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 LÓRÁND HEGYI: Il misterioso viaggio di Jan Fabre nella liminalità  JULIA K RISTEVA : Contraddizioni di un’atea dialogante D  ANIELE LOMBARDI : Il potere non ama il rumore P  AOL O BERTETTO: Cinema, l’avanguardia non è finita , A LDO COLONETTI : I n attesa dell’Expo M  ANIF ESTO TQ: Università e ricerca a  lfabeta  Mensile di intervento culturale Marzo 2012 Numero 17 – Anno III euro 5,00 + alfalibri 2 17 Umberto Eco: Di un realismo negativo Populismi inquinanti M  ARCEL LO FLORES, A LFIO M  ASTR OP AOLO , F  AUST O BERTINOTTI , CLAUDIO M  ART INI , OMAR C  ALABRESE , A LESSANDRO C  ANNAME LA DIMITRI DELIOLANES : Grecia, anno zero ,T  ANIA R ISPOLI : Il governo dei Professori di Ferro FEDERICO C  AMPAG NA : In marcia verso la catastrofe  A LBERTO LUCARELLI : Unione Europea, un modello senza democrazia LUCIA TOZZI: Beni comuni un anno dopo , FRANCO PIPERNO: Il vento del Sud  J an Fabre

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alfabeta2Mensile di intervento culturale Marzo 2012 Numero 17 Anno III euro 5,00

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+ alfalibri

DIMITRI DELIOLANES: Grecia, anno zero, TANIA RISPOLI: Il governo dei Professori di Ferro FEDERICO CAMPAGNA: In marcia verso la catastrofe ALBERTO LUCARELLI: Unione Europea, un modello senza democrazia LUCIA TOZZI: Beni comuni un anno dopo, FRANCO PIPERNO: Il vento del Sud

Umberto Eco: Di un realismo negativo

Jan Fabre

Populismi inquinantiMARCELLO FLORES, ALFIO MASTROPAOLO, FAUSTO BERTINOTTI, CLAUDIO MARTINI, OMAR CALABRESE, ALESSANDRO CANNAMELA

LRND HEGYI: Il misterioso viaggio di Jan Fabre nella liminalit JULIA KRISTEVA: Contraddizioni di unatea dialogante DANIELE LOMBARDI: Il potere non ama il rumore PAOLO BERTETTO: Cinema, lavanguardia non finita, ALDO COLONETTI: In attesa dellExpo MANIFESTO TQ: Universit e ricerca

Jan Fabre, foto credit Stephan Vanfleteren

alfabeta2Comitato storico Omar Calabrese, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Pier Aldo Rovatti Redazione Nanni Balestrini, Ilaria Bussoni, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Davide Di Maggio, Manuela Gandini, Andrea Inglese Segreteria Erica Lese Coordinamento editoriale Sergio Bianchi Ufficio stampa Nicolas Martino [email protected] Indirizzo redazione piazza Regina Margherita 27 00198 Roma [email protected] Progetto grafico Fayal Zaouali Editore Assoc. Culturale Alfabeta Edizioni Via Tadino 26, 20124 Milano [email protected] Tipografia Grafiche Aurora S.r.l. via della Scienza 21 37139 Verona Direttore responsabile Gino Di Maggio Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 446 del 17 settembre 2010 Distribuzione Edicole Messaggerie Periodici S.p.a, via Giulio Carcano 32 20141 Milano Distribuzione Librerie Joo Distribuzione via F. Argelati 35 20143 Milano Distribuzione Abbonamenti S.O.F.I.A. SRL Via Ettore Bugatti 15 20142 Milano tel. 02 89592287 [email protected] Edizione digitale a cura di Jan Reister Progetto e realizzazione Quintadicopertina http://www.quintadicopertina.com ebook: ISSN:2038-663X

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mensile di intervento culturaleCinema 32. Paolo Bertetto Lavanguardia non finita Kenneth Anger al MOCA di Los Angeles 33. Marco Rovelli Basta fobie Romeo Castellucci a Milano 34. Universit e ricerca Manifesto TQ/4 35. Michele Dantini Bauhaus vs Gotham I futuri possibili delluniversit Cultura materiale 36. Aldo Colonetti In attesa dellExpo: tre idee 37. Andrea Tomasetig Cibo di carta per lExpo 38. Alberto Capatti Lofferta, il dono e il diritto agli alimenti

Sommario

Dimitri Deliolanes Benvenuti nel capitale reale Grecia, anno zero 4. Tania Rispoli Con la frusta e il senso di colpa Il governo dei Professori di Ferro 4. Lidia Riviello Limpero della mente 5. Federico Campagna Lilliburlero In marcia verso la catastrofe, ordinati 6. Alberto Lucarelli Verifica dei poteri Unione Europea, un modello senza democrazia 6. Andrea Inglese Let dellansia per il ceto medio In Francia e in Italia 7. G.B. Zorzoli Mal dOlanda Quando detenere risorse un problema 8. Omeyya Seddik La Vandea che in noi La controrivoluzione nei paesi arabi 10. Lucia Tozzi Beni comuni un anno dopo 11. Franco Piperno Il vento del Sud Il bene comune, la comunit e De Magistris 12. Francesco Raparelli Oltre la catastrofe Un programma radicale per lEuropa sociale

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12. Andrea Inzerillo La citt invisibile Cantieri Zisa e Palazzo Riso a Palermo Populismi inquinanti 13. Marcello Flores Il populismo nella storia 14. Alfio Mastropaolo La democrazia e il populismo 15. Fausto Bertinotti Le promesse tradite della modernit 16. Claudio Martini Il populismo locale 17. Omar Calabrese A sinistra risponde uno squillo 18. Alessandro Cannamela La sindrome del meet-up

26. Luca Taddio Osservazioni sul Nuovo Realismo Verit come sistema di riferimento 27. Raffaella Scarpa La nube dei commenti Realismo non realitysmo 27. Jean Petitot Illuminismo e speranza Intellettuali e potere 28. Veronic Algeri Julia Kristeva 29. Carlo Cuppini Oltre il realismo della stanza accanto Come ci insegna lesperimento Milgram Arte 30. Manuela Gandini Tre Uomini Yves Klein, Marcel Broodthaers, Gino De Dominicis 30. Valeria Magli (m.g.) Musica 31. Daniele Lombardi Il potere non ama il rumore Una colonna sonora per gli indignados? 31. Michele Emmer Un secolo a memoria Vivere la musica di Roman Vlad

Jan Fabre19. Luomo con le corna Anna Kreutzrger 22. Il misterioso viaggio nella liminalit Lrnd Hegyi New Realism 23. Maurizio Ferraris Introduzione 23. Umberto Eco Ci sono delle cose che non si possono dire Di un Realismo Negativo 25. Markus Gabriel Nuovo Realismo come Nuova Decostruzione

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Benvenuti nel capitale realeGrecia, anno zeroDimitri Deliolanes

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ultimo a chiudere stato il cartolaio allangolo. Ma anche il piccolo caff accanto se la passa male. La sua clientela erano gli impiegati degli uffici vicini, ora sempre di meno. Qualche mese fa la proprietaria si chiedeva se era il caso di cercare fortuna allestero. Come hanno gi fatto in tanti, specialmente giovani neolaureati. Allidraulico proprio accanto gli hanno svaligiato il negozio. Si sono portati via una decina di rubinetti. Anche il negozio di vernici stato svaligiato. Il fast food di fronte, che vende tyropites (sfogliate al formaggio), gli hanno vandalizzato linsegna e la serranda. Poco pi in l, dopo la piazza dedicata a Lord Canning, c il cimitero dellex centro commerciale di Atene. Una sfilata di vetrine vuote con i cartelli affittasi. Sopravvive qualche banca con la facciata imbrattata e pochi uffici pubblici. Una quarantina di palazzine neoclassiche, ultime sopravvissute alla furia speculativa degli anni Sessanta e Settanta, sono state incendiate durante i tumulti del 12 febbraio, mentre il Parlamento approvava le nuove misure di austerit. Atene, quartiere Exarchia, il cuore alternativo della citt. A Est, nei paraggi del Politecnico, c la piazza dei tossici. Zombi vestiti di stracci che si fanno in pieno giorno. Di notte lungo via Solonos ci sono le prostitute africane, 10 euro a prestazione. Al centro del quartiere lomonima piazza, luogo di ritrovo di giovani inquieti. Sui muri manifesti che chiedono la liberazione di questo e di quello, sbeffeggiano i partiti e la Merkel, se la prendono con lo Stato e la democrazia tout court. Accanto ai residui del folklore gauchiste, compiaiono le sigle dei gruppi anarchici pi violenti. I quali non sembrano colpiti dalla crisi. Continuano da anni a detenere legemonia assoluta del movimento giovanile e possono portare allo scontro anche migliaia di seguaci. Come si visto nella notte del 12 febbraio, con la devastazione del centro di Atene, proprio come avevano gi fatto nel dicembre 2008, dopo luccisione di Alexis Grigoropoulos. La novit che alcuni combattenti contro il potere, come amano definirsi, si sono convertiti alla criminalit pura. Assalti alle banche, rapimenti di persona, incursioni nelle lussuose ville dei suburbi, ma anche traffico di droga e di armi in complicit con le potenti mafie balcaniche. I segnali cerano gi da tempo: i due maggiori gruppi terroristi, ora sgominati, Lotta Rivoluzionaria e Cospirazione dei Nuclei di Fuoco, si rifacevano direttamente alluniverso carcerario e alla criminalit comune. Ora ne sono entrati a far parte. Ma non sono loro che preocupano i pochi poliziotti che entrano a Exarchia solo in assetto di guerra. Sono le rapine di strada, alla luce del sole, spesso con il morto, con un bottino di 10 euro o anche meno. Spesso sono opera di immigrati disperati: sono arrivati attraversando il confine con la Turchia sperando di attraversare lAdriatico e raggiungere il Nord Europa e sono rimasti intrappolati in Grecia. Al confine Nord di Exarchia, verso il viale Regina Alexandra, c la parroc-

chia di San Nicola. Da un anno ha organizzato una mensa per i poveri. Il prete racconta che fino al 2009 in tutta lAttica ce ne erano cinque, per lo pi frequentate da immigrati. Ora ce ne sono una sessantina e sono frequenate da greci, famiglie intere con bambini al seguito, per un piatto di minestra fatta dalle volontarie con gli scarti dei supermercati.

