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ALTA UOTA Anno 8 Numero 39 edizione Gennaio-Febbraio 2012 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa MATTEO COMUZZI p. 5 AUSA PAV p. 10 ANNA BUFFIN p. 5 TATIANA PERUZZI p. 4 MANOLA SGUBIN p. 4 I l volontariato è un’attività libera e gratuita svolta per ragioni private e personali, che può essere di solidarietà, di giustizia sociale, di altruismo o di qualsiasi altra natura. Può essere rivolto a persone in dificoltà, alla tutela della natura e degli animali, alla conservazione del patrimonio artistico e culturale. Nasce dalla spontanea volontà dei cittadini di fronte a problemi non risolti, o non affrontati, o mal gestiti dallo Stato e dal mercato. Per questo motivo il volontariato si inserisce nel ‘terzo settore’, insieme ad altre organizzazioni che non rispondono alle logiche del proitto o del diritto pubblico. Il volontariato può essere prestato individualmente in modo più o meno episodico, o all’interno di una orga- nizzazione strutturata che può garantire la formazione dei volontari, il loro coordinamento e la continuità dei servizi. Questa è la deinizione che offre un vocabolario enciclo- pedico del termine volontariato. Nulla da aggiungere per capire ciò di cui vogliamo parlare. Per meglio spiegare il termine non dovrei che ripetermi. Ciò che vorremmo comprendere meglio, ciò che ritengo valga la pena di approfondire sono quelle ragioni priva- te e personali, sono cioè le motivazioni, le intenzioni, le emozioni e perché no le soddisfazioni che muovono il volontariato. Per chi riconduce la propria formazione alla cultura cri- stiana non esistono molte opzioni: l’impegno nel volon- tariato è una chiamata, personale ed individuale a cui ri- spondere secondo la propria coscienza. Il capitolo 25 del Vangelo di Matteo è molto chiaro: «In verità vi dico: tutte le volte che avete fatto ciò al più pic- colo dei fratelli, l’avete fatto a me». Le parole sono ri- ferite al Figlio dell’uomo e quell’avete indica quando abbiamo sfamato, dissetato, vestito e ospitato. Credo quindi che sia scontato, per un cristiano, consi- derare il volontariato come il luogo dove spendere la vita. Come la capacità di riconoscere il volto di Cristo negli altri ed ancor più negli ultimi, nei più deboli. È proprio nel dare sollievo alle altrui sofferenze, nel combattere l’ingiustizia e l’indifferenza, nel sostenere il debole, nel dare voce agli umili, nell’indignazione per la prepotenza che trova senso la vita. Non si trat- ta quindi di una opzione, ma dell’unica via possibile. Non saper riconoscere il volto di Cristo, ovvero non sfamare, dissetare, vestire, ospitare ha un’unica con- seguenza: “il fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo”, continua il Vangelo di Matteo. Il senso della gratuità è diretta conseguenza. L’incari- co che ci viene afidato, infatti, non è delegabile, ci è afidato in prima persona. Ciascuno secondo le proprie capacità ha il dovere di mettere a frutto i “ talenti” che gli sono afidati. Donarsi quindi secondo le proprie inclinazioni e sensi- bilità, in piena e totale gratuità, signiica spendere quei talenti che abbiamo la responsabilità di moltiplicare, ed è proprio così. Chi fa esperienza di volontariato sa ben quanto ciò che viene restituito sia sempre più di ciò che viene dato. Come di consueto cercheremo di dare dell’argomento ampie testimonianze e di comprenderne i diversi aspet- ti. Con l’aiuto di esperti ed il supporto dei dati tentere- mo di comporre una immagine fedele del volontariato e delle sue espressioni nel nostro territorio. GIUSEPPE ANCONA L’ENERGIA DEL CUORE VOLONTARIATO: ARRICCHIRSI DONANDO .:. www. ricre .org .:. prosegue il tutte le info su DOPO SCUOLA! ‘IMPARIAMO AD IMPARARE’

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ALTA UOTAAnno 8 Numero 39 edizione Gennaio-Febbraio 2012Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005

Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org

Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro

Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121

www. fvgsolidale.regione.fvg.itSegreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.orgDirettore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio.Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa

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Il volontariato è un’attività libera e gratuita svolta

per ragioni private e personali, che può essere di

solidarietà, di giustizia sociale, di altruismo o di

qualsiasi altra natura.

Può essere rivolto a persone in dificoltà, alla tutela della natura e degli animali, alla conservazione del patrimonio

artistico e culturale. Nasce dalla spontanea volontà dei

cittadini di fronte a problemi non risolti, o non affrontati,

o mal gestiti dallo Stato e dal mercato. Per questo motivo

il volontariato si inserisce nel ‘terzo settore’, insieme ad

altre organizzazioni che non rispondono alle logiche del

proitto o del diritto pubblico.Il volontariato può essere prestato individualmente in

modo più o meno episodico, o all’interno di una orga-

nizzazione strutturata che può garantire la formazione

dei volontari, il loro coordinamento e la continuità dei

servizi.

Questa è la deinizione che offre un vocabolario enciclo-

pedico del termine volontariato. Nulla da aggiungere per capire ciò di cui vogliamo parlare. Per meglio spiegare il termine non dovrei che ripetermi.Ciò che vorremmo comprendere meglio, ciò che ritengo valga la pena di approfondire sono quelle ragioni priva-

te e personali, sono cioè le motivazioni, le intenzioni, le emozioni e perché no le soddisfazioni che muovono il volontariato.Per chi riconduce la propria formazione alla cultura cri-stiana non esistono molte opzioni: l’impegno nel volon-

tariato è una chiamata, personale ed individuale a cui ri-spondere secondo la propria coscienza. Il capitolo 25 del Vangelo di Matteo è molto chiaro: «In

verità vi dico: tutte le volte che avete fatto ciò al più pic-

colo dei fratelli, l’avete fatto a me». Le parole sono ri-

ferite al Figlio dell’uomo e quell’avete indica quando abbiamo sfamato, dissetato, vestito e ospitato. Credo quindi che sia scontato, per un cristiano, consi-derare il volontariato come il luogo dove spendere la vita. Come la capacità di riconoscere il volto di Cristo negli altri ed ancor più negli ultimi, nei più deboli.È proprio nel dare sollievo alle altrui sofferenze, nel combattere l’ingiustizia e l’indifferenza, nel sostenere il debole, nel dare voce agli umili, nell’indignazione per la prepotenza che trova senso la vita. Non si trat-ta quindi di una opzione, ma dell’unica via possibile. Non saper riconoscere il volto di Cristo, ovvero non sfamare, dissetare, vestire, ospitare ha un’unica con-

seguenza: “il fuoco eterno che è stato preparato per il

diavolo”, continua il Vangelo di Matteo.Il senso della gratuità è diretta conseguenza. L’incari-co che ci viene afidato, infatti, non è delegabile, ci è afidato in prima persona. Ciascuno secondo le proprie capacità ha il dovere di mettere a frutto i “ talenti” che gli sono afidati.Donarsi quindi secondo le proprie inclinazioni e sensi-bilità, in piena e totale gratuità, signiica spendere quei talenti che abbiamo la responsabilità di moltiplicare, ed è proprio così. Chi fa esperienza di volontariato sa ben quanto ciò che viene restituito sia sempre più di ciò che viene dato. Come di consueto cercheremo di dare dell’argomento ampie testimonianze e di comprenderne i diversi aspet-ti. Con l’aiuto di esperti ed il supporto dei dati tentere-

mo di comporre una immagine fedele del volontariato e delle sue espressioni nel nostro territorio.

GIUSEPPE ANCONA

L’ENERGIA DEL CUOREVOLONTARIATO: ARRICCHIRSI DONANDO

.:. www.ricre.org .:.

prosegue il

tutte le info su

DOPO SCUOLA!

‘IMPARIAMO

AD

IMPARARE’

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VOLONTARIATONO PROFIT, VOLONTARIATO, ONG, ONLUS:

NUMERI E GUIDA RAPIDA PER ORIENTARSI

I SOGGETTI E LE STATISTICHESotto la denominazione ‘Enti No Proit’ si identiicano tutte quelle organizzazioni (associazioni, circoli, comitati etc) che svolgono attività senza scopo di lucro: è questa la caratteristica fondamentale che le distingue da tutte le altre forme di associazione (società e cooperative non so-

ciali). Nella grande famiglia del no-proit sono dunque compresi:• enti pubblici territoriali: comuni, province, regioni;• università e centri di ricerca;• ospedali e centri sanitari;• associazioni sportive;• cooperative sociali; •organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (ON-

LUS), all’interno delle quali distinguiamo fra semplici associazioni di volontariato e Organizzazioni Non

Governative (ONG), queste ultime operanti nel campo speciico della cooperazione allo sviluppo.

A loro volta le ONLUS si distinguono da tutti gli enti no-proit in base al soggetto beneiciario dell’attività, che dev’essere sempre terzo e non interno all’associazione (come accade per le società sportive, ad esempio). In Ita-

lia sono presenti oltre235.000entino-proit: di queste, più di 32.000 sono ONLUS. Ancora, fra le oltre 235.000 istituzioni no-proit, sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono registrate al 31 dicembre 2011 42.724 aventi diritto

al Cinque per Mille. Si badi che in questo elenco sono comprese anche università e cooperative, che di certo non sono associazioni di volontariato: tuttavia, oltre l’80% è costituito per l’appunto da ONLUS.

REGIONI NUMERI

Valle d’Aosta 199

PiemonteAlessandriaAstiBiellaCuneoNovaraTorinoVerbano-Cusio-OssolaVercelli

3585332185203585315

1626199140

LombardiaBergamoBresciaComoCremonaLeccoLodiMonza BrianzaMilanoPaviaSondrioVarese

7422849

1165505426391153510

2070402200751

Trentino-Alto AdigeBolzano Trento

1540766774

VenetoBellunoPadovaRovigoTrevisoVeneziaVeronaVicenza

3760234789161639555753629

Friuli Venezia GiuliaGoriziaPordenoneUdineTrieste

1181150256464311

LiguriaGenovaImperiaLa SpeziaSavona

1482738391124229

REGIONI NUMERI

Emilia-RomagnaBolognaFerraraForlì-CesenaModenaParmaPiacenzaRavennaReggio-EmiliaRimini

3973916270424493460327362477244

ToscanaArezzoFirenzeGrossetoLivornoLuccaMassa-CarraraPisaPistoiaPratoSiena

3014243963161239297112311203204281

UmbriaPerugiaTerni

676530146

MarcheAnconaAscoli PicenoFermoMacerata Pesaro-Urbino

1075417143

87198

230

LazioFrosinoneLatinaRietiRomaViterbo

3992245285104

3176182

AbruzzoL’AquilaChietiPescaraTeramo

739204204193138

MoliseCampobassoIsernia

318183135

REGIONI NUMERI

CampaniaAvellinoBeneventoCasertaNapoliSalerno

2060232120263976469

PugliaBariBarletta-Andria-TraniBrindisiFoggiaLecceTaranto

1942594137235331407238

BasilicataMateriaPotenza

478150328

CalabriaCatanzaroCosenzaCrotoneReggio CalabriaVibo Valentia

1637193967

64315

98

SiciliaAgrigentoCaltanissettaCataniaEnnaMessinaPalermoRagusaSiracusaTrapani

2517186129506126396603168224179

SardegnaCagliariCarbonia-IglesiasMedio-CampidanoNuoroOgliastraOlbia-TempioOristanoSassari

1134490

7562992781

109191

ATTENZIONE AI FURBIIn un articolo apparso su Repubblica il 2 luglio 2010, Davi-de Carlucci tracciava un quadro sconfortante del mondo no-proit in Italia: truffe, evasioni totali, paraventi dietro ai qua-

li celare attività tutt’altro che senza ini di lucro. Si scopre così che dietro a titoli come «l’associazione ha come scopo l’organizzazione del tempo libero dei propri associati, at-traverso l’offerta di una vasta gamma di giochi audiovisivi, quali videogame e biliardi, calcetti ecc, in un ambiente teso a stimolare la civile convivenza ed al rapporto tra i soci» si nasconde una sala giochi di Catania. Ci sono poi night club e privé inseriti nella Federazione italiana per la tutela dei

diritti e delle libertà (Federsex), misteriosa organizzazione che permette anche di «aprire un locale alternativo» con tanto di «certiicazione per la somministrazione di bevan-

de e alcolici». E ancora agriturismi, bar, ristoranti, alberghi, centri itness e benessere, palestre: una galassia che, a quan-

to pare, sottrae allo Stato fra 1 e 2 miliardi di euro, pari al 5-10% delle risorse mosse dall’economia sociale secondo il rapporto 2008 del Cnel-Istat (23 miliardi di euro). Il con-

siglio è sempre lo stesso: vigilare su chi ci chiede denaro e veriicare che questo arrivi davvero nelle mani giuste.

