Alimentazione e sport di lunga durata

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DIETOLOGIA ( Filippo Fortuna) RUOLO DELLA DIETOLOGIA DELLO SPORT: Già nell’antica Grecia, ai tempi dei primi giochi olimpici, si era intuito un nesso tra prestazione sportiva e nutrizione. Pratiche che oggi possono far sorridere erano comunemente consigliate dai medici “preparatori” di allora. Ad esempio era consigliato di mangiare carne di maiale ai lottatori, di toro ai corridori, di capra ai saltatori. In realtà, solo da pochi decenni la dietetica sportiva si è sviluppata come disciplina autonoma. La dietologia sportiva si occupa: della razionalizzazione delle abitudini alimentari al fine di ottenere uno stato di salute ottimale dell’atleta; della definizione di diete particolari aventi l’obiettivo di raggiungere e mantenere il peso forma e l’ottenimento del rapporto peso/potenza ideale (dimagrimento senza perdita di massa muscolare, aumento di peso, ecc.); della definizione di diete particolari utili a portare l’atleta, al momento della prova, nelle migliori condizioni possibili (dieta pre-gara); della definizione di accorgimenti nutrizionali da adottare durante la prova sportiva o immediatamente dopo. Per progettare un buon programma nutrizionale, è di fondamentale importanza conoscere la disciplina praticata e il tipo di allenamento che l’atleta in esame dovrà affrontare. Questo permette di acquisire, ad esempio, informazioni utilissime sul tipo di substrato energetico prevalentemente utilizzato (glucidi, lipidi, proteine) dall’atleta. Questo dipende dal fatto che l’allenamento sia prevalentemente aerobico o anaerobico. Dal Monte e Matteucci hanno classificato le varie attività sportive tenendo proprio conto di questi parametri. In generale, in gare brevi e potenti vi è maggior ricorso al metabolismo aerobico (ATP- CP, glicolisi anaerobica) e ai glucidi, mentre in gare di lunga durata c’è maggior ricorso al metabolismo aerobico e ai lipidi. Nei soggetti allenati, soprattutto nelle attività aerobiche, c’è un aumento della capacità di estrarre ossigeno da parte del muscolo per aumento della capillarizzazione del muscolo (ciò si traduce in una maggior utilizzazione di lipidi). Si verifica quindi, in questi soggetti, un risparmio di glicogeno durante l’attività, che può ritornare utile durante le fasi successive della prestazione (sprint finale). Sopra i 1500 m di altitudine la capacità aerobica si riduce per una diminuizione della pressione parziale di ossigeno, pertanto c’è un maggior ricorso alla glicolisi anaerobica con maggior utilizzo di glucidi rispetto ai lipidi. Anche in climi troppi freddi e troppo caldi la glicolisi anaerobica viene attivata prematuramente poiché c’è una spesa energetica supplementare per mantenere la temperatura corporea costante. Durante l’attività fisica il catabolismo proteico è esaltato soprattutto a livello epatico e nel muscolo, principalmente in prestazioni con intensità elevata. Gli aminoacidi ramificati (valina, leucina, isoleucina) sono quelli maggiormente utilizzati dal muscolo a scopo energetico. Essi vengono rilasciati dal fegato ai muscoli. In questa sede, gli enzimi addetti, li “trasformano” in glucosio e da qui, in energia producendo come prodotto di scarto, ammoniaca (l’iperammoniemia è un segno di affaticamento dell’atleta). L’orario di inizio dell’allenamento o della gara condiziona la suddivisione dei pasti nell’arco della giornata, poiché, per motivi legati alla distribuzione della portata cardiaca, è necessario che l’allenamento cominci a digestione ultimata (la digestione richiede una grande quantità di ossigeno). La qualità e la quantità dei cibi ingeriti influiscono sui tempi di digestione. Un pasto a base di carne impiega 3 ore per passare attraverso lo stomaco, nell’intestino. Se non è possibile attendere le 3 ore è necessario limitarsi all’assunzione di soli carboidrati i cui tempi di digestione sono più brevi. Il numero di pasti deve essere di 3-5 al giorno. Si distinguono pasti “principali” (dove sono presenti tutti i nutrienti) e “di richiamo” (caratterizzati dalla netta prevalenza di un determinato nutriente, in genere glucidi, utili per riequilibrare o prevenire stati di parziale ipoglicemia). VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE DELL’ATLETA:

