Acinotizie 3 4 2013

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REG. TRIB. DI BRESCIA N. 40/1984 DEL 22.12.1984 SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2 DCB BRESCIA 3.4|13 Laici con stile

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ACInotizie 3-4 2013

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Reg. TRib. di bRescian. 40/1984 del 22.12.1984

sped. in a.p. - d.l. 353/2003(conv. l. 27/02/2004 n. 46)

aRT. 1, comma 2 dcb bRescia

3.4|13

Laicicon stile

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BIMESTRALE DELL'AZIONECATTOLICA DI BRESCIA

ANNO XXVIITRE.quATTRO MAggIO/AgOSTO DuEMILATREDICI

diReTToRe Responsabile:

graziano Biondi

Redazione:

Michele Bonometti, Michele Busi,Nicola Confortini, Anna Maria gavazzi, Miriam Martini,

Massimo Orizio, Massimo Pesenti,Andrea Re, giuseppe Tavana, Annachiara Valle,

Luciano Zanardini

diRezione e Redazione:

Via Tosio 1 - 25121 Bresciatel. 030.40102 - fax 030.40102

[email protected]

foTo:

Alessandro Chiarini,Luisa Colosio

giorgio Baioni, Pierangelo Traversi

ediTRice:

Azione Cattolica ItalianaConsiglio diocesano di Brescia

pRogeTTo gRafico:

Maurizio Castrezzati

Realizzazione:

Cidiemme - Brescia

sTampa:

Tipografia Camuna S.p.A.

Il presente fascicolo di "ACI Notizie"è stato stampato grazie ancheal contributo della Fondazione

Banca San Paolo di Bresciail

tem

a

editoriale

“venitee vedrete”

www.acbrescia.it

gli indirizzi dell’associazione

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Ci capita spesso di osservare nelle relazioni, nella società,nella politica, talvolta anche nella religione, come l’uomodi oggi sia portato a costruire esperienze di vita isolate,virtuali e autoreferenziali: in un contesto che si fa difficiledal punto di vista economico e di fronte al crollo di molti punti di riferimento, cresce la tentazione di costruire identità virtuali e mondi su misura, sempre connessi ma forse spesso similia reti che galleggiano in superficie, incapaci di scenderenel profondo della persona.Che senso ha dunque, in questo contesto, apparteneread un’associazione come l’Azione Cattolica? Che sensoha assumere una responsabilità dentro l’associazione?L’Azione Cattolica è innanzitutto esercizio di formazione della propria identità. Anche senza saper spiegare a parole “che cos’è l’AC”, chi la vive da dentro sente il calore dell’associazione, la cura di chi responsabilmente ci cammina a fianco e modula il proprio passo su quello, veloce o lento,di altri compagni di viaggio di tutte le età.È anche lì, dentro relazioni autentiche che permettono di scegliere e crescere dentro un confronto libero, che si costruisce la propria identità umana e per questo pienamente cristiana. In AC incontro, condivido la vita, sperimento una fede che cerca di essere autenticamente evangelica,oltre i riti, oltre le formalità.È così che divengo laico adulto, nella vita e nella fede.L’AC è anche esperienza di democrazia. Essere un’associazione che sceglie i propri rappresentanti attraverso un’elezione democratica, che pone un limite temporale al mandato dei propri responsabili e che traccia le linee del proprio cammino di triennio in triennio attraverso il confronto assembleare definisce nettamente uno stile che osa ancora rivolgere lo sguardo a valori alti, di autentica democrazia. È uno stile non scontato e non banale, che appare tanto più significativo di fronte ai limiti del leaderismo che abbiamo troppo spesso toccato con mano nella società e talvolta anche nella Chiesa degli ultimi anni. È uno stile che rende l’appartenenzaall’associazione un’esperienza autenticamente popolare,nella quale tutti sono chiamati a far propria la responsabilità,a formarsi per assumerla, a portarla nella logica del servizio.Appartenere all’associazione, allora, è per noi oggi un modo attuale per vivere pienamente, da cittadini e da cristiani,il nostro essere laici nel pezzo di storia che ci viene affidato.A chi ci chiede di descrivere cos’è l’associazione, potremmo offrire la risposta che Gesù diede ad Andrea nel Vangelodi Giovanni: “Venite e vedrete”.andrea Re

