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1. La proposta di Michele Bianchi In un’opera pubblicata nel 1924, intitolata Programma della destra fascista, l’autore, Volt, ammoniva il partito di Benito Mussolini a non tralasciare di attuare una propria rifor- ma costituzionale, vista come «l’arma, di cui ogni nuova classe dirigente, che arriva al potere, se non vuole esserne ricacciata in breve volger d’anni, deve impugnare» 1 . All’epoca in cui queste parole venivano scritte, il Fascismo non aveva ancora tra- sformato la costituzione ereditata dall’età liberale, tuttavia era già riuscito, se non altro, a suscitare un dibattito in tema di riforma costituzionale. Ne era oggetto il pro- getto Bianchi, dal nome, appunto, di Miche- le Bianchi, quadrumviro della marcia su Roma e uomo di fiducia di Mussolini 2 . È necessario specificare che, nel fare riferimento al pensiero espresso da Bian- chi, il termine «progetto» va inteso in sen- so lato, mancandogli quell’organicità e quel- la precisione di contenuti che, per defini- zione, caratterizzano qualsiasi progetto. La proposta dell’esponente fascista rimase piuttosto vaga, ma mise in moto un dibatti- to e una serie di riflessioni sulle istituzioni politiche italiane, tali da costituire dell’otti- mo materiale per lo studio del ruolo asse- 107 Alle origini delle riforme costituzionali fasciste: il progetto Bianchi federico quaglia 1 Volt, Programma della destra fascista, Firenze, La Voce, 1924, p. 101. A sostegno della propria tesi, Volt citava due noti autori del suo tempo: «“Ogni rivoluzione – disse Enrico Corradini – ha da sboccare in una costituzione o non è”. E il Pareto, nel suo ultimo scritto, che costituisce quasi un testamento, ammonisce:“Gravissimo pericolo si avrebbe da una troppo prolungata astensione dalle riforme costituzionali, le quali tosto o tardi devono pren- dere il posto delle riforme elettorali o di altre simili, che si formano alla superficie, che possono essere utili solo in quanto preparino mutamenti di sostanza, li agevolino, diano modo di compierli”». Ibidem, p. 99. Volt era lo pseudonimo di Vincenzo Fani Ciotti. 2 Su Michele Bianchi sono state scritte, in epoca fascista, le seguenti opere: Pietro Gorgolini, Michele Bianchi, Mila- no, Imperia, 1923; Dante Maria Tuninetti, La vita di Michele Bianchi, Roma, Casa Editrice Pinciana, 1932; Francesco Paoloni, Michele Bianchi nella storia del fasci- smo, Milano, Zucchi, 1940. Per quanto riguarda il dopo- guerra, si possono citare: Enzo Misefari, Il quadrumviro col frustino: Michele Bianchi, Cosenza, Lerici, 1977 e Michele Fatica, Michele Bianchi, in Uomini e volti del fascismo, a cura di Ferdinando Cordova, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 29-61. giornale di storia costituzionale 2.2001

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1. La proposta di Michele Bianchi

In un’opera pubblicata nel 1924, intitolataProgramma della destra fascista, l’autore, Volt,ammoniva il partito di Benito Mussolini anon tralasciare di attuare una propria rifor-ma costituzionale, vista come «l’arma, di cuiogni nuova classe dirigente, che arriva alpotere, se non vuole esserne ricacciata inbreve volger d’anni, deve impugnare»1.All’epoca in cui queste parole venivanoscritte, il Fascismo non aveva ancora tra-sformato la costituzione ereditata dall’etàliberale, tuttavia era già riuscito, se nonaltro, a suscitare un dibattito in tema diriforma costituzionale. Ne era oggetto il pro-getto Bianchi, dal nome, appunto, di Miche-le Bianchi, quadrumviro della marcia suRoma e uomo di fiducia di Mussolini2.

È necessario specificare che, nel fareriferimento al pensiero espresso da Bian-chi, il termine «progetto» va inteso in sen-so lato, mancandogli quell’organicità e quel-la precisione di contenuti che, per defini-zione, caratterizzano qualsiasi progetto. La

proposta dell’esponente fascista rimasepiuttosto vaga, ma mise in moto un dibatti-to e una serie di riflessioni sulle istituzionipolitiche italiane, tali da costituire dell’otti-mo materiale per lo studio del ruolo asse-

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Alle origini delle riforme costituzionali fasciste: il progetto Bianchi

federico quaglia

1 Volt, Programma della destra fascista, Firenze, La Voce,1924, p. 101. A sostegno della propria tesi, Volt citava duenoti autori del suo tempo: «“Ogni rivoluzione – disseEnrico Corradini – ha da sboccare in una costituzione onon è”. E il Pareto, nel suo ultimo scritto, che costituiscequasi un testamento, ammonisce:“Gravissimo pericolosi avrebbe da una troppo prolungata astensione dalleriforme costituzionali, le quali tosto o tardi devono pren-dere il posto delle riforme elettorali o di altre simili, chesi formano alla superficie, che possono essere utili soloin quanto preparino mutamenti di sostanza, li agevolino,diano modo di compierli”». Ibidem, p. 99. Volt era lopseudonimo di Vincenzo Fani Ciotti.

2 Su Michele Bianchi sono state scritte, in epoca fascista,le seguenti opere: Pietro Gorgolini, Michele Bianchi, Mila-no, Imperia, 1923; Dante Maria Tuninetti, La vita diMichele Bianchi, Roma, Casa Editrice Pinciana, 1932;Francesco Paoloni, Michele Bianchi nella storia del fasci-smo, Milano, Zucchi, 1940. Per quanto riguarda il dopo-guerra, si possono citare: Enzo Misefari, Il quadrumviro colfrustino: Michele Bianchi, Cosenza, Lerici, 1977 e MicheleFatica, Michele Bianchi, in Uomini e volti del fascismo, a curadi Ferdinando Cordova, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 29-61.

giornale di storia costituzionale 2.2001

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gnato alla Corona dal costituzionalismo deiprimi anni del governo fascista.

Toccata indirettamente dalla proposta diBianchi, la Corona si trovò implicata neldibattito sulle istituzioni come forse non maidai tempi della crisi di fine secolo XIX. Lavera e propria riforma fascista della costitu-zione sarebbe stata attuata, per via legislati-va, solo pochi anni più tardi. Si sarebbe trat-tato di una riforma profonda, che avrebbeinteressato l’intero assetto delle istituzionipolitiche del regno e, quindi, anche il sovra-no. Guardare al progetto Bianchi come a unpreludio della riforma costituzionale effet-tivamente realizzata dal fascismo è lecito. Ineffetti, l’ingegneria costituzionale abbozza-ta dal quadrumviro e quella trasformatasi,più tardi, in legge dello Stato, mostrano un’i-spirazione di fondo comune e può accre-scere l’importanza da attribuire a un dibat-tito nato e morto, in pratica, nel gennaio1923, ma anche alle riflessioni da esso sti-molate (destinate a protrarsi più in là neltempo), al fine di una migliore comprensio-ne del ruolo politico e costituzionale del renell’Italia fascista. Si noti, a tal proposito,che «il progetto di riforma costituzionalecompilato da Michele Bianchi» costituiva,ancora nella primavera del 1923, la base dilavoro, ufficialmente indicata dal Gran Con-siglio del Fascismo, del «Gruppo speciale dicompetenza per la riforma costituzionale»,la cui istituzione, partita per iniziativa diMassimo Rocca, segretario nazionale deiGruppi fascisti di competenza, fu ratificatadal Gran Consiglio il primo maggio 19233.

Il Fascismo era giunto al potere nell’ot-tobre del 1922, secondo modalità extrapar-lamentari, e, per questo, niente affatto nuo-ve nella storia del regno costituzionale deiSavoia4. Del resto, la forza parlamentare dicui disponevano allora i fascisti era modesta

(trentacinque deputati) e Mussolini erariuscito ad ottenere l’incarico in forza di uncompromesso con i gruppi dirigenti diorientamento conservatore5.

Il capo fascista aveva presentato al sovra-no e alle Camere, chiedendo loro la fiducia,un governo di coalizione, in cui, oltre al pre-sidente del Consiglio, il quale aveva riserva-to a sé anche i dicasteri degli Esteri e del-l’Interno, facevano parte i nazionalistiFederzoni e Giuriati, rispettivamente alleColonie e alle Terre liberate, i demosocialiCarnazza e Colonna di Cesarò ai Lavori pub-blici e alle Poste, il liberale De Capitaniall’Agricoltura, i popolari Cavazzoni e Tan-gorra, rispettivamente al Lavoro e al Tesoro.Agli esponenti fascisti De Stefani e Oviglioerano toccati le Finanze e la Giustizia. Lacompagine era completata da Teofilo Rossiall’Industria, unico riconfermato del prece-dente governo Facta, dal filosofo Gentile allaPubblica istruzione, mentre la Guerra e laMarina erano state assegnate ai capi dellerispettive forze armate nella guerra vittorio-sa: Armando Diaz e Paolo Thaon di Revel.

Per quanto riguardava le riforme istitu-zionali, proprio la circostanza di dovere ilproprio potere a un compromesso, suggeri-va a Mussolini di procedere con cautela allatrasformazione dello Stato «in direzione diquella soluzione rigorosamente autoritaria,e facente perno principalmente sull’eserci-

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3 Partito Nazionale Fascista, Il Gran Consiglio nei primi cin-que anni dell’Era Fascista, Roma-Milano, Libreria del Lit-torio, 1927, pp. 40-41.

4 «Il sovrano, il presidente del Consiglio uscente, quellodesignato erano stati ancora una volta i protagonisti diuna crisi ministeriale e della sua soluzione». FrancescoPerfetti, L’Italia fra le due guerre, in Storia dell’Italia con-temporanea, diretta da Renzo De Felice, vol. III, Guerra efascismo. 1915 – 1929, Napoli, Edizioni Scientifiche Italia-ne, p. 255.

5 Cfr. Alberto Aquarone, L’organizzazione dello Stato totali-tario, Torino, Einaudi, 1965, p. 5.

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zio personale del potere, che sola gli stavaveramente a cuore»6.

Per rafforzare la propria posizione, Mus-solini, dopo avere formato il governo,cominciò a pensare all’introduzione di unnuovo sistema elettorale, con cui affrontare,in tempi ravvicinati, nuove elezioni. Alloraera vigente il sistema proporzionale, a cuierano favorevoli le opposizioni e, all’inter-no della maggioranza, i popolari. Tra i fasci-sti, si erano delineate due tendenze diffe-renti, sostenute da Michele Bianchi e Rober-to Farinacci. Mentre il secondo era per ilristabilimento del vecchio sistema unino-minale maggioritario con l’eventuale turnodi ballottaggio, il primo sosteneva la neces-sità di garantire un forte premio di maggio-ranza alla formazione che avesse ottenuto ilmaggior numero di voti, lasciando alle altreliste il diritto di ripartirsi i rimanenti seggiin misura proporzionale7. In tale contesto, ilquadrumviro calabrese poté anche lanciarei suoi messaggi sulla riforma più propria-mente costituzionale. Si può senz’altro rite-nere che difficilmente egli avrebbe potutofarlo senza essere d’accordo con Mussolinio senza averne, quanto meno, il consenso.