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DIETOLOGIA(Filippo Fortuna)

RUOLO DELLA DIETOLOGIA DELLO SPORT:

Già nell’antica Grecia, ai tempi dei primi giochi olimpici, si era intuito un nesso tra prestazione sportiva e nutrizione. Pratiche che oggi possono far sorridere erano comunemente consigliate dai medici “preparatori” di allora. Ad esempio era consigliato di mangiare carne di maiale ai lottatori, di toro ai corridori, di capra ai saltatori. In realtà, solo da pochi decenni la dietetica sportiva si è sviluppata come disciplina autonoma.

La dietologia sportiva si occupa: della razionalizzazione delle abitudini alimentari al fine di ottenere uno stato di salute ottimale dell’atleta; della definizione di diete particolari aventi l’obiettivo di raggiungere e mantenere il peso forma e l’ottenimento del rapporto

peso/potenza ideale (dimagrimento senza perdita di massa muscolare, aumento di peso, ecc.); della definizione di diete particolari utili a portare l’atleta, al momento della prova, nelle migliori condizioni possibili (dieta pre-

gara); della definizione di accorgimenti nutrizionali da adottare durante la prova sportiva o immediatamente dopo.

Per progettare un buon programma nutrizionale, è di fondamentale importanza conoscere la disciplina praticata e il tipo di allenamento che l’atleta in esame dovrà affrontare. Questo permette di acquisire, ad esempio, informazioni utilissime sul tipo di substrato energetico prevalentemente utilizzato (glucidi, lipidi, proteine) dall’atleta. Questo dipende dal fatto che l’allenamento sia prevalentemente aerobico o anaerobico.

Dal Monte e Matteucci hanno classificato le varie attività sportive tenendo proprio conto di questi parametri. In generale, in gare brevi e potenti vi è maggior ricorso al metabolismo aerobico (ATP-CP, glicolisi anaerobica) e ai glucidi, mentre in gare di lunga durata c’è maggior ricorso al metabolismo aerobico e ai lipidi.

Nei soggetti allenati, soprattutto nelle attività aerobiche, c’è un aumento della capacità di estrarre ossigeno da parte del muscolo per aumento della capillarizzazione del muscolo (ciò si traduce in una maggior utilizzazione di lipidi). Si verifica quindi, in questi soggetti, un risparmio di glicogeno durante l’attività, che può ritornare utile durante le fasi successive della prestazione (sprint finale).Sopra i 1500 m di altitudine la capacità aerobica si riduce per una diminuizione della pressione parziale di ossigeno, pertanto c’è un maggior ricorso alla glicolisi anaerobica con maggior utilizzo di glucidi rispetto ai lipidi.Anche in climi troppi freddi e troppo caldi la glicolisi anaerobica viene attivata prematuramente poiché c’è una spesa energetica supplementare per mantenere la temperatura corporea costante.

Durante l’attività fisica il catabolismo proteico è esaltato soprattutto a livello epatico e nel muscolo, principalmente in prestazioni con intensità elevata. Gli aminoacidi ramificati (valina, leucina, isoleucina) sono quelli maggiormente utilizzati dal muscolo a scopo energetico. Essi vengono rilasciati dal fegato ai muscoli. In questa sede, gli enzimi addetti, li “trasformano” in glucosio e da qui, in energia producendo come prodotto di scarto, ammoniaca (l’iperammoniemia è un segno di affaticamento dell’atleta).