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l problema alimentare fa veramente paura. Le maestre delle elementari e degli asili lo hanno comunicato ufficilamente alla Commissione europea: sempre pi bambini sono denutriti, perch mangiano solo riso, pasta e pane. Nelle famiglie con tutti e due i genitori disoccupati veramente difficile arrivare a due pasti al giorno. Agli inizi di febbraio circa quattromi-

la si sono messi in fila nella centralissima piazza Syntagma a prendere qualche chilo di patate, verza e cavoli distribuiti gratuitamente dai coltivatori, come forma di protesta. A loro le patate sono pagate 5 centesimi al chilo, al supermercato costano 1 euro. Prezzi europei per un paese sempre pi lontano dallEuropa. Molte famiglie hanno abbandonato Atene e hanno cercato rifugio al paese di origine. L pi facile sopravvivere. Chi rimasto, spesso si rifugia dai nonni, che si ritrovano cos a mantenere tutta la famiglia con i 400 euro di pensione. Le statistiche dicono che sono circa tre milioni i greci sotto la soglia della povert. La stragrande maggioranza sono i nuovi disoccupati, gente che ha perso il lavoro dopo la liberalizzazione dei licenziamenti imposto dalla troika (Commissione europea, Bce e Fmi) nellestate del 2010. Il sussidio di disoccupazione di 500 euro al mese per un anno. Dopo nulla. I disoccupati sono il 19%, circa un milione e tercentomila persone. Per la maggior parte impiegati, il ceto medio pi colpito dalla crisi. Chi aveva qualcosa da vendere, lha gi venduto ai tantissimi compraoro che sono sorti come funghi in ogni angolo. Qualche mese fa il ministero del Commercio ha fatto circolare un libretto di istruzioni per i venditori, in modo da evitare di farsi imbrogliare dagli acquirenti. Altre file fuori dalla Motorizzazione per restituire le targhe della macchina, considerata ormai un lusso. Di venderla non se ne parla nemmeno, tanto vale rotamarla. Il possente ceto degli statali e dei parastatali resiste ancora, seppure con lo stipendio falcidiato,ma anche l stanno arrivando licenziamenti a valanga: 15 mila entro lanno, 150 mila entro il 2015. Una strage di clientele. Circolano gi le liste dei licenziandi socialisti, nel probabile caso in cui il nuovo governo sia targato centrodestra. questo il motivo dellinsistenza con cui Nuova Democrazia ha chiesto e ottenuto elezioni ad aprile. Il sentimento dominante la rabbia, frammista a rassegnazione. I canali privati proiettano improbabili teorie del complotto: colpa della nazista Merkel, del traditore Papandreou, dei massoni, delle multinazionali. Il direttore dellufficio di Statistica sotto processo per aver truccato i conti. Non per migliorare la situazione economica, ma per peggiorarla in modo da svendere il paese allo straniero, dice il capo dimputazione. La soluzione si trova nel petrolio sotto i fondali dellEgeo oppure nella restituzione da parte di Berlino del prestito coatto in oro del 1943. E dopo tanta informazione, ecco lintrattenimento: la telenovela turca. LEuropa sempre pi lontana.

In copertina: Jan Fabre, serie Gold, Brain with Angel Wing, oro, photo Pat Verbruggen copyright Angelos. A fianco: Jan Fabre, serie Gold, Le Scarabe Sacr, oro, photo Pat Verbruggen copyright Angelos. Le due sculture della serie Gold entreranno a far parte della collezione degli Uffizi, nella Galleria degli autoritratti e ritratti d'artista

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Con la frusta e il senso di colpaIl governo dei Professori di FerroTania Rispoli

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l film inizia con lottantenne Margaret Thatcher che in preda alla demenza senile confonde presente e passato, vita privata e pubblica, ripercorrendone cos i tratti salienti. La scena in dissolvenza apre allattualit e pu essere letta alternativamente in senso critico oppure apologetico. Questultima linterpretazione prescelta dal nostro buon governo Monti (vedi le dichiarazioni ambigue di Fornero) e da alcuni giornalisti della Repubblica (per esempio Scalfari e De Nicola), che si affrettano a imitare o elogiare le tecniche adottate dalla Iron Lady, soprattutto affascinati dalla durezza nella repressione dei conflitti e dei movimenti (Do you rembember Bobby Sands?). Film a parte, scopriamo che il paragone non funziona, dato che il contesto che stiamo affrontando presenta dei tratti assolutamente nuovi: il capitalismo oggi tenta una ristrutturazione a partire da condizioni di grave collasso, a differenza della grande offensiva neoliberista dei tempi di Reagan e Thatcher. Anche i soggetti e le strategie messe in campo sono di segno decisamente mutato. Limprinting di Monti non si richiama a un liberalismo puro alla Thatcher, piuttosto alleconomia sociale di mercato di stampo tedesco: non solo Stato e mercato devono essere separati, ma il primo deve intervenire con ogni mezzo per salvare il secondo. Privilegiare il pagamento del debito pubblico rispetto allinvestimento sulle istituzioni, le liberalizzazioni alle pensioni, le imprese e le banche alla forza lavoro, significa di fatto optare per la difesa indiscriminata della finanza, a prezzi molto cari per ogni cittadino/a. Michel Foucault, quando tracciava lorigine genealogica della biopolitica e del liberalismo, si richiamava esattamente a questa corrente che inizialmente si espresse nellordoliberalismo tedesco, chiarendo in che misura leconomia (ora finanziaria) investe, trasforma e applica indiscriminatamente il suo potere sulla vita. Recentemente il segretario del Pd Bersani, sfiorato da un refolo di buonsenso, dopo aver plaudito alle tuttora contrastate liberalizzazioni, si invece espresso negativamente sulla soppressione dellarticolo 18, che tutela il lavoratore dal licenziamento senza giusta causa. Una piccola presa di posizione a fronte di un pi esplicito cedimento in materia di governo tecnico. Alcuni ipotizzano (Financial Times e copertina del Time) supposizioni confermate dagli esiti dellincontro tra Monti e Obama che questo governo sia indispensabile agli Usa per garantire lequilibrio fra dollaro ed euro evitando un rischioso disastro dellEuropa. Monti starebbe a Obama come la Merkel a Hu Jintao, in unequivalenza sorretta dallo spettro di una Grecia salvata in extremis, come monito per i paesi sullorlo del default. In questo senso lo schema valoriale di Monti, lordine del discorso di questo governo, risponderebbe quantomeno alla linea della socialdemocrazia internazionale. Ma in uno scenario di crisi feroce, le alternative riformistiche sia sul terreno economico che su quello politico, vengono di fatto annullate: la dittatura della finanza sopprime la possibilit della mediazione, scompare il ruolo delle istituzioni, dei partiti, del Parlamento, della stessa democrazia liberale. Daltra parte, dal lato dei movimenti vengono rifiutati espressamente gli strumenti tradizionali di rappresentazione e i modi consueti dellorganizzazione delle lotte: lo mostrano lo sciopero metropolitano di Oakland, le lotte dei lavoratori dello spettacolo, i movimenti #Occupy e Indignados. Unepoca senza mezze misure, in cui non pi sufficiente vivere con i fantasmi del berlusconismo per salvarsi lanima e pretendere di risollevare il paese. Il discorso che la sinistra articolava contro la casta viene ora riproposto dal sobrio governo Monti e dai suoi sostenitori contro i la-

fatto non ha alcuna garanzia di ingresso nel mondo del lavoro a tempo indeterminato. Nessuno infine comprende quali saranno gli strumenti e le risorse dal momento che lunica cosa a non essere in crisi in Italia sono le banche Monti dixit per garantire delle forme di salario minimo, di coperture intervallari tra un lavoro e un altro e i diritti fondamentali di un lavoratore (malattia e maternit). Ammortizzatori sociali e tutele non hanno nessuna verosimile copertura finanziaria con il bilancio attuale e con lapplicazione del fiscal compact che prevede ulteriori tagli scaglionati negli anni a venire. Quanto al pagare di pi il lavoro flessibile, ce le vedete le aziende nostrane in crisi nera? Ai pi informati, infine, non sfugge che lattacco allarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori mette sotto attacco lultimo labile baluardo del lavoro garantito, disarmando simbolicamente ed effettivamente il sindacato e frantumando la resistenza di fabbrica per far passare i cambiamenti nellorganizzazione del lavoro (orario, ritmi, turni, pause). Il bocconiano Monti, durante lincontro con Obama, ha ben riassunto la logica della riforma del mercato del lavoro che ben si accompagna con la svalutazione del ruolo delle universit pubbliche e dellistruzione in generale. Bisogna educare gli italiani (cominciando dai giovani) alla meritocrazia e alla concorrenza. Nietzsche ci ha gi spiegato nella Genealogia della morale come si educa luomo a ripagare il debito a forza di dure sanzioni e come il prete perfezioni la frusta con il senso di colpa. Prima si nega ai giovani un accesso al reddito, poi li si bolla come sfigati e mammoni che mendicano un posto fisso. Di preti e pedagoghi aggratis ne abbiamo abbastanza!

Limpero della menteLidia RivielloIn piedi in rivolta il cane preso d'assalto. Ristabilire il principio naturale del ritorno a casa. A Castellammare senza portoni una disfatta generale il vento ha tracciato il sogno del cane un abbrutimento generale quello delle mentiJan Fabre, Chapter X, 2010, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

voratori, i pensionati, gli operai e i giovani. Bisogna scegliere da che parte stare. Quali sarebbero i vantaggi che i giovani traggono dal governo Monti? E soprattutto: ci sono dei vantaggi? Stando alle inchieste condotte nelle universit e nei luoghi della precariet si scopre che in realt ai giovani non piace molto n la natura n la tecnica del governo Monti. Gli esperti come il vice-ministro Martone sembrano un po troppo sfigati per arrogarsi il compito di indicare una via di uscita seria dalla crisi. Una buona percentuale di giovani poi intimamente convinta che la crisi andr fino in fondo, dato che allo stato attuale il capitalismo non pi in grado di promettere una vita migliore a nessuno.

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oltissimi si sorprendono a scoprire che il governo ritiene necessario e razionale per uscire dalla crisi e dalla gravissima recessione secondo lIstat la produzione industriale sostanzialmente paralizzata nel 2011 seguire il modello greco di uninflessibile austerit. Il meccani4

smo semplice: si paga il debito pubblico riducendo una popolazione al lastrico e poi si smorza il volume degli assordanti rumori delle piazze. Lidea che i propri desideri e le proprie aspirazioni non vengano prese in considerazione risulta alla maggior parte insopportabile chiss perch! Buona parte degli interpellati, infine, esprime interesse, attenzione e viva preoccupazione per la riforma del mercato del lavoro proposta dal ministro Fornero. Indaghiamone le ragioni. Se pure suscita una certa fascinazione lipotesi di una introduzione del contratto unico dingresso (Cui), utile a ridurre le svariate forme contrattuali cui sono sottoposti i precari, uninorridita indignazione prodotta dallintenzione di utilizzare a tal fine listituto dellapprendistato. Le recenti proposte di regolamentazione in materia porterebbero a termine quanto avviato dalla legge Biagi e rilanciato nella legislatura precedente da personaggi del calibro di Sacconi e Meloni. Tre anni di prestazioni scarsamente retribuite durante e dopo le quali il lavoratore di

un dolore senza anestesia senza sinestesia sopratutto. Dunque totale. Una disfatta che parte dalla testa. l'aggressione del cane in rivolta verso la presunta adorazione. Un bambino adotta il principio naturale senza cane e vince una caramella. Depone sulle mani del nonno il miele non profuso uno spettacolo disgustoso. Ma il cane salvo altrove lontano dalle fabbriche, dalle case dai negozi dalle aggressioni al gioielliere dalla statale, dalle banche. Dalle uova d'uomo d'acciaio, dalle vene di un polso duro. Il cane sul pendo. Un caso di rivolta.