Il dibattito sul progetto Bianchi eracominciato nei primi giorni del 1923, nonappena il pensiero dell’esponente fascista,allora segretario generale del ministero del-l’Interno, era stato reso pubblico da una notaufficiosa dell’Agenzia italiana del 2 gennaio8.Tuttavia, Francesco Paoloni ha scritto che giàin una intervista del 23 dicembre 1922 al«Popolo d’Italia», Bianchi aveva dichiaratodi «condividere il criterio di una primariforma che sottraesse il Governo all’aleadelle sorprese parlamentari durante laLegislatura, dappoichè questa ne avesse ini-zialmente approvato il programma»9. Inol-tre, qualche anticipazione era però stata dif-

fusa il mese precedente, come dimostra ilbrano seguente, tratto dall’«Italia» del 27dicembre 1922: «Il Mondo, che non lasciaalcun provvedimento governativo di unacerta importanza senza sottoporlo a una cri-tica quasi pedante, questa volta tace». Ilgiornale democratico si occupa invece lun-gamente dell’intervista accordata da Miche-le Bianchi al Popolo d’Italia e specialmentedel proposito da lui attribuito al fascismo ditogliere al Parlamento il diritto di rovescia-re il Governo coll’arma del voto politico. Sitratterebbe in altre parole, commenta IlMondo, «di abbattere il sistema del Gover-no parlamentare, di rovesciare cioè quel“Governo di Gabinetto” che si fonda non

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6 Ibidem.7 Cfr. Francesco Perfetti, L’Italia fra le due guerre, cit., p.

2698 Cfr. Cose italiane, in «La Civiltà cattolica», 3 febbraio

1923, p. 265. Cenni sulla vicenda in Renzo De Felice, Mus-solini il fascista. La conquista del potere. 1921-1925, Torino,Einaudi, 1966, pp. 521 e 524, e in Ettore Rotelli, La Presi-denza del Consiglio dei ministri. Il problema del coordina-mento dell’amministrazione centrale in Italia (1848 - 1948),Milano, Giuffrè, 1972, pp. 292-293.

9 Francesco Paoloni, Michele Bianchi nella storia del Fasci-smo, cit., p. 129. In realtà, queste parole non compaiononel testo dell’intervista, rilasciata allo stesso Paoloni epubblicata nel «Popolo d’Italia» del 24 dicembre 1922.In essa non si trova alcun cenno al tema dei rapporti tragoverno e Parlamento. Piuttosto, si può ricordare cheBianchi, in quella circostanza, dopo avere espresso alcu-ne considerazioni sul più generale tema della rappresen-tanza, aveva affermato che la XXVII legislatura avrebbedovuto affrontare la riforma costituzionale, operazionedella quale sosteneva la piena legittimità: «Più volte, e daGoverni che si dichiaravano costituzionalmente ortodos-si, furono presentate proposte di riforma di Istituti costi-tuzionali, come ad esempio, quella per l’elettività di unaparte del Senato e l’altra per l’abolizione dell’art. 5 delloStatuto. Perché lo Statuto fu promulgato pel Piemonte enell’anno di grazia 1848. Poi, anche la proporzionale, inquanto estesa, di fatto, dall’elettorato alla composizionedei Ministeri, non era certamente una ortodossa appli-cazione dello Statuto». Francesco Paoloni, La riformacostituzionale sarà funzione della XXVII legislatura (Nostraintervista con Michele Bianchi), in «Il Popolo d’Italia», 24dicembre 1922.

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sulla lettera della legge ma sulla consuetudi-ne e che nel nostro sistema politico è venu-to dalla grande tradizione inglese. Per farequesto non occorrerebbe neppure di rifor-mare lo Statuto albertino del 1848, ma piut-tosto di ‘tornare rigidamente allo Statuto’come proponeva quasi trent’anni fa l’on.Sonnino, in un articolo, rimasto famoso,della Nuova Antologia»10.

Il tenore della citazione impone di veni-re ai contenuti: il pensiero del segretariogenerale dell’Interno era quello di assicura-re stabilità ed autonomia al potere esecuti-vo, attraverso il ridimensionamento del ruo-lo del Parlamento, in particolare dellaCamera dei deputati, e il contestuale raffor-zamento della posizione del presidente delConsiglio.

Secondo i termini del progetto Bianchi,successivamente alle elezioni politiche il reavrebbe avuto la responsabilità di incarica-re della formazione del governo la persona-lità che si fosse trovata alla testa delle forzepolitiche dimostratesi più rispondenti alleaspirazioni e al sentire della nazione. Il capodel Governo, nominato dal sovrano e desi-gnato, indirettamente, dal suffragio popo-lare, si sarebbe quindi presentato, alla testadei suoi ministri, alla Camera dei deputati,per richiederne il voto di fiducia. L’assem-blea, dopo avere espresso la propria opinio-ne, non avrebbe più avuto il diritto di ritira-re la fiducia al governo per tutto il resto del-la legislatura. Coerentemente, il governonon avrebbe più avuto necessità di chiede-re, in seguito, voti di fiducia alla Camera.Con ciò si sarebbe impedita l’eventualità dimutamenti ministeriali, cagionati da mano-vre parlamentari, in corso di legislatura.

Bisogna altresì ricordare che, nelmomento in cui si cominciò a discutere delprogetto Bianchi, era all’ordine del giorno

la riforma elettorale, della quale si stavaoccupando lo stesso quadrumviro, cosa cheemerge anche dal comunicato che diede ilvia al dibattito. Presentata come conseguen-za della riforma elettorale, la riforma predi-sposta da Bianchi meritò un lungo lanciodell’ufficiosa Agenzia italiana:

I rilievi di qualche autorevole giornalelasciano supporre che non tutti abbiano bencompreso lo stretto rapporto che corre fra lariforma elettorale e la riforma costituzionale,entrambe sul tappeto della pubblica discussionee quali argomenti di prossimi importanti dibat-titi parlamentari. Si vorrebbe principalmentevedere nella nuova riforma elettorale, quale ven-ne preferita dal Governo, la possibilità che siriproducano quelle antiche situazioni che trop-po spesso si resero possibili con lo sfaldamentoartificioso delle maggioranze parlamentari econseguente esautoramento dei Governi con-dannati sempre a vita precaria e travagliata, incrisi ministeriali non sempre rispondenti allospirito e ai reali interessi del paese. […]

Infatti, secondo il pensiero del Bianchi, ilCapo dello Stato sceglierebbe quale primoministro l’uomo che più fedelmente imperso-na il giudizio espresso dal paese, ed il Capo delGoverno, presentandosi al Parlamento con ilprogramma più adatto a realizzare fedelmentele aspirazioni del popolo, otterrebbe quel votodi fiducia che dovrebbe permettergli di svolge-re per intero questo programma con energia,tranquillità e sicurezza […].

Dopo tale voto, che dovrebbe considerarsiil successo dell’opera a cui il Governo devededicare fedelmente tutte le sue energie, ènaturale che eventuali successive composizio-ni e decomposizioni di gruppi e connessi sfal-damenti di maggioranze e colpi di scena nonpotrebbero turbare o deviare l’opera a cuiattende il Governo, ma dovrebbero conside-rarsi come vere e proprie lesioni al patto chelega i deputati a quella massa che conferì loroil mandato legislativo11.

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10 Amnistia e proporzionale, in «L’Italia», 27 dicembre 1922.11 In attesa del «Gran Consiglio Fascista», in «La Stampa»,

3 gennaio 1923.

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Lo schema riformatore di Bianchi mira-va dunque ad incidere profondamente suirapporti tra potere esecutivo e potere legis-lativo, per mezzo di una decisa riduzionedella libertà di manovra del secondo, al finedi garantire costantemente non solo la sta-bilità, ma anche la rappresentatività del pri-mo. La proposta di riforma costituzionalesolamente abbozzata e legata al nome dell’e-sponente fascista calabrese, non contem-plava alcuna modifica esplicita delle prero-gative regie; tuttavia, qualsiasi innovazioneconcepita per alterare i rapporti tra gli orga-ni costituzionali, e quindi, in definitiva,suscettibile di ripercuotersi sulla forma digoverno, non avrebbe potuto non riguarda-re, anche solo indirettamente, il capo delloStato, al quale lo Statuto albertino affidavala titolarità del potere esecutivo e la com-partecipazione alla funzione legislativa.

Le idee manifestate da Bianchi non rag-giunsero, propriamente, le istituzioni. Esse,infatti, non diventarono proposta di legge. Èin ogni caso innegabile che le concezionisostenute dal segretario generale dell’Inter-no debbano essere ascritte a quel periodo divivace progettualità costituzionale vissuto dalfascismo subito dopo l’insediamento delgoverno Mussolini, il quale può oggi esserevisto come preludio alla realizzazione giuri-dica della costituzione fascista, intrapresa,come noto, a partire dal 192512. Dedicareattenzione a tale periodo significa coglierel’opportunità di comprendere la posizionedella Corona nel costituzionalismo fascista;per questo motivo appare interessante ana-lizzare il dibattito sulla riforma Bianchi,caratterizzato dalla brevità cronologica – laquestione fu d’attualità, in concreto, nel solomese di gennaio del 1923 – e dal veicolo chelo supportò: la stampa.

3. La reazione dell’opposizione

«Il Mondo», giornale democratico, sischierò immediatamente, in maniera deci-sa, contro la prospettata ipotesi di riforma.Eloquente, a tal proposito, la sua chiosa(pubblicata nell’edizione del 3 gennaio) aldispaccio dell’Agenzia italiana:

Potremmo chiedere a che cosa si voglia mairidurre la funzione dell’assemblea elettiva, […]ogni controllo politico sull’azione di Governosarebbe infatti soppresso perché la continua-zione della fiducia nei governanti e la valuta-zione della loro capacità e dei loro metodi , difronte ai fatti ed ai problemi concreti nonavrebbe più alcuna influenza. E si noti cheanche l’approvazione iniziale sarebbe più performa che in sostanza devoluta all’assembleanazionale. Infatti, il Capo dello Stato sceglie-rebbe il Presidente del Consiglio in base alresponso delle urne, e quindi la designazionedel Capo del Governo verrebbe dal corpo elet-torale, per quanto per via indiretta, e non dalParlamento. […] Con la legislatura cominciatanel 1913 capo del Governo non avrebbe potutoessere che l’on. Giolitti. Sopraggiunta la guer-ra, si sarebbe potuto verificare il caso che laCamera fosse tutta favorevole alla guerra, allaquale era invece contrario Giolitti. In tal caso sisarebbe determinato un dissidio tra Camera eGoverno. Ma la maggiore o minore fiducia anulla avrebbe valso. Insomma un sistema rigi-do e anti-rappresentativo come quello ideatodal comm. Bianchi non può sboccare, in qual-siasi caso di conflitti fra Governo e Parlamen-to, se non all’assolutismo e all’insurrezione13.