L’orario di inizio dell’allenamento o della gara condiziona la suddivisione dei pasti nell’arco della giornata, poiché, per motivi legati alla distribuzione della portata cardiaca, è necessario che l’allenamento cominci a digestione ultimata (la digestione richiede una grande quantità di ossigeno). La qualità e la quantità dei cibi ingeriti influiscono sui tempi di digestione. Un pasto a base di carne impiega 3 ore per passare attraverso lo stomaco, nell’intestino. Se non è possibile attendere le 3 ore è necessario limitarsi all’assunzione di soli carboidrati i cui tempi di digestione sono più brevi.Il numero di pasti deve essere di 3-5 al giorno. Si distinguono pasti “principali” (dove sono presenti tutti i nutrienti) e “di richiamo” (caratterizzati dalla netta prevalenza di un determinato nutriente, in genere glucidi, utili per riequilibrare o prevenire stati di parziale ipoglicemia).

VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE DELL’ATLETA:

La valutazione dello stato nutrizionale dell’atleta, insieme ad altrettanto importanti tests clinici che permettono lo studio della funzionalità dei principali apparati implicati nell’attività sportiva, è un punto di riferimento iniziale e poi, un ottimo strumento di controllo, per progettare un programma nutrizionale e di allenamento preatletico efficace.I migliori risultati che si possono ottenere nella valutazione dello stato nutrizionale dell’atleta scaturiscono da uno studio che tiene conto:

dell’anamnesi nutrizionale (dove possono emergere eventuali scompensi ad esempio proteici, vitaminici, dovuti a scorrette abitudini alimentari);

dell’esame clinico obiettivo (dove possono emergere eventuali segni di disidratazione o malnutrizione, ad esempio edemi, segni cutanei o sulle mucose);

della valutazione dei parametri nutrizionali (antropometrici e/o biochimici).

Precisi parametri antropometrici, permettono infine di misurare le riserve energetiche e la massa proteica.

VALUTAZIONE DEI FABBISOGNI NUTRIZIONALI DELL’ATLETA:

in condizioni normali, il regime dell’atleta deve essere normocalorico (l’energia assunta deve essere uguale a quella spesa nell’arco delle 24 ore) ed equilibrato (gli apporti dei singoli nutrienti devono pareggiare i fabbisogni plastici ed energetici).Nel corso della stagione si possono verificare situazioni di ordine clinico (infortuni, ecc.) o legate al programma di allenamento, dove le necessità nutrizionali possono variare sia in senso qualitativo che quantitativo.

IL DISPENDIO ENERGETICO DELL’ATLETA:è l’energia quotidianamente consumata per mantenere attive le funzioni vitali biologiche e coprirne i fabbisogni relativi in stato di quiete o di maggior attivazione.I fattori che lo determinano sono molti e l’attività fisica svolta è uno di essi:

la sua determinazione è fondamentale per il calcolo del dispendio energetico nell’atleta. Questa spesa di energia viene calcolata misurando il consumo di ossigeno (calorimetria indiretta) nelle varie attività. Tuttavia, in letteratura esistono tabelle che riportano i valori calcolati per ciascuna attività fisica per minuto per Kg di peso corporeo.Moltiplicando per il peso corporeo (in Kg) e per il tempo (minuti) ad essa dedicato, è possibile ottenere il valore finale delle calorie consumate nello svolgimento di tale attività. La somma dei valori parziali derivanti da ciascuna attività compiuta durante la giornata dell’atleta, fornisce il dispendio energetico totale.Inoltre, oggi esistono in commercio alcuni bracciali a cui sono applicati particolari sensori che riescono a calcolare in tempo reale il dispendio energetico nelle varie attività.