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LilliburleroIn marcia verso la catastrofe, ordinatiFederico Campagnaorrei cominciare con unimmagine. Una scena del film Barry Lyndon, diretto da Stanley Kubrick. Sullo sfondo nebbioso di una campagna europea del XVIII secolo, la voce fuori campo introduce lavanzata delle giacche rosse inglesi contro la retroguardia francese, asserragliata in un frutteto. Secondo lo stile militare dellepoca, la fanteria marcia lungo il prato, in file orizzontali e parallele. I francesi sono disposti anchessi in file, le prime inginocchiate, le seconde in piedi, le terze pronte a ricaricare i fucili. Lavanzata lenta, estenuante, al suono dei flauti che intonano il Lilliburlero. Come direbbe il personaggio di Vincent Cassel in una banlieue di vari secoli dopo, il problema non la caduta, ma latterraggio. E qui, latterraggio e la caduta quasi si fondono. I fanti inglesi avanzano, a passi cadenzati. Le truppe francesi restano immobili, prendono la mira. I fanti mantengono il passo. I francesi attendono lordine dei superiori. I fanti proseguono. Lordine arriva. Fuoco. Le prime file della fanteria inglese cadono decimate. Le seconde file, imperturbabili, prendono il posto dei caduti. Le truppe francesi ricaricano i fucili. Fuoco. Il prato si riempie di cadaveri vestiti in divise rosse. Le terze file si fanno avanti di nuovo. La marcia prosegue, lentissima. Fuoco. Guardando questa scena non ho potuto che pensare al futuro che ci attende. La marcia lenta, ma inesorabile. I ristoranti e gli aeroporti sono ancora pieni, come diceva Berlusconi. I fucili nascosti nel frutteto hanno appena iniziato a sparare. Le prime file sono cadute, ma, si sa, nelle prime file ci va da sempre la carne pi a buon mercato. Alla prima raffica sono saltate le pensioni, sono arrivati gli accordi di Pomigliano, sono finiti i soldi per le scuole e le universit, sono affondati i barconi dei migranti. Ma il silenzio che segue, interrotto dai flauti lontani di chiss quale marching band, sia quella di Benigni o di Jovanotti, nasconde il suono del ricaricarsi dei fucili. Le seconde file prendono il posto dei caduti. I disperati di Pomigliano firmano gli accordi, i lavoratori accettano di buon grado la riforma necessaria delle pensioni, gli studenti si bevono lo sciroppo della meritocrazia e dellautopromozione, i migranti si alzano alle cinque del mattino per raccogliere i pomodori. E intanto i fucili si ricaricano. E questa volta mirano ad altezza uomo. Letteralmente. Basta guardare quello che accade in Grecia, dove per la prima volta sono stati utilizzati i corpi speciali dellEurogendfor, la polizia militare europea creata appositamente per affrontare emergenze di ordine pubblico e non sottoposta ad alcuna legislazione nazionale. Oppure in Inghilterra, dove le rivolte del proletariato consumista dello scorso agosto sono state affogate nei poteri speciali dati alla polizia e in un mare di sentenze punitive che hanno mandato in carcere quasi quattromila persone. Come cantava la band il Teatro degli Orrori, nel terzo mondo fanno finta di vivere in democrazia. E la terzomondializzazione dellOccidente un fatto ormai conclamato. Le affinit con il passato recente di molti Stati africani, asiatici e sudamericani sono ormai evidenti. Non solo la marginalizzazione economica e sociale, ma soprattutto lespropriazione forzosa dei meccanismi democratici da parte di organi come lFmi o la Bce rimbalzano in eco rapidissime tra la Grecia e il West Africa, tra lItalia e il Sud-Est Asiatico, tra lIrlanda e le Ande. Come notoriamente accade nelle metropoli brasiliane, il paesaggio europeo va sempre pi configurandosi come un deserto chiazzato di oasi, in cui la mi-

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come definizione degli automi meccanici. Pi che come desiderio di potenza, dunque, stiamo parlando oggi della tecnica come obbedienza. E cos torniamo alla scena di Barry Lyndon da cui siamo partiti. Lo spirito del presente, quello che anima i tecnocrati e le loro legioni di simpatizzanti, lo stesso che muove le gambe dei fanti in marcia lungo il prato, in noiosa processione verso il massacro. La disciplina militare che informava i movimenti dei cadaveri in divisa del diciottesimo secolo si rivela oggi come disciplina delleconomia capitalista. In marcia verso la catastrofe, ma ordinati. E non c dubbio che nellordine, in quello intimo della marcia e in quello apocalittico di chi attende la venuta di un potere giusto, ci sia qualcosa di pacificatorio, di confortevole. il movimento ordinato delle gambe, o dei moti dellanimo, che ricorda la dolce routine di una danza. Verso la morte, certo, ma pur sempre danzando, tenendosi tutti per mano. We are all in this together, no? a a quali altre danze potremmo pensare, mentre siamo incastrati nel minuetto del suicidio collettivo? A quali danze stavano pensando i fanti inglesi di Barry Lyndon, mentre marciavano al ritmo delleroismo immemorabile? Probabilmente a quelle delle locande, al suono di qualche violino sgangherato, tra le braccia delle donne del paese, o delle prostitute, o in quelle ubriache luno dellaltro. Mentre marciavano, con il pensiero i fanti fuggivano indietro nelle locande fumose, si perdevano in altre danze, pensavano al ballo della diserzione. Proviamo a seguire la deriva dei loro pensieri, a seguire la deriva del pensiero dei nostri predecessori sul nostro stesso cammino. E disertiamo, allora! quello che stanno facendo i crescenti movimenti anarchici in tutto il mondo, nelle loro occupazioni di piazze, edifici, cantieri stradali di alta montagna. Con lesempio della loro diserzione, channo ricordato innanzitutto come dietro le file di martiri coscritti in fuga, ci siano sempre le retrovie di altri coscritti, ugualmente svogliati, ma pronti a obbedire agli ordini dei generali e a dare la morte ai disertori. I loro sorrisi sdentati, cos simili ai nostri, cos tristi, che a suo tempo tanto commossero Pasolini, non renderanno le loro baionette meno obbedienti o meno letali. Alcuni di noi, forse i migliori, si fermeranno a discutere con loro, magari pure a combattere contro di loro. Questi saranno i riformisti, nel senso migliore del termine. Gli anarchici riformisti, coscienti del fatto che, da sempre, il conflitto fonte di diritto. Cos stato per esempio nel XIX e XX secolo, in cui le lotte sociali e il conflitto dei lavoratori hanno portato a modificazioni sostanziali dei sistemi di legge. Ma oggi, queste brigate ottimiste convinte che ci sia ancora la possibilit di cambiare da dentro il passo della danza dello Stato e del capitale, credo saranno davvero in poche. Gli altri, tanti altri, stanno invece gi guardando pi in l, oltre la ribellione, verso lorizzonte a cui si rivolge la pura e semplice fuga. Come i fanti in divisa rossa, questi nuovi fuggiaschi si perdono col pensiero nel fumo di altre danze, di altre locande. E appena possono, con i mezzi che hanno, cercano di ricrearle. Ma saranno davvero gli accampamenti di Zuccotti Park o di piazza Tahrir le nostre locande del futuro, in cui potremo rifugiarci, in cui potremo ballare gli uni con gli altri, al suono di una musica che non trascina verso la morte?

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Jan Fabre, Chapter XIII, 2010, cera, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

seria crescente delle popolazioni circonda da presso gli atolli di ricchezza trabordante in cui si accumula il capitale. Parallelamente allascesa globale di paesi in via di sviluppo come il Brasile, il vecchio occidente andato via via regredendo, sprofondando a sua volta nel vortice di contraddizioni tipico della via dello sviluppo capitalista. Siamo ormai un intero mondo in via di sviluppo, bloccati in un procedere senza progresso, in un tunnel in cui, come dice iek, c s una luce alla fine del buio, ma probabilmente quella di un altro treno lanciato a tutta velocit verso di noi. E dunque, in tutto questo, che fare? Dovremmo davvero, come spesso implicitamente suggerisce iek, attendere la fine dei tempi, aspettare larrivo di un immenso potere calato dal cielo che punisca i malvagi e premi i buoni? Bisogna stare attenti, perch lultima volta che stata adottata una tattica del genere durante una crisi di dimensioni paragonabili a quella attuale, nella Germania caricata di debiti del primo do5

poguerra, il potere immenso arrivato dal cielo vestito di svastiche. Il desiderio di un potere sovrumano che arrivi a mondarci dalla lordura del presente vive ancora nel cuore di molti, a destra come a sinistra dello spettro politico. Ma mentre a destra tende a sfaldarsi in un populismo ancora in fasce, a sinistra va coagulandosi attorno al culto di untuose figure sacerdotali: i tecnocrati. Dopo la fine della borghesia come corpo sociale composto di corpi fisici, della borghesia rimasto solo lo spirito pi abietto. Lo spirito malevolo della tecnica, che sarebbe troppa grazia far risalire a nobili tradizioni quali quelle rinascimentali e illuministe. Lo spirito della tecnica quello che dallalba dei tempi anima lartigiano il mattino dopo una sbronza colossale, quando le sue mani fabbricano sedie senza nemmeno dover svegliare un briciolo della sua sapienza. lo spirito di chi guida in autostrada di notte, mezzo addormentato, per pura forza di abitudine. lo spirito, insomma, che fa s che la parola russa per lavoro, robota, calzi a pennello anche

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Verifica dei poteriUnione Europea, un modello senza democraziaAlberto Lucarelli

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l modello costituzionale europeo, sin dallorigine, non si mai posto nello specifico, n la reale configurazione di un modello di democrazia, n leffettiva garanzia dei diritti. Le continue mediazioni e negoziazioni, prive di ununivoca chiave di lettura, anche e soprattutto nelle sue scelte di fondo di politica economica, non hanno espresso n un modello economico, n tanto meno un modello sociale, recidendo la tradizione weimariana dello Stato sociale, rifacendosi piuttosto al binomio libert-solidariet, in larga misura gi presente nella tradizione tardo ottocentesca dei Paesi dellEuropa occidentale. Inoltre, nel passaggio dallEuropa monetaria allEuropa che aspira ad avere una sua dimensione politica, n la rappresentanza istituzionale (Parlamento europeo), n il cittadino, anche attraverso forme pi o meno strutturate, hanno avuto un giusto grado di coinvolgimento. Si realizzato un netto distacco tra Stato-apparato e Stato-comunit causato non soltanto dallinesistenza di un popolo europeo, ma soprattutto dallinesistenza di modelli democratici (rappresentanza-partecipazione) in grado di esprimere una cittadinanza europea articolata intorno a uno spazio di decisione propria. Un processo tecnocratico dintegrazione che, ben lontano dal recepire le reali esigenze e istanze delle popolazioni coinvolte, ha piuttosto configurato un modello di postdemocrazia, nel quale il progetto di unit politica, nella sua articolazione e nel suo sviluppo, continua a ruotare, in prevalenza, intorno agli esecutivi, agli apparati burocratici, alle lobby, ignorando i modelli della democrazia partecipata e della democrazia della prossimit. La peculiarit di tale processo, lontano o comunque eterodosso rispetto alle nozioni classiche di partecipazione popolare e di rappresentanza democratica, sembrerebbe caratterizzare un assetto politico-normativo distante dagli archetipi della tradizione giuridica. evidente che tale processo normativo eu-

