Acta Luglio 2008 - USIIl Mito eterno di Ulisse di Pietro Citati Un libro di Piero Boitani...

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UNIVERSITÀ DELLA SVIZZERA ITALIANA ISI ACTA ET AGENDA RASSEGNA STAMPA DELL ’ISTITUTO DI STUDI ITALIANI LUGLIO 2008 1

Transcript of Acta Luglio 2008 - USIIl Mito eterno di Ulisse di Pietro Citati Un libro di Piero Boitani...

  • UNIVERSITÀ DELLA SVIZZERA ITALIANA

    ISI

    ACTA ET AGENDA

    RASSEGNA STAMPA DELL’ISTITUTO DI STUDI ITALIANI

    LUGLIO 2008

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  • SEZIONE PRIMA

    ACTA

    Recensioni di opere di docenti dell’ISI apparse sulla stampa quotidiana

    Colloqui, convegni, cicli di conferenze

    Riconoscimenti e attività dei docenti dell’ISI

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  • I. “TOPOI”/”LOCI”/”LUOGHI”: RITORNI E DIASPORE

    Memoriali dal futuro

    di Carlo Ossola

    Le «lezioni» di Piero Boitani per affrontare il XXI secolo nutriti dagli insegnamenti della letteratu-ra: un inno alla meraviglia che porta a riscoprire i pilastri della nostra cultura

    Come Calvino nei suoi Six Memos, così Piero Boitani propone oggi un viatico per intraprendere conla letteratura il XXI secolo. Le sue categorie non riguardano la “forma” (leggerezza, rapidità, esat-tezza eccetera), ma la “vita”: morire, stupire: essere e creare, compatire, rinascere. Un Seneca cri-stiano che scriva a un giovane Lucilio, dopo aver letto la Divina Commedia, che Boitani vede comeun luogo di contemplazione e di stupefazione di fronte ai mirabilia Dei: «La meraviglia è la ragio-ne prima della ricerca di Dante nella Commedia. È, in fondo, ciò che salva il poeta: ciò che redimela letteratura dalle tenebre della morte». Il viaggio dal «veder volea» sino agli ultimi misteri delParadiso (XXXIII, 137-38). Perché la curiositas di chi osserva non sia vanità – lo scialo vitreo delle“nature morte” barocche – bisogna che ogni punto dello scrutare sia plenitudine e compimento:Boitani non esita a richiamare uno dei passi più solenni della Consolazione della filosofia di Boezio:«Il tutto e le parti derivi / dal divino modello e, bellissimo tu stesso, concepisci bello / nella menteil mondo, formandolo a tua immagine, / imponendo a parti perfette di liberare in perfezione il tutto».Dio creò il mondo e la creatura all’apice della perfezione: così Michelangelo nell’Adamo dellaSistina, così il Tasso nel Mondo creato: e non resta che contemplare, leggendo l’eterno rotolo del-l’universo tutto dispiegato: «La divina bontà […] / […], ardendo in sé, sfavilla / sì che dispiega lebellezze eterne» (Paradiso, VII, 64-66). Da questo imperturbato cosmo anche la morte rientra in un francescano preludio di pace: lieve tran-sito appare nella bella citazione di Malherbe: «non ti stancare, dunque, d’inutili lamenti: / saggio peril futuro, / ama un’ombra come ombra, e delle ceneri spente / spegni il ricordo». Così Laura insilente trasparenza svaniva al Petrarca nei Trionfi: «pallida no, ma più che neve bianca / che senza

    venti in un bel colle fiocchi / parea posar come persona stanca»(Triumphus Mortis, 1, 166-168). I Trionfi sembrano del resto suggerireil modello di queste «stazioni» nella meditazione della letteratura:Boitani ci conduce infatti dal Triumphus Mortis al TriumphusAeternitatis celebrato nel finale «rinascere» e forse – proprio per lasimilarità di struttura il Petrarca avrebbe meritato un posto più ampionel canone evocato dall’autore. Il «rinascere» ultimo, nel percorso di

    Boitani, si sottrae agli autori del risorgere all’eterno: dal Soulier de satin al Maestro e Margherita,da Tarabas al Cristo di Velázquez per affidare il suo messaggio alla sommessa saggezza delRacconto d’inverno di Shakespeare. Dopo il vertiginoso percorrere gli universi, Boitani ritorna altempo: «Il Racconto d’inverno guarda all’esistenza, alle sue sventure e alle sue benedizioni», poichénel tempo si annida ciò che di noi si va preparando. Forse egli ha ragione, sebbene proprio nelWinter’s Tale si aprano le prime screpolature di un inabissarsi: «Why then the world and all that’sin’t is nothing / the covering sky is nothing, Bohemia nothing, / My wife is nothing, nor nothinghave these nothings / If this be nothing” (versi 292-97) di ossessione, turbamento, vertigine chediverranno sfida in Pascal e scarnificazione in Beckett.Queste due ragioni d’essere della letteratura: restituire il cosmo che il disordine umano ha turbato,o togliere tutto il superfluo, il vano, l’inessenziale che il nostro “pagar con parole” ha fatto sedimen-tare, si troveranno di fronte domani a Lugano nel corso della «Prima lezione» di presentazione e diapertura di un innovativo master europeo (laurea specialistica secondo il sistema di Bologna) di

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    La prima riflessioneriguarda la morte: neiversi petrarcheschi perLaura trionfa l’eternitàdella poesia

  • «Letteratura e Civiltà italiana» che l’Università della Svizzera Italiana – con coraggiosa determina-zione – promuove facendo ricorso alle migliori voci svizzere, italiane, europee, dell’italianistica edelle arti che nella civiltà italiana hanno avuto il loro inizio e acme. La letteratura e la lingua italia-na sono oggi in regresso un po’ dovunque: non sono più il “ricettacolo di identità” di una cultura,come lo furono ai tempi del «Conciliatore» o di Manzoni, De Sanctis, Gramsci. Non sono neppurepiù la specializzazione egemone nelle Facoltà di Lettere. Il “come” insegnare prevale sul “checosa”: sì che corsie veloci di pedagogia, psicologia, metodologia, portano un autobus vuoto dallaperiferia al capolinea, senza che si fermi nella mente alcunché della città che abbiamo attraversato.Fuori d’Italia sempre meno si fa ricorso alla lingua italiana: per fortuna rimangono Dante e Petrarca,Machiavelli e Tasso, Goldoni e Pirandello, Calvino e Primo Levi e Pasolini che, tradotti, rappresen-tati, in teatro e in cinema , riportano a un aurorale Italian for begginers ( delicatissimo apologodanese, che andrebbe proiettato a ogni inizio di anno scolastico ) che Gianfranco Folena aveva benaltrimenti illustrato nel suo saggio L’italiano in Europa: l’italiano della commedia dell’arte e diMozart, dei libretti e degli architetti, dei pittori e dei musici.Ora l’Università della Svizzera Italiana, forte dei Fondi storici della Biblioteca Cantonale (che con-serva, tra gli altri, il capitale Archivio Prezzolini) e della Biblioteca della Salita dei Frati, lo squisi-to gioiello al quale il compianto padre Pozzi dedicò i suoi ultimi anni, della lezione di poesia diGiorgio Orelli, riprende quella sfida: riportare in Europa l’italiano dei nostri classici, delle arti, dellamusica. Ha convocato ottimi studiosi, inizierà un nuovo e impegnativo apologo: arrivare – attraver-so i “sottili pori” della letteratura – a varcare la “roccia di consistenza spugnosa” del «castello d’If»,prigionia del nostro tempo, per salire a un «Monte Verità» che ritrovi rilkiane ragioni di essere spi-riti europei.

    Piero Boitani, Prima lezione sulla letteratura, Laterza, Roma-Bari, pagg. 192; da ricordare,dello stesso autore: Sulle orme di Ulisse, il Mulino, Bologna, nuova edizione, pagg. 320.

    Il Sole 24 Ore, 4 Marzo 2007, p. 32.