IL FABBISOGNO PROTEICO DELL’ATLETA:Si ritiene che l’apporto proteico raccomandato per soggetti non sportivi sia insufficiente a coprire il fabbisogno degli atleti. L’esercizio fisico determina notevoli cambiamenti del metabolismo delle proteine tanto da provocare un aumento del fabbisogno proteico superiore del 50%-100% rispetto ai sedentari, soprattutto se si svolgono attività di lunga durata ad elevata intensità. Si raccomanda un introito proteico compreso tra 1g e 1,7 g / Kg /die per atleti adulti. Tale valore può salire fino a 2 -2,2 nei soggetti in crescita. In questi ultimi, la percentuale di aminoacidi essenziali sul totale degli aminoacidi introdotti deve essere pari al 36% e del 19%, negli adulti. Pertanto, il 60% delle proteine introdotte deve essere di origine animale e il 40% di origine vegetale. L’apporto proteico deve coprire il 12%-15% della razione alimentare e comunque deve pareggiare il bilancio azotato.

Bilancio azotato:E’ utile per controllare le modificazioni del metabolismo proteico durante le fasi di preparazione dell’atleta. Un bilancio di azoto positivo è espressione di sintesi proteica (ipertrofia). Un bilancio di azoto negativo è espressione di catabolismo e deplezione di azoto.Viene calcolato sottraendo all’azoto introdotto con la dieta, quello escreto con le urine (urea in g x 0,4666), con le feci e con la cute (1,5 g; oppure 15 mg/peso in Kg/die).

IL FABBISOGNO LIPIDICO DELL’ATLETA:I lipidi vanno assunti in misura di 1,5g/peso in Kg/die e devono coprire il 25%-30% della razione alimentare. Devono comprendere quelli saturi (1/3) e quelli insaturi (2/3).Attività sportive svolte in climi sfavorevoli (freddo intenso) e per tempi lunghi, impongono un aumento di tali quantità.

IL FABBISOGNO GLUCIDICO DELL’ATLETA:I glucidi sono i nutrienti che maggiormente condizionano la prestazione fisica, soprattutto per le specialità sportive che si svolgono in tempi medio-lunghi e con intensità medio-alta. Coprono il 55%-60% della razione alimentare, ma per attività di lunga durata è utile che la quota glucidica, soprattutto nei giorni precedenti la gara, raggiunga il 70% della razione alimentare. Gli oligosaccaridi devono coprire il 10%-15% del fabbisogno totale di carboidrati e i polisaccaridi il 45%-50%.

IL FABBISOGNO IDRICO DELL’ATLETA:essere certi di coprire tale fabbisogno, nelle gare di lunga durata, è questione di primaria importanza per il mantenimento della performance poiché scarse assunzioni d’acqua evidenziano precocemente i segni e i sintomi della disidratazione. Ma anche l’eccessiva assunzione di acqua può causare alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico per iponatremia da esaltata escrezione di sodio. Pertanto l’apporto idrico è direttamente correlato con le condizioni di svolgimento della gara (durata, clima in cui essa si svolge) e comunque deve permettere di mantenere il bilancio idrico dell’individuo sempre in equilibrio.

Bilancio idrico:calcolo:acqua escreta con le urine (800-1200 ml) +perspirazio cutanea (600mg variabile con l’attività fisica) +perspirazio polmonare (400mg variabile con l’attività fisica) =________________________________________________acqua totale escreta in condizione ideali = 1800 ml – 2000 ml

temperature ambientali elevate e prestazioni prolungate nel tempo aumentano le perdite idriche.

IL FABBISOGNO DI SALI MINERALI DELL’ATLETA:difficilmente nel corso di gare si manifestano segni da carenza salina. Un’eventuale integrazione riguarda principalmente gare di lunga durata, condotte in ambiente sfavorevole.Per i fabbisogni specifici per ciascun minerale si fa riferimento ai valori LARN aggiornati.

IL FABBISOGNO DI VITAMINE NELL’ATLETA:studi dimostrano che in soggetti ben nutriti, nessun effetto positivo è prodotto dalla supplementazione di vitamine. Pertanto una dieta ben equilibrata che tiene conto già dei fabbisogni proteici, glucidici e di lipidi apporterebbe già sufficienti quantità di vitamine utili all’atleta.E’ tuttavia da segnalare che l’esercizio fisico necessita ad esempio di un aumentato apporto di vitamina C e Riboflavina. Per i fabbisogni specifici per ciascuna vitamina si fa riferimento ai valori LARN aggiornati.