ropeo abbia segnato una rottura rispetto allevoluzione del costituzionalismo moderno, attraverso laffermazione di modelli tipici autoritari del diritto internazionale pubblico con la netta prevalenza degli accordi interstatuali sulle istanze partecipative dei cittadini e sul ruolo delle sue camere di rappresentanza. Si nutrono, inoltre, forti perplessit in merito al ricorso a strumenti, quali il referendum confermativo, che potrebbero facilmente scivolare su declini plebiscitari e assembleari, che poco hanno a che vedere con la partecipazione politica e in senso pi ampio con la democrazia diretta. Tuttavia, pur in un quadro fortemente caratterizzato dagli assetti autoritari burocratici, qualche segnale di valorizzazione delle istanze partecipative si avvertito negli ultimi anni. Il Trattato di Lisbona introduce nel Tfue il titolo II (Disposizioni relative ai principi democratici) che contiene gli artt. 9-12, e che riprende gli ex artt. 1-45, I-46 e I-47 del Progetto di Trattato costituzionale. Lart. 9 Tfue (ex art I-45 del progetto di Trattato costituzionale) fissa il principio delluguaglianza dei cittadini dellUnione e riprende la definizione di cittadinanza europea, lart. 10 Tfue (ex I-46) ha a oggetto la democrazia rappresentativa e lart. 11 Tfue (ex I-47) attiene alla democrazia partecipativa. evidente che si tratta di norme che, al di l della loro enunciazione, dovranno essere poste su un piano di effettivit, ovvero essere messe in grado di passare da un piano formale a uno sostanziale; ma ci, al di l di pi o meno esplicite volont istituzionali, necessita di una netta volont politica che intenda realmente spostare il baricentro della sovranit dal livello degli esecutivi e dal livello burocraticoamministrativo a quello popolare delle societ intermedie, ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai comitati, ai movimenti, pi o meno strutturati. Viceversa, si costruirebbe un modello formale di democrazia della rappresentanza privo della sua linfa naturale e comun-

que del tutto estraneo al modello di democrazia della partecipazione. Il deficit democratico, al quale poi non pu non essere collegato il deficit sociale, potrebbe essere superato soltanto se si arriver alla configurazione di una sfera pubblica europea, nella quale si radichi un processo che valorizzi gli istituti della democrazia della partecipazione e della rappresentanza.

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n sostanza, leffettiva affermazione di diritti sociali in ambito europeo sarebbe raggiungibile soltanto attraverso una social policy che esprima conflitto, dialettica, antagonismo tra interessi contrapposti e realmente rappresentati. Una democrazia del comune che si contrapponga al binomio sovranit-propriet, a una repubblica della propriet fondata su una sovranit autoritaria e unidea di propriet espressione di una concorrenza a tratti selvaggia. Stento a concepire uno Stato sociale europeo calato dallalto, asettico e burocratico, che odora soltanto di norme formali, privo delle tensioni tipiche e necessarie per la conquista di certi traguardi e obiettivi. Com possibile parlare di un modello sociale europeo in presenza di una cos debole cornice della rappresentanza, della partecipazione e quindi del conflitto? Se questo passaggio non dovesse avvenire si continuer a rimanere su un piano tecnico di organizzazione del potere e di distribuzioni delle funzioni e, per parlare realmente di diritti e di loro tutela, occorrer ancora spostarsi nellalveo rassicurante delle Costituzioni dei singoli Stati membri, la cui tenuta per messa costantemente in pericolo dallo stesso diritto comunitario. Si pensi in particolare alle c.d Costituzioni sociali post-weimariane, qual la nostra, continuamente sotto pressione proprio nella parte pi innovativa la c.d. Costituzione economica con la quale si era avuto il coraggio di rompere il binomio libert-solidariet su di un piano orizzontale di equilibrio e di porre leguaglianza sostanziale e il diritto dei lavoratori in una posizione di assoluta rilevanza.

necessario, dunque, un quadro pi articolato e sofisticato dei rapporti tra poteri, rappresentanza politica e istanze partecipative, al fine di agevolare la configurazione di un modello giuridico europeo in grado di spostarsi, o meglio di porre in relazione, con un profilo pi nobile e maturo, il piano dellorganizzazione e della distribuzione delle funzioni con il piano dei diritti. Per agevolare tale processo, oltre a porre il Parlamento al centro della funzione di determinazione e attuazione dellindirizzo politico, rafforzando la costruzione di un cos detto principio di legalit europeo, nel quale possa trovare fondamento giuridico lazione del Consiglio dei Ministri e della Commissione occorre rendere effettivi gli artt. 9-12 Tfue, laddove attribuiscono a ogni cittadino il diritto di partecipare alla vita democratica dellUnione, assegnando ai partiti politici di livello europeo il ruolo di contribuire a formare una coscienza politica europea, tale da esprimere la volont dei cittadini. Non credo che la partecipazione politica possa esaurirsi in dichiarazioni di principio quali quelle contenute nellart. 11, par. 2 del nuovo Tfue (Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la societ civile) o nel successivo paragrafo, che prevede: Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dellUnione, la Commissione procede ad ampie consultazioni delle parti interessate. Tali disposizioni sembrano configurare pi modelli di rappresentanza di interessi individuali e confusi, tipici del comunitarismo o del lobbismo, piuttosto che una rappresentanza sociale strutturata, o comunque non sembrano affermare chiaramente il diritto di partecipazione, quale strumento veramente in grado di interloquire, influenzare e controllare il processo decisionale.

L et dellansia per il ceto medioIn Francia e in ItaliaAndrea IngleseTema del giorno in Francia (ma non solo) La Francia entrata da ormai un paio di mesi in quelleffervescenza tipica delle campagne presidenziali. Lintera macchina mediatica macina temi vecchi e nuovi, fattacci dattualit e spettri ideologici ricorrenti, nodi politici reali e miti nazionali intramontabili. Tra i leitmotiv prediletti, quello del declino delle classi medie risulta particolarmente malleabile e permette di essere declinato secondo i vocabolari ideologici pi diversi, da quello socialista a quello del Fronte nazionale. Le classi medie fungono cos da oggetto di dibattito, ma anche da interlocutore privilegiato di tutto lo scacchiere politico francese, generando una vera e propria concupiscenza da parte dei candidati alla presidenziale, che sono pronti a legare a esse il loro destino politico. Il protagonismo mediatico di quello che in Italia viene chiamato il ceto medio non certo una prerogativa francese. Dagli Stati Uniti allEuropa, la salute di questa classe sociale ha guadagnato sempre maggiore centralit nel dibattito pubblico, proprio nel momento in cui la classe operaia non tanto si estingueva, ma spariva semplicemente di scena, portandosi dietro le sue nuove difficolt e sofferenze. Il dramma della classe media, per, nasce allinsegna di una confusione tra condizioni reali e proiezioni immaginarie, come testimonia uno dei pioneristici studi sullargomento, The shrinking middle class: myth or reality?, firmato nel 1985 dalleconomista statunitense Neal H. Rosenthal. quindi fondamentale, ancora oggi, distinguere tra mito e realt intorno ai ripetuti allarmi di una fine del ceto medio. Questa distinzione pu introdurla solo un discorso proveniente dallambito delle scienze sociali, che sia in grado per di imporsi anche al di fuori della ristretta cerchia di specialisti, giungendo a condizionare il dibattito pubblico. Da questo punto di vista, la Francia risulta essere un caso pi felice dellItalia, dove il divario tra saperi disciplinari e doxa giornalistica pare essere una condizione ineluttabile. I francesi, infatti, non solo continuano a produrre una gran quantit di studi storici, sociologici, politici sul loro paese, ma sono anche capaci di trarre da questo materiale conoscitivo spunti importanti per una critica delle opinioni correnti. I due tempi delle classi medie In tutto lOccidente, le classi medie hanno svolto il ruolo di grande promessa nel processo di democratizzazione. Alla fine degli anni Ottanta, Sylos 6 Labini1, nel suo ampio studio sulle classi sociali, constatava in tutti i paesi capitalistici avanzati una rapida crescita assoluta e relativa delle classi medie, che costringeva a ripensare la tesi del bipolarismo classista, sottolineando invece una positiva tendenza egualitaria. Ma da buon socialista riformista come lui stesso si definiva lautore ricordava come tale tendenza non riposasse su un processo automatico, ma richiedesse piuttosto sforzi duri e incessanti. Con la fine del comunismo, i pi disinvolti apologeti delle democrazie liberali hanno rimpiazzato gli sforzi duri e incessanti con un pi gradevole e rassicurante disegno teleologico, che conducesse a una societ mono-classe, in cui il ceto medio fosse destinato a ingrandirsi indefinitamente, assottigliando sempre pi i poli estremi della grande borghesia e della classe operaia. Se le classi non scomparivano del tutto, almeno sarebbe scomparsa quella stratificazione palese, che sollevava lo scandalo della disuguaglianza e dei destini sociali predeterminati. Diventando numericamente irrilevante tanto il gruppo dei primi quanto quello degli ultimi, il ceto medio acquisiva i caratteri delluniversalit, occupando placidamente tutta la scena. Che le cose non andassero proprio in tale direzione non si aspettata la crisi finanziaria statunitense e quella del debito sovrano europeo per capirlo. Se prendiamo il caso della Francia, probabilmente intorno ai primi anni del nuovo secolo che si moltiplicano gli annunci di un declino conclamato delle classi medie. Una sommaria rassegna delle inchieste dedicate allargomento dal 2006 in poi rivela un vero e proprio climax apocalittico: Classi medie: langoscia di una generazione (le Figaro, 2006), Classi medie: la crisi (Le Nouvel Observateur, 2006), La crisi degli alloggi colpisce anche le classi medie (La Tribune, 2007), Lo smarrimento delle classi medie (Le Monde, 2008), Classi medie: il crollo (Le Point, 2008), Salviamo le classi medie (Enjeux Les Echos, 2009), Le classi medie in via di proletarizzazione (Marianne, 2011). Nellarco di un decennio, le belle speranze nei confronti del processo (inerziale) di democratizzazione hanno lasciato il passo a un susseguirsi di Al lupo! Al lupo!, che legittimano unangosciata e aggressiva difesa dellesistente2. Prove di realt Ora, proprio nel momento in cui le classi medie sembrano unanimemente costituire le vittime pri-