VANNI VERONESI

‘UOMINI COME NOI’: UN’ATTIVITÀ SENZA SOSTAE ORA UN NUOVO MAGAZZINO.Inaugurazione sabato 17 marzo alle ore 11,

in via Da Risieris nº 16

Aiutare il prossimo… aiutando il prossimo! È l’esempio concreto dato dalle decine di uomini e donne come noi, ovvero tutti i volontari protagonisti da anni della tradi-zionale raccolta degli indumenti e dei materiali ferrosi, nonché del mercatino dell’usato i cui ricavati vengono devoluti alle missioni diocesane.Un’opera di volontariato che quest’anno festeggerà la quarantacinquesima candelina, regalandosi un’importan-

te novità.Il prossimo 17 marzo, infatti, verrà inaugurato in via Da Risieris 16 il nuovo magazzino che ospiterà tutta la mobi-lia offerta dalle famiglie cervignanesi e del mandamento, proprio in favore del mercatino UCN (Uomini Come Noi, per l’appunto). «Durante l’iniziativa del Mercatino dell’Usato che la par-rocchia propone ogni anno attraverso l’organizzazione UCN nei mesi di aprile-maggio a favore delle missioni diocesane – spiega il coordinatore UCN, Sergio Odoni – è emersa l’esigenza di disporre di un luogo che fungesse da deposito, ma anche da sala espositiva per mobilia di ogni genere che le famiglie di Cervignano e del man-

damento offrono gratuitamente per azioni di solidarietà. Un’esigenza che ha trovato risposta grazie alla sensibilità dell’amministrazione comunale che, oltre a patrocinare ogni anno la nostra iniziativa, ha messo a disposizione della parrocchia un locale di sua proprietà».L’occasione per fornire sostegno non solo alle necessità del continente africano, ma anche alle numerose famiglie del territorio.«Sempre più utenti – racconta Odoni – presentavano ri-chiesta di poter disporre anche in altri periodi dell’anno di mobilia da utilizzare per l’arredo di casa: cucine, camere, salotti, divani, tavoli, sedie e quant’altro. Da qui l’idea del deposito permanente».Nello stabile di via Da Risieris trovano posto anche nu-

merosi elettrodomestici, come lavatrici e televisori; inol-tre è stata allestita un’area dedicata all’abbigliamento, mentre una stanza è adibita alla selezione dei materiali donati e alla spiegazione del loro funzionamento prima dell’esposizione. In un’altra area dedicata, inine, troverà posto il materiale di segreteria e logistico: tende e attrezzature varie utili all’organizzazione dell’operazione Uomini Come Noi. «Di norma – sottolinea Odoni – gli utenti sono famiglie di nazionalità comunitaria ed extracomunitaria ma anche persone che per svariati motivi hanno la necessita di arre-

dare l’abitazione con poca spesa. L’organizzazione prov-

vede al trasporto dei materiali con proprio automezzo e, nei casi di necessità, anche al montaggio dei mobili pres-

so le abitazioni delle persone bisognose». Per il prossimo Mercatino dell’usato (in programma dal 26 al 29 aprile e dal 4 al 6 maggio; la Raccolta si svol-gerà il 5 e 6 maggio) le persone interessate potranno vi-

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tattualità

i numeri e la legislazioneIL VOLONTARIATO, LE ONLUS E

LA LEGISLAZIONE ITALIANAStralci della legge quadro n. 266 del 1991 sul volon-tariato: i punti fondamentali

Art. 2. Attività di volontariato

1. Ai ini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gra-

tuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, sen-

za ini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per ini di solidarietà.2. L’attività del volontariato non può essere retribuita in al-cun modo nemmeno dal beneiciario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.3. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonome e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.

Art. 3. Organizzazioni di volontariato

1. È considerato organizzazione di volontariato ogni organi-smo liberamente costituito al ine di svolgere l’attività di cui all’articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalen-

te delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.2. Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro ini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.3. Negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello sta-

tuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l’organizzazione assume, devono essere espressamente previsti l’assenza di ini di lucro, la democrati-cità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche asso-

ciative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli ade-

renti, i criteri di ammissione e di esclusione e di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazio-

ne dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti.4. Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavora-

tori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funziona-

mento oppure occorrenti a qualiicare o specializzare l’attività da esse svolta.5. Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato me-

diante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell’ambito di strutture pubbliche o con queste conven-

zionate.Art. 5. Risorse economiche

1. Le organizzazioni di volontariato traggono le risorse eco-

nomiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria attività da: contributi degli aderenti; contributi di priva-

ti; contributi dello Stato, di enti o di istituzioni pubbliche ina-

lizzati esclusivamente al sostegno di speciiche e documentare attività o progetti; contributi di organismi internazionali; dona-

zioni e lasciti testamentari; rimborsi derivanti da convenzioni; entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali. 2. Le organizzazioni di volontariato, prive di personalità giuri-dica, iscritte nei registri di cui all’articolo 6, possono acquistare beni mobili registrati e beni immobili occorrenti per lo svolgi-mento della propria attività. Possono inoltre, in deroga agli arti-coli 600 e 786 del codice civile, accettare donazioni e, con bene-

icio d’inventario, lasciti testamentari, destinando i beni ricevuti e le loro rendite esclusivamente al conseguimento delle inalità previste dagli accordi, dall’atto costitutivo e dallo statuto.3. I beni di cui al comma 2 sono intestati alle organizzazioni. Ai ini della trascrizione dei relativi acquisti si applicano gli articoli 2659 e 2660 del codice civile.4. In caso di scioglimento, cessazione ovvero estinzione del-le organizzazioni di volontariato, ed indipendentemente dalla loro forma giuridica, i beni che residuano dopo l’esaurimento della liquidazione sono devoluti ad altre organizzazioni di vo-

lontariato operanti in identico o analogo settore, secondo le in-

dicazioni contenute nello statuto o negli accordi degli aderenti, o, in mancanza, secondo le disposizioni del codice civile.

Art. 8. Agevolazione iscali1. Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato di cui all’articolo 3, costituite esclusivamente per ini di solidarietà, e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall’imposta di bollo e dall’imposta di registro.2. Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui all’articolo 3, costituite esclusivamente per ini solida-

rietà, non si considerano cessioni di beni né prestazioni di ser-vizi ai ini dell’imposta sul valore aggiunto; le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i ini su indicati.3. All’articolo 17 della legge 29 dicembre 1990, n.408, come modiicato dall’articolo 1 della legge 25 marzo 1991, n.102, dopo il comma 1-bis è aggiunto il seguente: “1-ter. Con i de-

creti legislativi di cui al comma 1, e secondo i medesimi prin-

cipi e criteri direttivi, saranno introdotte misure volte a favorire le erogazioni liberali in denaro a favore delle organizzazioni di volontariato costituite esclusivamente ai ini di solidarietà, purché le attività siano destinate a inalità di volontariato, rico-

nosciute idonee in base alla normativa vigente in materia e che risultano iscritte senza interruzione da almeno due anni negli apposti registri. A tal ine, in deroga alle disposizione di cui alla lettera a) del comma 1, dovrà essere prevista la deducibilità delle predette erogazioni, ai sensi degli articoli 10, 65 e 110 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, e successive modiicazioni e integrazioni, per un ammontare non superiore a lire 2 milioni ovvero, ai ini del reddito di impresa, nella misura del 50 per cento della somma erogata entro il li-mite del 2 per cento degli utili dichiarati e ino ad un massimo di lire 100 milioni.”4. I proventi derivanti da attività commerciali e produttive mar-ginali non costituiscono redditi imponibili ai ini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dell’imposta locale sui redditi (ILOR), qualora sia documentato il loro to-

tale impiego per i ini istituzionali dell’organizzazione di vo-

lontariato. Sulle domande di esenzione, previo accertamento della natura e dell’entità delle attività, decide il Ministero delle Finanze con proprio decreto, di concerto con il Ministero per gli Affari Sociali.

Art. 13. Limiti di applicabilità

1. È fatta salva la normativa vigente per le attività di volon-

tariato non contemplate nella presente legge, con particolare riferimento alle attività di cooperazione internazionale allo svi-luppo, di protezione civile e a quelle connesse con il servizio civile sostitutivo di cui alla legge 15 dicembre 1972, n.772.

Cos’è una ONLUS: il decreto legge n. 460 del 4 dicem-bre 1997ONLUS è un acronimo per Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, le cui caratteristiche sono determinate dal de-

creto legge n. 460 del 4 dicembre 1997. Secondo questa legge, possono diventare ONLUS solo i seguenti soggetti una volta iscritti alla relativa Anagrafe nazionale:• le organizzazioni di volontariato purché iscritte nei registri

regionali delle organizzazioni di volontariato • le Organizzazioni Non Governative • le cooperative sociali • i consorzi di cooperative sociali formati al 100% da coope-

rative sociali• le fondazioni• altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica Tali associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o senza personalità giu-

ridica, devono dotarsi di statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata. La qualiica di ONLUS attribuisce la possibilità di godere di agevolazioni iscali. I soggetti espressamente esclu-

si sono: enti pubblici, società commerciali, diverse da quelle cooperative, fondazioni bancarie, partiti e movimenti politici, sindacati, associazioni dei datori di lavoro e di categoria.

VANNI VERONESI

Sabato 17 marzo

Inaugurazione deposito UCN in via Da Risieris 16

Ore 11.00 Saluti e brevi interventi delle autorità

Ore 11.30 Taglio del Nastro; a seguire visita

dell’immobile e rinfresco.

sionare i mobili presso il magazzino. Questo permetterà ai volontari dell’organizzazione di non dover trasportare, rimontare e smonta-

re i mobili presso la sala parrocchiale, dove invece si potranno visionare su video sia la mobilia che le attrezzature ingombranti o pe-

santi depositate in magazzino. «Al momento – conclude Odoni – si eseguo-

no consegne su speciiche richieste o segna-

lazioni. I responsabili non escludono in un prossimo futuro di poter aprire il magazzino ai visitatori una o due volte al mese in date predeinite: ciò dipenderà dall’adesione che le persone potranno garantire. Questo sarà deci-so in una eventuale assemblea dei volontari».