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  • Il Mito eterno di Ulisse

    di Pietro Citati

    Un libro di Piero Boitani sull’eroe omerico

    L’autore dedica nuovamente la sua attenzione al protagonista dell’Odissea in un saggio che intrec-cia la storia del personaggio alla propria. Tra echi letterari e ricordi

    Quando Ulisse si risveglia ad Itaca, dove i Feaci lo hanno trasportato in un velocissimo viaggio not-turno, non riconosce la patria. Con un gesto magico, Atena l’ha trasformata. Ulisse si guarda intor-no, e non vede più il porto di Forco, il monte Nerito, la spelonca delle Ninfe, l’ulivo solitario – quelpaesaggio che egli ama con un desiderio straziante. Atena gli appare: trasformata dapprima in ungiovane principe “pastore di greggi”, poi in una donna “bella e alta”, esperta in lavori artigiani; per-ché gli dèi non appaiono mai, ad Ulisse, nella loro vera figura. Egli inventa il primo dei suoi mera-vigliosi “racconti bugiardi”. Allora Atena gli sorride col suo sorriso incantevole, complicato e insi-dioso, lo carezza con la mano, e gli dice quello che nessun dio, nell’Iliade e nell’Odissea, rivela maiad un umano: egli è il suo doppio terreno. Possiede la sua intelligenza, la sua limpidezza mentale,la sua astuzia, la sua ironia, il suo sapere artigiano. Per un momento, il divino e l’umano si sfiora-no, si toccano, rivelano di essere complici ed affini, senza bisogno di intermediari.Ulisse ha un altro dio protettore. Mentre attraversa l’isola Eea, dove sorge la casa sontuosa di Circe,incontra Ermes, “simile a un giovane di primo pelo, la cui giovinezza è leggiadra”. Il dio strappauna pianta dalla terra e la offre ad Ulisse: l’erba moly, dalla radice nera e dal fiore bianco come illatte, che possiede sia la virtù ctonia sia quella celeste, e potrà vincere la magia nera di Circe. Quila scena è molto più misteriosa: Ulisse ha già incontrato (chissà dove) Ermes, con cui condividel’appellativo di “multiforme”, ma sembra ignorare il proprio rapporto strettissimo con il dio. MaOmero (il secondo Omero) lo conosce con precisione. Ermes è l’archetipo dell’eroe. Come quelladel dio, la mente di Ulisse ha molte forme: si rivolge verso ogni parte: ha molti colori; è scintillan-te e cangiante, piena di incanti e seduzioni, misteriosa, intricata, inestricabile. Il suo mondo è soprat-tutto ermetico. Ama il viaggio, la fuga, la metamorfosi, la fascinazione, la recitazione, la menzogna,il racconto, l’inganno, i rapporti che stringono le cose tra loro.Questi due esempi, che tutti conoscono, rivelano quella che noi siamo abituati a chiamare l’esisten-za o la coscienza mitica dei Greci. Allora sia i grandi personaggi letterari sia (in gradi diversi) lepersone comuni erano immersi in un’aura, come noi nuotiamo nel mare o in un fiume. Vivevanosotto un segno. Non era un modello filosofico, un esempio morale o una persona determinata. Eraqualcosa di occulto, nascosto, incomprensibile, che si esprimeva spesso attraverso contraddizioni,perché Apollo sovrintende sia alla luce sia alla notte, sia alla dismisura sia alla misura e alla forma.I Greci comprendevano di non poter definire quel segno: eppure sapevano che esisteva nell’aria unafigura che chiamavano Apollo, o Ermes, o Artemide, o Posidone, o Atena, ognuna con un suo regno.Di solito, non sceglievano il loro dio, ma ne erano scelti. Così non vivevano un’esistenza persona-le, o (come noi diciamo) puramente psicologica: qualsiasi cosa dicessero o facessero, obbedivano aquell’elemento misterioso che li possedeva. Talvolta giocavano con gli dèi, talvolta cercavano diresistere alla loro influenza; eppure finivano sempre per riconoscere che nella loro anima il divinosi intrecciava con l’umano, il tempo con il senza-tempo.Vivere una vita mitica può diventare un’esperienza tragica, come seppe Alessandro Magno. Contutta la forza della sua passione, pose davanti agli occhi della sua mente alcune figure divine ed eroi-che: Dioniso, Eracle, Achille, Ciro di Persia; e cercò di risuscitarle e incarnarle nella sua esistenza.Forse nessun altro uomo giunse a comprendere in sé tante persone diverse. Siccome non era uno,ma tanti, aderiva ad ogni situazione nel modo più duttile e sinuoso. Alternava il furore e la pruden-za, la velocità e la lentezza, la sfrenatezza e la moderazione, la crudeltà e la pietà, l’arroganza e ladolcezza, lo slancio verso l’infinito e l’attenzione alle minime sfumature. La sua vita diventò unavasta distesa senza tempo, dove ogni tempo si raccoglieva. Ma presto egli comprese quanto sia ter-

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    ribile, per un uomo, avere tante anime. In ogni momento doveva far coesistere in sé i gesti di Achillee di Ciro, di Dioniso e di Eracle, che talvolta combattevano tra loro. Quando questa moltitudine diimmagini e di tempi si accalcava con più violenza nella sua mente, forse Alessandro si domandò:“Chi sono io? Questo sentimento che ora credo di provare, questo gesto che ora mi sembra di com-piere, è mio, o il gesto di un altro, accaduto in un tempo immemorabilmente lontano? Vivo qui, aPersepoli, a Babilonia, in India, o tra gli dèi, i mostri, le cose ripetute, consacrate, finite?” Travoltoda queste sensazioni, che né il vino né il sonno né il delitto riuscivano a vincere, Alessandro temet-te di perdersi nella più angosciata delle vertigini.

    Quello di Piero Boitani è un caso singolarissimo. Non è soltanto un eccellente studioso, che percor-re le letterature del mondo con la stessa facilità e rapidità con cui io percorro la mia stanza da letto.Ha appena pubblicato Letteratura europea e Medioevo volgare (Il Mulino, pagg. 537, euro 35), cheè una specie di complemento del libro famoso di Ernst Robert Curtius Letteratura europea eMedioevo latino. Non ho la competenza per parlarne. Parlerò invece di un libro stravagante: Sulleorme di Ulisse (il Mulino, pagg. 317, euro 17), dove egli rivela di possedere almeno un riflesso dicoscienza mitica greca: coscienza rara nei tempi moderni, tranne in grandi poeti come Goethe eYeats. Non ama vivere la propria vita, ma la “vita già vissuta”: ricalcare orme che sono già statecalcate; citare, ripetere, riscrivere, fondendo il presente con il passato.Fin dalla giovinezza, Boitani ha scelto un modello: Ulisse, che è diventato la figura protettrice dellaseconda parte del ventesimo secolo e dei primi anni del ventunesimo. Nell’Ombra di Ulisse (1992)e nelle Orme di Ulisse, Boitani cerca di rintracciare tutti i passaggi del suo eroe nella letteratura clas-sica, nella letteratura cristiana antica, in quella medioevale, moderna e modernissima: in testi lette-rari, storici, religiosi. Ormai, ha acquistato un fiuto quasi mostruoso: basta una parola, un accennolievissimo, una allusione mascherata, e subito nei suoi libri rinasce l’eroe che ha costruito il caval-lo di Troia, incontrato Poliremo, Circe, Calipso, visitato l’Ade, ucciso i Proci, ripreso il viaggio colremo sulle spalle e, venti secoli dopo, nella Commedia, ha tentato il “folle volo”. Durante la suaricerca, Boitani è preso da una specie di inquietudine. Si chiede: “Ulisse mi ha scelto, ma perché,ma per cosa? Io l’ho cercato, ma per quale motivo, a qual fine?”Per spiegare questo mistero, Boitani racconta la propria vita. Quando era bambino aveva già una pas-sione per Ulisse. Appena gli raccontavano la sua storia, diventava attentissimo, perché gli pareva chefosse il più intelligente, astuto e facondo di tutti gli eroi. Appena cominciò a scrivere libri, lo dimen-ticò per qualche tempo e cercò di sfuggirgli. Ma poi si accorse che nella sua esistenza accadevanostrani rinnovamenti, epifanie, coincidenze inspiegabili: tutto gli riportava davanti agli occhi Ulisse;ed egli cominciò a riconoscersi in lui. Così esplorò la propria vita come fosse quella di un altro; e inquesto libro racconta il suo matrimonio, le amicizie, le avventure, gli incontri, anche quelli che adaltri parrebbero casuali. Appena gli sembra di aver posato il piede sull’orma di Ulisse, viene assali-to da una euforia incontenibile, che gli permette di continuare a vivere e ad esplorare con gioia.Come tutti i moderni, Boitani non ha la forza per ripetere in sé stesso l’intera figura di Ulisse. Nonriesco ad immaginarlo mentre scende nell’Ade, ascolta le Sirene, tiene in mano l’erba moly, ama ledee-streghe, vive nel centro del mondo, uccide i Proci. Di Ulisse egli possiede soprattutto l’atten-zione, la pazienza, la precisione; e il doppio istinto che lo porta verso gli estremi – da un lato la smi-surata curiosità e l’inquietudine, il desiderio di fuga, e dall’altra l’amore per il ritorno. Alla fine, leg-gendo Eliot, scopre che fuga e ritorno obbediscono allo stesso ritmo: “Non cesseremo di esplorare,/ e alla fine di tutta la nostra esplorazione / arriveremo dove siamo partiti, / e conosceremo il luogoper la prima volta”.

