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MONOGRAFIA AISA 93 Materiali e metodologie per la storiografia dell’automobile Giornata in onore di Andrea Curami e Angelo Tito Anselmi AISA·Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile

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AISA ·Associazione Italiana per la Storia dell’AutomobileC.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it M O N O G R A F I A A I S A 9 3

Materiali e metodologie per la storiografia dell’automobileGiornata in onore di Andrea Curami e Angelo Tito Anselmi

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3 PrefazioneLorenzo Boscarelli

4 Ricerca storiografica - Flashback al 1986Franco Lombardi

6 Le stampelle della memoriaGianni Cancellieri

9 Temi di storiografia dell’automobile. Cenni di teoria generale dell’identità Franco Lombardi

Andrea Curami32 Andrea Curami: cultura, competenza, versatilità

Mauro Negri

35 Andrea Curami l’orsoAntonio Testa

37 Bibliografia

39 Cenni biografici

40 Intervista ad Andrea CuramiMaurizio Tabucchi (EpocAuto n. 18/2009)

Angelo Tito Anselmi42 La figura e i lavori di Angelo Tito Anselmi

Eric Maggiar

44 “Carrozzeria Touring”: più che un libro un legame con Tito AnselmiAldo Rizzi

45 Carrozzeria Touring, fine dell’amicizia con Tito AnselmiGippo Salvetti

46 Angelo Tito Anselmi, storico dell’auto. Un maestro e un amicoSergio Puttini

48 Bibliografia

51 Cenni biografici

In copertina: Il disegno di Bob Freeman rappresenta un particolare del motore Ferrari 500TR, che discende dal motore 625TF montato sulla Berlinetta Vignale raffigurata nello schizzo, anch’esso opera di Bob Freeman.In 4ª di copertina: Le copertine di alcuni libri di Andrea Curami e Angelo Tito Anselmi.

M O N O G R A F I A A I S A 9 3

Materiali e metodologie per la storiografia dell’automobile

Giornata in onore di Andrea Curami e Angelo Tito Anselmi

AISA·Associazione Italiana per la Storia dell’AutomobileMilano, 16 aprile 2011

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Un’immagine della Maserati 450 S prototipo citata nella relazione di Franco Lombardi scattata nel novembre 2011 sulla pistadi Vairano dell’Editoriale Domus. La vettura, già 350 S ufficiale con Moss-Jenkinson nella Mille Miglia del 1956, dopo l’incidenteoccorsole in quella gara, venne trasformata dalla Casa nel prototipo 450 S, mediante l’istallazione del primo motore 450 S n. 4501 e in tale configurazione venne sperimentata in prova al GP di Svezia nell’agosto del 1956. La vettura, che ha avuto tre diverse identità ufficiali da parte della Casa, viene menzionata in tema di problemi di identità nella relazione cui si fa cenno.Si ringraziano per la fotografia la rivista Ruoteclassiche e lo studio fotografico Luci e Immagini.

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Ricordare Angelo Tito Anselmi e Andrea Curami èper tutti noi un piacere, anche se il ricordo suscita

commozione, per la passione che abbiamo condivisocon loro, l’ammirazione che sentiamo per le loroopere, i tanti episodi che molti di noi serbano nellapropria memoria e che hanno avuto Tito e Andrea perprotagonisti.Erano persone diverse, ma li accomunava l’impegno aricostruire con precisione e attendibilità eventi, profiliumani, temi tecnici, che poi entrambi hanno tradottoin opere che rimarranno nella storiografia dell’automo-bile, e non solo in quella, nel caso di Andrea Curami,che ha pubblicato lavori anche di storia militare, dimeccanizzazione militare, di aeronautica.Come si legge nei profili che di loro tracciano alcuniloro amici, Angelo Tito Anselmi e Andrea Curami ave-vano evidenti peculiarità di carattere, ben note a chi liha frequentati e, a volte, ha collaborato con loro. La qualità del loro lavoro di storiografi dell’automobi-le è però tale che asperità o incomprensioni svanisco-no di fronte al patrimonio che ci hanno lasciato e checi permette, rileggendo i loro testi, di provare semprenuove emozioni, di appassionarci nuovamente ai temiche hanno trattato, spiegato, documentato con tantamaestria.

Per commemorare Tito e Andrea, l’Aisa ha deciso didedicare una Conferenza ai problemi che si presentanoagli storiografi dell’automobile, cioè alle questioni cheentrambi hanno dovuto affrontare nel loro lavoro. Franco Lombardi, cui si deve lo sviluppo del temadella Conferenza, affronta l’argomento da molteplicipunti di vista, ponendo particolare cura all’analisidelle fonti documentali e alle difficoltà che si presen-tano a chi tenti di ricostruire la storia delle vetture dacompetizione. Gianni Cancellieri ci ricorda con quale cura e umiltà lostorico debba avvicinarsi alle fonti e ci offre anche ungustoso aneddoto in merito alla data di nascita di EnzoFerrari.Lo storico dell’automobile deve saper leggere e inter-pretare fenomeni che appartengono a mondi diversi,cioè l’industria, l’economia, lo sport, oltre, natural-mente, ad avere la sensibilità necessaria a cogliere lepeculiarità umane dei protagonisti. È un impegno arduo, oltre che appassionante, cherichiede notevoli doti culturali e intellettuali, che ciauguriamo attragga numerosi talenti capaci di conti-nuare l’opera di Angelo Tito Anselmi e di AndreaCurami. •

PrefazioneLorenzo Boscarelli

Lorenzo Boscarelli, presidente Aisa e studioso di storia dell’automobile.

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Ritengo utile ricordare il convegno torinese del 27novembre 1986 (“Materiali e Metodologie per la

Storiografia dell’Automobile”) da cui trasse poi originel’Aisa.Nel 1985, con l’amico Massimo Colombo, poi prema-turamente scomparso pochi anni dopo, mettemmo inpiedi una società: Le Macchine del Tempo, destinata a for-nirci una veste professionale, capace quindi di fattura-re e operare sul mercato, per la gestione di alcune ini-ziative legate all’automobilismo storico.Le società sono strumenti per operare commercialmen-te ed in effetti quella struttura ci fece anche guadagna-re qualche soldo, ma alla base del nostro progetto v’erala comune passione per l’auto d’epoca e per cercarenuove occasioni organizzative, culturali ed editorialicon cui intervenire con credibilità presso aziende cheavrebbero potuto appoggiare iniziative di un certolivello. Il frutto iniziale della nostra attività, fu la prima rievo-cazione storica del Concorso d’Eleganza di Villad’Este. Con l’aiuto della MaxMeyer, mettemmo infattiin piedi nel 1986 un evento che ebbe certamente unbuon successo e fu un viatico per altre successivenostre iniziative. La manifestazione era destinata poi aripetersi anni dopo in forme diverse sino all’odiernaconfigurazione che vede la Bmw quale organizzatore.Prima ancora, avevamo intanto intrapreso contatti conl’Editrice Mille Miglia (Beppe Lucchini con la consu-lenza editoriale di Marcello Minerbi) per un’ipotesi diun libro sulle Ferrari 4 cilindri sport di cui si sapevaallora assai poco. Pensavamo ad un librino agile e aduna ricerca da svolgere in un paio d’anni. Iniziai cosìuna serie di interviste con protagonisti, testimoni e stu-diosi di quella stagione, anche nel corso di un mio sog-giorno in America nel 1985. Ignoravo allora che misarebbe occorso un po’ più di tempo per portare vici-no a compimento quel lontano progetto.Dopo il Concorso di Villa d’Este ci parve opportuno,anche a ridosso del lavoro di ricerca intrapreso per quellibro appena citato, pensare ad un convegno di studicome occasione per raccogliere tutti coloro che faceva-no ricerca nel nostro settore, anche confrontandoci congli storici e gli studiosi istituzionali dell’industria.Prese così corpo il progetto di quel convegno, con faci-lità debbo dire, perché erano in effetti maturi i tempi

per una riflessione sui temi generali della nostra ricerca.Numerosi contatti con colleghi universitari fra gli stori-ci (Valerio Castronovo), gli economisti (Gigi Luini eGiuseppe Volpato, uno dei più autorevoli studiosi dellaproduzione automobilistica italiana) e il gruppo di sto-rici dell’industria (Giuseppe Berta, Pietro Bairati eDuccio Bigazzi) produssero un apprezzabile interesse.Contestualmente convocammo alcuni protagonistidell’industria automobilistica come Dante Giacosa,Franco Quaroni, Cicci Bianchi Anderloni, GiuseppeLuraghi, Aurelio Lampredi, Franco Martinengo,Giuseppe Busso e Rudolf Hruska. Ad essi si affiancaro-no naturalmente alcuni dei più autorevoli giornalistidell’auto del tempo: Gino Rancati, Gianni Rogliatti eFerruccio Bernabò, mentre fra gli storici dell’automo-bile Griffith Borgeson, Giovanni Klaus Koenig, ValerioMoretti, Angelo Tito Anselmi e Nino Balestra furonodella partita. Avemmo infine alcune defezioni importanti comequelle di Castronovo, Giacosa e Lampredi, ma l’incon-tro, organizzato presso il Museo dell’Automobile il 27novembre, ebbe indubbiamente successo e fu un’im-portante occasione di riflessione sui percorsi e i temidella ricerca automobilistica. Dopo la scomparsa di Massimo Colombo, Le Macchinedel Tempo fornì lo strumento con cui potei organizzareper la Fiera di Genova la mostra Autostory, che si svol-se tra il 1990 e il 1999. Molti di voi ricordano proba-bilmente quella manifestazione e le diverse mostretematiche che la caratterizzarono. Molti ricorderannoanche i numerosi convegni e seminari che le accompa-gnarono, con l’intervento di numerosi tecnici, desi-gner, industriali, protagonisti e storici dell’automobile.Ma intanto, a ridosso del convegno torinese, era intan-to nata l’Aisa, grazie agli sforzi iniziali di Tito, diVittorio Fano, di Lorenzo Boscarelli e del nucleo stori-co che si raccolse allora intorno all’Aisa.Può forse viceversa sorprendere che siano occorsi 25anni per ritornare a una riflessione sui temi teoricidelle storiografia automobilistica. Forse per la maggio-re difficoltà nel trattare temi metodologici generali; etuttavia tutto questo tempo non è trascorso invano.L’Aisa, dalla sua fondazione nel gennaio del 1988 (pre-ceduta dai vari incontri nel corso del 1987) ha infattiprodotto 93 Monografie e un centinaio di convegni. Vi è in tutti noi la consapevolezza che molte di que-ste occasioni rappresentino tappe significative nella

Ricerca storiografica Flashback al 1986

Franco Lombardi

Franco Lombardi, socio Aisa, storico dell’automobile.

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ricostruzione del percorso storico compiuto dall’auto-mobile. Non si tratta dunque di anni e di occasionitrascorse invano.Merita infine aggiungere che il seminario torinese fu lacircostanza in cui conobbi Tito. Anselmi era già un astro di luce purissima, e fin d’allo-ra accompagnato dalla sua nota incapacità di compro-mettere che lo portava a rapporti burrascosi con tutti isuoi collaboratori e committenti. Entrai così nel gorgodelle sue consuete lettere e fax con cui mi dava prezio-si suggerimenti e imperiosi consigli cui non sempre erapossibile (o opportuno) aderire. Nel preparare queste note, ho riesumato quella corri-spondenza che ho riletto con un briciolo di commo-zione. V’era stata una mia recensione su La Manovella(Gennaio-Febbraio 1986), richiestami da VittorioServenti, su Ferrari Tipo 166, curato da Tito. In quellarecensione, accanto ai doverosi accenti encomiasticiper un’opera davvero eccellente, avevo espresso qual-che garbata nota critica su di un possibile eccessivoricorso alla memoria dei protagonisti come principaleargomento di ricostruzione storica. Tito replicò contoni cortesi, ribadendo comunque la sua tesi sull’asso-luta necessità che si lasciasse ampio spazio alle memo-

rie dei protagonisti. Col senno di poi posso anche aggiun-gere che aveva perfettamente ragione: i Colombo, Bussoe Lampredi non sarebbero stati sempre con noi.Non vi fu quindi reale occasione per una vera polemi-ca, ma Tito ebbe modo di replicare. “Mi lascia perplessosolo quella Sua riserva sull’ipotesi che “Anselmi potesse aprirequalche polemichetta non del tutto gradevole”. Perché mai?Forza del pregiudizio! Strano che per essermi mostrato intran-sigente quasi vent’anni fa nel non voler omologare “replichegrossolane” come vetture d’epoca io mi sia fatto una così indi-struttibile fama di rompicoglioni…”Non ho copia della mia lettera di risposta, ma ricordodi avergli coraggiosamente scritto qualcosa come“Caro Anselmi, alludevo in effetti alla sua solida fama dirompicoglioni, ma vivaddio, ce ne fossero di rompicoglionicome lei!” Tito la prese in fondo bene e mi rispose: “Laringrazio della sua simpatica lettera malgrado la quale conti-nuo ad essere sconcertato nell’apprendere che la mia fama di“r” continui dopo un ventennio trascorso in disparte e senzaingerirmi delle attività associazionistiche…” e proseguì inquella lontana lettera del 14 aprile 1986, affrontando lamia ipotesi di un convegno, quello che fu poi il conve-gno di Torino. Ecco, mi rendo oggi conto di come que-sto sia, in sintesi, il mio perfetto ricordo di Tito. •

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La ricerca storiografica al tempo di Internet

Nel trattare il tema della ricerca storiografica inlogica connessione all’ambito culturale di riferi-

mento dell’Aisa, concentrerò l’argomento sulla miaesperienza specifica: più che l’automobile, l’automobi-lismo, più che la macchina, l’uomo, che l’ha inventatae che la usa, per lavoro, diletto o sport.Le ricerche di cui mi sono venuto occupando e tutto-ra mi occupo spaziano in un arco di tempo di oltremezzo secolo e, con impegno professionalmente dedi-cato ed esclusivo, di oltre vent’anni. Considero l’età uncapitale e non un debito, e addirittura un privilegiobeneficiare di tutti i progressi susseguitisi fin qui.Conquiste enormi. Io ricordo bene come si faceva quan-do non c’erano le fotocopie (sembra l’Ottocento maera solo l’altro ieri) e mi sento, come dire, un uomo delnostro tempo mentre navigo con i miei dubbi masenza timore nel mare sconfinato e a tratti infido diInternet. La finalità della ricerca storiografica (la sua mission,come piace dire a troppi) è in buona sostanza la docu-mentazione, intesa nel senso più vasto del termine:dati, date, fatti, parole, opere e via dicendo, da selezio-nare e classificare nei mille territori del sapere, perchéne resti memoria più o meno certa ma meno volatile ecomunque effimera di quella di ciascuno di noi.Perché effimera? Perché è indubitabile che quando cene andremo porteremo con noi i nostri ricordi nonmeno che le nostre amnesie. Tuttavia, se lasceremoqualcosa di scritto, registrato, fotografato, filmato, digi-talizzato, qualcosa resterà e potrà passare a chi verràdopo di noi, che per ricerche successive si potrà avva-lere di quanto da noi documentato.La memoria di ciascuno di noi presto o tardi si fa lacu-nosa, selettiva, come dicono gli psicologi. Prende azoppicare e ha bisogno di stampelle: riusciamo adandare a far la spesa senza una nota? Pare proprio dino. Ma certo, salvo eccezioni, non è questo il tipo didocumentazione da tramandare ai posteri. Noi chesiamo posteri di tutti quelli che ci hanno precedutodobbiamo loro i fondamenti della nostra conoscenza. Non riesco a pensare senza emozione a ciò che è arri-vato a noi attraverso la tradizione orale sfociata secolodopo secolo nella trascrizione: manoscritti originali

dell’Iliade e dell’Odissea non esistono, una stesura auto-grafa della Divina Commedia non esiste o quantomenonon s’è ancora trovata. Ed è grazie a veri e propri pro-digi della memoria collettiva che quelle opere, e tantealtre, si sono salvate e, anzi, hanno conquistato l’im-mortalità. Ma lasciamo queste vette e occupiamoci di documen-tazioni molto più modeste... quasi al livello della notadella spesa appena citata. C’è un esempio, che non mistanco di rievocare, relativo a un capolavoro della pit-tura di ogni tempo, il ciclo di affreschi di AndreaMantegna nel castello di San Giorgio di Mantova, cheper inciso è la mia città.Per decenni, gli studiosi e i critici d’arte di tutto ilmondo si sono avventurati in ipotesi più o meno plau-sibili sulla data d’inizio del lavoro dell’artista, che sisapeva durato circa un decennio e completato nel1474. Finché uno specialista mantovano, il professoreRodolfo Signorini, esaminati a fondo i documenti del-l’epoca, non trovò la soluzione dell’enigma.I Gonzaga, signori di Mantova e committenti dell’ope-ra, tenevano un archivio in cui, con una precisionemeravigliosamente maniacale, registravano tutto, asso-lutamente tutto.Perfino l’equivalente di quella che oggi chiameremmola «bolla di consegna» della calcina da usare come basesulle pareti che Mantegna avrebbe dovuto affrescare. Ela data: 26 aprile 1465.

Critica delle fontiIl tempo nel quale si situano le vicende su cui indagala ricerca storiografica è, naturalmente, il passato, daquello prossimo al più remoto. E ricostruire il passatonon è mai facile. Le metodologie sono in costante affinamento ma nonpossono certo «garantire» una risposta per ogni interro-gativo. E ciò che si ricava da tutte le fonti va sottopo-sto a continua critica, pena l’approssimazione del risul-tato, l’inesattezza del dettaglio, quando non addirittu-ra il falso. Partiamo da quella che sembrerebbe la fonte principe,la testimonianza diretta. L’intervistato può essere, peresempio, un signore più o meno anziano o smemora-to o più o meno interessato a fornire di sé un’immagi-ne migliore di quella reale. Nell’un caso e nell’altro laricerca di riscontri oggettivi contribuirà a determinareil «peso storico» della sua dichiarazione e i termini

Le stampelle della memoriaGianni Cancellieri

Gianni Cancellieri, socio Aisa, giornalista, storico dell’automobile, autore dinumerosi libri.

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della eventuale presa di distanza o addirittura del non-uso di quanto appreso.Poi c’è il mare magnum delle fonti scritte. E lì davverobisogna imparare a nuotare con forza (d’animo), resi-stenza (leggi: pazienza) e diffidenza nei confrontianche delle onde più piccole o dell’apparente bonacciache può nascondere insidie. Per uscire dalla metafora: se Tazio Nuvolari su unafotografia che lo ritrae al volante annota di suo pugno«A Monza su Talbot» viene da credergli, no? Errore. Lavettura è una Bugatti e Tazio si è semplicemente sba-gliato. Un lapsus, perché è da escludere che confondes-se Talbot e Bugatti.Ma cito il caso per ricordare una regola aurea dellaricerca: non prendere per oro colato, non accettareacriticamente nulla, nemmeno gli autografi. Se dunque occorre cautela anche con le fonti di primamano, a maggior ragione se ne deve porre con quanto«riportato», in esternazioni varie, interviste, discorsivirgolettati. Lì si può andare dalla infedeltà della tra-scrizione (per fretta, superficialità o peggio) al penti-mento con smentita da parte dell’intervistato e viadicendo. Ma il problema si pone in termini a volteinsolubili a causa della scomparsa dell’intervistato stes-so e magari anche dell’intervistatore.E arriviamo al nocciolo contemporaneo della questio-ne, con la stupefacente realtà di Internet, stupefacentenel bene non meno che nel male. Io ne faccio un usocostante, sono sempre connesso e la trovo di un’utilitàsenza uguali per mille aspetti della vita quotidiana. Maper quanto riguarda la nostra ricerca non facciamocieccessive illusioni. Libri e giornali online, eccetto le annate più recenti,sono ancora un mondo di là da venire e quanto ad altridocumenti se ne trovano riproduzioni ma spesso informato minuscolo, a scopo di vendita (poster, elenchidi iscritti alle corse, regolamenti, ordini d’arrivo),oppure in dimensioni leggibili ma accatastati insieme amigliaia di altri e non sempre individuabili in tempiaccettabilmente brevi dai motori di ricerca. Quanto a contributi originali c’è davvero poco. Omeglio, ci sono blog in cui si leggono discussioni inte-ressanti, con apporti anche documentali senz’altroutili. Ma in generale ci si imbatte in riproduzioni didati, cronache, risultati di corse eseguite utilizzando,non sempre legittimamente, fonti cartacee di attendibi-lità variabile, senza il benché minimo sforzo di revisio-ne: per cui gli errori delle suddette fonti si ripetono, sipropagano ovunque e si perpetuano, stante l’enormenumero di visitatori dei vari siti. Viene voglia di attua-lizzare l’enunciato della legge di conservazione dellamassa di Antoine-Laurent de Lavoisier: nulla si crea,nulla si distrugge, tutto si copia & incolla. Ci sarebbe poi da versare più di una lacrima sulla situa-zione generale, con poche eccezioni, delle nostrebiblioteche e archivi: chiunque abbia la ventura di

compiere con analoghe strutture una minima esperien-za al di là dei confini del Bel Paese ne ricava molti ele-menti per un confronto sconfortante. Ma va ricordato che fra le virtù indispensabili per chicoltiva con autentica passione questi studi, soprattuttoqui da noi, c’è la tenacia, che conduce a non arrender-si se non di fronte alla più conclamata evidenza. Anzi,a volte neanche davanti a quella: il che innegabilmen-te fa soffrire.

Estratto parziale dell’Atto di Nascita di Enzo AnselmoGiuseppe Maria Ferrari, nato a Modena il 20 febbraio 1898.Non il 18 febbraio, come ha sempre sostenuto l’interessato.

Enzo Ferrari in braccio alla madre, Adalgisa Bisbini, “civilemoglie” di Alfredo Ferrari.

