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Alle sorgenti della missione: leucaristia Nella vita consacrata non si tratta solo di seguire Cristo con tutto il cuore [...] ma di vivere ed esprimere ciò con ladesione «conformativa» a Cristo dellintera esistenza, in una tensione totalizzante [...] Alla Chiesa sono necessarie persone consacrate le quali, prima ancora di impegnarsi a servizio delluna o dellaltra nobile causa, si lascino trasformare dalla grazia di Dio e si conformino pienamente al Vangelo. (Vita consecrata 16.105)

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Alle sorgenti della missione:

l’eucaristia

Nella vita consacrata non si tratta solo di seguire Cristo

con tutto il cuore [...] ma di vivere ed esprimere ciò

con l’adesione «conformativa» a Cristo

dell’intera esistenza, in una tensione totalizzante [...]

Alla Chiesa sono necessarie persone consacrate

le quali, prima ancora di impegnarsi a servizio

dell’una o dell’altra nobile causa,

si lascino trasformare dalla grazia di Dio

e si conformino pienamente al Vangelo.

(Vita consecrata 16.105)

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Conformazione eucaristica a Cristo e la missione come

il cuore dell’identità e della missione di ogni consacrato

La pagina eucaristica di Mc 14,22-25:

attorno al mistero del “pane spezzato”

i discepoli di ieri

e i consacrati di oggi sono spinti

in un cammino di conformazione al Maestro. 22

Mentre ancora mangiavano, egli prese il pane, lo benedì, lo spezzò

e lo diede loro dicendo: «Prendete! Questo è il mio corpo». 23

Poi

prese un calice, lo benedì, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24

Egli dis-

se loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti. 25

In

verità vi dico che non berrò più del succo della vite fino al giorno in

cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,22-25).

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Quattro “racconti dell’istituzione” dell’eucaristia:

Mt 26,26-29; Mc 14,2-25; Lc 22,14-20; 1Cor 11,23-26.

I racconti dell’istituzione

non sono la cronaca

o il reportage in diretta dell’ultima cena,

rispecchiano il modo in cui le prime comunità cristiane

hanno fatto memoria del mistero pasquale cioè:

non intendono descrivere in dettaglio ciò che Gesù ha fat-

to nella notte in cui si è consegnato totalmente al Padre

riflettono la celebrazione che i discepoli di Gesù compi-

vano in obbedienza al comando del loro Maestro, fin dai

primissimi tempi della storia della Chiesa.

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I racconti evangelici dell’istituzione dell’eucaristia

sono inseriti nella più ampia narrazione della passione.

Essi sono ambientati nel corso

della drammatica notte in cui Gesù fu tradito.

Nella Prima lettera ai Corinzi invece

Paolo parla dell’istituzione dell’eucaristia

richiamando i credenti per il modo

in cui si comportano

quando si riuniscono per la “cena del Signore”.

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Triplice sfondo dell’ultima cena

La comunità

I gesti e le parole di Gesù sottolineano molto questo aspetto.

Non siamo di fronte a un rito personale, ma a una celebrazione

fortemente comunitaria, dove la relazione tra i discepoli e il

Maestro si carica di intimità. Gesù sente il bisogno di racco-

gliersi con i suoi in un dialogo intimo, denso, che esprime la

consegna di se stesso.

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Il tradimento e il rinnegamento

Nonostante la gratuità e l’amore espressi dai gesti e dalle parole

di Gesù, la cornice concreta attesta la presenza di un tradimen-

to e la prossimità di un rinnegamento di Pietro e della fuga ge-

nerale.

Tutto resta esposto alla possibilità di un “no” da parte dell’uomo.

Questo rende drammatica la cornice del racconto,

ma fa anche risaltare la gratuità del dono di Gesù.

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La prossimità della pasqua

La notte dell’ultima cena viene collocata su due sfondi diversi

dai Sinottici e da Giovanni. I sinottici fanno coincidere l’ultima

cena con la notte della pasqua (memoria dell’esodo, dopo il

sacrificio degli agnelli al tempio).

Giovanni registra tutto come anticipato di un giorno, slegando

l’ultima cena dalla notte pasquale. Dietro ogni racconto c’è una

precisa teologia che veicola un diverso messaggio.

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I testi di Mc 6,30-52 e 14,32-42, in punti differenti del racconto,

anticipano e completano il mistero enunciato nell’ultima cena,

mantenendo un profondo nesso con la pagina di Mc 14,22-25.