    Anche la critica letteraria di Boitani è ulissiaca (od ermetica). Altristudiosi sono affascinati da uno scrittore e dai suoi libri: si identi-ficano con l’oggetto del proprio amore, nella speranza (semprevana) di spiegarlo. Così faceva Marcel Proust, attraverso illumina-zioni rapidissime. A Boitani un testo, o uno scrittore, non bastanomai. Ne dispone moltissimi sulla sua scrivania: trova echi, riferi-menti, citazioni mascherate, imitazioni, fino a costruire un compli-

    Anche a Marcel Proust capi-tava di identificarsi conl’oggetto del suo amore let-terario

  • catissimo intreccio. Poi si mette in viaggio sulla piccola nave di Ulisse: alza le vele: non ascolta leSirene, ma il soffio dei venti; e finisce per percorrere l’universo.

    Piero Boitani, Sulle orme di Ulisse, Bologna, il Mulino, 2007.

    La Repubblica, 25 agosto 2007, pp. 52-53.

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    Medioevo illuminato

    Nel cielo stellato dei poeti

    di Tullio Gregory

    La profonda analisi di Piero Boitani sulle innovazioni delle letterature volgari nei confronti dellatradizione latina. Come nel caso della descrizione del cosmo, esportata dai nostri classici in tuttaEuropa

    Per giustificare e promuovere l’uso – o il riuso – della cultura pagana nel nuovo orizzonte cristia-no, il Medioevo latino conosce due interpretazioni figurali di testi biblici: gli Ebrei che, fuggendodall’Egitto, portarono via oggetti preziosi che appartenevano agli Egiziani (come narra l’Esodo, 3,22; 12, 35), compirono un atto legittimo perché quegli oggetti sarebbero stati dedicati al culto delvero Dio; così una bella schiava può divenire moglie di un figlio di Israele dopo che sia stata puri-ficata, con il taglio delle unghie, della capigliatura e il cambio delle vesti (Deuteronomio, 21, 11-13). Da Origene, Girolamo, Agostino, e poi sempre, in questi testi si vedeva indicata, figuralmente,la legittimità di far uso della cultura pagana, una volta liberata dalle sue impurità.Questi due luoghi classici dell’esegesi patristica e medievale possono costituire una premessa allanuova opera di Piero Boitani (Letteratura Europea e Medioevo volgare) sol che si estenda il lorosignificato a tutta la tradizione letteraria mediolatina e volgare per l’uso che essa ha fatto della tra-dizione classica precristiana.Riallacciandosi, con generosi riconoscimenti, al celebre volume di Ernst Robert Curtius(Letteratura Europea e Medioevo latino, 1948), Piero Boitani intende estenderne le linee di ricercaal Medioevo volgare: nella puntuale considerazione che esso costituisce la via maestra attraverso laquale immagini, miti, tradizioni, forme letterarie dell’antico («tutto ciò, insomma, che costituiva latradizione culturale europea radicata in Atene, Roma e Gerusalemme») ampiamente utilizzati dallacultura mediolatina, sono divenuti patrimonio comune di tutta la letteratura europea attraverso con-tinue traduzioni, riscritture, interpretazioni e trasposizioni.Un’eccezionale padronanza dei testi – alcuni dei quali, classici o rari, sono stati tradotti in italianodallo stesso Boitani (si pensi alle opere di Chaucer da Einaudi e allo straordinario “romanzo” SirGawain e il cavaliere verde da Adelphi) – e una sequenza di fondamentali studi critici, sono la pre-messa di questo volume, pieno di suggestioni e di affascinanti interpretazioni.Impossibile indicare un itinerario di lettura, perché nel volume si intrecciano linee diverse che rac-colgono, attorno a immagini e temi comuni, le testimonianze più disparate delle varie aree della let-teratura europea volgare, in tutte le sue connessioni con la letteratura mediolatina e le ricorrenti pre-senze nella moderna.La ricerca muove da due centri di irradiazione: dal secolo XI domina la Francia, meridionale e set-tentrionale, con la Chanson de Roland e la lirica trobadorica fino ai «romanzi di antichità», a quel-li di Chrétien de Troyes e del ciclo arturiano, al Roman de la rose. Testi che esercitano un’influen-za determinante in tutto il continente attraverso imitazioni e riscritture. Entra poi in scena l’Italia,

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  • dal Trecento, con Dante, Petrarca e Boccaccio che impongono temi, icone, stilemi ovunque presen-ti nei secoli successivi.È questa una delle parti più corpose del volume che traccia insospettati sentieri per l’esegesi e la for-tuna dei nostri autori: non solo per le loro opere maggiori (come la Commedia di Dante o ilCanzoniere di Petrarca) ma anche per opere forse oggi non molto lette e godute. È il caso delTeseida e del Filostrato di Boccaccio, testi dei quali Boitani rintraccia la larghissima fortuna (inparte dovuta, soprattutto per l’area inglese, alle riscritture di Chaucer, e al suo Racconto delCavaliere), fino ad alcune folgoranti proposte di Jorge Luis Borges che «porta il Teseida e ilRacconto del Cavaliere all’attenzione della modernità».Chi volesse avere anche solo un’idea della ricchezza e degli esiti dell’opera di Boitani, legga l’am-pio capitolo «Stelle»: dal Cantico di Francesco e dalla Commedia (in particolare dal Paradiso,«poema sidereo») la poesia italiana impone un immaginario che «orienta la letteratura europea inmaniera determinante». Più ancora di Dante, Petrarca «il poeta che coinvolge il cosmo intero nellasua storia d’amore» e che fa delle stelle le sue «sigle ultime, nomi appunto, della donna, dell’amo-

    re, della poesia»; di seguito tutte le varie rievocazioni e riscritture di «immaginisideree» nella poesia italiana del Rinascimento, come pure nella filosofia –Bruno, Campanella – e nella trattatistica di Alberti, Bembo, Castiglione. Quindil’irraggiamento europeo da Shakespeare a Keats e Lamartine, per tornare in Italiacon Leopardi e ripresentarsi ancora, agli inizi del Novecento nell’Ulisse di Joycee ne La morte di Virgilio di Hermann Broch. Ma il tema sidereo – che ha il suovertice nella celebrazione del cielo stellato – ritorna ancora agli inizi del nostromillennio in Charles Wright, con forti e dichiarate ascendenze leopardiane e sug-gestioni dantesche.Attraverso i temi dei quali traccia la storia – non solo le stelle, ma la Fama e, piùrapidamente, fra gli altri, la caverna, il tempio, il labirinto – Boitani ci conducenei più diversi universi poetici, analizzati e presentati secondo precise coordinatecronologiche e linguistiche, offrendo sempre letture originali e illuminanti. Èforse qui quello che rende il volume di Boitani più convincente – anche più leg-gibile – del Curtius: non solo per la forte presenza della dimensione filologica e

    storica (che gli permette di sfuggire ai tranelli di un’indagine strettamente tipologica), ma anche peril fascino di una scrittura limpida proponendo percorsi – ascesi verso l’intelligenza della poesia –che ci liberano dall’opacità della cultura di oggi.