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Delirio di onniscienza?Per concludere, riferisco in sintesi lo svolgimento e l’e-sito di una ricerca condotta anni addietro, per stabilirela data di nascita di Enzo Ferrari senza... accontentar-mi della sua versione, che non mi convinceva. Mi sonoguardato allo specchio e mi sono accusato di un deli-rio di onniscienza ma mi sono anche rapidamenteassolto: non esiste verifica che sia inutile, mi sonodetto, e sono andato avanti. Enzo Ferrari è nato il 20 febbraio 1898 ed è stato regi-strato il 24 dello stesso mese. Ciò che si legge nelle suememorie (nascita il 18 e registrazione il 20 a causa diuna colossale nevicata) non regge alla verifica docu-mentale. La mia ipotesi è che si tratti di una di quellestorie a volte anche poetiche, ma non di rado inventa-te che si tramandano nelle famiglie: una storia che aFerrari deve essere piaciuta molto se l’ha avallata e tra-mandata a sua volta ai posteri. Essa aggiungeva, pensosempre io, alla sua immagine, un tocco di mistero stra-vagante, una sorta di marchio congenito di «unicità»per un’esistenza che tutto è stata fuorché comune. Ma lasciamo perdere le mie interpretazioni e leggiamoi documenti. Anagrafe del Comune di Modena:“L’anno 1898, addì ventiquattro di Febbraio alle oreuna pomeridiane e minuti cinquanta, nella CasaComunale. Avanti a me Bandieri (o Boldin, o altro nome:non si legge bene) Antonio, Segretario delegato con attodel Sindaco, in data trenta aprile mille ottocentonovantuno approvato, Ufficiale dello Stato Civile diModena, è comparsa la Allegretti Teresa, di anni tren-ta, levatrice, domiciliata in Modena, la quale mi hadichiarato che alle ore tre antimeridiane e minuti (spa-zio non scritto) del dì venti del corrente mese, nella casa(posta?) Villa S. Catterina al numero 136, da BisbiniAdalgisa civile moglie di Ferrari Alfredo commercian-te, entrambi domiciliati in Modena, è nato un bambi-no di sesso maschile che non mi presenta, e a cui dà inomi Enzo Anselmo Giuseppe Maria. A quanto sopra e a questo atto sono presenti qualitestimoni Ferrari Dario di anni 52, impiegato, e PortaAndrea di anni cinquantasei (riparatore?) entrambiresidenti in questo Comune. La dichiarante ha denunciato la nascita suddetta peravere nella preindicata sua qualità prestati i (??) dell’ar-te sua alla Bisbini Adalgisa nell’atto del parto ed inluogo del marito di questa perché assente, dispensandoin pari tempo la dichiarante dal presentarmi il bambi-no suddetto per motivi di salute dopo essermi accerta-to della verità della nascita. Letto il presente atto agl’intervenuti si sono essi mecosottoscritti meno Porta perché illetterato”. Seguono lefirme: Allegretti Teresina/Ferrari Dario E la nevicata? Ho consultato il quotidiano cittadinodell’epoca Il Panaro (prima, e poi Gazzetta di Modena)ma non ne ho trovato traccia, benché ogni giorno ospi-tasse una dettagliata rubrica meteo. Allora? Tutto a

posto, dato che anche la Galleria Ferrari di Maranelloespone copia dell’atto di nascita che ho letto prima. No, c’è ancora qualche ombra di mistero. Anzitutto, lafamiglia Ferrari non intende dirimere la contraddizio-ne cronologica fra l’atto di nascita e la data dichiaratadal «Grande Vecchio», come lo chiamavamo. Anzi, lafamiglia non intende neppure affrontare l’argomento.Ed è un diritto che le va tranquillamente riconosciuto,ci mancherebbe. Ma non è tutto. Franco Gozzi, stori-co capo ufficio stampa, braccio destro e ascoltato con-sigliere di Enzo Ferrari, ricorda che il telegramma diauguri che mamma Adalgisa inviava ogni anno al figlioEnzo arrivava invariabilmente il giorno 18 febbraio. Che dire? Ce ne faremo una ragione? Viene anche quelmomento, deve venire per evitare che l’accanimentoindagatorio assuma connotati paranoidi. Il rischio nonè quello della perdita dell’equilibrio mentale, almenosi spera, ma quello di avvitarsi maniacalmente in unaspirale che come un folle zoom si restringe sempre piùsul dettaglio, perdendo di vista il soggetto principale. Èa quel punto che può tornare alla mente un soffio del-l’atroce pessimismo di Giacomo Leopardi, espressonelle undici sillabe più nichiliste che mai siano statescritte: “... e l’infinita vanità del tutto”.Ma noi non cadremo in quella trappola. Siamo troppobravi a costruirci le nostre. •

Una celebre foto di Enzo Ferrari (a sinistra) con il fratellomaggiore Dino, morto nella guerra 1915-1918.

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Metodologia della ricerca: il problema delle fonti

Questa relazione scritta amplia e modifica quantoda me presentato nella Conferenza Aisa del 16

aprile 2011. In quell’occasione avevo dato maggiorespazio ai casi concreti, comprimendo le problematichegenerali che, in questa sede, posso affrontare con mag-giore attenzione.Per quanto i temi trattati abbiano carattere generale,molti degli esempi e delle riflessioni specifiche cheaccompagnano la mia relazione traggono spunto dallavoro di ricerca che, insieme ad Antoine Prunet, vadoda tempo portando avanti in vista della pubblicazionedel nostro libro “Ferrari in Line –The 4-and 6-CylinderSport Cars and the Related Types (1953-1957)”.In via di sintesi, si può affermare come l’attività diricerca faccia affidamento su di un tessuto incrociatodi più fonti. Ai documenti e ai dati ufficiali: verbali diconsigli d’amministrazione, registri di fabbrica, fatture,schede di montaggio e resoconti ufficiali di gara, siaffiancano le testimonianze dei protagonisti dell’epoca(quelle “stampelle della memoria” di cui ha scritto bril-lantemente Gianni Cancellieri), le cronache e i com-menti dell’epoca, le analisi storiche di chi ci ha prece-duto nella ricerca e infine l’apporto del materiale foto-grafico, in qualche caso risolutivo. Tutte queste componenti possono tuttavia rivelarsiinsufficienti o fallaci. Questo spiega in estrema sintesile difficoltà della ricerca in senso generale e in partico-lare quando oggetto della ricerca sia l’analisi dellevicende individuali di vetture da competizione.Se dobbiamo talora riscontrare imprecisioni su registririferiti a consolidate produzioni di serie, a maggiorragione non è infrequente rilevare errori, omissioni emanipolazioni negli scarni documenti interni riferiti apiccole serie di vetture da competizione, ove il concet-to stesso di serie è spesso fuorviante e più vicino a quel-lo di prototipi in costante evoluzione. In questi casi, come vedremo, capita spesso di trovarecorrezioni a penna dell’ultimo minuto, riattribuzionidi numeri di matricola già impiegati, ovvero incroci dimatricole fra diversi telai che assumono l’identità l’unodell’altro, o ancora (e questo è il caso più complesso)possiamo trovarci di fronte all’assoluta assenza diinformazioni “ufficiali” su vetture certamente esistite,ovvero su comprovabili mutamenti d’identità. In tuttiquesti casi dobbiamo ricordare come i documenti uffi-

ciali siano un incontestabile punto di partenza, manon sempre essi ci forniscono una verità assoluta.Ci intratterremo più avanti sulle ragioni che induceva-no le Case in quegli anni (non solo, ovviamente, laFerrari) a una buona dose di elasticità nella tenuta deipropri registri ufficiali. In ogni caso, anche in presenzadi dati corretti, l’apporto degli archivi delle Casecostruttrici è spesso insufficiente per vetture da compe-tizione soggette ad aggiornamenti e modifiche taloraanche significativi. Il più delle volte, i dati ufficiali fotografano solo unadeterminata situazione esistente dicendoci, ad esem-pio, che la vettura x è stata venduta in data y al signorz. Punto e basta, anche se spesso si tratta di un impor-tante punto di partenza (magari non sempre corrispon-

Temi di storiografia dell’automobile Cenni di teoria generale dell’identitá

Franco Lombardi

La scheda tecnica ufficiale della Ferrari 312P, 1969. Si tratta di una rarità, perché da decenni, la Ferrari non rilascia più informazioni a un simile livello di dettaglio.Documenti di questo tipo, comunque, poco aiutano nelle ricerche finalizzate a tracciare la storia di ognisingolo esemplare.

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dente al vero). Raramente esiste menzione di eventua-li aggiornamenti e revisioni effettuati in seguito in fab-brica, né tantomeno di lavori fatti eseguire autonoma-mente dal cliente.Tutto ciò deve indurci a cercare risposte e indicazioniautonomamente, in qualche caso nonostante le indica-zioni ufficiali provenienti dalle Case. Inoltre, va anche aggiunto che la tendenza delle Case a“fotografare” una determinata situazione in uscita, almomento normalmente dell’alienazione di una deter-minata vettura, spesso nasconde interessanti dati dipartenza, ovvero le caratteristiche di una specifica vet-tura al momento della nascita. Se le Case tendono talo-ra a far coincidere l’identificazione di una vettura conl’ultima identità ad essa allocata, talora questo datoostacola il percorso a ritroso di identificazione deicaratteri iniziali.Le stesse immagini fotografiche, normalmente il piùprezioso strumento in soccorso dello storico, possonorivelarsi inutili o erronee, quando non vi siano elemen-ti per un’identificazione certa del veicolo, dell’occasio-ne o dei personaggi in essa ritratti o quando ci si trasci-ni un’identificazione errata senza riflettere su ulteriorielementi che possano indurci a correggere l’informa-

zione iniziale. A ben vedere, uno dei problemi maggiori deriva pro-prio dalla perpetuazione nell’errore, ovvero dal perse-verare in maniera acritica in un qualche errore iniziale,cui si finisce per attribuire il carattere di verità certa edel tutto attendibile.Ne riparleremo in conclusione presentando un interes-sante caso di errata identità personale.Anche i documenti ufficiali degli Enti sportivi organiz-zatori di gare (Automobile Club ecc.) offrono taloraindicazioni fallaci relativamente a vetture differentirispetto a quelle originariamente iscritte, ai numeri digara assegnati o all’identità dei concorrenti e/o co-pilo-ti. Trattandosi di errori meno frequenti sono in qual-che modo i più insidiosi, quelli che più difficilmente sievidenziano al ricercatore, specie se riferiti a protagoni-sti minori o a quei comprimari relegati al fondo deglischieramenti.Sotto questo profilo un formidabile aiuto ci giungedalla disponibilità di materiale fotografico chiaramen-te identificabile. Il problema è tuttavia che normal-mente abbondano (si fa per dire…) le immagini cheritraggono le vetture al fronte dello schieramento ecomunque quelle dei protagonisti principali, mentreraramente disponiamo viceversa di chiare immaginidei comprimari, dalle quali si possa eventualmentescoprire un cambio di vettura dell’ultimo momento. Ciò vale a maggior ragione per le corse minori, taloraaffidate a gestioni volonterose e non sempre organizza-te. Sotto questo profilo il problema è più complesso inEuropa rispetto a quando si verifica negli Stati Uniti (ein molti paesi del Sudamerica) dove, tradizionalmente,i numeri di gara venivano scelti da ciascun concorren-te o da ogni singola scuderia in inizio stagione e per-tanto non erano destinati a mutare di volta in volta,rendendo agevole almeno l’identificazione del pilota.Venendo ai resoconti dell’epoca, nel nostro caso allecronache giornalistiche apparse su quotidiani e perio-dici, dobbiamo riscontrare come le indicazioni erratesiano qui ancora maggiori. Non tanto in relazione arisultati e classifiche (almeno per i protagonisti prin-cipali), quanto con riferimento alle motorizzazioni oal tipo di vettura impiegato in questa o quella circo-stanza.Talune leggende dure a morire sono infatti semplice-mente il frutto di errori commessi del cronista deltempo. Se il giornalista normalmente conosceva i pro-tagonisti (noti e meno noti), la sua preparazione tecni-ca era talora superficiale e pertanto l’identificazione deltipo di vettura risulta in qualche caso avventurosa. Si consideri, inoltre, come spesso fossero allora le stes-se Case ad essere “reticenti” sulla presenza in gara diprototipi, nuovi modelli o su variazioni del prodottoesistente. Seguendo la cronaca dell’anonimo cronistadi Auto Italiana(1) mi sono ad esempio scervellato pertrovare traccia della nuova 12 cilindri 3500 (la 290

La fiche di omologazione della Porsche 917, registrata l’1maggio 1969 dopo la visita a Zuffenhausen il 21 aprile,quando i commissari CSI videro la sfilata dei 25 esemplaririchiesti per l’omologazione. Documenti di questo tipo,molto dettagliati, sono indispensabili per analisi e ricerchetecniche e storiche, ma, ancora una volta, non fornisconoinformazioni su ogni singolo esemplare.

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Mille Miglia) con cui Trintignant vincerebbe nel 1956il GP du Senegal, a Dakar, mentre in effetti la 3500ufficiale portata al traguardo col numero 31 dal corri-dore francese è una 857 Sport, presumibilmente la0584 M. Il riferimento alla presenza della nuova 290 MM e leparole lusinghiere su di essa attribuite al pilota france-se inducono tuttavia a farci ritenere ancora possibileche la nuova vettura possa essere stata effettivamenteportata a Dakar, venendo forse impiegata solo in provae generando così l’equivoco di cui sopra. Il resocontodi gara purtroppo nulla riferisce circa tale misteriosapresenza. Anche le testimonianze dei protagonisti (un importan-te strumento di conoscenza) vanno prese con qualchecautela. La memoria è un misterioso meccanismo selet-tivo per cui ciascuno ricorda a volte il particolare piùinsignificante e tuttavia rivela ampie aree di confusionepiù generale. Aurelio Lampredi (tanto per fare un esem-pio) ricordava molti dettagli dell’esordio in gara del“prototipo” Mondial (Casablanca, dicembre 1953),avendo distintamente presente l’incidente di DeOliveira con la 375 MM che aveva lasciato a piediAscari e il conseguente improvvisato accoppiamento di

Ascari e Villoresi sulla nuova sport a 4 cilindri e tutta-via insisteva nel localizzare l’evento a Dakar, nonostan-te i miei (inutili) tentativi di correggerlo sul punto. Insomma, si ricordano lucidamente emozioni e taloracuriosi dettagli, mentre spesso le coordinate tecnicheche accompagnano il fatto si fanno confuse. Per nonparlare di affermazioni tipo: “… era la 3 litri e non la2000? È sicuro?… Se lo dice lei!”, come, per esempio, miè accaduto con Umberto Maglioli.Occorre anche tenere conto di eventuali antipatie, riva-lità o conflittualità che emergono ogni qualvolta entriin gioco un lavoro di team. L’irrisolto problema deifreni “era affidato al tecnico tale…”, “la sala prova nonfaceva le dovute verifiche…”, “nel mio tratto di guida avevoquasi raggiunto Moss, poi lui si è sfilato indietro e nell’ultimaora, quando poi ho ripreso la macchina, non c’è stato piùnulla da fare…”. Dichiarazioni come queste offrono comunque utilispunti di riflessione, ma il più delle volte sono solouna delle tante possibili viste della cattedrale. Infine,ogni studioso di metodologia delle scienze sociali,come chiunque abbia professionalmente addestratointervistatori, vi metterà in guardia sui pericoli insitinel giudizio che un intervistatore partecipante farà inqualche modo trapelare. Ogni progettista tenderà ad esaltare il proprio ruoloove gli venga chiesto di quello “straordinario proget-to”, mentre tenderà a sfumare il proprio intervento conriferimento a quello cui l’intervistatore si riferirà comeun “progetto fallimentare”. Può sembrare inutile ricor-darlo, ma l’intervistatore porta a volte con sé un ruolomilitante che enfatizza i pericoli di cui sopra.La ricerca è pertanto un procedimento complesso cheparte da dati ufficiali, li analizza e li raffronta, li sotto-pone al vaglio incrociato delle testimonianze (ove pos-sibili) e delle cronache del tempo e li rilegge e li ordi-na attraverso ogni altro tipo di verifica possibile, inprimo luogo quella documentale, testimoniale e foto-grafica, la quale risulta per lo più essere, almeno nelnostro caso, uno strumento risolutivo. Il supporto fotografico, a metà strada fra il dato ufficia-le formale e quello testimoniale, rappresenta infatti unmomento essenziale della ricerca, capace da solo diconfermare o seminare dubbi sulle ipotesi consolidatee di offrire talora, come vedremo, ragionevoli interpre-tazioni alternative. Potrei tentare di presentarvi le innumerevoli ore tra-scorse confrontando confuse immagini in bianco enero nel tentativo di cogliere un particolare o nel ricer-care una specifica variazione come una fatica improbama mentirei spudoratamente: mi sono sempre diverti-to come un ragazzino al cinema.

La questione dell’identità e dintorniCome ho anticipato, il problema dell’individuazionedella corretta identità riguarda essenzialmente le vettu-

Un esempio di scheda “Identificazione e caratteristichedell’autoveicolo” conservata al Pubblico RegistroAutomobilistico (Pra) esistente in tutte le province italiane.Questo documento permette di ricostruire la proprietà di ogni vettura immatricolata in Italia. Riporta la data del Certificato d’origine e l’anno di prima immatricolazioneoltre al numero di telaio. Trattandosi di documentimanoscritti, spesso trascritti da altri similari, la possibilitàdi errori o imprecisioni è abbastanza elevata.

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re da competizione. Normalmente le vetture stradali,qualora non si tratti di prototipi o inconsuete fuorise-rie, hanno un’identità assolutamente chiara e agevoleda ricostruire (o meglio: difficile da perdere). Diverso èil destino delle vetture da corsa. Se già è difficile rinve-nire una vettura stradale del passato in buone condi-zioni originali, non vi è alcun dubbio che trovare unavettura da competizione nelle condizioni d’origine,come uscita dalla Casa, sia quasi un’ipotesi di scuola. Normalmente, queste vetture sono state usate brutal-mente, sottoposte ad abusi di ogni genere e, soprattut-to, sono state modificate, alterate e rimaneggiate neltentativo di allungarne la vita utile mantenendolecompetitive. Dobbiamo infatti ricordarci come le vet-ture da corsa fossero (e siano) prodotte per un soloscopo: vincere gare. Quando alla Casa o al pilota di grido non servivanopiù esse venivano di solito vendute a piloti privati diseconda o terza categoria e spesso, nelle mani si costo-ro, finivano con l’essere sottoposte ad ogni tipo dimodifica o alterazione allo scopo di sempre: continua-re a vincere gare, magari su circuiti di periferia e inmani sempre più modeste. Quelle modifiche apportate all’epoca rispetto alla ver-sione originale prodotta dalla Casa e, qualche voltaapprestate dalla Casa stessa, rispetto a una prima con-figurazione non rappresentano necessariamente un’e-screscenza tumorale da estirpare. In qualche caso, stan-no a testimoniare una pagina di storia e di evoluzioneprogettuale degna di essere ricordata e salvaguardata.

Tutti i pareri sono ovviamente legittimi in materie chelasciano spazio a diverse ragionevoli argomentazioni,ma se guardiamo per esempio alla vicenda storica dellaFerrari 250 GT telaio n. 2819 GT, siamo di fronte adun caso eclatante di evoluzione della nota berlinetta“passo corto” concretizzatasi in un disegno di succes-so, noto a tutti come la berlinetta “Breadvan”, che ciappare meritevole di tutela. In altre parole, siamo sicuri che debba essere filologi-camente corretto ripristinare oggi quella vettura inguisa di 250 GT Scaglietti a passo corto, esattamentecome prodotta in origine, o non piuttosto nella confi-gurazione in cui la vettura venne trasformata da Nerie Bonacini, secondo quanto previsto da GiottoBizzarrini e Pietro Drogo per la Scuderia Serenissimadel Conte Volpi?Dopo tutto, quella configurazione le appartiene dopotantissimi anni di vita e la caratterizza in maniera tota-lizzante, con l’immediato riferimento alla sfida fra ilgruppo di transfughi della Ferrari e la Casa madre. Se ci risulta del tutto comprensibile il ripudio all’epo-ca di quella vettura da parte di Enzo Ferrari, ferito dallarivolta dei suoi collaboratori, oggi ci parrebbe uneccesso di integralismo pretenderne il ripristino nellaconfigurazione d’origine, cancellando così una signifi-cativa pagina di storia. A mio sommesso avviso, megliouna carrozzeria non originale ma riconducibile ad undocumentato rifacimento dell’epoca che una nuovacarrozzeria, sia pure correttamente ricostruita, riprodu-cente quella d’origine(2).

La Ferrari Breadvan telaio 2819GT, 1961, restaurata e riportata alle condizioni d’origine è tra le protagoniste degli eventi piùimportanti per le auto storiche. Appartiene al collezionista tedesco Klaus Werner. La foto è stata scattata al Goodwood Revival2011: Werner, con Nicolas Minassian, si è classificato quinto nella Tourist Trophy Celebration Race.

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Va aggiunto come spesso le vetture da competizionevenissero aggiornate e alterate dalle Case stesse; taloranel tentativo di mantenerle competitive, altre volte perbanali ragioni economiche o di tempo, in quanto erain qualche caso più semplice e meno costoso rielabo-rare e riutilizzare il materiale esistente piuttosto cheintraprendere la costruzione di modelli totalmentenuovi. Se si esamina, per esempio, la storia delle primissimevetture Ferrari costruite nel 1947/48 si può agevolmen-te verificare il massiccio ricorso alla prassi del continuoaggiornamento e riuso del materiale esistente median-te allungamenti e accorciamenti dei primi telai, sostitu-zioni di motori, nuovi allestimenti di carrozzeria e,ovviamente, nuove identità. Insomma, un vero rompicapo per il povero storico. Ilcaso è sufficientemente noto perché occorra soffermar-ci in dettaglio.In questi casi, in primo luogo sorge il problema didecidere in quale configurazione una vettura da corsadebba essere restaurata qualora ci si trovi di fronte aduna di quelle circostanze, non infrequenti, in cui ilsuccessivo aggiornamento da parte della Casa o da pri-vati di qualche fama sia noto e documentabile. La Delage 8 cilindri di Dick Seaman con cui il celebrepilota inglese conseguì tanti sorprendenti successiintorno alla metà degli anni Trenta andrà eventualmen-te ricostruita secondo le caratteristiche di allora o piut-tosto secondo quelle, ben diverse, con cui era statacostruita nel 1926? Il problema non è da poco e non esistono regole asso-lute cui attenersi. Si pensi ad esempio alle complesseproblematiche relative al restauro di edifici e monu-menti dell’antichità spesso giunti a noi dopo comples-si interventi di ricostruzione e riuso che in qualchecaso suggeriscono di intervenire su evidenti e incon-grue superfetazioni, ma in altri casi impediscono ilripristino della struttura originaria. Il tempio doricodedicato ad Atena al centro di Ortigia (oggi il Duomodi Siracusa) è un perfetto caso emblematico (oltre cheuno dei più straordinari e longevi luoghi di culto esi-stenti al mondo).Chi scrive si è personalmente imbattuto in questa pro-blematica quando nel 1981 è entrato in possesso delprototipo 450 S Maserati. La vettura in questione eranata nel 1956 come 350 S. Si trattava in effetti della3501, la vettura ufficiale con cui Stirling Moss e DenisJenkinson presero parte alla Mille Miglia del 1956 conil numero 554.Dopo quella gara e la loro uscita di strada, la vetturavenne leggermente modificata nel telaio (con allunga-mento di circa 40 mm.) e nella carrozzeria per adattar-vi il primo motore 8V Tipo 54. Essa divenne così il prototipo della 450 S, e andò come4501 in quella veste al Gran Premio di Svezia nell’ago-sto 1956, girando tuttavia solo in prova poiché ancora

necessitante di sviluppo. Rientrata alla Casa, fu quindimessa da parte mentre si allestivano i successivi telaidella piccola “serie” di 450 S prodotte nella stagione1957, il primo dei quali assunse poi anch’esso l’identi-tà 4501 (successivamente esso venne allestito con car-rozzeria chiusa per Le Mans e ulteriormente rinumera-to 4512, tanto per complicare le cose). Quella stessa vettura muletto rimase poi presso laMaserati a coprirsi di polvere per essere poi venduta,priva di motore, nel 1965, con regolare certificato d’o-rigine (e con identità 350 SI n. 10), a un cliente ameri-cano e motorizzata allora, presso ben conosciute offi-cine modenesi, con un 8V 327 Chevrolet Corvette(3). Quando la vettura venne da me fortunosamente rin-tracciata in California, nel 1981, essa era nelle medesi-me condizioni con cui aveva lasciato Modena nel1965. Presentava la sua corretta carrozzeria, la sua cicli-stica e il suo telaio originale non pasticciati, con tantodi targa e libretto locali e con un solo ben documenta-to formale passaggio di proprietà intervenuto nel frat-tempo.Si presentò allora, nell’affrontarne il restauro, un pro-

blema analogo a quello illustrato in precedenza. Erafilologicamente corretto restaurarla come 350 S o piut-tosto nell’allestimento 450 S? Anche su suggerimento di Aurelio Bertocchi (al tempo,Amministratore Delegato della Maserati), dopo che lavettura venne allora ispezionata dalla Casa prima diogni intervento, si optò per la seconda soluzione peruna ragione che parve decisiva. Eravamo infatti difronte ad un genuino telaio Maserati che fortunata-mente non era stato pasticciato per alloggiarvi l’8Vamericano. Volendo viceversa riportarla alla configura-zione iniziale come 350 S si sarebbe dovuto tagliarequello stesso complessivo che era stato allungato dicirca 40 mm. per consentire l’alloggiamento dell’8cilindri Tipo 54. L’episodio era avvenuto una domeni-ca mattina d’inizio estate di quel lontano 1956, suordine dell’ing. Giulio Alfieri, e veniva ricordato difronte ad Aurelio Bertocchi dal telaista di allora, anco-ra in servizio alla Maserati il quale ricordava perfetta-mente l’episodio. Si osservi, per inciso, come ci si trovi in questo caso difronte ad una vettura priva di alcun numero di telaiostampigliato, ufficialmente dotata di tre diverse identi-tà da parte della Casa madre e tuttavia accompagnatada una storia del tutto certa, documentata e non equi-voca, a partire dal Certificato d’Origine con cui vennevenduta nel 1965, tanto da renderne del tutto agevoleper la Maserati l’identificazione e la certificazione diquella stessa triplice identità al momento dell’ispezio-ne cui fu opportunamente sottoposta la vettura al suorientro in Italia, prima di ogni intervento di restauro. Non deve destare stupore l’assenza di una stampiglia-tura ufficiale. Il caso è tutt’altro che infrequente, speciein presenza di vetture “ufficiali”, ove cioè ci si trovi di

