesso sulla scena giudiziaria italiana, come emerge dall’analisi di diverse
pronunce di merito e di legittimità; una delle più note è probabilmente la sentenza intervenuta sul caso
del polo petrolchimico di Porto Marghera, originatosi dall’attività di produzione del PVC attraverso
l’utilizzo del cloruro di vinile monomero (CVM), sostanza tossica per l’organismo umano perché
cancerogena, dalla quale attività, secondo gli organi d’accusa, erano derivati, tra l’altro, disastro
innominato (art. 434 c.p.) e morte e lesioni colpose a carico di diversi lavoratori addetti all’impianto
industriale.
La complessa vicenda giudiziaria, che ha generato ampia eco mediatica, ha avuto epilogo nella pronuncia
della Cassazione60 che, nella prospettiva dell’accertamento dell’elemento psicologico del reato, ha
affermato il principio secondo il quale in tema di delitti colposi la responsabilità potrebbe risiedere anche
nella violazione di regole comportamentali suggerite da risultati di ricerche scientifiche che, seppur non
universalmente accreditate, non risultino neppure del tutto sfornite di conferma, e che “l’agente modello”
sarebbe obbligato a conoscere e, per l’effetto, ad attuare61.
Il rischio di uno strappo nella tela del principio di colpevolezza, e dell’applicazione di meccanismi
d’imputazione dell’evento lesivo fondati sul camuffamento del dovere di precauzione in generici obblighi
cautelari, è dunque fin troppo chiaro62; si tratta peraltro di un tema che interessa anche la nuova figura
disciplinata dall’art. 452-ter c.p. in tema di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento,
che come appresso si dirà presenta molti lati oscuri, e che è di esegesi particolarmente controversa.
58 Così G. FORTI, “Accesso” alle informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, pp. 155 ss; sul tema vd. anche C. PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell’era del rischio: prove di resistenza del tipo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 4/2005, pp. 1670 ss. 59 Contra D. PULITANÒ, Colpa ed evoluzione del sapere scientifico, in Dir. Pen. Proc., n. 5/2008, pp. 647 ss. L’A. ritiene infatti che la violazione della norma precauzionale possa sostanziare, nel caso di conferma successiva, colpa specifica. Sul tema, e per le questioni che tale impostazione solleva vd. però F. SGUBBI, Il diritto penale incerto ed inefficace, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 4/2001, pp. 1193 ss. 60 Cass., Sez. IV, 17 maggio 2006, n. 4675, in Dejure. 61 Tale impostazione è tuttavia condivisa da una parte della dottrina. Vd. E. CORN, Il principio di precauzione nel diritto penale. Studio sui limiti dell’anticipazione della tutela penale, Torino, 2013, p. 176. Sul tema vd. anche F. CENTONZE, La normalità dei disastri tecnologici: il problema del congedo dal diritto penale, Milano, 2004, p. 105. 62 Sul tema si veda anche C. PERINI, Adattamento e differenziazione della risposta punitiva nella società del rischio, 30 marzo 2018, in www.penalecontemporaneo.it.
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7. Morte o lesioni come conseguenza dell’inquinamento ambientale e prova epidemiologica. Il
problema dell’accertamento del nesso eziologico rispetto agli eventi lesivi della sfera individuale.
L’art. 452-ter c.p. come modello alternativo di ascrizione, con passaggio dalla responsabilità per
l’evento a quella per classe di eventi?
7.1. Quanto alla figura di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale di
cui all’art. 452-ter c.p., che rappresenta secondo orientamenti prevalenti una fattispecie delittuosa
autonoma, essa pone le medesime questioni circa i presupposti di addebitabilità soggettiva dell’evento
ulteriore non voluto caratteristiche dei delitti preterintenzionali e, più in genere, di quelli aggravati
dall’evento, tra cui quello delineato dall’art. 586 c.p. (in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro
delitto doloso), già ampiamente analizzate in dottrina e dalla giurisprudenza nella prospettiva del rispetto
del principio di colpevolezza63.
Tuttavia, i problemi principali sollevati da tale fattispecie criminosa sono rappresentati dai rapporti con il
“disastro sanitario” disciplinato dal comma 2 n. 3 dell’art. 452-quater c.p.64 e dall’accertamento del nesso
eziologico nella prospettiva della pluralità di fatti di morte o lesioni, che è uno dei temi centrali della
maggior parte dei processi per i grandi disastri ambientali.