alfabeta2.17vilegiate del declassamento, esce in Francia uno studio rigoroso e aggiornato sullargomento condotto da Dominique Goux (sociologa) e ric Maurin (economista), Les nouvelles classes moyennes3. Questo libro non solo invita a distinguere tra realt effettiva del declassamento e paura del declassamento, ma anche mette a nudo le mistificazioni che intorno a tale paura si sono costruite. Prendendo in esame diversi parametri (tasso di disoccupazione, salari medi, rendimento dei titoli di studio sul piano lavorativo, mobilit verso lalto o il basso della scala sociale, opportunit di ascensione sociale rispetto ai genitori, situazione abitativa), gli autori constatano una fondamentale tenuta delle classi medie, a fronte di un peggioramento reale delle condizioni desistenza dei ceti popolari. Le classi medie, insomma, non solo non stanno peggio di prima, ma rispetto sia ai ceti popolari sia alle classi superiori (liberi professionisti, dirigenti, manager ecc.) risultano le pi protette dai rischi di declassamento. Esistono anche per loro inedite fonti dincertezza e pericolo, ma queste non giustificano la posizione vittimistica che tendono ad assumere nel discorso pubblico. Chi pi ha subito gli effetti della trasformazione del mercato del lavoro, prima, e della crisi, poi, sono i ceti popolari, esposti alla povert e allesclusione sociale. Quella povert ed esclusione, che lattuale sistema di welfare mira a contenere, non certo a prevenire. Le politiche sociali, in Francia, piuttosto che promuovere lestensione verso il basso degli standard di vita e sicurezza delle classi medie, intervengono oggi a tamponare una condizione di marginalit gi radicata. Ed su questo punto che i due autori, nella conclusione, prendono posizione, formulando proposte politiche concrete. Le Monde dedicava a gennaio un paginone centrale al libro di Goux e Maurin, imponendo una revisione critica del topos del declassamento generalizzato. Inoltre, Les nouvelles classes moyennes uscito per una collana tascabile, a larga diffusione e con un prezzo molto accessibile. un libretto di un centinaio di pagine, non sprovvisto di grafici e cifre, ma scritto in uno stile chiaro e sobrio. A dimostrazione di quanto gi accennato in precedenza: nel dibattito pubblico francese sono mobilitate anche le risorse conoscitive e critiche delle scienze sociali4. Se ci non sufficiente, di per s, a neutralizzare le propagande politiche basate sulla paura e sul risentimento, contribuisce almeno a riproporre periodicamente unimmagine della societ pi precisa e articolata, fornendo anche a un pubblico non specialistico degli strumenti indipendenti di giudizio.1. Paolo Sylos Labini, Le classi sociali negli anni 80, Laterza, Roma-Bari 1986. 2. Vale giusto la pena di ricordare che, nel 2006 in Italia, a firma di Massimo Gaggi (giornalista del Corriere della Sera) e Edoardo Narduzzi (manager hi-tech), usciva per Einaudi un accattivante libretto, La fine del ceto medio e la nascita della societ low cost. In esso, gli autori spiegavano come leguaglianza verso il basso, paventata da Sylos Labini ventanni prima, fosse in realt un accettabilissimo obiettivo, e che, defunto definitivamente il ceto medio, si faceva largo una fantomatica classe della massa. 3. Dominique Goux, ric Maurin, Les nouvelles classes moyennes, Seuil, Paris 2012. 4. Neppure da noi studi seri su argomenti simili mancherebbero. Penso, ad esempio, a un libro uscito nel 2010 per il Mulino, Restare di ceto medio, a cura di Nicola Negri e Marianna Filandri. Libro che, per altro, conferma anche per lItalia la tenuta del ceto medio, e nello stesso tempo la nuova fase critica che si sta aprendo. Si legge, nelle conclusioni: Per rapporto alla fase di crescita dei primi tre decenni del dopoguerra ci sembrato allora corretto parlare di una crisi delle condizioni di costruzione di una societ di ceto medio in assenza di cedimento della classi medie. La differenza con la Francia riguarda un aspetto diverso. Restare di ceto medio sembra destinato fin dalla sua pubblicazione a rimanere materia per i soli addetti ai lavori. Costa il doppio del volume francese. scritto in un prudenziale e ostico stile universitario. Difficilmente ha fatto o far sentire la sua voce nel dibattito pubblico.

Jan Fabre, Chapter XI, 2010, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

Mal dOlandaQuando detenere risorse un problemaG.B. Zorzoli

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he cosa hanno in comune la pacifica Olanda degli anni Sessanta e la Nigeria dove i Boko Haram fanno strage di cristiani nel Nord del paese? La medesima malattia, il Dutch desease, che dal primo dei due paesi ha preso il nome. La correlazione non intuitiva per le differenze che, strada facendo, si sono manifestate nel suo decorso. LOlanda guarita. Forte dellesperienza olandese, la Norvegia riuscita per tempo a immunizzarsi. In Nigeria, come in altri paesi estranei al club di quelli ricchi, si viceversa cronicizzato. Se la scienza economica si fosse sviluppata con qualche secolo di anticipo, la malattia sarebbe arrivata a noi con la denominazione di enfermedad espaola, scelta per descrivere in modo analitico il declino della Spagna a partire dallultimo scorcio del XVI secolo per effetto dellafflusso massiccio doro e dargento dalle Americhe. Anche ai tempi nostri alle origini del male troviamo limprovvisa abbondanza di una risorsa mineraria: il gas in Olanda, il petrolio (e il gas) in Nigeria. Allinizio degli anni Sessanta i Paesi Bassi erano una delle nazioni economicamente e socialmente pi progredite, per di pi convinta di avere vinto un terno al Lotto: la scoperta, nel 1959, di un gigantesco giacimento di gas naturale a Slochteren, che la trasform in uno dei maggiori esportatori di questo combustibile. Conseguenza del tutto inattesa, leconomia olandese entr in crisi. Lafflusso di valuta pregiata port a una sopravvalutazione del fiorino olandese, con il conseguente crollo delle esportazioni e aumento dellimport; situazione aggravata dallinflazione dovuta alla maggior quantit di denaro messa in circolo, che a sua volta contribu a rendere ancor meno competitive le imprese nazionali.

Inevitabili il fallimento di diverse aziende e la crescita della disoccupazione. Un paese da secoli nel novero di quelli capitalisticamente pi avanzati (secondo Braudel furono gli olandesi a inventare le societ multinazionali), dove oltre tutto il business del gas era gestito da Gasunie, una societ ad hoc partecipata da Exxon, ma anche dallanglo-olandese Shell e dallo stesso governo olandese, per curare la malattia invent uno strumento che avrebbe fatto scuola. Una parte dei profitti venne tolta dalla circolazione e conferita a un fondo sovrano per investimenti allestero.

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razie alla tempestiva adozione di un identico strumento, la Norvegia riusc addirittura a non contrarre il Dutch desease che, data la maggiore sproporzione fra entrate petrolifere e reddito nazionale, sarebbe stato ancora pi devastante. Anche in Norvegia giov non poco il controllo pubblico delle societ coinvolte nellattivit estrattive, ma in entrambi i paesi la scelta di segregare una parte della ricchezza prodotta fu agevolata dal relativo benessere della stragrande maggioranza dei cittadini. Il Dutch desease venne cos debellato con una terapia che contribu non poco a diffondere nel mondo i germi di quel capitalismo finanziario di cui oggi stiamo pagando gli effetti. La Nigeria rappresenta laltra faccia della medesima medaglia. Innanzitutto non una nazione, cio il prodotto di vicende storiche principalmente autodirette, ma uninvenzione del colonialismo britannico, che ha aggregato 250 gruppi etnici diversi per religione e linguaggio, accumunati solo dalla cultura tribale. Oltretutto diventata indipendente solo nel 1960, per di pi quattro anni dopo linizio dellattivit petrolifera, quindi col Dutch desease congenito. Ovviamente il decorso fu analogo a quello olandese. 7

La Nigeria era caratterizzata da un settore agricolo relativamente sviluppato, che rappresentava principale voce dellexport: il boom del petrolio in pochissimi anni lo port al collasso. Oggi il paese importare netto di prodotti alimentari. La ristretta, ma efficiente, burocrazia pubblica, uno dei pochi lasciti positivi del colonialismo britannico, venne rapidamente corrotta dal flusso di denaro piovuto sul paese. Gi sarebbe stato quasi impossibile costituire un fondo sovrano in un paese con una vasta popolazione da sfamare (155 milioni oggi, poco meno della met nel 1960); la distruzione dellunica struttura pubblica esistente in uno Stato privo di identit nazionale si tradusse in sprechi, ruberie, arricchimenti illeciti, impoverimento diffuso: il reddito procapite oggi inferiore a quello del 1960, malgrado il governo nigeriano incassi pi dell80% dei ricavi petroliferi. Lodierno progrom di matrice confessionale solo il sintomo esteriore del conflitto sulla distribuzione della rendita petrolifera, con il Nord a prevalenza musulmana, privo di questa risorsa, convinto di essere penalizzato dal Sud a maggioranza cristiana. Un conflitto che nel corso dei decenni ha assunto le forme pi disparate. La pi clamorosa, nel 1967, fu la secessione della regione sudorientale, il Biafra, sconfitto dal nord dopo tre anni di guerra civile e pi di tre milioni di morti. Poco importa che la maggioranza della popolazione nelle zone ricche di petrolio lungi dal trarne vantaggi soffra gli effetti di uninflazione ancora pi galoppante che altrove, e il degrado territoriale prodotto da modalit di estrazione poco rispettose dellambiente (per esempio nel 2008 il mancato intervento immediato della Shell per fermare le fuoriuscite di petrolio e bonificare la zona inquinata a Bodo, ha devastato la vita di decine di migliaia di persone).

Un risorsa come il petrolio, che altrove rende ricchi, per la Nigeria stata definita una tragedia. Il petrolio scorre dove la terra sanguina, ha scritto Amnesty International. Anche in un altro Stato inventato dagli occidentali, lIraq, dove per qualche decennio la malattia stata sedata (non sconfitta), lo si deve alla violenza di una dittatura, dove i sunniti, che occupano la parte del paese priva di petrolio, hanno imposto la loro terziet a sciiti del sud e curdi del Nord, entrambi con miliardi di barili di greggio ancora sepolti nel sottosuolo. Liberato dagli americani, le violenze, anche l in superficie etnico-religiose, sono puntualmente riprese. complicare la situazione, anche negli altri paesi produttori di petrolio, contribuisce la volatilit dei prezzi del greggio, pi che altro prodotta dalle manovre del capitale finanziario internazionale (si veda larticolo di Drilling sul numero, 16 febbraio 2012, di alfabeta2). Per tacitare il malessere sociale, nelle fasi di quotazioni alte i governi varano ambiziosi programmi pubblici e sovvenzionano i prezzi politici per i generi di prima necessit, misure che sono sostanzialmente costretti a proseguire anche quando i prezzi vengono fatti calare; naturalmente indebitandosi, prendendo i denari a prestito dagli stessi che manovrano le quotazioni del barile. Insomma, le malattie economiche non evolvono in modo differente da quelle che affliggono la salute degli uomini. Ad esempio nei paesi capitalistici sviluppati la mortalit da parto e infantile ai minimi termini; perfino una malattia solo venti anni fa devastante, come lAids, sotto controllo. Altrove, continuano a essere dei flagelli. Unanalogia, ovviamente, non casuale.