    Piero Boitani, Letteratura europea e Medioevo volgare, il Mulino, Bologna, pagg. 538.

    Il Sole 24 ore, 15 Luglio 2007, p. 30.

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    SanFrancesco,Dante ePetrarca:le «immaginisideree» della liricaitalianahanno echifino aShakespearee Keats

  • Piero BoitaniLetteratura europea e Medioevo volgare

    Bologna, il Mulino, pp.550

    (Roberto Mussapi)

    “Stelle”: un titolo assoluto nella sua nettezza. È quello di un capitolo prodigioso di un libro straor-dinario. Potrebbe essere estratto dal libro –in cui peraltro è insostituibile- per ricavarne un volumet-to in cui si svela la letteratura d’Occidente attraverso la mappa celeste individuata e tracciata inItalia nel Medio Evo, dai massimi poeti, Dante e Petrarca. Una costellazione che una volta delinea-ta illumina il cielo e della poesia dal massimo poeta delle stelle, Torquato Tasso, fino alla realtà side-rale che Shakespeare immortala negli occhi di Giulietta e meno esplicitamente in gran parte del suoteatro intrinsecamente cosmologico. Dove cioè gli occhi della donna amata sono stelle in quanto lestorie umane corrispondono a storie cosmiche. Nello splendore degli occhi di Giulietta, Romeointuisce la natura stellare, inscindibile dalla loro presente e prossima vicenda di amore e conflagra-zione: quell’amore che è come la polvere (pirica) e il fuoco, che al loro primo bacio si consumano.Dalla trepidazione siderale di Alighieri, da quella meno drammatica ma più frequente e centrale diPetrarca, in avanti, fino alle realtà trapunta di stelle di uno dei massimi poeti statunitensi di oggi,Charles Wright, il capitolo mostra esemplarmente l’intento e la realtà dell’opera: in Letteraturaeuropea e Medioevo volgare (il Mulino, pp. 550), Piero Boitani mette in luce le relazioni profondedella cultura europea dalle sue origini classiche al travagliato e creante rapporto con il cristianesi-mo, definisce un ambito letterario che si estende nel tempo e nello spazio, traccia la trama di rela-zioni su cui si tesse la letteratura europea, incluse le sue influenze su autori non europei moderni econtemporanei, come Ezra Pound, il già citato Wright, il poeta caraibico premio Nobel DerekWalcott, elisabettiano per formazione linguistica, omerico per ispirazione. Le letteratura europea è un corpo vasto, complesso e molto esteso nel tempo: la sua durata coinci-de più o meno con quella delle stessa cultura europea, ventisei secoli, da Omero a Goethe. Solo chisa padroneggiare tanto la lingua e l’opera di Omero quanto quella di Shakespeare, di Dante quantodi Rilke, può muoversi da cittadino in questo universo. Ecco quindi svelarsi una mappa straordina-ria, un trattato lucido quanto suggestivo, dai temi della Fama alle immagini della caverna, del tem-pio, del labirinto, i miti del volo e del castello, insomma i principali archetipi della letteratura euro-pea, fino al citato capitolo sulle stelle, alle continue influenze operate dall’opera di Dante e Petrarcasulla letteratura dei secoli successivi. Il saggio, come indica il titolo, è incentrato su un preciso ecruciale momento storico, e quindi si sofferma sugli autori e le opere di quel periodo. Ma continua-mente scattano saette in direzioni successive, riviviamo i temi e le immagini di Alighieri inShakespeare ed Eliot, insomma la letteratura europea del Medio Evo dell’età volgare, successiva aquella di lingua latina, si rivela la fucina centrale di quanto accadrà in seguito, chiamando a con-fronto, e quindi a una nuova vita, l’età che la precede, con i suoi splendori.In poche parole: il nodo centrale della letteratura medioevale è l’incontro tra i modelli classici,

    pagani, di Ovidio, Orazio, Virgilio, e la religione cristiana nella sua formulazione culturale, da Paolodi Tarso ai padri della Chiesa. C’è alterità tra le due visioni del mondo, ma a questa radicale alteritàcorrisponde una straordinaria, reciproca attrazione. Tutta l’opera di Dante è attraversata da figurepagane, e il mondo delle Metamorfosi di Ovidio informa la letteratura dell’Europa cristiana. Da que-sto stridente e fecondo rapporto nasce la poesia europea, in Francia prima, con l’età dei trovatori, inItalia poi, con l’epopea dello Stil Novo, di Alighieri e Petarca. Da quelle due culle una nascita inces-sante, le cui conseguenze sono ancora vive. Dopo i più agili, avventurosi saggi su Ulisse, o sul mitodel Volo, ora un poderoso volume su una fase centrale della letteratura. Trent’anni di lavoro, benspesi da Piero Boitani, critico e saggista di statura mondiale.

    Il Giornale, 18 settembre 2007, p. 31.

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  • La critica ipertestuale di un Medioevo riscoperto

    di Francesco Stella

    Il prepotente ritorno alla critica tematica che si registra in Italia negli ultimi anni, recentemente glo-rificato in dimensione monumentale dal dizionario UTET dei temi letterari, è soprattutto un ritornoal metodo della grande comparatistica novecentesca di Spitzer e soprattutto di Auerbach e Curtius:giganti dell’esplorazione letteraria che nel nostro paese hanno atteso decenni per essere conosciutie tradotti a causa dell’ostilità dichiarata dalla critica idealista al modello di un sistema letterario uni-tario e di una morfologia storica delle letterature europee. Questo pregiudizio sembra ormai in viadi faticoso superamento grazie alla tendenza interdisciplinare e all’orizzonte sovranazionale che staimponendo una graduale rivisitazione dei metodi di analisi anche nella letteratura. Più difficile dascalfire è il pregiudizio sul valore e l’influenza della letteratura e della cultura medievali. È statopossibile in questi mesi leggere recensioni alle recenti traduzioni di Auerbach che evitavano accu-ratamente perfino di nominare il Medioevo, come se l’autore di Mimesis e Figura si fosse occupa-to di narrativa sudafricana o di epistemologia azteca. Questo tabù è ormai sgretolato sul fronte sto-riografico, grazie soprattutto alla forza d’urto della scuola francese delle Annales, ma sopravvive –nelle scuole e sui media - ogni volta che si parla di letteratura. Ci si meraviglia delle “scoperte” sulruolo politico delle donne nel Medioevo e si ignora (anche da parte degli storici) che il millenniomedievale - a differenza della civiltà classica e a lungo perfino di quella moderna - è popolato ancheda grandi scrittrici in latino e nelle lingue vernacolari. Non solo Eleonore e Matildi, ma Rosvite,Costanze, Ildegarde, Eloise. Il fantastico panorama che Piero Boitani presenta in questo suoLetteratura europea e medioevo volgare si basa proprio sulla volontà di superare le «distinzioniarcheologiche e filologiche cui ci ha abituato l’umanesimo» e recuperare la potenza d’immagina-zione dispiegata fra VI e XV secolo in una miriade di opere letterarie la cui reperibilità è ancora oggiun’impresa. Il titolo del volume fa riferimento all’insuperato capolavoro di Ernst Robert Curtius Letteraturaeuropea e medioevo latino, pubblicato nel 1948 e tradotto in italiano solo nel 1992, che per la primavolta usava il grimaldello dei luoghi comuni della poesia e della retorica per ricostruire continuitàdimenticate fra l’antico, il tardoantico, il medievale e il moderno, dipanando con coltissima pazien-za i fili che collegano Omero e Orazio a Dante e ai Carmina Burana per riaffiorare in Calderón,Goethe, Diderot ed Eliot, attraverso la mediazione di nomi esotici come Venanzio Fortunato,Aldelmo di Malmesbury, Alcuino di York, Alano di Lilla, Bernardo di Chartres, Ildeberto di LeMans e altri cento prigonieri dell’oscurità. Il segreto di quel monumento alla forza metamorficadella tradizione, tanto celebrato quanto discusso proprio per la schematizzazione “continuista”, clas-sicista e centralista ma ancora utilizzato da ogni studioso di letterature europee, stava nella cono-scenza diretta di una galassia di autori e testi del medioevo latino, che i programmi scolastici e uni-versitari lasciavano e lasciano tuttora fuori dalle storiografie addomesticate. Ma al grandioso affre-sco di Curtius mancava un pannello fondamentale: il Medioevo volgare, cioè i capolavori delle let-terature europee fiorite dopo il IX secolo. Boitani prova ad avventurarsi in questo oceano di idiomiavvalendosi, come Curtius, sia di una conoscenza diretta di molti testi, soprattutto medioinglesi eitaliani, sia di una sensibilità alla letteratura contemporanea che lo mette in grado di collegarla condisinvoltura al passato grazie appunto alla leva tematica: un esempio sorprendente sono le paginededicate a Charles Wright, forse il maggiore poeta americano vivente, tradotto in Italia per la primavolta dalla rivista “Semicerchio” nel ’94 e poi in due volumi curati da Antonella Francini ma sostan-zialmente sconosciuto nel nostro paese. Boitani offre una lettura penetrante e delicata di alcune sueliriche all’interno dell’excursus sulla fortuna di uno dei campi metaforici apparentemente più tritidella poesia dantesca, le immagini delle stelle. Come per Curtius, il cardine intorno a cui tutto ilmeccanismo verifica la sua tenuta è infatti la Divina Commedia, ma a differenza di Curtius Boitaniha un secondo faro che gli serve a illuminare lo spazio circostante, un altro lago nel quale conflui-scono e ripartono fiumi che vengono da altre dimensioni: l’opera di Geoffrey Chaucer, l’autore dei