L’ALIMENTAZIONE PRE-GARA

La durata della gara è il fattore principale che indica la strategia alimentare da seguire.Per gare di breve durata non è necessario che l’alimentazione si discosti da quella del periodo di allenamento.Nelle gare di lunga durata l’intervento nutrizionale è finalizzato ad assicurare il mantenimento del glicogeno durante tutta la performance, infatti, in queste gare, la disponibilità di glicogeno muscolare ed epatico è un fattore limitante.Per aumentare le scorte di glicogeno esistono metodiche nutrizionali e di allenamento ben precise:Innalzando, nei 3 giorni precedenti la gara, al 60% - 70% la quota glicidica della razione alimentare e seguendo un programma di esercizi di breve durata (30 min.) a bassa intensità (35% - 40% del VO2 max) si riesce ad incrementare di quasi il doppio le scorte di glicogeno muscolare.Un altro sistema, detto “scandinavo” che si adotta nei 6 giorni precedenti la gara, è il seguente:

nei primi 3 giorni si adotta un regime dietetico dissociato ipoglucidico (P:35% L:55% HC:10%) e contemporaneamente si eseguono esercizi ad alta intensità che necessitano elevati consumi di glicidi. In tal modo si riducono decisamente le scorte di glicogeno. Nei 3 giorni successivi si adotta un regime dietetico dissociato iperglucidico (P:12% L:8% HC:80%) e un programma di allenamento di durata e intensità modeste. Si ottiene un maggior aumento delle scorte di glicogeno rispetto al metodo precedente, ma il sistema scandinavo spesso causa sensazione di malessere all’atleta in quanto per ogni grammo di glucosio accumulato si trattengono anche 2,7g di acqua, pertanto al termine del ciclo dei 6 giorni l’atleta può avere un incremento di peso anche di 3-4 Kg dovuto all’acqua. Questo eccesso di peso può incidere negativamente sulla performance. Per questo motivo la tecnica sopra descritta è poco utilizzata.Nella metodica di Hultman, invece, l’atleta rimane inattivo nei 6 giorni che precedono la gara. Nel contempo il regime alimentare è ipoglucidico (10%) per i primi 3 giorni e diventa iperglucidico (90%) negli ultimi 3 giorni.Altre metodiche simili sono utilizzate per ottenere il medesimo scopo.

ALIMENTAZIONE POST-GARA E POST-ALLENAMENTO

Lo scopo è quello di ristabilire l’equilibrio metabolico-nutrizionale che viene a mancare dopo l’esercizio, soprattutto se di lunga durata. Ciò deve avvenire nel minor tempo possibile affinchè l’atleta possa nuovamente affrontare sforzi fisici.

Ripristino delle riserve di glicogeno:la velocità di resintesi del glicogeno è massima nelle prime 2 ore successive alla fine dell’esercizio e risulta ottimale una razione glucidica di 0,7 g/Kg di peso ogni 2 ore a partire dal termine dell’esercizio. Il ripristino del glucosio nell’atleta risulta più rapido dopo l’assunzione di glucosio e saccarosio rispetto all’assunzione di solo fruttosio. Nelle prime 24 ore il glicogeno ritorna quasi ai valori precedenti la competizione e si stabilizza nei giorni seguenti. La velocità di resintesi del glicogeno è direttamente proporzionale all’entità della deplezione di glicogeno.

Ripristino dell’equilibrio idroelettrolitico: Soprattutto nelle gare di lunga durata, per valutare lo stato di disidratazione, è utile misurare la perdita di peso che è proporzionale all’acqua persa durante lo sforzo. Su tale base si possono definire il volume di acqua da assumere e le corrette modalità di assunzione.Sodio e Cloro sono i 2 elettroliti maggiormente dispersi col sudore. L’assunzione di 40 mEq di Sodio e Cloro permettono un rapido e completo recupero elettrolitico.