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La Vandea che in noiLa controrivoluzione nei paesi arabiOmeyya Seddik

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artiamo da una domanda. Che cos la controrivoluzione araba? Ci che chiamiamo controrivoluzione un processo contemporaneo alla rivoluzione, che in alcuni casi le strettamente connesso, e che si presenta nella forma di un insieme di strategie, di resistenze o di blocchi, il cui obiettivo tanto ostacolare i processi di democratizzazione e di allargamento del controllo popolare scaturito da quei movimenti chiamati rivoluzioni arabe, tanto restaurare forme di controllo messe in crisi, indebolite o distrutte da parte delle insurrezioni, in Tunisia, Egitto, Libia o altrove. Si tratta di strategie legate a forze politiche o economiche interne o di strategie di potenza dispiegate su un piano internazionale. Il tema della controrivoluzione sta diventando in questi paesi un discorso molto diffuso, dove spesso pu assumere la forma di una lotta di potere o di una lotta dinfluenza tra diversi attori concorrenti allinterno di una stessa corsa per il potere e per le risorse, come conseguenza della caduta dei regimi precedenti. Oppure pu assumere la forma di teorie cospirazioniste, utilizzate da campi diversi, come espressione giustificatoria di singole politiche. Per questo oggi assolutamente cruciale sviluppare una definizione meno relativa, meno polisemica del concetto operativo di controrivoluzione. una delle poste in gioco della rivoluzione stessa. Nel concetto di controrivoluzione c comunemente lidea di un elemento preesistente alla rivoluzione che tornerebbe per ristabilire un ordine ex ante. Io intendo qualcosa di diverso, poich non si tratta semplicemente dellurto tra ci che cera prima e ci c dopo. In realt credo che in nessun momento storico, rivoluzioni e controrivoluzioni siano mai state la semplice successione di due fasi ben separate e distinte. Questa visione vale solo per i manuali di storia e per certe teorie meccaniciste. In realt, il problema oggi quello della preesistenza del passato o, meglio, di come il passato si riproduca. Come dicevo poco sopra, tale questione pu porsi anche nella forma di teorie cospirazioniste. Intendiamoci, non vorrei che lespressione teoria cospirazionista venisse intesa in modo volgare, poich queste teorie spesso si fondano su una base di verit che viene disinnescata da letture e interpretazioni che possono essere oscure o personalizzanti. Mi spiego, nei diversi paesi toccati dalle rivoluzioni arabe le parole utilizzate sono molto diverse. In Tunisia, ad esempio, nel parlare di controrivoluzione si utilizza spesso unespressione che tradotta significa mani nascoste. In Egitto si utilizza unaltra espressione che significa avatar, gli avatar del vecchio regime. In via generale ci che viene indicato con esse ci che resta dei dispositivi di coercizione o delle reti di potere economico maggiormente convergenti con i regimi dittatoriali precedenti. Questi interi blocchi di apparati di sicurezza o di borghesia parassitaria legata ai vecchi regimi, che continuano a esistere, nel tentativo di riposizionarsi si sono da subito alleati a un certo numero di altri attori e di altre reti politici, economici, sociali tanto interni a questi paesi quanto internazionali. Si tratta di dispositivi con una certa efficacia. Soprattutto quando le alleanze si traducono in strategie di riposizionamento allinterno della nuova configurazione politica o di ripresa di controllo, con varie gradazioni, dei nuovi assetti del potere. Pi semplicemente in strategie di riciclaggio. Si tratta comunque di strategie flessibili che tengono conto di dinamiche esistenti, incluse dinamiche di trasformazione sociale rispetto alle quali possono essere tanto degli oppositori quanto degli alleati, degli sponsor o dei sostenitori, ricollocandosi cos per le fasi a venire in funzione dei rapporti di forza. Possiamo chiederci se vi siano paesi in cui queste strategie sono pi forti o pi efficaci, pensando alla differenza degli esiti provvisori delle rivoluzioni arabe. C una grande differenza tra la situazione tunisina e quella egiziana, questo per molte ragioni.

Una delle ragioni risiede nella struttura del potere del vecchio regime. In Egitto esso si caratterizza per un esercito estremamente influente e affatto isolato dal tessuto sociale, ovvero che dispone, da un lato, di una base e di legami con la popolazione e, dallaltro, di una forza economica rilevante, oltre ai classici fattori di potenza per un esercito, cio il numero degli effettivi e i mezzi materiali. Un esercito che ha goduto di flussi finanziari molto importanti provenienti da altri Stati, oltre che di aiuti materiali esterni molto rilevanti provenienti dagli Stati Uniti, e che non pu essere considerato come un corpo separato dal potere di Mubarak il quale, a prescindere dal filone clanistico o famigliare di cui era rappresentante, rimasto fino in fondo unespressione della gerarchia e del potere militare. Un potere militare che non stato messo in discussione dalla prima fase della rivoluzione egiziana, che stato considerato e si comportato come il paradossale garante della continuit dello Stato, ma pretendendo al contempo di figurare come il garante della continuit della rivoluzione. Un esercito che dunque contemporaneamente lespressione della preservazione di ci che del vecchio regime pu essere preservato e lespressione di una volont di preservazione dello Stato egiziano, e tocchiamo qui un punto importante e complesso. Quando il movimento rivoluzionario ha preso piede in Egitto, un certo numero di forze economiche essenzialmente forze di tipo liberista presenti allinterno del paese e alcune delle potenze tutelari a livello regionale e internazionale hanno preso atto della nuova situazione, e si sono preoccupate di promuovere le forze della preservazione, di un vecchio ordine che era loro favorevole, ma si sono anche applicate, con una capacit di adattamento assai notevole, a promuovere parzialmente il campo rivoluzionario. Questo al fine di avere la possibilit di mantenere un controllo sul nuovo regime a condizione che nuovo regime vi sia , ma anche di fare in modo, laddove venisse meno la forza di controllo, che il nuovo Stato fosse molto fragile, o al limite suscettibile di disintegrarsi. Perch la ricomposizione di forme di controllo sulla base di un nuovo ordine tanto pi facile se lo Stato debole o un failed State. Per questo lesercito egiziano si vede, si visto, ed visto, anche da una parte della popolazione, come tanto lagente della controrivoluzione quanto come il principale attore che resiste alla versione caotica della controrivoluzione, alla versione libica o balcanica. Si tratta di realt estremamente ambigue, un po ovunque. In Egitto persino il movimento rivoluzionario insieme un fattore di approfondimento della dinamica popolare, di allargamento del controllo popolare sullo Stato, e un fattore di disintegrazione di ci che pu costituire la garanzia della conservazione di unindipendenza nazionale e delle condizioni di una democrazia che non assuma il volto di una guerra civile, larvale o meno. Questa una delle specificit dellEgitto rispetto alla Tunisia, dove il problema dellesercito non si pone in modo altrettanto importante.

del vecchio regime e dinamiche rivoluzionarie abbia assunto in Tunisia un tono meno frontale e abbia lentamente consentito la nascita di una nuova scena politica che pu negoziare il cambiamento, anche con lamministrazione, il potere economico e gli apparati di sicurezza. Forse tutto questo dipende anche del fatto che allinterno della regione la Tunisia rappresenta molto meno dellEgitto un anello cruciale, dal punto di vista militare, dellaccesso alle risorse e dunque lintervento dei diversi interessi economici e geostrategici nazionali e internazionali sia meno violento. Ci sono poi altri fattori di differenza tra la Tunisia e lEgitto. Il fattore della composizione stessa del movimento insurrezionale che sfociato in quella che chiamiamo la rivoluzione: in Egitto si tratta di un movimento che rimasto estremamente urbano e molto isolato da una grossa parte della popolazione, cosa che fin quasi da subito non accaduta in Tunisia, dove il movimento si allargato pressoch alla totalit del territorio del paese e a strati sociali molto diversi che si sono alleati in un arco temporale piuttosto breve (dal 17 dicembre 2011 al 14 gennaio 2011). In Egitto, anche questa la debolezza del campo rivoluzionario. Debolezza che fa s che possa essere combattuto con maggiore efficacia da parte dei suoi avversari, ma anche manipolato pi facilmente da eventuali padrini. Per paradosso, questo fattore costituisce anche ci che definire il potenziale estensivo della rivoluzione egiziana, suscettibile di allargarsi ulteriormente a settori sociali che funzionano da riserva della rivoluzione. Laddove in Tunisia, si tratta di un potenziale intensivo, rispetto al quale in gioco c solo la crescita della capacit di organizzazione, di immaginazione e di elaborazione di unarea sociale che ha raggiunto una superficie che socialmente pu solo restringersi.

rapporti di forza. Potremmo avere delle evoluzioni contraddittorie, in Tunisia ad esempio il principale partito religioso ha votato a favore della parit di genere con alternanza obbligatoria alle elezioni, si impegnato a non mettere mano allo statuto delle libert personali del periodo di Bourguiba, ma a volte emergono a discorsi o pratiche retrograde che vengono tutti dal loro sacco. Ma tutto questo oggetto di rapporti di forza che non corrispondono alle suddivisioni che supponiamo. Ovvero, si tratta di rapporti di forza che possono opporre il campo dei secolari e il campo dei religiosi, ma anche campi diversi proprio allinterno di ciascuno di questi schieramenti. Questo riguarda i costumi e le relazioni di genere, ma lo stesso accade per le questioni sociali, i rapporti di lavoro, i rapporti di produzione, le scelte politiche e finanziarie: le posizioni non corrispondono affatto alla suddivisioni quali le immagina la stampa internazionale, che ha la tendenza a dividere tutti questi paesi tra barbuti e sbarbati o tra velo e minigonna.

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e guardiamo alla Tunisia, rispetto allEgitto, assistiamo a un rapido approfondimento dei processi rivoluzionari. Cosa legata anche al fatto che qui non c alcun soggetto in grado, quale lesercito in Egitto, di mantenere un controllo sulla situazione e dove un consenso politico molto allargato sfociato in un processo costituente, ovvero un processo che rifonda in tutto e per tutto le istituzioni dello Stato, lasciando da parte, almeno teoricamente o almeno per il momento, ci che resta del vecchio regime, un vecchio regime che conserva resti importanti ma che non sono dotati della stessa forza durto dellesercito in Egitto. Si tratta di settori dellamministrazione e dellapparato di sicurezza, i quali non sono capaci di strategie di controllo offensive ma sono capaci di strategie inerziali che rendono pi stretto il margine di manovra del processo di trasformazione politica. Questo ha fatto s che lo scontro tra forze 8

ultimo fattore di cui tenere conto, e che meriterebbe un approfondimento a s, la differenza di natura, di storia e di composizione delle principali forze politiche esistenti, nella fattispecie forze di ispirazione religiosa. Per quanto riguarda gli attori politici presenti. Non possiamo dire che le forze politiche di ispirazione religiosa siano in quanto tali ascrivibili a fattori controrivoluzionari. Tanto in Tunisia che in Egitto, gli islamisti possono essere sia con la rivoluzione che con la controrivoluzione. Il campo politico di ispirazione religiosa attraversato da entrambe le strategie, ovviamente dipende da ci che sintende con rivoluzione. Io assumerei una definizione semplice, la rivoluzione un cambiamento radicale, quelli che stanno sotto vanno sopra direbbe Mario Tronti. O, in termini pi propri alla fisica, il compimento di un ciclo e linizio di uno nuovo. Non credo che la rivoluzione centri niente col progresso. Tornando alla questione delle forze politiche islamiste: in Tunisia, ad esempio, ci che pu fare ostacolo a un processo di profonda trasformazione sociale che sia il prolungamento di quanto stato espresso nel corso della rivoluzione la rivendicazione di libert, giustizia, dignit non sono gli islamisti in quanto tali o i non islamisti in quanto tali, ma la conservazione della questione religiosa o identitaria come la principale discriminante politica. La prima delle rivoluzione delle primavere arabe, quella dellottobre 1988 in Algeria, sfociata in una sceneggiatura caricaturale che ha trasformato un movimento sociale di cambiamento radicale in uno scontro frontale sulla discriminante tra religiosi e non religiosi, traducendosi poi in una guerra civile e in opzione militare. Questa sceneggiatura caricaturale pu essere alimentata tanto da posizioni, tendenze, pratiche, politiche particolarmente settarie dalla parte del campo politico di ispirazione religiosa o da discorsi dello stesso tenore provenienti dal cosiddetto campo di ispirazione laica. Il problema della traduzione politica dei concetti di giustizia, di uguaglianza, di libert, che sono concetti molto importanti per gli eventi tunisini ed egiziani, da parte degli uni o degli altri, e sar oggetto di continui

