ADRIANA CELA Unaltra vita. Scrivere è sempre stata una sua grande passione.

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Scrivere è sempre stata una sua grande passione

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Quella lunga notte d'inverno abbiamo

progettato la nostra vita insieme

Ci serviva poco,molto poco: un lavoro per lui, una casa in affitto e pochi soldi. Quei soldi che non avevo né io,né lui e nemmeno i nostri genitori. Lui è ritornato in Italia per lavorare e per mettere da parte quello che ci serviva.

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Io invece avevo un lavoro che mi piaceva, facevo l’insegnante e adoravo i miei piccoli alunni. Ero tra di loro quando ho ricevuto la

sua telefonata: mi ha detto che gli mancavo, che la solitudine lo stava divorando, che

faceva fatica mettere da parte quello che ci serviva e poi: “Mi vuoi raggiungere?”…….

…in quel secondo ho pensato a mille cose: ai miei genitori, i miei amici, il mio lavoro, il

mio mondo…ma la sua voce commossa dall’altra parte del telefono era più

importante di tutti.

Si,-ho detto!

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Circa sei mesi dopo, una sera d’ottobre insieme a lui ho preso il traghetto e via verso

l’Italia!A differenza degli altri, abbiamo mangiato al ristorante, abbiamo preso camera e avevamo tante speranze, ma io non ero tranquilla. In

camera mi mancava l’aria, la soffitta era a un palmo dal naso, è vero, ma anche fuori dalla

camera non stavo meglio. Una mano invisibile mi aveva buttato addosso una malinconia

senza fine A Bari abbiamo preso il treno, il viaggio era lungo e noi stanchi. Lui si è messo a dormire mentre io cercavo di trovare risposte a mille

domande senza risposta. Il mio viaggio è stato tranquillo, diverso da

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quello delle migliaia di ragazzi che hanno viaggiato in gommone, nascosti nei camion e sui traghetti, minacciati, pestati, seguiti

dalla polizia, ragazzi che viaggiavano contro la loro volontà, senza speranze,

senza futuro…Io invece viaggiavo accanto a mio marito

( sì, mio marito, vabbé ci siamo sposati per fare un piacere ai nostri genitori, ma ci saremmo sposati lo stesso più avanti) e

tutti i miei sogni svanivano,i sogni di una vita insieme con tanti progetti

da realizzare e tanto amore.Lui dormiva lì accanto a me mentre

viaggiavamo verso la nostra casa, la casa

che avevo sognata

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che avrei arredata come mi piaceva,tutto progettato da noi, solo da noi, senza

l’influenza dei nostri genitori. Immaginavo come si saremo divertiti, tutta la notte fuori senza qualcuno che ci aspettava sveglio, ma

essere insieme era la cosa più importante perché io senza di lui non sapevo vivere. Lui

era quello che mi mancava, quello che m’integrava, in poche parole “l’altra metà

della mela”. L’altra metà della mela dormiva lì accanto a me, e io stavo male,tanto male,mi mancava l’aria, volevo urlare

“basta”! Ma basta cosa? Cosa non andava? Cosa mi faceva perdere lacrime amare? Era

tutto come previsto, come sognato, ma

qualcosa non calcolata mi faceva male.

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Il mio viaggio è stato tranquillo, ‘tempestoso’ e dopo la tempesta, l’arcobaleno

(l’illuminazione).Lui non era “la metà della mela”, io e lui

eravamo la metà, l’altra meta era rimasta indietro nel paese delle mele e io mi sentivo

un quarto di mela buttata nel paese delle pere, del quale non sapevo niente. Per la

prima volta ho capito il vero significato della

parola ‘straniera’, che veniva usata tutti i giorni, cosi, senza sapere cosa significava in realtà. Per la prima volta e non l’ultima, mi sono sentita straniera. Come quella volta

quando non conoscevo gli attrezzi e mi hanno

chiesto:” Ma da voi non esiste nulla??