Non meno critica fu la reazione del«Corriere della sera»:

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12 Cfr. Ettore Rotelli, La Presidenza del Consiglio, cit., p. 292.Francesco Perfetti, La Camera dei fasci e delle corporazio-ni, Roma, Bonacci Editore, 1991, pp. 13-70.

13 Citato in Riforma elettorale e Parlamento, in «Corriere del-la sera», 4 gennaio 1923. Gli stessi concetti furono riba-diti nell’articolo Un sistema equivoco, in «Il Mondo», 4gennaio 1923.

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Siamo profondamente persuasi che l’opi-nione pubblica in Italia è avversa a progetti che[…] tendano a modificare la costituzione stes-sa e a modificarla in un senso illiberale. […] Ilprogetto del comm. Bianchi [...] riguarda ancheun’alterazione gravissima, fondamentale, del-la costituzione italiana; la quale […] è l’operastessa del Risorgimento nazionale e ne rappre-senta lo spirito nella storia. [...] Secondo il pro-getto del comm. Bianchi, la camera eletta colnuovo sistema designerebbe al Re, per gli stes-si caratteri della sua formazione, l’uomo dimaggior fiducia a cui il Sovrano darebbe l’inca-rico di costituire il Ministero. Il Governo si pre-senterebbe alla Camera e ne otterrebbe il votodi fiducia, il quale dovrebbe bastare per tutta lalegislatura. Per quattro anni il governo sareb-be libero di comportarsi come meglio crede-rebbe, senza doverne rendere conto all’assem-blea nazionale, poiché questa non avrebbe piùmezzo di far valere un suo possibile dissenso.Sarebbe la dittatura […]. Anzi, così come oggiè accennato il progetto, sembra che il Re non viavrebbe più alcuna funzione, poiché il Gover-no sarebbe designato dalla Camera e ripete-rebbe il suo diritto di vita e la sua libertà d’a-zione soltanto dall’unico voto di fiducia di que-sta. Che avverrebbe se il Re esercitasse a un datomomento il suo diritto di veto? E conservereb-be il Re questo diritto?

La riforma, in realtà, sopprimerebbe larappresentanza nazionale. Essa ci darebbe unGoverno assoluto con una elezione di doppiogrado: primo grado, elezione degli elettori delGoverno; secondo grado, elezione del Gover-no, e poi a rivederci fra quattro anni. E non sisa se la Monarchia vi avrebbe un briciolo di par-te viva o sarebbe relegata definitivamente inuna funzione decorativa […]. Dopo quattroanni il Governo rifarebbe le elezioni, e con unpo’ di energia […] si rifarebbe una Camerasecondo il cuor suo: onde un vero mutamentod’indirizzo politico non si potrebbe avere cheper mezzo d’una rivolta – o rivoluzione che sivoglia dire14.

Al tema delle elezioni “fatte” dal gover-no in carica si dimostrò molto attento anche

il socialista unitario «La Giustizia», che sutale elemento imperniò la sua replica imme-diata:

Non solo il Governo farà le elezioni coimetodi che oramai si conoscono. Ma quando siè creato la sua Camera e questa ha dato il bat-tesimo al programma del governo, sarà severa-mente vietato al cervello dei singoli ed ai grup-pi politici di mutare opinioni o di comunquesubire e riflettere quelle influenze di caratterepolitico che non sono altro se non…la vita chesi muove.

Il che – in definitiva – significa non sol-tanto parificare i signori deputati agli automa-tici dei bar ma proclamare la infallibilità e laincontrollabilità del governo…parlamentare.

Con che – assicura il geniale comm. Bian-chi – continua la tutela degli elettori, tutela chesi inizia… il giorno della votazione e proseguedurante la legislatura impedendo che il Pattotra gli elettori e gli eletti sia violato per la pra-va sobillazione operata su questi ultimi dalleidee. Con questo mirabile progetto fascistadiventa anche inutile lo scioglimento dellaCamera…a meno che non si ritenga opportu-no – anche per ragioni di economia – scioglierladopo il primo voto15.

Un altro giornale antifascista, «Il Lavo-ro», di orientamento socialista, si associòalle critiche del «Mondo» e del «Corrieredella sera», non senza, però, rinunciare aqualificarle «tardive»16, ricordando come ifascisti non avessero mai celato la lorointenzione di modificare profondamentel’assetto costituzionale dello Stato. Tale aspi-razione, secondo l’anonimo scrittore delquotidiano genovese, era già riscontrabileall’epoca del dibattito parlamentare sul neo-nato governo Mussolini, quando alcuni diri-genti fascisti avrebbero rivelato l’intenzionedi liquidare il sistema parlamentare in favo-

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14 Progetti, in «Corriere della sera», 4 gennaio 1923.15 Un Parlamento «automatico». Il geniale progetto del comm.

Bianchi, in «La Giustizia», 3 gennaio 1923.16 Il Cancellierato, in «Il Lavoro», 5 gennaio 1923.

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re del Cancellierato, sistema nel quale il Pre-sidente del Consiglio sarebbe stato scelto dalRe e sarebbe poi rimasto in carica anche inmancanza della fiducia parlamentare.

Tutto ciò in coerenza con quanto sempremanifestato dai fascisti ancora prima diprendere il potere, tanto da dovere «rico-noscere che questo concetto per parte deifascisti, non era una novità. Prima, assai pri-ma della marcia su Roma e della conquistadel potere, lo avevano più o meno chiara-mente espresso in innumerevoli articoli ediscorsi ove l’onda del disprezzo era rinver-sata [sic] a secchi sul Parlamento e sul suf-fragio universale, di cui, fu detto dallo stes-so Mussolini, che sarebbe stato tollerato apatto di ridurlo ad “innocuo giocattolo”»17.

Così, il sistema prospettato da Bianchisarebbe stato da considerare non più che unasemplice variante del Cancellierato classi-co. Infatti, il monarca avrebbe sì dovuto sce-gliere il presidente del Consiglio nel pienorispetto della maggioranza uscita vittoriosadalle elezioni, ma la riforma costituzionalesarebbe stata da intendere come comple-mentare a quella elettorale, consistente nel-l’abolizione della proporzionale e nella con-testuale adozione di un sistema che avrebbeimposto la formazione di raggruppamenti dipartiti, con la conseguenza che il capo delloStato avrebbe potuto scegliere con grandelibertà nell’ambito di maggioranze necessa-riamente disomogenee.

In secondo luogo, il progetto Bianchicontrastava con l’essenza stessa del governoparlamentare, per la quale il Parlamentoaveva il diritto e il dovere di giudicare gli attidel governo – tenendo costantemente con-to dell’opinione pubblica, la quale, nell’ar-co di tempo di una legislatura, sarebbe pro-babilmente mutata – nonché di approvare orespingere i bilanci. Tali considerazioni per-

mettevano di sostenere che dalla realizza-zione del disegno riformatore sarebbe risul-tato violato lo stesso Statuto del Regno, neisuoi articoli 2 («Lo Stato è retto da unGoverno monarchico rappresentativo»), 3(«Il potere legislativo sarà collettivamenteesercitato dal re e da due Camere») e 10(«Ogni legge d’imposizione dei tributi, o diapprovazione dei bilanci e dei conti delloStato, sarà presentata prima alla Camera deiDeputati»).

Due le conseguenze previste: la fine delsistema rappresentativo, innanzitutto, per-ché il Parlamento avrebbe perso il diritto dicontrollare l’azione del governo; quindi lafine della potestà legislativa delle Camere,poiché anche il «massimo dei poteri legis-lativi, quello del voto dei bilanci»18, sareb-be risultato del tutto privo di efficacia, vistala prerogativa del governo di rimanerecomunque in carica, con la conseguentefacoltà di approvare anche i bilanci condecreto reale. Secondo «Il Lavoro», insostanza, il progetto Bianchi rappresentavaun autentico attentato alla tradizione costi-tuzionale italiana e alla moderna civiltà poli-tica, la quale aveva fatto del sistema parla-mentare un canone organizzativo impre-scindibile e di valenza ormai universale:

L’Italia non è la Russia bolscevica, né laGermania…imperiale. Perché solo nella Ger-mania di prima della guerra, la Germania col-l’elmo chiodato, vigeva il Cancellierato che«ora – nota sempre il Corriere – si vorrebbe tra-sportare in Italia dai rinnovatori fascisti». Ma,sebbene nell’impero di Guglielmo il Cancellie-rato potesse, fino ad un certo punto, spiegarsiperché, dietro di sé, aveva appunto l’impero ela Confederazione, fu gloria dell’Intesa e spe-cialmente dell’Italia – dell’Italia di Vittorio

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17 Ibidem.18 Ibidem.

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Veneto! – aver liberato il popolo tedesco dall’i-stituzione che lo teneva in conto di un inter-detto. Ora, non pare credibile che quella istitu-zione, su cui abbiamo posto il piede vittorioso,venga ad essere rinnovellata proprio pernoi»19.

Interessanti, in primo luogo perché disegno reciprocamente opposto, i commen-ti di altri due quotidiani. Secondo il «Gior-nale di Roma» era da «negare a priori che[la riforma Bianchi] significhi dittatura diun uomo o di un partito. Significherà inve-ce la restaurazione di un più perfetto regimecostituzionale contro quel regime parla-mentarista che al primo si è andato sovrap-ponendo fino a giungere alla intollerabilesituazione di questi ultimi anni»20. Per il«Corriere della Sera», «il punto centrale[della riforma] dovrà consistere […] nel sot-trarre al Parlamento la indicazione del Capodel Governo nonché ogni giudizio sull’ope-ra del Governo che sarebbe nominato perl’intera durata della legislatura», così da«avere alla testa del Governo una figuramista fra quella del cancelliere tedesco delquale avrebbe la inamovibilità e quella delPresidente del Consiglio in regime parla-mentare democratico del quale avrebbe…ilnome. E il Parlamento si ridurrà ad essereun innocuo club politico sportivo»21.

Molto sensibile alla questione, «Il Mon-do» non tardò a manifestare nuovamente leproprie opinioni. Nell’edizione del 6 gen-naio giunse ad auspicare la presentazione delprogetto Bianchi nella forma ufficiale didisegno di legge, così da sgombrare il cam-po dalle ambiguità e dalle oscillazioni a suodire dimostrate dalla maggioranza:

Ieri l’altro si asseriva che il Capo dello Sta-to avrebbe dovuto, nel nuovo sistema, sceglie-re come primo ministro, l’uomo designatogli

dal maggior consenso del corpo elettorale: talePrimo Ministro, ottenuta poi la fiducia del Par-lamento, avrebbe quindi dovuto rimanere incarica per tutta la legislatura e indire e dirige-re le nuove elezioni. Oggi un giornale ufficioso[…] ci fa sapere […] che il punto saliente del-la riforma sarebbe questo: “fissare la durata incarica del Governo per un numero definito dianni, dopo che abbia ottenuto un primo voto difiducia del Parlamento, in seguito alla nominada parte della Corona”. Appena ieri, invece, ilmedesimo giornale asseriva che quando fossevenuta meno al Governo la fiducia del Parla-mento, la via di uscita si sarebbe trovata o nelmutamento del Governo per parte della Coro-na o in un nuovo appello al paese»22.