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  • Racconti di Canterbury. Boitani ci guida con capacità affabulatorie inconsuete in un filologo versole fonti latine o boccacciane della storia del “cavalier” Troilo, nobile figlio di Priamo, e della suaamata Criseida, figlia dell’indovino Calcante, che finisce per tradire Troilo con Diomede: una sto-ria che a Chaucer arriva dal Filostrato di Boccaccio e che da Chaucer proseguirà verso Shakespearee Dryden. Il narratore inglese diventa così la sliding door di temi in entrata e in uscita su cui si misu-ra la circolazione narrativa nei vari universi letterari del medioevo: di forme (il romanzo), di perso-naggi, di personificazioni (la Fama), di motivi (crepuscolo e notturno), di luoghi (la foresta, lacaverna, il castello, il labirinto). Questa forma di comparazione dei testi propone un metodo che Boitani ha sempre seguito, ma chea nostro parere diventa sempre più familiare via via che avanza la nostra abitudine alle tecnologieinformatiche: la critica come navigazione continua, il surfing fra testi che rimandano ad altri testi,già descritto da Petrarca in una lettera («il meccanismo di risalire da un autore e da un titolo all’al-tro»), che ancora meglio si rispecchia nell’immagine del Laborintus come lo definisce Eberardo ilTedesco, più tardi ispiratore del primo Sanguineti: «edificio tortuoso […] dove sempre risuonanovoci», e dove in ogni voce ne sentiamo risuonare altre, ed altre ancora. Un metodo che è statoapprezzato e qualche volta discusso, e che tuttavia non può non colpire in quanto materializzazionecritica avanzata della concezione ipertestuale, un metodo che assomiglia moltissimo al viaggio diDante. I capitoli più compatti, anche se meno legati al metodo di Curtius, sono dedicati infatti alletre corone trecentesche, e il più appassionato è ancora una volta quello su Dante, che Boitani vedecome testimone di una medievalità rivolta all’indietro (a Virgilio, alla coscienza della propria bloo-miana angoscia delle influenze) e come generatore di riscritture feconde: in particolare di due ples-si mitici cui Boitani ha già dedicato volumi importanti: Ulisse e la Bibbia. L’arrampicata più auda-ce viene tentata invece sulla parete di un insospettabile Melville, il cui rapporto con Dante viene cer-cato fin nelle pieghe dei suoi appunti sull’edizione americana della Commedia. Le pagine dove ilpercorso diacronico prende una temperatura più alta sono però quelle dedicate alla presenza medie-vale, e dantesca in specie, nei grandi poeti modernisti Eliot e il suo maestro Pound e quelle, forsepiù nuove, dove prendono forma alcune delle figure che più a fondo hanno girato la chiave dei testimedievali: Auerbach, il primo a comprendere gli effetti stilistici della rivoluzione cristiana e ad ana-lizzare il rapporto fra società e scrittura nel medioevo, e Clive Staples Lewis, che ha raccontato losviluppo delle più grandi invenzioni medievali: l’amore cortese, poi recuperato e imposto dalRomanticismo e dal cinema come condizione naturale del sentimento, e l’interpretazione allegori-ca del mondo, moltiplicatore di sensi che solo la semiologia moderna ha saputo valorizzare. Sullascia di Boitani, altri potranno continuare la galleria con Zumthor, Dragonetti, Jauss, Avalle, Segre:alimentando così il paradosso di una mondo letterario che ha generato i paradigmi critici più avan-zati del secolo, ma i cui testi non parlano più se non attraverso le loro voci aliene, i loro replicantimoderni.

    Piero Boitani, Letteratura europea e medioevo volgare, Bologna, il Mulino 2007, pp. 537.

    Alias inserto de Il Manifesto, 12 gennaio 2008, p. 22.

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  • II. PAROLE “FUORI CASA”: MISTICA E LINGUA DEL DIALOGO

    Il critico Carlo Ossola: “I mistici italiani? Vanno inseriti nella letteratura”

    di Bianca Garavelli

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    Mistici italiani dell’età moderna, a cura di G. Jori, Introduzione di C. Ossola, Torino, Einaudi,2007.

    Avvenire, 4 Ottobre 2007, p. 5.

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    Parole che creano il silenzio

    di Carlo Ossola

    Mistici italiani dell’età moderna, a cura di G. Jori, Introduzione di C. Ossola, Torino, Einaudi,2007.Il Sole 24 ore, domenica 15 Ottobre 2007, p. 41.

  • Tra le braccia di Dio: estasi, visioni, agonie delle grandi mistiche

    di Giorgio Montefoschi

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  • Mistici italiani dell’età moderna, a cura di G. Jori, Introduzione di C. Ossola, Torino, Einaudi,2007.Corriere della Sera, 27.11.2007, p. 48.

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  • Lo spirito in gabbia

    di Marco Vannini

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  • Mistici italiani dell’età moderna, a cura di G. Jori, Introduzione di C. Ossola, Torino, Einaudi,2007.

    Alias, inserto de Il Manifesto, sabato 8 dicembre 2007.

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  • Addio, angelo mio

    di Carlo Ossola

    Jacques-Bénigne Bossuet, Discorso sugli angeli custodi, a cura di Carlo Ossola, traduzione diNicola Muschitiello, Bologna, Pendragon, pp. 104.

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  • Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre,

    trad. di Livia Tonelli, Milano, Il Saggiatore, 2007.

    Pp. 382, [‘La cultura’, 600].

