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ADESSO! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale 9. L’economia Dieci anni di Charta oecumenica

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ADESSO!Dalle paure

al coraggio civile,per una

cittadinanza glocale

9. L’economia

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Direttore:Brunetto Salvarani - [email protected]

Condirettori: Antonio Nanni - [email protected] Lucrezia Pedrali - [email protected]

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Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Caliga-ris, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marianto-nietta Di Capita, Alessandra Ferrario, France-sca Gobbo, Cri-stina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Lu-ciana Pederzoli, Carla Sar-tori, Eugenio Scar-daccione, Oriella Stamer-ra, Nadia Trabucchi, Franco Valenti, Gian-franco Zavalloni

Direttore responsabile: Marcello Storgato

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Quote di abbonamento:10 num. (gennaio-dicembre 2011) Euro 30,00Abbonamento triennale Euro 80,00Abbonamento d’amicizia Euro 80,00Prezzo di un numero separato Euro 4,00

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Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

EditorialeShomér ma mi-llailah? 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

A scuola e oltre

rifare gli italianiResistenza e Costituzione 3Antonio Nanni, Antonella Fucecchi

bambine e bambiniDesiderio di futuro 5Lucrezia Pedrali

ragazze e ragazziDis-Orientamento 7Sara Ferrari

generazione yEconomia glocale 9tra rancore e cura Atonella Fucecchi

in cerca di futuroTortillas e videogames 11Davide Zoletto

che aria tira a scuola/1Se non io, chi? Se non qui, dove? 12Se non ora, quando?Isabel Paghera

che aria tira a scuola/2Effetti post riforma 13Monica Paganin

buone pratiche di resilienzaResilienza fa rima con donna 14Oriella Stamerra, Alessandra Ferrario

pedagogia della lumacaLa lentezza e la saggezza 16degli alberiGianfranco Zavalloni

Il «restodelmondo»

agenda interculturalePer un mondo senza mura 33Alessio Surian

prati-care«Noi e il mondo» 34Vito Di Chio

scor-dateSono 360 mila in Italia le persone 35definite «autistiche»a cura di Dibbì

dudal jamIl baobab non è un dio 37Marco Zarbo

saltafrontieraLitigi e mondi matti 38Lorenzo Luatti

pixelIl volto di don Bosco 39Roberto Alessandrini

nuovi suoni organizzatiZap Mama 40Luciano Bosi

zero povertyVoci di speranza 41Marialuisa Damini

crea-azionePer un’agenda creativa 42Nadia Savoldelli

spaziocemIo ci sto!... e tu? 44Arcangelo Maira

Mediamondo 46

i paradossiIl primo mondo e la Chiesa 47sono nudiArnaldo De Vidi

la pagina di... r. alvesC’è un tempo per ogni cosa 48

Sommarion. 4 / aprile 2011

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

E-mail: [email protected]

www.cem.coop

ADESSO! DALLE PAURE AL CORAGGIO CIVILE, PER UNA CITTADINANZA GLOCALE9. L’ECONOMIA

Per una responsabilità sociale 17dell’impresaGianni Caligaris

Profeti di glocalità Wangari Muta Maathai 19Stefano Curci

Inserto specialeCharta Oecumenica 2001 23

Cinema. Wall Street 1 e 2 31Lino Ferracin

Questione di metodi. 21La didattica cooperativa per l’insegnamento delle religioni

nona puntata

a cura di Marialuisa Damini

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Terre A

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aprile 2011 | cem mondialità | 1

brunetto salvarani | direttore [email protected]

Shomér ma mi-llailah?

Sono giorni inquieti, per la nostra scuola. In real-tà, sono giorni inquieti per il nostro paese, che -come abbiamo registrato lo scorso mese, nel-

l’approssimarsi delle relative celebrazioni - non riesceneppure a festeggiare i suoi primi centocinquant’annisenza dividersi, polemizzare, confermando una volta dipiù, se ce ne fosse stato bisogno, che non siamo unacomunità. Intanto, un must della nostra cultura nazional-popolare come il Festival di San Remo è stato vinto, unpo’ a sorpresa, da una canzone del professor RobertoVecchioni in cui traspare tutta la voglia di voltare paginae iniziare un percorso nuovo, perché «questa maledettanotte/ dovrà pur finire/ perché la riempiremo noi da qui/

di musica e parole». A ben vedere, i segnalid’insofferenza a questa notte si stannomoltiplicando, e riempiono sia le piazze

delle città italiane sia le piazze virtualidei social network, anche se faticano a

rintracciare sponde politiche credibili erestano più un indizio di protesta che

di proposta. Nel frattempo, a po-chi chilometri da noi, negli Stati

arabo-musulmani che si af-facciano sullo stesso marealtri giovani chiedono libertà,e riescono a rovesciare regi-mi che sembravano intocca-

bili, dando un segnale precisoalla vecchia Europa, chia-mata a prendere posizione

e a favorire transizioni intelli-genti verso la democrazia.Da parte nostra, crediamo sia

giunto il momento di mettere a te-ma dei prossimi mesi la questione, ormai in-

dilazionabile, di un nuovo patto generazionale, inun’Italia sempre meno paese per giovani. Lo faremo, in-tanto, al Convegno di fine agosto, che avrà per titoloSentinella, quanto resta della notte? Un interrogativo sucui avevo già riflettuto nell’editoriale di questa rivista diagosto-settembre 2009, non a caso, ripreso da France-

sco Guccini - un autore che, lo si sarà intuito, amiamomolto qui al CEM - in un brano comparso nel discoGuccini, del 1983, dove veniva citato in lingua ebraica,Shomér ma mi-llailah? Lo spunto viene, a noi e a lui, daun oracolo del profeta Isaia, capitolo 21, versetti 11 e 12:«Oracolo sull’Idumea. Mi gridano da Seir: “Sentinella,quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta dellanotte?” La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi an-che la notte; se voletedomandare, domanda-te, convertitevi, veni-te!”». La suggestioneche deriva da questi ful-minei versetti è talmen-te forte che lo stessodon Giuseppe Dossetti -una delle nostre figurepiù alte e carismatichedella seconda metà delNovecento, padre costi-tuente e poi monaco - lielesse a metafora dellafaticosa transizione politica italiana, una quindicinad’anni fa, scrivendo un libretto ancor oggi prezioso, inti-tolato appunto Sentinella, quanto resta della notte?Si tratta in realtà di un oracolo piuttosto misterioso, cheIsaia dedica ad Edom (la regione posta a sud del MarMorto, estesa fino al golfo di Aqaba). Alcuni suoi abitan-ti interrogano il famoso profeta adottando un’espressio-ne densamente metaforica, a proposito della fine ago-gnata di un periodo d’oppressione da parte dell’Assi-ria: la sua risposta invita alla speranza, a patto che gli in-terlocutori ritornino, alla lettera, che nell’ebraico biblicoè il verbo della conversione, del cambiamento interiore.Il pezzo rimane sospeso, ha qualcosa di Noi non ci sa-remo e de Il vecchio e il bambino, e trova il suo culminenell’invito isaiano a insistere, a ridomandare, a tornareancora senza stancarsi. È quanto siamo chiamati a fareoggi, noi educatori, insegnanti e genitori, rimboccando-ci le maniche e senza indulgere alla cultura del lamen-to, così diffusa ma anche così inutile. q

Crediamo siagiunto il momentodi mettere a temadei prossimi mesi

la questione, ormaiindilazionabile, di

un nuovo pattogenerazionale, in

un’Italia sempremeno paese per

giovani

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Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Questo numero di «CEM Mondialità» ospita un «dossier», dedicato all’economia, nell’ambito

dell’annata 2010-2011, che ha per tema «Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una citta-

dinanza glocale». Il «dossier», a cura di Gianni Caligaris, intitolato «Per una responsabilità so-

ciale dell’impresa», ci propone un modo totalmente alternativo di considerare la logica azienda-

le. Scrive l’autore: «Credo che la Responsabilità Sociale d’Impresa sia la chiave di volta per definire un paradigma

di economia sostenibile in chiave “glocale”. […] Gli analisti rilevano che le imprese che ottengono buone valuta-

zioni di responsabilità sociale (che sono quelle in cui, ad esempio, investono i vari Fondi Comuni Etici) sono ge-

neralmente premiate dal mercato. Non a caso i

Fondi Valori Responsabili di Etica Sgr (Gruppo

Banca Etica) sono fra quelli che meno hanno sof-

ferto la crisi degli ultimi anni e sono stati fra i pri-

mi a tornare performanti».

Le dimensioni del «dossier» di questo numero so-

no leggermente inferiori al solito per dar spazio a

un secondo «inserto» oltre a quello dedicato a

«L’ora delle religioni». In questo mese di aprile,

infatti, si ricordano i dieci anni dalla firma della

Charta Oecumenica avvenuta il 22 aprile 2001 a

Strasburgo. «Per celebrare questo anniversario -

scrive Brunetto Salvarani - abbiamo pensato di

ripubblicare, come facemmo allora, il testo inte-

grale della Charta, con l’augurio che circoli il più

possibile, dentro e fuori tutte le Chiese, e perciò

anche in tutte le agenzie educative».

Nell’inserto dedicato a «L’ora delle religioni», Marialuisa Damini, nel suo contributo intitolato «Questione di metodi

- La didattica cooperativa per l’insegnamento delle religioni» ci parla della necessità di una riflessione pedagogica

ed educativa che coniughi le diverse tradizioni religiose, il loro insegnamento e le metodologie didattiche per rea-

lizzarlo, sottolinenando l’attualità del «Cooperative Learning», «un metodo d’insegnamento/apprendimento in cui

la variabile significativa è la cooperazione tra gli studenti».

Per la sezione cinema, Lino Ferracin ci parla di due film legati tra loro anche nel titolo, «Wall Street» (1987) e «Wall

Street - Il denaro non dorme mai» (Wall Street 2: Money never sleeps) (2010), due spietati e dolenti quadri del

mondo della finanza a distanza di oltre vent’anni l’uno dall’altro.

Nella sezione «A scuola e oltre», segnaliamo i due articoli della rubrica «Che aria tira a scuola?» che ci regalano al-

tre due letture da parte di giovani sull’attuale condizione dell’università italiana; nella sezione «Resto del mondo»,

Alessio Surian ci parla della nuova «Carta» per un mondo senza mura lanciata nel corso del recente Forum Sociale

Mondiale di Dakar. Cari amici lettori, vi ricordiamo che la Campagna Dudal Jam prosegue anche nel 2011! Soste-

netela! È una parte importante dell’impegno di CEM! q

2 | cem mondialità | aprile 2011

Fabrizio Quartieri

Le illustrazioni di questo numero sono staterealizzate da Fabrizio Quartieri, che ringraziamodi cuore. Ecco un suo breve profilo:

«Fabrizio Quartieri, nato a Piacenza oltre 40 annifa, vive in una casetta in val Trebbia, insieme aPaola, Giorgio, al suo cane ed a tre gatti. Illustratoree grafico pubblicitario da quasi 20 anni tienelaboratori sulla tecnica del fumetto, sul disegno esulla pubblicità, nelle scuole primarie e secondarie».

Per [email protected]

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Se il primo Risorgimentoè rimasto in-compiuto a

causa del mancato coinvol-gimento dei cattolici, deimeridionali e delle massepopolari, il secondo Risorgi-mento resterà altrettanto in-compiuto perché le forze didestra, quella più compro-messa col regime fascista,non condivideranno né laResistenza, né la Liberazio-ne, né la stesura della CartaCostituzionale.

Dalla dittatura alla democrazia

Dopo la marcia su Roma del28 ottobre 1922, Mussoliniva al potere e inizia il vente-simo fascista. Una volta cheil Duce, dopo gravi e ripetu-te scelte di violenza, dal de-litto Matteotti al mito del-l’impero, dalle leggi sullarazza alla guerra dell’Asse,ha condotto l’Italia alla cata-strofe, si rese necessario unsecondo doloroso Risorgi-mento ad opera dei partigia-ni per resistere alla dittatura

fascista e riportare il paesesulla via della democrazia edella pace, nel periodo cheattraversa sostanzialmentegli anni ’40, fino alle elezionidel 18 aprile 1948.La Resistenza è stato il movi-mento di opposizione, mili-tare o anche soltanto politi-ca, condotta nell’ambitodella Seconda Guerra Mon-diale contro l’invasione del-l’Italia da parte della Germa-nia nazista e nei confrontidella Repubblica Sociale Ita-liana (la Repubblica di Salò).La Resistenza rappresentaun fenomeno storico nel

quale vanno individuate leorigini stesse della Repubbli-ca Italiana. Infatti, l’Assem-blea Costituente fu in massi-ma parte composta da espo-nenti dei partiti che avevanodato vita al CLN (Comitato diLiberazione Nazionale), iquali scrissero la Costituzio-ne fondandola sulla sintesitra le rispettive tradizioni po-litiche, ispirandola ai principidella democrazia e dell’anti-fascismo. Sono questi gli anni della ri-costruzione post-bellica incui prende forma l’Italia del-la prima Repubblica, ossiaquella che parte dal 1946 eche per circa 50 anni (fino al1996) ha garantito una vitademocratica di pace e di svi-luppo al nostro paese, no-nostante fenomeni di corru-zione e di terrorismo rosso enero. Successivamente, conle elezioni politiche del 27marzo 1994, le prime che sitengono dopo la grave crisidi Tangentopoli, si fa iniziarela cosiddetta seconda Re-pubblica che tuttavia, peruna transizione che appareancora oggi interminabile,non sembra mai essere dav-vero iniziata.

Il suffragio universalee la scelta repubblicana

Quando il 2 giugno 1946 gliitaliani sono chiamati alle ur-ne per il referendum istitu-zionale tra monarchia o re-pubblica e per eleggere l’As-semblea costituente, le don-ne si recarono in massa a vo-tare (il 53 % dell’elettorato),più degli stessi uomini. Aspoglio avvenuto i risultatiufficiali del referendum attri-

Resistenza e CostituzioneIl secondo Risorgimento

Dopo la crisi di Tangentopoli inizia la cosiddetta «seconda Repubblica» che tuttavia, per una transizioneche appare ancora oggi interminabile, non sembra mai essere davvero iniziata.

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antonella fucecchi - antonio [email protected] - [email protected]

rifaregli italiani

La Resistenzarappresenta un

fenomenostorico nel quale

vannoindividuate leorigini stesse

della RepubblicaItaliana

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stenza ad una umanità sof-ferente. Ebbene la Costitu-zione ha dato forma giuridi-ca ed ha consacrato senti-menti, speranze, attese, le-gate a indicibili sofferenze,che nel dramma della guerrasi erano sviluppate e radica-te nel popolo». La conclusione che trae il ge-suita Francesco Occhetta èche «la formazione dei cat-tolici nella terribile provadella Resistenza preparò lecondizioni di un dibattitogià avviato ben prima del 25luglio 1943. Sappiamo conquanta speranza i cattolicicostruirono la nostra demo-crazia attraverso il confron-to, la collaborazione, ma an-che gli scontri con coloroche provenivano da altreesperienze culturali e politi-che (in particolare i socialisti,i liberali e di comunisti) quel-la formazione è stata la radi-ce feconda e spesso taciutada cui in gran parte nacquela Carta Costituzionale»1. A giudizio di BartolomeoSorge esiste «una piena as-sonanza tra la dottrina so-ciale della Chiesa e la Costi-tuzione: la Costituzione èlaica, mentre la dottrina so-ciale si basa sulla rivelazionecristiana, sul diritto naturale,sul magistero della Chiesa.Ma è bellissimo il modo conil quale quella prima schieradi cattolici che, assieme agliesponenti delle altre tradi-zioni politiche italiane, hadato vita alla Costituzione,ha condotto la mediazionetra la luce che la fede gettasull’antropologia e le sceltelaiche»2. q

1 In «La civiltà cattolica», 20 febbraio2010.2 In «Jesus», dicembre 2010.

rifare gli italiani

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da parte del leader comuni-sta Palmiro Togliatti: «lo Sta-to italiano è una Repubblicadi lavoratori». In seguito avari emendamenti sull’una esull’altra formulazione, saràmerito di Aldo Moro e diAmintore Fanfani aver pre-sentato, con altri, l’emenda-mento che venne poi appro-vato definitivamente comeart. 1 della Costituzione re-pubblicana.Rispetto al collegamento,che fu sicuramente profon-do e sostanziale, tra i cattoli-ci italiani, la Resistenza e laredazione della Costituzionerepubblicana, lo storico Pie-tro Scoppola osserva che «viè stata certo una significati-va partecipazione dei cattoli-ci alla resistenza armata mail ruolo complessivo dellaChiesa si colloca su un pianodiverso, che è quello dellasalvaguardia di spazi diumanità e di pietà di fronteallo scatenarsi dell’odio conuna attiva partecipazione adogni forma possibile di assi-

Le donneelette

all’Assembleacostituente

furono soltanto21 su 556

deputati, cioèpoco meno del

quattro percento. Da allora

ad oggi la realtànon è cambiata

di molto

ossia dei primi 12 articoli deltesto della Costituzione. Unsolo esempio: se oggi andia-mo a rileggere il dibattitoche in seno all’assembleacostituente ha portato alladefinizione del famoso art. 1della Costituzione («L’Italia èuna Repubblica democraticafondata sul lavoro») si sco-pre che all’origine di questaformulazione c’è una propo-sta di La Pira in cui si affermache «Il lavoro è il fondamen-to di tutta la struttura socia-le». Accanto a questa propo-sta ne fu avanzata un’altra

buirono alla repubblica lamaggioranza dei suffragi(54,3% ) mentre il restanteandò alla monarchia (45,7%).Ma ancora più significativofu il fatto che in tutte le re-gioni settentrionali prevalsela repubblica, mentre nel me-ridione il pronunciamentomaggioritario fu a favore del-la monarchia, dimostrandoche il paese era spaccato piùsu basi geografiche che dischieramento politico. Perquanto riguarda l’Assembleacostituente, le donne elettefurono soltanto 21 su 556deputati, cioè poco meno del4%. Purtroppo da allora adoggi la realtà non è cambiatadi molto. Va tuttavia precisa-to che 5 delle 21 deputate -Angela Gobelli, Maria Federi-ci, Nilde Iotti, Angelina Merline Teresa Noce - entrarono afar parte della Commissionedei 75 per redigere la Costitu-zione. Iniziava così la storiadell’Italia repubblicana.

Dalla sintesi tra cattolici e comunistinasce la Costituzione italiana

Oltre al Codice di Camaldoli,l’altro punto fondamentaleper i cattolici italiani sonostate le linee emerse dallaXIX Settimana Sociale che sisvolse a Firenze dal 22 al 28ottobre 1945, sul tema«Costituzione e Costituen-te». La Pira, Dossetti, Moro eFanfani entrarono a far partedella Commissione dei 75,un gruppo ristretto in senoalla Costituente avente ilcompito di redigere il pro-getto della Costituzione, di-stinguendosi nella redazionedei Principi fondamentali,

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aprile 2011 | cem mondialità | 5

Desideriodi futuro

Il bisogno di protagonismo dei bambini, che spesso viene manifestato in forme poco accettabili,deve trovare spazio «reale» nella vita della scuola.

bambinee bambinilucrezia [email protected]

Qualsiasi progetto necessi-ta sempre di una serie dicondizioni per potersi realiz-zare. Ciò vale anche per ilprogetto che riguarda il sé ecioè quel particolare tipo di

compito che impegna il sog-getto in un percorso chenon si esaurisce in un pro-dotto, ma si riferisce alla suatensione costante versol’agire, illuminato dal pen-siero e dall’intenzione emosso da un bisogno di mi-glioramento.Per l’essere umano, il prere-quisito fondamentale perpotersi pensare in prospetti-va progettuale è la presenzae il riconoscimento del biso-gno/desiderio: la condizionepresente non risponde più albisogno di senso in formacompiuta e quindi si ricerca-no altre soluzioni. Questo at-teggiamento però presuppo-ne il pensiero di sé proiettatofuori dal presente e ponel’istanza del riconoscimentodel futuro. Il progetto partedal desiderio che a sua voltapresuppone il futuro.

L’accelerazione checaratterizza la

contemporaneità producel’impossibilità di pensare

il futuro

Qui e ora, subito e senza attesa

Il futuro è l’elemento assen-te nell’educazione scolasticae familiare o sociale in gene-re. I bambini vivono l’iper-concreto e il rapporto con larealtà attraverso il consumod’infiniti momenti di pre-sente: qui e ora, subito esenza attesa, senza capacitàdi dilazionare il raggiungi-mento di un obiettivo di-stanziato temporalmente. Leragioni di tale condizionesono molto complesse estrettamente connesse con imodelli economico-socialidominanti, ma è importantericonoscere tale situazioneper attivare la necessaria at-tenzione educativa allo svi-luppo della capacità di pro-gettare e progettarsi. Il desiderio è la capacità checiascuno di noi ha di imma-ginarsi diverso nel futuro dacome è ora. Il desiderio ap-partiene al singolo e si legaalle sue caratteristiche. In ciòè molto diverso dal capriccioimmediato che si caratteriz-za per l’urgenza e l’omolo-gazione e che produce com-portamenti ripetitivi e coat-ti. Il desiderio che si affacciasul futuro richiede un’aper-tura verso il tempo e cioè unprogetto che rispecchi unapossibilità concreta di realiz-zazione. La tensione fra so-gno e realizzabilità implicaun’assunzione consapevoledi responsabilità e la defini-zione di comportamenticoerenti alle intenzioni. Lacombinazione desiderio-fu-turo-progetto diventa unelemento chiave della pro-gettazione educativa e si ri-flette nelle pratiche connes-se alla didattica.

La parola «progetto» ri-chiama alla mente una

serie di azioni che si riferi-scono alla realizzazione diuna situazione o di un even-to che producono un cam-biamento e che richiedonoun uso intenzionale e coe-rente di energie e risorse. Ilconcetto di cambiamento èfondamentale perché èproprio nella dinamicità enel movimento che risiedeil valore della progettuali-tà: a partire da una qual-siasi condizione se ne ipo-tizza una variazione miglio-rativa e si agisce per il rag-giungimento di tale scopo.

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Il processo di riconoscimento del desiderio

Una prima fase d’attenzioneda parte dei docenti riguar-da il processo di riconosci-mento del desiderio, che siconfigura come una scoper-ta della modalità di pensaree di conoscere da parte diogni bambino. All’interno diquesta prospettiva ciascuno,da sé e per sé, osserva e ana-lizza le proprie esperienze diapprendimento e cerca diformarsi un’idea personalesui diversi modi di funziona-mento della sua intelligenza,delle condizioni che favori-scono il suo funzionamentoe di quelle che lo ostacola-no, delle relazioni fra lamente, i sensi, l’immagina-zione e i diversi stati affettiviche sperimenta. L’insegnan-te diventa l’adulto significa-tivo con il quale confrontarele proprie valutazioni e i cri-teri adottati per stabilirle.Gli elementi cognitivi e cioèil modo e gli elementi con

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bambine e bambini

manifestano. L’autostima èun’altra delle condizioni ne-cessarie per potersi pensarein prospettiva futura: rendesufficientemente sicuri peraccettare il cambiamento eabbandonare il proprio spa-zio conosciuto e familiare eaffrontare territori stranieri esconosciuti.

