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alcuni «prototipi» che avranno nel corso del secolo, ma anche in quelli successivi, una particolare fortuna. Questa «singolarità» può essere motivata dalla perdita di un con- sistente numero di documenti lignei causa la fragilità e lo stesso uso liturgico a cui erano destinati; rimangono co- munque i centri dell'Alvernia e della Spagna i luoghi do- ve la produzione di sculture lignee a tutto tondo conosco- no la storia più ampia dal punto di vista quantitativo, so- prattutto più consecutiva, leggibile cioè attraverso l'indi- viduazione di un prototipo, o di più prototipi, e delle suc- cessive varianti. Questo aspetto del problema, cioè quello della conti- nuità nel tempo pur limitato del XII secolo di una produ- zione omogenea di sculture, spinge, contrariamente a quanto precedentemente affermato, per il soggetto del Cristo Crocifìsso a privilegiare una distinzione di natura geografica rispetto a una esposizione «indifferenziata» dei tipi e dei luoghi del Romanico. Per quanto riguarda il soggetto della «Vergine in maestà», dare rilievo all'Alver- nia e alla Spagna rispetto a altri centri di produzione, co- me l'Italia e il sistema Reno-Mosa, non vuol dire procla- marne l'eccellenza o ancor più la priorità, quanto organiz- zare il materiale a partire da ciò che è a noi pervenuto. Una distinzione per «aree geografiche» deve allora es- sere corretta in una distinzione per «prototipi» e in base alla loro fortuna: questo non esclude pertanto la ricerca di una connessione fra i diversi centri di produzione che, proprio in un'epoca come quella romanica, sembra essere carattere a tutti gli effetti vincente e vincolante una analisi corretta del fenomeno. IL CRISTO CROCIFISSO « Cristo uno e medesimo, perfetto nella sua Divini- tà e nella sua Umanità, vero Dio e vero uomo, composto di un'anima razionale e di un corpo. Egli, uno e medesi- mo, è della stessa sostanza del Padre secondo la Divinità ed è della nostra stessa sostanza secondo l'umanità. Nato dal Padre prima di ogni tempo rispetto alla Divi- nità, per noi e per la nostra salvezza nacque da Maria Ver- gine e Madre di Dio rispetto all'umanità. Noi crediamo un solo e medesimo Cristo, figlio del Signore, unigenito, in due nature, senza confusione o cambiamento, senza di- visione o separazione». Lo stralcio della dichiarazione finale del Concilio di Cal- cedonia del 451, il più importante per numero di parteci- panti fra i Concilii della prima epoca della Chiesa, mette fine, sia pure con un'«ellenizzazione» della dottrina cri- stiana, a conflitto monofìsita che aveva traumaticamente contrapposto Oriente ed Occidente. La definizione della doppia natura e della perfezione raggiunta in entrambe, fatta eccezione per il peccato originale, pone la figura del Cristo come centrale nella dottrina e nella pratica. Uno dei punti cardine dell'iconografia cristiana, ac- canto a quelli delia divinità giudice e del Pantocratore, è costituito dalla sua morte sulla croce; la sua centralità nel programma memorativo e divulgativo della ( Chiesa supe- ra le continue evoluzioni delle regole e degli stili, fra espansione e restrizione del culto delle immagini o dei soggetti localmente venerati in una tensione antifeticisti- ca che percorre una fetta consistente del contesto di cui ci stiamo occupando. E noto, e già precedentemente ricordato, il duplice in- tervento censorio di Bernardo di Clairvaux e del suo av- versario Abelardo sulla disciplina degli arredi presenti nei luoghi di culto dei monasteri, sostanzialmente ridotti alla croce dipinta o scolpita. Iconograficamente il tema si sviluppò nell'epoca suc- cessiva a Costantino, legato oltretutto al leggendario rin- venimento della reliquia ad opera della Madre Elena, ma la croce veniva rappresentata senza la figura del Cristo. Solo a partire dal VI secolo troviamo l'immagine della crocifissione come a noi è più nota, restando comunque rara nel periodo bizantino fino a quello carolingio, privi- legiando in ogni caso la denominazione oggettistica ri- spetto a quella monumentale. La figura della croce e il suo uso come strumento di pena conosce, fin dall'esordio della predicazione nel mondo romano della nuova religione, una sua contrad- dittoria fortuna: il duplice valore di «trono» e di «forca» è presente nelle stesse parole di Cristo riportate in Giovan- ni 12,32 in cui l'espressione «elevato dalla terra» indica a un tempo la pena della crocifissione e la sua ascensione al cielo nel giorno della resurrezione. Il tema del martirio, apparentemente segnale della sconfìtta terrena, si trasfor- ma in vittoria sulla morte. E situazione altrettanto conflittuale, scandalosa, è re- gistrata da Paolo nella prima lettera ai Corinzi, in cui si in- siste sul «rovesciamento di senso» che l'incarnazione e il sacrifìcio della divinità portano confondendo traumatica- mente la «sapienza del mondo». «E mentre i Giudei chie- dono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predi- chiamo Cristo crocifìsso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio». (Corinzi, I , 21-24). Il procedimento logico del ribaltamento semantico fra stoltezza e sapienza accentua la contrapposizione fra «vec- chio» e «nuovo» attribuendo a un oggetto, o meglio a fi- gure culturalmente negative come lo strumento di sup- plizio o la stessa condanna capitale, un valore radicalmen- te opposto, di gloria. Nel già ricordato contraddittorio fra il pagano Cecilio e il cristiano Ottavio riportato nell'omonima opera di Mi- nucio Felice, il tema della croce conosce accenti diversi che occorre brevemente ricordare: nelle parole di Cecilio 61