Ai sensi di quest’ultima interpretazione,secondo l’opinionista del «Mondo», lariforma Bianchi sarebbe stata del tutto inu-tile, poiché in niente sarebbe mutata la dina-mica del sistema (parlamentare) vigente.Diversa la critica rivolta alla seconda delleinterpretazioni riportate: stabilire l’inamo-vibilità del governo per un periodo prede-terminato avrebbe tolto qualsiasi significatoal controllo parlamentare nei confronti delConsiglio dei ministri, e, nello stesso tempo,avrebbe in pratica abolito la prerogativa regiadi nomina e revoca dei ministri. Se, vicever-sa, si fosse provveduto ad assegnare allaCorona la facoltà di dimettere il governo, nelcaso in cui questo si fosse trovato in disac-cordo con il Parlamento, o con la Coronastessa, non si sarebbe andati oltre la meraformalizzazione di quanto già acquisito dalleconsuetudini costituzionali italiane.

Completamente inutile, di conseguenza,sarebbe risultata qualsiasi iniziativa volta apredeterminare la durata in carica dei gover-

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19 Ibidem.20 Citato da Intorno alla progettata riforma della Costituzione,

in «L’Italia», 6 gennaio 1923.21 Ibidem.22 Attendendo idee precise, in «Il Mondo», 6 gennaio 1923.

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ni, potendo il sovrano, come già ai sensi del-la costituzione vigente, assecondare o igno-rare qualsiasi mutamento nell’atteggiamen-to parlamentare verso il Consiglio dei mini-stri.

Quest’ultima considerazione è forseindice di una contraddizione nell’argomen-tazione proposta dal «Mondo», il quale,nonostante il richiamo alle prerogativecostituzionali del sovrano in merito allanomina e alla revoca dei ministri, mirava arivendicare la natura esclusivamente parla-mentare della forma di governo prevista dal-la costituzione vigente. È però possibile chel’opinionista del giornale democratico sitrovasse in un certo imbarazzo, non sapen-do esattamente contro quale nemico doves-se combattere.

A suo giudizio, infatti, la proposta diBianchi poteva essere interpretata sia cometentativo d’instaurare in Italia una forma digoverno di tipo presidenziale, sia come ten-tativo di restaurare la monarchia puramen-te costituzionale, coadiuvata dall’istituzionedel Cancellierato di tipo germanico. Percombattere la prima ipotesi poteva risulta-re utile un qualche richiamo ai diritti dellaCorona, dal momento che, per sua natura,l’adozione del sistema presidenziale impli-cava l’abolizione della stessa monarchia. Nelsecondo caso, l’argomento utilizzabile eral’incompatibilità di un regime caratterizza-to dall’esorbitanza delle prerogative regiecon la civiltà politica del tempo, che avevaraggiunto il suffragio universale e aveva allespalle una tradizione di governo parlamen-tare di gabinetto lunga settantacinque anni.

Successivamente, «Il Mondo» insistet-te sulla prima delle summenzionate ipotesicostituzionali, mostrando un’accentuatapreoccupazione per la salvaguardia dellaprerogativa regia. Questa, a detta del gior-

nale, sarebbe stata di fatto abolita, vista l’im-possibilità di designare un presidente delConsiglio diverso dal capo della forza poli-tica vincente alle elezioni, il quale, oltretut-to, sarebbe probabilmente stato lo stesso«che le [aveva] indette e manipolate»23.

Si paventava, quindi, l’ipotesi che siaffermasse la possibilità di consentire aduna determinata personalità di conservare alungo il potere anche a dispetto della volon-tà del re, oltre che della Camera. Un altroproblema relativo alla posizione costituzio-nale del capo dello Stato si sarebbe posto sea questi, invece, fosse stato confermato ildiritto di dimissionare, a propria discrezio-ne, il governo. Servendosene per rimediarea situazioni di stallo istituzionale dovute acontrasti con il Parlamento, il sovrano sisarebbe troppo apertamente esposto nelgioco delle forze politiche, assumendosi cosìresponsabilità esorbitanti, pur restando nel-l’ambito di un sistema, il quale sarebbe sta-to da considerare, secondo lo scrittore de«Il Mondo», affine a quel governo di gabi-netto che i sostenitori del progetto Bianchipur sostenevano di voler cancellare24.

4. La replica fascista

A tutte le critiche manifestate dalla stam-pa d’opposizione nei confronti del progettoBianchi, nei primi giorni di gennaio seguì lareplica di parte fascista.

Il compito fu assolto dall’Agenzia italia-na (costantemente definita «ufficiosa» daigiornali), che diffuse il seguente comunica-to in data 8 gennaio:

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23 Note di giornali romani sulle proposte di riforma costituzio-nale, in «Corriere della sera», 10 gennaio 1923.

24 Ibidem, passim.

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Le critiche mosse al disegno di riformacostituzionale […] si possono sostanzialmen-te ridurre a tre:

1. Si afferma che il disegno di riforma«relegherebbe la Monarchia in una funzionedecorativa». Niente di più infondato. Il Re –interprete altissimo della coscienza nazionale –sceglie i suoi Ministri, secondo l’incancellatalettera dello Statuto. Il Parlamento, mediante ilsuo voto di fiducia, sanziona la scelta del Sovra-no. Dov’è la funzione decorativa? La funzionedecorativa era ed è quella che attribuivano edattribuiscono alla Corona i proporzionalistipopolari e filo-popolari, negandole perfino ildiritto di scegliere il Capo del Governo ed esal-tando il diritto di veto dei gruppi e dei partiti.

2. Si dice: «La riforma caldeggiata da Miche-le Bianchi renderebbe impossibile un mutamen-to d’indirizzo nel governo dello stato, senza unarivolta». È una frase ad effetto, che spiace vede-re ripetere da organi serii della pubblica opinio-ne. Anzitutto, bisogna bene fissare come capo-saldo, che il mutamento continuo dei Governi èil peggior disastro che possa capitare al Paese[…]. Quattro anni non sono molti perché possaessere condotto a pieno termine un serio pro-gramma; in certi rami, dell’azione politica, peresempio nella politica estera, sono pochi […].

3. Si dice infine, che la riforma Bianchi ten-de a istituire in Italia una costituzione sulmodello della defunta imperiale germanica. Lacensura è avventata, perché al Parlamento nonsi nega la facoltà di sanzionare la nomina deiMinistri fatta dal Re. Il voto di fiducia che ilCapo del Governo richiederebbe sul program-ma o sui compiti assegnati alla legislatura,implicherebbe nella forma più alta e più nobi-le la sanzione in parola, il che non era contem-plato nel sistema del Cancellierato germanico.Altri critici affermano che la riforma Bianchitrasporterebbe in Italia la costituzione ameri-cana. E anche questa censura è assurda, perchénella costituzione americana, il Capo dello Sta-to è responsabile, mentre nella riforma Bianchiil Re rimane, come è, irresponsabile: la respon-sabilità di ogni atto spetta ai suoi Ministri. Cosìla coincidenza pericolosa della direzione delloStato e del governo è evitata25.

«Il Mondo» fece seguire al testo dellanota ufficiosa dell’Agenzia italiana una pro-pria chiosa, nella quale ribadì, innanzitutto,la propria fedeltà al sistema parlamentare,aggiungendo una considerazione sull’im-possibilità pratica di governare senza il con-senso del Parlamento: tale ipotesi era giu-dicata praticabile solamente a condizione difare definitivamente a meno del Parlamen-to stesso ed infrangendo, pertanto, la costi-tuzione. A ciò si sommava la denuncia degliautomatismi semplicistici che, riteneva ilquotidiano, rendevano implicito nello sche-ma del progetto Bianchi il costante pericolodi rigidità e cortocircuiti istituzionali:

Il Governo di Gabinetto ha realizzato, nel-le forme complesse e delicate dei moderni Sta-ti rappresentativi, il congegno più perfetto permantenere l’equilibrio e conseguire l’accordodei poteri pubblici. […] Il Parlamento ha fun-zionato male in Italia negli ultimi anni. Nessu-no ne dubita. Ma è vano cercare il rimedio neltentare di rendere il Governo autonomo, perun certo periodo, dal Parlamento, dopo la con-cessione di un primo formale voto di fiducia.Infatti o nel Parlamento esiste una maggioran-za che sostiene con fiducia un determinatogoverno ed esso rimarrà al potere e svolgeràtranquillamente la sua opera anche se non haun periodo prestabilito per la sua esistenza;oppure quella maggioranza è venuta a mancareed allora il Parlamento intralcerà talmente l’a-zione del Governo che, per la esistenza dellaNazione, sarà assai peggio che se, con un votodi sfiducia potesse determinare il mutamentodel Gabinetto a meno che, s’intende, in tal casonon governi senza il Parlamento. Ma con ciò siva fuori della costituzione e non si eleva l’orga-no della rappresentanza popolare: lo si svalutae se ne sopprime praticamente l’efficienza»26.

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25 La riforma costituzionale. Mettiamo i punti sugli «i», in «IlNuovo Paese», 9 gennaio 1923.

26 In difesa del governo di Gabinetto, in «Il Mondo», 10 gen-naio 1923.

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Del tutto opposta era la posizione dell’or-gano nazionalista «L’Idea nazionale», il qua-le vedeva nel progetto Bianchi un provvidodisegno di cambiamento della forma digoverno, tale da restituire alla Camera deideputati il suo unico, legittimo ruolo, quellodi esercitare la funzione legislativa, sottraen-dole il potere di determinare la formazione ela caduta delle compagini ministeriali, con ilconseguente ritorno dell’esercizio di siffattapotestà al re, conformemente alla lettera del-lo Statuto, esplicitamente richiamata.

È interessante l’interpretazione data dalgiornale nazionalista allo schema di forma digoverno desumibile dal disegno riformatoreal centro del dibattito: non parlamentare,naturalmente, ma neppure costituzionalepuro, “alla tedesca”, perché caratterizzato daun’armonica distribuzione di potestà, traCorona e Parlamento, nel momento dellaformazione del governo, dovendo il secondopur sempre dare la propria fiducia al gabi-netto all’inizio di ogni legislatura. Nemme-no presidenziale, in quanto rispettoso delladistinzione tra «Capo dello Stato e Capo delGoverno, necessaria ad ogni regime monar-chico»27. Secondo l’interpretazione dell’«Idea nazionale», la proposta di Bianchi nonprevedeva l’inamovibilità del governo incarica, come, abbiamo visto, paventato dallastampa d’opposizione: esso avrebbe cancel-lato la responsabilità ministeriale nei con-fronti del Parlamento, così da rendere l’or-gano esecutivo responsabile esclusivamenteverso il Re, titolare della facoltà di revocarlo.Tale facoltà, secondo il giornale nazionalista,non doveva essere intesa come mezzo fina-lizzato alla sostituzione del governo in cari-ca, bensì alla consultazione dell’elettorato.Era dunque fuori luogo parlare di «poterepersonale regio e instaurazione di dirittoprussiano»28.

