Adriana Lisboa / Hanoi / estratto

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Un estratto di Hanoi

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  • Adriana Lisboa Hanoi

    romanzo

    Traduzione dal portoghese (Brasile)di Gian Luigi De Rosa

  • 91

    Qualcuno aveva raccontato a David la storia di quel tipo a cui avevano diagnosticato una malattia grave, il dottore gli aveva dato soltanto un anno di vita: il malato lasci il lavoro, vendette tutto ci che aveva e lo spese in un festone di di-mensioni epiche. Dopo un po, per, si scopr che la diagnosi era errata. Sembra anche che il medico fu processato, ma da quel punto in poi la storia perdeva dinteresse per David.

    Ci pensava mentre osservava loncologo che prendeva lelefantino di pietra verde dallo scaffale e lo rigirava tra le mani mentre parlava. Era come se stessero l a discutere del caso dellelefantino di pietra, non di David. Cure possibili. Un mese in pi, un mese in meno, a seconda di questo o di quello.

    Il dottore esamin la proboscide dellelefantino, le zam-pe. Gir lanimale da un lato, dallaltro. Disse qualcosa sulla chemioterapia (che nel suo caso non consigliava, e perch) e sulla radioterapia (che nel suo caso consigliava, e perch).

    Dal fondo delloceano di silenzio dove era immerso, Da-vid ebbe per un istante limpressione che lelefantino avreb-be risposto. Il suo nuovo portavoce di pietra verde, avrebbe parlato con un filo di voce, dura e misurata, poich le parole di David sembravano essersi infilate dentro un cassetto in qualche angolo del suo cervello malato, e per la fretta e il disordine non riusciva proprio a trovarle.

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    David aveva letto su una rivista, molti anni prima, che gli elefanti abbandonano il branco quando sentono che la morte vicina e, da soli, vanno alla ricerca di un posto dove possano trovare facilmente acqua e riparo. I denti diventano fragili, perdono lefficienza di altri periodi della vita, e gli animali cercano zone paludose dove, ad esempio, trovano il cibo gi ammorbidito. Sembra sia questa lorigine del mito del cimite-ro degli elefanti. Soltanto una coincidenza geografica provo-cata dai disagi dellultima fase della vita. Era l che gli animali vedevano lultima alba ed esalavano lultimo respiro di quel corpo enorme che prima sembrava quasi indistruttibile. Gli elefanti non dovrebbero morire, non vero? Gli elefanti do-vrebbero vivere per sempre. Ma morivano, e sopravvivevano come carcasse, poi come ossa, poi quel che restava delle ossa. Frammenti. Piccoli segni sul terreno.

    Finita la visita, strinse con la sua mano fredda la mano tie-pida e sicura del dottore. Segu linfermiera e and a esple-tare tutte le formalit che ancora cerano, la stessa routine di sempre, lo stesso susseguirsi delle cose.

    Cerano carte da firmare, piccoli ringraziamenti da fare con sorrisi che non erano sorrisi, erano soltanto contrazioni dei muscoli del volto. Pens al bocchino della tromba. Sistema i muscoli in questo modo, mettici la giusta pressione, non di pi, non di meno, e soffia.

    Non si strapp le vesti, n usc gridando per strada, facen-do ormai parte di un gruppo di persone alle quali si permet-teva, a conti fatti, una certa mancanza di senno. Non tocc neanche il culo dellinfermiera che faceva di tutto per fingere di non esser bella e si nascondeva dietro un camice con lim-magine di Pluto. Non sal sul tetto dellospedale. Lunica cosa che fece fu cercare un bar l vicino, sorpreso di come tutto continuava uguale a prima. Il cielo non era diventato aran-

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    cione, la terra non tremava e non cera neanche Godzilla che calpestava automobili.

    Era evidente, in quel momento, che il mondo si teneva alla larga dal suo dramma. Erano le persone a dare aggettivi alle cose, che altrimenti sarebbero state soltanto cose, n sempli-ci, n complicate, n facili, n difficili, n giuste, n ingiuste.