    (Gaetano Berruto)

    Esce in pregevole e bella veste editoriale presso Il Saggiatore la versione italiana di un classico dellaromanistica tedesca, pubblicato più di ottant’anni or sono, citatissimo ma sinora non tradotto. È notoche nella prima metà del secolo scorso si devono a maestri della romanistica di lingua e formazio-ne tedesca alcune delle pietre miliari fondamentali della linguistica italiana, dall’AIS allaGrammatica storica del Rohlfs: fra esse vanno indubbiamente annoverate almeno due opere delgrande studioso di stilistica viennese Leo Spitzer, l’Italienische Kriegsgefangenenbriefe del 1921(tradotto, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, nel 1976 presso Boringhieri), e appun-to l’Italienische Umgangssprache, del 1922, che ora ci viene presentata in un’accurata e meditatatraduzione di L. Tonelli, con una presentazione di C. Segre e un saggio introduttivo (“La pragmati-ca a venire”) di C. Caffi, nonché una documentata Nota della traduttrice. Due opere, le monografiedi Spitzer, entrambe ancora del tutto attuali, che precorrono con sorprendente acume di analisi duetemi che diverranno solo dopo molti decenni un importante oggetto d’attenzione specifica nell’am-bito delle ricerche su quello che oggi chiameremmo il substandard, messo a fuoco dallo sviluppodella sociolinguistica nell’ultimo trentennio del secolo; anticipando l’una (Kriegsgefangenenbriefe)di un buon cinquantennio i lavori sull’italiano popolare, e l’altra (appunto questa Umgangssprache)di quasi un sessantennio gli studi pragmatico-testuali sull’italiano parlato.Si tratta dunque di un avvenimento che va salutato con un’attenzione particolare. La presentazionein veste italiana di un’opera pionieristica di così grande valore storico ha anche il sapore di feliceamarcord di quello che fu chiamato dal compianto Luigi Rosiello “il periodo delle traduzioni”: ildecennio, grosso modo, 1965-1975, che vide un improvviso e fecondo fiorire di traduzioni italianedi grandi (e meno grandi) opere europee ed americane (Rosiello contava fra il 1965 e il 1975 l’u-scita di non meno di 120 traduzioni di linguisti, semiologi, filosofi del linguaggio, psicolinguisti delXX° secolo, da Saussure a Bloomfied, da Sapir a Martinet, da Hockett a Hjelmslev a Jakobson aJespersen a Coseriu a Chomsky) e tanto contribuì alla formazione spesso autodidattica della gene-razione di linguisti italiani rappresentata anche da chi scrive queste note.Questa specifica traduzione non dev’esser certo stata impresa di poco conto: è noto il “tessutotestuale intricatissimo”, come ben sottolinea C. Caffi (p. 33), del periodare di Spitzer, a volte imma-ginifico e sempre vivace e ricco di chiaroscuri, e la traduttrice avrà certamente avuto il suo filo datorcere. Un primo scoglio per la traduzione era rappresentato dal titolo stesso dell’opera.Umgangssprache è uno di quei tipici termini tedeschi quasi intraducibili, o difficilmente traducibi-li con esattezza: comunque lo si rigiri, in ogni potenziale corrispondente italiano si perde (o siaggiunge) qualcosa rispetto al valore dell’espressione originale. Nel caso, c’era un precedente: latraduzione italiana della Lateinische Umgangssprache di J. B. Hoffmann (1951), curata da L.Ricottilli nel 1980 per Pátron col titolo La lingua d’uso latina. Qui si è invece optato (v. le argo-mentazioni di L. Tonelli a pp. 45-46) per una soluzione che viene a privilegiare il carattere conver-sazionale, dialogico, del concetto. Soluzione senz’altro buona, è un bel titolo, che ha il vantaggio diriprendere un termine cardine oggi ben presente nei titoli di libri di linguistica pragmatica e analisiconversazionale (cito per tutti Sul dialogo, a cura di C. Bazzanella, Guerini, Milano 2002). Unascelta in direzione della pragmatica, che costituisce ante litteram l’impianto della monografia diSpitzer.Certamente, si sarebbero potute prendere in considerazione, se non Lingua italiana dell’uso per sim-metria con la scelta di L. Ricottilli, anche altre soluzioni, in direzione più sociolinguistica e varieti-stica, come, per dire, Italiano della conversazione, o Italiano parlato conversazionale, o semplice-mente L’italiano parlato, o Lingua italiana parlata, eccetera. Nessuna tuttavia mi pare decisamen-

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  • te migliore della soluzione adottata nel presente volume. Il fatto è che, come accennavamo sopra, ilconcetto stesso di Umgangssprache è di difficile delimitazione: si veda per es. la discussione in N.Dittmar, Grundlagen der Soziolinguistik, Tübingen, Niemeyer, 1997, alle pp. 195-198, e IngulfRadtke, Die Umgangssprache. Ein weiterhin ungeklärtes Problem der Sprachwissenschaft, in«Muttersprache», 83 (1973), o G. Holtus, E. Radtke, Der Begriff ‘Umgangssprache’ in der Romaniaund sein Stellenwert für die Iberoromanistik nella miscellanea per Heinz Kröll, Umgangssprache inder Iberoromania, Tübingen 1984, curata dagli stessi. La nozione viene comunque grosso modo aconfigurarsi come la lingua correntemente parlata, varietà diafasicamente intermedia fra lo standardscritto e la varietà dialettale locale. A tale accezione si attiene peraltro la stessa Tonelli in almeno unpunto del testo dove ritorna il termine Umgangssprache. A p. VII dell’edizione originale (Schroeder,Bonn und Leipzig 1922) Spitzer, specificando la sua posizione rispetto a Unsere Umgangsprache(sic) di H. Wunderlich (1894), scrive: “das I. Kapitel Wunderlichs enthält eine Umgrenzung desBegriffs Umgangssprache, die ich nicht wiederholen will. Für mich ist Umgangssprache einfachmündliche Rede des ‘korrekt’ (normal, durchschnittlich) sprechenden Italieners” [all’incirca: “ilprimo capitolo di Wunderlich contiene una delimitazione del concetto di Umgangssprache, che ionon voglio ripetere. Per me Umgangssprache è semplicemente discorso orale di un italiano che parlain modo ‘corretto’ (normale, medio)”]. A p. 55 di Lingua italiana del dialogo il passo è così tradot-to: “il primo capitolo del volume di Wunderlich affronta la definizione del concetto di ‘parlato’, chenon intendo qui riprendere. Con ‘parlato’ intendo il discorso orale di un (generico, comune) parlan-te nativo che si esprime in un italiano ‘corretto’”: qui dunque Umgangssprache è tradotto due voltecon “parlato”. Il discorso fila benissimo, e il pensiero dell’autore non è certamente travisato, anzi ilconcetto inteso è spiegato nel migliore dei modi; tuttavia il lettore perde la corrispondenza con iltitolo dell’opera.La modernità della trattazione di Spitzer è giustamente messa in evidenza sia da Cesare Segre cheda Claudia Caffi, che nel suo saggio introduttivo sottolinea anche come uno dei Leitmotive del lavo-ro sia l’analisi dei meccanismi della ‘cortesia’ (politeness), uno dei cavalli di battaglia dell’odiernapragmatica linguistica; e in effetti alla rilettura si rimane quasi sconcertati nel constatare come coseche penseremmo di trovare con compiuta esplicitezza solo in lavori degli ultimi vent’anni sianostate viste con assoluta precisione e lucidità già nei primi decenni del secolo scorso, in una visualegià quasi ‘costruzionistica’ dell’instaurarsi e del procedere dell’interazione verbale, della ‘negozia-zione’ cooperativa del significato su uno sfondo che può anche essere potenzialmente conflittuale(“una lotta” è l’immagine che ritorna più volte nel testo), dell’alterna dialettica fra cordialità erispetto. Per non dire delle pagine sull’‘economia’ e la ‘ridondanza’ nel parlato, in un quadro argo-mentativo che vede sempre come protagonista assoluto il parlante e il suo agire attraverso le formelinguistiche. Ed è anche sorprendente scoprire come non faccia per nulla perdere di attualità all’o-pera il fatto che una parte (ma non così ampia come si sarebbe indotti a pensare) del materiale lin-guistico esemplificativo risulti inevitabilmente datata. Il contenuto del gioiello spitzeriano, basato su fonti – alcune dialettali - per lo più teatrali (“parlatoscritto” e “parlato recitato”, per dirla con Nencioni), è noto, e lo rammentiamo qui di corsa: dei quat-tro capitoli che lo costituiscono, il primo è dedicato alle “Forme di apertura del discorso”, il secon-do a “Parlante e ascoltatore”, il terzo a “Parlante e situazione”, e l’ultimo a “Forme di chiusura deldiscorso”. Siamo molto grati a Cesare Segre, Claudia Caffi e Livia Tonelli di questo bel lavoro d’é-quipe dedicato alla memoria di Maria-Elisabeth Conte, reso formalmente inappuntabile da unapaziente revisione (con controllo sulle fonti) di Silvia Albesano, e ulteriormente arricchito da unIndice analitico e un Indice delle parole.