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o quando non ho apprezzato come dovevo la piadina, ma soprattutto quella sera d’estate fuori della mia

bella casa, nel giardino con mia figlia e mio marito, la brezza che ci

accarezzava il viso, le lucciole, le stelle, il profumo delle rose… e tutto

questo non mi ha fatto sentire meglio: ero una straniera, in una

casa straniera, in un paese straniero…

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“Ecco, questo è la nostra regione: Emilia Romagna”- mi ha sussurrato lui appena

svegliato. Ho guardato fuori dalla finestra, ho viste le pianure verdi e qualche casa qua e là; più avanti il mare, che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio, ci ha abbandonato. Stavo aspettando che il

treno si fermasse, ma abbiamo viaggiato più di un ora prima che mio marito

dicesse:”siamo arrivati,ecco Faenza la nostra città!”. Finalmente il treno si è

fermato e siamo scesi.

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Ero stanca , ma sono corsa fuori dalla stazione per vedere la mia casa. Ho guardato intorno e ho

visto una palazzina gialla, -“sarà lì la mia casa?”- ho pensato,- “o in quell’altro palazzo nascosto

tra gli alberi”? Erano tutte belle case, mi sarebbe piaciuto lì. Mi sono girata per chiederlo a mio marito, ma ho visto che stava conversando con un tassista, e la risposta me la sono data da

sola: nessuna di quelle case era la mia.

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. “Uffa - ho detto - sono stanca!” “Non ti preoccupare,

ha detto lui, tra 5 minuti ci siamo!” Il tassista ha preso una stradina stretta che andava giù per il bosco… “Ecco la nostra casa” - stavolta l’ho detto io.

Sembrava la casa dei sette nani, piccola,bella, circondata da fiori, e soprattutto in mezzo al bosco.

Non era quella che avevo sognato, ma comunque era bella e arredata con gusto.

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Circa una settimana dopo ha nevicato, la prima volta per me che

vedevo cosi tanta neve e ho giocato e mi sono divertita

tantissimo, ma il secondo giorno la neve era ancora li, anche il terzo,il quarto…Per una settimana siamo

rimasti chiusi sotto la neve, nessuno passava per pulire le

strade,mi sentivo dimenticata dal resto del mondo.

L’inverno in quella casa mi esauriva, ma almeno ero con mio marito, invece con il bell’ tempo

stavo ancora peggio

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Lui partiva la mattina presto e tornava alle 9 di sera, stanco e con i nervi a fior di pelle. Io dopo 18 ore a parlare

da sola volevo parlare con lui, chiedere delle cose, uscire,

divertirmi…le risposte erano sempre le stesse: cena immangiabile, vestiti

stirati male, sono stanco, non ho voglia di uscire e cosi via…

Litigi continui, mancanza della mia famiglia, una casa che avevo sognato

tanto adesso la dovevo mandare avanti: lavare, stirare, cucinare, pulire

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cose che non avevo mai fatto in vita mia e all’improvviso dovevo

imparare di colpo. Quella casa ora era diventata la mia prigione!

Erano mesi che la primavera mi chiamava fuori, ma io non

rispondevo, stavo al buio con le tapparelle chiuse e con le orecchie tese a sentire i rumori che venivano dal di fuori. Tutte le notti avevo gli

incubi , uomini pazzi che girovagavano nel bosco e all’

improvviso si trovavano davanti alla mia casa, io chiamavo aiuto e

nessuno mi sentiva.

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Cosicché durante il giorno quando sotto gli zoccoli degli animali si rompevano rametti

secchi, io tremavo al buio. Intorno alla mia casa girava di tutto: cinghiali, istrici, fagiani

seguiti dai loro piccoli, ma soprattutto caprioli, tanti

caprioli, grandi e piccoli. Quei bellissimi animali che pensavo esistessero solo nelle favole, erano lì fuori dalla mia porta,

ma la mia curiosità non ha mai vinto sulla paura.

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Alla fine io non ero Biancaneve, con i suoi nani e il principe nascosti lì da qualche parte, sempre pronti per

salvarla; io ero sola, in quella maledetta casa, sola.