    La lista mostratagli dalloncologo, ad esempio, era soltanto una lista, composta da ci che gi stava diventando, poco alla volta, tranquillamente, fischiettando, la nuova condizione del corpo di David.

    In fondo, in termini di universo osservabile, argomento che leggeva sempre con interesse nellinserto scientifico del giornale, sarebbe passato cos velocemente come una stella cadente. Chiudi gli occhi, puf! Fine del gioco. I suoi trenta-due anni si potevano paragonare alla miliardesima parte del-la miliardesima parte di un secondo, tempo di vita di quelle particelle subatomiche descritte nellultimo inserto. Messi in prospettiva, in una prospettiva di miliardi di anni, lui e le particelle subatomiche erano cugini. Duravano quanto un sospiro.

    E pensare che da qualche parte sulla terra un turista idio-ta star chiedendo alla sua guida se il succo di frutta offer-togli da quellomino di colore, in quel paese straniero, sia stato preparato con lacqua minerale, come nella storia che quella sua collega di lavoro, appena rientrata da un viaggio, aveva raccontato qualche giorno prima la guida gli aveva detto di s, chiaramente, anche se era ovvio il contrario, chia-ramente, ma largomento era cos assurdo da non meritare molto di pi di quel modesto teatrino inscenato da un attore semiprofessionista.

    E pensare che il giorno prima soltanto il giorno prima!

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    David stava aiutando, con grande impegno, una cliente a sce-gliere il miglior water per la ristrutturazione del suo bagno. Un water solo un oggetto di ceramica con funzioni pretta-mente pratiche che si mette in bagno, nientaltro che questo. Prendine uno qualsiasi, per lamor di Dio! Uno vale laltro.

    Tutte queste cose adesso facevano parte del mondo dei sogni: viaggi, turisti, acqua minerale, water. Una nuvola di polvere le imbiancava.

    Allo stesso tempo tutto era, per la prima volta, normale. Erano solo sostantivi. Niente al confronto di un medico che rigira tra le mani un elefantino di pietra, mentre elenca nu-meri e sintomi.

    Lautodifesa del mollusco di fronte allinvasione di un cor-po estraneo nota come perla. Quando ti dicono che lul-timo sorso, pens David, ti fermi, affini i sensi e senti per la prima volta il sapore di quello che bevi.

    Quello stesso giorno, qualche ora pi tardi, il proprietario di un piccolo minimarket asiatico a Little Vietnam riprese la ragazza alla cassa, dicendole che era di cattivo umore e che il suo cattivo umore non giovava agli affari.

    Nel supermercato sulla Broadway (il cui nome preferiva non dire, forse per superstizione), i dipendenti sono sempre gentili e sono sempre sorridenti, concluse.

    La ragazza alla cassa guard i dolci della Mais Bakery e della Yen Huong Bakery. Le tante e tante confezioni di spa-ghetti di riso e di t dimagrante al ginseng. I sacchetti con i semini di urucum, ht i u mu, in promozione. Le tortine di bnh da ln, i dolci di tapioca freschi, sistemati dietro la vetri-na. Sospir.

    Si chiamava Alex. Un nome occidentale per un volto al cinquanta per cento. A prima vista non si riusciva a capire

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    da dove venisse. Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto sono proprio di qui, sono nata e cresciuta a Chicago, anzi raramente ho messo piede fuori da qui.

    Gi il suo datore di lavoro, che adesso aveva voglia di man-dare a quel paese, veniva da fuori come gran parte dei pro-dotti accatastati negli scaffali del minimarket. Cos come le conserve di jaca e di guava.

    Si chiamava Trung. Aveva esportato se stesso trentanni prima, con qualche francobollo ufficiale (soltanto qualcuno).