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alcuni «prototipi» che avranno nel corso del secolo, ma anche in quelli successivi, una particolare fortuna. Questa «singolarità» può essere motivata dalla perdita di un con­sistente numero di documenti lignei causa la fragilità e lo stesso uso liturgico a cui erano destinati; rimangono co­munque i centri dell'Alvernia e della Spagna i luoghi do­ve la produzione di sculture lignee a tutto tondo conosco­no la storia più ampia dal punto di vista quantitativo, so­prattutto più consecutiva, leggibile cioè attraverso l ' indi­viduazione di un prototipo, o di più protot ipi , e delle suc­cessive varianti.

Questo aspetto del problema, cioè quello della conti­nuità nel tempo pur limitato del X I I secolo di una produ­zione omogenea di sculture, spinge, contrariamente a quanto precedentemente affermato, per i l soggetto del Cristo Crocifìsso a privilegiare una distinzione di natura geografica rispetto a una esposizione «indifferenziata» dei t ipi e dei luoghi del Romanico. Per quanto riguarda i l soggetto della «Vergine in maestà», dare rilievo all 'Alver-nia e alla Spagna rispetto a altri centri di produzione, co­me l'Italia e i l sistema Reno-Mosa, non vuol dire procla­marne l'eccellenza o ancor più la priorità, quanto organiz­zare i l materiale a partire da ciò che è a noi pervenuto.

Una distinzione per «aree geografiche» deve allora es­sere corretta in una distinzione per «prototipi» e in base alla loro fortuna: questo non esclude pertanto la ricerca di una connessione fra i diversi centri d i produzione che, proprio in un'epoca come quella romanica, sembra essere carattere a tut t i gl i effetti vincente e vincolante una analisi corretta del fenomeno.

I L CRISTO CROCIFISSO

« Cristo uno e medesimo, perfetto nella sua D i v i n i ­tà e nella sua Umanità, vero D i o e vero uomo, composto di un'anima razionale e di un corpo. Egli, uno e medesi­mo, è della stessa sostanza del Padre secondo la Divinità ed è della nostra stessa sostanza secondo l'umanità.