Era agosto quando ho cominciato a tirare su le tapparelle, ho notato tanti

alberi, peschi, prugni e le viti che circondavano la casa, ma soprattutto ho notato delle rose, dopo dieci mesi

in quella casa. Mi sono messa anima e corpo a prendermi cura delle rose, potavo i fiori vecchi, l’innaffiavo,

toglievo le erbe cattive

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ed tutto il mio mondo girava intorno a loro, finché un giorno è apparso il

proprietario che mi ha ringraziato per il mio lavoro, ma ….:”tu sei straniera e

non lo sai,ma le rose vanno curate solo dal proprietario , altrimenti non

fioriscono più!” “- Non lo sapevo!”- ho risposto io, sono tornata a casa, ho

chiuso le tapparelle e sono rimasta li nel buio senza piangere per la rabbia e

senza sperare in qualcosa…

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La mia vita ormai era sconvolta , era un dvd rotto che non andava avanti e non

poteva tornare più indietro, la mia vita era lì nelle mie mani, con il respiro stanco,

mentre i sogni –il suo sangue - frantumati in mille pezzi abbandonavano il suo corpo.

Io impotente guardavo….!Una domenica pomeriggio siamo usciti a

prendere un gelato con amici di mio marito! Loro erano simpatici, gentili, ma io

mi sentivo una nullità. Davanti alla televisione l’italiano mi sembrava cosi

facile,ma nel comunicare con qualcuno ero un disastro! Mi facevano delle domande, volevano sapere come mi trovavo, come

mi sentivo ecc.

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ma il tempo di preparare la risposta in mente, mi avevano già fatto un’altra domanda. Quel

pomeriggio più che divertente è stato un disastro, non ho mangiato neanche il mio gelato alla

fragola, si è sciolto lì nella tazza. Cosa avrebbero pensato loro di me, forse gli era passata anche la

voglia di vedersi un'altra volta come avevano promesso all’inizio, ma soprattutto lui (mio

marito) cosa pensava? Si vergognava di me? “No,”- mi ha detto –“sei stata brava” (brava come

un cucciolo,ho pensato) “e pian-piano imparerai!” Alla fine ero una maestra che aveva

studiato ”La Divina Commedia”, possibile che non

riuscissi a parlare la lingua di Dante…?

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Io stavo male… e non c’era nessuno, proprio nessuno, ah sì, c’era mia mamma tutte le notti nei miei sogni, che mi allungava le mani dietro sbarre di ferro che la spostavano nello spazio verso la mia casa, finché si trasformava in un

punto invisibile. Mi svegliavo e un'altra volta ero sola !

Andare via da quella casa era la cosa più intelligente da fare e pensavo che bastasse così

poco per ricominciare una vita nuova… Abbiamo affittato un appartamento a Riolo Terme, sopra all’appartamento della signora

Pina (quant’è dolce quella signora, non dimenticherò mai la sua faccia sorridente ), ho

conosciuto i miei primi amici: Margherita e Andrea, ho cominciato ad uscire di più, lavorare

all’albergo da Giuliana e soprattutto fare

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delle lunghe passeggiate sulle colline. Mi piaceva sedermi lassù e guardare dall’alto la città e la immaginavo come se fosse la

mia città: ecco, lì è la mia casa, quell’ edificio lungo è il lavoro di papà, loro

(mamma e papà) sono lì, stanno lavorando insieme, ecco la scuola, la biblioteca, il

negozio di mia zia… mi divertivo così, ma il ritorno alla realtà era duro, sapevo che laggiù avrei trovato solo il sorriso caldo della sig. Pina, nient’altro. E giorno dopo

giorno speravo di stare meglio, di abituarmi e di farmi una ragione,ma non è andata cosi…Sì, lo so state pensando che

sono una incontentabile, anch’io me lo

sono detto mille volte,

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ma sapere che la tua nonna che sta per morire ti chiama e prega in continuazione per

vederti…non è facile, come fai ad accontentarti? Io ero la sua nipote preferita e

lei l’aveva detto che la mia lontananza l’avrebbe fatta morire. Stava succedendo

esattamente cosi ! A me bastava il silenzio di papà dall’altra parte del telefono per capire

come stava lei e per sentire in continuazione la sua voce che mi chiamava.