Opposta alla precedente era l’opinioneespressa in un commento del «Corriere dellasera» del 10 gennaio, il quale, dopo avere bia-simato le pecche dimostrate dal sistema parla-mentare, ed avere invocato a suo favore le atte-nuanti del caso:

Le troppo frequenti e non bene giustifica-te crisi ministeriali sono state una piaga dellanostra vita parlamentare e nessuno più di noi leha deplorate […] ma noi siamo convinti che lacolpa non sia della costituzione, sì bene di par-titi, di uomini e di circostanze […]. Il sistemaelettorale è inadatto; e bisogna o perfezionarela proporzionale o forse – con una più realisti-ca coscienza della realtà presente – tornare alcollegio uninominale29.

tornò, con forza, a tacciare il disegno diriforma costituzionale di essere retrogrado e“prussiano”:

L’Europa ha visto la costituzione imperia-le germanica precipitare con l’Impero deiHohenzollern e vede resistere e accrescersi dinumero le costituzioni liberali. Nello stessotempo, fra il crollare e il vacillare di non pochitroni, l’Europa ha visto in Italia […] la Monar-chia superare saldamente la tempesta. E ciò èdovuto in buona parte al carattere della nostracostituzione»30.

Oltre a ciò, il commentatore del «Corrie-re della sera» ravvisava la sussistenza di unaquestione tecnico-costituzionale che giudi-cava particolarmente delicata, quella della«copertura» del Capo dello Stato: «Il pro-getto del comm. Bianchi, rimettendo unica-mente nel Re i diritti sinora assegnati al Par-lamento, è certamente nell’intenzione ungrande atto di fede monarchica e di fiducianel Sovrano, ma in realtà viene a esporlo»31.

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27 Riforma necessaria, in «L’Idea nazionale», 10 gennaio1923.

28 Democrazia e realtà, in «L’Idea nazionale», 12 gennaio 1923.29 La riforma costituzionale, in «Corriere della sera», 10 gen-

naio 1923.30 Ibidem.31 Ibidem.

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Ancora nel mese di marzo, in un discor-so tenuto a Milano, in occasione del quartoanniversario della fondazione dei fasci dicombattimento, Michele Bianchi tornò sul-le sue idee di riforma costituzionale con leseguenti parole:

Sarà poi compito della XXVII legislaturaaffrontare il problema della riforma costituzio-nale. Io ho avuto campo in una serie di intervi-ste di accennare ai termini generali della rifor-ma costituzionale. Si tratta sommariamente diquesto. Una volta che, dopo le elezioni, il Reabbia incaricato della formazione del governol’uomo politico più rispondente alla volontà delPaese, e dopo che quest’uomo avrà enunciatoalla Camera dei Deputati il programma di lavo-ro che egli si prefigge di compiere e la Cameralo abbia approvato, il Governo non dovrà averepiù bisogno, durante la legislatura, di invocareil viatico di altri voti di fiducia»32.

Con ciò il quadrumviro ribadì la propriaaspirazione di fondo, ma certo non aggiunseniente di nuovo a quanto già si era potutosapere del suo disegno riformatore. Come giàdetto, non solo il progetto Bianchi non diven-ne costituzione formale, ma neanche fu maiformalizzato in una proposta legislativa. Èopportuno rilevare che, a giudizio del «Cor-riere della sera», i vertici fascisti non sareb-bero stati scontenti delle opposizioni cagio-nate dalle dichiarazioni di Bianchi, in quan-to queste avrebbero avuto proprio la finalitàtattica di provocare un dibattito, dal qualetrarre insegnamenti utili ad orientare le futu-re iniziative di riforma costituzionale33.

Tale opinione era suffragata dalle confi-denze concesse all’«Epoca» di GiuseppeBottai da una «persona vicina alle sfere uffi-ciali», la quale escluse che alcuna riformacostituzionale fosse allo studio del governo.Di ciò si stava piuttosto occupando Bianchi,«da solo o in collaborazione con altri», al

fine di sondare le reazioni dell’opinionepubblica. La cosa sarebbe stata apprezzatadal governo, il quale auspicava di ricavarnedel valido materiale su cui lavorare. La rifor-ma non avrebbe attuato il Cancellierato, maallora (era il gennaio del 1923) il governo era«non contrario, bensì estraneo»34 ad unaquestione la quale, per quanto necessaria,richiedeva ancora una preparazione adegua-ta della pubblica opinione.

In definitiva, però, mancava ancora l’u-nico elemento che avrebbe permesso di faredefinitivamente chiarezza, con una, per cosìdire, interpretazione autentica, sulla realenatura e sul reale contenuto della proposta:la presentazione di un disegno di legge. Doveinvece riuscì a operare concretamente nel-le sedi istituzionali, il fascismo ottenne unprimo risultato di rilievo. Fu infatti il paral-lelo disegno di riforma elettorale ad andarein porto: la legge Acerbo, con cui venneaccolta nell’ordinamento giuridico l’impo-stazione di Bianchi in materia, ricevette, trail luglio e il novembre del 1923, l’approva-zione della Camera e del Senato.

5. Fascismo e Statuto

Come visto, all’opposizione del progettoBianchi si trovarono senz’altro i difensori delsistema parlamentare, i quali ritennero diindividuare nella proposta di riforma unattentato alla forma di governo da essi rite-nuta più confacente alla civiltà politica – nonsolo italiana – del tempo. A loro giudizio, l’at-

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32 Michele Bianchi, Dal manipolo di Piazza S. Sepolcro algoverno fascista, in I discorsi gli scritti, Roma, Libreria delLittorio, 1931, pp. 91-92.

33 Cfr. La riforma costituzionale. Il sondaggio dell’opinione pub-blica, in «Corriere della sera», 13 gennaio 1923.

34 Ibidem.

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tacco sarebbe consistito nella completa sva-lutazione politica delle istituzioni parlamen-tari e nell’instaurazione in Italia del Cancel-lierato. Restò tuttavia ambigua la definizionedel soggetto che si sarebbe avvantaggiato del-la trasformazione: il re, oppure il presiden-te del Consiglio/Cancelliere?

Già si è rilevato, d’altronde, che lo stes-so «Mondo», difensore convinto dellademocrazia e del Parlamento, nell’argo-mentare la propria opposizione giunse adenunciare la minaccia incombente sulleprerogative regie di nomina e di revoca deiministri. In effetti, lo scarno apparato con-cettuale a cui si riduceva la riforma Bianchi,poteva e può essere visto come un tentativod’introdurre nell’ordinamento l’elezionepopolare, formalmente indiretta, del capodel Governo, configurando così un mecca-nismo costituzionale sufficiente ad annul-lare ogni influenza del capo dello Stato sul-l’esecutivo. Si è però constatata anche la pro-clamata devozione alla monarchia e allo Sta-tuto, nella sua interpretazione più letterale,dei difensori della riforma.

A fronte di tutte le vistose ambiguità rile-vate, occorre precisare che nessun dubbiosussisteva, invece, su almeno uno degliobiettivi principali della riforma: il Parla-mento, o, meglio, la Camera dei deputati.Porre fine alla forma di governo parlamen-tare, impedendo alla rappresentanza nazio-nale di esercitare un’effettiva influenza sul-le sorti del potere esecutivo era l’unico epalese intento di innovatori e restauratori. IlParlamento sarebbe stato limitato all’unicasua funzione riconosciutagli, quella diapprovare le leggi e i bilanci.

Significativi, a proposito della correntedi pensiero antiparlamentare legata al fasci-smo e al protofascismo, i ricordi di Paoloni– scrittore fascista favorevole al tentativo di

riforma costituzionale di Bianchi –, per ilquale già negli anni della guerra «le lettereche giungevano al giornale [«Il Popolo d’I-talia»] dal fronte, fossero di generali ed altriufficiali superiori, o di ufficiali inferiori, o disemplici soldati o graduati di truppa, eranocolme di esasperazione contro il Parlamen-to»35. Lo stesso autore cita i suoi più tardiinterventi sull’«Era nuova» di Trieste:

L’articolo in data 27 luglio 1922, intitolato«Questa è la crisi del regime parlamentare -bisogna rendere indipendente il Governo daivoti della Camera», tra l’altro diceva: «la deca-denza e l’impotenza del Governo si verifica intutti i paesi a regime di direzione parlamenta-re […]; dove più dove meno, è dovuta alladipendenza dei governi dai voti dei parlamen-ti». L’articolo in data 28 agosto 1922, intitola-to «O democrazia nuova o democrazia morta»,diceva: «I caratteri fondamentali del male sipresentano, come altra volta abbiamo detto,nella incapacità del Parlamento esclusivamen-te politico, a dare al paese le provvidenze eco-nomiche e tecniche delle quali esso ha urgen-te bisogno, e nella instabilità che toglie alGoverno ogni possibilità di governare con auto-rità e di svolgere un programma»36.

Da questa redistribuzione di potere aspese dell’assemblea elettiva – che può esse-re considerata un gioco a somma zero –avrebbero tratto beneficio, in termini diautorità e operatività, sia il re che il presi-dente del Consiglio.

Appare interessante, al fine di conosce-re la cultura delle istituzioni della destra ita-liana nella prima metà degli anni Venti, fareriferimento al contributo di Giulio De Mon-temayor, autore di un libello dal titolo signi-ficativo – Per lo Statuto – pubblicato nel 1923,a uso del Gruppo di competenza per la rifor-

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35 Frncesco Paoloni, Sistema rappresentativo del fascismo,Napoli, Editrice Rispoli Anonima, 1934, p. 45.

36 Ibidem, pp. 55-56.

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ma costituzionale. Dice già molto l’inter-pretazione della stessa marcia su Roma diquesto autore, il quale vedeva in essa unareazione all’inettitudine della Camera deideputati, incapace di dare al paese un Gover-no degno di tal nome. La conquista del pote-re da parte dei fascisti sarebbe però risulta-ta poco utile, a lungo andare, se non seguitada un’opera di risanamento istituzionalefinalizzata all’eliminazione del male che finoad allora aveva afflitto lo Stato italiano: ilparlamentarismo37.

Non si trattava, precisava De Montema-yor, di sopprimere le Camere, bensì di limi-tarne le prerogative entro i limiti tracciatidalla storia e dall’opportunità, così da con-sentire loro l’espletamento della sola funzio-ne legislativa. In questo modo si poteva otte-nere un’effettiva divisione dei poteri e, conessa, un assetto istituzionale finalmenteordinato ed efficiente. Perniciosa era stata,nell’interpretazione di De Montemayor, laprassi affermatasi nell’età liberale, per cui iministeri venivano creati e abbattuti dallaCamera bassa: essa aveva determinato, piut-tosto, uno stato di confusione permanente.