Educare alla progettualità

Molti sono i bambini che at-traversano l’esperienza sco-lastica senza sperimentare lapossibilità di ricevere atte-stazioni di stima. Ciò non of-fende solo il sentimento checiascuno ha di sé, ma deter-mina anche un ulteriore im-pedimento cognitivo. Lamancanza di fiducia nelleproprie possibilità produceuna grande inibizione neiconfronti dell’apprendimen-to e impedisce al soggettodi pensarsi capace di fare edi essere. Educare alla pro-gettualità a partire dal rico-

cui ci si descrive, gli elementiaffettivi e quindi i sentimentiche si provano verso di sé everso gli altri, gli elementivalutativi e cioè i criteri diparagone o ideali con i qualici si misura, rivelano la pro-pria idea di sé in rapporto al-la realtà.L’idea che ciascuno ha di sestesso rende palese anche lapresenza o assenza di auto-stima e cioè del sentimentoduraturo di autoapprovazio-ne del proprio valore perso-nale. L’autostima si fonda sucondizioni interne ed ester-ne al soggetto, tiene in con-to ciò che ciascuno pensa dise stesso anche a seguito diciò che gli altri pensano e gli

Il desiderio è la capacità che ciascuno

di noi hadi immaginarsi

diverso nel futuro da

come è ora

La speranzanon si insegna

La speranza non s’insegna: si pratica esi trasmette con il modo con il quale siaffronta la realtà Per diventare capaci di progettarsi ènecessario percepirsi come parte di unprogetto. Il bisogno di protagonismodei bambini, che spesso vienemanifestato in forme poco accettabili,deve trovare spazio reale nella vitadella scuola. Il proprio progettopersonale ha senso se si ricollega adun’esperienza sociale e condivisa:

questo è ancora il valore insostituibiledella scuola. I desideri individualimuovono il soggetto alla ricerca disoluzioni nuove e creative, maimmediatamente appare evidente lanecessità di misurarsi con il gruppo edi negoziare. L’esperienza del soggetto che siprogetta richiede tempi lunghi.Abbiamo bisogno di tempo perascoltarci e ascoltare gli altri, perintegrare questa esperienza e farlasolidamente depositare nellacoscienza. L’accelerazione checaratterizza la contemporaneitàproduce l’impossibilità di pensare ilfuturo. In questo modo il presentediviene la dimensione temporaledominante, perché, da un lato, mancauna prospettiva che collochi l’agire

umano nel futuro, dall’altro, nonavendo mete significative daraggiungere, l’individuo non sentel’esigenza di recuperare la memoriadel passato come ancoraggio della suastoria e dei suoi progetti di vita. Senzafuturo non c’è neppure memoria.Resta il presente istantaneo, che siconsuma nel qui e ora.Viene da chiedersi quanto la scuola,nella sua dimensione organizzativa, siconsumi nella proposta di esperienzepuntiformi, una successione di tantimomenti cristallizzati al presente, oradopo ora, disciplina dopo disciplina. Ilprogetto di vita richiede un’esperienzadel tempo come elemento che fluiscedal passato in un presente che loaccoglie, nella prospettiva di un futuroche gli conferisce senso.

noscimento dei desideri si-gnifica riconoscere il dirittoall’autodeterminazione deisoggetti all’interno della re-lazione con altri soggetti. Ela relazione è sempre centra-le: noi possiamo esistere so-lo perché siamo con gli altriche definiscono il nostro li-mite e ci mettono nella con-dizione di esercitare l’auto-governo di noi stessi. C’è un ulteriore aspetto dellaprogettualità che impegna lascuola e l’educazione: pro-gettare il futuro significa ac-cogliere una prospettiva disperanza. Scriveva Paulo Frei-re in Pedagogia della speran-za: «Non concepisco l’esi-stenza umana, e la lotta ne-cessaria a migliorarla, senzasogni e speranze. La speran-za è un bisogno ontologico.Essere senza speranza non èche speranza che ha persol’orientamento e diventa unadistorsione di quel bisognoontologico… Ne consegue ilbisogno di un’educazionenella speranza». q

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Dis-Orientamento

ragazzee ragazzisara [email protected]

pur sempre una prof), hocorretto i loro testi, ma hocercato anche di dar loro unconsiglio degno di tale no-me. Ho esaminato con lorole possibili scelte scolastichein base ai loro talenti, più omeno emersi, valorizzando ilsingolo percorso scolastico,ma non solo questo. Non cisiamo limitati a individuarela scuola più adatta: 35%supposte-accertate-temutecompetenze, 25% impegnonello studio, 10% speranzadi riscatto (o il 10% della ras-segnazione), 50% volere del-le famiglie ed, infine, 25%scelta autonoma, desiderio(lontano dai consigli orienta-tivi). Le percentuali non sonoil mio forte, ma funziona così

davvero, perché alcune moti-vazioni sono a pari meritocon altre (volere delle fami-glie e propri desideri peresempio). Abbiamo anche riflettutosulle possibilità d’impiego,qui però non posso riportarepercentuali, mi limito ad ap-plicare una statistica: 30%circa di disoccupati. Era sta-to il dirigente scolastico a in-dirizzare i docenti verso que-sta modalità d’intervento:«Fategli fare lo sforzo di

pensarsi nel mondo dellavoro, oltre la scuo-

la». Non è stato fa-cile. Le nuvole sisono addensate, ilampi nell’aulaquando consulta-

vamo le statistiche,le previsioni sul sito del

Sistema Informativo Excel-sior, errando nei rispettivi

settori: disoccupazio-ne giovanile, percen-tuali di occupati. Sia-

mo arrivati infine a un terri-bile gioco: «Siamo 22, il29% di voi, se foste giovanitra i 15 e i 24 anni, sarebbeoggi senza lavoro, 7 ragazzinon avrebbero un’occupa-zione: chi sono? Venite fuo-ri, alzate la mano!» La ma-no, forse per timore o perscaramanzia, l’alzavano ti-midamente, motivando con:«Io scelgo il liceo artistico,per diventare fotografa cene vuole! Un posto da disoc-cupata è mio», «Io vorrei fa-re psicologia, ma ce ne sonotanti poi di psicologi!», il de-terminato: «Io non lavoreròa quell’età perché starò fa-cendo ancora l’università, ouno stage...» - «Allora nonrientrerai nella statistica! Ticancello dai mitici 7», e via

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Il «viaggio» che i ragazzi faranno potrà rilevarsi sbagliato,costellato di imprevisti, di cambiamenti d’itinerari, etroveranno la forza e l’appoggio per portare il peso di uncambiamento, hanno idee, chiare, o speranze.

Orientare iragazzi verso la

scuola a loropiù adatta non èstata un’azione

facile nédisinvolta

professoressa di lettere perchiederle un parere sulle tuescelte scolastiche future.Esponi le tue aspettative, ituoi desideri, i tuoi dubbi».Ricevute le missive dai mieiallievi ho risposto ad ognu-no, sfruttando l’occasioneper affrontare la tipologiadella lettera formale (sono

O rmai i giochi sono fatti,le iscrizioni sono state

depositate presso ogni segre-teria, ma una riflessione è unatto dovuto, almeno in que-sta fase di riorganizzazionedella scuola secondaria di 2°grado. Forse è la mia inespe-rienza, forse è l’adeguamen-to - frenetico - ai nuovi indi-rizzi, ma orientare i ragazziverso la scuola a loro piùadatta non è stata un’azionefacile né disinvolta.

Dai compiti estivi allo studio sulla disoccupazione

Per prima cosa era indispen-sabile che io stessa e i colle-ghi ci orientassimo nel riordi-namento dei cicli, comequando si deve fare una le-zione inusuale: se non si pos-siede il contenuto non si puòimprovvisare, nemmeno conla tecnologia più avanzata.Dissolta la nebbia durantel’estate, ci ha colti la tempe-sta. Compiti estivi 2010:«Scrivi una lettera alla tua

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di seguito. Faceva effetto ve-dere i loro nomi scritti sullalavagna, sembrava un vec-chio ufficio di collocamento:Mara, Alessandro, Morena,Valentina, Martina, Lucio,Vale (quante donne). Per ilministro Meloni sarebbe an-che colpa loro se non trova-no lavoro. Per me: colpamia? Forse; mi consolo ripe-tendo una frase di una per-sona che stimo molto: «Lavita va come va a prescinde-re dalla nostra pretesa dipredeterminarla».

Dal piano di azioneper l’occupabilità:umiltà e meno studio

Il ministro della GioventùMeloni, che di gioventù do-vrebbe intendersene, duran-te la presentazione del pianod’azione per l’occupabilità(25 gennaio 2011), ha di-chiarato, tra l’altro, che «Ilcorso di laurea intrapreso èsbagliato rispetto alle esi-genze del mercato. [...] Il ra-gazzo non trova lavoro? Ac-cetti un contratto d’appren-distato e impari un mestiere.Soprattutto, sia umile: i gio-vani italiani soffrono di“inattitudine all’umiltà”».Conosco persone moltoistruite e molto umili, e latentazione di semplificare ilconcetto è tanta: facciamolistudiare meno e insegnia-mo l’umiltà! «Inattitudineall’umiltà»: ad eccezionedelle loro famiglie, diqualche catechista e diqualche educatore - che an-cora si sforzano di dare mo-delli oltre che contenuti - in-torno ci sono frequentiesempi di arroganza, si urla-no rivendicazioni barbare,

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ragazze e ragazzi

non accenniamo qui allaquestione spinosa dei casi dioccupazione femminile. Stu-diare meno ed educarli al-l’umiltà. Incomincia a scric-chiolare l’idea che mi erofatta di essere un educatore,anche semplicemente undocente.Il ministro aggiunge: «Se sidicesse a ogni studente cheintende iscriversi a giurispru-denza che per gli avvocati iltasso di disoccupazione è al30%, e chi lavora guadagna900 euro al mese, mentreper gli infermieri il tasso didisoccupazione è zero, e lostipendio di 1600 euro, pro-babilmente inciderebbe sullescelte». Ci provo, e per con-trastare il fenomeno della li-cealizzazione, ho ripetutoquelle affermazioni (sosti-tuendo di volta in volta giu-risprudenza con: farmacia,architettura, psicologia,ecc.): ma nessuno era dispo-sto a cambiare l’iscrizione.

Non hanno l’età per rinun-ciare a un’idea, un’idea chenon è solo la loro, ma dellefamiglie che per anni hannospinto i figli a studiare perlavorare, per riscattarsi, permigliorare la loro condizio-ne. Probabilmente anche co-noscere i dati, le probabilità,le percentuali e le previsioni,non incide sulle loro scelte,ma, credo li abbia resi piùconsapevoli. Dopo tutto,oggi, è precario persinol’orientamento.

Conoscere i dati,

le probabilità,le percentuali e le previsionioccupazionali

non incide sullescelte dei

ragazzi, ma credo

li abbia resi più consapevoli

Cattivi esempi e viaggi imprevisti

Mi prendo ad esempio, iosono un esempio di cattivoorientamento, forse diriorientamento tardivo. Miamadre arrivò una sera acasa con un foglietto,seminascosto, a pensarci misembra, ora, un pizzino, imiei docenti delle medie miindirizzavano a un Istitutotecnico, uno qualsiasi.Ignoravo cosa fosse lascuola superiore, ma avevoun’idea, avevo un progettochiaro e lampante, miamadre non voleva, in quelmomento, togliermi il suoappoggio. Nonostantenessuno a scuola ci avesseparlato di indirizzi oprobabilità di occupazione,io ripetevo: faccio loscientifico, da grande devofare il veterinario, è lascuola che mi prepareràmeglio per questo.Razionalmenteirresponsabile, direi oggi.Non ridete e non fateneanche allusioni eparallelismi fin tropposemplici tra veterinari eprofessori, avevo solosbagliato libro («Cose saggee meravigliose» di JamesHerriot): la mia passionenon era nella cura deglianimali, ma nella lettura.Ho dovuto riscoprire laletteratura e la scrittura in5a liceo (ostinata fino adallora), grazie alla miadocente di lettere che avevacapito qualcosa di più, feciallora l’orientamento. Sono ripartita da qui perorientare gli allievi: ilviaggio che faranno potràrilevarsi sbagliato, costellatodi imprevisti, dicambiamenti d’itinerari, etroveranno la forza el’appoggio per portare ilpeso di un cambiamento,hanno idee, chiare, osperanze. Credo.

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Economia glocaletra rancore e cura

È il «populismo della paura» che avvince il nostro paesee l’Europa in una pericolosa afasia, mentre è sempre più necessario come alternativa puntare su una «politica della speranza».

antonella [email protected]

generazione y

Gli insegnanticostituiscono

una categoria soggetta acritiche feroci rappresentata

come «testimone disarmatadella decadenza della

società»

una rigenerazione e una risi-gnificazione del linguaggioche, uscito dagli ambiti tec-nici e settoriali, si contaminacon altri registri e con altricodici. Sempre più spesso leemozioni irrompono nella ti-tolazione di testi per tradi-zione asettici e non empati-ci: frequentemente appaio-no le emozioni e il loro in-gresso nella geopolitica tra-pela anche in copertina. Iltesto di Bonomi fa riferimen-to al «populismo della pau-ra» che avvince il nostro pae-se e l’Europa in una perico-losa afasia, mentre è semprepiù necessario come alterna-tiva puntare su una «politicadella speranza».

Cambio di paradigmi

Per chi operi nel campodell’educazione è sem-

pre più necessario servirsi distrumenti di aggiornamentointerdisciplinari che aiutino adecodificare i segni dei mu-tamenti di modalità di orga-nizzazione della vita socialepubblica e privata. L’approc-cio glocale si prefigge d’illu-strare e spiegare in che mo-do il globale sta trasforman-do le nostre vite, per verifica-re gli effetti della globalizza-zione dei flussi dei capitali,delle informazioni e dellepersone nei nostri luoghi enelle nostre reti sociali. Tra lediagnosi più appropriate edacute, quella proposta daAldo Bonomi ha il pregio diessere capillare, reticolare epuntiforme perché su Il sole24 ore lo studioso, protago-nista di un riuscito convegnodel CEM, compie un giorna-liero lavoro di monitoraggioche si condensa, poi, in testidi sintesi taglienti come l’ul-timo, Sotto la pelle dello Sta-

Rancore, cura e operosità

I tempi di globalizzazionehanno stravolto molti para-digmi sociali ed hanno cau-

sato la crisi di sistemi emodelli di organizza-

zione politica nellaquale siamo impli-cati fino al collo tracrisi economiche eproblemi occupa-

zionali; una simi-le sfida richie-de strategieche superino

ottiche miopi eparcellizzate per-

ché esige risposte ine-dite, di economia di wel-fare e di società civile

non fondate sul populismoche con varie coloriture si èdiffuso sul nostro territoriocome forma di reazione. Oc-corre ripensare il territorio«come spazio di una societàaperta, disponibile alla so-cietà che viene» per affron-tare i tempi del globale. Per-tanto «la voglia di comuni-tà» che nasce dal bisogno diridefinire il patto su cui riag-gregare e ricomporre un tes-suto soggetto a strappi edolorose lacerazioni è incar-nata nelle tre allegorie o pre-figurazioni che Bonomi indi-vidua: la comunità del ran-core, della cura e dell’opero-sità. Ciascuna di esse inten-de operare per ricostruire,dispone di un «set di valori eriferimenti simbolici» ma lofa a partire da presupposti

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to, edito da Feltrinelli, segui-to emblematicamente dalsottotitolo Rancore, cura,operosità. Si tratta diun’analisi delle trasforma-zioni economiche e socialioperate sul territorio italianodall’impatto con i grandi fe-nomeni planetari che hannoil loro raggio di ricaduta an-che sui nostri circuiti esisten-ziali. Il tramonto dei para-digmi ermeneutici novecen-teschi e delle grandi narra-zioni sta producendo anche

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diversi: la comunità della cu-ra è rappresentata da chi in-veste le proprie energie incampo sociale, non conside-rando esclusivamente ope-ratori impegnati nelle orga-nizzazioni non governative onel volontariato. Apparten-gono a tale comunità anchecoloro che per codice pro-fessionale deontologico so-no tenuti «a prendersi cura»,a provvedere a varie esigen-ze sociali: medici, insegnan-ti, avvocati, psicologi, edu-catori , formatori, ma ancheurbanisti, ingegneri, storici,chi opera, in sostanza, assu-mendosi una responsabilitàsociale e collettiva. Si trattadi una comunità che sta at-traversando una dolorosatransizione dovuta anche al-la ridefinizione faticosa delruolo dello Stato.La comunità del rancore, allaquale l’autore ha dedicatoacute indagini, è rappresen-tata, almeno in parte, dallesocietà del Nord ed ha trova-to nel leghismo una rispostapolitica; lungi dal chiudersi inuna sterile condanna, l’auto-re, invece, cerca di compren-dere le ragioni del malessere- reale - e del disagio identifi-cando tre categorie di soffe-renti: gli spaesati, cioè coloroche vivendo in piccole comu-nità non si riconoscono piùnelle trasformazioni violenteche il territorio ha subito enon le hanno metabolizzate,gli stressati, imprenditoristravolti dalle logiche dellacompetizione globale, i nau-fraghi del fordismo, ceti ope-rai esautorati dalla crisi del-l’industria. Tale malessere haimboccato il vicolo cieco delrinserramento nel localismoferoce, dell’esaltazione del

cola e media impresa che hacostruito il Made in Italy, ag-gredita dall’onda anomaladel Made in China, usuratadalla delocalizzazione. La terza comunità è trasver-sale e non ha precedenti: na-sce dalla disgregazione dellecertezze sociali del Novecen-to, è caratterizzata dalla ope-rosità, dalla volontà di impie-gare risorse per cogliere leopportunità offerte dalla glo-balizzazione. Nell’analisi diBonomi è questa la comunitàtrasversale che potrà fare ladifferenza nel momento incui deciderà di allearsi, in Ita-lia, con una delle due prece-denti, fornendo un partena-riato indispensabile. q

Soltanto larinascita della

comunitàpolitica può

offrire una viadi uscita ed è

ciò di cuil’Italia ha

disperatamentebisogno

generazione y

noi contro loro, di una difesasterile dell’identità sempre acaccia di capri espiatori. Talecomunità è una reazione do-lorosa al cambio di paradig-ma che l’autore identificacon la fine del fordismo, maanche con l’agonia della pic-

Tra curae rancore

Cura e rancore sono dueingredienti emotivi primaridella comunità e tendono acontrapporsi frontalmentein situazioni di rischio, difragilità e di indebolimentodei dispositivi di solidarietàereditati dal Novecento etendono ad imporre lapropria logica con esitidiversi: la comunità dellacura sta attraversando unacrisi forse senza precedenti,almeno in Italia, comeconferma,paradigmaticamente laconsiderazione sociale dicui godono, ad esempio gliinsegnanti, categoriasoggetta a critiche ferociora rappresentata come«testimone disarmata delladecadenza della società»,ora come una «massasmidollata di reduci del

Sessantotto» quandoaddirittura si dubita delsignificato del suo stessoesistere facendo degliinsegnanti un ceto diministeriali parassiti edincompetenti che simuovono secondo logiche«giurassiche» in unasocietà che ha ben chiari isuoi obiettivi. In crisianaloga sono anche ilmondo sociosanitario ed ilterzo settore, che purepossiedono tutti i requisitiper ritessere un rete socialesmagliata e fragile purchéaffrontino con strumentiadeguati e rinnovati lesfide attraverso strategie digovernance che ripartanodal basso.È in questa logica che lacomunità operosa può edeve tornare ad allearsicon la comunità di curaavvalendosi della sua lungatradizione di appoggiomutualistico che ha sempreoperato in vari contestiagricoli e industrialisostenendo lotte per ladignità dei lavoratori,

dando vita a realtàsindacali; la comunitàoperosa ha anche tessutoalleanze tra attori diversiche, pur con caratteristicheproprie, agivano in vista diun bene comune. Bonomicita il contesto di unarealtà borghese in cuiparroco, il direttore dibanca, il sindaco, eranoprotagonisti di beneficheinterazioni che avevanocome obiettivo unavirtuosa coesione sociale,ponendo le risorse dellacomunità operosa alservizio della comunità dicura. Oggi la societàoperosa sembra volerprestare le sue risorse allasocietà del rancorelavorando per soddisfare leesigenze di esclusione edifesa ad oltranza deibenestanti. In questocontesto soltanto larinascita della comunitàpolitica può offrire una viadi uscita ed è ciò di cuil’Italia ha disperatamentebisogno.

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L e pratiche quotidiane diragazzi e ragazze sono

qualcosa che spesso li acco-muna: rappresentano la loro«cultura comune», anche seè una cultura che spesso agliadulti (sia italiani sia migran-ti) sembra lontana. In questosenso, una delle sfide più ur-genti che ci troviamo davan-ti nei percorsi di educazioneinterculturale non è soloquella di gestire le differenzefra «culture», ma anche (for-se soprattutto) quella di ge-stire le differenze fra «gene-razioni». È anche questa unaforma di intercultura. Se nonriusciamo a costruire pontifra pratiche culturali che ca-ratterizzano le diverse gene-razioni (adulti e ragazzi, ge-nitori e figli, insegnanti edallievi), faremo fatica a co-gliere e valorizzare i modi incui le nuove generazioni so-no spesso più interculturalidi quanto immaginiamo.Su questi aspetti rimane sug-gestiva una pagina «classica»scritta una decina d’anni fada Doreen Massey, un’im-

ro abitazione, una costruzio-ne col tetto di paglia e il pa-vimento in terra battuta, amalapena illuminata da unfuoco acceso all’esterno del-la casa. Le donne, intente apreparare le tradizionali tor-tillas, le avevano parlato del-la loro vita quotidiana, con-dotta ancora in continuitàcon le pratiche tradizionalidella cultura Maya. Masseyracconta di come, avviandosinell’oscurità per raggiungerela sua automobile, mentreascoltava i rumori della fore-sta farsi più intensi col cre-scere dell’oscurità, avesseavuto l’impressione di trovar-si all’interno di una vera e

Se non riusciamo a costruire ponti fra pratiche culturali checaratterizzano le diverse generazioni, faremo fatica a cogliere i modiin cui le nuove generazioni sono più interculturali di quantoimmaginiamo.

in cercadi futurodavide [email protected]

propria cultura «nativa», an-cora in grado di preservareintatte le sue abitudine e cre-denze. Poi, d’un tratto, i ru-mori della notte tropicaleerano stati interrotti da unascarica di rumori elettronici: irumori provenivano daun’altra costruzione dove, inun’unica isola di luce artifi-ciale, una dozzina di ragazzidel posto stavano giocandoai videogames, fra frasi pro-nunciate in slang americanoe jingle di musica occidenta-le. E Massey si chiede: cherapporto c’è fra le pratichequotidiane di queste due ge-nerazioni? Che relazione sus-siste fra le tortillas delle ma-dri e i videogames dei figli,fra la cultura locale e quellaglobale? Alcune ricerche recenti sug-geriscono che non si debba-no vedere solo contrapposi-zioni fra pratiche in appa-renza così diverse. Sono pas-sati oltre dieci anni dalle pri-me ricerche di Massey e glistudi hanno fatto molti passiavanti. Un gruppo di ricerca-tori svedesi, per esempio, hamostrato come anche unapratica così lontana come ivideogiochi possa diventareoccasione di inter-cultura fragenerazioni diverse. I bam-bini vorrebbero videogioca-re... I nonni non sanno (o di-cono di non sapere...) comesi videogioca. Ed ecco cheuna consolle diventa occa-sione per avviare una praticacomune inter-generazione einter-culturale, in cui se ilbimbo insegna al nonno co-me manovrare un joystick, ilnonno continua a svolgere(imparando insieme al bam-bino) il suo imprescindibileruolo di educatore... q

Per approfondire

D. Massey, The spatial construc-tion of youth cultures, in T.Skelton, G. Valentine, Cool pla-ces: geographies of youth cul-tures, Routledge, New York(Usa) 1998.P. A. Aarsand, K. Aronsson, Pra-tiche di gioco al computer espazio sociale in famiglie svede-si, in P. Di Cori, C. Pontecorvo (acura di), Tra ordinario e straor-dinario: modernità e vita quoti-diana, Carocci, Roma 2007.