    RID, Rivista italiana di dialettologia 30, (2006 [ma: 2007]), pp. 258-260.

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  • Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre,

    trad. di Livia Tonelli, Milano, Il Saggiatore, 2007.

    Pp. 382, [‘La cultura’, 600].

    (Bice Mortara Garavelli)

    “La storia della lingua è storia di quella ‘terra sterminata’ che è l’anima umana”: così Leo Spitzerconcludeva, nel 1922, la Postfazione alla sua Italienische Umgangssprache già terminata nel 1914mentre “l’Europa tutta era scossa dal fragore della guerra”. Di ardua lettura nella lingua originariaquest’opera più famosa che conosciuta è diventata finalmente accessibile qui da noi, in virtù del-l’eccellente traduzione italiana, anche a chi non ha dimestichezza con le affascinanti tortuosità sti-listiche del viennese Spitzer, linguista e filologo principe. A Maria-Elisabeth Conte, che dieci annifa aveva proposto di tradurre questo grande libro ritenendolo antesignano degli studi di “pragmati-ca dell’interagire dialogico”, Cesare Segre dedica la Presentazione del volume e Claudia Caffi ilsaggio introduttivo La pragmatica a venire. I preliminari dell’edizione, che comprendono anche laricca Nota alla traduzione di Livia Tonelli, sono un corredo necessario alla comprensione del testo.Che è un unicum per l’originalità e la tenuta anticipatrice delle idee su cui Spitzer fonda le sue ana-lisi. Opportunamente il termine Umgangssprache è stato tradotto non con la consueta espressionedizionaristica “lingua d’uso”, ma con “lingua del dialogo”, che interpreta fedelmente le intenzionidichiarate dall’autore: spiegare i fenomeni dell’italiano parlato “sulla base degli elementi costituti-vi del dialogo tra due o più interlocutori”. Una prospettiva pragmatica ante litteram nello studio deifatti di lingua, che precorre di cinquant’anni il dialogismo di Bachtin e le teorie degli atti linguisti-ci di Austin e di Searle; e di un’ottantina d’anni le analisi conversazionali.Al sorprendente anticipo sui tempi che mise in ombra la novità delle analisi spitzeriane si aggiungeuna circostanza sottolineata da Segre: il successo che ebbe alla metà del secolo scorso la stilisticaletteraria di Spitzer spostò sul versante degli studi dedicati alla lingua degli scrittori l’apprezzamen-to del magistero inimitabile di questo grandissimo fra i cultori di lingua e di stile. Nella cui opera“così multiforme e irresistibilmente esoterica”, come aveva visto bene Benvenuto Terracini, perdu-rava il “fondo della sua prima iniziazione di schietto e sensibilissimo linguista”. Le tappe di tale ini-ziazione sono scandite da Segre, a cominciare dai rilievi sintattici su particolarità d’uso di diverselingue romanze, apposti alla celebre tesi (del 1910) sulle innovazioni linguistiche di Rabelais: stu-dio sullo stile di un autore, dunque. Ma quando le note – osserva Segre – “hanno carattere stilisti-co, si tratta sempre dello stile della lingua, antica o contemporanea, mai degli autori”. Così è ancheper altri lavori compiuti nello stesso torno di tempo. Fra questi il volume Lettere di prigionieri diguerra italiani, del 1921 (tradotto nella nostra lingua nel 1976), e quello (del 1920) sui giri di paro-le usati per esprimere la nozione di “fame” in italiano.Stile della lingua contrapposto allo stile degli autori: prospettive differenti e speculari, sintetizzatenella diade Sprachstile / Stilsprache, i cui membri compaiono come sottotitolo rispettivamente delprimo e del secondo volume delle Stilstudien. Segre chiarisce autorevolmente i due fondamentalirisvolti dell’operosità spitzeriana, e fa giustizia della diffusa presunzione di contrapporre Spitzer ini-ziatore della stilistica letteraria a Bally iniziatore della stilistica della lingua: la base documentariasi trova nelle prime pagine della Prefazione a Lingua italiana del dialogo, dove l’autore dichiara diavere ripreso metodicamente da Bally sia “l’uso del concetto di sinonimia non in senso strettamen-te grammaticale, ma psicologico”, sia “l’inclusione dei valori stilistici, la separazione degli elemen-ti affettivi da quelli intellettuali, la considerazione di tutti quei fattori imprevedibili che questo sot-tile osservatore della lingua come ‘essa è realmente’ ci ha insegnato a vedere”. Non saranno dunquele classificazioni di una grammatica logicizzante a scoprire come pulsa il cuore del discorso; biso-gnerà invece penetrare dentro i meccanismi psicologici in atto nello scontro agonistico in cui con-siste il rapporto dialogico tra parlante e interlocutore nell’avvicendarsi di adesione e di contrastoreciproci. I campioni di lingua rappresentativi del parlato colloquiale sottoposti alla polverizzazio-

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  • ne di analisi finissime sono tratti da opere di modesta caratura letteraria, italiane e dialettali: testiteatrali, dialoghi estrapolati da composizioni in prosa e in versi, esempi registrati in dizionari. Pocoimporta se vi troviamo espressioni ora desuete: possiamo sostituirle, come avverte Segre, con modidi dire equivalenti nel parlare odierno senza che il valore delle scoperte di Spitzer ne sia intaccato.“Ciò che Spitzer chiama psicologico può essere riletto come pragmatico” afferma Claudia Caffi. Lastudiosa espone in modo ineccepibile le ragioni che inducono a leggere Lingua italiana del dialogo“come trattazione pragmatica dell’italiano parlato, o meglio, dell’italiano dialogico”. Innanzi tutto,l’impianto: “il testo è organizzato sull’articolazione fondamentale della situazione comunicativa:parlante, ascoltatore; e sull’articolazione fondamentale del turno di parola: apertura e chiusura”. Ilturno di parola è l’unità di base; l’oggetto di indagine “non è, genericamente, la situazione comuni-cativa, ma la situazione comunicativa nelle sue dimensioni soggettive e interpersonali”, nel suomutare incessante al proferimento di ogni enunciato. Caffi individua persuasivamente i “centri diirradiamento” intorno a cui è aggregata la materia all’interno dei quattro capitoli (Forme di apertu-ra del discorso; Parlante e ascoltatore; Parlante e situazione; Forme di chiusura del discorso) eguida il lettore in quel “bosco” rigoglioso il cui humus è “l’intrinseca dialogicità della lingua”. Chiha pratica delle odierne analisi conversazionali non finirà di sorprendersi per l’attualità delle cate-gorie interpretative che reggono le anatomie spitzeriane dei dialoghi; in primo luogo, quel concettopolivalente – oggetto privilegiato di numerose analisi pragmatiche dagli anni ottanta in poi – che èla cortesia. “Correlata com’è alla necessità primaria di farsi capire, – afferma Caffi – sta alla radi-ce stessa dei comportamenti verbali” e delle strategie messe in atto da ciascun parlante. Fra le piùcomuni, “sfumare le scelte discorsive, velarle tra dire e non dire, modularle per sondare una reazio-ne, mitigarle per farle meglio accettare”. La capacità ineguagliata di descrivere i congegni dell’agire con le parole porta Spitzer a spaziare fragrammatica e retorica nella ricchezza inesausta delle prospettive da cui sminuzza i fenomeni lingui-stici. Il lettore è colpito, e talvolta perfino spiazzato, dal lussureggiante metaforismo del discorso.Qualche esempio fra i molti: gli “squilli di tromba” delle forme di apertura; le “pistole puntate alpetto dell’ascoltatore”, cioè le allocuzioni; le interiezioni, “musica assoluta, come canti senza paro-le”; il diminutivo, “uno specchio convesso che rimpicciolisce tutte le dimensioni”; i mezzi lingui-stici che “funzionano un po’ come dei fermagli, che vorrebbero arrestare la fuga del vento” (fra que-sti, sai; ci stai?; scusi sa, dove l’autore, come in altri casi, rileva il valore della mancanza di pun-teggiatura, mi spiego? definito come “locuzione tipicamente italiana” più cortese di capisci?); i pas-saggi che “trasmettono un’impressione di afa temporalesca”. Non mancano generalizzazioni quan-to meno problematiche sul carattere degli italiani, compensate infine dalla dichiarazione di univer-salità che Spitzer stesso attribuisce alla sua descrizione dell’attività di parola esemplificata sullanostra lingua: “quell’antinomia tra passione e calcolo che si riscontra nel discorso ed è considerataautenticamente italiana si dissolve in una caratteristica propriamente umana”.