Tuttavia, l’attuazione di un disegno costi-tuzionale basato sulla separazione dei pote-ri, secondo lo studioso, non avrebbe com-portato alcuna autentica riforma della costi-tuzione. La forma di governo prevista dalloStatuto albertino, infatti, era già, esclusiva-mente, quella costituzionale pura. Il parla-mentarismo non era dunque da considera-re «un male costituzionale, ma un male pro-dotto invece dallo allontanamento della pra-tica dai sani principi fissati dalla nostra leg-ge fondamentale»38.

«Parlamentarismo» è proprio il termi-ne impiegato da De Montemayor per indi-care il male del sistema politico italiano. Ilsuo linguaggio riecheggia chiaramente le

idee della fine del diciannovesimo secolo; inesso, si rivela il suo pensiero, del tutto assi-milabile a quello degli intellettuali che, tren-ta e più anni prima, avevano scritto contro ilparlamentarismo. Non a caso, per sostene-re la propria tesi, De Montemayor non haesitato a riportare nella sua opera brani diBonghi e di Sonnino, in particolare interepagine di Torniamo allo Statuto.

Coerentemente, nel pensiero di DeMontemayor, il criterio di opportunità fini-va per coincidere con quello di legalità. Così,se la costituzione del 1848 non era mai sta-ta abrogata, né emendata, il governo parla-mentare, in quanto non previsto dalla lette-ra statutaria, doveva e poteva essere sosti-tuito da una prassi a questa conforme.

Il re doveva esercitare il suo diritto discegliere e controllare i ministri, i quali nondovevano essere necessariamente membridel Parlamento, ai sensi dell’articolo 66 del-lo Statuto, visto da De Montemayor come unfondamentale ostacolo giuridico all’accetta-zione del sistema parlamentare, o, per usa-re parole sue, del parlamentarismo. DeMontemayor ha, tra l’altro, evidenziato ilfatto che Sonnino aveva sottovalutato l’im-portanza dell’articolo 66 ai fini di quella cheviveva come una battaglia comune:

Il Sonnino […] trascurava solo di addurrel’argomento decisivo, a provare che il nostroStatuto non ha mai fatto obbligo al Re di sce-gliere i suoi ministri nella maggioranza dellaCamera, e che quindi il governo parlamentareo di gabinetto non è stato mai largito dalla

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37 Sulle polemiche riguardanti il parlamentarismo, cfr. l’or-mai classico lavoro di Giacomo Perticone, Parlamentari-smo e antiparlamentarismo nel Post-Risorgimento, in Nuo-ve questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia,Milano, Marzorati, 1961,vol. II, pp. 621-70.

38 Giulio De Montemayor, Per lo Statuto. Memoria presentataal gruppo di competenza per la riforma costituzionale, Firen-ze, 1923, p. 22.

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nostra costituzione e non risponde a questa.L’articolo dello Statuto che tronca ogni dispu-ta su tal punto è infatti il 66, a cui il Sonninoaccenna solo di sfuggita e ad altro fine, e chesuona testualmente: «I Ministri non hannovoto deliberativo nell’una o nell’altra Camera,se non quando ne sono membri. Essi vi hannosempre l’ingresso, e debbono essere sentiti sempreche lo richieggano». Il che significa, in termi-ni non equivocabili, che i ministri possono nonessere, oltre che membri della maggioranza, nédeputati, né senatori! È contro questa muragliadell’art. 66 che danno di capo tutti i sostenito-ri del parlamentarismo in Italia39.

Affidare le sorti del potere esecutivo alsovrano, dunque, era il rimedio proposto daDe Montemayor, perché così voleva il dirit-to, ma anche perché la Corona era al di sopradei gruppi sociali e delle loro lotte. L’unicosuo interesse, piuttosto, consisteva nella curadell’interesse collettivo, a ciò spinta dal biso-gno di garantire l’avvenire della dinastia.Ancora, la figura del re, personificazione erappresentazione della patria, era da ritene-re ancora più preziosa in un paese ancoragiovane come l’Italia, in quanto stimolo vita-le al sentimento di unità nazionale.

Impegnato nella stesura di Per lo Statuto,De Montemayor riteneva, tuttavia, che lasvolta da lui auspicata nella storia costitu-zionale italiana fosse già avvenuta. Precisa-mente, si era verificata nel momento in cuiVittorio Emanuele III aveva incaricato Mus-solini della formazione del governo. Signi-ficativamente, De Montemayor paragonavatale atto, compiuto dal monarca indipen-dentemente da qualsiasi designazione par-lamentare, all’emanazione del proclama diMoncalieri (1849) e alla revoca dell’incari-co ministeriale a Minghetti, dovuta ai fattiseguiti alla convenzione di settembre con laFrancia (1864). Nel caso del conferimentodell’incarico a Mussolini, il re «non fece che

esercitare un diritto statutario da tutti i pub-blicisti pienamente riconosciuto. […] Cer-to una rivoluzione essa è stata in quanto ilparlamentarismo ha rovesciato in Italia; ma,di fronte allo Statuto del Regno, essa non hafatto che rovesciare un usurpatore e com-piere una restaurazione»40.

Per lo Statuto non contiene riferimentiespliciti alle proposte di Bianchi. Fu Arcan-gelo Di Staso, dalle colonne della «Rivolu-zione Liberale», ad occuparsi d’interpreta-re lo scritto di De Montemayor come attac-co al progetto del quadrumviro calabrese: ilritorno puro e semplice allo Statuto nonsarebbe stato compatibile con l’innovazionecostituzionale proposta, la quale, oltretutto,riconosceva al Parlamento la potestà di vota-re, almeno una volta, la fiducia al governo enon lo confinava, di conseguenza, ad un ruo-lo puramente legislativo.

L’intenzione di Di Staso, in realtà, eraquella di accomunare le idee costituzionali di

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39 Ibidem, p. 37. 40 Ibidem, pp. 42-43.

Il Gabinetto Mussolini

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entrambi in un’unica critica, riguardante lasottovalutazione del Parlamento dimostratadai suoi due avversari; il collaboratore della«Rivoluzione Liberale» si chiedeva, infatti,cosa sarebbe accaduto in caso di disaccordotra Parlamento e Consiglio dei ministri: sequesto fosse rimasto in carica, ad esempio,quello avrebbe potuto reagire prendendosi«il gusto di votare tutte le proposte di leggenon gradite al Gabinetto e bocciare tuttequelle presentate dal Gabinetto»41; riferen-dosi poi, in particolare, alla riforma Bianchi,Di Staso osservava che, se questa fosse stataattuata, il gabinetto avrebbe avuto un obbli-go più stringente alle dimissioni, in quantodebitore della propria esistenza nei confrontidelle Camere ancora più che in precedenza.Invece, analizzando specificamente quantosostenuto da De Montemayor, l’opinionistadel giornale di Gobetti rilevava che

Mussolini aveva avuto l’incarico di formareil Governo contro l’indicazione del Parlamento(dunque il Re non aveva mai perduto il diritto discegliere i ministri come e dove gli paresse epiacesse di sceglierli). Ma qualche giorno dopo,pur non ripetendo la sua origine dal Parlamen-to, sentì il bisogno di chiedere il voto di fiduciadel Parlamento e ha sentito il bisogno di torna-re a chiederlo tre o quattro volte. Eppure il Par-lamento non lo aveva […] obbligato, nemmenopregato di tanta cortesia. […] Se perfino il dit-tatore sentì il bisogno di ottenere la fiducia delParlamento, e di un Parlamento per giunta esau-torato, finito, ridotto a zero, bisogna dire che vifosse una ragione non facilmente distruttibiledel fatto che la Corona nominava di solito iministri su indicazione del Parlamento, e nongià che questo fatto fosse dovuto, come mostradi credere il Montemayor, a una violenza eser-citata dal Parlamento su la Corona42.

Nel già citato Programma della destrafascista, Volt ha offerto una lettura del dise-gno riformatore di Bianchi opposta a quelladi chi in essa vedeva una limitazione della

prerogativa regia, tanto da giudicarla inti-mamente legata, «se non nella forma, cer-to nello spirito […] alla proposta di Sonni-no»43. A giudizio di questo autore, la rifor-ma presentata dal segretario generale del-l’Interno avrebbe notevolmente ridotto laportata della responsabilità ministeriale neiconfronti del Parlamento; viceversa, neiconfronti del sovrano, essa si sarebbe accen-tuata. In questo, la sicurezza di Volt era dovu-ta al fatto che l’innovazione prospettatariguardava esclusivamente i rapporti tra ilGoverno e le Camere: la mancanza di riferi-menti alle relazioni tra il primo e la Coronadoveva far ritenere che niente, in tale mate-ria, sarebbe cambiato. Di conseguenza, alParlamento, successivamente alla conces-sione della fiducia all’inizio della legislatu-ra, sarebbe stata preclusa la facoltà di deter-minare una crisi, mentre il capo dello Statoavrebbe conservato il diritto di dimettere ilgoverno, in qualsiasi momento e a sua dis-crezione. Ciò detto, si comprende agevol-mente il giudizio favorevole dato dall’intel-lettuale fascista alla riforma Bianchi.

Secondo Volt, il movimento fascista, dapoco al potere in Italia, aveva già iniziato ainvertire il corso della storia costituzionaleeuropea, caratterizzato, fino ad allora, dal pro-gressivo aumento dei poteri delle assembleeelettive. Così, se lustri prima la proposta diSonnino non aveva avuto successo, «non giàperché superata, ma, al contrario, perché inanticipo sui tempi»44, i tempi erano ormaimaturi per colpire la «plutocrazia» e la «spe-culazione» nell’istituzione in cui trovavano laloro naturale espressione, il Parlamento.Convinto del fatto che gli organi elettivi fos-

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41 Arcangelo Di Staso, Dello Statuto, in «La RivoluzioneLiberale», 32/1923, p. 132.

42 Ibidem.43 Volt, Programma della destra, cit., p.105.44 Ibidem.

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sero viziati nella loro composizione dallacompravendita dei voti, alimentata, appunto,dalla speculazione e dalla plutocrazia, Voltsosteneva la necessità di «rafforzare di fron-te al parlamento l’autorità del Re»45.

In Italia, il governo parlamentare era sta-to, a giudizio di Volt, la tirannide di un’as-semblea, la Camera dei deputati, la qualeaveva esorbitato dai propri limiti costituzio-nali, dapprima monopolizzando la funzionelegislativa, quindi usurpando al sovrano ilpotere di governo. Conseguenza politica diciò, l’impossibilità di giovarsi della più gran-de virtù della monarchia: la continuità nel-l’azione governativa.