Nato dal Padre prima di ogni tempo rispetto alla D i v i ­nità, per noi e per la nostra salvezza nacque da Maria Ver­gine e Madre di D i o rispetto all'umanità. N o i crediamo un solo e medesimo Cristo, figlio del Signore, unigenito, in due nature, senza confusione o cambiamento, senza di­visione o separazione». Lo stralcio della dichiarazione finale del Concilio di Cal-cedonia del 451, i l più importante per numero di parteci­panti fra i Concilii della prima epoca della Chiesa, mette fine, sia pure con un'«ellenizzazione» della dottrina cri­stiana, a conflitto monofìsita che aveva traumaticamente contrapposto Oriente ed Occidente. La definizione della

doppia natura e della perfezione raggiunta in entrambe, fatta eccezione per i l peccato originale, pone la figura del Cristo come centrale nella dottrina e nella pratica.

Uno dei punti cardine dell'iconografia cristiana, ac­canto a quelli delia divinità giudice e del Pantocratore, è costituito dalla sua morte sulla croce; la sua centralità nel programma memorativo e divulgativo della ( Chiesa supe­ra le continue evoluzioni delle regole e degli stili, fra espansione e restrizione del culto delle immagini o dei soggetti localmente venerati in una tensione antifeticisti­ca che percorre una fetta consistente del contesto di cui ci stiamo occupando.

E noto, e già precedentemente ricordato, il duplice in­tervento censorio di Bernardo di Clairvaux e del suo av­versario Abelardo sulla disciplina degli arredi presenti nei luoghi di culto dei monasteri, sostanzialmente r idott i alla croce dipinta o scolpita.

Iconograficamente i l tema si sviluppò nell'epoca suc­cessiva a Costantino, legato oltretutto al leggendario rin­venimento della reliquia ad opera della Madre Elena, ma la croce veniva rappresentata senza la figura del Cristo. Solo a partire dal V I secolo troviamo l'immagine della crocifissione come a noi è più nota, restando comunque rara nel periodo bizantino fino a quello carolingio, pr ivi ­legiando in ogni caso la denominazione oggettistica r i ­spetto a quella monumentale.

La figura della croce e i l suo uso come strumento di pena conosce, fin dall'esordio della predicazione nel mondo romano della nuova religione, una sua contrad­dittoria fortuna: i l duplice valore di «trono» e di «forca» è presente nelle stesse parole di Cristo riportate in Giovan­ni 12,32 in cui l'espressione «elevato dalla terra» indica a un tempo la pena della crocifissione e la sua ascensione al cielo nel giorno della resurrezione. I l tema del martirio, apparentemente segnale della sconfìtta terrena, si trasfor­ma in vittoria sulla morte.

E situazione altrettanto conflittuale, scandalosa, è re­gistrata da Paolo nella prima lettera ai Corinzi, in cui si in­siste sul «rovesciamento di senso» che l'incarnazione e i l sacrifìcio della divinità portano confondendo traumatica­mente la «sapienza del mondo». «E mentre i Giudei chie­dono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predi­chiamo Cristo crocifìsso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di D i o e sapienza di Dio». (Corinzi, I , 21-24).

I l procedimento logico del ribaltamento semantico fra stoltezza e sapienza accentua la contrapposizione fra «vec­chio» e «nuovo» attribuendo a un oggetto, o meglio a fi­gure culturalmente negative come lo strumento di sup­plizio o la stessa condanna capitale, un valore radicalmen­te opposto, di gloria.