Tortillas e videogamesL’intercultura tra le generazioni

Un gruppo diricercatorisvedesi ha

mostrato comeanche una

pratica come ivideogiochi

possa diventareoccasione di

intercultura fragenerazioni

diverse

portante geografa contem-poranea. Massey raccontaun episodio avvenuto duran-te una ricerca sul campo dalei condotta in un’area ruraledello Yucatan. Siamo all’im-brunire in un’area di foresta.Massey ha appena terminatoun’intervista con un gruppodi donne Maya, che ha in-contrato all’interno della lo-

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S e non io, chi? Se nonqui, dove? Se non ora,

quando? Lo scrisse primadella nascita di Cristo unmaestro dell’ebraismo, Rab-bi Hillel. Le ultime parole diquesta frase costituiscono iltitolo di un libro di Primo Le-vi, Se non ora, quando?, rac-conto delle imprese di parti-giani ebrei, polacchi e russiche si opposero allo stermi-nio. Recentemente lo stessotitolo è stato lo slogan dellagiornata in difesa della scuo-la pubblica del 12 marzo. Citroviamo in un periodo diforte invocazione al «risve-glio delle coscienze» su cosasia il bene comune. Il siste-ma universitario italiano, chepur aveva notevoli inade-guatezze, con la riformaGelmini non solo non le ri-solve, ma, in un tentativoaziendalista all’italiana,smantella l’idea di culturacome bene intersoggettiva-mente costruito. I presuppo-sti di tale riforma sono di or-dine economico e culturale.Il presupposto economico è

la semplice esigenza di ridu-zione della spesa all’internodi un gioco di poteri accade-mici, politici e confindustrialiche annulla la partecipazio-ne democratica nella gestio-ne degli atenei. Il presuppo-sto culturale che lancia unacontinuità con la riformaMoratti è espresso dal con-cetto di «individualizzazio-ne», così come lo definisceUlrich Beck. Esso è inteso co-me progressivo processo diautonomia e autosostenta-mento in cui ognuno svilup-pa sempre più aspettative,desideri, progetti di vita chesi riferiscono alla propriapersona. L’individualizzazio-ne è però un fenomeno am-bivalente. Da un lato è liber-

totalmente mobile, che sen-za riguardo per i legami e lepremesse sociali della suaesistenza, fa di se stesso unaforza lavoro fungibile, flessi-bile, cosciente della presta-zione e della concorrenza.Diventare individui emanci-pati significa diventare di-pendenti dal mercato del la-voro e da tutta una serie dicorollari che vi ruotano at-torno: la pressione alla sco-larizzazione, l’aumento inquantità e qualità dei rico-noscimenti formali, la neces-sità di professionalizzareogni genere di attività. Questa concezione manage-riale si applica sia alla gestio-ne del processo educativo,mediante la riorganizzazio-ne degli atenei, sia nel pro-dotto di tale educazione, os-sia un soggetto con un nuo-vo orientamento interiore,diciamo più individualizzato.In questo senso, la riformanon si confronta con le esi-genze culturali di ampio re-spiro e nemmeno con unacultura dei diritti.Ecco perché, prima ancoradella scelta, appare crucialela domanda: «Se non ora,quando?». Sentire in se stes-si l’esigenza di connettere lapropria individualità al restodel mondo. C’è un tempo: ilpresente, anzitutto, perché èadesso che si negozia il futu-ro, si diffonde l’idea di mon-do che vogliamo realizzare.«Se non io, chi?»: me lo ripe-to per non dimenticarlo, perricordarmi che anch’io sonochiamata ad incarnare nelleazioni di ogni giorno i valoridi uguaglianza, giustizia, ri-spetto e trasparenza chedanno un senso al «bene co-mune». q

Se non io chi?Se non qui, dove?Se non ora, quando?

La libertà e la coscienza della libertà che sipresuppongono nel processo di individualizzazionesono anche una sorta di libertà del mercato del lavoro,dove la parola libertà assume il significato di auto-costrizione, auto-adattamento.

che aria tiraa scuola/1isabel paghera

Diventareindividui

emancipatisignifica

diventaredipendenti dal

mercato dellavoro e da tutta

una serie dicorollari che viruotano attorno

tà, decisione, un prodottomaturo di quel mercato dellavoro che prevedeva untempo gli ammortizzatoridello Stato sociale; dall’altroè costrizione, esecuzione diesigenze del mercato inte-riorizzate. Infatti, la libertà ela coscienza della libertà chesi presuppongono nel pro-cesso di individualizzazionesono anche una sorta di li-bertà del mercato del lavoro,dove la parola libertà assu-me il significato di auto-co-strizione, auto-adattamen-to. Le costrizioni da rispetta-re nel mercato devono esse-re interiorizzate, accolte nel-la propria persona, nellapropria condotta e pro-grammazione di vita, a par-tire dalla formazione univer-sitaria. L’immagine idealedella condotta di vita con-forme al mercato del lavoroè il singolo o l’individualità

Isabel Paghera

Laureata in Sociologiaall’Università diPadova con una tesisui progetti dirinnovazione urbanadi Parigi per la Mixitésociale, attualmente è iscritta a Padova alla Scuola di dottorato in scienze sociali.

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anche dire una minor forma-zione della persona e quindidel futuro lavoratore, cheavrà meno competenze damettere a disposizione per ilmiglior assolvimento deisuoi compiti professionali.Questo a mio parere è tristeperché al posto di migliorar-ci come paese ci indebolia-mo e peggioriamo il nostrostandard qualitativo sia sco-lastico sia lavorativo, e diconseguenza non riusciremopiù a stare al passo della me-dia europea. Troppo pochi,infatti, sono gli investimentie le risorse per favorire l’in-novazione in Italia. Tutto ciònon ci fa onore, rischiamo didiventare un paese vecchio epoco competitivo. Noi gio-vani menti non vorremmosoccombere in questo bara-tro, ma non ci vengono dateneanche le opportunità perfar crescere l’Italia. Nell’ulti-mo convegno a cui ho parte-cipato sulla qualità educati-va, è stato affermato chel’investimento sull’educazio-ne e sulla formazione è quel-lo che vale di più non soloper i soggetti in crescita, maper l’intera società, in quan-to il suo futuro economicopassa attraverso la qualitàformativa ed educativa dellapersona. Quest’ultimo con-cetto mi trova completa-mente d’accordo ma non misembra in linea con l’attualesituazione. q

1 Cfr. Legge 240/2010, art. 2: «Attribu-zione al senato accademico della com-petenza a formulare proposte e pareriobbligatori in materia di didattica, diricerca e di servizi agli studenti, anchein riferimento al documento di pro-grammazione triennale di ateneo,…,nonché di attivazione, modifica o sop-pressione di corsi, sedi, dipartimenti,strutture…».

aprile 2011 | cem mondialità | 13

che aria tiraa scuola/2monica paganin

Effettipost riforma

Ho sempre pensato che l’università fosse unapprofondimento di tematiche che permettono di crescere prima come persona e poi come figuraprofessionale, ma davanti a questa legge il miopensiero viene un po’ deviato.

Troppo pochisono

gli investimentie le risorse per

favorirel’innovazione

in Italia.Tutto ciò non ci

fa onore,rischiamo

di diventare un paese

vecchio e pococompetitivo

si circa per avere una rispo-sta definitiva. Tutta questa incertezza ècausata dalla riforma pro-prio perché afferma: «Attri-buzione al Senato accademi-co... nonché di attivazione,

L a riforma Gelmini è sta-ta approvata. E ora?

Adesso noi studenti, i do-centi, i collaboratori… subi-remo le conseguenze con icambiamenti che questaporta con sé. Io, studentessadel terzo anno di Scienzedell’educazione e dei pro-cessi formativi, credevo nonmi tangesse in quanto lemodifiche che la riforma ap-porta valgono per gli stu-denti iscritti al primo anno dicorso, invece mi sono trova-ta bloccata in una situazionecausata dall’incertezza e daicambiamenti creati dallalegge 240/2010. Nel mese diGennaio 2011 mi sono pre-sentata ad un mio docentedi corso per chiedergli la di-sponibilità a seguirmi nellosvolgimento della tesi trien-nale. La sua risposta pur-troppo è stata incerta inquanto in quel momentonon sapeva ancora se il suocorso sarebbe stato presentenel futuro anno accademico,di conseguenza, avrei dovu-to attendere ancora due me-

modifica o soppressione dicorsi…»1 di conseguenza inbase a quello che verrà deci-so potrò trovare o meno undocente che mi seguirà perla tesi. Ho sempre pensatoche l’università fosse un ap-profondimento di tematicheche permettono di crescereprima come persona e poicome figura professionale,ma davanti a questa legge ilmio pensiero viene un po’deviato in quanto credo (el’ho potuto appurare in que-sti anni universitari) che i varicorsi, anche molto diversifi-cati tra loro, mi hanno potu-to formare prima per unamia cultura generale e suc-cessivamente come futuralavoratrice. Qui sorge unadomanda: «Con quale crite-rio l’università sceglierà setenere o abolire un corso?».Per l’esperienza che ho sareiveramente in difficoltà nel ri-spondere a questa domandain quanto tutti i corsi hannocontribuito a chiarire aspettidiversi di un lavoro molto di-versificato e di conseguenzatutti necessari per una buo-na formazione dello studen-te. Inoltre tagliare corsi vuol

MonicaPaganin

Studentessa del terzoanno del corso dilaurea in Scienzedell’educazione e deiprocessi formativi,Facoltà di scienzedella formazione,Università Cattolicadel Sacro Cuore consede a Brescia..

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Il lavoro femminile, ieri co-me oggi, qui o nei paesi

più lontani, rappresentaun’economia spesso som-mersa, taciuta, ostacolata,ma un pilastro fondamenta-le dell’economia globale.Donne che lasciano affetti eluoghi in cerca di lavoro,spesso legato al ciclo del-l’esistere: all’inizio della vitabalie che allattano i piccoli dialtre donne e li crescono co-me figli, in un rapportostretto di affetti e corporei-tà, una maternità allargatacapace di alimentare la vita;nel lento fluire degli annidonne che si prendono curadegli anziani o dei malati,sovente accompagnandolifino all’ultimo stadio del-l’esistenza... E sempre, inpassato come nel presente,la resilienza è la caratteristi-ca che contraddistingue ledonne che lavorano.Ce lo testimonia anche il bellavoro realizzato, ancora unavolta, da alcune classi deltriennio del Liceo Einaudi diChiari1, che hanno raccolto

ed elaborato un preziosomateriale sul lavoro delledonne nel bresciano dal se-condo dopoguerra a metàdegli anni ’70. Il tutto è con-fluito in una mostra fotogra-fica itinerante intitolataMondine in risaia e Donne aservizio2 e in una pubblica-zione dal titolo Donne chemigrano per lavoro. Unospaccato di storia del sud-ovest bresciano3.L’indagine, però, non è finitaqui. I ragazzi hanno ascolta-to, infatti, anche i racconti didonne che, oggi, spinte daglistessi bisogni che avevano lenostre nonne, zie, vicine dicasa, conoscenti, arrivano nelnostro paese ed entrano nel-le nostre case per assisterevecchi, accudire bambini,aiutare nelle faccende dome-stiche. Le donne che arrivanodall’Est, dall’Africa o dal-l’America Latina rivivono lestesse emozioni e difficoltàraccontate dalle donne bre-sciane 50 anni fa, la stessa fa-tica nel costruirsi riferimenti,nell’imparare una lingua, nel-

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buone pratichedi resilienzaoriella stamerra - alessandra [email protected] - [email protected]

Le donne che arrivano dall’Est, dall’Africa o dall’America Latinarivivono le stesse emozioni e difficoltà raccontate dalle donnebresciane 50 anni fa, la stessa fatica nel costruirsi riferimenti,nell’imparare una lingua, nell’affermarsi...

Resilienzafa rima con donna

Balie, governanti, bambinaie,dame di compagnia o quelle

delle «24 ore», a servizio infamiglie facoltose, o ancora

operaie nelle fabbriche svizzere

a servizio in famiglie facolto-se - o ancora operaie nellefabbriche svizzere.Da Chiari, Castelcovati, Cizza-go-Comezzano, Palazzolosull’Oglio, Pontoglio e Trenza-no le nostre donne migrava-no nel pavese, novarese, ver-cellese a fare le mondine, op-pure andavano nelle ortagliealla periferia delle città finoalla fine dell’estate per la rac-colta di frutta e ortaggi. Altreancora, da pendolari, rag-giungevano le grandi città,oppure emigravano all’este-ro, soprattutto in Svizzera,dove rimanevano per anni.

Un gruppo di mondine di Rudiano (Bs)

Albertina Buffoli, governante al mare

l’affermarsi... Lasciamo dunque la parola airagazzi di Chiari.

Donne migranti, lavoratrici, straniere

«Coordinati dalla prof. Clau-dia Piccinelli, abbiamo inter-vistato oltre cinquanta don-ne, costrette da necessitàeconomiche a lasciare la lorofamiglia per andare a lavora-re stagionalmente in campa-gna oppure a fare le pendo-lari in città - balie, governan-ti, bambinaie, dame di com-pagnia o quelle delle 24 ore,

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La storia dellenostre nonne,

zie, prozie,vicine di casa,

non è scritta neilibri di scuola,

ma èdeterminante,

perché fatta diduro lavoro,

sacrificio,abnegazione,

spesso pococonsiderata

Le testimonianze sono stateraccolte e riscritte mante-nendo fede al registro lin-guistico delle intervistate,per conservarne la genuini-tà, le esitazioni, le reticenze,la spontaneità. Sono stati re-cuperati oggetti d’uso, ricor-di impressi su fotografie elettere che le nostre donne siscambiavano con i fidanzati,familiari oppure con il parro-co del paese. Abbiamo rispolverato il vis-suto delle mondine Maria,Elvirì, Giuditta, Enrichetta,Mary, Emma, Anna e ascol-tato i canti della dura vitadella risaia che le teneva lon-tano da casa per quaranta osessanta giorni. Le pendolari, mogli e madri“a servizio”, invece viaggia-vano sulla tratta Chiari-Mila-no. Come Olga, la più anzia-na, la quale ci racconta che iprimi tempi si viaggiava invagoni che erano carri-be-stiame, con partenza allamattina presto e rientro asera inoltrata, ogni giorno,per anni. Le fanno eco Ma-ria, Iole, ma anche Anita,operaia in una maglieria.Abbiamo ascoltato anche leninne nanne e le filastrocchedelle balie, come Pina, cheha allevato tredici figli di al-tri, una vera vocazione di ba-lia asciutta. Armida ci offrela sua testimonianza di bam-bina andata a balia e deltrattamento particolare chele veniva riservato perchépotesse crescere sana e for-te. Teresa, balia di latte, conun’esile voce dice che anco-ra adesso i suoi «figli di lat-te» la chiamano «a Mia ba-lia». Giò ci racconta della si-gnora Rosy, sua suocera,morta a novantadue anni,

Invece Rita comincia a lavo-rare giovanissima come don-na di servizio quella delle 24ore, ma è anche la prima afare i turni di notte in ospe-dale e a rimanerci giorno enotte, anche a dormire, per-ché non c’erano mezzi perritornarsene a casa.La storia delle nostre nonne,zie, prozie, vicine di casa,non è scritta nei libri di scuo-la, ma è determinante, per-ché fatta di duro lavoro, sa-crificio, abnegazione, spessopoco considerata. Esse sonoconsapevoli di aver avuto unruolo attivo nella propria fa-miglia, le testimonianze del-le donne provenienti oggidall’Est Europa ci hanno aiu-tato a coglierlo.Stesse aspettative e stessiproblemi di allora anche perle donne straniere di oggi. Ilmiraggio di un’occupazionelavorativa troppo spesso de-ve fare i conti con la soffe-renza per la lontananza dagliaffetti e con il problema dellalingua, che paralizza, se nonla si conosce. Oggi si cerca difavorire l’apprendimentodella lingua italiana da partedelle donne straniere.Lo stesso problema lo rac-conta Carolina, emigrata ne-gli anni cinquanta da Chiaria Sciaffusa, in Svizzera, perfare l’operaia: «La ditta ciaveva persino mandato ascuola, io avevo imparatomolto bene la loro lingua,solo che la maggior parte

parlava un dialetto tedesco.Allora i nostri datori di lavo-ro ci hanno detto che dove-vamo imparate la vera lin-gua tedesca. È stato difficile!La prima frase in tedesco cheho dovuto imparare eraquella da utilizzare per il la-voro: “Questa macchina èrotta!”. Invece nonna Cati,da Sarnico emigrata a Urkene a Schoflne, ha imparato lalingua “un po’ qua, un po’là, un po’ dalle amiche”.Oggi le donne migranti, purconsapevoli delle difficoltàlegate agli spostamenti, per-sistono tenaci così come losono state le nostre donneun tempo, nella speranza dioffrire, grazie a un lavoro,anche se troppo spesso pre-cario e poco considerato,l’aiuto necessario alle lorofamiglie, in particolare ai fi-gli, spesso lasciati nelle terred’origine e per i quali non èsempre facile accettare lalontananza. Ancora una vol-ta, ieri come oggi, con unospostamento che pare ripe-tersi ciclicamente, le donne,come un esercito di silenzio-se ma laboriose formiche,dimostrano di essere prota-goniste nell’economia di in-tere famiglie.Abbiamo così voluto restituireloro dignità e valore. E offrireun piccolo spazio nel qualepossano avere voce». q

Sara Macetti, Elena Marini, Marco Martinazzi,

Federica Salodini5a ALAC - ITCG «Luigi Einaudi» - Chiari (Bs)

1 Cfr. «CEM Mondialità», febbraio 2011,pp. 14-15.2 La mostra è stata realizzata in colla-borazione con la «Quadra Zeveto» diChiari, che da sempre sostiene e valo-rizza la storia delle piccole cose.3 Completano la pubblicazione le testi-monianze-video realizzate grazie alla

Per contatti

Prof. Claudia PiccinelliITCG Luigi EinaudiChiari (Bs)[email protected]

Ester Salvoni, balia di latte di Castelcovati (Bs)

Giovanna Martinelli in Svizzera

che ha fatto la balia, barat-tando il suo latte con un co-niglio o una gallina, perchédi denaro non ce n’era. E co-me non ascoltare il raccontodi Maria, del Santellone, lacuoca che nella colonia ma-rittima a Igea Marina - primagestita dalle Acli e poi passa-ta comunale - preparavapranzo e cena a duecentobambini e che al posto delmare vedeva solo pentole!

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pedagogiadella lumacagianfranco [email protected]

A Belo Horizonte (Brasi-le), dove vivo da più di

due anni, è accaduto recen-temente, nel Parco Munici-pale, un fatto grave. Un al-bero, improvvisamente, ècollassato e si è abbattuto alsuolo, portando con sé, inquesto suo «fin di vita», unagiovane signora quaranten-ne, che faceva jogging conle cuffie della musica accese.E così non ha percepitonemmeno i rumori del ramoche si stava spezzando e iltutto le è stato fatale. Il mu-nicipio di Belo Horizonte,per evitare possibili ulterioritragedie e/o denunce per in-curia, ha deciso una soluzio-ne finale: abbattere circa500 piante nell’unico gran-de polmone verde al centro

malati e quindi vanno ab-battuti. Pensiamo per un at-timo se questa teoria fosseapplicata agli umani: altroche «nazismo»!

Prevenzione e cura

La questione è culturale. Lacura e la prevenzione deglialberi dovrebbe avvenire findalla loro nascita. Prima ditutto gli alberi andrebberopiantumati usando il seme.Una pianta che ha originedal seme sviluppa una radicecentrale detta «fittone». È

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della città. Dimenticando chec’è un altro modo più subdo-lo e più lento per morire nelletante metropoli del mondo:l’inquinamento quotidianodell’aria. E gli alberi sonol’unico filtro alternativo alvero grande filtro d’aria del-le città: i polmoni di chi ci vi-ve. Le conseguenze sono ov-vie; non stupiamoci quindidelle allergie e delle malattiepolmonari. La motivazioneche generalmente i tecniciadducono per queste scelteradicali sono: gli alberi sono

La lentezzae la saggezzadegli alberi

Attorno al tronco di un albero dovrebbe esistere uno spazio di terreno libero, per permettere alle radici di respirare, ma soprattutto per consentirel’assorbimento dell’acqua piovana.

una potente radice che scen-de alla ricerca dell’acqua, deisali minerali e di tutti gli ele-menti necessari alla crescita.Il fittone è anche capace diincunearsi nelle rocce espezzarle. Le piante prove-nienti dai vivai hanno nellaquasi totalità il fittone reci-so... di conseguenza sonopiù deboli. La seconda infor-mazione che tutti i cittadini(e tanto più chi cura il verdepubblico) dovrebbero averben chiara è che un alberosviluppa nel sottosuolo unapparato radicale equivalen-te per dimensione e forma.Attorno al tronco di un albe-ro dovrebbe quindi esistereuno spazio di terreno libero,per permettere alle radici direspirare, ma soprattuttoper far sì che l’acqua piova-na possa scendere libera-mente ed essere assorbita.Come è possibile ciò quandoanche attorno ad alberi cen-tenari, come accade in quasitutte le città, compresa BeloHorizonte, attorno agli albe-ri viene spalmata una belladose di cemento o di asfal-to? E così, dopo un po’ dianni le radici, alla ricerca del-l’indispensabile acqua, sal-gono e alzano marciapiedi efondi stradali. Di fronte aforti temporali accompa-gnati da potenti venti, questialberi sono i primi a cadere ea creare così incidenti e tra-gedie umane. Credo che leconoscenze vadano condivi-se. Apprendere dalla natura!Chi lo desidera può conti-nuare con me la riflessione ocontattare l’associazione cheda anni si batte per questacultura, l’Ecoistituto di Cese-na (www.tecnologieappro-priate.it). q

La motivazione chegeneralmente i tecniciadducono perl’abbattimento deglialberi è che essi sonomalati. Si tratta di unascelta radicale

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

GIUGNO-LUGLIO 2010

Nomadi del presente, cittadinidel futuro

AGOSTO-SETTEMBRE 2010

Gli spazi

OTTOBRE 2010

I tempi NOVEMBRE 2010

I saperi

DICEMBRE 2010

Passioni ecompassioni

NOMIA

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MAGGIO 2011

Adesso!

APRILE 2011

L’economia

APRILE 2011

FEBBRAIO 2011

La politica

GENNAIO 2011

Identità e culture

Il sacro, i sacri

L’ECO

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VIVERE E LAVORARE INSIEME PER IL BENECOMUNE E IL BENESSERE RECIPROCO

Di seguito riporto un’estrema sintesi dei suoi stimoli, pubbli-cata nel 2007 da Lettera, bollettino del «Club The EuropeanHouse - Ambrosetti», il più prestigioso think tank italiano dipensiero manageriale ed analisi di scenari, anche se in realtàil pensiero di Kaku era già stato portato in Italia nei primi anni’90 da L’impresa, la bella rivista di studi manageriali delleedizioni Il Sole-24 ore.«Ryuzaburo Kaku, il lungimirante presidente del gruppogiapponese Canon, scomparso pochi anni fa, intuì sin dal-l’inizio degli anni ‘90 le esigenze del nuovo contesto e le rela-tive implicazioni in termini di leadership, classificando le im-prese in quattro categorie in relazione al tipo di realtà che lecaratterizza:

Nessun vento è afavore, se non

conosci il porto

Seneca

C ominciamo parlando di un piccolo uomo giapponese,Ryuzaburo Kaku. Da bambino sopravvisse a Nagasa-ki; da adulto andò a lavorare alla Canon, società fon-

data a Tokyo nel 1937 e destinata a diventare ben presto unadelle aziende leader mondiali del settore e che oggi operacon circa 80 mila persone in 140 Stati e tre continenti. Eviden-temente Kaku era bravino, poiché alla fine degli anni ’80 nedivenne presidente. La sua carriera andava di pari passo conlo sviluppo economico del Giappone, che si apprestava a di-ventare la seconda potenza economica mondiale. Ma Kakunon pensava solo ai bilanci, alle acquisizioni o alle joint-ven-ture, vassalle di un’ottica di breve/medio periodo. Lui pensa-va e basta, pensava in largo e pensava in avanti.Portava avanti da decenni la sua battaglia per il risanamentomorale del Giappone (minato dalla corruzione) e per la paxeconomica. Che vuol dire, in pratica, sfatare il luogo comunedi un Giappone «aggressivo e arrogante» sui mercati interna-zionali e promuovere invece l’idea dell’«azienda globale»,per la quale la nazionalità è irrilevante perché la sua comuni-tà è il mondo intero. E così teorizzò il Kyosei, ovvero la coesi-stenza reciprocamente vantaggiosa fra uomo e uomo, uomoe macchina, uomo e ambiente. Meglio ancora, Kyosei signi-fica vivere e lavorare insieme per il bene comune e il benes-sere reciproco.