Alcune immagini del deposito.

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VOLONTARIATO:AVIS:

«PROMUOVERE IL DONO È LA NOSTRA

MISSIONE»Tra le principali ricchezze di Cervignano c’è

sicuramente la sua nutrita rete di associazioni.

Tra queste, un ruolo importante è quello rivesti-

to dall’AVIS (Associazione Volontari Italiani del

Sangue), che da parecchi anni si occupa di pro-

muovere la cultura del dono tra i cittadini. A dar

voce agli associati sono UMBERTO BOLZICCO,

da poco presidente della sezione cervignanese, e

ALVARO PASCOLI, componente del direttivo da

più di 10 anni, e segretario quasi da altrettanti.

«Contiamo circa un centinaio di iscritti, che per

una realtà come quella cervignanese non sono

molti – spiegano- ma bisogna considerare che

quasi tutti sono donatori effettivi, solo qualche

associato non lo è più, per motivi di salute o per

raggiunti limiti d’età».

- Quali attività svolgete?

«Il nostro principale interesse è quello di dif-fondere la donazione del sangue come atto di responsabilità e di altruismo. Crediamo che la cultura del dono del sangue sia un vero e proprio elemento di educazione civica, e per questo ci occupiamo anche di far propaganda nelle scuole, sia inferioriori sia superiori. I risultati sono posi-tivi, perché in questi anni abbiamo avuto un buon numero di nuovi donatori provenienti dalle scuo-

le superiori. L’AVIS non è l’unica associazione di donatori di Cervignano, c’è anche l’AFDS, con la quale abbiamo rapporti di collaborazione. Inoltre, talvolta organizziamo attività un po’ di-verse: di recente si sono tenute gare di bocce e di pesca promosse dalla nostra associazione, sem-

pre con l’obiettivo di diffondere la cultura della donazione».- Dunque, la vostra associazione si occupa di of-

frire agli associati anche occasioni ricreative?

«Questo tipo di attività è molto minoritario: è vero, organizziamo qualche gita, oppure il pran-

zo e la cena sociale annuale, ma si tratta di aspet-ti tutto sommato marginali. Ogni cinque anni, in particolare, teniamo uno scambio con la nostra sezione gemella, in provincia di Lecco».- Che cosa vi ha spinto ad impegnarvi nel mondo

del volontariato? Qual è secondo voi il senso pro-

fondo del fare volontariato?

«Come tanti, ci siamo avvicinati alla donazione del sangue convinti che fosse un gesto semplice e importante. Abbiamo poi ritenuto che valesse la pena d’impegnare parte del nostro tempo per promuovere questa attività, in particolare tra i giovani. Sono loro infatti i primi destinatari dei nostri sforzi, per un innegabile problema di ri-cambio generazionale all’interno dell’associa-

zione e fra i donatori in generale». - C’è qualche episodio che vi ha colpito partico-

larmente, che vi ha dato una motivazione in più

per proseguire nel vostro percorso?

«Possiamo citare soprattutto gl’incontri che ab-

biamo avuto con donatori di altre sezioni, in par-ticolare a Chioggia e a Comacchio: ricordiamo la calorosissima accoglienza che abbiamo ricevuto. Sono episodi che fanno rilettere: in fondo, l’im-

pegno e la dedizione verso il dono del sangue era l’unica cosa che ci accomunava a quelle persone, ma ciò bastava per sentirsi amici».- C’è chi accusa il mondo dell’associazionismo di

essere troppe volte intriso di interessi politici e

convenienza personale…che cosa ne pensate?

«Se per politica s’intende aver contatti con altre persone o gruppi, questo fa sicuramente parte del gioco, e non crediamo affatto che sia negativo. Per quanto riguarda gli interessi personali, può darsi che qualcuno, in malafede, voglia farli en-

trare nella realtà associativa, ma non è certo il nostro caso. Pensiamo invece che il mondo del volontariato meriti di essere maggiormente valo-

rizzato, anche da parte della stessa politica, e che i cittadini debbano essere spronati a impegnarsi attivamente in questo campo».

ALESSANDRO MORLACCO

AFDS: «SEMPRE IN PRIMA

LINEA NELLA SOLIDARIETÀ»

Il dono del sangue è innanzitutto un dove-

re civile. Questo ciò che emerge dalle parole

di TATIANA PERUZZI, 41 anni, residente a

Scodovacca. Da parecchi anni Tatiana unisce

all’impegno di essere mamma e moglie un’atti-

va partecipazione al mondo delle associazioni

di volontariato. «Per motivi affettivi – esordi-

sce – sono legata a Villa Vicentina, e questo mi

ha portato a far parte del Direttivo della locale

sezione dell’AFDS».

- In cosa consiste l’attività della sua associa-

zione?

«L’Associazione Friulana Donatori di Sangue (AFDS) è un’organizzazione che conta oltre 50.000 iscritti, i quali con il gesto generoso e altruistico del dono del sangue e di emoderivati contribuiscono a salvare la vita a persone che necessitano di emotrasfusioni a causa di gravi malattie, di incidenti o di trapianti d’organo».- Cosa l’ha spinta a intraprendere questo per-

corso?

«A 20 anni sono diventata donatrice spinta solo da un senso di dovere umano, senza pormi trop-

po il problema delle motivazioni che potessero esserci alla base: mi sembrava un gesto natura-

le. Dopo ventun anni lo confermo, anzi, credo che chi ha la fortuna di essere in buona salute dovrebbe sentirsi quasi obbligato a donare san-

gue!- Qual è, secondo lei, il senso profonde del fare

volontariato?

«Donare sangue o far parte di una qualsiasi atti-vità che abbia una inalità di solidarietà sociale signiica semplicemente essere persone dotate di una discreta educazione civile, culturale, so-

ciale e sanitaria. Per fortuna, in Friuli di gente così ce n’è tanta, ed è grazie a loro che le as-

sociazioni come la nostra possono continuare a prosperare!».- Quali sono secondo lei gli aspetti negativi del

mondo del volontariato?

«L’unico aspetto ‘negativo’, ma che può esse-

re considerato tale solo ino a un certo punto, è che dobbiamo insistere e lavorare parecchio sulla sensibilizzazione al dono del sangue. Spiace dirlo, ma qualche volta ci troviamo di fronte giovani (ma non solo), che devono lottare con la paura dell’ago o con uno stile di vita non proprio salutare (abuso di alcol, alimentazio-

ne scorretta, fumo, rapporti sessuali a rischio). Noi, nel nostro piccolo, ce la stiamo mettendo tutta a diffondere la cultura del dono già nelle scuole, in dalla 5ª elementare, perché questi ra-

gazzi possano diventare i donatori di domani!».- Quale bilancio si sente di tracciare, dunque, del-

la sua attività di volontaria?

«Sicuramente molto positivo. Finchè avrò salu-

te continuerò a donare con convinzione e idu-

cia, forte del nostro motto: “non so per chi, ma so perché”. La cosa importante è non smarrire mai il senso di ciò che si fa. Con la stessa at-tenzione vorrei proseguire nel percorso di sen-

sibilizzazione che la mia Sezione, insieme alle consorelle della Litoranea Orientale, sta condu-

cendo in tutta la Bassa Friulana».ALESSANDRO MORLACCO

«FARE IL VOLONTARIO TI RIEMPIE LA VITA…»MANOLA SGUBIN, SOCCORRITRICE

NELLA CROCE VERDE

Un’intensa esperienza nella Croce Ver-

de, dai primi passi alla maturità: la te-

stimonianza di chi opera in questa realtà

consolidata da più di vent’anni a Cervi-

gnano.

- Come hai cominciato la tua esperienza

nel mondo del volontariato?

«È iniziata quasi per caso, diciamo che ho sempre avuto lo spirito dell’altrui-smo e quindi col tempo ho cercato uno sbocco concreto e ho trovato nella Croce Verde la mia passione. Avevano attaccato la locandina nel paniicio dove lavoro e da lì mi è venuto l’input per cominciare quest’avventura. Ho fatto il primo corso, successivamente quello pratico e dopodichè sono diventata volontaria a tutti gli effetti». - Cosa comporta questo tipo di volontariato?

«Dal punto di vista isico è parecchio impegnativo: il turno classico è di 7 ore, mentre quello della notte è di 12 ore. Lo sforzo isico è notevole, anche perché, pur non avendo igli, ho comunque un lavoro e degli impegni, per cui conciliare il tutto non è facile».- Qual è la gratitudine che si raccoglie in un servizio così tempestivo ma allo

stesso tempo delicato?

«Innanzitutto quando vai a casa ti lasci alle spalle tutti i pensieri e i problemi quotidiani: questo servizio ti fa toccare con mano i problemi e i disagi di tante persone e ti fa comprendere quanta sofferenza c’è in tante case. Riesci a perce-

pire quali sono i veri valori che oggi sembrano essere persi. Nessuno ti chiede di fare il supereroe, basta poter donare un po’ del proprio tempo e soprattutto farlo non come fosse un peso». - Il volontariato può essere anche un punto di aggregazione e di amicizie molto

forti…

«Certamente, nel tempo ho avuto modo di stringere delle belle amicizie, spes-

so ci si trova fuori per cene o per passare delle serate assieme, quindi parte della tua vita, condividendo anche le piccole cose». - Raccontaci le prime esperienze sul campo…

«La prima volta avevo il cuore in gola, c’era la paura di sbagliare e molta adre-

nalina, per fortuna ero afiancata dal mio tutor e ho superato le prime dificoltà. Avere una persona che ti spiega come gestirti agli inizi vuol dire tanto, perché hai modo di imparare come si deve operare in maniera corretta. Non sai mai quello che ti trovi davanti, ricordo che ai primi tempi mi è capitato di dover rianimare una persona anziana che purtroppo non si è salvata… Il dispiacere era tanto nonostante avessimo fatto tutta la procedura: ti rimane sempre quel senso di tristezza a livello umano». - Nel tempo queste sensazioni cambiano?

«Anche dopo aver fatto duemila trasporti capisci da solo che sono tutti diversi gli uni dagli altri, ognuno con una persona e una storia dietro. Quando ti capita di prestare soccordo a qualcuno che ha avuto un incidente grave, e ti accorgi che è una persona che conosci, la componente emotiva può giocare brutti scherzi. L’anima del soccorritore rimane sempre, anche quando togli la divisa, se lo fai davvero col cuore ti rimane dentro l’istinto di metterti in gioco magari anche a tuo rischio e pericolo». - Che rapporto si instaura tra la persona soccorsa e il volontario?