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fronte a vetture prodotte per la squadra corse; normal-mente oggetto di sperimentazione, alterazioni e aggior-namenti. In questi casi, l’esigenza della Casa di attri-buire celermente alla vetture in oggetto l’identità diuna vettura di cui fosse pronto il carnet di transitodoganale, suggeriva di limitarsi all’uso delle targhettemetalliche da poter agevolmente sostituire all’ultimo,ove necessario. Il discorso relativo alla ricostruzione dell’identità diuna vettura prescinde dunque dall’esistenza di unnumero ufficiale di telaio stampigliato sui longheronie, in qualche caso, va portato avanti nonostante la pre-senza di un numero di telaio ufficialmente stampiglia-to dalla Casa. Chiunque abbia una conoscenza non superficiale dellevicende legate al mondo delle corse di quegli anni, sache la mancata stampigliatura era un caso tutt’altro cheinsolito,specie a fronte di vetture ufficiali “Casa” e pro-totipi, e che stampigliature doppie o comunque ano-male costituiscono casi non infrequenti. Basterà ricordare, fra le Ferrari esaminate nel nostrolibro, il caso della 0484 LM (la prima delle 6 cilindri inlinea), o della 0570 M prive di qualsivoglia stampiglia-tura, o i numerosi casi di doppia punzonatura di cuidiamo conto nella nostra opera, per terminare con la0674 (una delle V12 bialbero ufficiali della stagione1957) sulla quale riscontriamo ben tre diverse punzo-nature. E tuttavia non esistono dubbi circa l’identitàeffettiva di tali vetture in ogni momento della loro vita,al di là di possibili temporanei conferimenti di unadiversa identità formale. Posso solo anticipare in questa sede come l’elementodell’identità sostanziale debba normalmente prevaleresull’identità formale attribuita dalla Casa in determina-te circostanze(4). Compito dello storico è in effetti quel-lo di gettare luce sulla ricostruzione di quei percorsistorici, in materia d’identità materiale, segnalando icasi o i momenti nella vita di una vettura in cui non visia coincidenza con l’elemento formale. Si tratta di un compito non sempre agevole e delicato,specie considerando le conseguenze, anche patrimo-niali, che un’attribuzione di identità può comportare etuttavia mi pare che tale compito sia ineludibile perchiunque intenda affrontare queste problematiche. Aggiungo che da molti anni svolgo esclusivamente atti-vità di ricerca storica, condividendo liberamente i datidi cui dispongo con chiunque bussi educatamente allamia porta. Non svolgo, in altre parole, il ruolo – ovvia-mente del tutto legittimo – di esperto retribuito, rite-nendo inevitabili i potenziali conflitti di interesse incui può imbattersi chiunque, per quanto autorevole eattento a salvaguardare la propria integrità, svolgaaccanto alla ricerca storica attività di perizia, consulen-za nel restauro, brokeraggio e altro. Per quali ragioni si verificava il fenomeno della dupli-cazione o sovrapposizione delle identità? È presto

detto. In primo luogo si è già fatto cenno alle ragionidi economia e di tempo che spingevano le Case a rici-clare e riutilizzare i mezzi ufficiali sui quali avvenivasempre una qualche dose di sperimentazione. L’assenza di numeri stampigliati e il ricorso alle assaimeno impegnative targhette metalliche con riportati idati di identificazione del tipo e della matricola, cioèl’identità della vettura, rendeva in qualche modo piùsemplici e meno controllabili tali continui sviluppi e ilsusseguirsi dei nuovi allestimenti. Questo meccanismo potrebbe aver consentito allaFerrari e alla Maserati (ma non solo a loro) di rifilare adue diversi facoltosi gentlemen driver che bussavanoalla porta per avere a fine stagione il mezzo ufficialepiù competitivo, due diverse vetture presentate ognivolta come l’ex vettura ufficiale di Fangio, Moss,Ascari, Nuvolari o Varzi. Nessuno se ne scandalizzi.Al di là di qualche divertente o curioso episodio delgenere, la ragione di fondo per cui sulle vetture ufficia-li in molti casi non compare il numero di telaio stam-pigliato è che il ricorso alla semplice identificazionemediante targhetta consentiva una preziosa dose di ela-sticità per superare i complessi adempimenti doganali. Accadeva insomma che, se al momento di partire per ilTourist Trophy, per Le Mans o Buenos Aires, fosse dis-ponibile il carnet di transito doganale della vettura 08mentre la 08 era impegnata altrove (o andata distrutta,o già venduta), risultasse ovvio piazzare sulla vettura010 la targhetta della 08 e via, visto che non c’eratempo da perdere. Si procedeva magari alla punzonatura in fase successi-va, per esempio al momento della successiva cessionead un corridore privato, con contestuale stesura di unascheda di montaggio che spesso annulla la precedenteo vi si sovrappone, complicando talora i processi diidentificazione o la comprensione delle caratteristicheiniziali. Possiamo aggiungere come l’assenza di numeri ufficial-mente stampigliati non fosse esclusiva delle case italia-ne. Doug Nye, ricorda a proposito delle vettureCooper, sulle quali egli è la massima autorità: “Quandomi chiamano da qualche parte nel mondo e mi dicono: “hoacquistato la tale vettura Cooper” domando loro “Come sache si tratta di quella determinata vettura?”, “È chiaro, c’èstampigliato il numero!”. Allora comincio a preoccuparmi”.Le Cooper erano infatti tipicamente contraddistintesolo da una targhetta metallica riportante l’identifica-zione del tipo e il numero di matricola individuale. Un’altra ragione non del tutto infrequente per spiega-re qualche “pasticcetto” con i numeri di telaio era ildesiderio o la necessità di aiutare qualche cliente privi-legiato cui era difficile dire di no. Esistono numerosi casi ben documentati in cui si attri-buiva alla seconda vettura acquistata dal cliente in que-stione lo stesso numero della prima, per evitargli dipagare nuovamente onerose tasse d’acquisto o imposte

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doganali, e se poi la Casa “ritirava” la prima macchinadel cliente, poteva finire che il numero (e quindi l’i-dentità?) della seconda venisse riattribuita alla primavettura, la quale, opportunamente rinfrescata , venivamagari a questo punto rivenduta per nuova, con un’i-dentità cronologicamente aggiornata. Per quanto riguarda la Ferrari si tratta di prassi noninfrequenti, specie nei confronti di vecchi clienti, agen-ti locali, titolari di scuderie amiche e comunque gioca-tori ripetuti cui era oggettivamente difficile negare unfavore. Avremo modo di imbatterci più volte in casidel genere nelle pagine che seguono. In ambito Ferrari sono infatti noti diversi casi di scam-bi e accavallamenti di matricola, come quelli ricondu-cibile a François Picard (di fatto agente per il mercatofrancese) o a Franco Cornacchia, attivo nei confrontidella clientela latino-americana, particolarmente pena-lizzata in materia di dazi d’importazione.Erano, insomma, anni un po’ “garibaldini”, ma non c’èda scandalizzarsi più di tanto: pur di vendere una mac-china e portare a casa i quattrini per pagare la quindi-cina agli operai si faceva questo ed altro nell’Italiettadei duri e operosi anni Cinquanta.Il caso forse più emblematico è certamente quello delleMaserati monoposto 250 F. Il povero storico che siavventuri nei tortuosi percorsi di ricostruzione dellesingole identità individuali di quelle longeve e fortuna-te monoposto si imbatte infatti in un complesso caro-sello di numeri, ovvero di riallocazioni di numeri avve-nute ad ogni stagione, e talora anche più volte nelcorso della medesima stagione, tale da rendere moltocomplesso ogni sforzo teso a fare chiarezza; per nonparlare poi dei semplici passaggi di motori da un telaioall’altro a seconda delle esigenze di gara. L’articolato e attento ricorso all’incrocio delle fonti,all’analisi del materiale documentale (ove disponibile),alla lettura attenta delle cronache e alle testimonianzeconsente spesso di fare luce in maniera certa o quantomeno consente di offrire ragionevoli ipotesi interpreta-tive sui piccoli misteri di cui andiamo discorrendo. Se è vero che le vicende cui abbiamo fatto cenno ren-dono complicata (ma certamente mai noiosa!) l’attivi-tà dello storico che indaghi su queste vetture, è altret-tanto vero come da queste constatazioni emerga anco-ra una volta con chiarezza l’esigenza di sviluppare eportare avanti con ogni mezzo la ricerca storica sull’i-dentità delle vetture (sull’identità reale, intendiamodire) anche al di là di quella ufficiale indicata dainumeri di telaio o dall’assenza dei medesimi(5). Anche l’eventuale disponibilità dei resoconti di gara odelle altre relazioni interne, custoditi gelosamentenegli archivi delle Case, e raramente resi disponibili,non sempre consente di chiarire tutti i punti oscuri. Sitratta talora di documenti dettagliatissimi, con annota-zioni minuziose sulle condizioni climatiche, i tempigiro per giro in prova (“in allenamento”) e in gara, com-

presi quelli della concorrenza e magari l’analisi dellospessore dei ferodi rimasto sui ceppi dei tamburi a finegara e tuttavia di solito, nel caso Ferrari, almeno fino al1957 manca l’indicazione dei numeri di telaio. Delresto la cosa non appariva allora troppo rilevante.Attenzione: se l’identità in senso tecnico, intesa comeassegnazione di un numero di matricola era assente,non si pensi che non esistessero modi per identificarequelle vetture. Nelle società complesse di oggi siamo ormai da tempoabituati a ricorrere a dati ufficiali non equivoci comeformali documenti dotati di numeri di identificazione,codici fiscali, social security number, chip digitali e viadiscorrendo, ma è ancora presente in noi il ricordo diquel “dica le sue generalità” cui rispondevamo“Lombardi Franco, fu Giuseppe e Ines Campagna.” Quel mondo lontano, quello dei polverosi registi delleparrocchie è ancora con noi e rappresenta l’eco di unlontanissimo passato in cui Erodoto, come Omero eogni fonte greca, presenta i suoi protagonisti, siano essii trecento guerrieri di Leonida o i re greci che si radu-nano sulle rive dell’Ellesponto per portare guerra aTroia, attraverso un lungo elenco di ascendenze che cidava contezza della loro identità e del loro status. Bene, quando noi troviamo nei documenti interni for-mule come “ex Gonzalez Belfast”, “vettura ex MaglioliMessina” o “ricostruita dopo incidente Monza”, rientriamoin quelle antiche (e mai morte) tradizioni orali con cui,senza possibilità di equivoco (la memoria era fresca digiorni o settimane e comunque circolava all’interno diun gruppo omogeneo e ristretto) si aveva chiara identi-ficazione dell’oggetto in questione; come quando tro-viamo l’espressione “bastarda”, riferita a vetture realiz-zate frettolosamente in opera, mescolando ciclistiche,motori e quant’altro di vetture diverse. Preziosi incroci che servono, come sempre, a sperimen-tare e migliorare la razza, e di cui non occorre poi dura-tura memoria ma a cui non manca l’affetto di queipadri dalle mani sporche che l’hanno assemblate difretta e con fatica, magari nelle ore notturne alla vigiliadelle gare. Che il punto di partenza per ogni analisi in quest’areasia la necessità di ricostruire con paziente attenzionedelle identità certe è ben esemplificato anche da unnoto caso verificatosi a cavallo fra gli anni Ottanta eNovanta e che ha trovato ampio spazio sulla stampaspecializzata. Mi riferisco a “Old Number One”, come viene affettuo-samente chiamata la Bentley che ha vinto le 24 Ore diLe Mans nel 1929 e nel 1930. Il caso è emblematicodelle problematiche segnalate in queste pagine.Andiamo pertanto a riassumerlo. Nel pieno boom del mercato dall’auto storica di fineanni Ottanta, un noto collezionista e broker inglese rag-giunse un formale accordo per la vendita ad un consor-zio di investitori della sua notissima “Old Number One”.

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Tralasciamo di menzionare l’iperbolica cifra alla basedell’intesa e segnaliamo viceversa come, a pochi mesidi distanza e in pieno scoppio del bubbone speculati-vo che caratterizzò allora il mercato dell’auto storica, ilgruppo acquirente si rifiutò di perfezionare l’acquistoadducendo come ragione il fatto che la vettura in que-stione aveva subito, a loro avviso, tali e tante traversiee alterazioni nella sua vita che ben poco della vetturaoriginale restava nell’oggetto presentato come laBentley vittoriosa a Le Mans.Al termine di un’accanita battaglia legale, con inter-vento di agguerriti esperti e consulenti dall’una e dal-l’altra parte, il giudice ha ritenuto il contratto perfetta-mente valido, sostenendo che se è vero che probabil-mente solo una piccola parte del telaio nonché alcuniparticolari meccanici (il cambio) della vettura in que-stione risalassero alla versione originale del 1929, eraanche vero che la vettura fosse già stata ampiamenterimaneggiata dalla Casa prima delle 24 Ore del 1930 eche inoltre tutte le successive modifiche, come la tra-sformazione in monoposto con cui la vettura corse inseguito a Brooklands o l’ulteriore allestimento come

berlina prima del restauro secondo l’assetto originale,fossero tutte ampiamente documentate e certe. In altre parole, secondo il giudice inglese, nessuna altravettura poteva ritenersi “Old Number One”, mentre “l’i-dentità della vettura è certa e indubitabile in ognimomento della sua storia”(6). Questa sentenza ha susci-tato polemiche e farà ancora discutere, ma riteniamovada in una direzione corretta, ponendo l’enfasi sullalegittimità di fare appello ad una non equivoca e inin-terrotta storia individuale anche nei casi più controver-si e tormentati.

Repliche, copie e falsi, il ruolo dei registri, delle Case e degli espertiMerita aggiungere alle considerazioni generali relativealla questione dell’identità alcune osservazioni in temadi copie, repliche e falsi, ove – ancora una volta – ladifferente valutazione dell’identità dell’oggetto, ci for-nisce un possibile strumento di analisi. Detta in estre-ma sintesi, nel caso delle copie e delle repliche abbia-mo un’identità che nasce con la produzione dellacopia in questione (e la qualifica come tale!), nel caso

La ricostruzione dell’AutoUnion Grand Prix 1936realizzata per la Audi da Crostwaith & Gardiner,per completare la collezione di Auto Union.Riproduzione perfettadell’originale non piùesistente, viene presentatain pochi eventi tra i piùimportanti. Qui, in versionecon ruote posteriorigemellate, è al Festival of Speed, Goodwood 2011,guidata da Nick Mason.

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di un falso abbiamo viceversa una falsa identità, ovve-ro un tentativo, illecito, di impossessarsi di una qual-che identità preesistente. Cosa spinge una persona ad acquistare o a farsi realiz-zare una copia di una vetture del passato? Rispondereiche alla base vi sono normalmente due motivazioninon irragionevoli: il desiderio di possedere una vetturascomparsa e non più disponibile o il desiderio di pos-sedere una cosa che assomigli ad una celebre vetturadel passato il cui costo – nel caso dell’originale – siatroppo elevato o risulti comunque ingiustificabile perl’acquirente o il committente in questione. Trascuroper il momento una terza possibilità: quella di truffareil prossimo. Posso aggiungere che, mentre personalmente nonappenderei nel mio studio una riproduzione di unCanaletto, né mi verrebbe in mente di farmi realizzareuna copia di una 2900 B Alfa Romeo, tuttavia tendo arispettare punti di vista diversi e non mi scandalizzal’esistenza di possibili utenti per quel prodotto, i cuidesideri di fruizione, qualora onestamente esplicitati,mi paiono del tutto rispettabili e legittimi.

Come corollario di quanto sopra, sono altresì convin-to che possa esserci spazio in parallelo per piccoliimprenditori e artigiani altamente specializzati capacidi ricreare dal nulla una Isotta Fraschini 8A TouringFlying Star, ovvero una Ferrari 250 GTO.Aggiungo che guarderei personalmente con raccapric-cio alla distruzione di un’onesta Isotta Fraschini berli-na o una scalcinata 250 GTE nell’ambito di tale opera-zione, in quanto sottrarremmo un’identità esistente alpatrimonio automobilistico mondiale. Qualora siricorra viceversa all’impiego di un semplice motore ori-ginale, ormai separato dal telaio d’origine e da altri par-ticolari non riconducibili ad un’identità (sospensioni,

freni ecc.), o magari si faccia ricorso a propulsori,cambi, ciclistica, ecc. di moderna riproduzione nonvedo problema. Il punto focale è rappresentata dal fatto che le copie ole moderne riproduzioni di cui abbiamo parlato nonhanno un’identità storica, non sono la favolosa FlyingStar bianca esibita da Alma Matteucci a Villa d’Este nelsettembre del 1931, cosi come non sono una delle (39?)250 GTO prodotte dalla Ferrari fra il 1962 e il 1964. Tali copie avranno eventualmente un’identità riferita adocumenti stradali moderni (qualora ottenibili pressoun’autorità preposta al conferimento di targhe e libret-ti) o magari non ne avranno una formale, limitandosiad esposizione statica in un garage o in uno stravagan-te salotto. Il punto è che gli oggetti, cioè le vetture, dicui stiamo parlando non hanno un’identità storica.Tutto qui.Il falso, ovvero, se si preferisce una forma edulcorata, lavettura non autentica, non è strutturalmente cosa diver-sa da una copia. I medesimi artigiani sono infatti per lopiù alla base del medesimo procedimento fattuale diriproduzione. In qualche caso, il committente richiede-

rà particolari cautele e riservatezza, cosa che potrebbeinsospettire l’esecutore, ma queste sono questioni mar-ginali, almeno in questa sede.Diciamo, viceversa, che il problema dei falsi vieneinfatti in gran parte a coincidere con il problema del-l’appropriazione di una qualche plausibile identitànormalmente riferibile ad una vettura andata distruttao comunque non rintracciata. In questo senso, il tipo di esperto che serve alla biso-gna non è solo un bravo restauratore o ri-creatore, omagari un qualificato esperto in grado di riconoscere,giudicare e soppesare la qualità di una ricostruzione ela correttezza di ogni particolare impiegato in quel

La Bmw Coupé Kamm 1939, utilizzata nella Mille Miglia 1940. In realtà, si tratta di una ricostruzione moderna, ben dettagliatae precisa, che completa la collezione delle auto schierate dalla Bmw in quella corsa.

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processo, quanto un esperto con un’approfonditaconoscenza storica disponibile ad inventare o ad accre-ditare un’identità inesistente.L’esperto tradizionale, con il suo pur amplio e prezio-so bagaglio di conoscenze tecniche e la sua capacità diindividuare a prima vista il carburatore utilizzato su diuna vettura prima serie al posto di una seconda serie,serve dunque a poco in questo contesto. In questi casioccorre poter contare su di una figura di esperto stori-co spendibile (e disposto a farsi spendere). Per fortuna,si tratta di merce avariata tutt’altro che diffusa, anchese il caso più insidioso potrebbe essere quello dell’e-sperto che, in buona fede, possa essere tratto in ingan-no, caso tuttavia anch’esso raro.Come risulterà chiaro, il problema non si pone nelcaso di copie o di repliche, cosa ben diversa dal falso.Ritengo anzi utile inserire in questo contesto un ulte-riore elemento di chiarificazione: nel linguaggio cor-rente, copia o replica vengono normalmente usati comesinonimi. Ciò non mi pare tuttavia corretto. “Replica” indicava in origine un intervento da partedella Casa, qualunque essa fosse, per duplicare o ripro-durre in piccola serie una vettura costruita per una par-ticolare occasione. La locuzione sottintende dunqueun crisma ufficiale derivante dall’intervento direttodella Casa. La Frazer-Nash “Le Mans Replica” o laDucati “Mike Hailwood Replica” mi paiono eccellentiesempi al riguardo. Così ragionando, potremmo considerare una replica la125 S ricostruita alcuni anni fa sul disegno della primamitica vettura Ferrari del 1947, come pure alcune rico-struzioni di vetture Grand Prix Auto Union fatte realiz-zare dall’Audi per celebrare quel glorioso passato. In

questi ultimi casi, ove esista tuttavia una netta cesuracronologica e funzionale rispetto al modello d’origine,parlare di replica mi pare fuorviante, pur in presenza diiniziative dirette da parte della Casa o dell’Azienda cheoggi legittimamente ne detenga il marchio. In effetti, Casa o non Casa, in tutti questi casi siamo (amio sommesso avviso) in presenza di copie, nient’altroche copie, prive come tali di un’identità storica, ovve-ro dotate di identità a partire dalla data della suacostruzione. Padronissima la Casa di definirle comevuole e di stampigliarne il telaio, se crede, con qualun-que sigla di suo gradimento. Si tratta di operazioni deltutto lecite e anzi commendevoli; vere e proprie “copiedidattiche” che consentano al pubblico una fruizioneconcreta di significativi modelli storici oggi scomparsio difficilmente disponibili. È il caso della copia fatta realizzare dalla Bmw dellaberlinetta 328 Touring vincitrice della 1000 Miglia del1940. La vettura originale esisteva oltroceano, ma nonera agevole raggiungere intese con il proprietario perl’eventuale concessione in prestito della vettura overichiesto. A lavori ultimati, la Casa di Monaco è poiriuscita ad acquisire la vettura in questione, rendendoforse ridondante l’impeccabile copia di cui parlavamo. La costruzione di copie ufficiali da parte delle Case,ovvero di ricostruzioni col parziale impiego di compo-nenti d’origine prive tuttavia di un’identità storica (è ilcaso di alcune vetture del Museo Alfa Romeo, peresempio) è diventata prassi non del tutto infrequente,anche per evitare l’impiego dinamico di preziosi cime-li meritevoli di speciale tutela. Ciò non si discosta, nei fatti, da talune analoghe ope-razioni compiute da privati o da note istituzioni

La Lancia D50 1954-1955 esiste in due esemplari originali, non in condizioni di marcia. Trattandosi di una vettura con formeuniche e affascinanti, è stata ricostruita sui disegni originali da Guido Rosani a Torino in una prima serie di 5 esemplari, che utilizzavano parti “originali” di provenienza Ferrari. Il lavoro è stato completato da Jim Stokes in Gran Bretagna, che halanciato una seconda serie di 5 ricostruzioni. Ormai sdoganate, compaiono regolarmente negli show e nelle corse per le autod’epoca. Questo esemplare, ordinato e guidato da Eberhard Thiesen, commerciante tedesco tra i più noti, è apparso al Festivalof Speed 2011.