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’AC ha una lunga storia di fedeltàe di servizio alla Chiesa.Il 9 settembre papa Francesco ha ricevutoin udienza il presidente nazionale dell’AC,Franco Miano.Molti i temi toccati nel corsodel paterno incontro,a cominciare dalla vocazione educativache caratterizza la più grande associazionedi laici cattolici in Italia,da sempre impegnata nel quotidiano servizionelle parrocchie e nelle diocesiper la crescita delle nostre comunità.Una dedizione ai fratelliche l’Azione Cattolica Italianacondivide con altre ACnel mondo, a servizio di chi soffre,di chi cerca speranza e solidarietà.A tal proposito il Santo Padreindicando i tanti santi e beatiche costellano la sua grande storia,ha voluto incoraggiare l’Azione Cattolicaad essere sempre più missionaria.Un’associazione di ragazzi,giovani e adulti che dialoga e incontra tutti,con gioia e senza paura,poiché “è preferibile –ha sottolineato il Santo Padre –una Chiesa incidentata che una Chiesa malata”.Al termine dell’udienza,il presidente Mianoha donato a papa Francescolo zainetto dell’Azione Cattolica dei Ragazzi.Lo zainetto,un tempo la bisaccia del pellegrino,per camminare nella storia della Chiesa.L’AC vuole esserci.L’AC vuole fare la sua parte in un mondoche cambia in continuazionee velocemente ma che ha bisognodi punti di riferimento.La scelta della missionarietà(accoglienza, ascolto, e preghiera)è la strada sulla quale continuare a insistere.

Francesco: vi esorto alla missionarietà

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il tema

’Azione Cattolica vive e lavora in questa diletta Nazione, nella qua-le la sua presenza si è rivelata valida fonte di formazione per tanti fedeli di ogni età e di ogni categoria, dai fanciulli agli adulti, dagli studenti ai lavoratori, dai maestri ai laureati; vi-vaio di vocazioni per la vita sacerdo-tale e religiosa; scuola di apostolato concreto e diretto nei vari luoghi di impegno e di lavoro. Quanti Vescovi e quanti sacerdoti provengono dal-le fila dell’Azione Cattolica! Quan-te vocazioni religiose sono sgorgate dal seno dell’Azione Cattolica! E quanti papà e mamme sono stati, e sono tuttora, veri educatori e for-matori della coscienza dei loro figli, grazie alla formazione ricevuta ne-gli incontri di ‘Associazione’, e grazie all’apostolato esercitato con amore e con entusiasmo nella propria par-rocchia e nella propria diocesi!In voi, dunque, io posso e devo so-prattutto confidare. Voi avete compreso ciò che dice l’ar-ticolo 2 del vostro Statuto per cui l’obiettivo dell’Azione Cattolica Ita-liana è ‘l’evangelizzazione, la santi-ficazione degli uomini, la formazio-ne cristiana delle loro coscienze in modo che riescano ad impregnare di spirito evangelico le comunità e i va-ri ambienti’; voi conoscete le diretti-ve date dalla Conferenza Episcopale Italiana in una lettera del 2 febbraio

Portate ovunquel’amiciziaIn queste pagine cerchiamo di raccontare cosa significa concretamente essere di Azione Cattolica. Partiamo da un discorso molto bello e ancora attuale fatto da giovanni Paolo II il 30 dicembre del 1978. In quell’occasione, davanti ai rappresentanti dell’AC, indicò le priorità dell’associazione.Priorità che ancora oggi non sono venute meno