    La giornata di Alex non stava andando per niente bene. Suo figlio era raffreddato e, invece di portarlo a scuola, ave-va dovuto lasciarlo a casa dellamica alla quale ricorreva in questi momenti Rita, una sua amica dai tempi della scuola, che adesso si guadagnava da vivere badando ai bambini, por-tando a spasso i cani di persone troppo impegnate per poter portare a spasso i loro cani e dando ripetizioni di matematica ad adolescenti che detestavano la matematica.

    Era stanca. Suo figlio si era svegliato pi volte durante la notte, e quando stava per far giorno un incubo laveva but-tata gi dal letto col cuore a mille, come se dovesse prendere rapidamente una decisione (ma quale decisione?) su qualco-sa (ma cosa?). Era il peggior tipo di incubo. Quello in cui la paura fluttua nellaria come un odore, senza che tu sappia da dove viene o a cosa si riferisce. Senza che tu sappia davvero di cosa aver paura.

    Faceva caldo l dentro, nel minimarket asiatico. Trung po-teva andare a quel paese, lo stipendio che le dava non com-prendeva sorrisi di cortesia. Avrebbe sorriso se ne avesse avu-to voglia.

    Ma chiaramente non voleva davvero mandarlo a quel pa-ese. Trung era un uomo gentile e un gran lavoratore. Alex

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    spesso si chiedeva quante ore dormisse la notte. Aveva delle occhiaie cos profonde che sembrava come se qualcuno lo avesse truccato per una pice teatrale. Come se avesse voluto metterle in evidenza per aver la certezza che il pubblico le notasse.

    Una volta le aveva raccontato che dormiva nel vagone della metropolitana che lo portava a casa e che mai, neanche una volta in diciassette anni sin dal giorno in cui aveva aperto le porte del minimarket per la prima volta, con assaggi gratuiti e sconti da inaugurazione aveva superato la sua fermata. Credeva che una parte del suo cervello restasse sveglia, sape-va quanto tempo passava da quando saliva fino al momento in cui doveva alzarsi e scendere. Una piccola sveglia interna, regolata a seconda dei bisogni, come tante altre cose.

    Trung aveva dato lavoro ad Alex per lamicizia con sua ma-dre. Qualcosa in pi di unamicizia. Pensava che Alex non si fosse accorta di come trattava la madre quando suo padre non cera, sin dai tempi in cui erano vicini di casa e Alex era ancora una bambina.

    Quando il pap di Alex mor, cos presto, lei pens (lo pensarono tutti) che sua madre e Trung si sarebbero sposati, come una cosa che alla fine trova il suo posto, che si accomo-da da un lato, dallaltro, affonda un po e resta l, occupando in modo ancora pi tranquillo il suo posto, tranquillo per definizione, nel mondo: niente che possa causare terremoti n scompiglio, qualcosa della stessa natura del sassolino che rotola per qualche centimetro con la pioggia e si ferma. E rimane l immobile, senza pensare a nulla, senza aver bisogno di nulla.

    Ma non si sposarono e dopo un po Alex ebbe Bruno, e le cose si complicarono. Quando finalmente sembrava che Alex sarebbe riuscita a cavarsela da sola, Huong, sua madre,

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    e Linh, sua nonna, lasciarono Chicago e andarono a vivere a cinque ore da l, in una cittadina di quindicimila abitanti. Cera da aspettarselo. Non erano fatte per i milioni di abi-tanti. Non si sentivano a loro agio nella grande citt, per il ritmo, per il rumore, per la mancanza di spazio, e neanche due decenni passati l le avevano convinte.

    Trung diceva che era normale, venivano da un paese agri-colo. Lavoravano in campagna in un paese agricolo devastato dalla guerra.

    Anche tu vieni dallo stesso paese agricolo, gli rispondeva Alex.

    S, anchio, diceva lui. Ma il mio caso diverso.Il caso di Trung era stato davvero diverso. Peggiore, forse.