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museali. Penso per esempio alla ricostruzione conmolte componenti originali della Bugatti Royale road-ster Edsel, effettuata dal Musée Nationale del’Automobile di Mulhouse o alla copia della Maserati16 cilindri Grand Prix di recente realizzata intorno adun motore originale da un noto appassionato italiano.Come nei casi precedenti, nessuna reale identità stori-ca è infatti spendibile per queste vetture, e tuttaviaanch’esse dovrebbero essere considerate ricostruzionilecite e commendevoli.Vi si oppongono due possibili approcci: il primo èquello secondo cui della Bugatti “roadster Edsel” edella Maserati 16 cilindri Grand Prix dovremmo limi-tarci a osservare delle fotografie, ammirandone i relati-vi motori montati su di un cavalletto; il secondo èquello in base al quale le operazioni in questionesarebbero legittime se fatte dalle Case, risultando vice-versa censurabili (e forse anche perseguibili) qualoraintraprese da privati.Il primo punto di vista si ricollega ad una concezionefortemente “integralista” dell’approccio al patrimoniostorico di cui stiamo discutendo. Personalmente, mifarei uccidere per riaffermare il diritto costituzional-mente protetto di sostenerla da parte di chicchessia,così come per la scelta di mortificare le proprie carnicon il cilicio, ma non la ritengo ragionevole. Questa concezione risente di un rigoroso approcciodiffuso agli albori del collezionismo storico, in anni incui era ovviamente più agevole rinvenire vetture incondizioni originali e si bollava drasticamente come“falsa” una povera Lancia Astura colpevole solo diavere i parafanghi rifatti! Quanto all’idea secondo cui le copie fatte dalla Casavanno bene mentre quelle realizzate dai privati no,merita un più ampio discorso. Alla base di quest’ap-proccio vi è una peculiare accezione del marchio, omeglio, delle pratiche in difesa del marchio, che vedeoggi particolarmente attive alcune Case, la Ferrari inparticolare, e che pertanto immagino risulti di un qual-che interesse per i lettori. Ne faremo cenno tra poco.Tralasciando curiose creazioni come talune vetturettemoderne “ispirate” a specifici modelli del passato, imi-tazioni del tutto grossolane e tali da non poter indurrein confusione neppure il più sprovveduto passante,possiamo constatare come il panorama internazionalesia ricco di copie di alcune importanti vetture storiche,normalmente di taglio sportivo o da competizione,ispirate per esempio alle Jaguar “C” o “D”, alla ACCobra o alla Porsche 356 Speedster. Una parentesi. Ci si chiederà perché si copiano di soli-to le vetture sportive e in particolare quelle da compe-tizione. È semplice: esse sono normalmente più ricer-cate delle berline da turismo o da rappresentanza (equindi valgono di più) e inoltre sono infinitamente piùsemplici (e meno costose) da riprodurre. All’unica por-tiera in alluminio, priva di imbottitura e di ammenni-

coli di una vettura sport si contrappongono quattroportiere composte ciascuna di diverse centinaia dipezzi.Se si riflette sulla complessità dei procedimenti dismontaggio, pulizia, ramatura, nichelatura, cromatura,risanamento e saldatura delle lamiere, delle modanatu-re e dei profili in legno, delle ebanisterie, dei vetri,degli alzavetri e dei meccanismi di apertura, delle guar-nizioni e della pelle (o dei tessuti) e delle decine e deci-ne di viti, coppiglie, bulloni e rondelle che entrano ingioco nel rimontaggio, risulteranno chiare le considera-zioni cui faccio cenno. Morale: benedetti siano gli appassionati che investonotempo e quattrini nel restaurare una Lambda sei lucianziché ripresentarla sotto forma di torpedino sport!Se talune delle moderne ricreazioni di cui stiamo par-lando rappresentano copie fedeli della vettura origina-le, ma non così accurate da trarre in inganno un com-petente (magari per l’impiego del fiberglass al postodella lamiera o dell’alluminio), in altri casi siamo difronte a copie perfette, realizzate da sapienti artigianicon la riproduzione dei particolari unici che contraddi-stinguono quello specifico modello e pertanto presso-ché indistinguibili dalla vettura cui sono ispirate. Orbene, nel resto del mondo, e in particolare in quel-lo anglosassone che maggiormente determina i trenddi pensiero in materia, a nessuno verrebbe fatto diguardare all’attività degli artigiani e delle piccole azien-de che si specializzano in tali copie, come ad un’attivi-tà meno che lecita. Pertanto, quando un appassionato decida di farsi fareuna Jaguar “C” Type e si rivolga per esempio allaProteus, alla Lynx Engineering o alla Racing GreenCars, decidendone colore, specifiche e ogni altro detta-glio, compie un’operazione del tutto normale, dettatadalla voglia di possedere qualcosa di pressoché identi-co alla vettura in oggetto e che tuttavia rientri in undiverso ambito di spesa rispetto all’originale prodottodalla Casa di Coventry all’epoca, o magari dal deside-rio di divertirsi serenamente senza rischiare nelle acce-se rievocazioni odierne l’integrità di una importantevettura storica.In ogni caso, agli occhi del mondo, queste appaiono aipiù come libere opzioni legittimamente assunte da unqualsiasi privato cittadino, in correlazione alle iniziati-ve poste in essere in parallelo da un piccolo esercito diartigiani-produttori attenti ad inserirsi nelle nicchie delmercato. Diverso sarebbe ovviamente il caso di chiun-que intenda utilizzare materiale prodotto oggi, dallaLynx o da un qualunque artigiano nel mondo, per met-tere in piedi un’operazione truffaldina. Intendiamoci, nulla esclude che comportamenti truf-faldini avvengano o siano avvenuti in relazione acopie di vetture autentiche, ma questi episodi sono inrealtà assai meno diffusi di quanto si pensi. Essendo normalmente le copie di cui parliamo riferite

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a modelli di rilevante valore economico, è infatti daritenere che chiunque si avventuri nell’esplorare l’ac-quisto di un’importante vettura storica di elevato valo-re sia un appassionato competente o abbia comunqueil buon senso di investigare attentamente prima del-l’acquisto, sentendo la Casa, i Registri di Marca e affi-dandosi inoltre al giudizio e alla consulenza di espertidi sicura capacità e autorevolezza. Acquistare un’Alfa Romeo 8C, una Maserati Tipo 61 ouna Bugatti Tipo 35 non è di solito operazione che sisvolga frettolosamente su di un piazzale di sosta auto-stradale, con uno sconosciuto che ti porge un pacchet-to incartato a un terzo del costo di mercato. Fermorestando che la polizia e la magistratura vigileranno suimagliari di qualunque settore, non mi pare che frodi diquesta natura costituiscano un grosso pericolo sociale. Il possibile acquirente indagherà opportunamente sul-l’origine della vettura, sulla sua provenienza e sui per-corsi con cui è giunta sino al venditore attraverso i nor-mali e già citati canali d’informazione: Registri, Casa,esperti di marca e non sarà così difficile scoprire sel’oggetto offertogli sia accompagnato da una storiaconosciuta e da adeguata documentazione. Maggiorigli eventuali dubbi, maggiori le cautele e le ricerche daeffettuare. Mai come in questo caso vale il celebreCaveat emptor. Sarà del resto opportuno ricordare come le transazionifra appassionati e collezionisti rientrino in un’area dipiena libertà, vincolata solo alle leggi del mercato. Unavolta escluso un vizio dell’oggetto, ovvero un vizionella formazione della volontà derivante da una falsa-mente indotta erronea identità dell’oggetto medesimo,

qualora le parti siano capaci di intendere e di volere, leloro determinazioni sono a questo punto perfettamen-te libere. Il mercato collezionistico è in effetti uno dei pochimercati ancora affidati interamente ed opportunamen-te alla libera determinazione tra le parti, non essendocerto configurabili le vetture storiche come oggetti lacui allocazione debba comportare decisioni o control-li di tipo collettivo, come nel caso di allocazioni effet-tuate sulla base del merito, del bisogno o mediantel’individuazione di classi di riservisti.In questo campo la logica che sottende alla transazio-ni è semplicemente quella di “a ciascuno secondo ipropri desideri”, accompagnata da “a ciascuno secondole proprie possibilità”. Sarà inoltre opportuno esercitare particolare cautelanei confronti di una vettura proveniente da un oscuroe lontano passato, specie se l’oggetto in questione nonvenga presentato nello stato di ritrovamento, ma sipresenti viceversa come una bella e luccicante caramel-la sul cui ritrovamento, sulla quantità di parti originalie sul successivo restauro le indicazioni siano assenti ocomunque insufficienti e sommarie.Anche una documentazione apparentemente “solida”metterebbe in sospetto chiunque in un caso del genere.Il consiglio che si può e deve infatti dare a chi abbia laventura di ritrovare una vettura storica in condizioni lar-gamente rimaneggiate, incomplete (ma anche nel casodi un fortunato stato di buona originalità) è infatti quel-lo di farne per prima cosa prendere visione ai Registri, aiClub, alla Casa e agli esperti, documentando poi conattenzione ogni passo del successivo restauro.

La ricostruzione della Jaguar C-Type aerodinamica per le 24 Ore di Le Mans 1952. Quell’anno, la Jaguar dovette cedere la vittoria alla Mercedes-Benz. Non venne conservata nessuna carrozzeria originale. Questa ricostruzione si è vista al Festivalof Speed 2011, guidata da Tony Dron.

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Per evitare possibili tentazioni, magari non da parte dichi ha commissionato o prodotto una innocente edonesta copia, ma più avanti, nel tempo, a valle del pro-cesso originale di creazione della copia in questione,sarà opportuno ed auspicabile che i Club ed i Registri– e anche le Case, piuttosto che assumere feroci politi-che di contrasto – si attrezzino per censirle e per tene-re conto dei loro successivi passaggi di mano. Avevo personalmente sostenuto a suo tempo l’oppor-tunità che si apprestassero presso le Case specifici regi-stri ove censire, modello per modello, anno per anno,le diverse copie destinate ad apparire sul mercato, conl’indicazione delle eventuali componenti d’origine pre-senti, la provenienza, se nota, delle maggiori compo-nenti, l’anno, la località e l’azienda (o l’artigiano/gliartigiani) presso cui sono state allestite e così via. Cosìfacendo sarebbe più agevole monitorare il fenomeno egestirlo. Avevo anzi suggerito che le Case, d’intesa coni Registri e i Club di Marca, procedessero a punzonar-ne l’identità, ove non ne esista una fornita dal costrut-tore, ai fini di controllo e informazione di cui sopra. Del resto, basterebbe citare il rispettabile e antico pre-cedente delle copie di Maserati 250 F realizzate a suotempo da Cameron Millar e identificate come CM I,CM II, CM III e via discorrendo, fino, mi pare, allaCM VII per constatare come il fenomeno sia tutt’altroche nuovo o tutt’altro che ingestibile. Non si dimentichi, fra l’altro, come il ruolo di Club eRegistri di Marca sia ampio e consolidato non solo nelnostro paese (ove ha assunto una formale rilevanza giu-risdizionale), ma anche e soprattutto all’estero e in spe-cie nel mondo anglo-sassone, ove il ruolo dell’associa-zionismo di settore appare consolidato da moltissimotempo, al punto che i registri di produzione dellaRolls-Royce erano stati da tempo formalmente affidatidalla Casa inglese al suo potente e autorevole Club dimarca. L’abilità di alcuni personaggi privi si scrupoli non fini-sce di stupire. Un tempo una bolla doganale di ingres-so nel Paese proveniente dall’estero poteva costituireun documento significativo, magari non del tutto pro-bante, ma certo degno d’attenzione per determinare l’i-dentità di una vettura. Scopriamo poi che ultimamente pare avvengano cosedi questo genere: si acquista in qualche paesedell’America latina un rottame di vettura dotata ditelaio tubolare, supponiamo una banale Triumph TR3o TR4, e la si spedisce in Europa dopo averla privatadella carrozza, nello stato di solo telaio con elementidelle sospensioni e della ciclistica, non senza averprovveduto a farvi stampigliare un numero d’identitàrilevante, per esempio “4507”, accompagnando l’ogget-to in questione da una fattura pro-forma di modestoimporto per la vendita con esportazione all’estero diuna Maserati Tipo 54 (450 S) numero 4507 priva di car-rozzeria e di motore.

Come si suol dire: la classe non è acqua! Anche a fronte di circostanze come queste, continuotuttavia a ritenere che le operazioni truffaldine sianopiù difficili da realizzare di quanto sembri. Se non sietedel tutto sciocco, o più probabilmente ansioso di col-laborare ad un’operazione illecita, in un caso del gene-re diffiderete da chi vi chieda una frazione del valoreoriginale dell’oggetto reale con la scusa di dover assi-stere in giornata un parente in difficoltà e assumeretele vostre brave informazioni presso la Casa e presso gliesperti, scoprendo così che la vettura in oggetto, la 450S numero 4507, risulti essere andata distrutta al GranPremio del Venezuela nel novembre 1957. Chiunque voglia credere a misteriosi ritrovamentiavvenuti oggi, specie se non documentati, verificati ecomprovati da documentazione attendibile e dal giudi-zio concorde di più esperti, o è un irresponsabile o, piùspesso, gioca egli stesso nel torbido. Ritenere d’altro canto, come sembra siano stati recen-temente orientati alcuni magistrati inquirenti italiani,che l’allestimento o la commercializzazione di copiepossa di per se stesso rappresentare un reato di perico-lo, con riferimento ad una nebulosa fattispecie giuridi-ca prevista dal nostro ordinamento, mi pare rappresen-ti una forzatura: come voler impedire la produzione ela vendita di coltelli da cucina, ritenendo che nellemani sbagliate questi possano diventare strumenti perefferati delitti. Ben venga dunque la necessaria e severa tutela nei casipalesi di truffa, mentre resto personalmente dubbiosonei confronti di corpose inchieste, con larghissimoimpiego di intercettazioni e di risorse che forse potreb-bero essere utilmente orientate verso settori del crimi-ne di maggiore momento e pericolo sociale.

Un cenno sulla tutela del marchioResterebbe da aggiungere qualcosa sui riflessi di quan-to andiamo esaminando in relazione alla tutela delmarchio. Sia pur tangenzialmente tocchiamo qui que-stioni complesse che meriterebbero un livello d’analisiassai più tecnico e approfondito, ma in via di sintesi eper le finalità generali che qui ci interessano, mi paio-no utili alcuni cenni in questa direzione, partendo dal-l’uso atipico del marchio di cui alcune case automobi-listiche, segnatamente la Ferrari (ma il caso riguardaanche parecchi altri produttori in diversi contesti), siavvalgano oggi. Dove ci porta l’uso atipico del marchio? Sostanzial-mente verso la protezione offerta dall’ordinamento (daogni ordinamento giuridico, non solo quello italiano)nei confronti di una commercializzazione del marchiocondotta attraverso attive campagne di merchandisingindirizzate su prodotti che poco hanno a che vederecon il campo principale d’attività dell’azienda, ma checonsentono di creare profitto anche attraverso la com-mercializzazione di gadget anche lontanissimi dal pro-

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dotto di base (core business). Poiché la Ferrari non è una fondazione rivolta allo svi-luppo del sociale, bensì una società per azioni diretta acreare profitto, non vedo nulla di scandaloso nel fattoche il marchio e il logo della Casa vengano utilizzatiper commercializzare linee d’abbigliamento, orologi,profumi, prodotti life-style, cappellini o quant’altro.Non dubito quindi della legittimità delle iniziative delmanagement di Maranello rivolte a creare comunque edovunque maggiore profitto per l’azienda. In quest’ottica, un’aggressiva difesa nei confronti dichiunque insidi il proprio prodotto e il valore econo-mico del marchio mi pare del tutto opportuna. Bene faquindi la Ferrari ad opporsi con vigore a chi produca oponga in vendita penne o modellini col marchioFerrari non autorizzati e licenziati (oltre, ovviamente,ad eventuali “458 Italia” fabbricate clandestinamentealtrove, ma non mi pare questo il caso). Ho, viceversa, qualche dubbio sul fatto che debbarisultare di per sé stesso illegittimo il fatto che qualcheartigiano e qualche appassionato nel mondo si accordi-no per realizzare una copia di una 250 GT spiderCalifornia. Non avendo da molto tempo nei propri listini di pro-duzione ed in vendita la vettura in questione, non mipare infatti agevole stabilire quale danno economicotale comportamento arrechi all’azienda Ferrari. Laquale potrebbe anzi sentirsi lusingata del permanentesuccesso della propria passata produzione, menandoneaddirittura vanto e costruendo anche su questo ulterio-ri spunti per accrescere il proprio mito. Questo, del resto, sembra essere, ad oggi, il prevalenteatteggiamento da parte delle Case automobilistiche, alivello internazionale, nei confronti delle copie deipropri prodotti del passato da parte di artigiani indi-pendenti.Alcuni interventi della Ferrari in giudizio sembranotuttavia avere avuto in qualche caso successo, anche mipermetto di esprimere qualche perplessità sull’esisten-za di consolidati indirizzi giurisprudenziali in quelladirezione. A meno che non si finisca con l’assistere adun possibile futuro crescente intervento, anche convalenza economica, da parte della Casa nei confrontidel proprio passato. Se questo orientamento appariva fino a pochi anni fadel tutto inconcepibile, assistiamo viceversa oggi apolitiche d’intervento in quest’area del Gruppo Ferrari(e Maserati?) che potrebbero rappresentare un decisocambio d’orientamento, tale da giustificare anche lapretesa di un più forte controllo e quindi di un soste-gno da parte dei Tribunali, nei confronti di tutto ciòche si ricollega alla propria produzione passata. Mi spiego meglio. Un tempo l’atteggiamento dellaCasa nei confronti della propria lontana passata pro-duzione era sostanzialmente di distacco se non di fasti-dio: “Non abbiamo più documentazione”, “Non risul-

tano disponibili dati”, “Non disponiamo di pezzi diricambio, provi eventualmente a rivolgersi alla dittatale o alla talaltra”. Del resto, l’atteggiamento di disinteresse per il propriopassato affondava a Maranello in solide radici ricondu-cibili alla mai celata indifferenza da parte di EnzoFerrari per il passato della sua azienda. Se guardando alfuturo non gli interessava più la macchina di oggi, figu-riamoci quella di ieri! Oggi l’atteggiamento è cambiato. La nascita dalChallenge Storico, il crescente peso della GalleriaFerrari e delle sue iniziative museali e in ultimo la for-mazione di Ferrari Classiche, con il suo insieme di cer-tificazioni, danno il senso di un ben diverso interesseverso il proprio glorioso passato. L’attenzione nei confronti del passato e del peso, anchein termini di marketing, dell’immagine storica del pro-prio prodotto non è esclusiva della Ferrari. Anzi, que-sta scoperta giunge tardi per Maranello, rispetto ai dif-fusi e tempestivi orientamenti in questo senso espressida molte altre Case, specie all’estero (con l’eccezione,rimarchevole, dell’Alfa Romeo in Italia). Molte Case concorrenti sono state tempestive nel capi-talizzare sulle proprie glorie di ieri, incoraggiandone lepreservazione e la memoria storica e “coccolando” iproprietari delle più significative vetture del passatocon iniziative ad hoc e col supporto a manifestazioniloro dedicate. Da qualche tempo, la Ferrari ha scoperto questo setto-re, o meglio, sembra andare scoprendo un’ampia seriedi possibili benefici che l’attenzione per il proprio pas-sato potrebbe comportare. Il fatto significativo sembratuttavia non solo l’enfasi sull’immagine e il patrimoniostorico come elemento di rafforzamento del valore delMarchio, quanto una serie di iniziative orientate aduna diretta presenza della Casa nelle attività di tutela,attraverso concrete e attive politiche di certificazionedel proprio prodotto storico e persino, parrebbe diintuire, fino alla possibile fornitura sotto il suo direttoed esclusivo controllo, di particolari e pezzi di cessataproduzione riprodotti oggi a propria cura e sotto il suodiretto controllo. Se questo orientamento andrà concretizzandosi, essopotrebbe pienamente legittimare la pretesa della Casadi controllare e fermare, per infrazione al Marchio, lariproduzione di parti e quindi l’allestimento di copie,in quanto quella stessa produzione, legittimamentericonducibile ad un’esclusiva della Casa, assumerebbeun non equivoco e sicuramente tutelabile diretto valo-re economico. Insomma, poiché il profitto va cercato in tutte le nic-chie possibili e poiché gli investimenti per le certifica-zioni e l’assistenza al Challenge costano, sarà forseopportuno capitalizzare in quell’area ovunque sia pos-sibile, eventualmente anche assumendo il controllosulle riproduzioni. Dapprima sui pezzi (motori, cambi,

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ecc.) e forse in seguito su piccole serie di riproduzionidi prestigiosi modelli del passato riprodotti sotto ilcontrollo della Casa, ma forse la mia fantasia mi faandare troppo oltre.

Ricerche in tema d’identitàDopo la teoria, vengo a presentare un caso concreto:purtroppo, non posso accompagnare questo mio scrit-to con tutte le immagini mostrate durante la conferen-za. Comprensibili ragioni di riservatezza (anche per lanegoziazione dei diritti ancora in corso) e il doverosorispetto per gli sforzi dei nostri editori mi impongonoquesta scelta. Antoine Prunet ed io abbiamo del restoda tempo concordato di non offrire pubblica perma-nente visione dei dati contenuti nel nostro libro, limi-tandoci a parziali presentazioni, ovvero a scambio dimail private personali con altri ricercatori. A parziale compensazione accludo tuttavia alcunischizzi selezionati dal ricco carnet di disegni commis-sionati per il nostro libro al bravissimo disegnatore eartista inglese Bob Freeman, scomparso tragicamentementre ancora lavorava ad alcune opere destinate aquesto lavoro e che pubblicheremo infatti in formaincompleta. Veniamo dunque al caso che intendo sviluppare qualeesempio. Ovviamente, i casi di identità “perplesse” (oquantomeno complesse) sono numerosi, ma quelloche vi propongo mi pare del tutto significativo. Mi rife-risco ad una piccola serie di vetture sport allestite dallaFerrari nel 1953, con un chiaro significato sperimenta-le, volto a tentare di mettere a frutto nelle sport l’am-pia esperienza (e i successi) conseguiti con le monopo-sto 500F2 nel 1952/53. Parliamo delle 625 TF. A pro-posito, sarà bene precisare subito che la sigla “TF” nonsta a significare, come da qualcuno suggerito, “TargaFlorio”, bensì “Tipo Formula”, con chiaro riferimentoall’ascendenza del motore impiegato su queste vetture.Rimando ai due volumi del nostro lavoro per una piùampia analisi sulle origini e i dettagli tecnici di questa

piccola serie sperimentale. Basterà qui ricordare comealla nuova motorizzazione 4 cilindri da 2,5 e poi 2,9litri (rispettivamente 625 TF e 735 TF) e al nuovo telaioad hoc si accompagni un tradizionale ponte rigido eun cambio 4 marce in blocco col motore. Resta tuttavia da sottolineare il ruolo esercitato da quelgrande tecnico e prezioso collaboratore di Ferrari chefu Gilberto Colombo nell’intuizione originaria di que-sto progetto. La sua Gilco, oltre a fornire preziosa con-sulenza nella progettazione telaistica, garantì aMaranello la pressoché esclusiva fornitura di telai apartire dalle origini sino al 1956. Negli archivi Gilco troviamo infatti, si badi bene, indata 24 gennaio 1952, un interessante complessivo peruna vettura Ferrari 500 S. Si tratta di una coraggiosaproposta per una vettura sport, anzi per un’ipotesi divettura sportiva stradale, accompagnato da una serie difigurini, destinata a sfruttare l’appena esordiente mec-canica 4 cilindri della monoposto 500/F2. Debbo quilimitarmi a segnalare come il telaio allora disegnato daGilco, verrà utilizzato, oltre un anno più tardi, nellaprimavera del 1953, per la piccola serie di 4 cilindrisperimentali di cui andiamo a parlare. Le vetture della serie 625 TF avranno infatti un telaioin tubi tondi con un’interessante insellatura posterioreche anticipa il telaio Tipo 501 delle successiveMondial, facendo ricorso al medesimo passo di 2250mm. Probabilmente, quest’insolita insellatura eraappunto pensata da Gilberto Colombo per sovrastareil De Dion e il gruppo cambio-differenziale che dallamonoposto 500 F2 avrebbero ragionevolmente dovu-to trasferirsi sulla nuova 4 cilindri sport. Va quindismentita l’ipotesi dell’impiego di un telaio derivantedalle 166 MM/53 sostenuta da molti in precedenza,fra cui chi scrive, in un lontano articolo del 1982.Se il senso sperimentale di questa serie è chiaro e chia-re sono le linee tecniche che ne presiedono alla gesta-zione, sia pure nella forma del tutto sintetica cui devofare ricorso, veniamo ad affrontare l’affascinante caso

Lo spider625/735TF“Autodromo”guidato da AlbertoAscari nel GPdell’Autodromo,Monza 29 giugno1953. La vetturafinì seriamentedanneggiata perun’uscita di stradadurante ildoppiaggio dellaberlinetta di AnnaMaria Piazza.