L’illegalità del processo che aveva deter-minato l’affermazione del parlamentarismorisultava patente, in quanto lo Statuto delregno era stato violato non solo nella lette-ra, ma anche nello spirito. Per comprende-re una tale affermazione è necessario tene-re presente che, nella concezione di Volt,l’interpretazione della norma giuridica altronon poteva essere se non il rispetto del pen-siero del suo autore; risultava dunqueimportante il fatto che «Carlo Alberto, redubitoso ma di idee tutt’altro che libera-li»46, avesse voluto conservare per sé lapotestà di scelta dei ministri, invece di affi-darla alla Camera elettiva. Fu piuttosto lasconfitta militare a minare l’autorità dellamonarchia sabauda, mentre, al contrario, levittorie prussiane erano servite a consolida-re quella degli Hohenzollern. Un’altra diffe-renza, di carattere strutturale, la quale ave-va contribuito a segnare gli opposti sviluppidelle storie costituzionali italiana e prussia-na, era stato, a giudizio di Volt, l’atteggia-mento delle rispettive élites aristocratiche,burocratiche e militari. Queste, nel regno diSardegna, si erano mostrate contrarie alprogetto unitario, obbligando così Cavour a

ricercare nel Parlamento la base della pro-pria politica.

Volt avrebbe visto con favore il ripristi-no della monarchia puramente costituzio-nale e, di conseguenza, anche la realizzazio-ne della riforma Bianchi. A questa attribui-va due pregi fondamentali: il ristabilimentodella giusta gerarchia tra il potere monar-chico e il Parlamento – il primo sovraordi-nato al secondo – e la garanzia della stabili-tà nell’arco della legislatura. Il primo deno-tava la riforma come rispettosa della legali-tà statutaria, mentre nel secondo trovavariscontro l’esigenza di annullare, o per lomeno di ridurre fortemente, i difetti propridel parlamentarismo.

I due criteri che ispiravano la riflessionedi Volt, la legalità e il merito, erano dunquesoddisfatti dal progetto Bianchi, strumentoutile all’affermazione del migliore dirittocostituzionale, quello per il quale i ministrinon sarebbero stati responsabili che verso ilsovrano, e il voto dell’assemblea elettivaavrebbe avuto «il carattere di indicazio-ne»47. Tuttavia, avvertiva Volt, occorreva unatrasformazione costituzionale ben più pro-fonda per sostenere il regime monarchicofascista da lui auspicato:

Ogni statuto è un’arma che la monarchiaoffre ai suoi peggiori nemici. Presto o tardi,esaurita l’aristocrazia ereditaria, di fronte alparlamento alleato con la piazza, il sovrano sitrova isolato. La nuova aristocrazia finanziaria,padrona della stampa e delle elezioni, si impo-ne ai governi. Il parlamento non è che uno stru-mento nelle sue mani. Per cui, se vogliamotagliare la mala pianta alle radici, non basta

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45 Ibidem. Anche affidare la supremazia politica ad un’ari-stocrazia ereditaria sarebbe servito ugualmente allo sco-po, ma nel caso italiano era rimasta in gioco la solamonarchia: op.cit., p.104.

46 Ibidem, p. 107.47 Ibidem, p. 109.

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rendere per legge il potere esecutivo indipen-dente dalla camera. Il potere resterebbe cosìcampato in aria. Bisogna anche che una nuovaaristocrazia, quella dei risparmiatori, divenga ilsostegno della monarchia nella lotta contro l’a-ristocrazia degli speculatori. Gli elementi diquesta nuova aristocrazia si trovano nelle filedel partito fascista. Ma è una illusione credereche essa possa imporsi a traverso l’odiernomeccanismo elettorale. Dato anche che il fasci-smo possa assicurarsi la maggioranza parla-mentare per uno spazio di cinquant’anni, ciòavverrebbe col sacrifizio dei suoi elementimigliori. Il suffragio universale opererebbe nelpartito una selezione a rovescio»48.

Un altro intellettuale di parte fascista chesi espresse a proposito del progetto di rifor-ma costituzionale legato al nome di Bianchifu Arrigo Solmi, storico del diritto e futuroguardasigilli. Anch’egli era uno dei nuovicritici del parlamentarismo, fenomeno la cuiorigine faceva risalire al 1876, quando laSinistra andò al potere. Da allora, seguendola sua analisi, i successivi allargamenti delsuffragio e l’adozione del sistema elettoraleproporzionale, con il conseguente scadi-mento politico e morale della rappresen-tanza, uniti all’imitazione dell’esempio fran-cese, avevano conferito alla Camera deideputati un potere del tutto esorbitante, taleda concentrare in sé il governo dell’Italia,cagionando quegli effetti disastrosi denun-ciati da tutta la letteratura antiparlamenta-ristica della seconda metà dell’Ottocentocosì come dai fascisti: permanente instabi-lità ministeriale e particolarismo nellagestione degli affari pubblici.

Nonostante l’affinità delle premesse, Sol-mi aveva una posizione più moderata rispet-to a Volt e a De Montemayor. Per esempio,egli non ravvisava nella lettera statutaria unargomento sufficiente a motivare un giudiziodi incostituzionalità nei confronti dell’evo-

luzione in senso parlamentare della forma digoverno italiana, cominciata, a suo dire, giàall’indomani della concessione dello Statutoalbertino: tale evoluzione – poi, comunque,degenerata – era potuta avvenire grazie ad untesto costituzionale, il quale aveva avuto lafunzione di «costituire un governo rappre-sentativo», senza «definire con troppaminuzia le regole con cui quel Governoavrebbe dovuto funzionare»49, circostanzache aveva permesso di stabilire un sistema digoverno fondato sul diritto costituzionalederivato dall’interpretazione e dotato, a pare-re di Solmi, dello stesso valore giuridico del-la costituzione scritta. Occorre, ancora, pre-stare attenzione ad un’ulteriore convinzionemanifestata da Solmi, secondo cui la prima,legittima manifestazione del regime costitu-zionale, «non pretese affatto di annullare odi diminuire la sfera d’azione degli altri orga-ni dello Stato, e in particolare non inteselimitare i diritti della Corona»50.

Difensore dei diritti della Corona, Solmiera nettamente contrario all’ipotesi di rifor-ma costituzionale avanzata da Bianchi. La suacritica era duplice: in primo luogo, mostran-do una certa concordanza con i critici di par-te democratica, Solmi scorgeva nel progettouna rigidità del tutto inopportuna, perchéeccessiva, e slegata da ogni giusto senso del-la realtà. Solmi intendeva cioè avvertire isuoi contemporanei del fatto che gli inevi-tabili e continui mutamenti tipici della vitapolitica non si potessero accordare con lapretesa di vincolare per un quinquennio, aduno specifico programma di governo, laconduzione della cosa pubblica.

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48 Ibidem, p. 112.49 Arrigo Solmi, La riforma costituzionale, Milano, Alpes,

1924, p. 16.50 Arrigo Solmi, Riforma costituzionale, in «Gerarchia»,

VIII/1923, p.1126.

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La seconda osservazione riguardava lostravolgimento dell’assetto costituzionaleche Solmi riteneva connaturato alla propo-sta: successivamente alla concessione dellafiducia al governo, e per tutta la durata del-la legislatura, non solo il Parlamento sareb-be stato ridotto a una condizione d’impo-tenza, ma lo stesso monarca avrebbe vistogravemente lesi i propri diritti, in quantoimpossibilitato ad esercitare una sua impor-tante, legittima prerogativa, quella di inter-venire, dettando apposite istruzioni ai mini-stri, in tutte le circostanze nelle quali l’inte-resse nazionale lo avesse richiesto51.

Eppure, come detto, la posizione di Sol-mi era più moderata di quelle di De Monte-mayor e di Volt. Diversamente da questi, ilsuo modello ideale non era caratterizzato dauna separazione netta e gerarchizzata deipoteri, quanto, piuttosto, da un loro piùarmonico coordinamento: indubbiamente,nel modello costituzionale vagheggiato daSolmi la funzione di perno era assegnata allaCorona, ritenuta «non soltanto il simbolodell’unità e della totalità dello Stato, maanche l’organo attivo», deputato a permet-tere e controllare «tutta la vita e tutte le fun-zioni dello Stato»52. Una funzione di verti-ce, dunque, di alta direzione e di coordina-mento, da svolgere con l’ausilio di ministriscelti dalla Corona stessa, «in costantearmonia col Parlamento e soprattutto con laCamera dei deputati»53. Non a quest’ulti-ma, sicuramente, doveva spettare il potere dideterminare la sorte del potere esecutivo;tuttavia, a giudizio di Solmi, doveva comun-que valere la presunzione che essa fosseun’espressione verace del sentire popolare.

Il re avrebbe dovuto agire da garantesupremo del buon funzionamento del ramoelettivo del Parlamento: a tal fine, l’ufficiodel sovrano sarebbe consistito nel preveni-

re, attraverso lo scioglimento, eventualiaffermazioni, in seno all’assemblea, diorientamenti demagogici o particolaristici,incompatibili con la cura dell’interessegenerale, cioè con la missione che la rap-presentanza nazionale aveva in comune conla Corona ed il governo.

6. Una corrente “neo-sonniniana”?

Alla luce di quanto visto sinora, si puòparlare dell’esistenza di una corrente “neo-sonniniana” nel pensiero costituzionale deglianni Venti. A questo proposito, non puòessere trascurato un elemento di indubbiointeresse: coloro i quali, allora, si rifacevanoa Torniamo allo Statuto, omettevano di ricor-dare che, nello scritto di Sonnino, era statoil presidente del Consiglio ad essere fattooggetto della polemica forse più violenta.

Nel suo famoso articolo, Sonnino avevainvocato la soppressione proprio di quel«maître de palais», trattato da abusivo eusurpatore, e non certo del Parlamento odella Camera dei deputati. Ciò era, indub-biamente, coerente con l’idea di tornare alloStatuto, dato che nella carta costituzionaledel 1848 non c’era alcun cenno al Consigliodei ministri e quindi, tantomeno, al presi-dente del Consiglio.

I neosonniniani degli anni Venti, però,erano fascisti; Sonnino era un liberale con-servatore che, nell’auspicio di un risanamen-to complessivo del sistema politico, disegna-va un modello impostato sulle relazioni reci-proche tra organi dello Stato, sostanzialmen-

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51 Cfr. Arrigo Solmi, La riforma costituzionale, cit., pp. 46-47.

52 Ibidem, p. 48.53 Ibidem.

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te alieno all’elemento partitico. Dopo quasitrent’anni, i partiti politici erano ormai unarealtà consolidata e, nel frattempo, lo stessoSonnino, per ben due volte, aveva assunto lacarica di presidente del Consiglio. Si puòdunque ritenere che per uomini di partitodegli anni Venti fosse naturale accettare lapresenza, nell’assetto istituzionale dello Sta-to, di un capo del Governo diverso dal Re, e diriservare tale posizione al capo indiscusso delproprio partito: per Solmi, «una mente aper-ta» e «una mano ferma», con la «funzionedi dirigere in effetto l’azione dello Stato, ser-vendo di mediatore tra la Corona e il Parla-mento, e fra i due rami del Parlamento mede-simo, e tenendo a freno i partiti politici da cuideriva, pur conservandone la forza»54.