er tornare a una descrizione delle strategie di potenza dispiegate su un piano internazionale e a fattori di controrivoluzione esogeni, dobbiamo guardare alla Libia. Lintervento internazionale in Libia stato un tassello fondamentale della presa in conto, da parte di Stati Uniti e Unione Europea, di una dinamica ineluttabile che avrebbe portato alla loro esclusione da questa regione, un tassello fondamentale delle strategie di assorbimento o di controllo di questa dinamica. Ma contrariamente a ci che potremmo credere, tutto ancora da giocare. Anzitutto, quanto accaduto in Libia non significa che si sia assistito a un trionfo americano. Aspetto ancora qualcuno che possa provare concretamente che gli Stati Uniti controllano il territorio libico in una forma qualunque. vero che hanno avuto un ruolo molto importante nella caduta di Gheddafi e nel corso degli eventi in Libia, ma facendo leva su una dinamica che esisteva davvero allinterno del paese e che non pu essere considerata come determinata da strategie esogene. Chiunque vada in Libia, potendo godere di un rapporto di fiducia con i libici, la frase che sente pi spesso un proverbio che tradotto significa Chi non ha protettore, pu chiamare zio anche il cane. In Libia questa lopinione dominante su Obama, Sarkozy, Berlusconi ecc. Oggi la situazione ancora aperta, occorrerebbe aspettare che alcune dinamiche si stabilizzino, ma non credo che sia per forza scontato che tutto proceda verso il ripristino di una regione sotto controllo. Ben inteso, si trattato di una strategia di riposizione molto importante. E ha rivelato che non cos facile passare in tre mesi da una regione americana a una regione postamericana. Ma non siamo comunque pi dentro la regione americana dellanno scorso. Credo che per il futuro assisteremo a evoluzioni di forze contraddittorie, i processi in corso non sono chiusi e persino le alleanze che appaiono scontate dovrebbero essere guardate con maggiore circospezione. Penso ad esempio ai posizionamenti molto ambigui e contradditori di paesi quali la Turchia o il Qatar, che conservano una solida alleanza con gli Stati Uniti rinegoziando con essi alcuni rapporti regionali e rivendicando per s una capacit di stabilizzazione e quindi di destabilizzazione che impone un riequilibrio regionale delle forze e una rimessa in discussione di relazione primitivamente coloniali. Ci sono, inoltre, altri soggetti di cui tenere conto. Ma, oltre agli Stati, c un soggetto che ha largamente dimostrato le propria capacit di intervento. Questo soggetto il popolo: in modo pressoch unanime in tutta la regione, il popolo ritiene che la rivoluzione significhi anche frattura con lordine mondiale dominante.Testo ricavato da unesposizione orale. Trascrizione e traduzione dal francese di Ilaria Bussoni

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Jan Fabre, Chapter VIII, 2010, dettaglio, cera, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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Beni comuni un anno dopoLucia Tozzi

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beni comuni sono sotto attacco. Non solo dal punto di vista materiale, per mano del governo Monti adesso e degli ultimi disperati atti compiuti dal governo Berlusconi prima di affondare. il concetto stesso che comincia a dare molto fastidio negli ambienti politici italiani, e non solo in quelli di destra, ma anche e soprattutto in quelli di centro-sinistra. Linsofferenza un buon segno, significa che finalmente quello che era un tema da convegni universitari o un oggetto stravagante per piccole consorterie di giuristi esploso, diventato un paradigma vitale che offre a un elevatissimo numero di persone la possibilit di interpretare gli eventi globali e locali il cronicizzarsi della crisi economica, la qualit delle soluzioni proposte in un modo alternativo al dogma liberista. Si trattato di un passaggio violento, che in Italia ha preso la forma del colpo di scena primaverile del referendum e delle elezioni amministrative. Contro ogni previsione, in un clima mefitico, governo, opposizione e media hanno dovuto prendere atto che la popolazione stava ragionando con strumenti diversi dai loro: lacqua, lenergia e le citt erano diventati beni comuni da sottrarre alla logica della merce. Gli italiani, che credevano obnubilati, erano stati capaci di esprimere un pensiero complesso e alternativo alle proposte del 90% della rappresentanza politica in Parlamento. Un pensiero elaborato localmente dalle associazioni, dai movimenti, dalle reti non istituzionali, ma collegato alle lotte internazionali pi avanzate, dai movimenti contro il land grabbing in India, in Africa e Sudamerica ai vari Indignados e Occupy, alle mobilitazioni studentesche, contro il precariato, contro le politiche di chiusura delle frontiere. Sul piano della prassi la reazione stata immediata: gi in estate un decreto annullava tecnicamente lesito referendario, reintroducendo di fatto la privatizzazione dellacqua, poi in autunno sotto la minaccia della crisi si avviata una politica di privatizzazioni e liberalizzazioni senza precedenti. Pi in generale, passata lidea che la democrazia diretta negativa, anzi dannosa agli effetti della governabilit di un paese, e quindi le espressioni della volont della popolazione vanno ignorate, avversate o meglio eliminate sul nascere, come successo in Grecia per il referendum sul debito o in Italia con il referendum sul sistema elettorale. Molti gridano al golpe o ritengono che stiamo vivendo una sospensione temporanea del diritto, in una logica da stato di eccezione. Tuttavia, come spiegano Massimiliano Guareschi e Federico Rahola nel loro ultimo, bellissimo libro Chi decide? Critica della ragione eccezionalista (ombre corte 2011), evocare leccezione significa chiamare in causa la sovranit, lidea tutto sommato rassicurante di qualcuno che decide. Ma oggi davvero possibile identificare un soggetto unico della decisione e distinguere chiaramente un dentro e un fuori rispetto a cui si esercita la sua autorit?. Il continuo ricorso allemergenza (la crisi, il debito, lEuropa in questo caso) pi che altro un dispositivo retorico utile a stabilire un nesso con la necessit ineluttabile, di fronte alla quale non pu darsi scelta, ma solo una reazione obbligata: il suo contenuto non la decisione politica di tradire la volont popolare sospendendo lo stato di diritto, ma limpossibilit strutturale di decidere sul proprio territorio per effetto del processo globale di sovrapposizioni e conflitti tra sovranit geograficamente sparse. La consapevolezza riguardo a questa geografia multiscalare che rende le forme di governo localmente definite (Stato, amministrazione regionale, comunale ecc.) strutturalmente impotenti ma anche meno responsabili nei confronti dei cittadini uno strumento fondamentale ai fini

della valutazione tanto delloperato dei governanti quanto delle azioni politiche dei governati. Se possibile invalidare un referendum, in barba alla Costituzione, chiaro ormai che il principio della delega definitivamente morto. Per imporre la propria volont politica la popolazione non pu pi semplicemente affidarsi al voto, seppure referendario, ma costretta a una mobilitazione permanente tanto nelle forme partecipative che in quelle conflittuali.

in questo quadro che sta montando la nuova ostilit nei confronti dellidea di beni comuni. Proprio perch lanalisi della propriet su cui essa si fonda non solo mette a nudo linconsistenza delle pretese di autonomia del politico e del diritto dalla sovranit del mercato e degli altri attori internazionali, organizzazioni governative e non governative, ma appunto implica anche un ritiro della delega quasi totale di cui finora politici e istituzioni hanno goduto nelle nostre democrazie. Le politiche dei beni comuni non sono realmente attuabili senza il controllo e la partecipazione costante della popolazione o, nellipotesi pi radicale, senza lappropriazione della sovranit. Il pi benintenzionato dei governanti non riuscir mai a rendere veramente comuni, ovvero accessibili a tutti e inalienabili, i beni e i servizi che ora sono di propriet pubblica e quindi considerati come privatizzabili e liberalizzabili a piacimento quando occorra fare cassa senza coinvolgere direttamente le energie positive e negative della collettivit. E questo, insieme alla capacit di mobilitazione che le politiche dei beni comuni effettivamente possiedono, incute timore al ceto politico dominante. Pi complessa la questione della diffidenza di molti intellettuali e attivisti nei confronti dellegemonia che il comune e i beni comuni stanno assumendo nel discorso politico. In grandissima parte il fenomeno dovuto alle ambiguit di un pensiero che ancora in fieri, e che viene declinato in modo molto diverso a seconda dei contesti, pi orientati alla speculazione o allazione politica diretta. Nel panorama italiano appaiono sotto molti aspetti distanti le posizioni assunte da Toni Negri, Ugo Mattei e Alberto Lucarelli. Con Commowealth (Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli 2010), Negri e Hardt istituiscono

la nozione di comune come processo produttivo, come espansione cio della cooperazione e dellinterazione orizzontale tra esseri umani, potenzialmente in grado di restituire la sovranit alle masse. I beni comuni sono linsieme di ricchezze naturali e artificiali, appartenenti al mondo materiale, e di pratiche, conoscenze, linguaggi, informazioni che scaturiscono dallinterazione tra gli uomini: opporsi alla loro espropriazione da parte di un capitale ormai orientato alla rendita pi che alla sfera del profitto tradizionalmente inteso la chiave fondamentale per scardinare le relazioni immanenti tra sovranit, diritto e propriet che definiscono i rapporti di forza contemporanei. In questa prospettiva non c alcuno spazio per il pensiero ecologista legato alla scarsit dei beni o alle nostalgie comunitarie: Hardt e Negri avversano con la massima energia il modello della decrescita con tutti i suoi annessi e connessi. Allopposto, levoluzione delle riflessioni di Ugo Mattei, dal volume del 2006 curato assieme a Reviglio e Rodot, Invertire la rotta. Idee per la riforma della propriet pubblica (il Mulino 2006) a Il saccheggio. Regime di legalit e trasformazioni globali (con Laura Nader, Bruno Mondadori 2010) fino allultimo libro Beni comuni. Un manifesto (Laterza 2011), segna uno slittamento verso un comunitarismo che mescola lecologia di Fritjof Capra a una rappresentazione idealizzata del medioevo europeo dove la maggior parte della popolazione viveva con poche risorse nelle campagne, dedita a uneconomia di sostentamento. Insieme si mangiava, si dormiva, ci si scaldava, si coltivavano i campi, si andava a caccia, si raccoglieva la legna, si cantava e si ballava durante il tempo libero. Nellera precedente alle enclosures trattate da Marx nel capitolo del Capitale dedicato allaccumulazione originaria, questa vita cooperativa si svolgeva felice secondo Mattei nellambito di territori circoscritti e fecondi di beni comuni, analogamente a quanto ancor oggi accadrebbe nelle comunit di villaggio semplici e periferiche. Ora, se vero che in questo periodo riemergono con sempre pi forza le critiche allo sviluppismo e allidentificazione del benessere con la ricchezza, naturale che a molti questa rappresentazione idilliaca della povert e del comunitarismo appaia connotata da tratti potenzialmente reazionari. Daltra parte la straordinaria cultura giuridi-