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Gianni Caligaris

Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

Per unaresponsabilitàsociale dell’impresa

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gli spazi 2

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Uno degli esempi più significatividi difesa dell’ambiente e dellecomunità locali, attuate

localmente ma con riflesso globale, èrappresentato dalla professoressaafricana Wangari Muta Maathai,nativa del Kenya, premio Nobel per lapace nel 2004. L’azione ecologista diMaathai è stata a lungo ignorata dalgoverno kenyota perché coinvolgevasolo donne. Quando il governo hacominciato a boicottarla, la fama cheaveva acquisito presso le donne e ipoveri le ha garantito credibilità: lepersone sapevano da che parte stava

e si rifiutavano di credere allediffamazioni diffuse ad arte dalgoverno. Nondimeno, il suo attivismol’ha mandata in prigione varie volte,ha accelerato la fine del suomatrimonio, l’ha spedita in esilio inTanzania per sei mesi e, nel 1999, èstata aggredita con la complicità dellapolizia. In quell’occasione vollefirmare il rapporto della polizia con ilsangue che le colava dalle ferite dellatesta, uno dei gesti clamorosi che hausato per rompere tabù e faremaggior presa sull’opinione pubblica. Eletta al parlamento kenyota nel2002, Maathai, come si legge nellamotivazione del Nobel, «ha adottatoun olistico approccio allo svilupposostenibile che comprendedemocrazia, diritti umani e diritti delledonne in particolare. Pensaglobalmente e agisce localmente».Negli ultimi 150 anni il Kenya haperso quasi totalmente il suopatrimonio naturalistico. Ladeforestazione cominciò quando icoloni britannici rimpiazzarono leforeste con raccolti per il commercio,principalmente té e caffè, e continuòdopo l’indipendenza per la corruzionedei governanti. Nel 1970 Maathai siera unita al Consiglio Nazionale delleDonne del Kenya, e condivideva - leiintellettuale in carriera - i problemidelle donne rurali, che si lamentavanodell’assenza di acqua pulita, dellemiglia che dovevano percorrere pertrovare legna da ardere, e del fattoche le piogge scarseggiassero semprepiù. Maathai si rese conto che lamancanza di legna da ardere, cibo,acqua, materiali da costruzione,dipendeva dalla deforestazione chestava conducendo alla rovina delsuolo e al prosciugamento dellesorgenti. Allora ebbe l’idea - semplicee geniale al tempo stesso - di

Wangari Muta

Maathai

STEFANO CURCI

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organizzare gruppi di donne chepiantassero alberi per combattere ladesertificazione: da qui nacque, nel1977, il Green Belt Movement, il«Movimento cinture verdi», conl’obiettivo di difendere la biodiversitàe di creare occupazione per le donne.Negli anni Ottanta le iniziative delMovimento furono riprese da altripaesi africani, tanto che gli alberipiantati sono decine di milioni. Secondo l’ecologista kenyana lapovertà conduce direttamente aldegrado ambientale, perché i poverinon pensano al futuro e tagliano tuttigli alberi quando ne hanno bisogno.Ma il degrado ambientale è semprecausa di povertà, perché senza suolonon ci sono nemmeno erba, alberi, oacqua. Maathai, lottando contro ladeforestazione, ha salvato popolazionidi cacciatori e raccoglitori come gliOgiek. Grazie all’opera di WangariMaathai, in Africa è aumentata laconsapevolezza della problematicaambientale e del suo legame con lasalute e lo sviluppo. La deforestazionedel Monte Kenya ha portato l’erosionedel suolo e la perdita di riserved’acqua, con conseguente siccità emalnutrizione. Pace ed ecologia sonocombinate e lo dimostra il fatto chetutte le guerre si fanno per il possessodi risorse. Maathai ha lavoratoattivamente con le chiese locali per farcrescere la coscienza del legame trareligione e natura, per far vedere laprotezione dell’ambiente come unacustodia della creazione di Dio. q

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

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Imprese con capitalismo rozzo, che perdono la solidarietàgià in casa, a causa di un tipo di relazioni industriali fondatesulla contrapposizione e sulla conflittualità permanente.Queste imprese hanno poche speranze per il futuro. Imprese con destino condiviso, in cui la tutela degli inte-ressi delle parti avviene all’insegna della consapevolezzache si è tutti sulla stessa barca e che danneggiare la barca si-gnifica penalizzare gli interessi di tutti, sia dell’impresa siadei suoi lavoratori. Imprese con responsabilità sociali locali, che operano, oltreche con destino condiviso con i lavoratori, con la consapevo-lezza che disinteressarsi dei problemi e delle esigenze dellecomunità nelle quali l’impresa è più direttamente inserita si-gnifica penalizzare nel tempo anche i propri interessi basilari. Imprese con piene responsabilità sociali, che, oltre ad unasolidarietà sindacale e ad una partecipazione concreta allasoluzione di problemi ed esigenze locali, s’inseriscono comesoggetti attivi nei problemi e nelle esigenze più ampi delmondo, sempre con la consapevolezza che qualsiasi crisi fa-vorita dal disinteresse può provocare danni al conto econo-mico e alle proprie possibilità di sviluppo ben maggiori deglioneri che scaturiscono appunto da un interessamento attivo».

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1. Imprese concapitalismo rozzo x x x2. Imprese con destinocondiviso o x x3. Imprese con responsabilitàsociali locali

o o x4. Imprese con pieneresponsabilità sociali o o oFonte: Ryuzaburo Kaku

Riporto di seguito un breve stralcio di un’intervista a Fausto Taiten Guareschi,mio conterraneo e monaco zen, maestro della Comunità e del Tempio diFudenji (vicino a Fidenza, in provincia di Parma), che apre una finestra sulcollegamento fra i principi zen e la managerialità di Kaku. L’intervista integrale,che tocca molti temi di natura economica, è reperibile su www.fudenji.it

Le quattro fasi di un’aziendasecondo Ryuzaburo Kaku

L’impresa, l’azienda è una forma sociale che è nata dallarivoluzione industriale ed anch’essa è in piena evoluzione.Vengono messe in discussione le basi del mondo aziendale.Un’azienda esiste per il profitto? O per il cliente? O per lepersone che vi lavorano? Dal tuo punto di vista, come inquadril’azienda e il suo operare nella società?Ryuzaburo Kaku, presidente della Canon, pare abbia applicato la circo-larità dei due principi individuati da Jigoro Kano1 interpretando la storia,l’evoluzione e la trasformazione di un’azienda attraverso quattro fasi2. La quarta forma è quella dell’impresa globale che contribuisce alla pro-sperità dell’intero mondo attraverso un business vantaggioso. Questaazienda, nello spirito del kyosei - la prosperità reciproca - armonizza iconflitti industriali e gli attriti sociali e internazionali. Lo fa attraversoquattro strategie: nuova filosofia aziendale, ricerca e sviluppo, diversi-ficazione, organizzazione decentralizzata. La missione dell’azienda è,secondo Ryuzaburo Kaku, quella di «armonizzare i conflitti industriali,gli attriti sociali e internazionali», naturalmente sempre attraverso unbusiness vantaggioso. Quel che s’intende con prodotto e produzione èdiventato molto problematico perché forse si è perso di vista non soloil valore d’uso, ma soprattutto il valore simbolico. Questo è il punto. Ilconcetto di prosperità a quali valori si riferisce? Se il profitto ed il debi-to non sono intesi in un’altra ottica, non c’è modo di dar seguito aquesta economia. Se si rimane sordi a questa esigenza, o s’investe inguerre o si chiudono le fabbriche, i profitti vanno reinvestiti nella per-fetta ottica del bodhisattva3. Kaku ritiene infatti che sia necessario rein-vestire là dove stiamo sfruttando il mercato. Ora, io non sono certo uneconomista, ma mi pare che vada compreso il valore del debito inquanto indebitamento progressivo ed inesauribile. In altre parole l’in-debitamento economico è il primo passo per comprendersi nell’indebi-tamento morale e spirituale. In Asia, almeno nella cultura buddhista, èconsueto considerare quattro debiti od obblighi: verso i Tre Tesori, ver-so la famiglia, verso il proprio maestro e verso il governo del paese.

re con altre aziende, ricerca di prodotti ergonomici, processiproduttivi più ecologici. Impegno profuso nell’attività di Ricerca e Sviluppo, con in-vestimenti annuali pari al 6% del fatturato. Attiva collaborazione con le istituzioni che operano a favoredell’ambiente. Impegno nel realizzare apparecchi e sistemidi produzione che riducano al minimo gli sprechi energeticie i problemi ambientali. Realizzazione di un programma di riciclaggio per le cartuc-ce dei toner, alla costruzione di stabilimenti utilizzando mate-riali a basso impatto ambientale e alla ricerca di soluzioniche abbiano una significativa funzione ecologica.

«KYOSEI» IN CANON

Non intendo fare pubblicità a Canon (anche perché io foto-grafo Nikon!), ma ho visto almeno due analisi di ethical advi-sor su Canon e credo di poter dire che non sono specchiettiper le allodole: Ruolo centrale delle risorse umane e della loro responsabi-lizzazione, facendo leva sul rispetto reciproco e sul dialogo.Tradotto in linguaggio aziendale, il kyosei vuol dire anchecooperazione tra filiali di paesi diversi, accordi e joint-ventu-

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La vita, amico, è lʼarte dellʼincontroVinicius de Moraes

Se vogliamo creare una società pluralista e consapevoledei fondamentali valori comuni, dobbiamo lavoraresoprattutto con i giovani. È nel mondo dellʼeducazione chequesto messaggio interculturale ha maggiori probabilitàdi venire ascoltato. È attraverso lʼeducazione che possiamomettere fine al razzismo. David Jacksoncoordinatore dellʼInterfaith Education Centre(Centro Educativo Interconfessionale), Bradford (Gran Bretagna)

In questi mesi ci si è interrogati, in unʼottica sia in‑ter che pluridisciplinare, sul senso dellʼinsegnarele religioni oggi. Cercheremo con questo contri‑

buto di tracciare strade concrete per esplorare ilfatto religioso in chiave pluralista ed interculturale,tenendo come orizzonte di senso la «pedagogia in‑terreligiosa»1. Una prospettiva nuova, questʼultima,che la scuola, infatti ‑ dopo aver affermato la neces‑sità di una pedagogia interculturale ‑ chiede di de‑finire e fare propria. Una pedagogia interreligiosacapace di dare conto degli obiettivi formativi, per‑

sonali e insieme comunitari, che ci si propone conil dialogo interreligioso. Esso, infatti, non è solo unmodo possibile tra altri di insegnare le religioni e diimparare dalle religioni, ma la modalità necessariaalla scuola se essa vuole essere coerente con i pro‑pri principi educativi. Cerchiamo di costruire que‑sto orizzonte di senso soffermandoci in primo luo‑go sul significato del prefisso inter, che sottolinealʼ«importanza massima attribuita alla relazione dia‑logica, alla reciprocità, alla costruzione di un mon‑do comune che sia cultura delle varietà, convivialitàdinamica delle differenze, partecipazione solidalenella prospettiva dellʼunità nella molteplicità (Bau‑man)»2. Costruire una pedagogia davvero interreli‑giosa significa costruire una «pedagogia del dialo‑go», il cui orizzonte filosofico e pedagogico di riferi‑mento riporta a quei filosofi (Buber, Lévinas, Derri‑da) che fanno della relazione dialogicità‑ospitalità ilperno della loro ricerca. Ma il passo da fare è ancorapiù lungo: non è sufficiente «pensare la diversità» inunʼottica di «ospitalità». È necessario educarsi ededucare a «pensare se stessi rispetto alla diversità»,

a cura di MARIA LUISA DAMINI

QUESTIONE DI METODILA DIDATTIC A COOPERATIVAPER LʼINSEGNAMENTO DELLE RELIGIONI

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ovvero imparare a pensare al modo in cui guardia‑mo noi stessi e il nostro mondo attraverso gli altri.Come sostenuto nel secolo scorso da Hall, è neces‑sario lo sforzo dei migliori studi a carattere antropo‑logico per riuscire a «pensare se stessi» mentre siosservano contemporaneamente lʼ«altro» e sé. Inaltri termini, per esplorare «mondi possibili» (Scla‑vi3) è necessaria una costante pratica autoriflessivache, attraverso lʼascolto attivo e un decentramentorispetto allo «sguardo degli altri» (Augé4), richiami lapossibilità di farsi permeare e di pensare ogni indi‑vidualità in possibile divenire.

Dal dialogo alla prassi educativa

La domanda è quindi come passare da questo oriz‑zonte pedagogico a percorsi che possano tradurloin prassi educativa, in particolare nel contesto sco‑lastico. Se infatti la «pedagogia dellʼincontro» do‑vrebbe fare da sfondo ad ogni intervento davveroeducativo, questo è tanto più vero allʼinterno del‑lʼinsegnamento delle religioni in cui il dialogo devefarsi ‑ riprendendo Panikkar ‑ da «dialettico» a «dia‑logale». Se il primo intende la dialettica come

unʼarena in cui competere con lʼaltro, dove obietti‑vo fondamentale rimane con‑vincere lʼaltro, il «dia‑logo dialogale» legge il dialogo come unʼagorà vir‑tuale, in cui si può fare esperienza dellʼincontro conlʼaltro. In questo contesto lʼobiettivo è quello di co‑noscere e conoscersi piuttosto che quello di com‑petere. Solo leggendo il dialogo in questi termini sipuò pensare ad una vera pedagogia interreligiosache porti ad una fecondazione reciproca tra le per‑sone in relazione. Non si tratta più, allora, di misura‑re la verità dellʼuno e dellʼaltro, quanto di capire chela verità è sempre più in là delle nostre definizioniumane, essa ci supera sempre, più grande di ogniteologia. Per questo lʼincontro con lʼaltro diventa fe‑condo: non nasce una nuova verità, ma la consape‑volezza di aver capito qualcosa di più su di essa.

Il «Cooperative Learning»

Una modalità operativa che può tradurre questiprincipi in ambito scolastico è il Cooperative Lear‑ning5, «un metodo di insegnamento/apprendi‑mento in cui la variabile significativa è la coopera‑zione tra gli studenti». Attualmente lʼinteresse per ilCooperative Learning è diffuso e molti sono i centridi ricerca in tutto il mondo, ciascuno caratterizzatoda importanti specificità. È tuttavia possibile recu‑perarne da una pluralità di approcci le caratteristi‑che specifiche, ovvero lʼinterdipendenza positiva,lʼinterazione faccia a faccia, lʼinsegnamento direttoe uso delle abilità sociali, lʼagire in piccoli gruppieterogenei, la revisione del lavoro svolto e la valuta‑zione individuale e di gruppo.Il punto centrale del metodo sta nella relazione e, inparticolare, nellʼinsegnare la relazione. Torniamoora allʼinsegnamento delle religioni e notiamo co‑me il termine stesso «religione» presupponga, eti‑mologicamente, una relazione. Ogni relazione con‑tiene inoltre lʼidea di un «legame», che ogni uomoe ogni donna, con modalità diverse in ogni partedel mondo, cercano di costruire con lʼAssoluto. Iltema della relazione è centrale per comprenderelʼessenza stessa dellʼuomo, come sottolinea MartinBuber, che dellʼidea dellʼuomo come relazione fa il

Marialuisa DaminiInsegnante di scuola secondaria di

secondo grado, è cultore della materiain Pedagogia generale e sociale. È

dottoranda in Scienze pedagogiche,dell’educazione e della formazione

presso l’Università di Padova, con unaricerca sul tema dell’acquisizione di

competenze interculturali attraverso ilCooperative Learning. A livello di

ricerca si occupa prevalentemente ditematiche legate all’educazioneinterculturale, alle competenze

interculturali, alla didatticainterculturale, al Cooperative Learning,all’accoglienza degli alunni stranieri in

classe, al dialogo interreligioso.Collabora con riviste e con enti

formativi e del privato sociale che sioccupano di immigrazione e di

educazione [email protected]

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«Gloria al Padre, al Figlio, ed allo Spirito Santo!»

In quanto Conferenza delle Chiese europee (KEK) e Consigliodelle Conferenze episcopali europee (CCEE)* siamo ferma-mente determinati, nello spirito del messaggio scaturito dalledue Assemblee Ecumeniche europee di Basilea 1989 e diGraz 1997, a mantenere ed a sviluppare ulteriormente la co-munione che è cresciuta tra noi. Ringraziamo il nostro Dio Tri-nità che, mediante lo Spirito Santo, conduce i nostri passi ver-so una comunione sempre più intensa. Si sono già affermate svariate forme di collaborazione ecume-nica, ma fedeli alla preghiera di Cristo: «Tutti siano una solacosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi innoi una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai invia-to» (Gv 17,21), non possiamo ritenerci appagati dell’attualestato di cose. Coscienti della nostra colpa e pronti alla conver-sione dobbiamo impegnarci a superare le divisioni che esisto-no ancora tra noi, in modo da annunciare insieme, in modocredibile, il messaggio del Vangelo tra i popoli. Nel comune ascolto della Parola di Dio contenuta nella SacraScrittura e chiamati a confessare la nostra fede comune e pa-rimenti ad agire insieme in conformità alla verità che abbiamoriconosciuto, noi vogliamo rendere testimonianza dell’amoree della speranza per tutti gli esseri umani. Nel nostro continente europeo, dall’Atlantico agli Urali, da Ca-po Nord al Mediterraneo, oggi più che mai caratterizzato da unpluralismo culturale, noi vogliamo impegnarci con il Vangeloper la dignità della persona umana, creata ad immagine di Dio,e contribuire insieme come Chiese alla riconciliazione dei po-

poli e delle culture. In tal senso accogliamo questa Charta co-me impegno comune al dialogo ed alla collaborazione. Essadescrive fondamentali compiti ecumenici e ne fa derivare unaserie di linee guida e di impegni. Essa deve promuovere, a tuttii livelli della vita delle Chiese, una cultura ecumenica del dialo-go e della collaborazione e creare a tal fine un criterio vincolan-te. Essa non riveste tuttavia alcun carattere dogmatico-magi-steriale o giuridico-ecclesiale. La sua normatività consiste piut-tosto nell’auto-obbligazione da parte delle Chiese e delle orga-nizzazioni ecumeniche europee. Queste possono, sulla base diquesto testo, formulare nel loro contesto proprie integrazionied orientamenti comuni che tengano concretamente contodelle proprie specifiche sfide e dei doveri che ne scaturiscono.

I. Crediamo «la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica» «Cercate di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolodella pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speran-za alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; unsolo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre ditutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presentein tutti» (Ef 4,3-6)

1. Chiamati insieme all’unità della fede

In conformità al Vangelo di Gesù Cristo, come ci è testimoniatonella Sacra Scrittura ed è formulato nella Confessione ecume-

Questo mese di aprile si ricordano i dieci anni dalla firmadella Charta Oecumenica avvenuta il 22 aprile 2001 aStrasburgo. Quel giorno il CEM era là, spinto dal fatto chesiamo da sempre accaniti tifosi di qualsiasi tipo di dialogopossibile. Fu, si disse, «un grande passo in avanti per ilcontinente da cui sono partite le divisioni della cristianità». Per celebrare questo anniversario abbiamo pensato diripubblicare, come facemmo allora, il testo integrale della

Charta, con l’augurio che circoli il più possibile, dentro efuori tutte le chiese, e perciò anche in tutte le agenzieeducative. Ben sapendo che gli anni trascorsi da allorahanno registrato troppe chiusure identitarie da parte dichiese e società e religioni, oltre a strumentalizzazioniferoci del nome di Dio. E che l’ecumenismo è uno dei (tanti)campi in cui noi italiani dovremmo diventare un po’ piùeuropei. E dunque, più laici, accoglienti e dialoganti. (b.s.)

Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa

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nica di fede di Nicea-Costantinopoli (381), crediamo al Dio Trini-tà: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dal momento che, con questoCredo, professiamo la Chiesa «una, santa, cattolica ed apostoli-ca», il nostro ineludibile compito ecumenico consiste nel rende-re visibile questa unità, che è sempre dono di Dio. Differenzeessenziali sul piano della fede impediscono ancora l’unità visi-bile. Sussistono concezioni differenti soprattutto a propositodella Chiesa e della sua unità, dei sacramenti e dei ministeri.Non ci è concesso rassegnarci a questa situazione. Gesù Cristoci ha rivelato sulla croce il suo amore ed il segreto della riconci-liazione: alla sua sequela vogliamo fare tutto il possibile per su-perare i problemi e gli ostacoli, che ancora dividono le Chiese.

Ci impegniamo a seguire l’esortazione apostolica all’unità dell’epistola agli

Efesini (Ef 4,3-6) e ad impegnarci con perseveranza a rag-giungere una comprensione comune del messaggio salvifi-co di Cristo contenuto nel Vangelo;

ad operare, nella forza dello Spirito Santo, per l’unità visibiledella Chiesa di Gesù Cristo nell’unica fede, che trova la suaespressione nel reciproco riconoscimento del battesimo enella condivisione eucaristica, nonché nella testimonianzae nel servizio comune.

II. In cammino verso l’unità visibile delle Chiese in Europa «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amoregli uni per gli altri» (Gv 13,35)

2. Annunciare insieme il Vangelo

Il compito più importante delle Chiese in Europa è quello diannunciare insieme il Vangelo attraverso la parola e l’azione,per la salvezza di tutti gli esseri umani. Di fronte alla multifor-me mancanza di riferimenti, all’allontanamento dai valori cri-stiani, ma anche alla variegata ricerca di senso, le cristiane ei cristiani sono particolarmente sollecitati a testimoniare lapropria fede. A tal fine occorrono, al livello locale delle comu-nità, un accresciuto impegno ed uno scambio di esperienzesul piano della catechesi e della pastorale. Al tempo stesso èimportante che l’intero popolo di Dio si impegni a diffondereinsieme l’Evangelo all’interno dello spazio pubblico della so-cietà, ed a conferirgli valore e credibilità anche attraverso l’im-pegno sociale e l’assunzione di responsabilità nel politico.

Ci impegniamo a far conoscere alle altre Chiese le nostre iniziative per

l’evangelizzazione e a raggiungere intese in proposito, perevitare in tal modo una dannosa concorrenza ed il pericolodi nuove divisioni;

a riconoscere che ogni essere umano può scegliere, libera-mente e secondo coscienza, la propria appartenenza reli-giosa ed ecclesiale. Nessuno può essere indotto alla conver-sione attraverso pressioni morali o incentivi materiali. Altempo stesso a nessuno può essere impedita una conver-sione che sia conseguenza di una libera scelta.

3. Andare l’uno incontro all’altro

Nello spirito del Vangelo dobbiamo rielaborare insieme la sto-ria delle Chiese cristiane, che è caratterizzata oltre che damolte buone esperienze, anche da divisioni, inimicizie e addi-rittura da scontri bellici. La colpa umana, la mancanza di amo-re, e la frequente strumentalizzazione della fede e delle Chie-se in vista di interessi politici hanno gravemente nuociuto allacredibilità della testimonianza cristiana. L’ecumenismo, per le cristiane e i cristiani, inizia pertanto conil rinnovamento dei cuori e con la disponibilità alla penitenzaed alla conversione. Constatiamo che la riconciliazione è giàcresciuta nell’ambito del movimento ecumenico. È importante riconoscere i doni spirituali delle diverse tradi-zioni cristiane, imparare gli uni dagli altri e accogliere i doni gliuni degli altri. Per un ulteriore sviluppo dell’ecumenismo èparticolarmente auspicabile coinvolgere le esperienze e leaspettative dei giovani e promuovere con forza la loro parteci-pazione e collaborazione.

Ci impegniamo a superare l’autosufficienza e a mettere da parte i pregiudizi,

a ricercare l’incontro reciproco e ad essere gli uni per gli altri; a promuovere l’apertura ecumenica e la collaborazione nel

campo dell’educazione cristiana, nella formazione teologicainiziale e permanente, come pure nell’ambito della ricerca.

4. Operare insieme

L’ecumenismo si esprime già in molteplici forme di azione co-mune. Numerose cristiane e cristiani di Chiese differenti vivonoed operano insieme, come amici, vicini, sul lavoro e nell’ambitodella propria famiglia. In particolare, le coppie interconfessiona-li devono essere aiutate a vivere l’ecumenismo nel quotidiano.Raccomandiamo di creare e di sostenere a livello locale, regio-nale, nazionale ed internazionale organismi finalizzati alla coo-perazione ecumenica a carattere bilaterale e multilaterale. A li-vello europeo è necessario rafforzare la collaborazione tra laConferenza delle Chiese europee (KEK) ed il Consiglio delleConferenze episcopali europee (CCEE) e realizzare ulteriori as-semblee ecumeniche europee. In caso di conflitti tra Chieseoccorre avviare e sostenere sforzi di mediazione e di pace.