I due testi ci aiutano a comprendere

cosa implichi per Marco

il tema della conformazione

e quale sia il cammino

che attende i discepoli

per raggiungere tale scopo.

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Le provocazioni “missionarie” di Mc 6,30-52

Mc 6,30-52 si trova all’interno di una sezione più ampia,

conosciuta come la “sezione dei pani” (Mc 6,6b – 8,26).

La sezione si apre con l’invio dei Dodici in missione, dalla qua-

le questi rientrano entusiasti e “carichi”: hanno invitato la gente

alla conversione, scacciato i demoni, unto di olio molti infermi

fino a guarirli (Mc 6,12-13).

Mentre i Dodici erano in cammino, Mc ha narrato il martirio

del Battista (Mc 6,14-29). Vi è un nesso con l’inizio del mini-

stero pubblico di Gesù che si era aperto sullo sfondo dell’arresto

di Giovanni: «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nel-

la Galilea predicando il Vangelo di Dio [...]» (Mc 1,13).

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Lo stesso si verifica per i discepoli: la loro missione si apre

mentre il Battista viene messo a morte.

«Andiamo in disparte!»: Mc 6,30-33

30 Gli apostoli si radunarono presso Gesù e gli riferirono tutto

ciò che avevano fatto e ciò che avevano insegnato. 31

Egli disse

loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un

poco». Infatti quelli che venivano e andavano erano così nume-

rosi che non avevano neppure il tempo di mangiare. 32

Perciò in

barca si diressero verso un luogo solitario e appartato; 33

ma

molti, avendoli visti partire, compresero e a piedi, da tutte le cit-

tà, accorsero in quel luogo e giunsero prima di essi.

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Al ritorno degli apostoli, Gesù li invita altrove:

«Venite in disparte (kat’idían),

in un luogo solitario (èrēmos tópos),

e riposatevi un poco (anapaúō)» (Mc 6,31).

C’è una necessità di spazio di «riposo» con il Maestro.

In Marco, Gesù si ritira con i suoi discepoli

(cf. Mc 4,10.34; 7,17; 9,28; 10,32)

volendo evidenziare un suo insegnamento.

I Dodici «gli riferirono tutto ciò che avevano fatto e ciò che a-

vevano insegnato» (6,30), ma Gesù non lo commenta; li invita

a prendere un tempo di riposo. Marco spiega: «infatti, quelli

che venivano e andavano erano così numerosi che non avevano

neppure il tempo per mangiare» (Mc 6,31, cf. Mc 3,20; 4,1).

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Il ritirarsi di Gesù in questo caso non è una presa di distanza

nei confronti della folla. Il Gesù di Marco, in genere, è molto

“attento” ai bisogni di chi lo segue.

In Matteo, il tema del «riposo» è al centro di una pericope, pro-

pria all’evangelista, nella quale Gesù, rivolgendosi a chi lo cir-

conda, dichiara:

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ri-

storerò (anapaúō). Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate

da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro (aná-

pausin) per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio

carico leggero»

(Mt 11,28-30)

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Il «riposo» che Gesù offre ai suoi in Matteo

viene associato all’immagine di un «giogo»

di cui i discepoli sono chiamati a farsi carico,

accanto al Maestro.

Tradizionalmente si vede nel giogo (xygós) di Gesù

la nuova Legge da lui annunciata

che dà una configurazione nuova

ai comandamenti della Legge ebraica.

Gli scribi e i farisei impongono pesanti fardelli sulle spalle della

gente, senza toccarli nemmeno con un dito (Mt 23,4).

Gesù condivide la propria esperienza con il Padre

e porge questo giogo a chi lo segue assicurando

che esso non affatica ma infonde ristoro al cuore.

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Nel brano marciano, la logica del racconto

dà un risvolto illuminante al tema del riposo:

Gesù chiama in disparte i Dodici perché possano beneficiare di

uno spazio di ristoro, ma l’invito si traduce subito in una serie

di indicazioni preziose perché i discepoli imparino

ad assumere fino in fondo il “giogo” della folla.

La gente numerosa ricerca Gesù fin dalla prima giornata di Ca-

farnao. Marco insiste sulla crescita impressionante di quanti si

mettono sulle orme del Maestro (1,32-33.45; 2,1-2; 3,7-10.20).

Rimasta sola sulla riva del lago,

la folla si muove alla ricerca di Gesù e si reca in fretta

sul punto in cui è prevedibile il suo sbarco (Mc 6,33).