I miei nonni avevano vissuto sempre in casa con noi, mia mamma si era sempre presa

cura di loro, anche adesso (che non c’ero) io vedevo lei che correva sempre avanti-indietro

ad ospitare tutti i parenti che venivano,

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mentre correva a consolare il nonno, il papà, e durante la notte stava vicino

alla nonna, le parlava di me, che stavo bene, che presto sarei tornata e che

loro mi mancavano. Immaginavo papà che le sentiva nell’altra camera e mentre mordeva il labro per non

piangere era orgoglioso di sua moglie come nessun altro uomo. Per tre lunghi

mesi giorno e notte sentivo la nonna che mi chiamava da tutti gli angoli della casa …e poi è morta, dopo di lei anche il nonno non è riuscito a sopravvivere al

dispiacere.

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Quando l’ho saputo, la prima domanda che mi sono fatta è stata: e se mi avesse visto sarebbe morta lo stesso? E se l’avessi imboccata io? (quando era malata lei

mangiava solo se veniva imboccata da me, cosa che alle zie faceva tanta rabbia,e lei rideva…ridevamo insieme per la nostra

complicità .) Adesso non c’era più, c’erano solo i rimorsi, tanti rimorsi, una mamma sola, e un papà disperato, nessuno che li poteva

consolare. Io mi sentivo prigioniera e cercavo di allontanare la voglia che avevo di strappare quei maledetti documenti che erano buoni solo

per farci girare negli uffici e pagare le tasse

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ma per attraversare i confini non bastavano mai e dovevamo aspettare mesi e mesi prima

di essere liberi. Era un mattino freddo d’autunno, mi stavo preparando per andare al lavoro. Sono uscita e ho guardato le montagne all’orizzonte che

sofferenti portavano in testa nubi nere e immobili. Il sole raccoglieva le sue forze e

sparava raggi giallo-oro in tutte le direzioni, sapeva che era una battaglia persa, ma lui, il

comandante non si poteva arrendere anche se era rimasto solo, e avrebbe continuato la sua guerra anche durante l’inverno, spazzando via

le nubi e regalando gioia come regala speranze un ribelle che evade dalla prigione di

un tiranno.

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Avrebbe continuato a lottare da solo, le nubi l’avrebbero avvolto in un lenzuolo

grigio come se fosse morto, ma lui sarebbe risorto rompendo quel lenzuolo

di malinconia e regalando colori. Prometteva: ”Poco, manca poco!”, e la sua squadra sarebbe stata al completo, il verde sarebbe spuntato dappertutto,

l’inverno avrebbe messo le mani davanti al viso e urla di disperazione

avrebbero fatto mancare il fiato. I fiori avrebbero ballato sulla sua testa…

mentre lui si scioglie e va via.

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Adesso il sole è in difficoltà, vede gli ultimi “soldati”- le foglie che abbandonano la guerra

e girano in aria come farfalle gialle e rosse che si rincorrono l’un l’altra e pian piano si posano per terra. Danno l’impressione di

essere quasi felici, forse contente di arrendersi da questo battimento inutile

quando sapevano già che la battaglia era persa, oppure era il senso di colpa che il sole voleva scaraventare via per la morte dei suoi

soldati. Mentre passavo in mezzo ai corpi senza vita delle foglie, ho vista una signora

traballare e con le mani cercava di appoggiarsi all’albero, sono scesa dalla

bicicletta e l’ho fatta sedere su una panchina.