Altre caratteristiche della razione alimentare di recupero:Non deve contenere cibi ad alto potere energetico (grassi) o aventi lunghi tempi di digestione (alimenti carnei). Deve invece contenere alimenti di facile digestione quali carboidrati, liquidi (succhi di frutta, acque minerali, centrifugati vegetali) e sostanze antiossidanti (vit. C, E, Betacarotene).

Ripristino del sistema ATP-CP:Il sistema ATP-CP ha un recupero piuttosto rapido: 20 – 30 sec. sono sufficienti per ricostituire la metà dei fosfati utilizzati. Nel lavoro intermittente le pause fra una prova e l’altra sono sufficienti alla ricostituzione del sistema ATP-CP.

Ripristino dell’ossigeno: il debito di ossigeno alattacido si recupera in 3 – 5 min. , mentre il debito di ossigeno lattacido è recuperato più lentamente.

Rimozione dell’acido lattico:dopo un lavoro esaustivo, la rimozione dell’acido lattico dal muscolo e dal sangue è più rapida se durante il periodo di ristoro si eseguono esercizi a bassa intensità e avviene in 11-25 min. Durante il ristoro, l’acido lattico può essere convertito in glicogeno e cioè, in una fonte di energia per il muscolo. Questa conversione avviene grazie all’energia proveniente dal sistema aerobico.

PREVENZIONE NUTRIZIONALE

PREVENZIONE DELLA DEPLEZIONE DI GLICOGENO E DELLA DISIDRATAZIONE:Nelle gare di lunga durata, le concentrazioni di glicogeno muscolare, di acqua e di elettroliti (persi con la sudorazione – meccanismo indispensabile per il corretto funzionamento dei meccanismi di termoregolazione), si riducono progressivamente. Disidratazione e deplezione di glicogeno ed elettroliti possono essere le principali situazioni in cui un atleta può venirsi a trovare se non attua procedure preventive in tal senso. Inoltre, nei soggetti non allenati, il problema può insorgere più precocemente in quanto la degradazione di glicogeno, sia muscolare (prima) che epatico (dopo), avviene prima che nei soggetti allenati.

La termoregolazione:normalmente, di tutta l’energia liberata dall’atleta, solo il 25% diventa lavoro meccanico, mentre il 75% si trasforma in energia termica. Un esercizio intenso può far salire la temperatura corporea anche oltre i 40°, ma poiché l’uomo non sopporta innalzamenti di temperatura interna superiori a 40°, diventano indispensabili i meccanismi di termoregolazione. Attraverso essi, in casi estremi, si può raggiungere una eliminazione di sudore anche pari a 3 litri/h. In tali situazioni limite si instaurano i sintomi di malessere classici. Insieme all’acqua vengono persi anche i sali presenti comunemente nel sudore.Fino a sudorazioni complessive di 3 litri, i minerali assunti con gli alimenti possono risultare sufficienti a coprire le dispersioni saline. Oltre questa soglia è opportuna una loro intergrazione.

Prevenzione della disidratazione:Le prime misure sono l’acclimatizzazione (svolgere in clima sfavorevole alcune sedute di allenamento di intensità e durata progressivamente crescente) e l’adozione di un abbigliamento adatto (cotone e lino assorbono facilmente l’acqua, mentre fibre sintetiche e acriliche determinano un ambiente caldo-umido che ostacola l’evaporazione). E’ opportuno, inoltre, che gli indumenti siano comodi e di colore chiaro. Altra misura è l’assunzione di acqua ed elettroliti durante l’attività sportiva di lunga durata, intense e svolte in ambiente sfavorevole. Tale integrazione può avvenire con semplice acqua, soluzioni di elettroliti in acqua oppure soluzioni contenenti elettroliti, acqua e carboidrati purchè non troppo concentrate (devono essere isotoniche o ipotoniche per poter abbandonare lo stomaco in tempi brevi e essere assorbite dall’intestino rapidamente). Il rapporto 2/1 tra glucosio e sodio favorisce anche l’assorbimento dell’acqua. Soluzioni di carboidrati e elettroliti favoriscono l’assorbimento dei liquidi meglio della sola acqua. Tuttavia, anche l’acqua consumata ad libitum si è dimostrata capace di riequilibrare situazioni di scompenso dovuto all’esercizio.