    Ma non cera una bilancia per soppesare queste cose. Come che il cuore e lo stomaco e i piedi e le altre parti del cor-po fanno male in maniera diversa a ognuno di noi? Qual il nostro grado di tolleranza del dolore?

    Resilienza, pensava Alex. In fisica, da sempre una delle sue materie preferite, la resilienza la capacit di un corpo di riprendere, dopo un urto o una deformazione, il suo aspetto originale.

    Ma allora non era esattamente resilienza, giusto? Siamo si-curi che i corpi, quei corpi, avessero ripreso il loro aspetto originale?

    Huong aveva trovato lavoro nel centro ricreativo della cit-tadina di quindicimila anime, dove guadagnava otto dollari lora. Tra tutte le cose possibili, probabili e improbabili, sco-pr che la sua vicina era vedova di un veterano della Guerra del Vietnam (la Guerra Americana).

    La vicina aveva alle pareti di casa fotografie del marito, e Alex immaginava sua madre e sua nonna soprattutto sua nonna che entravano l come chi entra in un museo della

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    memoria collettiva. Non si pu dire che abbiamo condiviso le stesse esperienze, questo no. Ma conosciamo bene il valore dei fiori secchi, delle lettere e delle fotografie che conservia-mo (soltanto per un periodo, nel nostro caso: finch erano sicure) e delle lettere che non abbiamo mai ricevuto e delle fotografie che non abbiamo mai scattato. Conosciamo bene persino il peso delle nostre menzogne e quanto le menzogne altrui abbiano pesato su di noi senza che potessimo far nulla. Andare avanti era la nostra unica possibilit: ecco qua, questa la tua strada, vai avanti.

    Ho trovato lavoro in un centro ricreativo, aveva raccontato Huong ad Alex in una delle telefonate in cui la figlia si sforza-va di parlare la lingua della madre, che ormai da molto tempo non poteva pi considerare sua, nonostante lavesse imparata a casa, insieme allinglese di suo padre e dei cartoni animati in televisione.

    Per adesso devo aiutare al bingo, fare corsi di ping-pong per la terza et (giocava divinamente a ping-pong, con tecnica e stile, anche se nelle lezioni che dava al centro ricreativo doveva contenersi ed essere pi didattica, pi mediocre) e organizzare la festa del gelato lultimo venerd di ogni mese, disse Huong. Mi hanno detto che devo scrivere su dei fogliettini quali sono i gelati fatti col latte e quali non lo sono. Quelli in cui ci sono arachidi o noci o castagne e quelli in cui non ci sono. Non ho mai capito perch qui la gente ha cos tanti tipi di allergie.

    Huong coltivava fiori nel giardino di casa, e ogni settimana ne metteva un mazzolino nel vaso di ceramica tutto storto che Alex aveva fatto da bambina. Riprendeva cos, come per chiudere un cerchio, una relazione che cera stata tra lei e la terra molto tempo prima. Ma allo stesso tempo tutto era cos diverso adesso. Coltivava fiori al posto del riso. Era molto

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    semplice. Bastavano un paio di guanti di plastica e una de-cina di attrezzi da giardinaggio, oltre a una conoscenza mi-nima delle esigenze di ogni specie di pianta. Ogni esemplare nel suo giardino era facilmente prevedibile, una volta capite quali fossero le sue esigenze di luce, acqua e concime. Non doveva pi rimanere immersa nella risaia fino alle ginocchia, la schiena piegata, il corpo coperto per proteggersi dal sole, sotto il cappello a cono, i pantaloni lunghi, le maniche lun-ghe, ad aiutare sua madre quando fu evidente che anche la scuola era territorio nemico. Ormai non aveva pi bisogno di coltivare per mangiare.

    Huong pretese che Alex finisse gli studi quando nacque Bruno. Fu un anno difficile ma arriv alla fine, e nel giorno del diploma di Alex le due festeggiarono con una bottiglia di sidro.