    Indice dei libri del mese, Ottobre 2007, p. 45.

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  • “Tutti i mezzi per sedurre”

    di Giorgio De Rienzo

    Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre, trad. di LiviaTonelli, Milano, Il Saggiatore, 2007.

    Corriere della Sera, 19 marzo 2007, p. 37.

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  • “Riscoprire la ricerca innovativa di Leo Spitzer”

    di Carla Marello

    Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre, trad. di LiviaTonelli, Milano, Il Saggiatore, 2007.

    Corriere del Ticino,10 dicembre 2007, p. 37

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    “Dialogando con Spitzer”di

    Carlo Ossola

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    Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre, trad. di LiviaTonelli, Milano, Il Saggiatore, 2007.

    Il Sole 24 ore, 20 maggio 2007, p. 32.

  • Colloqui, convegni, cicli di conferenze

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    Colloquio ISI

    “Far vedere”: argomentazione, ostensione, contemplazione

    Sabato 26 gennaio 2008Università della Svizzera italiana

    Lugano, Via Buffi 13Aula 354

    Ore 10,00Relazione introduttiva:Eddo Rigotti, Arguire: fra ostensione e argomentazione

    Ore 11,00Mira Mocan, Edificare la Sapienza. Esegesi e contemplazione nella Scuola di San VittoreMarco Maggi, “Vedere alla voce…” : un vocabolario secentesco

    Ore 12,45: Termine della sessione del mattino

    Ore 14,00Stefano Tomassini, “Per miracolo ottavo”: la danza nel tempio della letteratura italianaGiacomo Jori, Parola, immagine, vita nella poesia di PasoliniAndrea Celli, “Quando la vita ritorna, cessa la contemplazione”. Il sentimento della forma nellascrittura di Renato Serra

    Ore 16,45: Conclusione dei lavori

  • Collège de FranceAmphithéâtre Maurice Halbwachs

    Mardi 10 juin 20089 heures – 18 heures

    Création, Renaissance, ordre du monde

    Colloque organisé par la Chaire de Littératures Modernes de l’Europe néolatineen collaboration avec l’Institut d’Etudes Italiennes (ISI) de l’Université de la Suisse Italienne

    avec les participations suivantes :

    - M. Carlo OSSOLA, Collège de France :Introduction : origines et retours

    - M. Stefano PRANDI, Université de Berne (Suisse) : «Deus artifex» : formes et histoire d’une métaphore

    - M. Agostino PARAVICINI BAGLIANI, Université de Lausanne (Suisse) : La papauté, la création et l’ordre de la nature (XIIe-XIVe s.)

    - M. Piero BOITANI, Université de Rome La Sapienza (Italie) : De Monreale à Michelangelo : le Moteur mobile

    - M. Corrado BOLOGNA, Université de Rome III (Italie) : Le geste « philosophique » de l’artiste et la création de l’ordre du monde

    - M. Victor STOICHITA, Université de Fribourg (Suisse) :« Touche », « Coup de pinceau » et création picturale chez le Titien

    - Mme Benedetta PAPASOGLI, Université LUMSSA de Rome (Italie) : « Création » et « créature » chez Fénelon

    - M. Michel JEANNERET, Université Johns Hopkins de Baltimore (U.S.A.) :Versailles, Chaosmos

    - M. Jürgen MAEHDER, Freie Universität de Berlin (Allemagne) :Olivier Messiaen au seuil de la musique sérielle : ordre numérique et création

    11, place Marcelin-Berthelot, 75005.Pariscontact : [email protected] ; www.college-de-france.fr

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    Riconoscimenti e attività dei docenti dell’ISI

    Agostino PARAVICINI BAGLIANI

    15 marzo 2008: Presidente della SISMEL (Società internazionale per lo studio del Medioevo lati-no. Firenze, Certosa del Galluzzo).25 aprile 2008: Membre associé etranger dell’Académie des Inscriptions et Belles-Letteres, Paris.

    Victor STOICHITA15 Maggio- 6 Giugno 2008: Des Larmes et des saints.Ciclo di lezioni tenute al Collège de France, Parigi.

    Stefano TOMASSINI

    Marzo-giugno 2008: Regista e drammatugo presso il Laboratorio di Formazione CoreograficaCoreographic Collision (Venezia, Biennale Danza).

  • SEZIONE SECONDA

    AGENDA

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  • Università della Svizzera italiana

    I mercoledì dell’ISI 2008-2009

    Corpi e corpuscoli

    Ciclo di conferenze pubbliche organizzate dall’Istituto di studi italiani nell’anno accademico 2008-2009

    CONFERENZE IN PROGRAMMA

    Antonella ANEDDA: La vita dei dettagli. Fessure.

    Lina BOLZONI: Le passioni delle gocce d’acqua: la descrizione della vita delle piccole cose fraBruno e Campanella.

    Andrea CELLI: Incarnazioni e metamorfosi. Il canto di Pier delle Vigne tra Hegel e De Sanctis.

    Francisco JARAUTA: Frammenti di un’identità frantumata: il ritratto nel Novecento.

    Giacomo JORI: Il dono delle lacrime tra mistica e ascetica.

    Jürgen MAHEDER: La visualizzazione degli eventi musicali nella musica contemporanea [titoloda confermare].

    Marco MAGGI: Il lume di una candela.

    Daniela MONDINI: Di un angolo ingiallito.

    Gerhard WOLF: Dal pigmento al gigante [titolo da confermare].

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  • INDICE DEI VOLUMI RECENSITI

    P. BOITANI, Prima lezione sulla letteratura, Laterza, Roma-Bari, 2007. 3

    ID., Sulle orme di Ulisse, nuova edizione, Bologna, il Mulino, 2007. 5

    ID., Letteratura europea e Medioevo volgare, Bologna, il Mulino, 2007. 7

    Mistici italiani dell’età moderna, a cura di G. Jori, Introduzione di C. Ossola, Torino, Einaudi, 2007. 12

    J.-B. BOSSUET, Discorso sugli angeli custodi, a cura di C. Ossola,Bologna, Pendragon, 2008. 19

    L. SPITZER, Lingua italiana del dialogo, a cura di C. Caffi e C. Segre,Milano, Il Saggiatore, 2007. 20

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  • INDICE GENERALE DEL FASCICOLO

    SEZIONE PRIMA: ACTA

    Recensioni di opere di docenti dell’ISI apparse sulla stampa quotidiana 3

    “Topoi” / “Loci” / “Luoghi”: ritorni e diaspore 3

    Parole “fuori casa”: mistica e lingua del dialogo 12

    Colloqui, convegni, cicli di conferenze 28

    SEZIONE SECONDA: AGENDA

    I «Mercoledì dell’ISI» 2008-2009: Conferenze in programma 34

    Indice dei volumi recensiti 35

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