«Quando si tratta di trasporto di anziani per la dialisi, nasce un vero e proprio rapporto di amicizia e di scambio di battute: anche se queste persone stanno male trovano sempre la forza di sorridere insieme a te. Come volontaria, se la persona soccorsa per un qualsiasi incidente non si salva ci rimani sempre male, se riesci a salvarla ti rendi conto che anche se hai fatto poco in realtà hai fatto tanto… la tua decisione di fare volontariato ti gratiica proprio in questi momenti, e ti rendi conto che è una scelta giusta e altruistica. Questo fa la differenza tra un volontario con la ‘v’ maiuscola e una persona che lo fa per mettersi in mostra e magari poi abbandona la causa velocemente». - Il problema del ricambio generazionale immagino si avverta anche in questo

contesto…

«In Croce Verde passiamo dal volontario ultrasessantenne pensionato al volon-

tario dai trent’anni in su, quindi manca la fascia di età tra i venti e i trenta. Non saprei dirti con certezza perché manchino i giovani, personalmente penso che manchi una cultura di fondo del volontariato e del darsi agli altri. Oggi i giovani sono più egoisti di un tempo, il volontario è una persona che non chiede niente, non riceve nulla in cambio, quello che ti ripaga è ben altro…la certezza di aver contribuito nel tuo piccolo a fare del bene, ad aiutare chi ha bisogno o per una giusta causa. Nella società attuale spesso sembra che sia tutto dovuto, quasi come fosse obbligatorio avere qualcosa in cambio di un favore o di un aiuto». - Se dovessi convincere una persona scettica nei confronti del volontariato

cosa le diresti?

«Potrei ricordarle che tutti noi abbiamo una famiglia e che prima o poi potremmo aver bisogno di un servizio come il nostro, in futuro mi piacerebbe e spero che la croce verde sia supportata da persone che abbiano passione e che prendano a cuore questa missione col giusto spirito. Non dobbiamo considerare il soccorso come un peso, bensì come una ‘persona’».

SANDRO CAMPISI

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tattualità

i protagonist iCARITAS

IN ASCOLTO DEI BISOGNI DEI PIÙ DEBOLI«Il cuore e il silenzio sono due cose molto importante per co-

loro che offrono il servizio per la Caritas. Per quanto riguar-

da il silenzio siamo donne e per questo si corre un certo ri-

schio, ma il Signore ci dona la forza per mantenerlo». ANNA

BUFFIN, dalle origini dell’associazione è componente della

Caritas di Cervignano del Friuli.

- Da quanto tempo lavori per la Caritas?

«Non si può usare l’espressione ‘da quanto tempo’ in quan-

to la Caritas, qui a Cervignano, è nata assieme a me e ad altre signore che si sono ritrovate per dare vita a un gruppo che rispondesse ai bisogni e alle dificoltà che si potevano incontrare sul territorio. Questo secondo l’intuizione e i sug-

gerimenti del parroco di allora Don Nino Carletti, che ha risposto fedelmente a quanto Papa Paolo VI aveva previsto: riorganizzare il tema della carità.La Caritas è un organismo pastorale, non un gruppo, che opera nelle parrocchie in modo omogeneo con liturgia e ca-

techesi. Sono molto importanti i momenti di preghiera e di gruppo: ora lavoriamo anche a livello di zona pastorale».- Come mai hai deciso di offrire il tuo servizio?

«A vent’anni sono stata coinvolta in questa avventura che in dal principio mi ha trovato disponibile e anche entu-

siasta di rispondere al comandamento ‘amatevi come io ho amato voi’. Questo succedeva nel 1976 e da quella volta siamo andati avanti ino ai giorni nostri, in cui la Caritas italiana ha compiuto 40 anni, noi qualcuno in meno».- Come mai la Caritas?

«Il gruppo delle signore che si erano sentite motivate da questo invito del parroco si riuniva ogni primo martedì del mese per discutere e fare una rilessione sulla tematica della carità, prendendo in considerazione i casi che si erano presentati nel mese precedente e le situazioni di dificoltà di cui il parroco veniva a conoscenza. Il nostro apprendistato è iniziato visitando le famiglie. Ho partecipato a diversi convegni di Caritas ed è stato tutto un arricchirsi per essere sempre più preparati ad affron-

tare il lavoro. Siccome avevo più tempo degli altri, senza incarichi di famiglia, sono stata coinvolta anche nella Ca-

ritas Diocesana con la quale ho avuto una grande ed una importante formazione che ha appianato le mie debolezze e mi ha dato la carica per quello che stavo facendo. Nessuna di noi aveva fatto corsi per potersi approcciare con le persone che incontrava. In questo è stato molto di aiuto il parroco, che ci ha molto seguito e ci dava l’input giusto per andare in una o in un’altra famiglia. Così venivo a conoscenza di qualcosa di strano o di persone che avevano bisogno di sostegno e di visita nella nostra comunità».- Qual è il tuo operato all’interno dell’associazione?

«Ora curo il Centro di Ascolto assieme alla signora Paola, un’altra componente della Caritas.Il mio personale vivere in Caritas mi ha portato negli anni ad avere un piede nell’amministrazione comunale, infatti facevo parte della commissione assistenza. Questo è stato per me un passo importante dal momento che l’assistente sociale arrivava in commissione con tutte le cartelle delle situazioni su cui discutere e mi sono trovata a conoscere perfettamente quasi tutte le situazioni che si presentavano anche al Comune. Conoscendo le opere che stava facendo il Comune e contemporaneamente la situazione presentata dalla gente che veniva da noi, svolgevo la funzione di mediazione. Se il Comune già assisteva, noi non potevamo fare altrettanto; quindi gli aiuti venivano valutati e nel caso di estrema necessità si interveniva. È venuto il tempo in cui la privacy ha portato assolutamente a non citare i nomi di coloro che avevano bisogno. L’assistente sociale arrivava in commissione a raccontare il caso e ci si trovava a dare un’opinione e discuterne senza conoscere le persone, ma spesso si venivano a conoscere lo stesso.Adesso invece l’amministrazione non fa più assistenza in questo modo. L’assistenza sociale lavora meglio, fa-

cendo agli interessati domande mirate che la Caritas non è autorizzata a fare. Per questo tra noi c’è una sorta di collaborazione».- Quali sono le motivazioni che spingono a continuare questo operato per la comunità?

«Le motivazioni per continuare sono rimaste sempre vive, prima di tutto quella di essere di aiuto. Inoltre abbiamo imparato ad essere competenti nell’approccio con le persone e di incontrarle. Nei primi tempi si andava a trovare le persone che avevano bisogno di un aiuto a casa, poi abbiamo iniziato a fare la distribuzione della spesa dalla canonica e quindi a fare conoscenza con i bisogni e le varie situazioni di quel tempo, gli anni ’70. I bisogni non erano molto differenti da quelli di oggi, ma erano in numero minore».- Come mai?

«Non c’era la crisi di lavoro di adesso. Quella volta inoltre non avevamo tanti fondi e si aiutava la gente prestan-

dole piccole attenzioni».- Nel tempo trascorso in Caritas hai incontrato delle difficoltà?

«Alle volte non si conoscevano bene le situazioni delle persone, per cui si era costretti ad andare un po’ a tentoni. Quando veniva presentato un caso mi sentivo sempre impotente perché ad andare in una casa non sapevo come presentarmi e cosa dire, quindi ero agitata. Nel mio trascorso di Caritas ho vissuto, non in prima persona ma molto da vicino, attraverso la guerra nei Balcani, la vita dei profughi nella caserma di Cervignano e tutto quanto era avvenuto nella trasmissione di fondi: beni sia per la Croazia che per la Bosnia passavano attraverso la Caritas diocesana, che era il punto di riferimento della Caritas nazionale in quel momento».- Come si svolge una giornata tipo in Caritas?

«Non è ‘un giorno in Caritas’: i bisogni si presentano sempre nel giorno sbagliato in cui si opera. Capitavano o il sabato, o nelle feste. Il parroco era costretto a chiamare la persona addetta e quella doveva mettercela tutta per sopperire anche a situazioni che in quel momento non era possibile risolvere attraverso l’assistenza sociale. Questi servizi possono venire paragonati all’opera del Buon Samaritano, in fatto di elevazione di Spirito, infatti alla do-

menica era spiacevole dover fare servizio. Ma tutto quello che è possibile fare, si fa».- Quali sono le cose emozionanti che danno la forza di continuare ad essere d’aiuto?

«Tutto quello che ho vissuto. È tutta una cosa emozionante e buona. Ho vissuto per uno scopo. Non essendomi sposata e non avendo famiglia, ho ritenuto di potermi dedicare completamente alla Caritas: considero questa una missione della mia vita.Quando ci si trova ad essere strumento per fare la volontà del Padre, si è portati ad essere più benevoli e accoglienti. Quando si perde la pazienza la si trova abbastanza presto. Questa è una cosa importante, infatti quando mi sono capi-tate delle cose che mi hanno demoralizzata, ho avuto la forza di ricominciare senza che la volontà mi venisse meno.Una cosa che mi ha molto colpito è stata vedere come le persone extracomunitarie che arrivano nel nostro paese si rispettino e si aiutino a vicenda, tra amici e familiari, quando si trovano in momenti di dificoltà. Cose del genere si vedono poco nella nostra realtà occidentale di oggigiorno, anche se le persone della nostra comunità sono molto vicine al gruppo della Caritas. C’è sempre qualcuno che si sente stimolato a dare una mano, e questo mi rende molto contenta di vivere a Cervignano».

GIULIA BONIFACIO

MATTEO COMUZZICON ENTUSIASMO AL SERVIZIO DELLA COMUNITÀ

«Per me volontariato è mettersi alla prova per sentirsi utili.

Così facendo, io riesco a superare la timidezza e il senso

di inferiorità che alle volte provo, anche a causa della mia

disabilità isica. Ogni attività che mi viene proposta nel mio fare volontariato mi aiuta a superare dei blocchi psicologici

e mi aiuta a migliorare la stima in me stesso. Il ricreatorio

è come una grande famiglia e ringrazio sempre tutti coloro

che ne fanno parte, con particolare calore don Moris,

Andrea Doncovio e Alex, che mi afianca durante le mie giornate trascorse al servizio della comunità.» Questo spiega

MATTEO COMUZZI, classe 1974, che da più di un anno offre

il suo servizio alla comunità del Ricreatorio San Michele, a

Cervignano del Friuli.

- Quando hai iniziato ad offrire questo servizio alla comunità?

«Ho iniziato il 25 ottobre 2010».- Come mai hai deciso di fare volontariato per il Ricreatorio?

«Il primo contatto con il volontariato non è stato con il Ricreatorio San Michele di Cervignano. Prima frequentavo la comunità missionaria di Villaregia di Pordenone ma, dal momento che il luogo è distante, cercavo qualche attività da svolgere per potermi rendere utile vicino casa.Inoltre da un po’ di tempo sono in cassa integrazione straordinaria, per cui sentivo l’esigenza di occupare il mio tempo rendendomi utile».- Come hai fatto a scoprire questa opportunità?

«Ho cercato su internet ed è comparsa sul monitor la pagina del Ricreatorio. Un amico mi ha fatto conoscere don Moris, che mi ha riferito che stavano cercando dei volontari che potessero inserirsi all’interno del Ricreatorio. Il primo incontro con una persona che frequentava l’ambiente l’ho avuto con lui; in seguito ho conosciuto Andrea Doncovio, che non era ancora presidente del Ricre. Ho parlato con entrambi e mi hanno dato la possibilità di inserirmi in questa realtà così bella di Cervignano».- Il tuo primo impatto?

«Buonissimo. Non mi sono sentito per niente a disagio! Mi piace vedere che all’interno del Ricreatorio gravitano tante associazioni e sono contento quando vedo i ragazzi che si impegnano nelle varie attività, anche assieme ai bambini. Il fatto che dei giovani vengano in Ricreatorio per donare il loro tempo non è così scontato».- In che cosa consiste il tuo aiuto qui?