    Sembra un orso, disse Huong, quando vide Bruno che dor-miva su una coperta, a terra. Sembrava proprio un orsetto, con la pelle bruna e i capelli ricci e le gambine grassottelle e divari-cate che uscivano dal pannolino. Huong raccont che quando era piccola cera un orfanotrofio buddista vicino a casa sua. Dopo la guerra, le monache furono fatte prigioniere, e rima-sero prigioniere per diversi giorni, in qualche caso per diverse settimane. I bambini furono dati in adozione. La gente veniva a scegliere, disse, come se scegliesse prodotti al mercato. Por-tarono via prima i pi belli e in salute tra i vietnamiti puri. Poi, i meticci figli di soldati americani bianchi. Poi, i vietnamiti brutti o malati. E solo alla fine i meticci figli di soldati neri.

    Huong non era orfana di guerra. Diceva con orgoglio che non era stata abbandonata da sua madre lei no. Lei no.

    Le due restarono alla finestra, con gli avambracci appog-giati al parapetto, guardando il cielo che diventava scuro tar-di. Bevevano sidro nei calici che avevano ricevuto in regalo e

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    sui quali si leggeva il nome del produttore a caratteri dorati. Nel frattempo, Linh guardava un variet in televisione.

    Era stata unestate particolarmente calda, quella.

    Uscendo dallospedale, deciso a entrare nel primo bar che avesse trovato lungo la strada, David si ferm per ascoltare un ragazzo che suonava un pianoforte verticale. Doveva esser stato difficile portare un pianoforte in strada.

    Cerc di calcolare quanto denaro ci fosse dentro il bicchie-re di plastica sul pianoforte, tra monete e banconote arroto-late. Cont quante persone, oltre a lui, si erano fermate ad ascoltare.

    Il ragazzo doveva avere diciotto, diciannove anni. Era un elefante giovane, con denti sani, che mordevano il cibo con forza, strappando le foglie dagli alberi. David avrebbe potu-to tirar fuori dalla custodia la sua tromba (che per nessuna ragione aveva voluto portare con s quel giorno: era forse unamica per i momenti difficili?) e improvvisare un duetto con il pianista.

    Non avrebbero avuto bisogno di sapere i loro nomi, non avrebbero avuto bisogno neanche di spiccicare parola. Non cera bisogno di tradurre in ungherese o in cinese la musi-ca di Seven Steps to Heaven, ad esempio. David poteva prendere la tromba e il ragazzo mettersi al piano e sarebbero stati parte di un qualcosa. E se il pianista fosse stato, diciamo, cinese, e lui ungherese, meglio ancora, pens David: avreb-bero mischiato Orchidea Solitaria e Szerelem, Szerelem e qualsiasi altro brano gli fosse venuto in mente, con la pi totale libert. Il giovane elefante con i denti sani, ancora ca-pace di mordere il mondo, e lelefante che sincamminava precocemente verso la palude.

    Luomo di fianco a David muoveva la testa al ritmo della

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    musica. Era seduto su una sedia a rotelle e le sue gambe ter-minavano allaltezza delle ginocchia. Una donna guard Da-vid, si stamp un sorriso sul volto e lespressione universale di ammirazione condivisa. Portava occhiali da vista decorati con chiavi di violino rosse sulle stanghette. Dalla borsa tir fuori un po di soldi e li and a mettere nel bicchiere. Il ragaz-zo la guard e la ringrazi con un cenno della testa.

    David torn a pensare alla storia della diagnosi sbagliata, e al tipo che vendeva tutto quel che aveva, lasciava il lavoro, e tutto il resto.

    Era una storia plausibile, ma improbabile. Non cerano molti margini derrore, nel suo caso. I sintomi avevano gi collocato dei cartelli stradali, che dicevano per di qua. Car-telli stradali di limite di velocit, di strada senza uscita e con il rosso isterico dello stop. Di modo che non cera molta pos-sibilit di manovra. Era come una citt sotto assedio, piena di barricate e posti di blocco.