Ci impegniamo ad operare insieme, a tutti i livelli della vita ecclesiale, lad-

dove ne esistano i presupposti e ciò non sia impedito da mo-tivi di fede o da finalità di maggiore importanza;

a difendere i diritti delle minoranze e ad aiutare a sgombra-re il campo da equivoci e pregiudizi tra le chiese maggiorita-rie e minoritarie nei nostri paesi.

5. Pregare insieme

L’ecumenismo vive del fatto che noi ascoltiamo insieme la pa-rola di Dio e lasciamo che lo Spirito Santo operi in noi ed attra-verso di noi. In forza della grazia in tal modo ricevuta esistonooggi molteplici sforzi, attraverso preghiere e celebrazioni, tesiad approfondire la comunione spirituale tra le Chiese, e a pre-gare per l’unità visibile della Chiesa di Cristo. Un segno partico-larmente doloroso della divisione ancora esistente tra molte

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Chiese cristiane è la mancanza della condivisione eucaristica.In alcune Chiese esistono riserve rispetto alla preghiera ecu-menica in comune. Tuttavia, numerose celebrazioni ecumeni-che, canti e preghiere comuni, in particolare il Padre Nostro,caratterizzano la nostra spiritualità cristiana.

Ci impegniamo a pregare gli uni per gli altri e per l’unità dei cristiani; - ad im-

parare a conoscere e ad apprezzare le celebrazioni e le altreforme di vita spirituale delle altre chiese;

a muoverci in direzione dell’obbiettivo della condivisione eu-caristica.

6. Proseguire i dialoghi

La nostra comune appartenenza fondata in Cristo ha un signi-ficato più fondamentale delle nostre differenze in campo teo-logico ed etico. Esiste una pluralità che è dono e arricchimen-to, ma esistono anche contrasti sulla dottrina, sulle questionietiche e sulle norme di diritto ecclesiastico che hanno invececondotto a rotture tra le Chiese; un ruolo decisivo in tal sensoè stato spesso giocato anche da specifiche circostanze stori-che e da differenti tradizioni culturali. Al fine di approfondire lacomunione ecumenica, occorre assolutamente proseguire ne-gli sforzi tesi al raggiungimento di un consenso di fede. Senzaunità nella fede non esiste piena comunione ecclesiale. Nonc’è alcuna alternativa al dialogo.

Ci impegniamo a proseguire coscienziosamente e con intensità il dialogo

tra le nostre Chiese ai diversi livelli ecclesiali e a verificarequali risultati del dialogo possano e debbano essere dichia-rati in forma vincolante dalle autorità ecclesiastiche.

a ricercare il dialogo sui temi controversi, in particolare su que-stioni di fede e di etica sulle quali incombe il rischio della divi-sione, e a dibattere insieme tali problemi alla luce del Vangelo.

III. La nostra comune responsabilità in Europa «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9)

7. Contribuire a plasmare l’Europa

Nel corso dei secoli si è sviluppata un’Europa caratterizzatasul piano religioso e culturale prevalentemente dal cristianesi-mo. Nel contempo, a causa delle deficienze dei cristiani, si èdiffuso molto male in Europa ed al di là dei suoi confini. Con-fessiamo la nostra corresponsabilità in tale colpa e ne chie-diamo perdono a Dio e alle persone. La nostra fede ci aiuta adimparare dal passato e ad impegnarci affinché la fede cristia-na e l’amore del prossimo irraggino speranza per la morale el’etica, per l’educazione e la cultura, per la politica e l’econo-mia in Europa e nel mondo intero. Le Chiese promuovono unaunificazione del continente europeo. Non si può raggiungerel’unità in forma duratura senza valori comuni. Siamo persuasiche l’eredità spirituale del cristianesimo rappresenti una forza

ispiratrice arricchente l’Europa. Sul fondamento della nostrafede cristiana ci impegniamo per un’Europa umana e sociale,in cui si facciano valere i diritti umani ed i valori basilari dellapace, della giustizia, della libertà, della tolleranza, della parte-cipazione e della solidarietà. Insistiamo sul rispetto per la vita, sul valore del matrimonio edella famiglia, sull’opzione prioritaria per i poveri, sulla dispo-nibilità al perdono ed in ogni caso sulla misericordia. In quan-to Chiese e comunità internazionali dobbiamo contrastare ilpericolo che l’Europa si sviluppi in un Ovest integrato ed unEst disintegrato. Anche il divario Nord-Sud deve essere tenuto in conto. Occorrenel contempo evitare ogni forma di eurocentrismo e rafforzarela responsabilità dell’Europa nei confronti dell’intera umanità,in particolare verso i poveri di tutto il mondo.

Ci impegniamo ad intenderci tra noi sui contenuti e gli obbiettivi della no-

stra responsabilità sociale ed a sostenere il più possibile in-sieme le istanze e la concezione delle Chiese di fronte alleistituzioni civili europee;

a difendere i valori fondamentali contro tutti gli attacchi; a resistere ad ogni tentativo di strumentalizzare la religione

e la Chiesa a fini etnici o nazionalistici.

8. Riconciliare popoli e culture

Noi consideriamo come una ricchezza dell’Europa la moltepli-cità delle tradizioni regionali, nazionali, culturali e religiose. Difronte ai numerosi conflitti è compito delle Chiese assumersicongiuntamente il servizio della riconciliazione anche per i po-poli e le culture. Sappiamo che la pace tra le Chiese costitui-sce a tal fine un presupposto altrettanto importante. I nostri sforzi comuni sono diretti alla valutazione ed alla riso-luzione dei problemi politici e sociali nello spirito del Vangelo.Dal momento che noi valorizziamo la persona e la dignità diognuno in quanto immagine di Dio, ci impegniamo per l’asso-luta eguaglianza di valore di ogni essere umano. In quanto Chiese vogliamo promuovere insieme il processo didemocratizzazione in Europa. Ci impegniamo per un ordinepacifico, fondato sulla soluzione non violenta dei conflitti.Condanniamo pertanto ogni forma di violenza contro gli esseriumani, soprattutto contro le donne ed i bambini. Riconciliazione significa promuovere la giustizia sociale all’in-terno di un popolo e tra tutti i popoli ed in particolare superarel’abisso che separa il ricco dal povero, come pure la disoccu-pazione. Vogliamo contribuire insieme affinché venga conces-sa una accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini mi-granti, ai profughi ed a chi cerca asilo in Europa.

Ci impegniamo a contrastare ogni forma di nazionalismo che conduca al-

l’oppressione di altri popoli e di minoranze nazionali ed a ri-cercare una soluzione non violenta dei conflitti.

a migliorare e a rafforzare la condizione e la parità di dirittidelle donne in tutte le sfere della vita e a promuovere la giu-sta comunione tra donne e uomini in seno alla Chiesa e allasocietà.

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9. Salvaguardare il creato

Credendo all’amore di Dio creatore, riconosciamo con gratitu-dine il dono del creato, il valore e la bellezza della natura. Guar-diamo tuttavia con apprensione al fatto che i beni della terravengono sfruttati senza tener conto del loro valore intrinseco,senza considerazione per la loro limitatezza e senza riguardoper il bene delle generazioni future. Vogliamo impegnarci insie-me per realizzare condizioni sostenibili di vita per l’intero crea-to. Consci della nostra responsabilità di fronte a Dio, dobbiamofar valere e sviluppare ulteriormente criteri comuni per deter-minare ciò che è illecito sul piano etico, anche se è realizzabilesotto il profilo scientifico e tecnologico. In ogni caso la dignitàunica di ogni essere umano deve avere il primato nei confrontidi ciò che è tecnicamente realizzabile. Raccomandiamo l’isti-tuzione da parte delle Chiese europee di una giornata ecume-nica di preghiera per la salvaguardia del creato.

Ci impegniamo a sviluppare ulteriormente uno stile di vita nel quale, in con-

trapposizione al dominio della logica economica ed alla co-strizione al consumo, accordiamo valore ad una qualità divita responsabile e sostenibile;

a sostenere le organizzazioni ambientali delle Chiese e le re-ti ecumeniche che si assumono una responsabilità per lasalvaguardia della creazione.

10. Approfondire la comunione con l’Ebraismo

Una speciale comunione ci lega al popolo d’Israele, con il qua-le Dio ha stipulato una eterna alleanza. Sappiamo nella fedeche le nostre sorelle ed i nostri fratelli ebrei sono amati (daDio), a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sonoirrevocabili! (Rm 11,28-29). Essi posseggono l’adozione a figli,la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i pa-triarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne… ( Rm 9,4-5).Noi deploriamo e condanniamo tutte le manifestazioni di anti-semitismo, i pogrom, le persecuzioni. Per l’antigiudaismo inambito cristiano chiediamo a Dio il perdono e alle nostre sorel-le e ai nostri fratelli ebrei il dono della riconciliazione. È urgentee necessario far prendere coscienza, nell’annuncio e nell’inse-gnamento, nella dottrina e nella vita delle nostre Chiese, delprofondo legame esistente tra la fede cristiana e l’ebraismo esostenere la collaborazione tra cristiani ed ebrei.

Ci impegniamo a contrastare tutte le forme di antisemitismo ed antigiudai-

smo nella Chiesa e nella società; a cercare ed intensificare a tutti i livelli il dialogo con le no-

stre sorelle e i nostri fratelli ebrei.

11. Curare le relazioni con l’Islam

Da secoli musulmani vivono in Europa. In alcuni paesi essirappresentano forti minoranze. Per questo motivo ci sono sta-ti e ci sono molti contatti positivi e buoni rapporti di vicinatotra musulmani e cristiani, ma anche, da entrambe le parti,grossolane riserve e pregiudizi, che risalgono a dolorose espe-rienze vissute nel corso della storia e nel recente passato.Vogliamo intensificare a tutti i livelli l’incontro tra cristiani e

musulmani ed il dialogo cristiano-islamico. Raccomandiamoin particolare di riflettere insieme sul tema della fede nel Diounico e di chiarire la comprensione dei diritti umani.

Ci impegniamo ad incontrare i musulmani con un atteggiamento di stima; ad operare insieme ai musulmani su temi di comune inte-

resse.

12. L’incontro con altre religioni e visioni del mondo

La pluralità di convinzioni religiose, di visioni del mondo e diforme di vita è divenuta un tratto caratterizzante la cultura eu-ropea. Si diffondono religioni orientali e nuove comunità reli-giose, suscitando anche l’interesse di molti cristiani. Ci sonoinoltre sempre più uomini e donne che rigettano la fede cristia-na, si rapportano ad essa con indifferenza o seguono altre vi-sioni del mondo. Vogliamo prendere sul serio le questioni criti-che che ci vengono rivolte, e sforzarci di instaurare un confron-to leale. Occorre in proposito discernere le comunità con lequali si devono ricercare dialoghi ed incontri da quelle di frontealle quali, in un’ottica cristiana, occorre invece cautelarsi.

Ci impegniamo a riconoscere la libertà religiosa e di coscienza delle perso-

ne e delle comunità ed a fare in modo che esse, individual-mente e comunitariamente, in privato ed in pubblico, possa-no praticare la propria religione o visione del mondo, nel ri-spetto del diritto vigente;

ad essere aperti al dialogo con tutte le persone di buona vo-lontà, a perseguire con esse scopi comuni ed a testimoniareloro la fede cristiana.

Gesù Cristo, Signore della Chiesa «una», è la nostra più grande spe-ranza di riconciliazione e di pace. Nel suo nome vogliamo proseguirein Europa il nostro cammino insieme. Dio ci assista con il suo SantoSpirito! «Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fe-de, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo»(Rm 15,13).

* Alla KEK (Conferenza delle Chiese europee) appartengono la maggior partedelle chiese ortodosse, riformate, anglicane, libere e vecchio-cattoliche d’Eu-ropa. Nel CCEE (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) sono inclusele Conferenze episcopali cattolico-romane d’Europa.

In qualità di Presidenti della Conferenze delle Chiese europee (KEK) e delConsiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) noi raccomandiamoquesta Charta Oecumenica quale testo base per tutte le Chiese e Conferen-ze episcopali d’Europa affinché venga recepita ed adeguata allo specificocontesto di ciascuna di esse. Con questa raccomandazione sottoscriviamo la Charta Oecumenica nelcontesto dell’Incontro ecumenico europeo, che si svolge la prima domenicadopo la Pasqua comune dell’anno 2001. Strasburgo, 22 aprile 2001.

Metropolita Jeremie Card. Miloslav Vlk Presidente KEK Presidente CCEE Conferenza delle Chiese d’Europa Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa

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gnamento delle religioni sta proprio nel trovareuna strada per «coniugare» queste due tipologie direlazione: cercare una verità (senza la pretesa di ar‑rivarci), ma non cercarla da soli, condividendo idee,problematicità, dubbi, successi con lʼobiettivo (di‑chiarato) di imparare qualcosa di più, anche e so‑prattutto dal punto di vista culturale, gli uni dagli al‑tri. Il contenuto culturale è imprescindibile.

Un esempio pratico

Per chiarire questi passaggi può essere utile esem‑plificare unʼunità di lavoro (pensata per una scuolasecondaria di primo grado o per i primi anni dellasecondaria di secondo grado) in cui porsi, ad esem‑

pio, lʼobiettivo di esplorare il significato della caritànel Vangelo e nel Corano6. Per articolare unʼunità dilavoro in chiave cooperativa è prima di tutto neces‑sario esplicitare gli obiettivi cognitivi (in questo ca‑so analizzare un testo sacro; operare confronti;creare connessioni) e di cooperazione, ovvero leabilità sociali (rispettare il turno di parola; comuni‑care con chiarezza e precisione). In una prima faseintroduttiva lʼinsegnante consegna ad ogni alunnoun foglio con scritto «carità» in verticale. Invitaquindi gli alunni a una sorta di brainstorming indivi‑

cuore della propria ricerca filosofica. Ma quale rela‑zione? Buber distingue due tipi di relazione che siesplicano nellʼesistenza umana: Io‑Tu e Io‑Esso. Ora,solo nellʼIo‑Tu si ha una relazione vera, autentica,piena, in cui si raggiungono alti livelli di reciprocità.Ne discende quindi che solo nella relazione conquel «Tu Assoluto», che gli uomini hanno chiamato«Dio» si ha il primo fondamento di qualsiasi incon‑tro con ogni realtà, appartenente al mondo dellanatura o dellʼuomo. Il Tu non può trasformarsi in Es‑so, nonostante lʼuomo possa cercare di «cosificare»Dio, di possederlo, di trasformarlo. Per chi si occupadi religioni in chiave interculturale questa riflessio‑ne è davvero densa e importante. Se Dio non puòessere reificato ma rimane Assoluto, ogni pretesa disuperiorità di una religione rispetto ad unʼaltra vie‑

ne necessariamente a sparire. Se ogni pretesa di su‑periorità di un uomo rispetto ad un altro scompare,lʼincontro profondo è possibile perché lʼaltro non èpiù manipolato, oggettivato, ridotto ad «Esso». Lʼin‑contro è possibile e nasce il fiore della relazione,quella relazione che ci lega allʼaltro senza farci per‑dere la nostra identità, ma la vivifica e lʼarricchisce.Ma oltre a questo legame «verticale» ogni uomo eogni donna sono chiamati a vivere innumerevolirelazioni «orizzontali», ovvero con i propri simili. Loscopo di utilizzare il metodo cooperativo nellʼinse‑

e delamoren-ifico

a nelnica

uropa

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duale con la tecnica dellʼacrostico: scriveranno ac‑canto ad ogni lettera una suggestione provenientedalla parola che inizi con la parola stessa (ad esem‑pio: Civiltà Amore Ricordarsi ecc.). In seguito lʼinse‑gnante divide gli alunni in gruppi di quattro secon‑do una modalità casuale. Chiede poi di suddividersiallʼinterno in due coppie. Le coppie devono primaconfrontare i risultati ottenuti nellʼattività individua‑le ed elaboreranno un nuovo acrostico. Nel grupposi dovrà pervenire a una definizione di carità. È benecurare la modalità con cui costruire interdipenden‑za allʼinterno del gruppo, consegnando ad esem‑pio un unico foglio di lavoro, assegnando ruoli benprecisi agli alunni, chiedendo loro di darsi un nomedi gruppo e di firmare alla fine gli elaborati prodotti.Lʼinsegnante passa quindi a spiegare il senso dellacarità nellʼislamismo e quindi nel Vecchio e poi nelNuovo Testamento, consegnando quindi ai gruppitesti con brani presi dal Corano e dalla Bibbia7. Vie‑ne chiesto quindi ai ragazzi di «riscrivere», tenendoconto dei testi, una nuova definizione del termine«carità». In una fase finale di discussione assemblea‑re è certamente utile confrontare questa nuova de‑finizione con il significato corrente, e certamente«impoverito», attribuito al giorno dʼoggi a questotermine.

Una prospettiva nuova

Ritorniamo agli obiettivi iniziali per vedere come sitratti di unʼunità di lavoro il cui obiettivo è certa‑mente apprendere dei contenuti, come in qualsiasialtra modalità di insegnamento‑apprendimento.La differenza sta nella modalità con cui possono es‑sere co‑costruiti significati nuovi allʼinterno dei con‑tenuti attraverso obiettivi di cooperazione identifi‑cabili in quelle abilità sociali che sono necessarieper costruire relazioni positive con gli altri e chepossono e devono essere insegnate. È inoltre im‑portante assumere come valore la pluralità deipunti di vista, anche a livello di contenuto discipli‑nare. Lʼattività acquista spessore proprio nel mo‑mento in cui i contenuti disciplinari si aprono anuovi orizzonti. Pertanto diventa prioritaria una

prospettiva nuova. Per «fare religione a scuola» èimportante «studiare le religioni» e «imparare dallereligioni» nel pieno rispetto della pluralità (learnabout e learn from)8. In questo modo la scuola si as‑sume il compito interculturale di fornire alle giovanigenerazioni momenti di riflessione sui differentimodi di vivere lʼesperienza del sacro e di dare rispo‑ste al bisogno di senso. La sfida è allora quella di co‑struire, anche dal punto di vista didattico, non solospazi di dialogo e dʼincontro, ma anche dʼinsegna‑re, proprio a scuola, a tessere relazioni, imparandodallʼAltro e imparando lʼAltro.

1 Per una riflessione più completa sulla «pedagogia interreligiosa» cfr. M.Dal Corso, M. Damini, Insegnare le religioni. In classe con il «CooperativeLearning», EMI, Bologna 2011.2 G. Milan, Comprendere e costruire lʼintercultura, Pensa Multimedia, Lec‑ce 2007, p. 7.3 M. Sclavi, Arte di ascoltare i mondi possibili. Come si esce dalle cornici dicui siamo parte, Le Vespe, Milano 2000.4 M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? Dai non‑luoghi al non‑tempo, Eleu‑thera, Milano 2009.5 M. Rey, Discussion pointers for intercultural education policy, trainingand education, in Council of Europe European Commission, Directorateof Education and Languages, Living in diversity. Lesson plans for second‑ary level students, Council of Europe Publishing, October 2010, p. 136.6 M. Comoglio, M.A. Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo, LAS, Ro‑ma 1996, p. 21.7 Cfr. G. Milan., Educare allʼincontro. La pedagogia di Martin Buber, CittàNuova Editrice, Milano 1994.8 Questa e altre unità di lavoro complete di materiali di approfondimentosi trovano in M. Dal Corso, M. Damini, Op.cit. 9 Per motivi di spazio diamo qui solo le indicazioni dei testi da analizzare,che possono essere reperiti su internet: Corano, Sura 2, 263‑264; Sura57,18; Sura 19,104. Vecchio Testamento: Tobia 4,7‑11.15; Nuovo Testa‑mento: Matteo 16, 18; Matteo 25.10 Cfr. Bradford Agreed Syllabus for Religious Education, il manuale pub‑blicato dal Centro Educativo Interconfessionale nel 1996, che offre perogni fascia di età scolastica sei prospettive religiose diverse per rifletteresu temi che vanno dal viaggio alle festività religiose, dalla nostra idea delmondo a conflitti e cooperazione.

Bibliografia

M. Comoglio, M.A. Cardoso, Insegna‑re e apprendere in gruppo, LAS Ro‑ma, 1996

Council of Europe European Commis‑sion, Directorate of Education andLanguages, Living in diversity. Lessonplans for secondary level students,Council of Europe Publishing, Octo‑ber 2010

G. Milan, Comprendere e costruirelʼintercultura, Pensa Multimedia, Lec‑ce 2007

M. Polito, Attivare le risorse del gruppoclasse. Nuove strategie per lʼapprendi‑mento reciproco e la crescita persona‑le, Erickson, Trento 2000

B. Salvarani, Educare al pluralismo reli‑gioso. Bradford chiama Italia, EMI, Bolo‑gna 2006

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RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA

Per Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate So-cial Responsibility, Csr) s’intende l’integrazione di preoc-cupazioni di natura etica all’interno della visione strategi-ca d’impresa: è una manifestazione della volontà dellegrandi, piccole e medie imprese di gestire efficacementele problematiche d’impatto sociale ed etico al loro internoe nelle zone di attività. Si tratta di un concetto innovativo e

molto discusso, espresso da economisti come Robert Ed-ward Freeman (1984) e, ancora prima, da Giancarlo Palla-vicini (1968). La Responsabilità Sociale d’Impresa può es-sere definita come «integrazione volontaria delle preoccu-pazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle lorooperazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti in-teressate». Il modello concettuale della Csr si è rapida-mente affermato nella disciplina economica dando vita,negli ultimi anni, a numerosi filoni di studi, come le ricer-che sui sistemi di rendicontazione degli «intangibili» (bi-lancio sociale), i sistemi di rating etico, i modelli di gover-no dell’impresa, la valutazione degli impatti sulla reputa-zione e sul valore della marca industriale.Un’impresa cheadotti un comportamento socialmente responsabile, mo-nitorando e rispondendo alle aspettative economiche,ambientali, sociali di tutti i portatori di interesse (stakehol-der) coglie anche l’obiettivo di conseguire un vantaggiocompetitivo e di massimizzare gli utili di lungo periodo.Un prodotto, infatti, non è apprezzato unicamente per lecaratteristiche qualitative esteriori o funzionali; il suo valo-re è stimato in gran parte per le caratteristiche non mate-riali, quali le condizioni di fornitura, i servizi di assistenzae di personalizzazione, l’immagine ed infine la storia del

Allora, perché vi ho narrato la saga di Ryuzaburo Kaku? Per-ché credo che la Responsabilità Sociale d’Impresa sia lachiave di volta per definire un paradigma di economia soste-nibile in chiave «glocale». Kaku ha preso le teorie degli eco-nomisti e le ha tradotte in decaloghi di scelte manageriali.Nel suo articolo del 1994, Kaku definiva il Kyosei anche come«l’assunzione di responsabilità da parte dell’impresa delle ri-cadute delle sue scelte ovunque nel mondo (worldwide)».La globalizzazione ci presenta due epifanie dell’impresa glo-bale: quella extraterritoriale, per la quale la nazionalità è irri-

levante perché il suo mercato è il mondo (avete presenteMarchionne?) e quella sognata, propugnata ed in buona par-te realizzata da Kaku, per la quale la nazionalità è irrilevanteperché la sua comunità è il mondo. È in questa che tornano

in figura e riacquistano di-gnità le esigenze locali. So-no due visioni antropologi-che e sociali agli antipodi ela gara è tuttora in corso.Gli analisti rilevano che leimprese che ottengonobuone valutazioni di re-sponsabilità sociale (chesono quelle in cui, adesempio, investono i variFondi Comuni Etici) sonogeneralmente premiate dalmercato. Non a caso i Fon-di Valori Responsabili diEtica Sgr (Gruppo BancaEtica) sono fra quelli che

meno hanno sofferto la crisi degli ultimi anni e sono stati fra iprimi a tornare performanti. Ma, come scriveva Brecht, «Lun-ga è la strada per Urga» (in La regola e l’errore).