N e l già ricordato contraddittorio fra i l pagano Cecilio e il cristiano Ottavio riportato nell 'omonima opera di M i ­nucio Felice, i l tema della croce conosce accenti diversi che occorre brevemente ricordare: nelle parole di Cecilio

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si può cogliere l'obiezione ragionevole della sensibilità pagana: «Si va dicendo che oggetto del loro (dei Cristiani) culto sia un uomo punito per delitti di pena capitale, e così pure un funereo legno di croce, e vengon loro attri­buiti degli altari ben degni di gente infame e criminale, perché adorino ciò che si meritano». 11 culto riservato a un perseguitato e condannato dalla giustizia e agli stru­menti materiali della condanna ripugna per una mentalità corrente; la risposta di Ottavio risulta per certi aspetti re­ticente, comunque assolutamente lontana rispetto alla ra­dicale e esplicita affermazione che Paolo aveva espresso. I l sentimento di Ottavio è in linea con un atteggiamento antiidolatra che abbiamo visto percorrere la storia delle prime manifestazioni iconografiche della nuova religio­ne: «Quanto alle croci, noi non le adoriamo, né le deridia­mo. Voi invece che consacrate degli dei di legno, forse potreste adorare delle croci di legno quali parti dei vostri dei». I I ragionamento si prolunga nella ricerca di «segni» della croce come elementi dell'ordine naturale e artificia­le, della struttura architettonica delle navi o delle insegne militari , nelle braccia aperte dell 'uomo che prega la divi ­nità. Ma viene escluso un culto specifico dell'oggetto, a segnalare probabilmente la preoccupazione nell'ambien­te romano di separare drasticamente la religione cristiana come spirituale a quella pagana come idolatra e feticistica.

Con l'affermarsi ufficiale della Chiesa, soprattutto in Occidente, i l soggetto della croce riprende la complessità dei suoi significati: la croce è vista come «altare del mon­do e non del tempio» secondo Leone Magno, a indicarne l'universalità della missione e della predicazione, può an­che essere i l «trono cosmico, dall'alto del quale i l Salvato­re crea i l mondo nuovo accogliendolo nel suo mistero», come sintetizzano de Champeaux e Sterckx ( 1981).

Lo stesso Leone Magno, alla metà del V secolo, nelle sue prediche sulla passione raccoglie e amplifica le inter­pretazioni precedenti, sottolineando sostanzialmente due punti qualificanti; i l carattere universale dell'abbraccio del suppliziato e quel «rovesciamento» di significato fra la morte e la salvezza cui precedentemente abbiamo fatto r i ­ferimento: «O potenza ammirabile della croce! O gloria ineffabile della passione! I v i è i l tribunale del Signore, i l giudizio del mondo e la potestà del crocifisso. Hai attira­to o Signore, ogni cosa a te. Mentre stendevi per tut to i l giorno le tue mani a un popolo ribelle e recalcitrante, i l mondo tutto avvertì di dover confessare la tua maestà.

La passione di Cristo racchiude una significazione sa­cra e efficace della nostra salvezza; e gl i attrezzi patibolari, che l'empietà dei Giudei aveva preparato per la pena, la potenza del Redentore trasformò in una scala per salire al­la gloria» (5,1) .

Secondo lo studio e l'interpretazione che nel Medioe­vo ebbero i testi della fede cristiana, si vennero a creare dei nuovi valori simbolici all'interno del tema trattato e non tutto fu riportato come era stato scritto nelle antiche scritture, ma interpretato all'occorrenza.

I l Cristo aveva reso possibile, attraverso la sua morte

in croce, la liberazione dal peccato originale dell'umanità. Si creò la tradizionale leggenda dove i l legno della croce proveniva dall'albero della conoscenza dell'Eden, e la stessa fu eretta sopra la tomba di Adamo, denunciando un inizio ed una fine svolta seguendo una logica simboli-co-visiva; infatti i l teschio che si può trovare alla base del­la croce sta a richiamare la presenza di Adamo, e non, co­me fu supposto, i l monte Golgota i l cui nome, in lingua ebraica, significa teschio.

I l sangue che i l Cristo aveva versato sulla croce assun­se i l potere simbolico della redenzione, cosi come i l pelli­cano posto alla cima della croce, raffigurato mentre con i l becco nutre Ì suoi figli con la propria carne.