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Gesù si rende conto dell’enorme bisogno che la gente manife-

sta nei suoi confronti e non solo se ne fa carico, ma invita i di-

scepoli a fare altrettanto, in continuità con l’esperienza mis-

sionaria appena vissuta.

Il giogo non è solo l’assunzione di una Legge nuova,

ma anche di una logica diversa,

destinata a segnare le relazioni quotidiane

e soprattutto il ministero apostolico.

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La “verità” della missione: Mc 6,34-36

34 Sbarcando, egli vide una grande folla e ne ebbe pietà, poiché

erano come pecore che non hanno pastore. Allora incominciò ad

insegnare loro molte cose; 35

ma, essendosi fatto molto tardi, i

suoi discepoli gli si avvicinarono e gli dissero: «Il luogo è soli-

tario ed è già molto tardi. 36

Congedali, affinché vadano nelle

campagne e nei villaggi all’intorno e si comprino qualcosa da

mangiare».

Marco presenta la reazione di Gesù allo sbarco:

– Egli, in primo luogo, «vede»;

– poi quel suo sguardo suscita un sentimento di

profonda commozione (esplanchnísthē) e condivisione.

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È il vocabolario tecnico della maternità: Gesù si sente

stringere le viscere dalla compassione perché la folla è

come «un gregge senza pastore» (Mc 6,34).

L’immagine rievoca l’AT: situazioni in cui Israele si è ri-

trovato in balìa del potere altrui o di pessime guide

(cf. Nm 27,17; 1Re 22,17; 2Cr 18,16; Gdt 11,19).

– In Marco, i pastori sarebbero da identificare con le autori-

tà religiose oppure (!) con i discepoli stessi.

– I discepoli hanno raccontato quanto hanno fatto e inse-

gnato, ma danno prova di

o non essere per nulla delle buone guide

o perché non sono capaci di “farsi carico”

delle folle

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Gesù allora decide di prendersi cura dei bisogni della gente:

«Allora incominciò a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34).

Sui discepoli non ci viene detto nulla.

- Marco sembra quasi sottolineare la loro passività,

- mettendo in evidenza l’inconsistenza del loro approccio.

- I sentimenti dei Dodici non hanno nulla a che vedere con

quelli del Maestro.

- alla partecipazione “viscerale” di Gesù

fa da contrasto il distacco emotivo dei discepoli.

- Gesù si lascia raggiungere dalla sua gente, investendo

tempo ed energie, mentre i Dodici guardano il sole che va

calando e avanzano una proposta disarmante:

«Congedali (apólyson autoús) affinché vadano nelle campagne

e nei villaggi d’intorno e si comprino qualcosa da mangiare!»

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L’espressione apólyson autoús è ambigua:

– da un lato è un invito a lasciar andare le folle,

prendendo congedo da esse,

– richiama il verbo usato negli atti di divorzio,

implicando una ben più radicale presa di distanza.

È un semplice bisogno fisico

che sembra caratterizzare più i Dodici che la folla,

rinviata ai villaggi e alle campagne

dove è possibile acquistare pane e cibo.

Se fossero più “conformati” alla logica di Gesù,

avrebbero sollevato una domanda diversa:

«Cosa possiamo fare per aiutarti (aiutarli)?».

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Per Gesù, andare in disparte e ritirarsi in un luogo solitario

non equivale a dimenticare i bisogni delle folle;

– il riposo che lui cerca e offre non è l’ozio (far nulla),

– ma un’immersione rinnovata nella storia,

con una capacità riequilibrata di farsi carico

dei bisogni della sua gente.

I Dodici non hanno ancora interiorizzato una simile prospettiva.

La “verità” della loro prima esperienza missionaria comincia a

manifestarsi:

se questa è la loro reazione,

come allora hanno vissuto l’esperienza

da cui sono tornati tanto entusiasti?

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La “via” della missione: Mc 6,37-44

37 Rispose loro: «Date voi a loro da mangiare!». Gli dicono:

«Dobbiamo noi andare a comprare duecento denari di pane per

dar loro da mangiare?». 38

Dice loro: «Quanti pani avete? Anda-

te a vedere!». Quelli, informatisi, gli dicono: «Cinque, e due pe-

sci». 39

Allora ordinò loro di farli accomodare tutti, a gruppi,

sull’erba verde. 40

Si adagiarono a gruppi regolari di cento e di

cinquanta 41

ed egli, presi i cinque pani e i due pesci, alzando gli

occhi al cielo, li benedì, spezzò i pani e li diede ai discepoli,

perché li distribuissero; quindi fece dividere anche i due pesci

fra tutti. 42

Mangiarono tutti a sazietà 43

e si raccolsero dodici

ceste piene di frammenti, e anche dei pesci. 44

Quelli che aveva-

no mangiato i pani erano cinquemila uomini.