Un’impresa che adotti uncomportamento socialmenteresponsabile, monitorando erispondendo alle aspettative

economiche, ambientali, sociali ditutti i portatori di interesse coglie anche l’obiettivo diconseguire un vantaggio

competitivo e di massimizzare gliutili di lungo periodo

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prodotto stesso. La consapevolezza, dei produttori e deiconsumatori, circa la centralità di tali aspetti nelle dinami-che competitive e la «tracciabilità storica» della catena deiprocessi che hanno portato alla realizzazione del prodottostanno attualmente guadagnando l’attenzione dei vari at-tori presenti sul mercato. Risulta pertanto evidente comel’impegno «etico» di un’impresa sia entrato direttamentenella cosiddetta catena del valore, prospettando così l’uti-lizzo di nuovi percorsi e di leve competitive coerenti con

una economia sostenibileper la collettività. All’internodel mercato globale e loca-le, le imprese non hanno,infatti, un’esistenza a séstante, ma sono enti che vi-vono e agiscono in un tes-suto sociale che compren-de vari soggetti, tra cuispicca sicuramente una so-cietà civile molto attentaall’operato imprenditoriale.È, quindi, di fondamentaleimportanza l’attività dedica-

ta al mantenimento delle relazioni con l’esterno, verso icosiddetti stakeholder (Ong, sindacati, mass-media, co-munità locali). Nei sistemi di gestione aziendale, l’atten-zione agli stakeholder è divenuta di importanza crucialeper le imprese e spesso lo sviluppo nel tempo di relazionipositive con tali soggetti può diventare un elemento di va-lore aggiunto per l’impresa. La Csr non è filantropia o vo-lontariato aziendale (come piacerebbe a qualcuno chevorrebbe vedere le imprese farsi carico delle carenzedello Stato sociale), bensì è qualcosa che fa parte delcomportamento comunque profittevole d’impresa. In so-

stanza, si chiede alle aziende di prendere consapevolez-za delle azioni che si compiono e di renderlo pubblico.

LO STANDARD SA 8000

In relazione al concetto di responsabilità sociale si sono svi-luppati modelli di gestione aziendale innovativi, legati al te-ma dell’etica, e relative metodologie di certificazione. Lostandard SA 8000 (Rendicontazione Sociale) è quello più dif-fuso a livello mondiale per la responsabilità sociale diun’azienda ed è applicabile ad aziende di qualsiasi settore,per valutare il rispetto da parte delle imprese dei requisiti mi-nimi in termini di diritti umani e sociali:

escludere il lavoro minorile ed il lavoro forzato; il riconoscimento di orari di lavoro non contrari alla legge; corrispondere una retribuzione dignitosa al lavoratore; garantire la libertà di associazionismo sindacale; garantire il diritto dei lavoratori di essere tutelati dalla con-

trattazione collettiva; garantire la sicurezza sul luogo di lavoro; garantire la salubrità del luogo di lavoro; impedire qualsiasi discriminazione basata su sesso, razza,

orientamento politico, sessuale, religioso.

Nella fattispecie, la conformità ai predetti requisiti si concre-tizza nella certificazione rilasciata da un organismo indipen-dente volta a dimostrare la conformità dell’azienda ai requisi-ti di responsabilità sociale della norma. Esistono poi altristandard (AA1000, ISO 26000) ma manca lo spazio per par-larne in questa sede.

CRITICHE ALLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA

Alla Csr si contrappone, sostanzialmente, la Teoria degli sha-reholder (azionisti) che venne elaborata dal premio NobelMilton Friedman, liberista spinto, autodefinitosi l’anti-Keynes,non a caso consigliere di Pinochet e padre della Reagano-mics e del Thatcherismo. Egli individua negli interessi degliazionisti la traccia portante della politica aziendale. Si trattadi una visione essenziale che interpreta l’etica degli affari co-me un insieme di regole che segnano i buoni rapporti e le re-lazioni tra imprese, ma che essenzialmente si pone nella pro-spettiva dell’interesse degli azionisti e per la creazione di va-lore economico. La dimensione sociale dell’impresa (chegenera valore diverso da quello puramente economico) vie-ne considerata questione secondaria. È di Milton Friedman ilfamoso detto business of business is business! q

1 Fondatore del moderno judo come evoluzione del jujitsu.2 Qui si ripetono sostanzialmente le quattro definizioni già fornite sopra.3 Termine sanscrito che nel buddhismo indica un essere che tende al risveglio,alla perfezione.

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

Gianni CaligarisCollaboratore di CEM da moltianni, si è sempre occupato di

economia eticamente orientata.Già presidente del Comitato etico

di Banca Etica, è attualmentevicepresidente di quello di Etica

Sgr, collocatrice di fondi comunietici. Ha lavorato in banca,

occupandosi per oltre vent’anni digestione delle risorse umane,

formazione, marketing ecomunicazione.

All’interno del mercatoglobale e locale, le

imprese non hannoun’esistenza a sé stante,ma sono enti che vivonoe agiscono in un tessuto

sociale che comprendevari soggetti

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l’economia 9

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La storia. 1) New York. Wall Street. 1985. Bud Fox è un giovane agente di bor-sa che sogna di lavorare con Gordon Gekko, il mito di tutti i giovani broker diNew York. L’incontro gli farà guadagnare parecchio ma lo metterà anche difronte alla spietata determinazione di Gekko nel far soldi a qualsiasi prezzosenza guardare in faccia a nessuno. Bud tenterà di ribellarsi e sarà la sua ro-vina e quella del suo maestro.2) 2001. Gekko, dopo otto anni di prigione, ritorna in libertà e mette tuttal’esperienza e la riflessione maturata in cella nel suo libro sulla prossima crisieconomica mondiale. Otto anni dopo Jacob, fidanzato della figlia di Gekko, loincontra e sembra conquistarne la fiducia, ma lo scopo di Gekko è uno solo:ritornare sull’onda utilizzando il denaro della figlia. Spietato come sempre ciriesce ancora, ma questa volta di fronte al nipotino in arrivo si ammorbidisce,o almeno così sembra...Il regista sul film. «Mio padre diceva che non ci può essere profitto senzaproduzione, invece in questo periodo c’è profitto senza produttività. [...] GliStati Uniti sono sempre stati molto produttivi, così, quando negli ultimi annihanno perso terreno, la gente ha cominciato a fare partendo dai soldi. [...]Credo che avremo sempre bisogno di Wall Street e del capitalismo, dal mo-mento che esso è il miglior sistema di distribuzione della ricchezza che cono-sciamo e l’unico in cui le persone sono libere di esprimersi. Non per questo,però, tale sistema deve essere predatorio. Spero davvero che si sia arrivati al-la fine di questa forma di capitalismo, perché il sistema è troppo grande e cista opprimendo. Gli Stati Uniti in particolare sono un popolo molto avido ematerialista, e la cosa è accelerata a partire dall’era di Reagan. C’è un puntonel film in cui il personaggio di Josh Brolin, alla domanda “Qual è il tuo prez-zo?” risponde “Di più!”. Ecco, la mia risposta è “Meno!”. So che è impopolaree molto spirituale ma penso debba essere così».

cinema

Wall StreetWall Street 2il denaro non dorme maidi Lino [email protected]

Interpreti: Michael Douglas, DarylHannah, Charlie Sheen, Martin Sheen,Frank Adonis.

Stati Uniti, 1987, 124 min.

Regia: Oliver Stone

Wall Street 2Il denaro non dorme mai

Interpreti: Michael Douglas, ShiaLaBeouf, Josh Brolin, Carey Mulligan,Susan Sarandon.

Stati Uniti, 2010. 127min. 20thCentury Fox Italia

Regia: Oliver Stone

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Che cosa è cambiato tra i due film? Non ci sono più le TwinTowers, ma non c’è accenno a questo; non c’è invece, ed èben più grave, il lavoro creato dalle mani degli uomini, quellavoro che è alla base di ogni produzione reale e di ogniconsistente profitto. Si parla del futuro, di energie alternati-ve, di bambini ma solo per pochi secondi vediamo qualcu-no lavorare: è la madre di Jacob, tornata a fare l’infermiera,sono il barbiere, il sarto e il commesso del negozio di scar-pe. Per il resto solo operatori finanziari, venditori a coman-do di titoli e prime vittime di ogni errata speculazione oscoppio di bolle. Con insistenza ritorna il panorama della

Il film. Sulla voce calda di Frank Sinatra che canta Fly me tothe moon, Wall Street (1987) si apre con un collage rosso au-rora di angoli di una New York che inizia la sua giornata. Ve-diamo uomini lavorare. Lo skyline della città è caldo e segna-to dalle Twin Towers. Poi di colpo la luce fredda di una me-tropolitana affollata che sputa una folla freneticamente in mo-vimento verso ascensori strapieni per uffici già stressati estanchi prima ancora che suoni la campana di apertura dellaBorsa. Più lento e triste l’inizio di Wall Street 2010, un uomoesce di prigione e si ritrova solo. Non ci sono più le Twin To-wers e lo skyline di New York è freddo. Non vi è mai altro spa-zio visivo se non quello della città degli affari: non vi è natura,non vi sono uomini nel mondodegli affari: solo denaro.Nel finale del primo Wall Streetuna zoommata all’indietro la-scia sempre più solo il giovaneprotagonista mentre sale scon-fitto lo scalone del palazzo digiustizia verso il suo processo.Lo sguardo del regista è fred-do e sembra suggerire unacondanna.Vent’anni dopo, nel finale delsecondo film, Oliver Stone in-quadra su un terrazzo della cit-tà un piccolo gruppo di alterna-tivi che festeggiano il primo an-no di vita del nipotino di Gekko.Il clima è familiare, i bimbi gio-cano con le bolle di sapone che si alzano e si perdono sullosfondo del panorama di grattacieli. «I rapporti umani sono fra-gili come le bolle». Davvero c’è speranza per il mondo degliaffari? Non sembrerebbe, perché non si capisce come un pa-dre possa ingannare la figlia per i suoi soldi e poi fermarsi difronte ad un nipotino. Sentimentalismo fuori luogo, segno diun regista che non sa prospettare un’alternativa seria alla re-altà dello strapotere finanziario.La struttura narrativa dei due film è sostanzialmente la stes-sa: due giovani broker affascinati dallo squalo Gekko ne di-ventano vittime e così strumenti della sua fortuna o delle suevendette. La finanza è un campo di battaglia in cui non si con-cede mai l’onore delle armi al nemico. Gekko ne è un ottimoesemplare ma gli altri attorno a lui non gli sono inferiori nelladeterminazione e nell’interesse per i soli loro personali o so-cietari portafogli. In entrambi i film i mentori dei due giovanibroker, gente all’antica e «onesta», sono distrutti dall’aviditàdegli avversari e i loro allievi cercano di vendicarli. Di diver-so nel secondo film è l’alternarsi continuo delle scene centra-te sugli affari e quelle dominate dai sentimenti tra Jacob e lafidanzata o tra Gekko e la figlia. Ma l’insistenza su questanuova dimensione del racconto suona falso e non necessa-rio, quasi il regista stesso volesse confermare la battuta chele bolle di sapone (o quelle finanziarie?) sono «fragili» comei sentimenti.

città, ma il profilo dei grattacieli è contornato da linee che ri-cordano fin troppo bene i grafici degli andamenti dell’indi-ce di borsa: la città è il luogo del denaro e il denaro defini-sce la città.Dopo 23 anni Oliver Stone ritorna a Wall Street e ci raccontacome il capitalismo vada sempre peggio, passando di crisiin crisi, ma non se ne curi più di tanto, visto che i ricchi diven-tano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Perchéin fondo cambiare se la politica stessa quando interviene nonfa altro che aiutare i responsabili dei disastri? Il futuro sta neinostri figli? L’impressione è che da qualche parte un nuovoGekko stia aspettando che il ricco nipotino cresca per poter-lo sfruttare. Le bolle di sapone dei bambini alla festa si alza-no verso il cielo, ma i grattacieli di New York disegnano sem-pre lo spesso profilo finanziario indifferente all’umano. q

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

Il registaNato a New York nel 1946, Oliver Stone parte a ventun’anni volontario per ilVietnam, dove rimane per due anni. Tornato, si laurea e inizia il suo lavoro nelcinema con un documentario sulla «sua» guerra: Last Year in Vietnam (1971).Nel 1978 la prima sceneggiatura: Fuga di mezzanotte. I primi successiSalvador e Platoon nel 1986. Troppi i suoi titoli ma è sufficiente scorrere alcunidei suoi lavori per rendersi conto del valore e dell’impegno civile di questoregista: Nato il quattro luglio (1989), The Doors (1991), JFK - Un caso ancoraaperto (1991), Assassini nati (1994), Gli intrighi del potere (Nixon) (1995),Ogni maledetta domenica (1999), W. (2008). Anche con i suoi documentariha suscitato rifiuti e dibattiti e ha lasciato un segno: Comandante (2003) eLooking for Fidel (2004) attorno alla figura di Castro, Persona non grata(2003) sul conflitto arabo israeliano, South of the Border (2009) sul discussopresidente venezuelano Chavez.

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Per un mondosenza muraAlessio [email protected]

aprile 2011 | cem mondialità | 33

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Dal «fortino Europa» al forte di Gorée, l’isola che guar-da da un lato Dakar, la capitale del Senegal, e dall’al-

tro l’Oceano Atlantico. Per tre secoli e mezzo, da qui sonostati imbarcati per i Caraibi e le Americhe milioni di schia-vi. Dà i brividi entrare nella Maison des Esclaves, erettaproprio per la «tratta Atlantica» nel 1776. Qui, nel CentroBoubacar Joseph Ndiaye, dal 2 al 4 febbraio scorso si sonoritrovati i migranti che hanno partecipato al Forum Socia-le Mondiale e hanno dato vita ad un Forum proprio,un’assemblea perscrivere collettiva-mente un manife-sto che parli a tuttoil mondo: «Unacarta per un mon-do senza mura».C’era anche AlexZanotelli che hascritto: «Chi oggiincarna per me lospirito di Gorée èquel centinaio dimigranti africani riuniti qui che riprendono la parola perchiedere con forza la tutela dei loro diritti. “I migranti so-no presi di mira da politiche ingiuste” – afferma il pream-bolo della Carta – “a scapito dei diritti universalmente ri-conosciuti a ogni essere umano. Queste politiche sono im-poste da sistemi che cercano di mantenere i privilegi deipochi, sfruttando la forza lavoro dei migranti”. Ripenso al-la drammatica situazione degli immigrati in Italia – hascritto ancora Zanotelli –, usati come manodopera a bassoprezzo, e, quando non servono più, rispediti al mittente,come impone la legge Bossi-Fini. Ripenso al razzismo delDecreto sicurezza del ministro Maroni, che impedisce a

un’immigrata che partorisce inospedale di riconoscere il figlio.Siamo arrivati al razzismo di Stato.Ripenso ai respingimenti nel Mediterra-neo, con la tragica conseguenza di migliaia di morti neldeserto... È Gorée che si ripete».Il documento approvato a Gorée parte da principi che do-vrebbero essere alla base di nuove politiche economiche esociali nei confronti di chi lascia il proprio paese e cerca diuna vita dignitosa. Sostiene la libera circolazione delle per-sone, la soppressione dei visti e delle frontiere, l’ugua-glianza dei diritti per coloro che vivono in uno stesso spa-zio geografico, l’esercizio di una piena cittadinanza fon-data sulla residenza e non sulla nazionalità. Jelloul BenHamida, tunisino immigrato in Francia negli anni Novan-ta, che ha coordinato il processo di redazione della Carta,

ricorda i tanti «accessi» negati che è urgente recla-mare per promuovere la cittadinanza

in termini di diritti umani: al-l’istruzione, al lavoro, alla sicu-rezza, all’alloggio, la libertà di

riunione, di poterparlare la proprialingua materna edi far conoscere lapropria cultura.Fra le associazionipresenti, anchequelle di cittadinisenegalesi in Italia:Stretta di Mano diMantova, SunugalAssociazione Sene-galesi di Milano,l’Associazione Se-

negalesi di Torino (Ast): tutteimpegnate nel Comitato Primo

Marzo. Dice Jelloul Ben Hamida: «I migranti non sono levittime della crisi, ma i protagonisti di un cambiamentostorico: abbiamo iniziato a parlare della Carta a Marsiglianel 2006 in 7-8 persone: oggi siamo qui a Dakar in due-cento. Spero che il movimento di sostegno alla Carta di-venti sempre più numeroso. Ora è compito delle associa-zioni coinvolte appropriarsi dei contenuti e diffonderli or-ganizzando manifestazioni e iniziative in tutto il mondoper renderla pubblica e raggiungere le istituzioni». q

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Siamo arrivati alrazzismo di Stato.

Ripenso airespingimenti nel

Mediterraneo, con latragica conseguenza

di migliaia di mortinel deserto...

È Gorée che si ripete.Alex Zanotelli

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«Noi e il mondo»di Vito Di [email protected]

34 | cem mondialità | aprile 2011

Rubrica a cura di Gianni D’[email protected]

Noi e il mondo è uno dei quattrolaboratori, nei quali siconcretizzano attività di variogenere dell’«Associazione‘Ricomincio-da-te’ per il sostegnoal disagio psichico» (Via Lama diGrazia, n. 4, Corato - Bari), conl’obiettivo di «creare quellasocialità utile all’integrazione,verso un rapporto paritario dicollaborazione»: laboratorio dinarrazione, laboratorio artistico,laboratorio canto e ballo,laboratorio «noi e il mondo». Né i laboratori né l’associazionesostituiscono i centri di cura«istituzionali», ma partono da ecollaborano con essi.

Siamo in un Laboratorio, una spe-cie di rifugio non ovattato, ma

pieno di voci, di segnali, di sfide – èil «grande mondo» che ci portiamodietro, con le notizie, con i giorna-li, con le impressioni di ogni giornoe con cui ci confrontiamo, mondotrainato dal «piccolo mondo» del-l’esperienza che ognuno fa di quella man-canza di benessere psicologico e di males-sere fisico e sociale, che chiamiamo disa-gio psichico. Sono le cinque della sera diuno dei tanti mercoledì dell’incontro. I vo-lontari, in maggioranza giovani laureate/iin psicologia che mettono a disposizioneil loro tempo, la loro passione e la loropredisposizione alla relazione di aiuto, ac-colgono in punta di piedi questa umanitàstanca di essere considerata un peso per

gli altri, – un’umanità alle prese con undesiderio profondo d’integrazione con lacosiddetta normalità, con il bisogno disentirsi a proprio agio…Nella conversazione informale che prece-de il lavoro di gruppo c’è già un avvicina-mento tra i partecipanti. Rosalba dice che

è felice perché il tempo sta diventandopiù mite, per cui lei potrà ritornare spessoa partecipare al gruppo. Accenna quindibrevemente, ma con chiarezza e delica-tezza, alla sua distanza interiore nei ri-guardi delle notizie dal mondo, perché ilmodo con cui queste vengono mediatenei telegiornali è profondamente alienan-te e manipolativo. Greta rivela, «da esper-ta di se stessa», le aspettative della curache ha intrapreso... Eleonora non raccon-ta subito del proprio mondo, ma, semprefedele a se stessa (ha comprato lei, anchequesta volta, il giornale mettendolo a di-sposizione di tutti), sfoglia con grandepassione le pagine del Corriere e comin-cia a parlare delle «meraviglie» e dei «malidel mondo». Dopo che tutti i partecipanti hanno trat-teggiato alcuni aspetti del loro mondo,Riccardo legge alcune righe da un artico-lo sull’intolleranza e la violenza in Iraqnei riguardi di credenti, sia cristiani siamusulmani. È la notizia che più lo ha col-pito. «Non c’è bisogno di andare lonta-no. C’è una violenza diffusa anche nelnostro mondo, nella nostra società, nelnostro ambiente di vita», incalza Rosaria.Si discute animatamente, si individuanole cause più disparate. «Io vedo un lega-me di reciprocità molto stretto tra violen-ze subite e comportamento violento persopravvivere», dice con un po’ di batti-cuore Maria.Nella mia partecipazione a questo labora-torio ho sperimentato più volte la forzadei deboli: un genere di fortezza interioreche si alimenta con l’atteggiamento delnon possedere, nella pura attesa e nellasperanza. P. Tillich formula questa intui-zione in una maniera splendida: «Siamopiù forti quando siamo in attesa di qual-cosa che quando la possediamo»1. q

1 Cfr. Chi educa, deve educare nella Speranza…, in Vi-to Di Chio, Bisogno di Maestri - Una proposta forma-tiva, Ed. Armando, Roma 2010.

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Le truppe russe si ritirano da Grozny,capitale della Cecenia; lo stesso giorno -15 aprile 1996 - il «Tribunale permanen-te dei popoli» emette la sua sentenza suChernobyl: è la seconda volta che salutee ambiente vengono connessi ai dirittiumani in una sentenza internazionale.Maifreda è interrogata dagli inquisitoriil 19 aprile 1300; è la «storia di una ere-sia femminista» raccontata da LuisaMuraro in Guglielma e Maifreda editoda La Tartaruga nel 1985.Hector Oesterheld scompare per sem-pre il 21 aprile 1977: la dittatura milita-re non amava i suoi fumetti. Anche lesue quattro figlie vengono eliminatedalle squadracce paramilitari fra il 1976e il 1978. Cesar Estrada Chavez, leader delle lot-te nonviolente dei chicani, cioè i lavora-tori messico-americani, muore il 23aprile 1993.«Mafia»: la parola compare per la pri-ma volta il 25 aprile 1865 in un docu-mento ufficiale.Mary Wollstonecraft, autrice nel 1792di Rivendicazione dei diritti della donna,nasce il 27 aprile 1759. Secondo molti

inventò il femminismo, men-tre sua figlia (di nome fa-ceva Mary e Shelley era ilcognome del marito)con Frankenstein creòla fantascienza.«La libertà di una de-mocrazia non è saldase il popolo tollera lanascita di un potere

privato che diventi piùforte dello stesso Stato de-

mocratico»; queste parole,pronunciate il 29 aprile1938, non sono di qualche

estremista ma di Franklin De-lano Roosevelt.

La piccola Toscana aboli-sce la pena di morte:

forse sarebbe bene chequel 30 aprile 1849 fosse

festeggiato o almeno ricor-dato. q

Sono 360 mila in Italiale personedefinite «autistiche»a cura di Dibbì

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

«Terzo mondo» è un’espressione chenasce l’8 aprile 1955 nella conferenzadi 29 Paesi afro-asiatici a Bandung: allo-ra significava la ricerca di una terza viafra socialismo e capitalismo. Ssn 593 Tresher è il sottomarino nu-cleare che affonda, con 129 uomini,davanti a Boston il 10 aprile 1963.Dopo 19 giorni di sciopero gli operaidella Dacia, filiale romena della Renault,ottengono l’aumento: è il 12 aprile2008. Uno dei loro slogan: «Sveglia Ro-mania, non vogliamo essere gli schiavidell’Unione europea!».Roosevelt chiede a Hitler e Mussolini, il15 aprile 1939, «di rassicurarlo» chenon faranno la guerra. «Prenderemola richiesta in considerazione»,rispondono i due dittatori.

Sono 360 mila in Italia le persone defi-nite «autistiche». Se ne parla (o si do-vrebbe) il 2 aprile di ogni anno per la«giornata mondiale dell’autismo» pro-mossa dalle Nazioni Unite.La possibilità che la Chiesa cattolicacensuri i libri è limitata dall’imperoasburgico, il 4 aprile 1743, ai soli libri diteologia.Il 5 aprile di un anno fa muoiono in 25nella miniera Upper Big Branch in Virgi-nia. Notizia tragica ma c’è chi trovaun’assurda consolazione nel ricordareche lì vicino, a Monongah nel 1907,morirono in 363, molti dei quali italiani. Tanti monumenti e piazze anche oggiper Carlo Felice, nato il 6 aprile 1765:eppure sia in Piemonte sia in Sardegnatutti lo chiamavano «Carlo feroce».«Nessuno scrupolo […] procedere conl’annientamento di uomini e cose» scri-ve Mussolini il 6 aprile 1941 ai generaliche guidano l’invasione della Jugosla-via. Lo stesso giorno l’Etiopia si liberadall’occupazione fascista.28 Comuni della Lega Lombarda si uni-scono contro Barbarossa, il 7 aprile1167: ma Giantantonio Stella in Negri,froci, giudei (Rizzoli, 2010) ricorda cheera una fragile unità visto che 10 anniprima i milanesi misero Lodi a ferro efuoco.