Nel corso dell'evoluzione del tema si possono indica­re sinteticamente quattro soggetti principali: la Majestad spagnola, i l Cristo triumphans, e i l Cristopatiens, a cui può essere aggiunto, come successivamente discusso, un Cri­sto «misto». Anche se non precisamente, la distinzione cor­risponde all'evoluzione cronologica del soggetto, dal l 'XI al X I I I secolo e conosce una diffusione in tutta Europa, salvo restando eventuali differenze di natura stilistica. E questo i l mot ivo che ha prodotto l'organizzazione del materiale discusso in questa sezione per tipologia del sog­getto indipendentemente dalla zona di produzione. I l Cristo vivo e i l Cristo dolente/morto corrispondono a due sensibilità fortemente diverse con cui viene interpre­tato i l tema della passione. Accanto a queste differenze iconografiche sostanziali è possibile riscontrare, nel corso dei pr imi tre secoli nel millennio, una serie di piccole va­riazioni che sintetizzo schematicamente: dal secolo X I I I la croce poteva essere rappresentata come un albero (li-gnum vitae) sottolineando maggiormente, come descritto dalla Legenda aurea, la sua dipendenza con l'albero edeni­co del bene e del male; anche la forma complessiva della croce, tralasciando costantemente la più probabile forma a «tau», conosce modifiche sostanzialmente funzionali al­lo sviluppo della forma complessiva del crocifisso.

I chiodi con i quali viene crocifisso i l Cristo, da quat­tro divennero tre per la sovrapposizione del piede destro su quello sinistro: la variazione coincide sommariamente con i l passaggio dal Cristo vivo al Cristo morente e susci­ta le ire del vescovo Lucas de Tùy, morto nel 1250, che nel suo Adversus Albigensium errores condanna come eretica la nuova concezione di Cristo fissato alla croce con tre chio­di anziché quattro, «ad derisum et opprobrium Christi» in quanto, interpreta Shapiro, (cit. p. 44) «trovava ripu­gnante i l corpo innaturalmente contorto, sottoposto a torsione, forma ai suoi occhi inconsueta e inaccettabile».

Ma i l simbolo della croce conosce nel volgere dei seco­li una sua significativa duttilità: Rabano Mauro interpre­terà la figura in chiave cosmica, come figura totalizzante dell'universo nelle sue divaricanti tensioni verso cielo e terra, Bernardo di Clairvaux leggerà nelle braccia del pati­bolo un esplicito ammonimento morale: «Quattuor haec cornua sunt continentia, patientia, prudentia et humil i -tas» (cit. i n De Lubac, p. 1050).

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6 - Cristo crocifisso, Bassorilievo, Roma, Porte di S. Sabina.

7 - Miniatura dell'Evangelario De Rabula.

8 - Allegoria della Crocifissione, part., affresco dell'abside maggiore di S. Quirce di Pedret, Museo Diocesano di Solsona.

I l suhpedaneum fu un'invenzione dovuta agli artisti f in dalle origini , cosi i l perizoma si affermerà soprattutto in epoca medioevale; la tradizione infatti parla di una lunga tunica con maniche, che vedremo rappresentata nelle Majestad, o di un panno legato attorno ai fianchi e all ' in­forcatura delle gambe (subligaculum); infine è anche pos­sibile che il condannato fosse completamente denudato.

I l Cristo vivo con i l capo eretto è corredato da una co­rona a forma circolare, spesso marcata ai quattro punti cardinali, simbolo del rapporto cosmico fra i l sovrano e tut to ciò che lo circonda; l 'attributo può essere mobile e metallico, quindi suscettibile di successivi interventi e so­stituzioni rispetto all'originale, oppure può costituire par­te integrante del blocco ligneo. La corona di spine fu un attributo divulgato dopo i l X I I secolo, quando Luigi I X di Francia portò con sé dalla prima crociata la sacra reli­quia.

A i lati della croce, in alto, più frequentemente nelle opere di ridotte dimensioni e in bassorilievo, era costante la presenza simmetrica del sole e della luna o, in una inter­pretazione più astratta del tema, le figure ridotte dei quat­tro evangelisti o dei loro simboli.