Prevenzione della deplezione di glicogeno:

nelle gare di lunga durata e di elevata intensità, la prima norma è quella dell’assunzione precompetitiva di carboidrati. In tale situazione l’apporto di carboidrati deve essere di circa 40-50g/h. quantità maggiori non danno maggior beneficio. L’atleta assume tali dosi di carboidrati per evitare cadute di prestazione ed avere una piccola riserva da utilizzare nelle fasi finali della performance (scatto, velocità massima).I carboidrati maggiormente utilizzati nelle soluzioni sono: glucosio, fruttosio (preferito al glucosio perché non inducendo un aumento della secrezione di insulina, non provoca ipoglicemia), maltodestrine (hanno minor osmolarità ed una velocità di assorbimento media e graduale nel tempo). In caso di attività a bassa intensità (meno del 45% del VO2 max) e di durata inferiore alle 2 ore, in atleti con normale concentrazione di glicogeno all’inizio dell’attività, non c’è necessità di assunzione di ulteriori soluzioni glicidiche.Modalità di assunzione dei carboidrati:L’American College of Sports Medicine indica la soluzione di glucosio in acqua al 2,5% come quella più favorevole per un miglior assorbimento.L’assorbimento di una soluzione al 7% composta da fruttosio (2%) e maltodestrine (5%) è simile a quello della sola acqua e consente un apporto di 70g di zuccheri/litro senza effetti collaterali. Questa sembra essere la soluzione migliore per competizioni della durata di 2-3 ore in cui è necessario l’apporto di 40-45 g/h di carboidrati per evitare la deplezione di glicogeno.Altra soluzione utilizzata è quella composta da glucosio al 5%, assunta per evitare deplezione di glicogeno.

Classificazione delle attività sportive in base alla loro durata e interventi nutrizionali preventivi:Tale classificazione è indispensabile per stabilire un buon programma “personalizzato” di prevenzione nei confronti della disidratazione e della deplezione di glicogeno:

Gare di durata inferiore a 1 ora (alcuni sport di squadra, tutte le gare di atletica esclusa la maratona, alcune gare ciclistiche):In tali attività, l’obiettivo nutrizionale prioritario è prevenire l’eccessivo aumento della temperatura corporea favorendo la sudorazione. Pertanto, la somministrazione calibrata di acqua è necessaria. Di norma l’assunzione di zuccheri non è necessaria, a meno che la gara non si svolga in situazioni di particolare disagio. In questo caso estremo può essere opportuno sorseggiare una soluzione di carboidrati diluiti in acqua al 6%, 15 min. prima della competizione.

Gare di durata compresa tra 1 ora e 3 ore (molti sport di squadra e la maratona):Generalmente le perdite di sodio in tali competizioni non richiedono integrazione salina. Mentre è necessario integrare i carboidrati e l’acqua. Il volume di acqua necessario per assumere la quantità di carboidrati sufficiente è di 500-1000 ml/h, mentre il volume di acqua necessario alla reidratazione è di 800-1600 ml/h.

Gare di durata superiore alle 3 ore (triathlon, ultramaratone, gare ciclistiche su strada):In tali competizioni è necessaria l’integrazione di sodio, acqua e carboidrati. Talvolta si aggiungono piccole quantità di potassio poichè, anche se le perdite di questo minerale sono trascurabili, esso facilita la reidratazione del compartimento intracellulare.