7.2. Il primo nodo da sciogliere è dunque, come accennato, quello dell’inquadramento di fatti dannosi
per l’ambiente dai quali derivino, come conseguenza non voluta, la lesione dell’integrità psico-fisica o la
morte di una molteplicità di persone nell’alveo della figura del disastro sanitario (con il connesso problema
dell’assorbimento degli eventi morte o lesioni ex art. 84 c.p. rispetto al delitto di cui all’art. 452-quater
comma 2 n. 3, ovvero dell’applicazione del meccanismo di cui all’art. 586 c.p., con la conseguente
irrogabilità della pena della reclusione fino a 30 anni) o in quella di cui all’art. 452-ter c.p. (che prevede la
più “mite” pena della reclusione fino a 20 anni).
Alcuni studiosi, rilevando una differente assiologia delle fattispecie in esame, al riguardo ritengono che il
delitto di disastro sanitario avrebbe la precipua funzione di sanzionare le ipotesi, per altro non rare nella
63 Sul tema, in giurisprudenza, vd. Cass., Sez. Un., 22 gennaio 2009, Ronci, n. 22676, in Dejure. In dottrina, ex multis, R. BARTOLI, “Colpa” in attività illecita: un discorso ancora da sviluppare, in Dir. Pen. Proc., n. 9/2010, pp. 1047 ss; F. BASILE, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, 2005; L. MATTHEUDAKIS, Opzioni legislative in tema di colpevolezza nei nuovi reati ambientali, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018, pp. 233 ss. 64 Integra tale ultima figura, sanzionata con la reclusione da 5 a 15 anni, il fatto che produca «offesa alla pubblica incolumità… per l’estensione della compromissione o dei suo effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo».
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prassi, in cui a fronte di un macroevento lesivo per l’ambiente difetti prova del nesso eziologico tra
condotta ed i singoli eventi morte o lesioni65.
Nel contempo, una parte della dottrina sostiene tuttavia che, nel caso in cui l’inquinamento determinasse
eventi lesivi individualmente dimostrabili a carico di una pluralità di soggetti, si sostanzierebbe l’ipotesi
di disastro ambientale di cui all’art. 452-quater comma 2 n. 3 c.p., rispetto al quale si innesterebbero
attraverso la disciplina dell’art. 586 c.p. gli eventi morte e/o lesioni; e ciò non essendo ipotizzabili forme
di inquinamento (che costituisce per l’appunto l’elemento di base della figura criminosa di cui all’art. 452-
ter c.p.) che, provocando danni all’incolumità di una pluralità di individui, non generino altresì un pericolo
per l’incolumità pubblica di tale estensione e diffusività da integrare il disastro di cui al citato art. 452-
quater c.p.66
La combinazione di tali tesi importa evidentemente l’attribuzione alla nuova figura di disastro sanitario
di una natura “anfibia”, determinandone l’operatività tanto come reato di pericolo concreto quanto nel
caso di effettivo accertamento dell’eziologia rispetto ad eventi lesivi individuali a carico di una molteplicità
di persone offese; ciò però, in definitiva, conduce ad una vera e propria interpretatio abrogans dell’art. 452-
ter c.p., tanto da suggerire la verifica di percorribilità di altre soluzioni che prendano le mosse proprio
dalla definizione di tale ultima ipotesi delittuosa, che tuttavia presuppone una seppur breve analisi della
questione relativa all’efficacia dimostrativa della prova epidemiologica67.
7.3. A tale ultimo riguardo si deve allora sgombrare il campo da un equivoco di fondo, che attiene alla
capacità euristica della prova epidemiologica nell’ambito penale, ove è ben noto che la giurisprudenza,
cogliendo a piene mani dai risultati delle analisi della dottrina68, è pervenuta con la sentenza “Franzese”69
ad un chiaro epilogo70, rappresentato dall’adesione al modello della condicio sine qua non “guidata” dalla
65 Così F. BARRESI, Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale, in L. CORNACCHIA – N. PISANI (a cura di), Il nuovo diritto penale dell’ambiente, op. cit., p. 160; C. RUGA RIVA, Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico, op. cit. 66 C. RUGA RIVA, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, pp. 22 ss; L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente. Voce per il “Libro dell’anno del diritto Treccani 2016”, in Dir. Pen. Cont., 17 dicembre 2015, p. 8. 67 Sul tema vd. anche L. MASERA, La sentenza della Cassazione sul caso Eternit: analisi critica e spunti di riflessione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 3/2015, pp. 1565 ss. 68 Il riferimento, come ovvio, è a F. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975, e ID., Giustizia e modernità, Milano, 2001. 69 Cass., Sez. Un., 10 luglio 2002, n. 30328, in Dejure. 70 Per una sintesi vd. L. CORNACCHIA, Causalità, in S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Parte generale, Bologna, 2017, pp. 345 ss.