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del sovrapposizione di diverse configurazioni che loaccompagnano, insieme a qualche problemino diidentità.Siamo, infatti, in presenza di tre vetture, o meglio, ditre identità ufficialmente fornite dalla casa: 0302 TF,0304 TF e 0306 TF. Partendo da questo dato ufficialepresenterò 9 diverse configurazioni succedutesi su talitelai, trascurando i semplici mutamenti di motorizza-zioni intervenuti e un paio di minori interventi dimodifica al frontale di due delle configurazioni iniziali.Quanto alle permutazioni di identità, stampigliate,non stampigliate e comunque ricostruibili, posso anti-ciparvi che ci sarà da divertirsi. Suggerirei di seguire un rigoroso ordine cronologico. Ilprimo documento che ci mostra una 625 TF è l’imma-gine di Corrado Millanta che compare su Auto Italianail 16 aprile 1953 con riferimento ad una sessione diprove avvenuta a Monza negli ultimi giorni di marzo

(o forse nei primissimi di aprile), in vista del Giro diSicilia e della Mille Miglia. Tutta la squadra è presen-te per provare una 340 MM e la vettura in oggetto,cui normalmente ci si riferisce come carrozzeria“Autodromo”. Come verrà riferito in dettaglio nel nostro libro, lelinee di quella vettura sono diretta emanazione di unpreciso input proveniente da Aurelio Lampredi, deter-minato a sperimentare linee maggiormente penetrantied efficienti rispetto ai consueti indirizzi stilisticiriscontrabili sulle sport dell’epoca. Il risultato furono tre vetture spider assai simili, due(0264 M e 0272 M) allestite nel marzo 1953 sul telaiodella 166 MM/53, mentre il terzo è rappresentato dalla4 cilindri di cui stiamo parlando. Mentre per la prima è confermato un allestimento rea-lizzato prevalentemente presso la Carrozzeria Autodromodi Modena, ben nota per i suoi allestimenti di camion,

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autobus e furgoni, per le seconde, per quanto simili,dobbiamo ritenere che sulle linee suggerite daLampredi sia intervenuto Sergio Scaglietti. Rimando alnostro lavoro per una dettagliata ricostruzione di quel-l’episodio.Facciamo ora un salto al 28 aprile 1953. Subito dopola Mille Miglia, sono in visita a Maranello RodolfoMailander con Robert Braunschweg, editor di RevueAutomobile e notissimo giornalista del tempo.Fotografata all’esterno in quell’occasione ritroviamo lamedesima spider “Autodromo” già vista un meseprima. L’immagine è interessante poiché ci mostra AurelioLampredi intento a illustrare con paterno orgoglio,accosciato accanto al frontale della macchina, il musofilante della vettura in questione. Bella di sicuro non è,e sappiamo come questa “Autodromo” non piacesseaffatto a Enzo Ferrari, ma il “brutto anatroccolo” qui

presentato era in effetti un racer leggero e penetrantenon privo di meriti.Sempre in quella data, e sempre all’esterno della fab-brica, ritroviamo una seconda vettura 625 TF: si trattadi un’elegante e piacevolissima berlinetta sportiva rea-lizzata a Torino dall’accoppiata Vignale/Michelotti. Lavettura viene colta nell’immagine di Mailander con ilsuo frontale originale, alto e con una griglia imponen-te. Di lì a poco la vettura riapparirà con una grigliaanteriore ridotta, e quindi con un frontale maggior-mente affusolato ed efficiente.Non è finita qui: all’interno dell’azienda, in quella stes-sa data, Mailander fotografa un telaio in avanzato alle-stimento. Una diversa immagine, evidenziando i detta-gli dell’andamento posteriore, ci conferma al di là diogni dubbio come il telaio in oggetto appartenga aduna 625 TF, ma l’immagine frontale è ancor più signi-ficativa. Le linee della calandra e del tondino di accom-

Questi quattro schizzi incompleti di Bob Freeman, illustratore e artista inglese, presentano i tratti salienti delle Ferrari 625 TFspyder e berlinetta Vignale, della spider “Autodromo” e della 625 TF faux-Vignale.

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pagnamento della carrozzeria ci dicono che, a fineaprile, una terza 625 TF è in allestimento e che la vet-tura in questione è destinata ad essere una seconda spi-der “Autodromo”.Due mesi dopo, il 29 giugno 1953 per il Gran Premiodell’Autodromo, troviamo a Monza una spider 625 TF“Autodromo” pronta a fare il suo esordio con AlbertoAscari. La vettura col numero di gara 14 è ampiamen-te documentata in diverse immagini del tempo. Dotatadi un motore 2,9 litri (si tratta dunque di una 735 TF),parte in testa nella prima batteria e pare destinata a unacerta vittoria, quando un curioso incidente durante ildoppiaggio della berlinetta di Anna Maria Piazza,manda il campione del mondo fuori strada, con il pilo-ta indenne e la vettura pesantemente danneggiata. Si tratta della vettura già vista in prova proprio aMonza e poi a Maranello con Lampredi accanto?Ritengo di no. Dobbiamo dunque ipotizzare che visiano state due diverse vetture 625 TF “Autodromo”?Ritengo di sì.Se confrontiamo attentamente la spider numero 14di Ascari con la precedente “Autodromo” cogliamo,come apprezziamo meglio in una seconda immaginedella prima “Autodromo”, sempre scattata daMailander il 28 aprile a Maranello, alcune interessantidifferenze. Al di là del differente grigliato della calandra e deldiverso parabrezza, allora un plexiglass aerodinamico eavvolgente, qui un aeroscreen in vetro (particolaricomunque agevolmente sostituibili sulla base dellepreferenze del pilota), quel che colpisce è il ben diver-so andamento del passaruota posteriore, molto piùampio nella prima vettura, mentre non pare pensabileche sia occorso allargare il passaruota per fare posto apneumatici di diametro e sezione del tutto inusitataper l’epoca. Questa diversa configurazione non si spiega, se nonipotizzando un riallestimento totale di carrozzeria, chemi pare di poter escludere. Inoltre, la seconda“Autodromo” in attesa di allestimento fotografataall’interno della fabbrica cosa ci starebbe a fare?Aggiungo un particolare; la prima “Autodromo” foto-grafata all’esterno ci dice qualcosa di più: la vettura èpriva del terminale di scarico e appare molto alleggeri-ta al retrotreno, come se fosse ormai in disallestimento.La vettura a Ferrari non piace ed egli viceversa intendeoffrire alla sua potenziale clientela un prodotto allinea-to ai canoni estetici più consueti (la berlinetta Vignalegià vista e lo spider Vignale che andiamo a presentare).Lampredi e Scaglietti, salvano la seconda Autodromocon compiti sperimentali, ma si devono arrendere alriallestimento della prima vettura in guisa di spiderVignale.Non a caso, al GP dell’Autodromo, a giugno, accantoalla spider di Ascari, vediamo comparire una spiderVignale, caratterizzata dai consueti stilemi che segnano

la produzione dell’atelier torinese. Si tratta della vettu-ra portata in gara da Mike Hawthorn con il numero 16con un motore di 2,5 litri: pertanto, una vera 625 TF.Essa giungerà al traguardo quarta in entrambe le batte-rie, ben comportandosi contro le più potenti Ferrari250 MM 3 litri. Possiamo anche aggiungere che quella stessa vettura,quindi quella che in origine era la prima “Autodromo”,quando si ripresenta con Umberto Maglioli alla Coppadelle Dolomiti, un paio di settimane più tardi, haanch’essa subito un significativo trattamento di snelli-mento del frontale che presenta ora una griglia menoimponente. Esattamente ciò che era avvenuto alla ber-linetta Vignale.Non è finita qui. In data incerta, ma che ci pare dipoter collocare intorno alla fine di luglio 1953, in occa-sione di un primo test ufficiale per l’omologazionedella nuova pista di Imola, tutta la banda Ferrari èschierata intorno al commendatore, con Ugolini,Lampredi, Ascari, Farina e Villoresi per provare una340/375 MM Pinin Farina e una nuova sport 625/735TF con carrozzeria aperta. Si tratta della quinta confi-gurazione.L’agile vetturetta in questione viene normalmenteanch’essa definita “spider Vignale”, e questo anche nelpiccolo cartellino interno che riassume le scarne infor-mazioni con cui la Ferrari individua la vettura. Perquanto sia del tutto evidente una palese ispirazionederivante dal contemporaneo prodotto Vignale, misento di sostenere che la coppia Michelotti/Vignalenulla ha a che fare con questo prodotto, dalle finiturepiù semplici e rozze e comunque maggiormente profi-lato e efficiente. Le testimonianze ci indicano che la vettura non è nep-pure riconducibile a Scaglietti. Ferrari non ha infattiapprezzato la precedente “Autodromo” e si affida quin-di alle esperte mani interne di Pairetto e Fontanesi, ibattilastra interni della Casa, attivi nell’allestimentodelle monoposto, dei serbatoi chiodati e negli inter-venti dell’ultima ora.La faux-Vignale, la quinta configurazione, è infatti ilfrutto del lavoro dei carrozzieri interni su ispirazionedi Lampredi, con un palese occhieggiamento a quantoprodotto a Torino in quei mesi.Mentre le nostre 4 cilindri proseguono nella loro sta-gione di corse, mi pare giunto il momento di fare qual-che considerazione sulla loro identità.La prima vettura “Autodromo” che compare a Monzain marzo, presumibilmente non ha identità. Spero dinon scandalizzarvi, ma ritengo che trattandosi di unmuletto sperimentale interno, di tutto i nostri amicidi Maranello si preoccupassero tranne che fare festedi battesimo. Data l’epoca in cui compare dovrebbecomunque avere, in teoria, un numero intorno al0260/0270.È ragionevole, viceversa, che a fine aprile, nel momen-

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to in cui queste vetture cominciano ad uscire dal can-cello di casa per affrontare il mondo, la Ferrari proce-da ad affidare loro le tre identità con cui giungono anoi – sia pure con qualche percorso accidentato. L’identità 0302 TF che potrebbe anche aver tempora-neamente coperto il primo prototipo, verrà poi fattaslittare a coprire la seconda “Autodromo”, mentre allaberlinetta Vignale viene allocata l’identità 0304 TF(vedi il cartellino della Casa che la definisce Vignalecoupé, poi corretto in Vignale spider), mentre alla spi-der Vignale affidato ad Hawthorn a Monza viene con-ferita l’identità 0306 TF.Nulla di particolarmente complicato fin qui. Occorretuttavia segnalare come la berlinetta Vignale prendaapparentemente fuoco poco dopo, in data imprecisata,subendo la perdita della sua carrozza originale e finen-do quindi per dover essere ricarrozzata(7). Riteniamoche, avendo ancora Ferrari bisogno di fare sperimenta-zione, essa divenga ora la simil-Vignale realizzata aMaranello e apparsa in prova a Imola. Il tutto portan-dosi ancora appresso l’identità 0304 TF.Nel frattempo, la seconda “Autodromo”, quella infila-ta nel bosco di Monza da Ascari il 29 giugno, vienetemporaneamente messa da parte, per poi subire unaassai significativa trasformazione a fine anno.Mentre ciò accade, le due vetture ancora allestite, l’exberlinetta, ovvero il faux-Vignale di Imola e la vera spi-der Vignale vengono giudicate non più necessarie allacausa e, dopo un’intensa stagione di gare, finisconocon l’essere destinate all’alienazione. Prenderannoentrambe la strada dell’Argentina, venendo venduteattraverso Franco Cornacchia e la Scuderia Guastalla, ilcanale preferenziale di vendita per Ferrari in SudAmerica.Assistiamo tuttavia ad alcune permutazioni di identità.

Non risultando più allocata l’identità 0302 TF (quelladella vettura “Autodromo” incidentata da Ascari) laspider-Casa va a Roberto Bonomi con identità 0302TF, mentre la spider Vignale va a Luis Milan con iden-tità 0304 TF. Così ci dicono le schede di montaggio,datate negli stessi giorni in cui le vetture arrivano inArgentina per la Temporada (gennaio 1954). Le ragioni per cui avviene questo oscuro cambio d’i-dentità non sono chiare, ma esso è esplicitamentesegnalato nei documenti interni della Ferrari ed è desti-nato ad accompagnare le due vetture di qui in avanti.Pertanto possiamo pensare di identificare la spider casasimil-Vignale come 0304 TF>0302 TF e lo spiderVignale come 0306 TF>0304 TF.Possiamo aggiungere che la spider Vignale (ex Milan),dopo una lunghissima vita sportiva in Argentina, ritor-nerà poi misteriosamente in Italia intorno ai primianni Settanta, rinvenuta allora da chi vi parla in quel diNapoli, con un V12 a valvole laterali dentro, azzarde-rei non di produzione Ferrari, quanto piuttosto unbanale Ford Lincoln.Per quanto assai battagliata essa presentava all’epocainequivoche tracce della sua origine, mostrando anco-ra la sua carrozzeria spider Vignale del 1953 e presen-tando entrambe le punzonature riferite alle matricole0306 TF e 0304 TF che l’hanno contraddistinta.La vettura ex-Bonomi ha, viceversa, una storia assai piùcomplicata. Ritornata in Italia con lo stesso Bonomiper il GP Supercortemaggiore del 1954, viene, a fine1955, rivenduta da Cornacchia in Venezuela dopo esse-re stata ricarrozzata in guisa dei contemporaneiMondial/Monza da Scaglietti, per “rinfrescarla” e ren-derla così più appetibile. Dopo una complicata vita sportiva locale con GuidoLollobrigida, Fayen e Oliver (sotto forma di “Transfo-

La Ferrari“prototipoMondial”Scaglietti diVittorio Marzottoalla punzonaturadella Mille Miglia1954. Marzotto,numero di gara523,si classificòsecondo assolutoa 33’09” dalvincitore AlbertoAscari su LanciaD24. Vinse con un margine di soli9” su Luigi Musso(MaseratiA6GCS/53) il suoGruppo VettureSport-Classe2.000 cc.

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macion Ferrari y Mercedes”, grazie all’istallazione di unmotore di una 300 SL), finirà per ricevere il consueto8V americano con cui corre fino al 1960 con la sua benriconoscibile carrozzeria Scaglietti. Infine, la vediamoricomparire nel 1967/68 in alcune gare locali, orrenda-mente pasticciata nell’aspetto.La vettura, riaffiorata di recente in Venezuela, pur nellesue attuali deplorevoli condizioni, è tuttavia ancora sor-prendentemente dotata del suo corretto telaio d’origi-ne. Dobbiamo all’attenta ricerca di Branko Krnjajski leinformazioni sulla sua ultima parte di storia e dati sullasua recente riscoperta. Si tratta quindi delle configura-zioni sei e sette, per ritornare a quanto anticipato.E le altre due configurazioni mancanti di cui avevofatto menzione? Beh, a Maranello si cerca normalmen-te di recuperare tutto e, una sera di fine autunno, Ferrarichiama Scaglietti e, mostrandogli il relitto della glorio-sa 0302 TF “Autodromo” incidentata da Ascari aMonza, gli dice: “Te la senti di ricarrozzarla?” “È il miomestiere” è la risposta del buon Sergio e qui nasce unanuova storia, relativa a due ulteriori configurazioni.Ferrari utilizza il telaio di quella 4 cilindri sperimenta-le per sviluppare il cosiddetto “prototipo Mondial”che, carrozzato da Scaglietti, verrà portato in gara neldicembre 1953 a Casablanca. Il motore è effettivamen-te (quasi) coincidente con la nuova 2 litri 500 Mondial,ma il telaio è ancora il complessivo a ponte rigido econ cambio anteriore della vecchia 625 TF. Sarà unavetturetta filante e leggerissima che, nel suo secondoallestimento (siamo così a 9 complessivi, come avevoanticipato), darà a Ferrari numerose vittorie nella pri-mavera del 1954 e contribuirà in maniera determinan-te a consacrare Sergio Scaglietti come carrozziere esclu-sivo delle sport Ferrari. Le sue performance più nota è il secondo posto assolu-to, con vittoria di classe, nelle mani di VittorioMarzotto alla Mille Miglia, alle spalle della Lancia diAlberto Ascari. Naturalmente non posso fornirvi in questa sede tutti ipassaggi e i dettagli che accompagnano questa vicendae le variazioni di identità di quest’ultima vettura.Come per tutte le vicende cui ho qui fatto cenno, peruna riflessione maggiormente documentata e analiticabisogna attendere l’uscita del nostro libro.

Un curioso caso di confusioned’identità questa volta, personaleDevo alla sagace e attenta ricerca di Branko Krnjajski,un valente studioso di storia dell’automobile operantein Venezuela, il curioso episodio di cui vado a riferirein conclusione. Per farmi perdonare, offro almeno quialcune utili immagini che accompagnano il caso e nerendono più agevole la narrazione.Tutto nasce da un nostro scambio di corrispondenzarelativa alle 250 Monza. Mentre gli confermavo la miaconvinzione che entrambe le 250 Monza 0466 M, una

carrozzata Scaglietti e l’altra Pinin Farina, fossero statevendute da Cornacchia a Lino Fayen e Joâo RezendeDos Santos, Branko esprimeva perplessità poiché daisuoi contatti con la vedova del pilota franco-venezue-lano Fayen non emergeva alcuna documentazione inproposito.La presenza di due diverse vetture sport Ferrari con lamedesima identità non è un fatto del tutto usuale, maKrnjajski, da studioso esperto delle cose del mondo,non si stupiva più di tanto di questo.Occorre, tuttavia, chiarire preliminarmente il punto. Ferrari fece allestire fra maggio-giugno 1954 le primedue 250 Monza da Pinin Farina (0420 M e 0432 M,anche se cronologicamente quest’ultima precede lagemella e rappresenta il prototipo della piccola serie diquattro vetture allestite in quei mesi).Successivamente, fece allestire una seconda coppia divetture da Scaglietti (0442 M e 0466 M) seguendo ilmedesimo criterio logico-cronologico rilevabile sullecontemporanee vetture Mondial allestite in queimedesimi mesi.In effetti, dopo un’iniziale prevalenza di vetture car-rozzate a Torino secondo il gradevolissimo disegno afari alti che tutti conosciamo, Ferrari si rese conto dellamaggiore leggerezza e delle superiori qualità aerodina-miche delle vetture carrozzate da Scaglietti, al di làdella presumibile convenienza economica di servirsidal giovanotto della porta accanto. Non a caso, l’ultima sport carrozzata a Torino è la 500Mondial 0458 MD, mentre a partire dalla 0430 MDPinin Farina si convertirà ad un meno elegante ma piùfunzionale frontale a fari carenati che caratterizzerà leultime sport da lui allestite. Contestualmente, dal giu-gno 1954, Scaglietti diviene intanto il costante fornito-re di carrozzerie per le vetture sport.Come spiegare la presenza di una quinta vettura dellaserie 250 Monza, carrozzata Pinin Farina, e che per dipiù si presenta con la medesima matricola 0466 M del-l’ultima vettura della serie, allestita da Scaglietti nelluglio del 1954?Quando Cornacchia e la Scuderia Guastalla, che giàavevano avuto in gestione due delle vetture in questio-ne (la 0432 M e la 0442 M), riuscirono finalmente aottenere da Ferrari l’ultima vettura prodotta, la 0466 MScaglietti, trattenuta dalla Casa per scopi di sperimen-tazione e muletto interno dal luglio 1954 al luglio1955, ottennero anche una seconda vettura, PininFarina, che traeva origine da quanto recuperato dalla0420 M. Rimando al nostro libro per un’analisi delpercorso sperimentale della 0466 M Scaglietti. Quanto alla 0420 M, originariamente ceduta all’agenteFerrari olandese Hans Maasland, essa era stata inciden-tata a Zandvoort il 15 agosto del 1954, a causa di un’u-scita di strada di sua figlia Joke, alla guida della vetturain quella gara. Inviata a Maranello per il ripristino, lavettura venne dotata di un nuovo telaio (il quinto della

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serie) e, parallelamente, affidata a Pinin Farina per esse-re nuovamente ricarrozzata. Ne abbiamo conferma dadati ufficiali della Ferrari e della Pininfarina. In effetti,mentre la carrozzeria torinese conferma in una sua let-tera di non avere mai carrozzato la 0466 M, ritroviamodue volte nei suoi registri la 0420 M, inizialmente colsuo numero di disegno originale 12595 e poi nuova-mente, il 14 dicembre 1954, con il numero 12597. Aggiungiamo infine come il ricorso a Pinin Farina, nelluglio del 1954 per carrozzare originariamente l’ultimavettura ufficiale della serie – per di più nell’ormaiabbandonata e obsoleta configurazione a “fari alti” –sarebbe stato del tutto fuori sequenza temporale,essendo ormai da tempo affidato a Scaglietti l’allesti-mento delle sport. Infine Sergio Scaglietti, nel suo recente libro di memo-rie, affidate a Franco Gozzi, L’ê andeda acsè – SergioScaglietti una leggenda modenese, a p. 74/75, esplicitamen-te conferma “sullo stesso telaio della 750 Monza e conil motore della 250 MM abbiamo costruito due esem-plari di barchetta (altri due furono carrozzati spider da

Pininfarina) che abbiamo battezzato 250 Monza”A ribadire il riuso della carrozzeria originale della 0420M per il rifacimento della 0466 Pinin Farina, possiamoaggiungere che la carrozzeria di quest’ultima vettura,presentava, allora come oggi, i medesimi dettagli stili-stici (ivi compreso il portellino separato per l’accesso altappo del radiatore) originariamente presenti su quellavettura e poi non riprodotti nel corso della sua secon-da vestizione a Torino.Insomma, uno dei non del tutto inconsueti casi di con-fusione e sovrapposizione di identità che sembranofatti apposta per far ammattire (o far divertire?) gli stu-diosi della storia automobilistica.Tornando alle vicende immediatamente successive allavendita delle due vetture a Cornacchia e al ricompari-re in Italia, in occasione della Mille Miglia del 1956,

La Ferrari 250 MonzaPinin Farina 0420 M aZandvoort il 15 agosto1954 guidata dallagiovane Joke Maasland,colta poco primadell’incidente che neimpose la ricostruzione.

La 0420 M, totalmente ricostruita e con la sua secondacarrozzeria, fotografata a Zandvoort alla guida di Hans Takil 29 maggio 1955.

La 250 Monza 0466 M Pinin Farina, originata dalla ricostruzione della 0420 M, qui colta in Brasile, in una corsa locale a Interlagos, guidata da Henrique Casininel gennaio 1957.

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della seconda 0466 M (la Pinin Farina), resta il fattoche, chi scrive, forte di un appunto proveniente moltotempo fa dagli archivi della Mille Miglia, e del confor-to di accreditati testi di ricerca in materia (Time and TwoSeats di Janos Wimpffen e Frecce Rosse – Le Ferrari allaMille Miglia, di Giannino Marzotto, oltre al rispettatosito Web WSRP, curato da Martin Krejci), riteneva chetale partecipazione, avvenuta col numero di gara 559 econ un modesto 79° posto nella classifica finale, fosseda attribuire a Joâo Razende Dos Santos, accompagna-to da un più misterioso Araujo. Rezende Dos Santos era un capace gentleman driver,architetto brasiliano (forse di origine portoghese), atti-vo in Venezuela in quegli anni, già cliente diCornacchia insieme all’amico Lino Fayen. Dos Santosera pilota di un certo valore, accreditato fra l’altro diun sorprendente secondo posto assoluto, con la suaMondial, dietro a Castellotti, alla 10 Ore di Messinadel 1955.Tutto quadrava nella mia tesi e tuttavia Krnjajski misegnalava come nessuna immagine delle due 250Monza fosse presente nell’ordinato archivio della fami-glia Dos Santos. Chi scrive rispondeva scetticamentericordando quante volte le memorie dei protagonisti,e a maggior ragione quelle dei loro familiari, fossero daprendere con le molle. Certo delle mie buone ragioni, inviavo a Krnjajski unpaio di immagini della vettura di Dos Santos-Araujoalla Mille Miglia del 1956 e il nostro mi rispondeva:“Ora sono certo che non si tratti di Dos Santos!”, “Vuoischerzare?” era la mia replica, e lui: “Guarda un po’ leimmagini di cui disponiamo e confrontale con il tizioalla guida della vettura alla Mille Miglia”. BrankoKrnjajski mi allegava un paio di fotografie di RezendeDos Santos e io stesso andavo a controllare alcuneimmagini già in mio possesso. Quel signore bruno,con una sorridente faccia latina e due vivaci baffettinon sembrava in effetti essere il guidatore della 250Monza, ritratto alla partenza da Brescia. “Inoltre –aggiungeva Branko – quel tipo porta gli occhiali, DosSantos non li ha mai avuti!”