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Di fronte al mancato coinvolgimento dei discepoli

Gesù li stimola con un chiaro mandato:

«Date voi a loro da mangiare» (Mc 6,37)

È un invito chiaro a farsi carico della gente.

È stata evidenziata un’urgenza

(la gente è digiuna, occorre trovare qualcosa da mangiare)

e Gesù non la nega.

Ma l’urgenza viene affrontata dal Maestro

diversamente dal modo con cui l’affronterebbero i discepoli.

I Dodici avanzano due proposte:

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v. 36: «Congedali affinché vadano nelle campagne e nei

villaggi d’intorno e si comprino qualcosa da mangiare!». I

discepoli non hanno alcuna intenzione di “farsi carico”

della gente: che ognuno provveda per sé!

La loro attenzione è ferma al sostentamento fisico

e invitano Gesù a “chiudere la scuola”

e a congedare la folla.

Gesù esclude però questo tipo di soluzione:

non è possibile “delegare” ad altri,

nelle campagne o nei villaggi d’intorno,

quello che i Dodici possono fare in prima persona («Date voi a loro da mangiare»).

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Davanti all’insistenza del Maestro,

i Dodici avanzano una seconda soluzione, con una do-

manda e l’esclamazione: «Dobbiamo noi andare a com-

prare duecento denari di pane per dar loro da mangiare?»

(Mc 6,37).

La folla è numerosa («erano circa cinquemila uomini»

precisa Mc 6,44),

i discepoli sono dodici, l’impresa sembra impossibile.

La soluzione di Gesù comporta uno spreco di energie

e si rischia di non accontentare nessuno.

Anche qui i discepoli si coinvolgono solo in parte.

Nella prima soluzione delegano ad altri,

nella seconda propongono (ironia?),

di comprare altrove il pane.

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Il loro punto di partenza è

il calcolo di ciò che essi non hanno

Gesù interviene nuovamente,

suggerendo un ulteriore cambio di prospettiva:

«Voi, quanti pani avete?» (Mc 6,38).

Il calcolo va fatto a partire da quello che si ha,

non da quello che si dovrebbe avere.

- L’invito è a guardare nelle proprie bisacce, ai «cinque pa-

ni e due pesci» custoditi in esse.

- Nessuna delega, nessun acquisto, occorre piuttosto condi-

videre quanto già si possiede.

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A questo punto scatta un ordine curioso:

«Allora ordinò loro di farli accomodare tutti,

a gruppi, sull’erba verde» (Mc 6,39).

La prima cosa di cui i Dodici devono farsi carico è

la suddivisione della folla in piccoli gruppi.

In Esodo 18, Mosè istituisce sul popolo dei giudici

«capi di migliaia, capi di centinaia,

capi di cinquantine e capi di decine» (Es 18,25),

in grado di guidare il popolo con efficacia e ordine.

I Dodici sono invitati ad assumere la stessa responsabilità,

imparando a guardare alla folla non come a una massa informe

di persone, ma come a piccoli gruppi

da condurre con un animo di pastore,

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icona richiamata dall’immagine dell’erba verde

e dalla tavola che verrà presto imbandita (cf. Sal 23,2.5).

I gesti compiuti sui pani e sui pesci (Mc 6,41)

tracciano la via dell’autentica sequela,

immergendo i Dodici nella sorgente della missione.

«Presi (labṓn) i cinque pani e i due pesci»

Gesù non si impossessa di qualcosa che non gli è stato prece-

dentemente offerto: prende ciò che gli è stato messo davanti.

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I Dodici sono chiamati a vivere per primo

il gesto della “consegna”

riponendo i pani e i pesci nelle mani del Maestro,

sapendosene distaccare, senza resistenze

In questo gesto Gesù non li può sostituire.

È il primo passo esigente che richiede capacità di distacco.

Nel momento in cui i discepoli consegnano i pani a Gesù,

offrono, per la prima volta qualcosa di se stessi,

rinunciando alla speranza di starsene in pace,

al momento di ristoro programmato,

alla volontà di capire tutto del Maestro.

«Alzando (anablépsas) gli occhi al cielo,

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li benedì (eulóghēsen)»

Il secondo gesto è compiuto da Gesù

Nelle sue mani quei pani diventano lo spazio sacro

in cui la povertà dell’uomo

si incontra con gli spazi infiniti del Cielo.