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sussunzione sotto leggi scientifiche (universali o statistiche) di copertura e dal ricorso al ragionamento
c.d. “ceteris paribus”71.
In questo contesto si pone dunque il tema dell’efficacia esplicativa di generalizzazioni nomologiche, quali
le indagini epidemiologiche, che attestano una relazione di regolarità causale tra determinati fattori e le
conseguenze a carico della salute umana; si tratta di evidenze a carattere statistico che, sulla base di analisi
aventi crisma scientifico (ed in particolare gli studi di coorte), possono condurre a dimostrare (in caso di
impossibilità del ricorso ad ulteriori leggi scientifiche) non la causa dell’evento singolo (morte o lesione)
bensì (esclusi i c.d. “fattori di confondimento”) che un determinato elemento abbia influenzato l’anomala
frequenza di alcune patologie/decessi nell’ambito di una “popolazione” (nell’accezione statistica di tale
termine)72.
Ed è su questa base che molti studiosi, riconducendo il reato di cui all’art. 452-ter c.p. negli schemi
tradizionali dei delitti aggravati dall’evento, escludono allora che le evidenze epidemiologiche, e cioè la
dimostrazione statistica dell’influenza di un fattore di rischio in ordine a determinati eventi che abbiano
coinvolto un gruppo di individui, in difetto di prova della c.d. “causalità individuale”, possano giustificare
l’affermazione di responsabilità per la fattispecie in esame73.
La validità di tale impostazione, che si innesta su quelle di cui si è dato già conto, deve essere verificata
però attraverso l’analisi della disciplina sanzionatoria prevista dalla norma oggetto di disamina; essa infatti
condurrebbe nel caso di inquinamento (art. 452-bis c.p.) e di omicidio (individualmente dimostrabile) di
più persone all’irrogabilità della pena prevista dall’art. 452-ter c.p. (reclusione fino a 20 anni) che è di gran
lunga inferiore a quella determinabile in base alle regole del concorso stabilite dall’art. 586 c.p. (26 anni
di reclusione: pena per gli omicidi colposi di cui al combinato disposto degli artt. 586-589 comma 4 c.p.
fino a 20 anni, e pena per il delitto di inquinamento ex art. 452-bis c.p. fino a 6 anni).
Con ciò si viole sostenere, in altri termini, che si è dinnanzi ad una esegesi che giunge ad attribuire alla
figura disciplinata dall’art. 452-ter c.p. una funzione “ancillare” rispetto a quella di base (art. 452-bis c.p.),
che è quella della limitazione della responsabilità nel caso di concorso tra il delitto di inquinamento ed i
delitti contro l’incolumità individuale di cui sopra, che da un lato non trova alcun conforto nei lavori
71 Sul tema vd. anche C. DE MAGLIE – S. SEMINARA (a cura di), Scienza e causalità, Padova, 2006; M. DONINI, Il garantismo della condicio sine qua non e il prezzo del suo abbandono. Contributo all’analisi dei rapporti tra causalità e imputazione, in AA.VV, Studi in onore di Mario Romano, vol. II, Napoli, 2011, pp. 917 ss. 72 Sulla prova epidemiologica vd. tra l’altro, passim, ancora L. MASERA, Accertamento alternativo ed evidenza epidemiologica nel diritto penale. Gestione del dubbio e profili causali, Milano, 2007. 73 Così ad esempio M. TELESCA, La tutela penale dell’ambiente, op. cit., p. 65; F. BARRESI, Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale, op. cit., p. 160; L. MASERA, La sentenza della Cassazione sul caso Eternit: analisi critica e spunti di riflessione, op. cit.
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preparatori, e dall’altro non sembra affatto contribuire ad una razionale definizione dei controversi
rapporti tra il reato di cui al predetto art. 452-ter c.p. e le fattispecie incriminatrici “frontaliere”.
Alla luce di quanto sopra esposto sembra allora doversi verificare la percorribilità di un’interpretazione
alternativa, che conferisce alla nuova figura di cui alla disposizione da ultimo richiamata la finalità di
disciplinare proprio i casi in cui, a causa di fatti dolosi di inquinamento (e quindi a più forte ragione di
disastro ambientale), si verifichino eventi lesivi di morte o lesioni a carico di una pluralità di soggetti che
risultino riconducibili alla condotta illecita soltanto attraverso la prova epidemiologica, e cioè per quanto
detto in carenza di una dimostrazione causale a carattere individuale.