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Mi ha dato il numero e io ho chiamato sua figlia, mentre aspettavamo la signora mi ha chiesto di dov’ero,come mi chiamavo ecc. e poi:”Ma tuo marito è di qua però?” Quella domanda l’avevo sentito e risentito mille

volte,non avevo mai colto il significato,ma non mi piaceva! Perché mio marito doveva

essere di qua a tutti i costi? Arriva la figlia che mi ha ringraziato e mi

ha fatto le stesse domande della mamma. Ma l’immancabile domanda se mio marito era di

qua,lei la formulato al modo suo:”Ma suo marito è uno di noi?” “No,viene dallo spazio, è un alieno come me!”, -ho risposto (ma solo dentro di me), in realtà a lei ho risposto che

veniva dall’Albania come me.

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Questo non mi andava giù,ma perché tutti speravano che io avessi un uomo “di

qua”,perché così forse sarei cambiata, così avrei dimenticato le mie tradizioni, la mia

famiglia non sarebbe “così straniera”, sarebbe a metà. Perché non ci volevano accettare così come eravamo con le nostre diversità perché dovevamo essere uguali a tutti i costi, anche se pensarci bene la diversità non c’è. Quello che è successo con il ragazzo della banca mi ha buttato per aria le speranze che prima o

poi ci avrebbero accettato.In banca la fila sembrava una siepe lungo il fiume,come se non bastasse c’era un solo

sportello aperto. gridava:”sono bello!”

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” Il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato:” La canzone di Gianna Nannini

“meravigliosa creatura” è stata scritta per lui!” Lui era cosi fiero e sicuro di se stesso che sembrava che non gl’importava niente delle sue mani che non riuscivano a finire nessun’ operazione. Prendeva su i fogli, li spostava,li

sfogliava, ancora su, destra-sinistra, e continuava a regalare sorrisi al cliente

scocciato che aveva davanti e a tutta la fila. Alla fine in suo aiuto è corsa una collega,ma

appena la collega si è allontanata ,lui ha ricominciato a fare girare i fogli a vuoto.

Finalmente toccava a me,avevo perso tutta la

pazienza e pregavo di finire in fretta.

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.Il suo sorriso era ancora lì, come un’ora prima, con tutti i bei denti in mostra. Mi ha

salutato come se mi conoscesse da una vita e quando ho finito anche a me sembrava di

conoscerla da una vita per tutto il tempo che c’aveva messo. Quel pomeriggio mentre

passavo davanti ad un bar, sento che qualcuno mi chiamava. Era lui. Mi ha stupito il fatto che ricordava il mio nome e soprattutto cosa voleva da me. Mi ha chiesto scusa per il disturbo e se volevo uscire con lui, perché ero

carina, simpatica e molto interessante. L’affascinava il fatto che ero straniera,una

cultura diversa,un modo di fare diverso e che

mi aveva pensato durante il giorno.

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Mentre sicuro di sé continuava a parlare di cose che non riusciva neanche lui ad afferrare

il concetto,io facevo fatica a trattenere un sorriso e pensavo:” ecco,adesso si dichiara anche innamorato”. L’ho interrotto dicendo

che ero felicemente sposata e che non avevo intenzione di uscire con lui. “Ah, -fece ui,-

spero vivamente che tuo marito sia di qua, perché non è giusto che una ragazza giovane e bella come te abbia un marito straniero che non l’apprezza quanto deve e non puoi fare sempre una vita da straniera, non sarai mai integrata se hai a fianco un uomo straniero”

Per la prima volta ho sentito la voglia

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di mettere le mani addosso a qualcuno,volevo urlare che lui era uno stronzo che non si

doveva permettere,che ero apprezzata da mio marito più di quando lui immaginava ,che mi sentivo integrata,che…ma lui non avrebbe

capito niente di tutto questo,anzi il suo sorriso stupido era ancora li. Gli ho dato una spinta e l’ho chiamato deficiente, sono corsa a casa,

ho chiuse le tapparelle e ancora un’altra volta dopo tre anni mi sono rannicchiata in un

angolo buio a piangere e chiedermi di cosa

c’era di cosi difficile da capire.