«Do una mano all’uficio della segreteria del Ricreatorio. Le mie mansioni consistono nel controllare la gestione del campo in sintetico e aiutare nel fare sorveglianza. Gestisco anche la prenotazione della sala per attività o compleanni e mi occupo dei tesseramenti».- Il Ricreatorio è un luogo d’incontro molto importante non

solo per coloro che fanno parte delle varie associazioni. Che

sensazioni provi nel relazionarti con tante persone, anche di

diverse fasce d’età, che frequentano il Ricreatorio?

«Cervignano è una realtà più grande rispetto a Perteole, dove vivo, ma comunque mi trovo bene a contatto con la gente. Mi aiuta a vincere la timidezza e mi fa sentire utile».- Questo fatto ha cambiato la tua vita?

«Sì. Ero un tipo abbastanza solitario e le uniche amicizie vere che ero riuscito a coltivare erano quelle allacciate all’interno della comunità di Villaregia; il problema è che la distanza non ha permesso di approfondirle. A Cervignano ho trovato quello che cercavo: sono contento delle amicizie che sono riuscito ad instaurare qui in Ricreatorio».

GIULIA BONIFACIO

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aAlta ucinai (si fa sempre per dire…)

VERMICELLI AL RAGÙ DI TRIGLIEPulite e spinate accuratamente, togliendo anche la codina, delle triglie medio-piccole. Quantità a piacere.Scaldate in un capace tegame, dell’ottimo olio sempre extra vergine di olive italiane (non di oli comunitari, in questo caso è scritto in caratteri piccolissimi in qualche parte recondita dell’etichetta), imbionditevi uno spicchio d’aglio che poi toglierete, passatevi le triglie aperte e, ap-

pena rosolate, spruzzatevi del vino bianco. Appena eva-

porato aggiungete della buona polpa di pomodoro, italia-

no, un po’ di prezzemolo, di peperoncino rosso (rifuggite dal micidiale pepe nero) e di origano, questo a seconda del gradimento. Ma almeno un pizzichino, a mio parere ci vuole, molti piatti di triglie al sugo lo richiedono. Aggiu-

state di sale; nel frattempo avete cucinato dei vermicelli che, scolati, verserete nel tegame, rigirateli ino a che si imbibiscano e servite. Buon appetito.

PASSATO E PRESENTE

NON È MAI TROPPO TARDI. Avendo meritato in dise-

gno ‘ornato’ sempre votazioni più vicino allo zero asso-

luto che relativo, mi è tornata alla mente la nota rubrica televisiva dei tempi andati, pronuba la frase allettante e ‘solletichevole’ che descriveva il corso di disegno dell’U-

te: «Come una semplice linea può prendere vita», dovuta, credo, ahi, ahi, alla bravissima docente Anna D’Agosti-

VITA VISSUTA E PRESENTE: NON È MAI TROPPO TARDInis. È la volta buona che imparo a fare le vignette, pensai e, detto fatto, mi presento all’ora stabilita, ad iscrivermi. In quattro e quattr’otto, o meglio in uno ed uno due, gra-

zie alla solerzia ed alla bravura dello staff dell’Ute, passo da una postazione ad una seconda, ed in un battibaleno, rispetto ad alcuni ufici pubblici e privati, mi trovo iscrit-to, munito di tessera, di istruzioni ed informazioni varie. All’ora d’inizio del corso, sono presente convinto di tro-

varmi, rapportandomi al campo calcistico di cui mi è più agevole la terminologia, se non insieme ad ‘amatori’ (non è un’allusione, egregia signora di cui al numero di dicem-

bre, ma una categoria di sportivi che paga per giocare, senza rimborsi spese) o, tutt’al più a dilettanti di terza categoria (Strassoldo e Villa Vicentina) o di Eccellenza (Pro Cervignano). Ma pur sempre dilettanti. Ahimè, me meschino, mi trovo, credetemi, tra Pelè e Maradona, con Zoff, Yashin e Zamora, mitici numeri ‘uno’, Mazzola padre e iglio, Di Stefano, Rivera, Giggggirrriva e Mat-thews che la regina Elisabetta II nominò anche sir, Platini, Cruyff, Beckenbauer, Scirea, Baresi e qui mi fermo. Non solo, la new entry Marco, che si era dichiarato a mio livel-lo, progettava e impostava bonsai e, se ben ricordo, anche mosaici, mentre il simpaticissimo Gianni, subito sciorinò sul banco una quantità di matite più vicina al centinaio che alla cinquantina, aggiungendo: «non sai quelle che ho a casa», che è anche la battuta inale della prima barzel-letta della mia vita che ricordo dai tempi del liceo. (Que-

sta, sì, con palese allusione ma senza parolacce, come costumava un tempo). In conclusione prima del termine della lezione, tema il paesaggio, tutti i supposti ‘amatori’ o dilettanti avevano disegnato un’opera d’arte. Ed io? Mi sono riiutato di consegnare il mio elaborato, declassan-

domi ad ‘uditore’. Non solo, a conferma che l’Italia se non è più terra di santi e navigatori, (vedi Schettino), lo è certamente di artisti, poeti ed attori, ogni ‘opera d’arte’ era accompagnata da poche note di elevato contenuto. Ad Majora.

UN DETTO EVANGELICO AGGIORNATO. Sempre in tema di vita vissuta attuale, il supermercato è un luogo di incontri, in genere piacevoli, di scambi di opinioni e battute varie. Buona questa. Vi arrivo, spesso, sul ilo dell’ora di chiusura e, cercando di farmi ‘perdonare’ dalla simpaticis-

sima signora Dolores, dipendente del negozio, impegnata in varie attività, in un’occasione buttai là: «Beati gli ulti-mi…». «Eh, no – ribadì la Dolores, sorridendo, – al super-mercato beati i primi…»; (certamente mi venne da pensa-

re, perché hanno più scelta, ed accedono a qualche offerta speciale se in quantità ridotta, ma non ne ebbi il tempo), «… perché gli ultimi – proseguì seraicamente la Dolores – saranno picchiati». Non potei darle torto. Buon riso fa buon sangue. La battuta ha fatto il giro e, per quanto mi riguarda, cerco di accelerare il passo e, talvolta, anche di correre.

ALBERTO LANDI

OLTRE LO SP CCHIOEOLTRE LO SP CCHIOEdi Manuela Fraioli

Mercoledì sera sono stata ad ascoltare al Circolo Cerizza il poeta goriziano Giovanni Fierro.Nelle sue poesie Giovanni Fierro parla della quotidianità della sua vita e delle terre in cui questa è radicata:

l’Isonzo, il Carso, San Michele, Caporetto, Gorizia.Luoghi con una storia forte e drammatica, fatta di persone, di culture, di incontri e di guerre.Nelle sue parole è forte il sentimento di appartenenza e il desiderio di raccontare una storia che, per noi friulani, è

TERRE SENZA CONFINEparte della nostra.Durante il dibattito, sorto a termine della lettura, per i partecipanti presenti era dificile igurarsi quanto si possa essere integrati e condizionati da una terra coninante con la propria. Un partecipante in particolare, milanese di nascita, dimostrava quanto fosse dificile per lui capire come si poteva convivere con questo amalgamarsi di persone, terre, lingue e culture. Noi probabilmente non ci pensiamo. La viviamo con normalità e naturalezza. Ho ricordato quando abbiamo accolto i bambini dell’ex Jugoslavia, ho ripensato a come il contatto diretto con chi

la guerra la stava vivendo aveva mosso il mio pensiero e segnatone il ricordo.La nostra è una terra ricca, ricca grazie alle persone che la abitano e che sopravvive alle carenze istituzionali grazie alla storia che racconta.

Giovanni Fierro, “ Il riparo che non ho”, Le Voci della Luna

I Mercoledì del Cerizza grazie a Francesca Genti e Manuela Dago

http://www.facebook.com/groups/124856987567745/

di Norman Rusin

LATTE, MESSAGGIE POSSIBILITÀ

Un uomo che abita a circa 200 passi dal luogo di lavo-

ro e i cui due più grandi piaceri alla ine della giornata di lavoro sono una cassetta di musica pop anni ’80 e un bicchiere di vino della propria vigna, coltivata e costruita con i risparmi di una vita. Lo stesso uomo è l’uomo chia-

ve della multinazionale per cui lavora, e che al momento del tracollo è capace d’inventarsi un movimento inan-

ziario per centinaia di miliardi di lire che porterà al più grande crack inanziario della storia europea del secondo dopoguerra. Si tratta del ragionier Botta, interpretato da Toni Servillo. È lui più di ogni altro il protagonista del Gioiellino (Andrea Molaioli, 2011), un ilm che racconta del tracollo inanziario della Parmalat, che prosciugò le tasche di migliaia di risparmiatori italiani.

Manipolazione delle informazioni a danno dei cittadini, scambio di favori con molti rappresentanti di tutti i partiti politici, 14 miliardi di euro volatilizzati: il ilm di Molaioli,

presentato in questo momento della storia italiana, fa pen-

sare al celebre verso del libro del Qoèlet «non c’è niente di nuovo sotto il sole». (1, 9) Per recuperare la speranza nella possibilità di raddrizzare questo paese rovesciato su un ianco, sedotto e poi abbandonato dai propri comandan-

ti non resta che afidarsi alle parole dell’eterno cowboy: «Tutto ciò che conta ora è quello che ci sta di fronte» dice Clint Eastwood nella pubblicità girata per Chrysler-Fiat.

Nel video di due minuti, l’ottantaduenne attore rilancia uno dei più inluenti miti americani: non importa quante volte cadi, l’importante è quante volte ti rialzi. Il mes-

saggio, costato milioni di dollari al gruppo guidato da Marchionne, è andato in onda durante il Superbowl, il più seguito spettacolo sportivo dell’anno negli Stati Uniti. Si calcola che circa 111 milioni di americani (e almeno un italiano) fossero davanti allo schermo quella sera (con le dita impiastricciate di ali di pollo in salsa piccante).

Secondo Amy Davidson del Newyorker nel messaggio compare un elemento mai visto prima in America: il tem-

po. Eastwood porta alla coscienza degli americani l’idea che il tempo passi, che nulla sia eterno. «Inizia il secondo tempo, America», le parole con cui si chiude il messag-

gio, fanno luce sulle lancette che corrono per tutti, allo stesso modo: ogni cosa ha il proprio tempo, e prima o poi è destinata a inire. Ma inché siamo in campo, si può sem-

pre giocare un ultimo pallone. Tramessa alle soglie della campagna elettorale americana, la pubblicità lascia aperta una lettura politica. E allora questo messaggio americano, con un cuore italiano, potrebbe attraversare l’Atlantico e diffondersi anche nello Stivale? Speriamo. Nel frattem-

po, di pubblicità in pubblicità, non posso fare a meno di pensare al gigantesco tabellone in cui una sensuale Anita Heckberg ossessiona Peppino De Filippo con il messag-

gio: «Bevete più latte! Il latte fa bene!» (Le tentazioni del dottor Antonio, di Federico Fellini in Boccaccio ’70).

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Gabriele D’Annunzio a Cervignano durante la Prima Guerra Mondiale (fonte: http://www.lagrandeguerra.info)

AltritempiAltritempi

Strasburgo, conine franco-tedesco, 5 febbraio 2012.