A questo punto i dubbi prendevano il sopravvento emi inducevano a una rapida verifica di dettaglio pressogli amici della Mille Miglia. La risposta degli archivibresciani ci dice che la vettura n. 559 dell’edizione1956 era iscritta dai brasiliani Mario Valentim DosSantos e Mario Silva Araujo, appoggiati presso laScuderia Guastalla (Franco Cornacchia).Aggiungo anche che alle successive richieste di GianniRestelli, segretario-factotum della Guastalla, in cui sisollecitava la coppa spettante a chi aveva completato lagara, il buon Castagneto rispondeva che “nessun pre-mio gli è dovuto in quanto ha portato sì a compimen-to la Mille Miglia, ma fuori tempo massimo”.Se il formale foglio di iscrizione ci toglie ogni dubbio,

è il documento fotografico che ha portato alla risolu-zione del caso. Lieto di aver potuto chiarire un picco-lo elemento di storia dell’automobile, interrompendouna lunga ripetizione dell’errore, ma il merito va aBranko Krnjajski. Credo valesse la pena di segnalarequesto curioso caso di errata identità personale e dicollaborazione fra paesi lontani.Posso aggiungere che di Mario Silva Arujo sappiamoben poco; mi risulta solo una sua non confermata pre-senza al Circuito do Quinta de Boavista (?) e alCircuito de Maracanà nel 1955 (?), mentre per MarioValentim Dos Santos conosciamo qualcosa di più.Accanto ad una (non confermata) presenza in garanella classe 2 litri a Interlagos nel 1951 e a Quinta deBoavista nel 1952, dovremmo avere un terzo posto alCircuito do Porto nel 1953 con una Ferrari 225 S, unquinto posto nel 1954 con una Ferrari 166 MM/53 euna presenza al GP de Lisboa. Entrambe le vetturesono del tutto note. Ritroviamo Valentim Dos Santosancora in alcune gare brasiliane fino intorno al 1960. L’equivoco suscitato dalla quasi omonimia si spiegadunque perfettamente, al di là del fatto che le due vet-ture possano essere state vendute dalla Guastalla inBrasile nel 1955 a Valentim Dos Santos forse tramiteun veloce passaggio (o piuttosto un’intermediazione?)di Fayen e Rezende Dos Santos, come ricordavaGianni Restelli in una lontana intervista circa la vicen-da di quelle due 250 Monza. •

La 0466 M con il n. 559 sulla rampa di partenza alla partenza della Mille Miglia il 28 aprile del 1956.

In primo piano il sorridente volto di Joâo Rezente dos Santos,mentre nel montaggio sullo sfondo vediamo l’equipaggio della 250 Monza alla partenza da Brescia. Il Dos Santos al volante gli somiglia assai poco.

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(1) Vedi in Notiziario Sportivo, “A Dakar entusiasmano Trintignante Schell sulle velocissime Ferrari” in Auto Italiana, n. 8, 20 marzo1956, p. 52. Si osservi inoltre come in quella stessa occasione ilmedesimo cronista dia come non partita la nuova Maserati Sport da3,5 litri e attribuisca quindi il terzo posto di Behra ad una 300 S. Sitratta in effetti di una 300 S ex ufficiale della stagione ‘55 (dovrebbetrattarsi della 3054 o della 3055) allestita tuttavia col nuovo motore350 S. Non una 350 S dunque, ma una vettura interim.(2) Aggiungo con piacere come l’originaria impostazione sostenutaqualche tempo fa da “Ferrari Classiche” sia stata opportunamenterivista in tempi più recenti, riconoscendo la piena legittimità di quel-la seconda configurazione.(3) Nel frattempo la Maserati aveva allestito anche una seconda 350S – anch’essa identificata come 3501, visto che tale identità era statalasciata libera dalla prima vettura – ma questa è un’altra storia anco-ra. Come si suol dire, mai una giornata noiosa per lo storico…(4) Le vicende relative all’allocazione delle identità ufficiali ai dueprototipi 250 Testa Rossa nel corso della stagione 1957, sono un per-fetto esempio di quanto intendo affermare. Contrasterebbe infatticon l’evidenza storica accettare le attribuzioni di identità fornitedalla Ferrari alle vetture 0666 e 0704 in alcune delle prove di quel

campionato mondiale. Così come non mi pare abbia senso riteneredi voler identificare la 857 Sport 0584 M come “0203 M”, la curiosaidentità con cui la Ferrari identifica formalmente la 3,5 litri cedutaad Alfonso de Portago nel 1956. (5) Se a volte ci imbattiamo in vetture dalla storia reale e testimonia-bile che non risultano nei registri delle Case, si presenta anche il casodi vetture che la Casa sostiene di aver costruito e tuttavia l’evidenzastorica ci induce a sostenere il contrario. Per restare in ambito Ferrari,Maranello dispone nei propri archivi della scheda di montaggio dellavettura 0676 MDTR, indicata come una delle 500 TRC allestite nellastagione 1957 e ritiene pertanto che questa vettura sia stata allestitain tale guisa. Non mi pare così. Della vettura non esiste traccia eritengo quindi si tratti di un telaio sottratto alla “linea di montaggio”delle ultime sport 2 litri presumibilmente in relazione alla sperimen-tazione che coinvolge i prototipi della 250 Testa Rossa parimentiallestiti nella seconda parte della stagione 1957.(6) Vedi http://www.gomog.com/articles/no1judgement.html(7) In realtà, la sua carrozzeria originale finirà poi per essere recupe-rata e installata – con un frontale “aggiornato” – su di una 166Touring, la 039 S, sulla quale ancora oggi si trova.

La scheda di iscrizione alla Mille Miglia di Mario ValentimDos Santos e Mario Silva Araujo, appoggiati presso la Scuderia Guastalla.

In questa lettera Gianni Restelli torna a perorare la causadi Dos Santos-Araujo per la concessione di una coppa.

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Per ricordare la grande persona che era il mio amicoAndrea, posso raccontare cosa abbiamo fatto insie-

me, cercando di rivelare, attraverso aneddoti ed episo-di, il suo carattere.Pochi hanno avuto la possibilità di conoscere e capireAndrea Curami fino in fondo, perché era talmenteschivo nel parlare di se stesso e del suo operato che –me ne rendo conto solo adesso – è molto difficile cer-care di ricostruirne quanto meno la bibliografia.Ho conosciuto Angelo Tito Anselmi e Andrea Curamicontemporaneamente, nel 1991, grazie all’Aisa, in

occasione di una mostra fotografica che realizzammoall’interno del Museo della Scienza e della Tecnica.Di Tito mi era arrivata una lettera di puntualizzazionesu di una didascalia non corretta di una automobileOM: la cosa mi fece piacere. Successivamente, mi aveva contattato Andrea, essendointeressato a sapere se io avessi delle foto di armi.Glielo confermai, anche se in quel momento erano rac-colte in un archivio disorganizzato. Fu soddisfattodella risposta, tanto che, di passaggio nella zona, sifermò a Brescia e guardammo insieme queste immagi-ni. Dopo di che ci perdemmo di vista fino ai primianni del 2000.

Andrea Curami: cultura, competenza, versatilità

Mauro Negri

Andrea Curami1947–2010

Mauro Negri, ha realizzato e cura la Fondazione Negri (Brescia) e il suoimportante archivio fotografico.

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Da quando ci ritrovammo, fu un crescendo di espe-rienze, di emozioni, di cose fatte assieme: abbiamoprodotto tre libri, anche se nessuno li aveva commis-sionati, perché lui voleva pubblicarli. E per me usciredai canoni della produzione editoriale è stata un’espe-rienza importante.Il primo libro mi chiese di farlo per il Politecnico, per-ché il suo corso sulla Storia dei Trasporti mancava diuna pubblicazione, mentre sarebbe stato opportunoaverne una, seppur piccola. Si decise di crearla, e nenacque un libro di 160 pagine.Sono convinto che quello che divertì Andrea nel rea-lizzarlo fu il rapporto continuo che comportava: ci siconfrontava continuamente, con cinque o sei telefona-te al giorno. Lo vedevamo nascere insieme, con unagrande soddisfazione poi nel vederlo compiuto.La stessa cosa accadde per il secondo libro, quello sullaBreda. Per Lui la cultura era tutto, era preparato sututto, non solo sulle automobili. Ho capito che le armilo interessavano ancora di più.Quando seppe che l’archivio della Breda avrebbe potu-to essere trasferito a Roma, fece in modo di catalogar-lo e scansionarlo per intero.Venne a Brescia, mi presentò una serie di persone, equando, alla fine, si portò a termine questo lavoro, cisembrò naturale farlo diventare un libro. La Breda nonera interessata a farlo proprio, e la possibilità di vendi-ta era bassa. Ma era una proposta a cui non si potevadire di no.Avanzava le sue proposte con un garbo e un coinvol-gimento tali che era impossibile dire di no.Probabilmente era nata anche una simpatia reciproca,anche se facevo fatica a chiamarlo amico, perché loconsideravo sempre come “il mio professore”. Lui forseha apprezzato questa mia genuinità, e ha cominciato arendermi partecipe delle sue idee e dei suoi progettisull’utilizzo del materiale documentale che aveva accu-mulato. Quando ci ha lasciati, eravamo a metà di un progettonel quale ci eravamo lanciati con grande entusiasmo, aldi là di quello che poteva essere il risultato economicofinale.La prima cosa che ha pensato di fare è stata quella dipassarmi il suo archivio fotografico e di far sì che glie-lo mettessi in ordine. In realtà, mi disse anche che inpassato c’era stata una persona che avrebbe potutocontinuare la sua passione, ma che purtroppo erascomparsa a causa di un incidente, provocandogli ungrande vuoto.Di conseguenza, incaricava me di catalogare il suoarchivio, cosa che ho cercato di fare nel più brevetempo possibile per non deluderlo. Poiché si trattava dieseguire undicimila scansioni impiegai le mie nottatenell’opera, cercando di dargli la maggior soddisfazionepossibile.In seguito, addirittura, ha cominciato a vendere le sue

immagini chiedendo a me di fatturarle, operazioni chesolo una persona del genere poteva attuare per cercaredi ricompensare il lavoro che avevo fatto per lui.Quello che vi racconto è il mio amico Andrea, che iovenero per mille motivi. Certo, faceva anche un lavo-ro, come quello di Commissario Tecnico, che lo haportato ad avere intorno persone che nutrivano menosimpatia nei suoi confronti. Se doveva controllare le macchine prima della parten-za della Mille Miglia era ovvio che fra i proprietaridelle macchine bocciate qualcuno avesse qualcosa daridire. Ma lui era molto preciso e corretto, e il suocomportamento era apprezzato da parte dei concor-renti più seri e sportivi.Era una persona che amava la solitudine, l’esser lascia-to in pace. Però riusciva a stare altrettanto bene insie-me alle centinaia di persone presenti alle verifiche tec-niche, e a far sentire a proprio agio le persone che locircondavano.Molti particolari li ho scoperti non perché me li aves-se raccontati, ma perché sono emersi per caso, o discor-rendo del più e del meno. Mentre ho letto su internet di una sua consulenza allaFerrari nell’era Schumacher, devo presumere che ci siastata anche una consulenza nell’era Villeneuve, perchéuna volta incontrammo insieme una signora con un

Andrea Curami nella funzione di Commissario TecnicoCSAI. Per anni, ha ricoperto questa mansione concompetenza e rigore, riconosciuti da tutti i concorrenti,anche quando doveva dichiarare la non-conformità aiRegolamenti. Assieme a Jean Sage, ha anche operato la selezione degli ammessi alla Mille Miglia Storica, dove è stata scattata la foto.

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bambino che lui mi disse essere la moglie dell’IngegnerHarvey Postlethwaite, ingegnere aerodinamico dellaFerrari, con il quale mi disse di aver collaborato per lagalleria del vento.Mi parlò anche di qualche incarico da parte dei BeniCulturali di Pesaro, senza però andare più in là di que-sta notizia. Praticamente si interessava di tutto, e riusci-va a portare a termine tutto. Un altro aneddoto che fa capire quale fosse la sua tena-cia: un giorno lo invitai a Salò per una rievocazionedel Circuito del Garda, alla cui organizzazione io par-tecipavo. Era prevista una serata al Vittoriale con unabreve conferenza sul volo e sul circuito del Garda, chepensavo di accompagnare con filmati d’epoca. Io pos-sedevo un raro filmato realizzato con una camera cardella Ferrari di Besana, mentre lui aveva dei filmatiaeronautici raccolti attraverso i suoi amici sparsi intutto il mondo.Mi disse: “Montiamo un filmato unico”. “Ma io sono unfotografo e mi interesso di grafica – gli obiettai – ma di mon-taggio non so niente”.Questo accadeva il giovedì. Il venerdì uscì dall’univer-sità e comprò un programma di montaggio audio e

video; il sabato mattina, mentre era a Varese, mi disse:“Vieni che lo facciamo”. Lui conosceva già il programma,ed io intervenni per quel poco che sapevo sui contrastidelle immagini. In due giorni si è improvvisato monta-tore video, con un ottimo risultato.Questo episodio fa capire che tutto quello di cui siinteressava doveva essere fatto al meglio, e che avevauna mente talmente pronta che riusciva a capire tuttoal volo, mentre io mi sentivo colui che doveva tenereil suo passo, cosa però impossibile. Tuttavia raramentemi ha ripreso; capitò solo una volta in cui stentavo acapire come collegarmi con lui in internet. Questo è il mio Andrea, e sono sicuro che è l’Andreadi tutti, perché sapeva farsi amare e sapeva anche aiu-tare. Nel Suo archivio ho trovato tante lettere di rispo-sta a chi gli chiedeva aiuto.Anche con le persone con le quali non andava d’accor-do riusciva a dialogare tranquillamente; amava direschiettamente in presenza di tutti quello che pensavadelle persone, per cui ho assistito anche a controversiespiacevoli, ma sempre nei limiti della massima corret-tezza e cordialità.Questo era il mio Andrea. •

Il collegio degli Eligibility Delegates alla MM del 2009: da sinistra, John Hopwood (GB, FIA Heritage Certificate inspector),Dominik Fischlin (CH, FIVA steward), Domenico Cifaldi (I, CSAI e FIA Heritage Certificate inspector), Pierre Abeillon (F, FIVAsteward), Andrea Curami (I, CSAI e FIA International Historical Commission member), Derek Drummond-Bonzom (F, FIVA e FIA Heritage Certificate Review Panel member), Horst Brüning (S, FIVA president), la segretaria del Collegio, Mark Rufer (CH,FIVA steward), Jean Pierre Souchaud (F, FIVA steward), Guillem Salvadò (AD, FIVA steward), Rainer Hindrischedt (D, FIVATechnical Committee chairman), Tilman Kleber (D, ADAC Oldtimer e FIVA steward).

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Non è casuale, in fondo, che nell’iconografia dellefiabe dei bambini l’orso abbia un posto assoluta-

mente preponderante. È l’animale aggressivo, silenzio-so e dolcissimo insieme che, al contrario del leone, dellupo e di altri animali più o meno feroci, accompagnail torpore dei sogni dei bambini.Andrea amava gli orsi. Li amava a tal punto da posse-dere una collezione di peluche di vario tipo e di diver-se dimensioni. Li amava come un bambino ama il pro-tagonista della sua fiaba preferita. E non era un caso.Perché Andrea era proprio quell’orso che ognuno dinoi, abbandonati i sogni e le fiabe dell’età infantile,vorrebbe per sempre conservare accanto a sé a difesadelle impurità e delle meschinerie di una vita intera.Andrea non era solo un amico, non era solo un formi-dabile storico del mondo dell’auto e della tecnica, nonera solo un appassionato collezionista di cimeli e dilibri sulla tecnica dell’auto e dei mezzi di trasporto ingenere.

Andrea era prima di tutto un uomo. Un uomo un po’speciale col quale spesso eri costretto a fare i contirispetto ad un comportamento, il tuo, che, fino ad unsecondo prima di averlo incontrato, ti sembrava nor-male, e che poi scoprivi, a contatto col silenzio alta-mente espressivo dell’orso, essere un comportamentoassolutamente fuorviante rispetto all’essenza effettivadella vita.In questo senso, sono convinto che Andrea fosse unasorta di simbolo, di costante insegnamento, una indi-cazione sicura nelle anguste e contorte vie della vitaquotidiana.Lo conobbi, più o meno, una decina di anni fa.Attendevo in coda con la mia Mercedes 190 SL, l’im-barco del traghetto che da Genova ci avrebbe condot-ti in Sicilia per disputare il Raid dell’Etna. Vidi arrivare una magnifica Giulietta Spider nera. Scesidalla mia vettura incuriosito e mi avvicinai. Chiesi ilpermesso di poterla ammirare da vicino. Ne scese unomone che, con fare disinvolto e disincantato chepoteva sapere di superbia, mi disse: “Si accomodi. Mi

Andrea Curami l’orsoAntonio Testa

Antonio Testa, notaio, appassionato di auto storiche.

Il rigore che riservava nelle valutazioni delle auto storiche quando operava quale Commissario Tecnico, Andrea Curami lo manifestava anche nelle proprie auto d’epoca. Qui è al volante della Fiat 1100 Cabriolet.

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Da allora, fumammo insieme decine di sigarette. Fuoridai ristoranti dove i più continuavano a sciorinareframmenti di falsa conoscenza automobilistica. Fuoridai ristoranti dove i più continuavano a cianciare deirisultati della gara, dei tempi e dei ricorsi da presentareai commissari. Fuori dai ristoranti dove i più continuavano a tirarselaperché erano alla guida della Ferrari meglio restaurata.Fuori dai ristoranti dove i più si raccontavano di espe-rienze passate, mai in effetti vissute, sciorinando cono-scenze su questa o quella vettura che, in effetti nemme-no avrebbero riconosciuto da lontano.E l’orso, in silenzio, sorrideva e mi chiedeva di accom-pagnarlo fuori a fumare una sigaretta. Forse mi odie-rai, per questo, Cristina. E ti chiedo perdono per aver-gli dato quella sigaretta. Ma sentire parlare della vita,da Andrea, era una tentazione irresistibile.Adesso me lo immagino. Lassù. A fumare tra qualchenuvola fischiettando una canzone di Dalla: “Il mionome è Ayrton e faccio il pilota. E corro veloce per lamia strada. Anche se non è più la stessa strada, anchese non è più la stessa cosa. Anche se qui non ci sonopiloti, anche se qui non ci sono bandiere, anche se quinon ci sono sigarette e birra che pagano per continua-re. Ma per continuare poi che cosa? Anche se poi nonè servito a niente, tanto il circo cambierà città. E tu mihai detto: «Chiudi gli occhi e riposa!». E io adesso hochiuso gli occhi.”. •

pare che lei cieco non sia. Non vedo perché debbachiedermi il permesso di guardare la mia auto”.Sinceramente rimasi stupito e un po’ avvilito da quel-la laconica e fredda risposta. Il mio stupore volse addi-rittura a disapprovazione dell’uomo quando, qualcheminuto dopo, lo vidi guardare lo stemma anterioredella mia Mercedes fresca di restauro, sorridendo, sor-nione, nell’indicarmi che lo stemma sul cofano nonera proprio originale. Così, mi dissi, ecco l’ennesimo sapientone che va allegare di auto d’epoca con il solo unico scopo di deni-grare il prossimo e prenderlo per i fondelli. Con miamoglie avevamo concluso che il tipo non era propriodei più simpatici. Peccato che si accompagnava ad unadonna, Cristina, che apparve subito simpaticissima edelegante.Il colmo lo si raggiunse quando, con malcelata vogliadi ridere alle mie spalle, sembrava sghignazzare dell’i-nusitato tettuccio rigido che avevo montato per ripa-rarmi, come mi disse, del sole della Sicilia.Davvero ero stufo di quell’incontro. Poi, mentre fuma-vo una sigaretta, mi bussò al finestrino e mi disse:“Non è che mi offriresti una sigaretta e ce la fumiamoinsieme?”.Scesi istintivamente e gli porsi una sigaretta. Glielaaccesi. “Io non dovrei fumare – mi disse – I medici melo hanno proibito. Devo perfino nascondermi da miamoglie!”.

Andrea Curami con Sergio Lugo, socio Aisa, storico e collezionista di Cisitalia, argentino di origine italiana, più volte presentealla Mille Miglia Storica.

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Opere quale unico autorePorsche & Mille Miglia, Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 2000.

Lancia Stratos trent’anni dopo, Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 2003.

Lancia Stratos Thirty Years Later, Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 2003.

Mercedes-Benz & Mille Miglia,Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 2005.

Alfa Romeo & Mille Miglia,Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 2010.

Opere con altri autoriCon Luca Ronchi, Ferrari 50, Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 1996.

Con Luca Ronchi, Mille Miglia 1947-1957, GiorgioNada Editore, Vimodrone (Milano), 1997 (primaedizione), 1998 (seconda edizione).

Con Luca Ronchi, Ferrari 50 ans, Giorgio NadaEditore, Vimodrone (Milano), 1997.

Con Luca Ronchi, 50 years of Ferrari, Giorgio NadaEditore, Vimodrone (Milano), 1997.

Con Luca Ronchi, 50 Years of Ferrari, MotorbooksInternational, Osceola (Wi, Usa), 1997.

Con Leonardo Acerbi e LucaRonchi, 50 anni di mito Ferrari,Giorgio Nada Editore,Vimodrone (Milano), 1997.

Con Daniele Galbiati e LucaRonchi, 1000 km di Monza-trofeo Filippo Caracciolo,Edizioni dei Soncino,Soncino (Cremona), 1998.

Con Piero Vergnano, Le “Sport” e i suoi artigiani1937-1965, Giorgio NadaEditore, Vimodrone(Milano), 2001.

Con Dino Brunori, EnricoNardi-Una vita di corsa,Edizioni Negri-FondazioneNegri, Brescia, 2009.

Bibliografia non automobilisticaCon Lucio Ceva, La meccanizzazione dell’EsercitoItaliano dalle origini al 1943, 2 volumi. Ufficio StoricoStato Maggiore Esercito, Roma, 1989.

Andrea Curami Bibliografia

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Con Lucio Ceva, L’industria bellica negli anni Trenta:commesse militari, l’Ansaldo e altri, Franco AngeliEditore, Milano, 1992.

Con Giorgio Rochat, Giulio Dohuet-Scritti 1901-1905,Stato Maggiore Aeronautica, Roma, 1993.

L’Esercito Italiano dalle origini al 1943, Ufficio StoricoStato Maggiore Esercito, Roma, 1998.

Con Alessandro Massignani, L’artiglieria italiana nellaGrande Guerra, G. Rossato Editore, Novale di Valdagno(Vicenza) 1998.

Con Paolo Ferrari, I trasporti del Regno - iniziativaprivata ed intervento statale 1861-1946, Edizioni Negri-Fondazione Negri, Brescia, 2007.

Con Paolo Ferrari e Achille Rastelli, Alle origini dellaBreda Meccanica Bresciana, Edizioni Negri-FondazioneNegri, Brescia, 2009.