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Il baobab non è un diodi Marco ZarboClasse V P, Liceo scientifico «Benedetto Croce», Palermo

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Il 5 marzo 2011, noi alunni del «LiceoScientifico Benedetto Croce» di Paler-

mo abbiamo assistito ad una conferen-za organizzata da LVIA, un’associazio-ne internazionale di volontariato laicoche si occupa di alcuni paesi africani1.Sensibilizzati e colpiti dai loro discorsi edalle loro idee, abbiamo capito che vo-gliamo, anzi dobbiamo, fare qualcosaper aiutarli nel loro progetto veramentegrandioso.Alla conferenza ha partecipato ancheKossì Djika, un ingegnere topograficodel Togo, maestro di karaté e rifugiatopolitico nel nostro paese. Attraverso unvideo ci hanno raccontato e mostratocosa avviene in alcune zone africane. Ladifferenza fra il mondo cosiddetto «in-

dustrializzato» e il «terzo mondo» èquello che c’è fra sfruttati e sfruttatori. Ilprimo, costituito dal 20% della popola-zione mondiale, consuma l’85% delle ri-sorse planetarie; le 200 persone più ric-che al mondo possiedono un patrimo-nio di 100 miliardi di dollari, mentre lamaggior parte della popolazione vivecon un solo dollaro al giorno. La stimagiornaliera dei decessi per mancanza dicibo e acqua è tra le 30 e le 40 mila per-sone, il che significa dai 20 ai 30 mortiogni minuto. Un africano può consu-mare al massimo 20 litri d’acqua al gior-no, un americano fino a 600. Nei paesisviluppati c’è un medico ogni 53 perso-ne, in Africa uno ogni 350; nei paesi svi-luppati 16 milioni di ragazzi vanno al-

l’università, 600 milioni di bambini, nelcontinente nero, che dovrebbero anda-re a scuola, non ci vanno. Nel mondo oggi ci sono circa 30 guerrecon conflitto armato e circa 300 milabambini soldato, pensare che l’Italia èfra i maggiori produttori di mine anti-uomo al mondo non ci dovrebbe faresentire molto fieri! Le economie scarsa-mente produttive sono bloccate e que-sto naturalmente crea disagio nelle po-polazioni e porta più di 100 mila dibambini allo sfruttamento, alla prosti-tuzione e all’uso di sostanze stupefa-centi. Dati sconcertanti, che ci fannocapire come il semplice diritto alla vitanon è garantito a tutti, e che la maggiorparte della popolazione mondiale nonpuò vivere dignitosamente. Natural-mente non manca da parte nostra, gra-zie all’aiuto di associazioni benefiche, lavolontà di contribuire a favore di questepopolazioni, ma è davvero abbastanza?Serve veramente questo aiuto che dia-mo? Il professor Andrea De Gutty pen-sa che più che dare sarebbe megliocreare; essenziale sarebbe avviare eco-nomie, anche piccole, di sussistenza,che permettano a queste popolazioni dinon dipendere più da nessuno. In piùuna collaborazione senza un fine benpreciso porta molto spesso, oltre che al-la dipendenza, anche allo sfruttamen-to. Prima di tutto in questi paesi si do-vrebbero assicurare i beni primari e suc-cessivamente istituire luoghi di istruzio-ne, agricolture più sviluppate (non con-dizionate dal clima e comunque insuffi-cienti al fabbisogno delle popolazionilocali). Arturo Paoli dice che la chiaveper il cambiamento deve essere l’amici-zia, abbiamo tanto da imparare gli unidagli altri, loro senza dubbio, ma anchenoi cose importanti come il legame conla natura, che abbiamo perduto, il ri-spetto gli uni per gli altri (in molti villag-gi gli abitanti dormono con le porteaperte), la realtà di culture diverse macon storie importanti. Risparmiare ac-qua, energia, risorse varie, avere unostile di vita più sobrio, sono piccoli ge-sti, ma vuol dire, seppur in piccola par-

Nell’ambito del progetto «Giovani eintercultura: un anno di dialoghi» promossoda LVIA in collaborazione con il Centro StudiSereno Regis di Torino e il partenariato diCEM Mondialità (cfr. il numero di gennaio2011 della rivista, pp. 36-37), che riguardaalcune migliaia di giovani dai 17 ai 25 anniin sei regioni italiane (Piemonte, Lombardia,Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia)proponiamo il resoconto di un’interessanteiniziativa tenuta a Palermo.

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Il libro è accompagnato da unCD-rom multimediale cheracchiude una vera e propriaminiera di spunti di riflessione(testi, foto, video...) pensatiprincipalmente per un usodidattico, ma appassionantianche per qualunque amante del Sahel e più in generaledell’Africa, così come perchiunque abbia a cuore la Pace e il dialogo interculturale.

EMI, pp. 176, euro 13,00

Contiene contributi diPatrizia Canova, Michele Dotti,Brunetto Salvarani, Sigrid Loos,Rita Vittori, JeannetteKuela, François PaulRamde, OusseniDoamba, AlessandraFerrario, Elie Yamba Ouedraogo,Rita Roberto, DamienTiendrebeogo, NicolaDotti, Albert EtienneKaborè, Chiara Fassina, LimataOuedraogo, Ornella Pasini.

Il volume è disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 BresciaTel. 030.3772780Fax [email protected]/libreria

te, conservare l’equilibrio, dare la possi-bilità a coloro che hanno meno beni dipoterne usufruire; interessiamoci e nonignoriamo la situazione.

La storia di Kossì

Dopo questa introduzione, che ha atti-rato non poco la nostra attenzione,Kossì ha cominciato a raccontare la suastoria. Il suo paese, il Togo, situato nellaparte nord-occidentale dell’Africa, èschiacciato da una dittatura. Kossì haraccontato che nel suo paese non esistelibertà di espressione, il dittatore (nelperiodo in cui egli viveva in Togo) gene-rale Gnassingbe Eyadema esigeva solo ilrispetto per il regime e per la sua perso-na, si faceva infatti chiamare Baobab,un albero gigante che si dice non cadamai. Kossì faceva e fa tuttora partedell’UFC (Unione delle forze di cambia-mento), che è il partito d’opposizione.Nella sua palestra di karaté cercava diaprire gli occhi ai suoi allievi e li incitavaalla libertà, vedendo con soddisfazioneche la maggior parte di essi si rendevaconto della situazione (aveva 80 iscrittialla sua palestra). Il suo partito lo feceresponsabile dell’area della sua prefet-tura. Quando intendevano fare riunio-ni politiche, l’ETP (Adunanza del popo-lo togolese), il partito del generale, ne-gava il consenso; loro si riunivano lostesso e a quel punto intervenivano isoldati. Il 5 febbraio del 2005 il Baobabmuore, la notizia viene accolta con gio-ia nel paese, ma questa dura solo 24ore. L’indomani il figlio del generale,Faure Essozimna Gnassingbé, occupa ilposto del padre, come se il regime fosseuna vera e propria monarchia. Egli sipresenta come una persona peggioredel suo predecessore. Spara sulla follache va a protestare per questa decisio-ne, si mostra più intransigente e piùcrudele del padre. Con l’interventodell’Occidente però, è costretto a indirele elezioni, che si svolgono il 24 maggio2005. Ai membri dell’UFC, dopo duegiorni di votazione, non è permesso en-trare nei seggi per assistere allo spoglio

delle schede, sebbene il partito abbia ri-portato il 98% dei voti. Il risultato vieneribaltato, e Faure può finalmente gover-nare per diritto, se così si può definire. Imembri dell’UFC vengono arrestati, traquesti vi è anche Kossì. Egli viene rin-chiuso in una cella di 10 metri quadratiinsieme ad un’altra decina di persone; lìdentro mangiano, fanno i loro bisogni,vivono tutto il tempo. La mattina, haraccontato, li mettevano sul tavolo e liprendevano a manganellate. Uscito do-po un certo periodo di tempo dal carce-re, fugge nel Benin. Il dittatore dopo unpo’ di tempo fa sapere che è pronto atrattare con i dissidenti politici rifugiatinegli altri Stati e chiede loro di ritorna-re. Guidati dalla voglia di rivedere le lo-ro famiglie e di tornare nel loro paese,questi fanno ritorno, ma ad aspettarlic’è solo la prigione. Per sua fortunaKossì è fuori casa nel momento in cui isoldati vanno a prenderlo, e allora que-sti se la prendono con la sua famiglia.Un amico del quartiere lo chiama e glidice di scappare e lui a piedi si rifugia inGhana. Ma anche lì non può stare, la fi-glia del presidente del Ghana è infatti lafidanzata di Faure, e i due regimi sonosoliti catturare e far rimpatriare i dissi-denti politici. L’ultima sua chance restal’Italia, atterrato a Malpensa, chiedeasilo politico. Adesso è a Marsala nel«Centro per richiedenti asilo, rifugiatipolitici e titolari di protezione umanita-ria». Una delle tante storie commoventie nello stesso tempo agghiaccianti, cheha portato noi alunni a indire una gior-nata in suo onore, di raccolta fondi,proprio presso il nostro istituto «LiceoScientifico Benedetto Croce» di Paler-mo. Saranno presenti gruppi musicalicomposti da ragazzi, saranno propostepiccole gag di satira politica, un rinfre-sco, e naturalmente la testimonianza el’intervento dello stesso Kossì. Noi sia-mo il cambiamento, distacchiamocidalla nostra routine, e rimbocchiamocile maniche, così non si può andareavanti!!! q

1 Per maggiori informazioni contattare Vito Restivo e ilsito www.lvia.it

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Se è vero che «soli si muore», comerecita il titolo dell’ultimo, intenso e

godibilissimo libricino di Domenico Bar-rilà (Carthusia, 2010), è altrettanto veroche interagire con gli altri può provoca-re qualche disagio e difficoltà. Talvoltaperfino litigi e contrasti. Il conflitto è un’esperienza ineludibile,che provoca sofferenza, ma necessariaai fini della maturazione individuale. Illitigio fa parte dei rapporti tra le perso-ne, e anche i bambini non ne sono im-muni. Difendere il possesso di un pro-prio giocattolo è la forma più comunedei litigi tra bambini che sfociano instrattoni, calci e pugni. In questi mo-menti è difficile far loro capire che ènecessario condividere le cose, che ènecessario controllarsi e che una buonaconvivenza può far fronte ad avveni-menti imprevedibili, come succede aidue conigli protagonisti del piccolo al-bo di Claude Boujon, Il litigio (Babalibri,2010, da 3 anni). Bigio e Bruno hannole tane vicine e all’inizio vanno molto

d’accordo. Ma ungiorno Bigio lascial’immondizia ingiro e il vicino co-mincia ad arrab-biarsi. L’altro gli ri-batte che lo di-sturba perché tie-ne la radio ad alto

volume. Da allora ogni occasione èbuona per insultarsi, finché Bruno alzaun muro di mattoni fra le due tane fa-cendo montare su tutte le furie Bigioche riduce il muro in polvere con con-

Litigi e mondi mattidi Lorenzo Luatti

semplice linea, poi un recinto, in segui-to un muro sempre più alto con guar-die armate da entrambi i lati. L’odio sa-le, ma il tempo passa e si arriva a di-menticare il motivo di questa separazio-ne. Ci vorrà l’innocenza di una bambinaper «abbattere» il muro e riportare ildialogo.Nell’albo illustrato da Paloma Valdivia,Quelli di sopra e quelli di sotto (Kalan-draka, 2009, da 3 anni) è la diversità tragli abitanti a costruire il muro dell’in-comprensione, rappresentato da unasottile linea rossa che attraversa il librodalla prima all’ultima pagina e separaquelli a testa in giù da quelli a testa insu. Gli abitanti dei due mondi non si co-noscono, non comunicano, diffidanogli uni degli altri. Sopra/sotto,uguale/diverso... Le differenze ci sono(perché negarlo) ma sono insignificanti.Ai bambini il compito di scovarle - met-tendo il volume sottosopra appunto -nei dettagli dei sorridenti personaggi.

seguente furioso litigio e botte da orbi.Sarà una volpe affamata a riportare idue «stolti» conigli a riscoprire il valoredell’amicizia e della solidarietà.Simile e diversa allo stesso tempo è lastoria raccontata in Le mele d’oro (Ed.Messaggero, 2010, da 6 anni) della co-reana Hee-jin Song. Un giorno, in unapiccola città, qualcuno scopre che dalbel melo piantato tra due quartieri na-scono delle mele d’oro. Ma a chi appar-

Il conflitto èun’esperienza

ineludibile, cheprovoca sofferenza,

ma necessaria ai finidella maturazione

individuale

tengono quei meravigliosi frutti? Agliabitanti della città alta o a quelli dellacittà bassa? Gelosia, avidità e invidiacrescono e provocano continui litigi trai due gruppi. È necessario definire unafrontiera che li separi: dapprima una

E infine un capolavoro: Mondo Matto(orecchio acerbo, 2010, da 4 anni) diAtak, un libro sorprendente, in cui tuttova meravigliosamente a rovescio. Topiche rincorrono gatti, bambini che im-boccano le mamme, un punkabbestiache dà denaro a un ricco, vigili del fuo-co che spengono l’acqua e leoni chedomano domatori. Nulla può esseredato per scontato e tutto è passibile dirovesciamento di prospettiva. Un invito,ironico e delicato, ad immaginare comemolte cose potrebbero andar più drittese fossero messe a rovescio. q

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Per saperne di più

Mi sono occupato di queste immagini,ritrovate nei depositi del Museo dellaFigurina di Modena, nella pubblicazione Ilsanto educatore. Don Bosco nelle figurineLiebig del ‘900, realizzata in occasione dellasolenne inaugurazione dell’annoaccademico 2010-2011 dell’UniversitàPontificia Salesiana di Roma.

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Il voltodi don Boscodi Roberto Alessandrini

La Liebig, l’azienda che tra Otto eNovecento dà il maggiore impulso

alla produzione di figurine pubblicita-rie, realizza subito dopo la secondaguerra mondiale una serie dedicata aDon Bosco, l’unica nell’arco di un seco-lo. Si tratta di sei immagini che, privile-giando il profilo educativo del santopiemontese (1815-1888), narrano lasua storia rinviando ad un’epica figura-tiva che porta in scena i momentisalienti di una vita esemplare se-condo le modalità di un’«enci-clopedia visiva». Non si tratta di immagini sacreo devozionali, ma di «vignette»che narrano con ammirazione erispetto la vita di un santo ope-roso e i suoi «miracoli» concreti esociali per «fare onesti e utili citta-dini». All’interno di sobrie equasi inesistenti cornicibianche s’inquadrano cosìoratori festivi, scuole serali,professionali e agrarie, collegie missioni salesiane.La parte superiore della prima figurinaraffigura il sacerdote sorridente e dispo-

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Una fotografia dell’Ottocentoha ispirato il primo ritrattoufficiale della fine degli anniVenti e quello dei primi anniQuaranta, originando l’iconaancor oggi più nota del santopiemontese, ampiamenteutilizzata sul web, nellefigurine e sui francobolli.

nibile, a mezzo busto, frontalmente, investe talare, all’interno di un tondo si-mil dorato circondato da una cornicerossa. L’immagine del Santo riproponeun elemento ricorrente nella sua icono-grafia: il ritratto fotografico frontale,con o senza tricorno. Don Bosco è unuomo maturo, ma giovanile, dallosguardo deciso e intenso, la fronte am-pia e il viso senza barba, i capelli cortiun po’ mossi, tenuti senza particolarericercatezza.Anche se la figurina che lo consegnaagli italiani subito dopo la secondaguerra mondiale è un disegno, il mo-dello di quel disegno è una fotografia,come avviene per molti dei ritratti di-pinti di Don Bosco. E quella fotografia,a sua volta, è la riproduzione del cele-

bre ritratto di Mario Caffaro Rore DonBosco patrono degli editori cattolici(1941), che proprio a partire dagli anniQuaranta del Novecento viene riprodot-to in immaginette e cartoline prenden-do il posto delle foto più imponenti ecarismatiche del sacerdote piemontesediffuse dopo gli anni Venti. L’immagine, commissionata dalla Ldc,casa editrice salesiana, ha una diffusio-ne enorme, fino a divenire l’icona piùnota del sacerdote piemontese. Ma, co-me in un gioco di scatole cinesi, il dipin-to di Mario Caffaro Rore è, a sua volta,la copia pittorica di una foto - Don Bo-sco in poltrona (1880), detta anche DonBosco Consigliere - di Michele Schem-boche, uno dei pionieri della fotografiain Italia, attivo a Torino, Firenze e Roma.È la stessa assunta come riferimento dalpittore Angelo Enrie (1928) per l’imma-gine ufficiale della beatificazione. In altritermini, l’ottocentesca fotografia diSchemboche ha ispirato sia il primo ri-tratto ufficiale della fine degli anni Ventisia il diffusissimo ritratto dei primi anniQuaranta, originando di fatto l’iconaancor oggi più nota del sacerdote pie-montese, ampiamente utilizzata in tuttoil mondo anche in campo filatelico. Nel tondo della figurina, l’unico ele-mento che distingue il Santo da un uo-mo comune è la nera veste talare, com-pletata dal colletto bianco. È l’abito chefa di lui l’«apostolo della carità cristia-na» e nessuna sua immagine è separa-bile da quel semplice indumento. q

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all’ascolto massiccio di tutte le musichetrasmesse dalla radio, visto che la TVera bandita dalla sua casa.Una volta cresciuta ritorna in Africa, nel-la sua terra natale, ed è in questa occa-sione che riscopre, sarebbe meglio direri-trova, la sua anima musicale africana esi appassiona allo studio ed alla elabora-zione delle diverse tradizioni ritmiche esoprattutto polifoniche dell’Africa Nera.Il suo indagare e meticciare le vocalitàafricane con quelle europee e afroameri-cane confluisce nel progetto Zap Mama,una formazione vocale femminile cheassumerà un ruolo originale e fonda-mentale nell’ambito della World Music.Nel 1993 esce il loro primo album Ad-ventures in Afropea 1, pubblicato dallaLuaka Bop di David Byrne. Disco imper-dibile, che apre per il nostro sentire oriz-zonti davvero inusuali ed inesplorati:giochi e polifonie vocali a cappella, doveincredibili tessiture ritmiche s’interfac-ciano con timbriche ed elaborati canoridavvero magici ed appassionanti, il tut-to sostenuto di tanto in tanto da delica-te ritmiche a percussione mai contra-stanti o avulse dall’impasto canoro.Ogni traccia rappresenta un viaggio asé; dalla gioiosa e accattivante Brrrlak!(da non perdere il video reperibile in re-te su youtube), alle delicate vocalitàpigmee di Babanzélé; dai richiami allelingue click dell’Africa Meridionale di

Discografia

Zap MamaAdventures in Afropea 1

Luaka Bop, 1993

Ben ritrovate e ben ritrovati. Nel con-tinuo ed inesorabile mutare delle

geografie sonore non potevamo nonincontrare ed apprezzare le terre dimezzo abitate dalle Zap Mama, o, peressere più precisi, governate da MarieDaulne, ideatrice e conduttrice dellaformazione dal 1990.La nostra splendida e geniale affiliata al-l’Altra Metà del Cielo nasce in Congo damadre congolese e padre belga, e dopoun prima infanzia trascorsa in Africa sitrasferisce in Belgio, dove inizia il suopercorso scolastico, fino a conseguireuna laurea in Storia dell’Arte e Pittura.La sua infanzia, come lei stessa ama ri-cordare, è stata riempita con la musicadella madre: la musica del Congo; oltre

Guzophela, alle reiterazioni infinite diNabombeli Yo. Ce n’è per tutti i gusti etutte le curiosità, per non smettere maidi ascoltare questo capolavoro dei Nuo-vi Suoni Organizzati.Tra le successive ed inesorabili trasmi-grazioni di Marie nei territori nordame-ricani e più globalizzati del Jazz, R&B,Funky e derivati elettronici, vorrei se-gnalare l’ottimo A Ma Zone, pubblicatodalla Virgin nel 1999. Qui le bizzarreelaborazioni sonore delle Zap Mamapresentano anche inserti vocali maschilied una maggiore presenza di parti stru-mentali. Un album che presenta ancorauna discreta dose di originalità creativa,molto distante dalla produzione dell’ul-timo decennio, che vede la comunquesempre brava e trainante Daulne con-durre la sua formazione in performan-ce, anche dal vivo, sempre più allineatecon il mainstream più manierato e glo-balmente spendibile. Marie ha sceltocosì di non essere più unica sul pianoelaborativo, ma una tra le tante in gra-do di interpretare altro, ed essere partecosì di quell’arcipelago musicale di clas-se ed élite più ambito e frequentato,ma già abbondantemente sentito e ri-sentito, in grado di riprodurre solo sestesso. Comunque buon Afropea a tut-te e a tutti. q

Zap MamaLa terra delle utopie interculturalidi Luciano Bosi

In noi portiamo tutta lamusica: essa giace neglistrati profondi del ricordoEmil Cioran

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Che cosa significa «narrare la pover-tà»? Per riappropriarci del senso di

questa espressione dobbiamo riappro-priarci del senso della narrazione nellavita di ciascuno. Trovare spazio nellanostra vita per la narrazione significa ri-comporre la complessità dell’essere uo-mo e nello stesso tempo ripristinare i le-gami con la cultura, l’etnia, il territorio.Lo sanno bene le bambine e i bambini -e lo sa bene ciascuno di noi se prova aritornare bambino - che continuamentecercano storie e che attraverso le storiestesse cercano di capire il proprio postonel mondo. La ricerca conferma questanecessità.Come sottolineato da Magnoler1,«la narrazione come forma diconoscenza della realtà ecostruzione di significati,ovvero come processoin cui insieme ad altri sicostruiscono nuovimodi per interpretarela realtà, trova la pro-pria origine negli studidi psicologia socialeclassica (K. Lewin), re-cente (Gergen) e nellapsicologia cognitiva (Bru-ner)». È in particolare que-st’autore che evidenzia come ilracconto permetta di costruire signifi-cati che consentono agli uomini di inte-ragire con il sistema di convenzioni cul-turali all’interno del quale essivivono, dando quindi la possibilità diappropriarsi d’interpretazioni già esi-stenti dei fenomeni sociali, creando unaforma di conoscenza sociale, cognitiva,

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Voci di speranzaNarrare la povertà per conoscere ed agiredi Marialuisa [email protected]

collegare la realtà della povertà a si-tuazioni concrete, a persone e voltiche si raccontano. Raccontandosi, lapovertà non perde la propria gravità,ma si concretizza. Passa dall’astrattez-za di un termine troppo spesso colle-gato a cifre e percentuali alla concre-tezza di una storia, di un volto. Le sto-rie contenute nella sezione c’insegna-no quindi che la povertà non è un de-stino ineluttabile, non è neppure unmale di pochi e astratto, bensì un ma-le da vincere insieme.Ma come lavorare sulle narrazioni? Leautrici, Alessandra Ferrario e OriellaStamerra, aiutano gli insegnanti e glianimatori a costruire percorsi per par-lare della povertà attraverso le narra-zioni. Anzitutto, le storie hanno un ti-tolo di colore diverso a seconda del-l’area di riferimento («povertà e cittadi-nanza»; «povertà ed esclusione socia-le»; «povertà e volontariato»). Per ognistoria viene identificata l’area geografi-ca di riferimento e le parole chiave at-torno alle quali ruota la vicenda. Com-pletano la sezione narrazioni ripresesingolarmente e collegate ad una sche-da didattica, che aiutano chi conducel’attività a preparare percorsi specifici,in cui è presente un’introduzione all’ar-gomento e una scheda didattica perutilizzare le narrazioni come spunto diriflessione, attività, percorsi. In questomodo, le storie possono essere interio-rizzate meglio da chi le ascolta e diven-tare parte della «sua» storia. Un primopasso verso la condivisione, non solo disignificati presenti, ma di scommesseverso il futuro. q

1 http://webcache.googleusercontent.com/se-arch?q=cache:http://www.edulab.it/corsiud/gruppo2/percorso/4/narrazione.htm