Dio li rende spazio benedetto, pani dell’offerta.

«Benedire» è sintonizzare ciò che si ha o si riceve

con l’armonia delle origini,

“imprimendo” in esso il sigillo del Padre.

Così i pani diventano “altro”, non un semplice bene di consumo.

«spezzò (katéklasen) i pani»

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Il terzo gesto è l’atto più doloroso: i pani vengono spezzati.

È racchiuso qui

il cuore dell’esperienza di Gesù e dei discepoli,

è evocato il mistero pasquale di cui l’eucaristia

è memoria viva.

Spezzare significa condividere, donare, offrire,

ma anche provare dolore, sperimentare la spoliazione.

Tale gesto è possibile

solo se il pane viene prima immerso

nella benedizione del Cielo.

«Li diede ai discepoli (edídou) perché li distribuissero»

Le due azioni centrali (la benedizione e la frazione)

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hanno come protagonista Gesù e il Padre.

Il gesto iniziale e quello conclusivo

richiedono invece il coinvolgimento dei discepoli:

– prima depongono il pane nelle mani del Maestro

– poi accettano di riprenderlo spezzato, con tutto quello che

tale gesto evoca.

Essi hanno consegnato a Gesù cinque pani e da Gesù ne ricevo-

no altrettanti. Fisicamente non è cambiato nulla, se non il fatto

che quei pani sono stati spezzati. Poveri erano prima, poveri so-

no ora.

Il miracolo si attua nel momento in cui i Dodici

prendono coscienza di quello che significano i gesti di Gesù

cominciando a distribuire il pane e i pesci alle folle

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Il cibo allora si moltiplica e ne basta per tutti.

Marco sottolinea:

«Mangiarono tutti a sazietà e si raccolsero dodici ceste

piene di frammenti e anche dei pesci» (Mc 6,42-43).

Il cibo è sufficiente per la folla presente, ma anche per ciascuno

degli apostoli è pronta una cesta perché la distribuzione possa

continuare altrove.

La “via” della sequela è ampiamente tracciata

in questo incontro inatteso

con le folle e con il Maestro stesso.

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Da un “non coinvolgimento” i Dodici sono invitati a vive-

re gesti che li mettono in gioco in prima persona.

Da spettatori passivi, si ritrovano ad essere protagonisti

da maestri delle folle, a discepoli a cui viene impartita

una delle lezioni più importanti di tutto il magistero di

Gesù.

I verbi usati in Mc 6,41 sono gli stessi che Gesù applica a sé nel

racconto dell’ultima cena. Tra Mc 6,37-44 e Mc 14,22-25 c’è

un parallelismo di vocabolario e un parallelismo di contesto.

- La distanza che separa Gesù dai suoi,

- il mistero dell’incomprensione,

- la notte solitaria di dialogo con il Padre,

- il tormento e il disorientamento dei discepoli,

- l’atteggiamento di Gesù che è il regista degli eventi.

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Non sono richiami casuali.

Nel quadro narrativo di Mc,

ciò che si compie nell’ultima cena

è anche ciò che Gesù ha insegnato ai discepoli

nel ministero pubblico

ed è ciò che si compirà in pienezza nel mistero pasquale

di passione, morte e risurrezione.

La “vita” della missione: Mc 6,45-46.52 45

Subito dopo egli costrinse i suoi discepoli a montare in barca e a

precederlo sull’altra riva, verso Betsaida, mentre egli avrebbe conge-

dato la folla. 46

Quindi, accomiatatosi da loro, se ne andò sul monte a

pregare. 47

Giunta la notte, mentre la barca era in mezzo al mare, egli

era solo a terra. 48

Ma poi, avendo visto che essi erano stanchi di re-

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mare poiché il vento era loro contrario, verso la quarta vigilia venne

verso di loro camminando sul mare. Avrebbe voluto sorpassarli; 49

ma

quelli, avendolo scorto camminare sul mare, credettero che fosse un

fantasma e si misero a gridare. 50

Lo avevano visto tutti, infatti, e si

erano spaventati. Ma egli rivolse ad essi subito la parola e disse loro:

«Coraggio! Sono io; non abbiate paura!». 51

Quindi salì con essi nella

barca e il vento cessò, mentre essi internamente erano pieni di stupo-

re. 52

Infatti non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore

insensibile.

Come se la giornata non fosse stata sufficientemente faticosa,

Gesù ordina ai suoi di andare all’altra riva.