Meno dieci gradi. Non che ora in Italia faccia molto più caldo, anzi: giù da noi sofia una bora assassina, mi di-cono. Ma anche qui, con l’aria ferma o quasi, si crepa dal gelo. Cosa c’entra il derby Trieste-Udine con me che prendo il gelo a Strasburgo? È presto detto. Mi trovo qui per un mese di tirocinio presso la Corte Europea dei Di-ritti dell’Uomo, organismo che vigila sull’applicazione, nei paesi che vi aderiscono, della CEDU, la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, siglata a Roma nel 1950. Insieme a due compagni della facoltà di Giurisprudenza di Trieste, mi ‘godo’ questa trasferta come ricompensa per la vittoria del «Premio di studio Giuseppe Sperduti», una com-

petizione accademica organizzata ogni anno dalla SIOI, la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale.Il premio è indirizzato a tutte le Facoltà di Giurispruden-

za e Scienze Politiche italiane, e consiste ogni anno nella simulazione di un caso pratico sotto la giurisdizione della Corte di Strasburgo. Mi spiego: gli estensori del bando redigono un caso ittizio, in una materia che tocca i diritti contemplati dalla CEDU, e propongono una situazione di ricorso di fronte alla Corte. Si ha sempre un ricorrente pri-vato, che cita in giudizio il proprio Stato di appartenenza o residenza, che ha l’onere di preparare una difesa.Fra le università che aderiscono, si estrae a sorte chi sosterrà la parte dello Stato e chi quella del ricorrente. Ogni squadra prepara poi una memoria scritta e la invia alla SIOI. Dopo al-

cuni mesi si scoprono i due inalisti, uno per parte processua-

le, che si affrontano in una fase orale (una vera simulazione di un processo), presso la sede della SIOI a Roma, di fronte a una commissione di eminenti professori di tutta Italia.Non lo dico davvero per falsa modestia, ma io e i miei colleghi (studenti solo del secondo anno) avevamo deciso di partecipare al Premio solamente per gioco, o meglio, per imparare qualcosa di utile su come preparare una di-fesa: ma in ogni caso senza alcuna ambizione di vittoria.Quando a settembre fui contattato dalla Segreteria della SIOI che mi comunicava che l’Università di Trieste da noi rappresentata risultava inalista, stavo pitturando casa in canottiera e pantaloncini, e dire che non me l’aspettavo sarebbe riduttivo.Per di più il caso beffardo ci aveva riservato una sorpresa: l’altra inalista sarebbe stata l’Università di Udine. Anche se forse non è il caso di parlare di caso, se mi passate la ripetizione: penso infatti che questo derby, più che opera della sorte, sia il risultato di quello che è l’ottimo livello medio dell’istruzione pubblica della nostra regione. Dato che peraltro è comprovato anche da svariate statistiche dell’Ocse, che da anni pone il FVG ai primi posti in Eu-

ropa per livello della formazione primaria e secondaria.Ma torniamo alla inale: un’esperienza davvero memora-

bile. Alla ine, dopo un’accesa discussione orale, riuscim-

mo a strappare per pochi punti la vittoria: e beffardo è stato davvero il destino che ha fatto sì che io, da friulano, fossi uno dei fautori della vittoria della storica avversaria

Trieste, che è invece mia patria accademica.La parte che dovevamo sostenere era quello dello Sta-

to italiano, citato in giudizio da un gruppo di Rom, che censuravano come discriminatorio una norma italiana sull’accesso ad alloggi di edilizia pubblica. Questo in-

somma il caso ittizio: nel merito, poco da dire, avevamo torto marcio. E se si fosse trattato di una vera udienza, con ogni probabilità avremmo perso, nonostante la nostra gia-

culatoria dialettica e i tentativi di far dichiarare irricevi-bile il ricorso. Ma la commissione della SIOI per fortuna non giudicava il cosa, ma il come: per fortuna!E così grande è stata la soddisfazione nell’essere premiati presso la sede della Società in Piazza Venezia (con vista sul Vittoriale!) da un mostro sacro come Giovanni Conso, presi-dente della SIOI e venerabile giurista, già Ministro della Giu-

stizia e Presidente della Corte Costituzionale. Un novantenne che a metà della cerimonia si alza e annuncia: «Scusate, devo andare un attimo al Quirinale dal Presidente, torno presto», per poi tornare come promesso per i saluti e le foto di rito.Insomma, un’esperienza inaspettata, e che ora mi permette di essere qui nel gelo di Strasburgo, a fare un tirocinio cui molti aspirerebbero. La fortuna non ci è mai venuta meno, questo lo sappiamo, ma da questa esperienza ho imparato qualcosa che prima non credevo fosse vero, perfezionista come sono: e cioè che alla volte capitano occasioni cui non si potrebbe mai essere davvero pronti. Bisogna buttarsi e basta.

MARCO SIMEON

UN DERBY TRIESTE-UDINE... A ROMA!Le finaliste dell’edizione 2011 del Premio di studio G. Sperduti sono state le due università della nostra regione

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la ban a della memoriaGuglielmo Zorzenon, classe 1923, è nato a Belvedere, ha vissuto qui ino al 1950 e poi si è trasferito a Cervignano, a Mossa, a Scodovacca e attualmente vive a Farra d’I-

sonzo, località Mainizza. Ha lavorato come contadino,

come dipendente di una ditta di Torviscosa, e poi è entra-

to nell’ANAS. Di seguito il suo racconto di uno spezzone

della storia di Cervignano.

«A Cervignano la-

voravo come mez-

zadro presso la famiglia Piani, che possedeva molti campi sparsi per il territorio cervi-gnanese. Lavoravo con le regole della mezzadria, quindi vivevo in una casa fornita da loro nel-la piazzetta dove c’è la chiesa di San Girolamo: ancora oggi c’è la casa,

ormai diroccata, dove ho abitato in quel periodo. Molte donne venivano da noi insieme ai bambini, per poter bere un po’ di latte fresco, infatti potevamo tenere degli ani-mali da cortile. Ricordo che quando stavo per sposarmi volevo smettere di lavorare lì, ma serviva un documento per lavorare da qualche altra parte… alla ine sono dovuto andare ino dal sindaco! Anche mia sorella abitava lì ed ha imparato a cucire, faceva la sarta da Pellegrini, un ne-

gozio di abbigliamento, per accorciare o sistemare i vesti-ti dei clienti che compravano qualcosa nel negozio». Pri-ma di questi ricordi cervignanesi, però, ci sono i ricordi del periodo della guerra: «Nei primi mesi del 1943 sono partito da Belvedere per andare prima a Trieste, e poi in Jugoslavia. Ero nel plotone dei mortai da 8, a tiro corto. Mettevo la spoletta per far esplodere il colpo, mi ricordo che al soldato davanti a me tremavano troppo le mani: in effetti era un lavoro pericoloso perché se qualcosa andava storto, ti scoppiava in mano. Io però non avevo più paura perché sapevo che lì morivano tante persone ogni giorno e allora se anche fosse scoppiato… ‘pazienza’. Ricordo un soldato, Scopelitti di Siracusa: aveva un iglio che non aveva mai visto perché non poteva tornare a casa perché là erano già arrivati gli americani. Spesso mi mostrava la foto e si dispiaceva di non poterlo vederlo dal vivo. Un giorno eravamo in un’osteria e bevevamo del vino con l’aranciata. C’era una collina dove si vedeva una casa vecchia; io ero di schiena rispetto alla collina, un altro

GUGLIELMO ZORZENON di Soia Balduccisoldato era di lato e Scopelitti di fronte. Nell’abitazione c’erano dei cecchini partigiani che hanno sparato verso di noi e Scopelitti è morto tra le mie braccia». Un altro ricordo: «per un periodo dormivamo in un castel-lo, ma per entrare dovevamo passar davanti alla casa di un contadino. Io ero già malato da un po’ e dentro la casa c’era un vecchio a cui donavo le mie sigarette: per que-

sto motivo mi avevano preso in simpatia e mi volevano

militari di 16 anni o poco più che erano stati chiamati fuori e uccisi a bruciapelo.Una volta giunto a Opicina sono stato tradito da un ita-

liano. Al mio arrivo c’erano un tedesco e un fascista ita-

liano; quest’ultimo mi ha indirizzato verso dove c’erano quelli destinati al campo di concentramento in Germania. Invece la Croce Rossa mi ha salvato proprio perché avevo la pleurite, e quindi la febbre molto alta, mangiando sten-

tatamente da settimane (mi ero trovato costretto a man-

giare anche lumache). Ricordo che alle 5.40 sono partiti i sani e alle 6.40 i malati. Ma siamo rimasti lì in tre, tra cui io. Un tedesco ci diceva –Raus! intendendo che la Croce Rossa era già passata. Successivamente ci hanno messo su una branda e caricati su una camionetta, in cui ho detto all’autista che conoscevo una famiglia a Trieste dove po-

tevano portarmi. Anche gli altri due miei compagni sono stati accolti in un seminario, inché sono stati recuperati dalle famiglie. Uno dei due era di Padova e ha detto che sarebbe subito andato a fare una preghiera a Sant’Anto-

nio. Quando sono tornato a casa, mio papà mi ha fatto portare a Grado in ospedale e il dottore mi ha detto che ero molto malato. Dopo la mia guarigione avevo due scel-te: prendere le armi o lavorare per i tedeschi, avevo già le carte e infatti ho lavorato per la TOT per due anni».

DA UN’IDEA IL PRESEPE. DAL PRESEPE UN IMPEGNO

bene, mi hanno portato a casa, mi davano da mangiare e da bere…mi avevano preso come un iglio anche se era-

vamo uno contro l’altro, perché avevano capito che non volevo fare del male a nessuno. Dopo l’armistizio mi hanno portato su un camion senza telo, solo con le sponde. Io ero malato e non sapevano come sistemarmi, inché hanno deciso di mettermi in uno scatolone, legato in un angolo del camion. Il nostro mez-

zo di trasporto, però, è stato sequestrato dai partigiani che volevano tutto il carico, quindi ho continuato a piedi e ho incontrato un gruppo di soldati jugoslavi che mi hanno preso in simpatia e mi hanno accompagnato verso l’Italia. Ricordo che ero per terra, malato, con la barba lunga e mi hanno puntato un faro in faccia, urlando «italiano? con il Re o con Mussolini?». Se avessi risposto “Mussolini” il mitra sarebbe già stato pronto a sparare. Questi soldati volevano aiutarmi perché avevano capito la mia condizio-

ne e mi hanno portato in una famiglia che mi ha accolto e mi ha sfamato per qualche giorno, inché mi hanno afida-

to a un altro gruppo di soldati e via via mi avvicinavo al conine con l’Italia. Ricordo un partigiano jugoslavo, pa-

dre di due iglie, che mi ha detto che gli avevano bruciato tutto e che non possedeva più niente. Inoltre devo dire che io mi sono salvato sia perché ero malato, sia perché non avevo mai espresso opinioni in modo avventato; chi si di-mostrava più spavaldo contro i soldati jugoslavi lasciava subito la pelle, infatti mi ricordo che c’erano dei giovani