In questa prospettiva, dunque, l’effettivo accertamento di causalità individuali in ordine ai singoli eventi
lesioni/omicidio determinerebbe la sanzione prevista dal combinato disposto delle fattispecie di cui agli
artt. 452-bis (o quater) e 586 c.p. (con pena massima irrogabile, in connessione con l’inquinamento in 26
anni di reclusione, e per il disastro in 30 anni di reclusione. Il tutto fermo il problema della configurabilità
in tali contesti dell’ipotesi dell’inquinamento, al quale è stato fatto cenno), mentre nel caso di
inquinamento (e di disastro), seguito da eventi lesivi a carico di singoli individui, dimostrabili solo
epidemiologicamente, troverebbe applicazione l’art. 452-ter c.p., con la conseguente possibilità per il
giudice di comminare una pena massima fino a 20 anni di reclusione.
Tale soluzione, in un contesto di particolare complessità e che comunque lascia ampio spazio alle più
diverse interpretazioni74, condurrebbe del resto ad attribuire all’art. 452-ter c.p., attraverso la
valorizzazione in ambito penale della prova epidemiologica, proprio lo scopo di regolare ricorrenti ipotesi
critiche che si verificano nella prassi operativa, e quindi di colmare un vuoto normativo per i casi di
carenza di prova di un nesso eziologico individualizzante75; la disposizione da ultimo citata delineerebbe
dunque, secondo questa lettura, una figura a “mezza via” tra reato di pericolo e di danno, uno strumento
di disciplina di condotte aggressive dell’incolumità (che potrebbe dirsi) “superindividuale” (per
distinguerla da quella pubblica e quella individuale, per l’appunto).
Detta impostazione, che merita ulteriori approfondimenti, oltre a garantire una certa proporzionalità del
trattamento sanzionatorio previsto dalle ipotesi delittuose di riferimento, non sembra peraltro trovare
ostacolo nei principi sanciti dalla Carta costituzionale, tra i quali l’art. 32 Cost. che anzi, nel legittimare
pienamente l’intervento penale in fase anticipata associato allo schema classico dei delitti contro
74 Non a caso alcuni commentatori hanno rilevato che la figura delineata dall’art. 452-ter c.p. provocherebbe più danni di quanti ne intendesse risolvere il legislatore (così G. PAVICH, Reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale: prime questioni interpretative, in Cass. Pen., n. 1/2017, pp. 405 ss). 75 Sul tema della prova individuale del nesso causale vd. anche Cass., Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, “Cozzini”, in Dejure.
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l’incolumità pubblica76, a maggior ragione giustificherebbe quello in relazione a fatti che abbiano
travalicato la soglia del pericolo e siano sfociati in una effettiva lesione dell’incolumità di una pluralità di
soggetti, attraverso meccanismi causali scientificamente dimostrati (nei limiti di quanto detto) dal ricorso
alla prova epidemiologica77.
8. Considerazioni finali
La normativa penale in tema d’ambiente è sottoposta al fuoco di innumerevoli rilievi da parte della
dottrina, che attengono tanto alla conformità di singoli istituti ai principi costituzionali che regolano la
materia penale, quanto più in generale alle logiche che sottendono a tale microsistema sanzionatorio.
Volgendo l’obiettivo alle più importanti fattispecie introdotte dal legislatore con la legge n. 68/2015 se
da un lato è chiaro che si tratti di figure particolarmente a rischio di declaratoria di illegittimità al cospetto
del principio di legalità e dei suoi corollari, dall’altro si può rilevare che il delitto di morte o lesioni come
conseguenza del delitto di inquinamento di cui all’art. 452-ter c.p. presenta una ratio particolarmente
oscura, e che lascia aperto il campo ai più vari ed imprevedibili sviluppi interpretativi.
L’introduzione del nuovo Titolo VI-bis del Codice penale, del resto, non è stata accompagnata da una
complessiva riorganizzazione e razionalizzazione del diritto penale dell’ambiente, rappresentando dunque
espressione di quelle recenti tendenze “compulsive” del legislatore che, senza disporre di una visione
organica e molto spesso anche delle necessarie capacità tecniche, si avventura, sulla spinta dell’Unione
europea e dell’opinione pubblica, in interventi di riforma che ambiscono soprattutto al conseguimento
degli effetti simbolici (anche in ordine all’acquisizione del consenso elettorale) riconnessi alla minaccia
dell’inasprimento della sanzione criminale78.