A partire dal l 'XI secolo, con lo sviluppo dell'azione l i ­turgica, alla primitiva presenza, al piede della Croce dei due dolenti (la Vergine e Giovanni evangelista) coinvolti in prima persona nelle ultime parole di Cristo sulla croce riportate nel vangelo, si aggiungono altre presenze e so­prattutto si dilatano i temi affrontati: la deposizione e i l compianto sul Cristo morto, vere e proprie scenografìe necessarie nel momento liturgico di maggior importanza come quello pasquale, conoscono soprattutto in area spa­gnola e italiana una considerevole fortuna.

Le prime rappresentazioni della crocifissione si vollero molto diverse dalla realtà, appaiono ai tempi di Sisto I I I (432-440) nella porta lignea di S. Sabina a Roma ( N . 6), dove i l Cristo risulta coperto da un cinturone mentre nell'evangelario siriaco "De Rabula" della seconda metà del V I secolo ( N . 7) troviamo Cristo vestito dal collobio e con la barba.

Come nota giustamente E. Bresset, la rappresentazio­ne sofferente e pressoché nuova del Figlio di D i o in croce,

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9 - Volto Santo di Lucca, X I I secolo, Italia, Chiesa di S. Martino.

10 - Majestad di Bagct, M . A . C . Barcellona.

] l Imervard, secondi) metà del XII secolo, Braunschweig,Germania.

12 - Majestad di Caldas, Montbuy.

era , nei pr imi secoli del Cristianesimo, insostenibile sia per la crudezza del tema, sia per l'umiliazione imposta al f i g l i o di D i o ; questo orienta t u t t o verso una t e s t i m o n i a n ­za di trionfo sulla morte annunciante la Resurrezione.

Sebbene i crocifìssi vestiti e nudi siano presenti nell'iconografìa dei pr imi tempi cristiani del V I secolo, vediamo nascere un interesse maggiore per i l Cristo con la tunica che lentamente si diffonde in Europa nei secoli successivi al X secolo e troviamo i l suo apice all 'interno del l 'XI secolo.

L A M A J E S T A D

De Francovich suppone un ipotetico itinerario del soggetto che dalla Siria giunse a noi attraverso i territori della Spagna, della Francia, della Germania.

A sostegno della sua ipotesi adduce la presenza in que­ste zone di crocifìssi rispecchianti la tipologia delle Maje­stad, termine che in lingua iberica definisce i l Cristo vesti­to da una lunga tunica manicata.

In Spagna la tipologia delle Majestad ebbe una grande diffusione nel X I I e X I I I secolo, supposizione confortata dal gran numero di crocifìssi a noi pervenuti e dalla pre­senza del tema del Cristo con i l collobio anche in altre arti come la pittura e l'oreficeria.

A differenza di quelli italiani e franco-tedeschi, che erano di misure superiori al naturale, quelle spagnole, a parte qualche eccezione, non superavano i l metro di al­tezza.

Dato questo di particolare rilievo, probabilmente at­tribuibile al fatto che non venivano collocati sopra l'alta­re, ma posti all'entrata dei templi , mot ivo tradizional­mente derivato dall'affresco di San Quirce de Pedret ( N . 8) che raffigura una Majestad dipinta sul pilastro della na­vata di fronte alla porta della chiesa.

Oppure, visto che la provenienza di questi crocefissi è da chiese e basiliche, va esclusa una responsabilità adorati-

va di uso privato o itinerante, e possibile supporre una collocazione i n una piccola nicchia all 'interno del tempio.

Ma i l tema del Cristo vivo con la tunica supera i confi­ni spagnoli confermando in questo modo l'internaziona­lità dei rapporti fra i santuari e le cattedrali d'Europa, co­me precedentemente discusso i n sede introduttiva.

Per quanto riguarda infatti la produzione italiana, uno dei più sconcertanti ed affascinanti crocifissi del periodo è i l «Volto Santo» di Lucca, i l quale rispecchia in maniera

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