Questo elenco non comprende i numerosi articoli suiperiodici e i contributi a opere collettive di storia indu-striale, militare, aeronautica. Un fascicolo di “ItaliaContemporanea” del 2011 pubblica un saggio di PaoloFerrari dedicato all’opera di Andrea Curami quale stu-dioso di storia militare. Contiene anche annotazionisui titoli di questi suoi studi, saggi, articoli. L’approccioa questi temi viene così descritto da Paolo Ferrari: “Perquanto riguarda la storia dell’industria bellica, AndreaCurami ha contribuito, direttamente e per il suo soste-gno a molte ricerche, più che a sviluppare un settore distudi, a rifondarlo secondo prospettive problematiche,conseguendo risultati dai quali non può non partireogni nuova indagine. Si tratta di uno dei contributi piùoriginali allo studio delle guerre combattute dall’ItaliaUnita. Ma dobbiamo aggiungere che queste paginenon possono che restituire in maniera parziale la ric-chezza delle ricerche condotte da Andrea, tanta è l’am-piezza dei risultati, ma tante anche sono le annotazio-ni e i suggerimenti che si possono ricavare dalla letturadei suoi lavori”. •

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Nasce a Milano il 23 giugno 1947 da Antonio, inge-gnere elettrotecnico, alto dirigente alla Edison, e

Nilla Bancheri. Anche il nonno materno era ingegneree collaborò con la Pirelli per lo studio e la posa deiprimi cavi sottomarini.Consegue il diploma di maturità classica al Liceo“Manzoni” di Milano nel 1966 e prosegue gli studi alPolitecnico di Milano dove si laurea nel luglio 1971 iningegneria meccanica con specializzazione in costru-zioni automobilistiche.Terminato il servizio militare con il grado di sottote-nente di complemento presso il reggimento delleBatterie a Cavallo entra come ricercatore nell’Istitutodi Meccanica del Politecnico di Milano presso la sezio-ne di Costruzioni Automobilistiche.Nel 1974, passa alla sezione di Meccanica Applicata alleMacchine dello stesso Istituto. Nel 1984, viene nominatoprofessore di Meccanica Applicata presso il Politecnicodi Milano-Istituto di Meccanica e Costruzione Macchine.Ha tenuto i corsi a Milano, Brescia, Lecco.La sua attività scientifica ha riguardato dinamica, stabi-

lità e controllo dei sistemi meccanici con particolareriguardo alla dinamica di grandi strutture.Nell’anno accademico 2009-2010, è stato titolare deicorsi di Dinamica dei sistemi aerospaziali, di Azionamentidinamica e controllo dei sistemi meccanici, di Fondamenti dimeccanica teorica e applicata, di Storia dei trasporti eTransport History. Questi due ultimi incarichi gli sonostati affidati per la sua attività collaterale di storicomilitare e industriale dell’Italia contemporanea. È autore di parecchie opere importanti sulla storiadegli armamenti dell’Esercito e dell’Aeronautica e del-l’industria bellica italiana tra le due guerra. Si è interes-sato, tra i primi, dello studio scientifico e multidiscipli-nare dei primordi dell’Aeronautica Militare fino aglianni della Grande Guerra 1915-1918.Nel settore motoristico è stato condirettore di “LaManovella e ruote a raggi”, già organo ufficiale dell’Asi,e quindi collaboratore di “La Manovella”, nel periodoin cui fu diretta da Michele Marchianò. Ha collabora-to lungamente ad ”Aerofan”, rivista di aviazione fonda-ta e diretta da Giorgio Apostolo, e a “Storia Militare”.È entrato in Aisa nel maggio 1990.È stato socio Cmae dal 1996 e, dal 1999, del RegistroFiat, di cui era presidente del Collegio dei Probiviri. Hafatto parte, dal 1997, della Commissione Culturaledell’Asi, sotto la presidenza dell’ingegner SandroColombo, e, assieme a Dario Duina e Maurizio Tabuc-chi, del Comitato di Presidenza della CommissioneTecnica dell’Asi sotto la presidenza dell’ingegnerGiulio Alfieri, dimettendosi nel giugno del 1999 daentrambe le cariche per motivi personali.Ha collaborato, in qualità di responsabile della partestorico-scientifica, alla realizzazione del Museo delleMille Miglia a Brescia e al Padiglione della Motoristicaal Museo della Scienza e Tecnologia di Milano.È stato commissario tecnico nazionale Aci-Csai nelsettore delle autostoriche, delegato italiano all’Interna-tional Historical Commission (CHI) della Fia, stewardFiva e, in tale ruolo, ha fatto parte per molti anni del-l’equipe tecnica delle rievocazioni storiche della MilleMiglia.È stato consigliere del Club Mille Miglia FrancoMazzotti, della Fondazione Mille Miglia e segretario diArea, cooperativa di restauro aeronautico a VenegonoInferiore (Varese), della quale era membro fondatoredal 1995.È mancato a Milano il 24 giugno 2010. •

Andrea Curami Cenni biografici

La Scheda di Ammissione all’Aisa compilata da AndreaCurami il 2 maggio 1990.

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Il mio rapporto con Angelo Tito Anselmi è statoabbastanza intenso, e molto lungo. La conoscenza

fu del tutto casuale: tutto cominciò una mattina del1957, quando, osservando la sua Balilla Coppa d’Oroparcheggiata in una strada del centro di Milano, miaccorsi che la vettura mancava dello strumento indica-tore del livello della benzina. Non conoscendo il pro-prietario, lasciai sulla vettura un biglietto per comuni-cargli che, se lo avesse voluto, avrei potuto donargli lostrumento mancante, di cui io invece disponevo.Così iniziò un lungo sodalizio, caratterizzato, comeera inevitabile date le peculiarità del personaggio, daalti e bassi. Devo sottolineare che il mio ingresso nel mondo delleauto storiche lo devo sicuramente a Tito Anselmi. Nelsenso che rimasi subito affascinato dalla ostinazione diquesto giovane nella ricerca storica e nell’analisi deiparticolari degli autoveicoli. Una volta, quando abitava in via Leopardi a Milano,mi invitò a casa sua per mostrarmi l’impostazione ini-ziale del suo archivio: rimasi stupito per il fatto che,seppur giovane, fosse riuscito a mettere ordine in unmateriale estremamente eterogeneo, costituito da rita-gli di giornali, resoconti di conferenze, libri, documen-ti, pubblicazioni e quant’altro.Da questa prima frequentazione prese inizio la succes-siva attività di Tito, che fu quella di regolamentare edare una forma plausibile al movimento dei collezioni-sti e degli appassionati di motorismo d’epoca, che allo-ra cominciava a raccogliere diverse adesioni in tutte leRegioni d’Italia.Con Tito avevano corrispondenza molti appassionati,come i romani Fulvio Carosi e Vincenzo Santovetti ealtri, che avevano iniziato a sviluppare ricerche relativeai veicoli storici, che venivano ritrovati sparsi qua e làper il Paese.Alcuni avevano già dato alla loro attività una veste for-male, e da qui l’idea di Tito di costituire il primonucleo di un Club, per il quale mi chiese di stendereun atto costitutivo e uno statuto, di cui ancora conser-vo il manoscritto.Non posso omettere di ricordare che in questo primogruppetto di appassionati che ruotava intorno a Titoc’erano anche personaggi importanti come GiovanniCaproni e Gigi Lazzaroni.

L’attività di questo straordinario personaggio che èstato Tito Anselmi si è dispiegata in moltissime dire-zioni, ma la più importante senza dubbio è stata lacostante ricerca di dar corpo ad organismi che soccor-ressero allo sviluppo di questo movimento.Non va dimenticato che su sua iniziativa, poi risoltasiin maniera tumultuosa, sono nati il Registro Fiat ed ilRegistro Alfa Romeo.Definisco la sua attività “tumultuosa” perché una dellecaratteristiche di questo cospicuo personaggio eraindubbiamente la perenne tensione verso una spasmo-dica ricerca della perfezione: quella lessicale, quellagrafica, quella iconografica. Ciò lo portava molto spes-so a posizioni di contrasto con il prossimo, anche per-ché i margini della sua capacità di tollerare opinionidiverse dalla sua erano relativamente modesti.Posso dire di non ricordare occasioni in cui le sue opi-nioni e le sue proposte, pur contrastate per ragioni diopportunità o di convenienza da altri, non avessero unampio fondamento; ma erano spesso di difficile realiz-zazione pratica, e di qui nascevano grandi contrasti chesi risolvevano con epiche baruffe.Valerio Moretti mi diceva: “Mi mancano cinquantaanni di baruffe con Tito!”. Eppure tra i due c’era gran-de considerazione, tuttavia una sorta di identità carat-teriale li portava spesso ad essere in contrasto fra diloro.Tito ha svolto una grandissima attività nell’ambitodella razionalizzazione formale del movimento delmotorismo storico, prendendo tutta una serie di inizia-tive pregevoli, quasi tutte sopravvissute.Ma la sua caratteristica peculiare era quella di creare epoi di abbandonare – non si sa se per disamore o percontrasti – per cui, alla fine, non sedeva in alcuno deiconsessi operativi che aveva promosso; ciò con dispia-cere di tutti noi, e anche di moltissimi altri.Per altro verso, anche la sua attività poliedrica e com-posita di grafico, di autore e di scrittore si è svolta sem-pre in un clima di una certa tensione.Ricordo con gioia il piacere che ci fece poter consulta-re il volume “Cento Italiane Vive”, perché da quel libroabbiamo cominciato a sapere “chi aveva cosa”, e qualiinteressanti veicoli si potevano andare a visitare, o sene poteva attendere la comparsa in qualche raduno.Quel magnifico lavoro poi, oserei dire antesignano, diAnselmi sulla famosa Alfa Romeo 1750 compressoredel povero Pozzoni. Quel libro è una sorta di piccola

La figura e i lavori di Angelo Tito Anselmi

Eric Maggiar

Eric Maggiar, socio Aisa, collezionista ed esperto di auto storiche.

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bibbia sui principi che dovrebbero presiedere al restau-ro fatto con una certa cura.Io ho collaborato con lui in quella opera monumenta-le che è stata il “Catalogo Bolaffi delle Fiat”, un catalogueraisonneè che ancora oggi è oggetto di consultazione

per i dati che contiene; anche se il testo storico è rela-tivamente contenuto, dal punto di vista dei dati sullecaratteristiche dei veicoli è stato un lavoro importantee straordinario.Tutti abbiamo letto, inoltre, con interesse le splendidemonografie che sono state rispettivamente “IsottaFraschini” e “Carrozzeria Touring”. Nella prima, il mioapprezzamento va soprattutto agli sforzi fatti da Titoper raccogliere elementi e dati inerenti gli ultimi annidella storia della Marca; nella seconda, all’abilità diTito nel riuscire a penetrare la complicata vicenda dellaprocedura giudiziaria con i suoi complicati risvolti.Opere, queste, elaborate da conoscitore, da esperto, econ grande maestria. Direi che, sotto il profilo dellaproduzione di testi, Tito ha lasciato una traccia vera-mente cospicua.Mi dispiace dover ricordare che gli ultimi anni della suavita sono stati difficili, un po’ per il retaggio delle ini-micizie che si era creato, e un po’ per la stanchezzadovuta all’età e agli acciacchi fisici, che forse avevanoaccentuato l’acutezza di taluni spigoli del suo carattere.Fa anche dispiacere ricordare quanto fosse difficile aiu-tarlo, un po’ perché non voleva essere aiutato, e un po’per certe posizioni di intransigenza che aveva assunto.La nota positiva può consistere nel fatto che questoperiodo difficile della sua vita ha visto un grande riav-vicinamento con suo figlio Carlo.Per concludere, non posso che inneggiare al grandissi-mo valore complessivo e alla grande influenza che TitoAnselmi avuto in questa nostra passione. Nonostantele alterne vicende ed i contrasti, io vorrei conservarequesto ricordo di lui e della sua opera. •

Angelo Tito Anselmi nei primi anni Sessanta insieme adAlberto Procovio e Luigi Castelbarco.

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Negli anni Sessanta, ho lavorato alla CarrozzeriaTouring, prima come dirigente e poi come geren-

te nel periodo della procedura concorsuale. TitoAnselmi lo conobbi in quegli anni, e con lui ho sem-pre mantenuto un rapporto di amicizia umana, datoche non sono né uno storico e neppure un tecnico, equindi non ho mai avuto motivo di discutere con Luidi problemi riguardanti tali ambiti.Nel rapporto umano, bellissimo, che abbiamo avuto intutti questi anni era coinvolto anche un gruppo diamici, e cioè Carlo Felice Bianchi Anderloni con lasignora Anna, e Vittorio Fano con sua moglie. Ci tro-vavamo frequentemente in occasione di cene organiz-zate dalle nostre mogli.Anche in questi ultimi anni avevo mantenuto questorapporto con lui, e andavo a trovarlo a Cernobbio ognidue mesi.Nel gennaio del 2009, Tito Anselmi aveva stabilito conGiovanni Bianchi Anderloni, il figlio di Carlo, che eraingegnere nei cantieri navali di Viareggio, di riscriverela monografia della carrozzeria Touring, con l’intenzio-ne di aggiungervi anche qualche verità che negli anniSessanta non era stata divulgata per ragioni di oppor-tunità.La storia, come diceva Tolstoj, può anche diventarevera. Avevano pensato di rifare questa monografiaarricchendola di verità e di fatti nuovi.In quel mese di gennaio 2010, lo chiamai e gli dissi checi saremmo visti nel corso del mese successivo.Quando lo richiamai per combinare, ma non mi rispo-se. Tenuto conto della particolarità del suo carattere,lasciai passare un po’ di tempo.A fine marzo, lo richiamai nuovamente, ma non mirispose ancora. Il 17 di aprile mi recai a Cernobbio.Trovai la porta della sua casa chiusa, la cassetta dellaposta piena di corrispondenza, e quindi mi preoccu-pai. Andai a Villa d’Este per chiedere sue notizie, evenni a sapere che aveva avuto problemi di salute, ma

nessuno sapeva dove fosse finito.Allora iniziai delle ricerche, scoprendo che era statoricoverato a Binasco in un residence per la rieducazio-ne dopo una caduta che gli aveva procurato la fratturadel bacino e della spalla sinistra. Partii per Binasco, dove arrivai alle 11; Tito mi ricevet-te alle 13, ma io non mi mossi perché volevo constata-re in che condizioni fosse. Mi accolse con fraternità,ma trovai un uomo triste e solo. Mi disse che si senti-va solo e stanco, e che la spalla gli faceva male; che larieducazione era difficile, ma che ce la poteva fare.Forse sono stato l’ultimo degli amici ad incontrarlo.Di Andrea Curami ho un ottimo ricordo, perchéabbiamo trascorso insieme una settimana in Sicilia nel-l’ottobre del 2002, dove abbiamo scarrozzato le nostreautomobili lungo le strade delle Madonie e a Pergusa.Lui guidava una Fiat 1100 Cabriolet bellissima. Era unvero compagnone. Ricordo tutti e due i personaggi condeferente amicizia e affetto. •

“Carrozzeria Touring” più che un libro un legame con Tito Anselmi

Aldo Rizzi

Aldo Rizzi, socio Aisa, è stato per molti anni dirigentee della CarrozzeriaTouring fino alla chiusura.

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Ho conosciuto Tito Anselmi a cavallo degli anniSettanta-Ottanta e, per un certo periodo, sono

stato uno dei suoi numerosi discepoli. Nel 1985, ho col-laborato con lui per i 75 anni dell’Alfa Romeo, e poiancora nel 1990 per i 40 anni della Alfa Romeo 1900.Nel 1998, mi ha accompagnato nella preparazione delmio primo libro, Alfazioso, che senza di lui non avreipotuto scrivere. È stata un’amicizia intensa e di gran-dissimo spessore e qualità.Poi, come qualcuno ha già ricordato, sono emerse lespigolosità. Una sera di otto o nove anni fa CarloFelice “Cici” Bianchi Anderloni voleva organizzare unincontro Touring in Alfa Blue Team. Quando si è trattato di stilare l’elenco degli invitati, siè pensato al nome di Tito. Cici, che era una personasquisita, eccepì che quella sera avrebbe preferito noninvitarlo, perché fra gli ospiti vi erano almeno quattroo cinque persone che, alla presenza di Tito Anselmi, sisarebbero alzate e sarebbero uscite.

Durante la manifestazione accadde che Adolfo Orsitelefonò a Tito perché si dovevano scambiare dellefotografie, e gli disse che si trovava in Alfa Blue Team.Allora Tito gli disse:”Vengo subito”.Arrivò e trovò quaranta persone che parlavano dellaCarrozzeria Touring, della quale lui è sempre stato ungrande esperto, e perciò si sentì escluso.Di fronte al suo malumore, molto francamente gli dissidi non averlo invitato perché avevamo dovuto faredelle scelte. Lui tacque. Scambiò le foto con Adolfo ese ne è andò. Da quel momento, mi sono cominciati ad arrivare suoifax pieni di acrimonia e di veleno, come solo Lui sape-va tirar fuori. Perché quando scriveva era capace diandare giù pesante, di ascia e di macete. Così, con miogrande dispiacere, i nostri rapporti si sono interrotti. Sei o sette anni fa, a Villa d’Este, mi capitò di incon-trarlo. Lo avevo visto da lontano, e siccome non è miocostume nascondermi, e inoltre considerando che lamiglior difesa è l’attacco, gli andai incontro con ariagioviale e sorridente.Prendendola “alla lontana” gli dissi: ”Lo sa che Lei miricorda tanto un mio carissimo amico che è morto qualcheanno fa?”. La risposta di Tito Anselmi, fredda e puntua-le, fu: “Si vede che lo hanno seppellito male!”. •

Carrozzeria Touringfine dell’amicizia con Tito Anselmi

Gippo Salvetti

Gippo Salvetti, socio Aisa, fondatore dell’Alfa Blue Team.

Angelo Tito Anselmi in barca a vela, che luistesso dichiarava essere la sua prima passione,seguita dalla motociclettae, solo al terzo posto, dalle “automobili di pregio”.

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La notizia della scomparsa di “Tito”, come amavaessere chiamato, mi è giunta ai primi di agosto

diversi giorni dopo la sua morte avvenuta il 22 luglio2010 e mi ha profondamente colpito in quanto avevoparlato con lui al telefono non molto tempo prima.Il tempo però passa troppo velocemente e i mesi nonsi contano.Ricordare Tito è per me ricordare un maestro e unamico con il quale ho condiviso numerosi interessantimomenti di approfondimento e di scambio di idee inmerito alla storia e alle ricerche riguardanti le automo-bili d’epoca.Quando ci siamo conosciuti e abbiamo per la primavolta parlato insieme non me lo ricordo con precisio-

ne, ma mi ricordo benissimo due momenti che sonostati alla base della nostra amicizia. Il primo riguarda il libro “Cento italiane vive” che vede-vo esposto in una bacheca sulle scale di Via Monte diPietà dove aveva sede Quattroruote e mi recavo soven-te, in quanto socio del “Club delle Quattroruotine”,ma anche per essere ricevuto dal dottor GianniMazzocchi che mi ha dato importanti consigli di comeintraprendere la mia attività e poi dall’altro volume “Ilrestauro delle automobili d’epoca” edito dalla Lea equindi presso la Libreria dell’Automobile in via Hoeplidurante uno dei numerosi e famosi cocktails di presen-tazione di libri, dove tra l’altro ho avuto l’occasione diconoscere importanti personaggi del mondo dell’auto-mobilismo storico tra i quali Giovanni Canestrini eLuigi Fusi.

Angelo Tito Anselmi, storico dell’auto Un maestro e un amico

Sergio Puttini

Angelo Tito Anselmi in un momento di sosta durante un’escursione in Svizzera, con la sua moto.

Sergio Puttini, socio Aisa, storico dell’automobile.

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Una volta scambiate le prime parole, certamente inuna di queste due sedi, le occasioni non sono più man-cate e la nostra amicizia è diventata concreta.Di Tito come maestro mi piace ricordare la sua meti-colosa ricerca e la cura nella scelta delle immagini. Nelsuo studio in via Matteo Bandello abbiamo non soloparlato delle ricerche storiche effettuate o da effettuarema anche sui metodi di scelta delle fotografie e dellaloro qualità, venivo in molti casi anche a trovarmi incontrasto con lui, in particolare su fotografie recenti inquando le nostre selezioni non combaciavano perchéTito, quale studioso di storia della carrozzeria e la suaformazione dovuta ai corsi di architettura, lo portava-no a preferire le foto in studio per meglio evidenziarele forme della carrozzeria, mentre io, interessandomianche di storia del costume preferivo quelle ambienta-te dove l’automobile partecipa alla vita quotidiana, aparte queste diversità di punti di vista sul resto erava-mo in perfetta sintonia e in particolare sull’evidenziarei dettagli anche minimi che differenziano una serie dal-l’altra.A tale proposito, voglio ricordare come le ricerche rela-tive al modello Alfa Romeo 6 C 2500 nelle diverse ver-sioni di serie e fuoriserie hanno potato alla realizzazio-ne di un grande libro. Angelo Tito Anselmi è per la storia dell’automobile unpilastro fondamentale, nei suoi lavori ha sempre cerca-to di raggiungere scrupolosamente la perfezione e laverità; ha conseguito diversi riconoscimenti, ha colla-borato con le più importanti riveste del settore, è statoun protagonista tra gli appassionati dei veicoli d’epoca.Ha portato avanti significative iniziative riguardanti lafondazione di club e associazioni come il Cmae (ClubMilanese Automotoveicoli d’Epoca), l’Aisa (Associa-zione Italiana per la Storia dell’Automobile), ha curatomostre e concorsi di eleganza.Mi ritornano alla mente i vari momenti trascorsi conlui fino al suo trasferimento a Cernobbio da dove era-vamo in contatto tramite e-mail e mi rimproverava la

mia non tempestiva risposta, nonostante gli ripetevoche alla posta elettronica io preferisco il telefono.Tito è stato per me, ma come credo anche per tantialtri, nonostante il suo carattere, un grande maestro;veramente stimolanti e di grande piacere sono stati poii suoi complimenti relativi alle mie ricerche e pubbli-cazioni riguardanti la “Carrozzeria Sport”, la“Carrozzeria Monterosa”, il libro “Carrozzeria Boneschi”,le mostre dedicate ai camion d’epoca e la fondazionedel “Circolo Italiano Camion Storici”. Tra le varie collaborazioni alla sue iniziative desideroricordarne alcune quali: la partecipazione al progettodi “Ruoteclassiche”, la mostra “Forma Alfa dalla 1900 alla155 GTA” svoltasi dal 14 aprile al 10 maggio 1992 alPalazzo della Permanente in via Turati 34 a Milano, unluogo dove normalmente si tengono mostre d’arte, e ilsuo ultimo progetto relativo al libro su Mario Revellidi Beaumont, al quale stava lavorando, per i suoi sen-titi ringraziamenti per aver riconosciuto alcuni model-li di camion, ma in particolare per aver rintracciato lafotografia originale di una quasi sconosciuta IsottaFraschini pubblicitaria. Ciao Tito: il tuo rigore, la tua ricerca e i tuoi insegna-menti siano uno stimolo per quanti si dedicano conserietà alla complessa storia dell’automobile nelle suediverse sfaccettature di prodotto industriale e di operad’arte come hai e insieme abbiamo cercato di portareavanti.Voglio qui aggiungere altre notizie riguardanti la suaattività di storico dell’auto quali il convegno “Autocome arte” e il recupero delle fotografie della Carroz-zeria Borsani, oltre all’interesse dimostrato per come ioprocedo alla lettura e alla datazione, il più corretta pos-sibile, delle fotografie analizzandone i vari elementipresenti nell’immagine ma anche di come, conVittorio Fano, si intendeva formulare una terminologiapiù chiara per la definizione e la classificazione dellediverse categorie di auto d’epoca in base all’età e allecondizioni di conservazione e restauro. •

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Grafie Pininfarina a Spoleto, Antico Oratorio della Passione, Spoleto, 1990.

Pininfarina – progetto e prodotto, Facoltà di Architetturadel Politecnico di Milano, 1991.Forma Alfa, Palazzo della Permanente, Milano, 1992.

Pininfarina: progetto Ethos, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1994.

Alfa Romeo 6C 2500, La Foresta di Bard, Berceto,1994; Alfa Blue Team, Premenugo di Settala (Milano),1994.

Il Designer Segreto–Mario Revelli di Beaumont, ParcoCulturale Le Serre, Grugliasco, 2008.

Volumi pubblicati come autoreCento Italiane vive,Editoriale Domus,Milano, 1962.

Il Restauro delle Automobili d’Epoca, L’Editricedell’Automobile, Roma,1966.

Le Grandi Fiat, L’Editrice dell’Automobile, Roma,1967.

Catalogo Bolaffi delle Fiat 1899-1970, Giulio BolaffiEditore, Torino, 1970.

Isotta Fraschini, Milani Editrice, Segrate, 1977.

Carrozzeria Touring, con la collaborazione di CarloFelice Bianchi Anderloni,Edizioni di Autocritica,Roma, 1982.