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affettiva che mette in relazione il «nonancora» con ciò che esiste, nel tentativodi attribuirgli un senso. Ecco perché,narrando attrezziamo le giovani gene-razioni, in particolare, ad affrontare ciòche è ancora ignoto facendo riferimen-to alle esperienze d’altri. Attraverso lanarrazione è quindi possibile condivide-re significati, in un processo in cui sonopresenti sia aspetti emotivi sia cognitivi. Ecco quindi un nuovo modo di parlaredella povertà. Attraverso le piccole egrandi storie presenti nel Kit «Giovaniper Zero Poverty» diventa possibile

ZERO POVERTYKIT MULTIMEDIALEPercorsi di educazione alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale

Gruppo Editoriale Città Nuova 2 volumi - 80 e 64 pagine + dvdEuro 10,00

Disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 Brescia Tel. 030.3772780 - Fax [email protected] www.saveriani.bs.it/libreria

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Potete segnalare iniziativeartistiche interculturali all’[email protected]

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Torino«Concorso letterario nazionale Lingua Madre»

Dopo la prima Maratona del Silenzio, la«staffetta» da Milano a Torino d’incontrisull’arte del tacere dell’Accademia delSilenzio, progetto di Demetrio e Mat-tiot, ecco il Concorso che «correrà» conVoci Silenti italiane, straniere: dalle im-magini del Booktrailer ai racconti, tra leprotagoniste «senza voce» della migra-zione femminile. Info: [email protected]

Torino«Sottodiciotto filmfestival -concorso nazionale Under 18»(entro il 30 giugno 2011)

La più importante kermesse nazionaledi «cinema giovane», da sempre luogod’incontro per dare visibilità e promuo-vere prodotti audiovisivi di ragazzi. Ifilm selezionati verranno proiettati a To-rino nel dicembre 2011. Info: info@sottodiciottofilmfestival.itwww.sottodiciottofilmfestival.it

Emilia Romagna«Il Centro Siamo Noi:l’intercultura in movimento»(febbraio-giugno 2011)

Il Centro Interculturale di Vado-Monzu-no, con 13 Comuni del Distretto di Por-retta Terme, propone un ricco program-

Per un’agenda creativa di Nadia Savoldelli

ma di eventi per riflettere sulle opportu-nità offerte dall’incontro tra culture ediversità.Info: [email protected]

Bologna «Ciclo di incontri su donne e migrazioni» (sino al 13 maggio 2011)

Ha preso il via «Il genio della donna trapassato e presente», ciclo di conferenzesu donne migranti: i percorsi e le espe-

Rubrica a cura di Nadia Savoldelli

rienze sono plurali e la discriminazione,la precarietà, l’emarginazione sonoprocessi che descrivono l’essere donnenella società di oggi. Info: Associazione Ya Basta! www.iltamburo.it

Montecatini Terme «Concorso di Narrativa e Musica Anima Mundi: due patrie, una sola anima» (entro il 15 maggio 2011)

L’Associazione Toscana invita gli immi-grati romeni in Italia e gli immigrati ita-liani in Brasile a raccontare esperienzedella propria vita nel paese d’adozione.I lavori dovranno vertere su uno di que-sti temi: Vivere. Insieme, La storia dellamia famiglia, Sogno nel cassetto. Info: [email protected]

Aosta «Babel. Festival della parola»(22 aprile-8 maggio 2011)

Incontri con autori in cui si affronteran-no i temi culturali e civili contempora-nei, in particolar modo sul tema il co-raggio.Info: Assessorato regionale Istruzione e Cultura- www.regione.vda.it/cultura

Genova-Lecce-Caserta-Chieti «Let my brother go» (aprile-luglio 2011)

Progetto del Living Theatre alla ricercadi giovani: il progetto, nato a Scampia,vuole sviluppare i temi del crimine edella punizione ed esaminare il fenom-eno delle prigioni, attraverso il teatrosocio-educativo, documentario, anto-logico e di denuncia. Prossimi appunta-menti: Green Terror, laboratorio e spet-tacolo, Genova 7-12 aprile; Green Ter-ror, spettacolo, Lecce 16 aprile; labora-torio, Caserta 27-29 aprile; laboratorio,Chieti 17 giugno-7 luglio.Info: [email protected]

Roma «Per il cinema e per la tv»

Il Centro Sperimentale diCinematografia, ScuolaNazionale di Cinema diRoma cerca giovani ragazzecon tratti mediorientali18/25 anni, per uncortometraggio nella scuolasulla storia di una giovaneragazza afghana emigratain Europa. Info: [email protected]

Magnolia fiction cercaun’attrice e un attorenordafricani 35/40 anni, perla serie tv Una GrandeFamiglia in 8 puntate perun’importante retenazionale. Info: [email protected]

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STEFANO ALLIEVI, ALUISI TOSOLINI, KHALID CHAOUKI, ADEL JABBAR, CISCO BELLOTTI, MILOUD OUKILI... e molti altri…

Sentinella,quanto resta

della notte?

Trevi (Perugia)Hotel della Torre 20-25 agosto 2011

Laboratori, incontri,

spettacoli, narrazioni

di buone pratiche

50° CONVEGNO di CEM Mondialità

CEM MondialitàTel. 030/3772780 - Fax 030/3772781Via G. Piamarta, 9 - 25121 [email protected] - www.cem.coop

Segreteria organizzativa

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L a città pavimentata diasfalto rigetta il calore ac-cumulato lungo le gior-

nate estive e invita molti a cerca-re refrigerio lungo le costedell’Adriatico. Foggia sembrauna città deserta, non ritroviamopiù i bambini e i ragazzi; moltinegozi e uffici hanno abbassatole saracinesche. Alcuni, costrettia restare, rimangono chiusi incasa consolati dall’impianto diaria condizionata, altri hanno im-parato a sopportare la calura el’afa.Per molti giovani l’estate signifi-ca vacanza al mare o in monta-gna, lavoro nelle località turisti-che o campi scuola. Alcuni gio-vani, provenienti dal Veneto, daRoma, dalla Calabria, e dallaprovincia di Foggia, hanno scel-to invece di trascorrere una set-timana nella Capitanata, parte-cipando ai campi di servizio «Ioci sto!» organizzati da p. Arcan-gelo, missionario scalabriniano,da don Vito, salesiano della co-munità di Emmaus, e da Dome-nico La Marca, presidente dellacooperativa sociale «Arcobale-

I missionari scalabriniani di Siponto (Fg), incollaborazione con la «Comunità sulla strada diEmmaus» e la cooperativa sociale «Arcobaleno»hanno organizzato nella prima e nell’ultimasettimana di agosto 2010 due campi di servizioper giovani provenienti da varie parti d’Italiadenominati «Io ci sto!».

Io ci sto!... e tu?

Ci sono statevarie

occasioni perconoscersi econdividere

le proprieesperienze

di vita

Arcangelo MairaMissionario Scalabriniano

no». I giovani si sono resi dispo-nibili ad offrire il loro tempo, laloro creatività e la voglia di co-noscere e incontrare altre per-sone, in una serie di servizi a fa-vore dei più deboli ed emargina-ti della zona.Accolti calorosamente dalla co-munità di Emmaus, a pochi chi-lometri da Foggia, ne hanno se-guito, il più possibile, gli impe-gni giornalieri, che iniziavanocon la colazione alle ore sette.Dopo un momento di preghierae la presentazione, partivanoper i vari luoghi di servizio. Peralcuni il pranzo era sul «posto dilavoro» e, per chi era nelle vici-nanze, nella comunità. Dopo unmomento di riposo pomeridia-no, si continuava fino a sera inol-trata. La giornata si concludevacon le ore piccole dopo un in-contro di condivisione.Un gruppetto di giovani ha lavo-rato insieme ai membri della co-munità di Emmaus nella loro

Fattoria Biodidattica, oppure neivari settori dove era richiesto unaiuto. Ci sono state varie occa-sioni per conoscersi e condivi-dere le proprie esperienze di vi-ta, specie con i tossicodipen-denti che stanno facendo unpercorso di recupero, e loro nehanno da raccontare... Un altro gruppo è stato attivo coni «Fratelli della Stazione» a Fog-gia nei loro servizi all’Help Cen-ter, «uno sportello che va incon-tro alle esigenze di chi versa incondizioni difficili se non inac-cettabili: i migranti, i senza fissadimora, le persone in fragilità so-ciale, in disperate condizionieconomiche, che fanno della sta-zione un crocevia di tutte le po-vertà del nostro tempo». La sera,nel piazzale della stazione, ven-gono loro offerti latte caldo e bi-scotti, conditi da una buona pa-rola e da un momento di dialogo.

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rubrica a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

minimamente immaginare chesulla strada parallela ci fosse unangolo d’Africa!», il commentodi uno di loro.Questi giovani hanno aderito al-la proposta del campo dicendo«io ci sto!», io aderisco, io mi la-scio coinvolgere, io non mi tiroindietro, io partecipo. Nell’in-contro personale e coinvolgentecon tante e diverse persone nel-le loro svariate situazioni si sonomessi in discussione, confron-tando la loro esperienza con iluoghi comuni e i pregiudizi pre-senti nelle loro realtà locali. Lepaure o le perplessità nell’in-contrare coloro che i mass me-dia e alcune tendenze politichecaratterizzano come fonte d’insi-curezza o violenti, hanno datospazio alla meraviglia dell’in-contro spontaneo, profondo earricchente. Molti di essi hannoaffermato che la loro vita dopoquesta esperienza cambierà:sono state messi in discussionelo stile di vita, basato spesso sucose futili a scapito di una so-brietà gioiosa e liberamentescelta; è stata stimolata la vogliadi continuare o d’iniziare un im-pegno maggiore nel presentarei migranti come persone e non«solo braccia»; è nato un nuovoelemento di confronto per unascelta di vita, d’indirizzo di stu-dio o di lavoro.Una parola swahili ha accompa-gnato tutto il campo, karibu!,benvenuto. Essa viene usataspecialmente quando un amicoentra nella propria casa, nellapropria vita e gli si lascia lo spa-zio e la libertà di agire, di costrui-re la sua stessa vita. Possa il no-stro paese, la nostra società, cia-scuno di noi riuscire a dire kari-bu! agli immigrati, ai tossicodi-pendenti, agli emarginati, ai nuo-vi poveri... ad ogni persona! q

La condizione dei lavoratori stagionali

La recente costituzione del centro di accoglienza perlavoratori stagionali «A casa» ha offerto ai giovani lapossibilità di promuoverlo e di vedere i primi passi e i primifrutti di tale prezioso servizio. Al mattino, con un pulmino,andavano per le campagne cercando i raccoglitori dipomodori sia per presentare loro tale opportunità di alloggiosia i vari servizi a loro favore presenti sul territorio. I giovanihanno potuto constatare il duro lavoro dei raccoglitori dipomodori, spesso sottopagati, senza regolarizzazione nésicurezza; hanno anche conosciuto la rabbiosa reazione dimolti caporali e proprietari terrieri, i quali con grida e paroleoffensive li hanno respinti.Il Conventino di Foggia, un ex convento incamerato dalloStato italiano, è sede di un servizio di alloggio e mensa per ipoveri della città di Foggia, gestito dalla Caritas. È un puntodi riferimento per quanti, per un motivo o per un altro, sitrovano nel bisogno: circa 25 per la notte, 150 a pranzo e 250a cena. I giovani hanno prestato anche lì il loro servizio. Imomenti di dialogo con gli ospiti sono stati occasione perconoscere le loro storie e le situazioni attuali di vita.

Un angolo d’Africa

L’incontro con Medici SenzaFrontiere ha dato l’opportunità aigiovani di conoscere questa or-ganizzazione e di collaborarenel loro progetto di migliora-mento igienico-sanitario dei luo-ghi dove vivono gli immigratistagionali. Hanno scoperto, co-sì, le condizioni di vita di centi-naia di persone alloggiate in ca-solari abbandonati senza acquapotabile, né elettricità, lontanidai vari servizi. Li hanno visti alrientro dal lavoro, a piedi o ac-compagnati da vecchieauto che per miracoloancora si muovono,stanchi, dopo unalunga giornata di la-voro per 25-35 euro,sporchi delle sostanzespruzzate sui pomo-dori, vivono con deci-ne di compagni e non

trovano il necessario per ripren-dersi dalle fatiche per affrontareil giorno seguente. Eppure, hanno la dignità di in-contrare i giovani, raccontare leloro avventure e situazioni,scambiare due parole amiche-voli. «Vado ogni giorno da Man-fredonia a Foggia, e non potevo

Il Conventinodi Foggia,

un exconvento

incameratodallo Stato

italiano, è sede di un

servizio dialloggio e

mensa per ipoveri della

città diFoggia,

gestito dallaCaritas

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Scuole senza confiniDVD, Comune di Novellara, 2011, Q5 films, documentario 30 min., Euro 10,00

È in vendita la versione integrale del documentario Scuole senza confini, presentato durante la ter-za edizione del Festival Uguali-Diversi e che attraverso numerose interviste ad esperti del mondoeducativo ed autorità esplora il modello pedagogico e d’inclusione sociale praticato in Canada, inparticolare a Toronto, dove il 53% dei residenti è nato all’estero e ogni anno decine di migliaia distudenti di ogni ordine e grado arrivano da tutti i paesi del mondo.Nel video Jim Cummins, pioniere del multilinguismo, i cui testi vengono studiati nelle università ditutto il mondo, spiega come l’integrazione scolastica sia una questione di prospettive: «Noi guar-diamo alle lingue che bambini e ragazzi portano in Canada come a una ricchezza, che in un am-biente monolinguistico non può esistere. In un mondo globalizzato, con un movimento migratorioche ha raggiunto l’apice della storia umana e con l’aumento del volume d’interscambi, sono le lin-gue degli immigrati che vanno coltivate».Parallelamente Novellara, cittadina di 14 mila abitanti con una percentuale di stranieri pari al 16%a fine 2010, si presenta come una delle realtà più eterogenee e complesse dell’intera provincia diReggio Emilia. A Novellara gli alunni stranieri presenti in tutti gli ordini e gradi sono passatidall’8,6% nell’anno scolastico 1999-2000 al 24% nell’anno 2009-2010, con una necessaria rifles-sione su come gestire questo cambiamento, in modo coerente con gli ideali pedagogici di acco-glienza verso tutti.Da anni l’Istituto Comprensivo novellarese ha saputo superare la logica dell’emergenza ed ha atti-vato una serie d’interventi progettuali per affrontare in modo sistematico ed efficace le problema-tiche emerse da questa nuova realtà.Il documentario vuole riconoscere, esaltare, stimolare ed incoraggiare il duro lavoro di ricerca esperimentazione condotto da tanti insegnanti anche in Italia. q

È possibile acquistarne una copia via e-mail: [email protected]

I materiali segnalati (e non segnalati) possono essere richiesti allanostra Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, consconti del 10% per gli abbonati e pagamento in CPP a materiale giàricevuto (nelle richieste specifica che sei un abbonato di CEM)www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

a cura della Redazione

Due immagine del DVD«Scuole senza confini», che trattadel modello pedagogicodi Toronto (Canada).

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i paradossi arnaldo de vidi

Il primo mondo e la Chiesa sono nudi

[email protected]

H o lasciato l’estate eterna di Manaus (Brasile)e sono arrivato in Italia per ferie in inverno.Non è stata una bella scelta. Mi ha colto l’in-

cubo del day after: alberi nudi tra la nebbia, edifici conporte e saracinesche chiuse, troppe macchine, qual-che bambino e più anziani, quasi zombi vaganti…Compro il giornale per informarmi, e lui mi vomita gos-sip su aberrazioni sessuali (la punta di un iceberg diuna società insensibile e decadente). Dicevo tutto que-sto a un amico, che non ha trattenuto le lacrime tantoera dispiaciuto per il mio incubo doloroso. Ma io credoche lui piangesse per se stesso: avevo toccato un nervoscoperto! Di fatto il primo mondo è nudo, soffre di unagrave mancanza d’ideali, di autostima perfino. Ho pen-sato: ben gli sta, questa crisi, al primo mondo che pen-sava possibile e legittimo essere felice da solo; e che haabbellito il suo giardino facendo terra bruciata nel restodel pianeta, dove i poveri faticano a sopravvivere! Sì, noi del primo mondo abbiamo impoverito il terzomondo: nel commercio, con gli armamenti, i super-inte-ressi sui debiti esteri, l’indebita appropriazione di pro-dotti agricoli e materie prime (oro giallo, nero, azzurro),il foraggio ai dittatori… Ieri e oggi. Perfino con leggi etrattati. Se non riconosciamo questo, resteremo nellaxenofobia di bassa lega; non avremo un sano rapporto

con le culture, i migranti e il futuro dell’umanità.Ora la crisi può essere salutare e indurci a rive-dere i nostri criteri di giudizio e la nostra con-dotta. Basta con spiccioli di solidarietà che mi-

gliora la nostra immagine e non risolve, oc-corre giustizia (non frodare più!) e re-

stituzione. Altrimenti imbroglia-mo e ci imbrogliamo. Se poi consideriamo il temadella giustizia come cristiani,nel Vangelo troviamo una ri-dondanza. Il Regno di Dio ègiustizia, pace e gioia nello

Spirito (Rom 14,17); e Gesù di-ce: «Cercate il Regno di Dio ela sua giustizia; il resto vi saràdato per giunta» (Mt 6,33).

Quindi la giustizia è l’apice del Vangelo, la chiave, la so-la via d’uscita. Gesù dice anche: Non si può servire aDio e alla ricchezza (Mt 6,24). Il vitello d’oro non è com-patibile con la fede in Dio, ma noi cristiani del primomondo l’abbiamo messo sull’altare della nostra vita e diquella dei popoli: questa è apostasia! Giunge puntuale il richiamo della Quaresima: Il Regnodi Dio è vicino. Convertitevi a questo Vangelo! Convertir-si, cioè credere e sperare che il Regno sia fattibile! LaChiesa che ha accettato la logica del primo mondo e siritrova nuda, deve convertirsi: deve denunciare le ingiu-stizie e annunciare il Regno di giustizia. Ma sarà credibi-le solo se essa stessa pratica la giustizia, rinunciando aiprivilegi, al potere e al capitale. Una Chiesa così sareb-be bella! Piacerebbe anche a chi ha chiesto lo sbattezzoo la decattolicizzazione. Ma una Chiesa non impegnataper la giustizia è perfettamente dispensabile.

Un guazzabuglio di pensieri

«C’è molto lavoro missionario da fare qui. Ci vuole piùcoraggio a restare che ad andare». Con queste parole gli amici m’invitano a restare in Ita-lia. Mi assale un guazzabuglio di pensieri. Non saràpresunzione ripartire a 70 anni? Ma dove sono i giovanidi rincalzo? E poi, dopo tanti anni in missione, non misento più a bell’agio in patria. E quasi non c’è più pa-tria, tanto le persone migrano per lavoro o per rifugio oper nuove opportunità: ogni paese è «cosmopoli». Maquesto sarebbe un motivo per restare. Però 40 mesiall’equatore m’hanno cambiato il bioritmo...Nella decisione diventa determinante il motivo biblico.Il missionario non è un emigrato. L’emigrato esce dalla sua terra per necessità o avventu-ra, e procede in circolo come un boomerang; il missio-nario esce per ordine di Dio: «Lascia la tua terra!», eprocede in linea retta come una freccia. L’emigrato re-ma con le spalle al traguardo e la faccia al punto di par-tenza; il missionario rema con la faccia al porto di arri-vo. L’emigrato è Ulisse che sogna di tornare ad Itaca; ilmissionario è Abramo che sogna la terra promessa.Tornerò in Brasile, in Amazzonia. q

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la pagina di... rubem alves

C’è un tempo per ogni cosa

care i denti della tua bocca, essendo già pochi, e sichiuderanno le finestre, i tuoi occhi e le tue labbra sichiuderanno: il giorno in cui non potrai parlare a vocealta e non potrai alzarti al canto degli uccelli, non poterpiù ascoltare il suono della musica.Quando avrai paura di ciò che è alto, e proverai pauranel cammino e i tuoi capelli saranno bianchi e non avraipiù fame… prima che si rompa il filo d’argento, e si ri-duca in mille pezzi il bicchiere d’oro e si rompa il lava-bo assieme alla fonte e la polvere torni alla terra e il sof-fio di vita torni a Dio che lo inalò, vivi, allora, e mangiacon allegria il tuo pane e bevi con gusto il tuo vino.Siano sempre bianchi i tuoi vestiti e non manchi mai oliosulla tua testa. Godi la vita assieme a chi ami tutti i gior-ni della tua vita che in breve passa… (Ecclesiaste).

Seppellirono il maestro Beniamino in cimaad una collina. Da quel luogo è possibilevedere le montagne. Vicino alla sua tom-

ba hanno piantato un albero. Dicono che ancora non ha smesso di

crescere. Legarono altalene aisuoi rami robusti e i bambini e gliadulti si divertono a giocare atoccare le nuvole con le punte

dei piedi. Come epitaffio hannoscritto le parole del poeta Robert

Frost: «Egli ha avuto un casod’amore con la vita».

I l maestro Beniamino si fermò, stette ad osservarei suoi cari amici. Per molti anni aveva raccontatoloro delle storie. Molti dei bambini lì presenti pote-

vano essere suoi pronipoti. Tutti avevano le lacrime agliocchi. Sentivano, infatti, che il narratore di storie stavaper dire il suo addio. Allora egli riprese a parlare con unritmo ancora più lento e raccontava quasi come se stes-se cantando…

C’è un tempo per ogni cosaIl tempo di piantare e il tempo di raccogliere quello chesi è piantatoIl tempo di costruire e quello di distruggereIl tempo per piangere e quello per ridereIl tempo di amare e quello di avere a noia l’amoreIl tempo di guerra e il tempo di paceC’è un tempo per ogni cosaMa Dio ha messo il cuore dell’uo-mo aldilà del tempo, nell’eternitàNon c’è niente di meglio per l’uo-mo che rallegrarsi e condurreuna vita piacevole. E questo èil regalo di Dio, che l’uomopossa mangiare, bere e go-dere del frutto del proprio lavoro.Quello che è, è già stato. Equello che sarà pure è già sta-to. Ma Dio farà tornare quel-lo che è passato.Ricordati del tuo Creatorenei giorni della tua fanciullez-za prima che arrivino i giornicattivi e vengano gli anni a dire:non provo piacere in loro.Prima che si oscuri il sole, la lunae le stelle, luci della tua vita, e tornino adandare le nuvole dopo la pioggia;nel giorno che tremeranno le guardie dellacasa, le tue braccia, e si curveranno gli uomini inaltra epoca forti, le tuegambe, e smette-ranno di masti-

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Traduzione di Marco Dal Corso

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agire

abitare

governare

coltivare

produrre

Terra Futura 2011 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per il sistema Banca Etica, Regione Toscanae Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale.

È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente.

In collaborazione e con il patrocinio di Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA e numerose altre realtà nazionali e internazionali.

www.terrafutura.it

Relazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus

tel. +39 049 7399726 - email [email protected]

Organizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.tel. +39 049 8726599 - email [email protected]

mostra-convegno internazionale

terrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresaverso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso20-22 maggio 2011

VIII edizione ingresso libero

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

ONLUS

Regione ToscanaDiritti Valori Innovazione Sostenibilità

copertina_cem_aprile 2011_Layout 1 31/03/2011 12.20 Pagina 3

BRESCIA - SAN CRISTOSABATO 7 MAGGIO 2011

CONVEGNO DI MISSIONE OGGI

I TEMI DEL CONVEGNO

CONVEGNO PROMOSSO DALLE RIVISTE DEI SAVERIANI IN ITALIACHIESA DI SAN CRISTO, VIA PIAMARTA 9, BRESCIA, TEL. 030.3772780www.saverianibrescia.com/missione_oggi.php

MARCO REVELLI

Poveri, noiL’Italia verso la fragilità e l’arretratezza

DiscussantVENERA PROTOPAPA

GRAZIANO BATTISTELLA

La fame si muove verso il panePovertà e migrazioninel Sudest asiaticoDiscussantANNE ZELL

LUIGI PAGGIKRISNOPODO MUNDA

Poveri perché fuori-castao fuori-castaperché poveri?Povertà e minoranzein Bangladesh

GIOVANNI NICOLINI

Gesù, la Chiesa e i poveriTra memoria biblica e presenteecclesiale

VIRGINIO COLMEGNA

Ripartiredai poveriNella Chiesa e nella Polis

ConclusioniANNA CHIARA VALLEFRANCO VALENTI

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