Comprendo che parlare di Presepe alla soglia della quare-

sima può sembrare fuori tempo, ma prima non ho ritenuto farlo per scaramanzia: in tutta sincerità non ero sicuro che ce l’avremmo fatta.Mi riferisco al Presepe che è comparso nel periodo na-

talizio all’interno del nostro Duomo. Vi racconto la sua storia. Come spesso accade, tutto nasce quasi per caso da un’idea che accende una passione, che contagia un grup-

po di amici che poi ne fanno una sida da vincere a tutti i costi e che alla ine riempie i cuori di soddisfazione e di buoni proposti per il futuro.Da lungo tempo tra gli amici che ogni anno si ritrovano per allestire un piccolo carro di Carnevale ricorreva l’i-dea di riprendere con impegno la tradizione del presepe che si era un po’ spenta a Cervignano. E così alla ine del-la scorsa estate, presa la decisione, ci siamo avventurati nell’impresa. In effetti rispetto alle più famose e blasonate realizzazioni conosciute avevamo una dificoltà in più: la mancanza di una localizzazione stanziale. Infatti ha assorbito molte energie e condizionato molte

scelte la necessità di realizzare una struttura modulare e trasportabile, ma fortunatamente la disponibilità di un posto dove poter lavorare ed una buona dose di spirito di adattamento hanno contribuito a risolvere brillantemente il problema. Anzi, ha permesso a chi ha partecipato di forma-

re un gruppo, di esprimere abilità diverse, ma anche diver-se sensibilità, contribuendo ad accrescere una comune pas-

sione che ha saldato ancor più amicizie vecchie e nuove.Dal progetto iniziale al risultato inale, ciò che si vole-

va esprimere non doveva suscitare stupore, meraviglia o soggezione, ma trasmettere emozioni, rendere visibile la presenza di un Dio che si fa bimbo in mezzo agli uomini.In effetti proprio chi lo ha realizzato è stato il primo a coglierne difetti e spazi di miglioramento. È ben chiaro quali siamo le modiiche ha apportare, ma sono anche diverse le idee per una futura evoluzione, che ha tutto il sapore di un impegno per gli anni a venire.È un impegno che ci prendiamo, ma anche un’apertura al contributo di chiunque voglia cimentarsi nell’impresa: al prossimo Natale.

GIUSEPPE ANCONA

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la f inest ra sul ort ileSemplici occhiate buttate qua e là

di Simone Bearzot

Nota introduttiva: il seguente articolo è volutamente e spudoratamente celebrativo di concetti e situazioni retrò e riconducibili a un Piccolo Mondo Antico che probabil-mente esiste solo nella mente dell’autore. Fatti e persone sono reali ma vistosamente romanzati.Varennes-Vauzelles non ha grandi motivi per essere ri-cordata o citata. Il nome rimanda vagamente a un cavallo che un tempo vinceva gare su gare e che oggi si dedica ad altre faccende più triviali e divertenti. Per il resto, si tratta di una semplice cittadina nel mezzo della Francia, senza particolari pregi. In questo paesino c’è un albergo. Non è un albergo nor-male, però. Sembra uscito da un tempo antico. Ci sono capitato un po’ per caso, dopo una settimana passata tra tristi palazzine simili a motel da hard-boiled americano e strutture postmoderne dove tutto si apre con una chiave-

tesserina e una serie di codici. L’albergo è una vecchia casa colonica, qualcuno sostiene si tratti del vecchio castello del paese. Non un castello che spicca, in ogni caso. Però il resto è uno spettacolo. Il resto sono il Vecchietto e la Vecchietta. Anzi, la Vecchiet-ta e il Vecchietto, in rigoroso ordine di importanza. Come tutte le cose che funzionano su questa Terra, difatti, a co-

mandare è lei, senza ombra di dubbio. La Vecchietta è la strega cattiva di Biancaneve, solo in versione buona e sorridente. Ha la faccia segnata dalle rughe come un capo sioux, i capelli grigi raccolti in due trecce, una veste sobria addosso. Unica concessione alla femminilità, lo smalto rosso sulle unghie delle mani. Si muove veloce per l’androne come un’ape operosa. Dopo giorni di impersonalità alberghiera e fredde mac-

chine-da-reception, l’accoglienza della Coppia è un’epi-fania. Chiedono com’è andato il viaggio, mi accompa-

gnano alla stanza, si premurano di telefonare al ristorante più vicino per riservarmi un tavolo, scusandosi allo stes-

so tempo per l’assenza di un bistrot nell’albergo. La chia-

ve è di metallo, pesante; i mobili di legno scuro. La mattina seguente sono lì, nell’androne. Mi ricorda-

no la regina Elisabetta e il principe Filippo: lei un passo avanti, a dirigere le operazioni con stile e qualità. Lui un passo indietro, a sorridere, fare qualche banale com-

mento mattutino e cercare di limitare i danni e le gaffes. Portano in tavola cioccolata calda, pane fresco e delle piccole marmellate, di quelle col tappo a quadri rossi e bianchi tipo tovaglia. Ciliegie e arance amare. Ci voleva proprio.

LE SUORE DI SAN GIUSEPPE: una presenza importante nella nostra comunità

Lo scorso 20 giugno 2011 Cervignano si è arricchita di una presenza molto importante che certo non passa inosserva-

ta: dal Kenya sono arrivate Suor Veronica, Suor Petronil-la e Suor Maria, tre sorelle dell’ordine di San Giuseppe di Mombasà. Quest’ordine fu fondato nel 1938 in Kenya nella diocesi di Mombasà dal vescovo missionario John Hefferman insieme alle suore missionarie del “Sangue prezioso” in particolare da Suor Amodea, madre superiore e suora missionaria tedesca, per rispondere a un esigen-

za che in quegli anni si stava facendo sempre più urgente, cioè avere un aiuto spirituale per la gente del posto, un aiu-

to che fosse “familiare” cioè che capisse la lingua, gli usi

e le tradizioni locali e potesse al meglio sostenere le per-sone in dificoltà economica e spirituale. Mombasà è una città con una forte presenza cristiana ma anche islamica. L’ordine prende il nome dalla igura di Giuseppe in quanto lo stile di vita delle suore rispecchia quello del falegname di Nazareth: vita semplice, di servizio e di preghiera. San Giuseppe è anche il patrono di Mombasà.Oggi l’ordine consta di 270 suore locali; la maggioran-

za di queste operano in Kenya, solo alcune di loro sono missionarie in terra d’Africa, Tanzania, in America ed in Europa nella quale ci sono tre comunità: una a Vienna, una a Latisana (dal 2005) e una a Cervignano dal 2011. La comunità delle suore qui a Cervignano è stata voluta dal Parroco Don Dario, in quanto una realtà parrocchiale come la nostra sentiva l’esigenza di una presenza così particolare, che potesse aiutare i sacerdoti nell’evangeliz-

zazione e nel sostegno di tutti i parrocchiani.Così il 20 giugno 2011 è nata questa comunità formata attualmente da tre sorelle:

Madre superiora locale è Suor Veronica, nata in Kenya a Nairobi il 29.09.1971, primogenita di 9 fratelli. Ha soste-

nuto e concluso gli studi a Nairobi, ed è stata consacrata nel 1995 a Mombasà nella casa madre. Il suo primo incari-co è stato di aiuto nella scuola di formazione, poi nel 1997 si è trasferita in una parrocchia del nord-est del Kenya. In questi anni ha sostenuto il diploma di “educazione/religio-

ne” che l’ha portata nel 2000 a lavorare nelle scuole catto-

liche in Kenya per promuovere la religione. Nel 2003 ha fatto i voti perpetui a Mombasà; per due anni era incaricata

dell’uficio pastorale dell’arcidiocesi di Mombasà, prima di partire missionaria in Italia nella parrocchia di Latisana nel 2005. Il 20 giugno 2011 è arrivata nella nostra comuni-tà e il suo incarico attuale è di aiuto pastorale, in particolare nell’ambito degli anziani, ammalati e nella catechesi.

Suor Mary Immaculate (Suor Maria) nata il 27.06.1960 a Kisumu, penultima di 13 fratelli; ha sostenuto e concluso gli studi in Kenya. Consacrata nel 1991 a Mombasà ha pre-

stato servizio per diversi anni in molte parrocchie o comu-

nità keniote come catechista e sacrista: a Nairobi 1991-92, a Malindi ino al 1994. Torna alla casa madre a Mombasà nel 1998 dove va in diverse parrocchie a esercitare il suo mi-nistero, nel 2007 viene trasferita in Tanzania ino al 2011, quando insieme alle sorelle dell’ordine di San Giuseppe ar-riva a Cervignano. Il suo incarico è nell’ambito della cate-

chesi, della liturgia e aiuto-assistente dell’Azione Cattolica.

Suor Petronilla, nata il 04.08.1984 a Mombasà, seconda di 8 fratelli; ha seguito e concluso gli studi a Mombasà compresa la specializzazione di 3 mesi in informatica. Consacrata nel 2007, l’anno dopo viene mandata in Tan-

zania come catechista e sacrestana in alcune parrocchie delle diocesi; nel 2009 torna alla casa madre a Mombasà per poi arrivare a Cervignano il 20 giugno 2011 insieme a Suor Maria e Suor Veronica. Il suo ruolo pastorale qui a Cervignano è nell’ambito della catechesi, insegnante nell’asilo parrocchiale “Maria Immacolata” e aiuto-assi-stente nel gruppo dell’AGESCI.

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VOLLEY: L’AUSA PAV CAMPIONE REGIONALE UNDER 18LA SUA STORIA, FINO ALLA VITTORIA

LABORATORIO CREATIVO ALLA SCUOLA DELL’INFANZIA

‘MARIA IMMACOLATA’

La squadra si è formata nel 2005 e ha cominciato la sua attività partecipando al doppio campionato provinciale under 13 misto, del quale ha vinto il girone del Trofeo Friuli, e regionale under 14. Considerato che per la maggior parte degli atleti era in assoluto la prima esperienza pallavolistica, non avendo partecipato al minivolley, l’inizio è stato sicuramente po-

sitivo.Di questa prima compagine facevano parte: Mennillo, Soranzo, Resta, Russillo e Fa-

brissin, tutti del 1994, Paviot, Rizzi e R. Pellizzari del 1993, S. Pellizzari e Villani del 1995, Grendene, Leone e Scarel del 1992.L’anno seguente, usciti dalla rosa per limiti d’età i giocatori del 1992, il gruppo rima-

nente prende parte nuovamente al campionato di under 14 regionale, non sigurando assolutamente al cospetto di formazioni molto più titolate.Nel campionato 2007/08, forti dell’esperienza maturata nelle due stagioni precedenti, i ragazzi di Cervignano si classiicano al 3° posto regionale assoluto. A questo punto fanno parte della squadra gli atleti del 1994 e del 1995.La loro prima volta nel campionato under 16, porta il secondo posto provinciale ed il quinto regionale: comincia la maturazione del gruppo a cui si unisce Luca Salice.Sei degli atleti sono chiamati a far parte della Rappresentativa Provinciale under 15 di Udine che va a vincere il Trofeo delle Province 2009: Nunzio Mennillo risulterà miglior schiacciatore e Stefano Soranzo miglior palleggiatore della manifestazione.