Il tentativo del legislatore di erigere una barriera a tutela di beni giuridici di rilievo “primario” attraverso
l’ampio ricorso allo strumentario penale, che rientra negli schemi classici della legislazione d’emergenza,
si deve allora confrontare con il dato statistico, che mostra con chiarezza proprio a seguito dell’entrata in
vigore delle norme che compongono l’attuale Titolo VI-bis del Codice penale un progressivo aumento
degli illeciti.
76 Sul tema vd. S. CORBETTA, Delitti contro l’incolumità pubblica, Tomo I, I delitti di comune pericolo mediante violenza, in G. MARINUCCI – E. DOLCINI (a cura di) Trattato di diritto penale, Parte speciale, Padova, 2003, pp. 15 ss. 77 Per un’apertura alla valenza della prova epidemiologica rispetto alle offese all’incolumità individuale nel sistema dei reati ambientali vd. S. ZIRULIA, I riflessi del danno ambientale sulla salute umana. Criticità e prospettive della prova epidemiologica, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018, pp. 212 ss. 78 Sulla natura simbolica dell’intervento normativo operato dal legislatore vd. anche A. MANNA, La legge sui c.d. eco-reati: riflessioni critiche di carattere introduttivo, in A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A. MANNA, M. PAPA (a cura di), Trattato di diritto penale, Parte generale e speciale, Riforme 2008-2015, Torino, 2015, pp. 971 ss.
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Il che solleva dubbi in ordine all’efficacia dissuasiva del sistema: vi è da chiedersi infatti se la novella abbia
importato una crescente attenzione anche da parte degli organi inquirenti in ordine al rilievo che
assumono determinate condotte aggressive, ovvero se – come appare più probabile – il trend sopra
descritto sia dimostrazione della scarsa effettività che caratterizza l’intervento del legislatore in ambito
penale, e dell’improduttività del classico slogan “tolleranza zero”.
Il punto dal quale ripartire è forse allora rappresentato dalla prospettiva dell’impresa, non essendo
dubitabile che la fonte di maggior pericolo per l’ambiente sia rappresentata proprio dagli effetti
dell’attività imprenditoriale, ed in particolare di quella industriale.
Ed è in quest’ottica che non si possono allora trascurare gli elevatissimi costi di smaltimento dei rifiuti di
produzione e di adeguamento costante degli impianti agli standard imposti per il contenimento delle
emissioni, che in Italia vanno ad assommarsi ad altri elementi, quali la pesantissima imposizione fiscale,
l’eccessivo costo del lavoro e l’inefficienza della pubblica Amministrazione, che pongono in serio rischio
la sopravvivenza di molte attività produttive, e che non di rado “costringono” sostanzialmente il singolo
a ricorrere all’illecito per non soccombere sul terreno della competitività nel mercato globalizzato.
Si tratta di situazioni che, giocoforza, rischiano di facilitare anche la continuità con la criminalità
organizzata, che da decenni ha ormai assunto le redini della gestione illecita dei rifiuti, e la corruzione
nella P.A., finalizzata ad evitare o alterare il sistema di controllo previsto dalla normativa di settore tanto
sulle singole attività quanto sul territorio.
La criminalità ambientale, in altri termini, è alimentata da un complesso di fattori sinergici, che vanno
attentamente analizzati a livello politico-legislativo, anche attingendo ai più recenti studi della “green
criminology”, e che debbono condurre a valutare riforme integrate ed assistite da programmi di sviluppo
validi e ad ampio respiro: la battaglia contro l’illecito non può essere sostenuta soltanto attraverso lo
strumentario sanzionatorio (che peraltro meriterebbe, per quanto detto, di essere ampiamente riveduto),
o con il ricorso a (seppur effervescenti) strumenti di premialità correlati al ravvedimento ripristinatorio,
ma deve fondarsi anche sul contributo di tutti gli attori del sistema e mirate campagne di sensibilizzazione
sociale; tutto ciò al fine di evitare che il diritto penale finisca con l’esercitare un “dominio sterile”, anche
in materia di tutela dell’ambiente79.
79 In questo senso vd. L. NATALI, Green criminology. Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Torino, 2015, pp. 325 ss. Scrive l’A.: «è necessario prendere le distanze da approcci eccessivamente lineari, che vedono quale corollario necessario della gravità dei danni ambientali l’inasprimento dell’arsenale repressivo. In questo modo, il riconoscimento della gravità delle condotte considerate» non si deve tradurre «automaticamente in una politica criminale più aggressiva – una sorta di “diritto penale militante” – al quale assegnare campagne di rivendicazione simbolica. Per uscire da questi automatismi del pensiero penale occorre esplorare nuove possibilità di prevenzione e riduzione del crimine».