ca, gli anni di lavoro nella commissione Rodot per la riforma dei beni pubblici, la redazione dei quesiti referendari sullacqua e la vulcanica campagna elettorale (esperienze condivise con Alberto Lucarelli), oltre a un esperimento come la stesura dello statuto del Teatro Valle Occupato, hanno fatto di Mattei uno dei pi intelligenti, attivi ed efficaci interpreti della crisi e della stagione politica attuale, un forte oppositore del governo Monti e della sua ideologia violentemente classista. La sua analisi dellasimmetria giuridica tra la tutela costituzionale dei beni privati nei confronti del pubblico esproprio e la vulnerabilit dei beni e servizi di propriet dello Stato nel trasferimento dal pubblico al privato (privatizzazioni e liberalizzazioni), formulata con forza e chiarezza esemplari. Eppure le sue argomentazioni nella lotta contro i decreti liberalizzatori, pur riconducendo giustamente la ratio di questi provvedimenti allinteresse delle corporations e non, come da propaganda, a quello della popolazione , finiscono per difendere lobby e ordini professionali. Invece di invocare una ripubblicizzazione totale (o meglio uno statuto di beni comuni) dei servizi offerti da notai, tassisti, farmacisti, Mattei supporta lideologia del professionalismo, una delle pi becere invenzioni dellindividualismo ottocentesco americano, come ha mostrato Sergio Bologna in Vita da Freelance (con Dario Banfi, Feltrinelli 2011). Poich queste categorie esigono la protezione statale senza rinunciare allo status di professionisti-imprenditori, trasformando di fatto il servizio pubblico in lusso, la loro sublimazione in vittime eroiche del capitale in nome dei beni comuni unoperazione non propriamente condivisibile.

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no dei luoghi pi interessanti per osservare i primi effetti delle politiche dei beni comuni in una prospettiva a sua volta distante dalle teorie negriane Napoli: qui Alberto Lucarelli, professore di diritto pubblico, autore di Beni Comuni. Dalla teoria allazione politica (Dissensi 2011; per questa pubblicazione e lultima di Mattei citata si rinvia altres alla recensione di Paolo Cacciari su questo stesso numero di alfalibri, N.d.R.), nominato da De Magistris assessore ai beni comuni, impegnato nel tentativo di dotare una delle citt pi complesse del mondo di strumenti di governo partecipativo. Il primo atto stato la trasformazione della S.p.a. Arin, la societ dellacqua, nellazienda speciale Abc (Acqua Bene Comune Napoli), ente di diritto pubblico senza fini di lucro e governato attraverso il coinvolgimento dei cittadini. Ha poi creato il Laboratorio Napoli, un sistema di consultazione e di controllo da parte della popolazione sulloperato della giunta, e ha fatto approvare le delibere sul territorio bene comune e sul testamento biologico. Con il sindaco ha lanciato la Rete dei Comuni dei Beni Comuni. Unattivit intensa, i cui esiti sono per continuamente minacciati del governo Monti e degli altri attori che a vario titolo esercitano forme di governo sul territorio. Oltre alla pressione esterna, le politiche dei beni comuni sono continuamente messe a rischio dai fisiologici cali di partecipazione dei cittadini, dalla difficolt di mettere in atto gli indispensabili meccanismi di trasparenza sulle decisioni della giunta, e allo stesso tempo dallurgenza reale delle pratiche di governo dellamministrazione, che compete con i tempi lunghi del modello partecipativo. Ma la lotta per vincere le naturali resistenze che questo esperimento rivoluzionario comporta va combattuta perch, nella visione di Lucarelli, beni comuni e partecipazione sono le due categorie giuridiche fondamentali per destrutturare il binomio sovranit-propriet e costruire un nuovo modello di democrazia.

Jan Fabre, Chapter XII, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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Il vento del SudIl bene comune, la comunit e De MagistrisFranco PipernoLa composizione sociale Cera di tutto o quasi, quel pomeriggio di sabato 28 gennaio a Napoli, nella sala del cinema-teatro Politeama, per lappuntamento con De Magistris. Intanto, allingresso, fuori dalla porta, come dabitudine tenuti a bada dalle guardie municipali, i disoccupati organizzati reincarnazione degli antichi lazzari che narravano, con la nuda e rituale presenza, limpresa a loro riuscita: come rendere la ricerca del lavoro un mestiere malpagato ma certo tra i pi stabili che offra il mercato globale a Napoli. Dentro, in platea e nei loggioni, losservatore attento poteva distinguere a occhio, dallabbigliamento, la borghesia delle professioni, le lite operaie senza classe operaia, le femministe di seconda generazione, gli intellettuali modernizzatori i begriffi napoletani, curiosit locale come i nodini di bufala ancora accecati dai lumi francesi e acciaccati dal naufragio della rivoluzione partenopea del 99. N mancavano i reduci del 68, attempati e melanconici, con quei loro occhi carichi di una fiducia senza speranza; i militanti tenebrosi dei centri sociali, in particolare veneti, romani e campani; gli effervescenti studenti dellOnda; qualche urbanista smarrito. Era anche presente, come ormai duso, un team, dir cos, di tecnici, accademici del diritto, intenti a delineare un quadro giuridico che faccia posto alla democrazia partecipata o deliberativa; andando, in questo modo, inevitabilmente oltre, non senza qualche reverenziale timore, la Costituzione della Repubblica italiana; in modo che la democrazia partecipata, imbottita di plebisciti pudicamente chiamati referendum diventi un corroborante della esangue democrazia rappresentativa. Ma, soprattutto, cera tanto ceto politico intento a fare il suo mestiere, in cerca di migliore occupazione, alla caccia spasmodica di consenso per lalternativa di governo, per i posti di rappresentanza del popolo di centro-sinistra nei prossimi comizi elettorali. Si pu ben dire che, malgrado la presenza dei sindaci sul palcoscenico stesse l a ricordare la citt piuttosto che la nazione, era questa la componente politicamente egemone, quella che conferiva una aura salvifica allappuntamento; e questa aura, va da s, si specchiava nel volto e nelle parole di Nichi Vendola, Stupor Apuliae, candidato alternativo autentico a Palazzo Chigi. La sua oratoria quasi colta, modulata da climax ascendenti e discendenti, in un teatro con una acustica perfetta, fluttuava tra le volte qualche po conventuali della sala come un canto ammaliante di sirena. Non cera, per la verit, Luxuria; e mancavano pure i dirigenti del Pd nazionale, campano e napoletano; inoltre i sindaci delle citt settentrionali avevano prudentemente evitato quel pubblico appuntamento. E tuttavia queste assenze apparivano leggere rispetto al vuoto prodotto dallassenza, questa s ben pi ingombrante, dei luoghi propri di Napoli, i suoi antichi Quartieri. Beni comuni e comunit Questa assenza privava di fondamento materiale tutta la verbosa discussione sui beni comuni; risolta, infatti, con la riproposizione, negli interventi finali, della legittimit, per il municipio, di possedere aziende pubbliche che ben difficile far rientrare tra i beni comuni. Insomma si avvertiva una sproporzione materiale tra temi e soggetti che li trattavano, quasi si fosse davanti a una imperizia dei corpi. Cos la citt diviene federale a partire dal suo stesso interno mentre, in filigrana, sintravede un orizzonte federale e consiliare per le mille e pi di mille citt italiane. Per Napoli poi, per la sua storia, risulta evidente che non avverr alcuna significativa trasformazione urbana senza la partecipazione attiva dei Quartieri storici. Infatti, si tratta di riannodare quel filo tra intellettuali e moltitudini che si spezzato da tempo: la ferita inferta alla citt gentile dalla rivoluzione partenopea del 1799, quando i giacobini napoletani strinsero un patto scellerato con gli invasori francesi, e cos facendo impedirono la metamorfosi dei lazzari in sanculotti il che ha poi ostruito il cammino che avrebbe potuto menare la citt a divenire moderna. E, sia detto qui per inciso, questa la via maestra per porre il problema della criminalit organizzata meglio sarebbe dire socialmente radicata come questione della metropoli napoletana, da affrontare e risolvere in loco, da parte dei napoletani stessi. Si badi, non si tratta tanto della camorra (la cui vera potenza risiede nel suo un ruolo di supplenza di una imprenditorialit che non c o pi precisamente di borghesia allo stato nascente, nella fase di accumulazione originaria) quanto, piuttosto, di una etica, o, se si vuole, di una subcultura, un senso comune premoderno che privilegia l rapporti parentali o amicali rispetto allo scambio mercantile. In altri termini a Napoli vi sono, dir cos, comunit criminali il cui radicamento sociale attesta una appartenenza moltitudinaria a quei luoghi che certo non sar lacerata a colpi di stato dassedio, legislazione speciale e carcere duro. Si tratta, piuttosto, di recuperare a un livello comunitario pi complesso la forma premoderna di quel legame e la sua preziosa energia cooperativa, sottraendovi laspetto d devianza criminale e offrendo una possibilit di riscatto. Del resto, non forse cos, riscattando la malavita, che hanno avuto luogo le trasformazioni dellimmaginario collettivo nelle citt del Mediterraneo? Valga un solo esempio: il rapporto tra Kasbah e movimento di liberazione ad Algeri allepoca della insurrezione contro loccupazione francese. Certo, quellultimo sabato di gennaio al Politeama di Napoli non faceva difetto la confusone. E tuttavia va riconosciuto che, per la prima volta nella storia repubblicana, qualche centinaia di sindaci erano l a discutere sul modo di superare i limiti della democrazia parlamentare. E se Nichi Vendola, gi governatore di una regione, si riproponeva come leader nazionale di una alleanza elettorale per la crescita economica dellItalia, anche vero che nelle parole di molti sindaci in particolare di quelli di Cagliari, Bari e Napoli si sentiva leco nostalgica della perduta sovranit urbana; e qualche disponibilit a recuperarla. Cera confusione, di lingue e di propositi, quel sabato pomeriggio al Politeama di Napoli. Molto giacobinismo e pochi giacobini. Eppure, pu darsi che si tratti di un segnale precursore, un annunzio; forse sta per alzarsi il vento, il vento del Sud. La situazione ottima.Testo tratto da ciroma.info

Jan Fabre, Chapter XIII, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

Il punto che il concetto di bene comune, perch riaffiori nella memoria comune, nel senso comune, deve incarnarsi in forme riconoscibili; in altri termini bisogna mostrare di quale comunit quel bene il legame. Infatti, i beni comuni esistono solo dentro la relazione comunitaria: non c bene comune senza una comunit che lo definisca e lo viva in quanto tale altrimenti si corre il rischio dellastrazione indeterminata, la cattiva astrazione, luso mistico della parola comune; e, come avvenuto quel sabato a Napoli, scambiare il demanio pubblico per bene comune. Potremmo quindi dire che la question