    Fu cos che il suo piano dazione si present gi pronto, organizzato e semplice, in quellistante, di sera, in mezzo alla strada.

    Non richiedeva muscoli possenti n denti affilati. Non ri-chiedeva elasticit n resistenza fuori dal comune. Non era il ruolo per lattore pi pagato di Hollywood, n per il pi bello dellanno. Era un ruolo per lui, David. Ben pi modesto di quello del malato che aveva denunciato il medico per la dia-gnosi errata. Ma anche cos aveva il suo fascino.

    * * *

    Apr il portafoglio, mise da parte un po di soldi, perch non si sa mai, e lasci il resto nel bicchiere di plastica sul pianoforte.

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    Quello che aveva non era molto. Non era mai molto era quello che Lisa aveva cercato di spiegargli durante tutti gli anni in cui erano stati insieme, mancando sempre il bersaglio, ma senza mai rendersene conto.

    In ogni modo, quel che mise dentro il bicchiere di plastica sul pianoforte doveva essere pi di quanto il pianista si aspet-tasse, e per la prima volta non aveva a che vedere con la soli-dariet del musicista anonimo, abituato a non essere nessuno in un mondo in cui pochi sono qualcuno.

    Dopo si gir di spalle, perch l finiva il suo contatto con il ragazzo al pianoforte. Un duo improvvisato sarebbe stato bello, ma adesso cera l il denaro, affinch il ragazzo ne fa-cesse quel che voleva.

    David entr in un bar e si sedette a un tavolino vicino al bancone. In televisione, unattrice famosa parlava con unin-tervistatrice dai capelli molto cotonati, e lintervistatrice di-ceva continuamente s, ma i suoi capelli non si muovevano. Lunico cliente oltre David era un uomo seduto da solo a un altro tavolino, di spalle al bancone, che non prestava atten-zione allattrice famosa e prendeva appunti su un quadernet-to con un mozzicone di matita, inumidendosi le dita sulla lingua quando doveva girare la pagina.

    Lanalgesico per un po avrebbe fatto effetto, secondo il medico. David chiese alla cameriera un caff e un bicchiere dacqua, e prese dalla tasca il medicinale.

    Mangia qualcosa? Gli chiese la cameriera.Do unocchiata al men.Oggi non serviamo il piatto del taglialegna, lo avvis. Sono

    finiti i funghi.Il caff era pessimo. Ciononostante lo bevve tutto e sul

    fondo della tazza rimase un cerchio marrone scuro. David guard, lesse il suo futuro in un attimo e quasi gli venne da

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    sorridere. Port le dita alle tempie e strinse. Gir i pollici nellincavo che formavano le ossa.

    Luomo con il quadernetto sinumid le dita sulla lingua e gir unaltra pagina.

    David prese il men ingiallito pronto a mangiare qualcosa e and a vedere, per curiosit, cosa fosse il piatto del taglia-legna. Uova strapazzate, formaggio cheddar, pancetta, pro-sciutto, funghi, pomodori e maionese. La descrizione gli fece venire la nausea. Sapeva che poteva succedere anche questo, nausea. Chiuse il men. La cameriera torn, qualche minuto dopo. Cosa le porto?

    Solo un altro po di caff.Torni domani e provi il piatto del taglialegna. davvero

    buono. il mio preferito.Lasci sfumare quellidea da sola. Il piatto del taglialegna

    non rientrava nei suoi piani. Dalla custodia della tromba, prese il tascabile che sera portato dietro per leggerlo in me-tropolitana e nella sala dattesa dellospedale e che nemmeno aveva aperto. Chi credeva di essere? Davvero pensava che quel giorno sarebbe riuscito a ricordarsi una sola riga del li-bro, un supereroe dellefficienza? Forse si era portato il libro soltanto per tenere occupate le mani e gli occhi, o anche solo per studiare la copertina e le lettere che non avevano senso. O dare unocchiata alla biografia dellautore, anchessa senza nessun senso. La copertina del libro si era piegata per lumi-dit delle sue mani. David lo rimise di nuovo nella custodia della tromba.