Neanche autori legati a una visione piùortodossa della forma di governo costituzio-nale pura, come De Montemayor e Volt,rinunciavano ad attribuire grande impor-tanza al fatto che una personalità come Mus-solini si trovasse alla guida della compagineministeriale55. A giudizio del primo, si è det-to, contava il fatto che la decisione di desi-gnare il capo fascista alla guida del governofosse stata presa dal re in piena autonomia esenza badare all’opinione parlamentare. Ilparere del secondo, più articolato, era basa-to su argomentazioni di carattere squisita-mente politico: Volt ricordava «le ripetuteprove di lealismo da parte del Capo del fasci-smo», le quali dimostravano l’inesistenza dialcun «proposito di contrapporre allamonarchia costituzionale una sorta di ditta-tura personale, fondata sul plebiscito»56.

Un lealismo monarchico fuori discus-sione, quello prospettato da Volt, essendo ilplebiscito «una istituzione democraticaestranea alla mentalità fascista»57. Inoltre,Volt rilevava nella storia la coincidenza tra lapolitica dei grandi ministri, come Metter-

nich, Bismarck, Richelieu, e gli interessidelle rispettive monarchie: simili personag-gi avevano reso grandi le dinastie da loroservite, esercitando una funzione il cuicarattere, inevitabilmente transitorio avevaoltretutto messo in risalto la continuitàdinastica delle case regnanti; questo eraanche il caso del rapporto tra Mussolini e iSavoia, tanto che «la monarchia italiana nonpoteva essere che fascista»58 e il capo fasci-sta non sarebbe diventato un «Maestro diPalazzo»59. L’utilizzo di quest’ultimaespressione può essere considerato unarisposta postuma a Sonnino, tutta tesa adesprimere la propria convinzione in meritoa una coesistenza politicamente proficua,oltreché legittima, di Vittorio Emanuele IIIe Mussolini al vertice del potere esecutivo.

Fascismo e monarchia, Duce e Re, pare-vano binomi imprescindibili, destinati acostituire il nucleo istituzionale del regimefascista. Ancora nel giugno del 1925, lo stes-so Michele Bianchi, parlando al congressodel P.N.F., rivendicò la natura genuinamen-te monarchica del fascismo, in quanto con-seguenza della concezione fascista dellanazione, intesa come continuità storica digenerazioni, dal passato all’avvenire: se loStato, nei suoi organi costituzionali, dovevaessere indifferente agli orientamenti con-tingenti della pubblica opinione, la suaespressione istituzionale più naturale nonpoteva che essere la monarchia, poiché era

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54 Ibidem, p. 56.55 De Montemayor descriveva il capo del Fascismo in que-

sti termini: «Il grande e sennato suo duce e capo, l’Uo-mo che oggi, come sempre nell’ora della necessità, laProvvidenza esprime in Italia dal fondo oscuro ed ine-sauribile della stirpe». Per lo Statuto, cit., p. 56.

56 Volt, Programma della destra, cit., p. 106.57 Ibidem. 58 Ibidem. 59 Ibidem.

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in essa che si sostanziava la continuità sto-rica della nazione60. È da ricordare, a que-sto punto, a proposito dell’atteggiamentoufficiale del partito fascista nei confrontidella Corona, nel periodo in cui ancora erain corso la diatriba sulla riforma Bianchi, ladichiarazione approvata per acclamazionedal Gran Consiglio, massima istanza delFascismo, nella seduta del 13 gennaio 1923.Con tale atto, il Fascismo si avvicinò decisa-mente ai nazionalisti, tradizionali difensoridei diritti del monarca contro quelle cheritenevano usurpazioni da parte del Parla-mento, come dimostrato dall’entusiasticocommento dell’«Idea nazionale», firmatoda Maurizio Maraviglia61.

Dopo il «lancio» della proposta Bian-chi, e verificate le reazioni da questa susci-tate, il fascismo al potere proseguì, con len-tezza e cautela, sulla strada della riformacostituzionale. In effetti, fu proprio il quo-tidiano di Mussolini, nel marzo del 1923, asostenere «che “la riforma della costituzio-ne” non è la cosa più urgente»62. Il com-mentatore del «Popolo d’Italia», come sap-piamo, non ebbe torto, dal momento che daallora le leggi di revisione costituzionale sifecero attendere per più di due anni. Nelfrattempo, la questione continuò comunquea essere dibattuta, sebbene con intensitànon certo paragonabile a quella riscontrataall’inizio del 1923.

Circa l’assetto da imporre al quadro isti-tuzionale e, per quanto qui più interessa, ildestino assegnato alla Corona, occorre rile-vare che ulteriori fonti concorrono a deli-neare l’immagine di un costituzionalismofascista teso alla rivalutazione dei diritti delre. Così, il commento, appena citato, del«Popolo d’Italia», serviva a introdurre l’in-tervento di un deputato fascista, GiovanniCelesia. Questi indicava negli articoli 2, 3, 5,

6, 8, 65, 66 e 67 dello Statuto albertino lefondamenta intangibili dell’organizzazionecostituzionale italiana, facendo così salvo ilprincipio per cui l’unico titolare del potereesecutivo doveva essere il sovrano. Questodato doveva essere tenuto presente, a pare-re di Celesia, se si voleva evitare di resusci-tare il parlamentarismo, fenomeno che ildeputato mostrava di giudicare non diver-samente dal solito Sonnino di Torniamo alloStatuto. Questo scritto viene citato nell’arti-colo di Celesia come modello di analisi delpiù grave problema politico e istituzionaleconosciuto dall’Italia unita, battuto una pri-ma volta con la manovra antiparlamentaredell’entrata nella grande guerra e ripresen-tatosi, dalla fine del conflitto mondiale e finoalla marcia su Roma, ancora più pericolosoa causa dell’adozione della proporzionale.

Curiosamente, tuttavia, dagli articoli del-lo Statuto menzionati, Celesia traeva argo-mento per sostenere anche la sussistenza,

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60 Cfr. Michele Bianchi, Le riforme costituzionali, in I discor-si gli scritti, cit., p. 114.

61 «Si è cercato di mettere in circolazione la leggenda chel’adesione del Fascismo alla Monarchia non fosse che unalustra e un espediente provvisorio per condurre più age-volmente a fondo l’opera di totale rivolgimento da essoiniziata anche se ciò non fosse nelle intenzioni persona-li dell’on. Mussolini.[…] Ancora una volta si riconoscedai costruttori di questo valore storico che è l’Italia, cheil consolidamento ed il potenziamento della vita unitariadell’Italia nel mondo delle nazioni moderne, non posso-no verificarsi, prescindendo dalla Corona e peggio anco-ra contro gl’interessi della Corona. […] Il Nazionalismo,da circa tre lustri, ha impegnato la sua battaglia politica,sopra un programma, che si può riassumere in questi trecapisaldi: attuamento da grande potenza, volontà di gran-de potenza, valorizzazione dell’istituto della Corona. […]Il Fascismo […] si trovò immediatamente d’accordo colNazionalismo sull’indirizzo da dare alla politica estera ealla politica militare. […] Restava invece qualche dubbiosul terzo punto. Ora questo dubbio non esiste più». Mau-rizio Maraviglia, Dichiarazione storica, in «L’Idea nazio-nale», 16 gennaio 1923.

62 La riforma costituzionale, in «Il Popolo d’Italia», 14 mar-zo 1923.

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nel diritto costituzionale del regno, dellaresponsabilità ministeriale verso il Parla-mento e, in special modo, verso la Cameradei deputati. Evidentemente, un tale con-cetto della responsabilità dei ministri nonera dall’esponente fascista ritenuto in con-traddizione con la sua massima preoccupa-zione costituzionale: la necessità del rispet-to, nello svolgimento della vita concreta del-le istituzioni politiche, del principio delladivisione dei poteri, che egli vedeva consa-crata nello Statuto.

Conservare alla Corona la titolarità dellapotestà esecutiva era, dunque, indispensa-bile, al fine di impedirne l’assorbimento daparte del potere legislativo. Tale era, sostan-zialmente, l’intento di tutti i fascisti neo-sonniniani: essi vedevano nel rispetto delledisposizioni statutarie, e nella conseguenterivalutazione della prerogativa regia, il mez-zo necessario a rendere effettiva la divisio-ne dei poteri.

Secondo la loro impostazione, il Parla-mento si sarebbe dovuto limitare all’assolvi-mento della funzione legislativa, secondoquanto richiesto dalla sua origine storica edagli articoli della carta costituzionale. Pre-cludere alla Camera dei deputati la possibili-tà di esprimere una maggioranza di governoe, quindi, di determinare la sorte delle com-pagini ministeriali, postulava il pieno ritornodella materia nella piena competenza del capodello Stato o, in alternativa, l’introduzionedell’elezione diretta dell’esecutivo.

È già emerso in precedenza che la primastrada era quella scelta da tutti coloro che sirifacevano ad una interpretazione più rigoro-sa della carta costituzionale. La seconda alter-nativa, a giudizio di alcuni commentatori del-l’epoca, era implicita nel progetto riformato-re di Bianchi. Le due soluzioni, dal punto divista dei diritti della Corona nei confronti del

Governo, erano, naturalmente, opposte; tut-tavia, il progetto fu accolto con favore daglistessi difensori della prerogativa regia, i qua-li ne diedero un’interpretazione del tutto con-forme alle proprie impostazioni.

Tutto ciò è indicativo dell’ambiguità difondo del progetto, ma anche delle tendenzeche caratterizzavano il costituzionalismofascista nei primi anni di permanenza diMussolini alla guida del governo: fondamen-talmente, il vero nemico da colpire e ridi-mensionare era il Parlamento. Allo scopo,poteva risultare efficace tanto il mero ritornoallo Statuto quanto l’attuazione della riformaBianchi. Nonostante le incompatibilità daalcuni rilevate, agli occhi di molti autori fasci-sti le due operazioni erano equivalenti.

Trascurando il pur ovvio fatto che nelloStatuto non vi fosse neanche un cenno allafigura del presidente del Consiglio, il costitu-zionalismo fascista indicava come sbocco del-la lotta intrapresa contro il parlamentarismoe a favore del ripristino della legalità costitu-zionale, l’alleanza tra il sovrano e il capo delFascismo, a spese di una Camera politica-mente ridimensionata. Esaltare la prerogati-va regia di scelta dei ministri, tra i quali eraincluso, senza alcuna remora giuridica, il pre-sidente del Consiglio, significava conferireuna legittimazione forte al potere di un gover-no, ormai, di partito, considerato, al pari del-la Corona, «nazionale», e che, pertanto, sitrovava nella condizione di potere fare a menodella legittimazione parlamentare.

La soluzione, evidentemente, era tale daessere, contemporaneamente, fascista emonarchica. Il costituzionalismo fascista, indefinitiva, non poneva la questione dei rap-porti tra Corona e Duce in termini di duali-smo anche solo, potenzialmente, conflittua-le, bensì di necessario sostegno al secondoda parte della prima.

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