Non è un consiglio, ma un ordine (ēnánkasen):

andare all’altra riva costituisce

la logica conseguenza di quanto vissuto.

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Gesù invece, resta con la folla la congeda e poi si ritira in soli-

tudine: «se ne andò sul monte a pregare» (Mc 6,46).

Emerge, da parte sua, un bisogno profondo di distacco rispetto

alla folla e rispetto ai discepoli. Marco sottolinea:

– oltre alla distanza orizzontale “terra - mare”,

– c’è una distanza verticale “monte - mare”,

– e una distanza di mezzi (i discepoli sono partiti in barca,

cosa resta a Gesù?).

Secondo Marco, Gesù ha bisogno di pregare, di restare in di-

alogo con il Padre (v. 46). Possiamo intuire quello che Gesù

può aver presentato a Dio:

In primo luogo, egli deve aver presentato la folla smar-

rita, disorientata, di cui pochi sanno farsi realmente cari-

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co, assumendone le miserie e le povertà, con un vivo sen-

so di partecipazione e compassione.

Quindi, deve aver parlato dei discepoli. Gesù vede conti-

nuamente l’inconsistenza delle loro attese che rischiano

di compromettere l’annuncio del Regno. Ad essi manca

l’immedesimazione con la folla, la comprensione della

logica dei gesti di Gesù, l’accoglienza dell’“altra riva”,

una meta “faticosa” da raggiungere.

Infine, davanti al Padre, Gesù deve aver focalizzato la

propria “strategia” formativa in modo da favorire

l’interiorizzazione della “via” indicata nel segno dei pani.

Forse proprio in quella notte Gesù ha compreso che quei gesti -

«prese, levò gli occhi, benedì, spezzò, diede» - si sarebbero pre-

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sto tradotti per lui in una pagina di vita. Una notte, quindi, im-

pegnativa, che non è da meno alla notte del Getsemani.

Alla preghiera di Gesù fa da contrasto la fatica dei discepoli, in-

capaci, da soli, di arrivare all’altra riva. Marco presenta una

duplice fatica dei Dodici – quella di raggiungere l’altra riva e

quella di riconoscere il Maestro: «Non avevano capito il fatto

dei pani, essendo il loro cuore indurito» (Mc 6,52).

Il verbo è syníēmi per esprimere il giudizio del narratore su

quanto si è appena verificato. Con cinque ricorrenze in Marco, il

termine ha un significato teologico forte.

Mc lo usa per la prima volta in Mc 4,12 (citando Is 6,9)

per identificare l’atteggiamento della folla che, diversa-

mente dai discepoli, ascolta ma non coglie il senso delle

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cose.

La seconda ricorrenza è nel nostro brano dove sembra che

l’atteggiamento delle folle cominci a pervadere anche i

Dodici.

in Mc 8,17-21, sempre di fronte al mistero del pane, la

descrizione di Mc 4,12 viene applicata proprio ai disce-

poli e ripetuta loro per ben due volte (Mc 8,17.21).

I discepoli non riescono ad assumere fino in fondo il significato

carico di vita dei gesti compiuti dal Maestro, ma soprattutto non

riescono a penetrare il mistero della sua identità: continuano a

confonderlo con un “fantasma”.

All’ignoranza si aggiunge la durezza di cuore: proprio

l’atteggiamento che era rimproverato agli avversari di Gesù, in

Mc 6,52 e in Mc 8,17 viene applicato anche ai discepoli.

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Per questo non possono andare da nessuna parte,

la loro missione resta come “bloccata”.

Per passare all’altra riva è necessario

riconoscere l’identità di Gesù

e percorrere la via indicata dal Maestro

e tracciata dai gesti compiuti sui pani.

Cioè:

far propria una precisa modalità di discepolato

conformando la propria esistenza a quella di Gesù.

Tutti loro vedono quello che il Maestro compie, ascoltano quel-

lo che dice, ma non se ne lasciano mettere in discussione.

Il rischio dei Dodici è quello di

rimanere nelle loro convinzioni e attese.

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Ci sarà un’altra moltiplicazione dei pani (Mc 8,1-10), ma i Do-

dici resteranno ancora avvolti nell’incomprensione: fino alla

croce, fino al momento in cui quel pane assumerà il volto con-

creto del loro Maestro:

consegnato al Padre, benedetto,

spezzato e dato per la salvezza del mondo.

Solo in quel momento la missione loro affidata

rivelerà la sorgente che la sostiene

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e a cui i discepoli sono rinviati.