    Quando mise i soldi sotto la zuccheriera e si alz e usc, la cameriera gli disse stia bene, o qualcosa del genere, e lui si chiese se quelle parole cos semplici, piene delle miglio-ri intenzioni non facevano che rivelare oramai quello che in fondo stava negando: era ormai un malato dichiarato. Le

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    persone avevano un talento istintivo per fiutare queste cose. I malati fanno paura, David pens. Sono scomodi. Devono essere accuditi e curati, e se non fosse servito truccati, e se non fosse servito nascosti e dimenticati.

    Fuori, per, il suo riflesso sulla porta di vetro del bar era quello di un uomo normale, ancora giovane e perfino in sa-lute. Se ne rese conto mentre usciva, la sua immagine con le automobili sullo sfondo sovrapposta a quella della cameriera dai seni grandi e stretti nella maglietta, i tavolini vuoti, fatta eccezione per luomo con il mozzicone di matita, la sala interna del bar quasi vuota. Lattrice famosa continuava a parlare in te-levisione. La cameriera prese il telecomando, e lattrice e la sua intervistatrice furono sostituite da un gruppo di musica pop.

    Al lavoro, David sapeva bene che non avrebbero sentito la sua mancanza: un commesso in un negozio di materiali edili in un sobborgo di Chicago non difficile da rimpiazzare. Ri-usciva a immaginare persino lannuncio nei prossimi giorni, dopo che avesse dato le dimissioni, e una fila, un gruppetto di uomini a caccia di lavoro con storie molto diverse dalla sua, che fumavano. Ascoltavano musica con gli auricolari infilati nelle orecchie. Dormicchiavano in piedi, le braccia incrociate sul petto e un cappellino in testa.

    Avresti potuto trovare un lavoro migliore, disse Lisa, quan-do lui cominci a lavorare nel negozio di materiali edili. Hai studiato.

    Pu darsi, le rispose. Ma le cose non vanno troppo bene e finch non trovo un lavoro migliore, ho uno stipendio sicuro alla fine del mese. Non era questo che volevi?

    No, non era quello che voleva Lisa, altrimenti non sarebbe andata via qualche mese dopo insieme allex fidanzato, la-sciando una volta per tutte David.

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    Non ti sforzi, disse Lisa. Ti accontenti di qualsiasi cosa. Vai in giro a suonare con quei musicisti sfigati. Guarda quella libreria. Hai letto un sacco di libri!

    Aveva voglia di dire a Lisa che la lettura di quei libri non lo rendeva necessariamente pi abile, in termini pratici. Al contrario: era possibile che uno di quei libri avesse la capa-cit di convincere le persone che il mondo era una grande merda. Conquistare cose. Lasciare il segno su un pianeta con sette miliardi di abitanti che continuavano a riprodursi come se la situazione fosse la migliore possibile e le prospettive ec-cellenti. Riuscivi ad andare avanti solo se non pensavi molto. Ma bastava fermarsi e riflettere un po pi seriamente per trasformarsi immediatamente in quel personaggio famoso che sceso a comprare le sigarette e non pi tornato che andato a vivere in una foresta, in una galleria della metro-politana, su una barca. Se n andato senza lasciare un nu-mero di telefono o un indirizzo. Lultimo che esce per favore spenga la luce.

    Nonostante tutto, David promise a Lisa che avrebbe trova-to un lavoro migliore. Promise che avrebbe fatto molte cose nei prossimi trentadue anni della sua vita per compensare i primi, che lei considerava un vero fiasco.

    Tanto potenziale, diceva Lisa. Il privilegio di aver studia-to almeno un po, che era pi di quanto molta gente poteva sperare.