Saranno sempre loro a far parte della Rappresentativa Regionale under 16 partecipante al Trofeo delle Regioni 2009.Nel secondo anno di under 16 la squadra di Cervignano si classiicherà al secondo posto Provinciale e Regionale. Mennillo e Soranzo ancora convocati in Rappresentativa Regionale.L’anno seguente, 2010/2011, vede l’Ausa Pav impegnata nel campionato di under 18 con un onorevole 4° posto regionale inale e cam-

pione Provinciale.Gli stessi ragazzi impegnati nell’under 18, con un paio di inserimenti, disputano il campionato regionale di serie C, per fare esperienza per il futuro.L’esperienza si sa, serve sempre. È così che quest’anno arriva il primo titolo regionale per la società di Cervignano: di fronte al pubblico delle grandi occasioni il 6 gennaio 2012 i magniici 12 dell’Ausa Pav si sono laureati campioni regionali under 18.Dopo un campionato sempre in testa, i ragazzi al V.B. Gemona lasciano la leadership della regular season all’ultima gara. Scaramanzia? Dicono che chi vince la regular season non vince il titolo…Ha vinto il gruppo, la volontà, la determinazione: ma anche la tecnica e la tattica. Gli atleti del coach Michaela Cecot non sono certamente i più isici del campionato, ma fra di loro c’è una “magia” che solo chi ha sperimentato può capire: molte volte nello sport di squadra non vince chi ha il talento assoluto tra le proprie ila, ma chi riesce nelle occasioni importanti a “mettere giù” il punto decisivo.Ecco questo è successo ai ragazzi dell’Ausa Pav che, fra ricambi generazionali, uscite di scena e nuovi arrivi, hanno sbaragliato la con-

correnza.Meritano di essere tutti elencati in stretto ordine alfabetico: Brunato, Cordenos, Di Biase, Gerdol, Meneguzzi, Mennillo, S. Pellizzari, Resta, Russillo, Salice, Soranzo, Tardivo.

LIVIO NONIS

Carta velina e poco altro. Materiali ‘poveri’, anche di riciclo: sono questi i mezzi da cui Carmen Dorigo (la signora con la camicia a quadri al centro della foto) trae le sue creazioni.Creativa di chiara fama e da anni formatrice nella didattica delle attività manipolative, la signora Dorigo è stata invitata dalle maestre della nostra scuola dell’infanzia par-rocchiale a tenere un laboratorio a Cervignano.L’incontro, cui hanno partecipato maestre di varie scuole della zona e non solo, si è svolto presso la scuola dell’infanzia alla ine dello scorso ottobre. Si è trattato di un’occasione per molte educatrici di apprendere nuove tecniche da applicare anche con i bambini, per stimolare la loro fantasia e creatività: nella foto, le partecipanti con i iori di carta velina, vero cavallo di battaglia di Carmen Dorigo.

MANDI LUIGINOLo scorso gennaio è mancato Luigino Saggin,

per molto tempo collaboratore del Ricre. Lo ricordiamo così.

Quante volte abbiamo visto Luigino aprire il campo da calcio del Ricreatorio per far giocare i bambini e ragazzi, quante volte li guardava e stava attento che non si facessero male, quante volte li ha richiamati e sgridati per il loro comportamento a volte scorretto, per le bestemmie, per i danni che facevano insegnando loro il rispetto per l’altro e per il luogo che stavano frequentando, l’educazione e lo stare insieme con gli altri… Signore, nel suo piccolo e a suo modo Luigino è stato con i più piccoli, li ha aiutati, accolti e voluto bene nono-

stante le incomprensioni che a volte potevano nascere. Tu Signore, che ci inse-

gni e dici: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me», accogli Luigino nel tuo Regno e donagli la giusta ricompensa nei cieli, la felicità eterna che solo con Te può ottenere.

Grasie Luigino, grasie pal to prezios servisi in ricreatori. Tu ses stat il guardian dal ciamp di balon, ma soredut il nestri guardian, il custode dei bambini, ra-

gazzi, giovani e adulti che frequentano e lavorano nel nostro ricreatorio. Ci hai fatto compagnia nei pomeriggi meno affollati, ci hai fatto ridere, ci hai aiutato ad aver cura delle persone e della struttura del ricre. Tu ses stat un di no.

GLI AMICI DEL RICRE

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tCervignanesi nella storiadi VANNI VERONESI QUINTA PUNTATA

Un cervignanese protagonista dell’Unità d’Italia

«All’alba partenza da Quarto»: la prima volta che lessi questa frase ero in quinta elementare. Ricordo perfetta-

mente dove: era una scheda di approfondimento del mio sussidiario, chiamato Moduli in primo piano. Questa fra-

se, appunto, mi è rimasta impressa: era l’inizio del Diario

della spedizione dei Mille di Ippolito Nievo. Molti anni dopo avrei scoperto che in realtà recitava diversamente: «Maggio, 6. All’alba partenza da Genova», ma fu appun-

to dal rione di Quarto che partì la Spedizione dei Mille.La premessa è d’obbligo: nell’articolo che state leggendo, c’è una fetta non trascurabile della mia personalità. Per-ché, lasciatemelo dire, siamo tutti d’accordo che quello degli Asburgo fu un impero illuminato... e se è per que-

sto qualche mio avo morì, nella Prima Guerra Mondiale, combattendo con (e per) la divisa austriaca, ma le mie passioni sono tutte rivolte verso il Risorgimento e, quindi, l’Italia. Nel 2008, le Edizioni della Laguna diedero alle stampe, grazie anche al contributo dell’Associazione ‘Cervignano Nostra’, un saggio di Alessandra Rea: Uno fra Mille. Vita

di Cesare Michieli garibaldino. Un libro appassionante e allo stesso tempo esemplare nella ricerca delle fonti: un ritratto interessante di un cervignanese che fece parte del-la celebre Spedizione dei Mille. Non sapevo nulla di lui; da allora, sono ancora più legato alla mia città: perché di Cesare Michieli dobbiamo andare orgogliosi.

Una vita avventurosa

Il 6 settembre 1838 a Campolongo al Torre nasce Cesare Augusto Daniele, iglio di Tomaso Michieli e Giuseppi-na Zuccari. Campolongo, così come Cervignano, è com-

presa nei territori friulani sotto il controllo dell’Impero Austro-ungarico, ma la famiglia Michieli è iloitaliana: anche da noi si respira aria di Risorgimento. Un fatto le-

gato alle élite borghesi? Certo, ma fu così in tutta Italia: né questo può sminuire il peso di un evento epocale, forse l’unico evento di cui gli Italiani siano stati protagonisti e non soggetti passivi. Cesare frequenta il liceo classico di Udine; in città sog-

giorna spesso presso la casa di Paciico Valussi, grande giornalista e attivista risorgimentale. Al termine degli studi liceali si iscrive all’Università di Padova: Scienze Fisiche e Matematiche. Si trasferisce poi a Pavia, ateneo fervente di italianità, dove la presenza, alcuni decenni prima, di Ugo Foscolo ha lasciato un segno indelebile. E intanto la Storia procede. Ѐ l’aprile del 1860 e a Ge-

nova Giuseppe Garibaldi sta riunendo un folto gruppo di volontari per tentare un’impresa ai limiti del possibile: invadere il Sud Italia, annientare i Borboni e annettere il Meridione al Piemonte, magari puntando dritto verso Roma. Cesare prende dunque una decisione, all’insaputa dei genitori: si arruola fra i futuri Mille che daranno vita alla celebre Spedizione. Il 6 maggio del 1860 è il gran giorno: «All’alba partenza da Quarto», per l’appunto. L’11 maggio i Mille sbarcano a Marsala, in Sicilia: cominciano così le pagine emozio-

nanti che tutti abbiamo letto sui libri. A Calataimi, Cesare prende il comando della sua compagnia al posto del capi-tano, morto in battaglia; a Palermo entra per primo in cit-tà, con sessanta studenti di Pavia al seguito; il 27 maggio è protagonista della battaglia del ponte dell’Ammiraglio; a Milazzo, il 20 luglio, viene ferito a una mano, ma fortu-

natamente non è nulla di grave; l’8 agosto è fra i 130 va-

lorosi che passano lo Stretto di Messina per puntare verso Reggio Calabria ed espugnare Forte Cavallo; a ottobre viene nominato luogotenente del Corpo dei Volontari del I Reggimento Bersaglieri Garibaldi e nello stesso mese viene ferito da una scheggia di bomba nella sanguinosa battaglia del Volturno. Ma oramai la Spedizione è inita, con enorme successo: il Sud è parte di un nuovo regno. A Teano, Garibaldi saluta Vittorio Emanuele II «Re d’I-talia», consegnandoli il Meridione. A dicembre il Corpo dei Volontari viene sciolto: Cesare può tornare agli studi e così si laurea a Parma in ingegneria. Ma i suoi ardori non sono spenti: c’è ancora il suo Nord-Est da annettere all’I-talia, c’è ancora Roma, c’è ancora Trento... Per questo, si iscrive alla Scuola di applicazione d’artiglieria a Torino, dove si diploma con il grado di sottotenente d’Artiglieria.

Il ritorno in Friuli e la Terza Guerra d’Indipendenza

Nel 1866 Cesare ha già ottenuto la cittadinanza del Regno d’Italia, anche se continua a vivere in territorio austriaco: tuttavia, qualcosa si muove. Per continuare l’opera di uni-icazione, perso l’aiuto della Francia, la neonata Italia si allea con la Prussia contro il nemico comune: l’Austria. Ne nasce la cosiddetta Terza Guerra d’Indipendenza, che però inizia malissimo per lo stato savoiardo: Cesare sente che è ora di agire e così si arruola il 3 giugno a Firenze, ancora sotto Garibaldi, e viene nominato Luogotenen-

te nel Terzo Reggimento Volontari Italiani. Viene ferito nell’assalto del monte Suello il 6 luglio, ma continua a comandare la sua truppa ino all’attacco inale e alla con-

quista della posizione. La Terza Guerra d’Indipendenza si conclude meglio del previsto: nonostante l’Italia abbia perso contro l’Austria, la vittoria schiacciante dell’alleata Prussia garantisce ai Savoia il dominio sul Veneto dopo il trattato di pace.

Gli ultimi anni e la morte

Il 1866 segna, però, un cambiamento nella vita di Cesare Michieli: quella al monte Suello è la sua ultima battaglia. Si ritira dunque nella Bassa Friulana per curare gli inte-

ressi delle sue terre: si sposa a Gorizia il 5 febbraio 1877 con Emilia Ursula Carolina Marizza. Il perché di questo

ritiro è misterioso, ma c’è chi ha avanzato l’ipotesi di una disillusione politica: una delusione provocata dalla piega autoritaria del nuovo stato unitario, traditore degli ideali repubblicani e libertari per i quali lo stesso Cesare aveva combattuto. Un sentimento comune a molti patrioti: chi ha visto il ilm Noi credevamo, eccezionale capolavoro di Mario Martone, sa di cosa parlo. Il 19 ottobre 1889, Cesare si spegne a Cervignano nella Casa Lenassi, accanto alla Chiesa di S. Michele Arcange-

lo, dove oggi una lapide posta dall’Associazione ‘Cervi-gnano Nostra’ ne ricorda la presenza. La sua tomba, nel cimitero di Gorizia, giace in stato di abbandono: spetta a noi tutti mantenere viva almeno la memoria storica di Cesare Michieli.

CESARE MIChIELI

Foto 1.

“Fede di nascita e di battesimo”

di Cesare Michieli (6 settembre 1838).

Dal gruppo Facebook di Artemisia Eventi.

Foto 2.

Fotografia di Cesare Michieli

(dal gruppo Facebook di Artemisia eventi).

Foto 3.

Alessandra Rea, Uno fra Mille. Vita di Cesare

Michieli garibaldino, Mariano del Friuli 2008.

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