Angelo Tito AnselmiBibliografia

Ordinamento di mostre nel settoreautomobilisticoIsotta Fraschini, Museo dell’Automobile, Torino, 1977

Carrozzeria Italiana –cultura e progetto, Palazzina delle BelleArti, Torino, 1978; Palazzo della Quadriennale,Roma, 1978; Art Center College of Design,Pasadena, Cal., 1981.

Le Alfa Romeo di Vittorio Jano, Museo dell’Automobile,Torino, 1981; Parcheggio di Villa Borghese, Roma,1982.

Carrozzeria Touring Superleggera, Galleria Marconi,Milano, 1982.

Prototipi e Forme della Velocità, Fortezza da Basso,Firenze, 1983.

Alfa: immagini e percorsi,Palazzo dell’Arte, Milano,1985.

Las Formas de la Industria (storia del design Fiat), Museod’Arte Contemporanea, Madrid, 1987.

Giovanni Michelotti – trent’anni di progetti, PalazzoComunale, Modena, 1989.

L’Automobile a Milano 1879-1949, Spazio Ansaldo,Milano, 1990.

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Ferrari Tipo 166, con la collaborazione di GianniRogliatti e Lorenzo Boscarelli, Edizioni della Libreriadell’Automobile, Milano, 1984.

Alfa Romeo Giulietta, con la collaborazione di Lorenzo Boscarelli, Edizioni della Libreriadell’Automobile, Milano, 1985, (ristampato 2001 e 2004).

Automobili Fiat, Edizioni della Libreriadell’Automobile, Milano,1986.

Le Ferrari di Pininfarina,prefazione di SergioPininfarina, EdizioniGrafiche Mazzucchelli,Milano, 1988.

Alfa Romeo 6C 2500,Editoriale Domus, Milano,1993.

Mille Miglia Identikit, Le Edizioni dell’Opificio,Milano, 2003.

Making a Difference (le Ferrari dei carrozzieri non-PininFarina), co-autore Marcel Massini, Le Edizionidell’Opificio, Cernobbio, 2006.

Coedizioni e traduzioni in linguastranieraIsotta Fraschini (in lingua inglese), Milani Editrice,Segrate, 1977.

Touring Superleggera (in lingua inglese), Edizioni di Autocritica, Roma, 1983.

La Carrosserie Touring (in lingua francese), Edizioni di Autocritica, Roma, per E.P.A., Parigi, 1983.

Tipo 166: the original sports Ferrari, Foulis-HaynesPublishing Group, Sparkford GB, 1986.

Ferrari Tipo 166 (in lingua tedesca), Motorbuch Verlag,Stoccarda, 1987.

Alfa Romeo Giulietta (in lingua inglese), Giorgio NadaEditore, Vimodrone, 2004.

Volumi curati o prodotti come responsabile di edizioneLa trazione anteriore, di Mario Bencini, L’Editricedell’Automobile, Roma, 1966.

Il motore a due tempi di alte prestazioni, di CesareBossaglia, L’Editrice dell’Automobile, Roma, 1967.

Sessanta vetture ai raggi X, di Giovanni Cavara,L’Editrice dell’Automobile, Roma, 1967.

Auto degli anni Venti, traduzione di A.T. Anselmi da Tim Nicholson, L’Editrice dell’Automobile, Roma,1968.

Enciclopedia Milleruote, capo redattore per la storiadelle marche e dei carrozzieri, Editoriale Domus,Milano/ DeAgostini, Novara, 1973.

Moto Guzzi, di Mario Colombo, Milani Editrice,Segrate, 1977.

Sistema, (autori vari), Edizione Carlo Eisner, Milano, 1977.

Carrozzeria Italiana – cultura e progetto, autori vari,Alfieri Edizioni d’Arte, Milano, 1978 (pubblicatoparallelamente anche in inglese).

I miei 40 anni di progettazione alla Fiat, di DanteGiacosa, Edizioni Automobilia, Milano, 1979(pubblicato parallelamente anche in inglese, francesee tedesco).

Ferrovie dello Stato 1900-1940, Rassegna n. 2, autorivari, Edizioni CIPIA, Bologna, 1980.

Apparato critico e didascalie per Pininfarina 1930-1980,di Ami Guichard e J.R. Piccard, Edita S.A., Losanna,1980.

Atti del Convegno Carrozzeria Italiana – cultura e progetto,(autori vari), Edizioni di Autocritica, Roma, 1981.

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Le Auto dei Papi, di Valerio Moretti, Edizioni di Autocritica, Roma, 1982.

Le Alfa Romeo di Vittorio Jano, autori vari, Edizioni di Autocritica, Roma, 1982.

Alfa Romeo 1900 Sprint, autori vari, Edizioni della Libreria dell’Automobile, Milano, 1983.

Lancia Aurelia GT, autori vari, Edizioni della Libreriadell’Automobile, Milano, 1983 (ristampato 1991).

Moto Gilera, di Brizio Pignacca, Edizioni della Libreria dell’Automobile, Milano, 1983.

Veicoli, 1909-1947, Rassegna n. 18, autori vari,Edizioni CIPIA, Bologna, 1984.

Alfa: immagini e percorsi, autori vari, Electa Editrice,Milano, 1985.

Las Formas de la Industria, autori vari, coordinamentoredazionale della parte automobilistica e relativaricerca iconografica, saggio firmato, Fabbri Editori,Milano, 1987.

Catalogo Finarte n. 651, Edizioni Finarte Casa d’Aste,Milano, 1988.

Catalogo Finarte n. 664, Edizioni Finarte Casa d’Aste,Milano, 1988.

Catalogo Finarte n. 698, Edizioni Finarte Casa d’Aste,Milano, 1989.

Catalogo Finarte n. 711, Edizioni Finarte Casa d’Aste,Milano, 1989.

Apparato critico e ricerca iconografica per CatalogueRaisonné Pininfarina, Industrie Pininfarina, Grugliasco,(per Automobilia), 1989.

Aggiornamento e riedizione del volume PininfarinaSessantanni, Industrie Pininfarina, Grugliasco e Edizioni della Libreria dell’Automobile, Milano,1990.

L’Automobile a Milano 1879-1949, autore di tutti i sagginon firmati, Fabbri Editori, Milano, 1990.

Mille Miglia – una corsa italiana, di Luigi Orsini,prefazione di Gigi Villoresi, Edizioni Abiemme,Milano, 1990.

Carambola! (nessun danno alle persone), di Luigi Orsini,fotografie di Corrado Millanta, Le Edizionidell’Opificio, Milano, 1996.

Alfazioso – appunti e spunti alfisti, di Gippo Salvetti,Fucina Edizioni, Milano, 1998.

Trieste–Opicina sessant’anni di epopea, autori vari,Legenda/ Le Edizioni dell’Opificio, Milano, 2003.

Villa d’Este – The Italian Concours, apparato critico e didascalie di A.T. Anselmi, introduzione di Egon R.Hanus, Legenda / Le Edizioni dell’Opificio, Milano,2004.

Ricerca iconografica, ordinamento e apparati per FrancoScaglione Designer, Libreria Automotoclub StoricoItaliano, Torino, 2008.

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Attivo nel settore delle comunicazioni promoziona-li e della progettazione editoriale, Angelo Tito

Anselmi ha impostato la propria formazione seguendoil corso di architettura del Politecnico di Milano comeallievo di Giò Ponti, Ernesto N. Rogers e VittorioGregotti.Ancora studente era chiamato da Ernesto Rogers – suomaestro di vita – a collaborare alla rivista Casabella-continuità (Editoriale Domus) e quindi da AlbertoRosselli all’incarico di capo redattore di Stile Industria(Editoriale Domus), dalle cui pagine dava uno spicca-to contributo all’assetto critico di una disciplina chein Italia era allora in via di definizione: l’industrialdesign.Altra esperienza formativa fondamentale, la sua parte-cipazione allo Studio CNPT come coordinatore dellaproduzione grafica del gruppo di lavoro di Ilio Negri,Michele Provinciali e Pino Tovaglia. Si avviavano inquel periodo i tre filoni paralleli della sua attività pro-fessionale: quello di consulente per le comunicazioniindustriali, di esperto di grafica editoriale, di storicodella produzione industriale. È di quel periodo la suacollaborazione alla XI e XII Triennale.Un lungo percorso di collaborazione con enti e socie-tà di progettazione a capitale pubblico contribuiva adaffinare la sua sensibilità per i problemi comunitari edell’assetto del territorio, coinvolgendolo in alcunigrandi progetti di comunicazione (Nuova Città satelli-te per Napoli, Risanamento dei laghi di Garda e diVarese: committente Italconsult Spa).Negli ultimi tre decenni, ha svolto la propria attivitàprincipalmente in campo automobilistico come ordi-natore di grandi mostre e come autore o curatore diedizioni, cataloghi di mostre e sussidi audiovisivi.

Ha pubblicato numerosi volumi di storia dell’automo-bile, con particolare attenzione per le marche italiane eper i carrozzieri. È stato consulente di Anfia, AlfaRomeo, Fiat e Pininfarina. Da novembre 2003, è statoconsulente della Ferrari per l’ordinamento dell’archiviostorico-iconografico del prodotto.Dal 1972, è stato responsabile per la storia dell’auto-mobile nel gruppo di lavoro dell’Enciclopedia Milleruote(Editoriale Domus/DeAgostini).Dal 1976, è stato contributing editor di AutomobileQuarterly e ha collaborato con le maggiori riviste delsettore. Nel 1987, ha progettato il numero zero delperiodico Ruoteclassiche (Editoriale Domus), collabo-rando poi ai contenuti dei primi fascicoli. In diverseoccasioni (1967, 1968, 1997) ha approntato fascicolipilota per il periodico del settore collezionistico LaManovella. Dal 1996, è stato titolare del marchio di propria idea-zione Le Edizioni dell’Opificio, che nel febbraio 2003è diventato la denominazione di una casa editrice d’é-lite con sede a Cernobbio. Ha conseguito il Premio Canestrini per una ricercasulla storia dei freni anteriori, il Cugnot Award dellaSociety of Automobile Historians (USA) per l’edizioneinglese del volume Isotta Fraschini, il Premiodell’Académie Bellecour di Lione per l’edizione france-se del volume Carrozzeria Touring e il Premio Itala-AISA per l’opera Alfa Romeo 6C 2500. Interrogato, anni fa, sulle proprie preferenze per iltempo libero, ha destato qualche incredulità dichiaran-do sotto giuramento che le automobili di pregio ven-gono al terzo posto, nella gerarchia dei suoi interessi,dopo le barche a vela d’epoca e le motociclette didomani. •

Angelo Tito AnselmiCenni biografici

Questi cenni biografici sono stati scritti da Angelo Tito Anselmi nel marzo2006 e vengono pubblicati grazie alla collaborazione del figlio Carlo.

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LE MONOGRAFIE AISA

93 Materiali e metodologie per la storiografia dell’automobile.Giornata in onore di Andrea Curamie Angelo Tito AndelmiConferenza AisaMilano, 16 aprile 2011

92 L’Alfa Romeo di Ugo Gobbato (1933-1945)Conferenza Aisa in collaborazione con Università Commerciale BocconiMilano, 2 aprile 2011

91 Giorgio Valentini progettistaindipendente eclettico e innovativoSettembre 2011

90 Abarth: l’uomo e le sue autoConferenza Aisain collaborazione con CPAEFiorenzuola d’Arda (PC), 9 maggio 2010

89 MV Agusta tre cilindriConferenza Aisain collaborazione con GLSAA-MVCascina Costa di Samarate (VA), 22 maggio 2010

88 Il Futurismo, la velocità e l’automobileConferenza Aisain collaborazione con CMAEMilano, 21 novembre 2009

87 Mercedes-Benz 300SLTecnica corse storiaLorenzo Boscarelli, Andrea Curami,Aldo Zanain collaborazione con CMAEMilano, 17 ottobre 2009

86 Pier Ugo e Ugo Gobbato, due vite per l’automobilecon il patrocinio del Comune di Volpago del MontelloMilano, 14 marzo 2009

85 Jean-Pierre Wimille il più grandeprima del mondialeAlessandro Silvain collaborazione con Alfa Blue TeamMilano, 24 gennaio 2009

84 Strumento o sogno. Il messaggiopubblicitario dell’automobile in Europa e Usa 1888-1970Aldo Zanain collaborazione con CMAEMilano, 29 novembre 2008

83 La Formula Junior cinquanta annidopo 1958-2008Andrea CuramiMonza, 7 giugno 2008

82 Alle radici del mito. Giuseppe Merosi,l’Alfa Romeo e il PortelloConferenza Aisa-CpaePiacenza, 11 maggio 2008

81 I primi veicoli in Italia 1882-1899Conferenza Aisa-Historic Club SchioVicenza, 29 marzo 2008

80 Automobili made in Italy.Più di un secolo tra miti e raritàTavola rotondaMuseo dell’Automobile Bonfanti-VimarRomano d’Ezzelino, 1 marzo 2008

79 Aisa 20 anni 1988-2008Riedizione della Monografia 1I progettisti della Fiat nei primi 40anni: da Faccioli a Fessiadi Dante GiacosaMilano, 15 marzo 2008

78 Vittorio Valletta e la FiatTavola rotonda Aisa-FiatTorino, 1 dicembre 2007

77 Dalla Bianchi alla BianchinaAlessandro ColomboMilano, 16 settembre 2007

76 60 anni dal Circuito di Piacenza,debutto della Ferrari Tavola rotonda Aisa-CpaePalazzo Farnese, Piacenza, 16 giugno 2007

75 Giuseppe Luraghi nella storiadell’industria automobilistica italianaTavola rotonda Aisa-Ise UniversitàBocconiUniversità Bocconi, Milano, 26 maggio 2007

74 La Pechino-Parigi degli altriAntonio AmadelliPalazzo Turati, Milano, 24 marzo 2007

73 Laverda, le moto le corseTavola rotondaUniversità di Vicenza, 3 marzo 2007

72 100 anni di LanciaTavola rotondaMuseo Nicolis, Villafranca,25 novembre 2006

71 1950-1965. Lo stile italianoalla conquista dell’EuropaLorenzo RamaciottiMilano, 14 ottobre 2006

70 Fiat 124 Sport Spider, 40 annitra attualità e storiaTavola RotondaTorino, 21 maggio 2006

69 L’evoluzione della tecnicamotociclistica in 120 anniAlessandro ColomboMilano, 25 marzo 2006

68 Dalle corse alla serie: l’esperienzaPirelli nelle competizioniMario MezzanotteMilano, 25 febbraio 2006

67 Giulio Carcano, il grande progettistadella Moto GuzziAlessandro Colombo, Augusto Farneti,Stefano MilaniMilano, 26 novembre 2005 (con la collaborazione del CMAE)

66 Corse Grand Prix e Formule Libre1945-1949Alessandro SilvaTorino, 22 ottobre 2005

65 Ascari. Un mito italianoTavola rotondaMilano, 28 maggio 2005

64 Itala, splendore e declino di unamarca prestigiosaDonatella BiffignandiMilano, 12 marzo 2005

63 Piloti italiani: gli anni del boomTavola RotondaAutodromo di Monza, 29 gennaio 2005

62 Autodelta, dieci anni di successiTavola rotondaArese, Museo Alfa Romeo,23 ottobre 2004

61 Carlo Felice Bianchi Anderloni:l’uomo e l’operaTavola rotondaMuseo dell’Automobile Bonfanti-VimarRomano d’Ezzelino, 8 maggio 2004

60 I mille giorni di Bernd RosemeyerAldo ZanaMilano, 20 marzo 2004

59 Moto e corse: gli anni SettantaTavola rotondaMilano, 29 novembre 2003

58 Le automobili che hanno fattola storia della Fiat.Progressi della motorizzazionee società italiana.Giorgio Valentini, Lorenzo BoscarelliMilano, 7 giugno 2003

57 Dalla carrozza all’automobile Aspetti, Boscarelli, Pronti Piacenza, 22 marzo 2003

56 Le moto pluricilindricheStefano MilaniMilano, 30 novembre 2002

55 Carrozzeria Bertone 1912 - 2002Tavola rotondaTorino, 30 ottobre 2002

54 L’ingegner Piero Puricellie le autostradeFrancesco OgliariMilano, 18 maggio 2002

53 Come correvamo negli anni CinquantaTavola rotondaMilano, 12 gennaio 2002

52 L’evoluzione dell’auto fra tecnicae designSandro ColomboVerona, 8 ottobre 2001

51 Quarant’anni di evoluzionedelle monoposto di formulaGiampaolo DallaraMilano, 8 maggio 2001

50 Carrozzeria Ghia - Design a tutto campoTavola rotondaMilano, 24 marzo 2001

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49 Moto e Piloti Italiani - Campionidel Mondo 1950Alessandro Colombo Milano, 2 dicembre 2000

48 1950: le nuove proposte Alfa Romeo1900, Fiat 1400, Lancia AureliaGiorgio ValentiniMilano, 8 ottobre 2000

47 Come nasce un’automobilenegli anni 2000Tavola rotondaTorino, 23 settembre 2000

46 Maserati 3500 GT - una svolta apertaal mondoThe Maserati 3500 GT (English text).Giulio AlfieriMilano, 12 aprile 2000

45 Lancia StratosPierugo GobbatoMilano, 11 marzo 2000

44 Il record assoluto di velocità su terraGli anni d’oro: 1927-1939Ugo Fadini Milano, 21 ottobre 1999

43 L’aerodinamica negli anni Venti e TrentaTeorie e sperimentazioniFranz EnglerMilano, 4 giugno 1999

42 Adalberto Garelli e le suerivoluzionarie due tempiAugusto FarnetiMilano, 17 aprile 1999

41 La Carrozzeria Zagato vista da...Tavola rotondaTrieste, 13 settembre 1998

40 Tenni e Varzi nel cinquantenariodella loro scomparsaConvegnoMilano, 7 ottobre 1998

39 Il futurismo e l’automobileConvegnoMilano, 16 maggio 1998

38 I fratelli Maserati e la OSCATavola rotondaGenova, 22 febbraio 1998

37 Enzo Ferrari a cento anni dalla nascitaTavola rotondaMilano, 18 aprile 1998

36 La Carrozzeria Pininfarina vista da...Tavola rotondaTrieste, 14 settembre 1997

35 Passato e presente dell’auto elettricaTavola rotondaMilano, 26 maggio 1997

34 Gli archivi di disegni automobilisticiTavola rotondaMilano, 19 aprile 1997

33 D’Annunzio e l’automobileTavola rotondaMilano, 22 marzo 1997

32 Lancia - evoluzione e tradizioneVittorio FanoMilano, 30 novembre 1996

31 Gli aerei della Coppa SchneiderErmanno BazzocchiMilano, 26 ottobre 1996

30 I motori degli anni d’oro FerrariMauro ForghieriMilano, 24 settembre 1996

29 La Carrozzeria Touring vista da...Tavola rotondaTrieste, 15 settembre 1996

28 75-esimo Anniversario del 1° GranPremio d’ItaliaTavola rotondaBrescia, 5 settembre 1996

27 Ricordo di Ugo Gobbato 1945-1995Duccio BigazziMilano, 25 novembre 1995

26 Intensamente CisitaliaNino Balestra Milano, 28 ottobre 1995

25 Cesare Bossaglia: ricordie testimonianze a dieci anni dalla scomparsaTavola rotondaMilano, 21 ottobre 1995

24 Moto Guzzi e Gilera: due tecnichea confrontoAlessandro ColomboMuseo dell’Automobile Bonfanti-VimarRomano d’Ezzelino, 7 giugno 1995

23 Le Benelli bialbero (1931-1951)Augusto FarnetiMilano, 18 febbraio 1995

22 Tecniche e tecnologie innovativenelle vetture ItalaCarlo Otto BrambillaMilano, 8 ottobre 1994

21 I record italiani: la stagione di AbarthTavola rotondaMuseo dell’Automobile Bonfanti-VimarRomano d’Ezzelino, 16 aprile 1994

20 Lancia AureliaFrancesco De VirgilioMilano, 26 marzo 1994

19 Battista Pininfarina 1893-1993Tavola rotondaTorino, 29 ottobre 1993

18 Antonio Chiribiri, pionieredel motorismo italianoGiovanni ChiribiriMilano, 27 marzo 1993

17 Gilera 4 - Tecnica e storiaSandro ColomboMilano, 13 febbraio 1993

16 Tazio Nuvolari tra storia e leggendaTavola rotondaMilano, 17 ottobre 1992

15 La vocazione automobilisticadi Torino: l’industria, il Salone,il Museo, il designAlberto BersaniMilano, 21 settembre 1992

14 Pubblicità auto sui quotidiani(1919-1940)Enrico PortalupiMilano, 28 marzo 1992

13 La nascita dell’AlfasudRudolf Hruska e Domenico ChiricoMilano, 13 giugno 1991

12 Tre vetture da competizione:esperienze di un progettistaindipendenteGiorgio ValentiniMilano, 20 aprile 1991

11 Aspetti meno noti delle produzioniAlfa Romeo: i veicoli industrialiCarlo F. Zampini SalazarMilano, 24 novembre 1990

10 Mezzo secolo di corse automobilistichenei ricordi di un pilotaGiovanni Lurani-Cernuschi Milano, 20 giugno 1990

9 L’evoluzione del concetto di sicurezzanella storia dell’automobile Tavola rotondaTorino, 28 aprile 1990

8 Teoria e storia del desmodromicoDucatiFabio TaglioniMilano, 25 novembre 1989

7 Archivi di storia dell’automobileConvegnoMilano, 27 ottobre 1989

6 La progettazione automobilisticaprima e dopo l’avvento del computerTavola rotondaMilano, 10 giugno 1989

5 Il rapporto fra estetica e funzionalitànella storia della carrozzeria italianaTavola rotondaTorino, 18 febbraio 1989

4 Le moto Guzzi da corsa degli anniCinquanta: da uno a otto cilindriGiulio CarcanoMilano, 5 novembre 1988

3 Maserati Birdcage, una rispostaai bisogniGiulio AlfieriTorino, 30 aprile 1988

2 Alfa Romeo: dalle trazioni anterioridi Satta alla 164Giuseppe BussoMilano, 8 ottobre 1987

1 I progettisti della Fiat nei primi 40anni: da Faccioli a FessiaDante GiacosaTorino, 9 luglio 1987

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© AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile (dicembre 2011)

Si ringraziano per la collaborazione:Carlo Anselmi, Donatella Biffignandi, Gianni Cancellieri, Giovanni Catone, Cristina e Marianna Curami,

Fondazione Casa Natale Enzo Ferrari, Franco Lombardi, Eric Maggiar, Edoardo Magnone- Registro Fiat, Mauro Negri, Sergio Puttini, Aldo Rizzi, Angelo Ruffini, Ruoteclassiche-EditorialeDomus, Gippo Salvetti, Maurizio Tabucchi- EpocAuto, Antonio Testa.

Editing: Aldo Zana - Grafica: Studio Mantero - Stampa: Ba.ia Arti Grafiche, Usmate (Milano)

AISAAssociazione Italiana per la Storia dell’Automobile

Aisa è l’associazione culturale che dal 1988 promuovestudi e ricerche sulla storia e sulla cultura dell’automo-bile, della moto e di altri mezzi di trasporto. I suoi soci sono persone, enti, associazioni o societàche condividono questo interesse per passione o ragio-ni professionali. L’obiettivo fondante dell’Aisa è la salvaguardia di unpatrimonio di irripetibili esperienze vissute e di docu-menti di grande interesse storico.Nella sua attività, l’Associazione ha coinvolto protago-nisti di primo piano e testimoni privilegiati del mondodell’auto e della moto: sono state organizzate confe-renze e tavole rotonde, il cui contenuto è registratonelle Monografie distribuite ai soci. La qualità e quanti-tà delle informazioni e dei documenti delle Monografiene fanno un riferimento di grande valore.

Per diventare soci è sufficiente compilare l’appositarichiesta sul sito dell’Associazione: www.aisastoryauto.it

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AISA ·Associazione Italiana per la Storia dell’AutomobileC.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it M O N O G R A F I A A I S A 9 3

Materiali e metodologie per la storiografia dell’automobileGiornata in onore di Andrea Curami e Angelo Tito Anselmi

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