1976, secondo la quale l’Azione Cat-tolica opera lungo tre direzioni: l’im-pegno formativo; il servizio pastorale effettivo entro le strutture ecclesiali e nelle situazioni di vita; e la pratica ricomposizione della sintesi tra fede e vita in ogni ambiente; infine voi a-vete ancora presenti le parole illumi-natrici del grande Papa Paolo VI, di venerata memoria, che il 25 aprile 1977, ai partecipanti all’Assemblea nazionale diceva: ‘L’Azione Cattoli-ca deve riscoprire la passione per l’annuncio del Vangelo, unica sal-vezza in un mondo altrimenti dispe-rato. Certo, l’Azione Cattolica ama il mondo, ma di un amore che trae ispirazione dall’esempio di Cristo. Il suo modo di servire il mondo e di promuovere i valori dell’uomo è pri-mariamente quello di evangelizzare, in logica coerenza con la convinzio-ne che nell’Evangelo è racchiusa la potenza più sconvolgente, capace di fare veramente nuove tutte le cose’. (…) Ogni gruppo ‘ecclesiale’ è un modo e un mezzo per vivere più in-tensamente il Battesimo e la Cresi-ma; ma l’Azione Cattolica deve farlo in modo tutto speciale, perché essa si pone quale aiuto diretto della ge-rarchia, partecipando alle sue ansie apostoliche. Perciò io, come Vicario di Cristo, stringendo idealmente la mano ai seicentocinquantamila i-scritti, dico a ciascuno: ‘Coraggio!

Sii forte e generoso! Io conto su di te! Fa’ onore a Cristo, alla Chiesa e al Papa!’.Che cosa, in questo eccezionale in-contro, posso dirvi che vi accompa-gni e vi sia di sostegno, in questi mo-menti non facili, nei quali la Provvi-denza ci ha posti a vivere? Molto si è già detto e molto si dirà ancora su questa seconda metà del secolo ventesimo, così turbinoso e inquieto, analizzando i vari fenome-ni economici, sociali, politici, che ne connotano la fisionomia. Ma forse la caratteristica che, tra le varie, sem-pre più si va rivelando come fonda-mentale, è il ‘pluralismo ideologico. Tale concetto indubbiamente meri-ta una profonda verifica per quanto riguarda il suo contenuto teoretico e le sue implicazioni pratiche. Se vogliamo che questo ‘pluralismo’, a livello pratico, non implichi unica-mente la radicale contrapposizione dei valori, il preoccupante sbanda-mento culturale, il “laicismo” u-nilaterale nelle strutture statali, la crisi delle istituzioni e anche una drammatica inquietudine delle co-scienze, di cui ogni giorno facciamo esperienza nei rapporti sia pubbli-ci che privati, allora è necessaria quella matura coscienza cristiana della Chiesa, alla quale, in modo previdente, si riferiva il Papa Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam.

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“che cosadeve fare l’azione cattolica?portare il sorriso dell’amiciziae della bontà a tuttie dovunque.l’errore e il male devono sempre essere condannatie combattuti;ma l’uomo che cadeo che sbaglia deve essere compreso e amato”

Proprio a questa rinnovata coscien-za della Chiesa, cioè ad una fede ap-profondita, matura, sensibile a tutti i ‘segni dei tempi’, ci ha preparato il Concilio Vaticano II. Perciò, grande e importante è il com-pito dell’Azione Cattolica nel nostro tempo, su ‘questa terra dolorosa, drammatica e magnifica’, come eb-be a qualificarla il mio predecessore Paolo VI nel suo Testamento.

prima di tutto abbiateil culto della veritàPer poter veramente impegnare il proprio tempo e le proprie capaci-tà per la salvezza e la santificazione delle anime, prima e principale mis-sione della Chiesa, bisogna possede-re innanzitutto certezza e chiarezza circa le verità che si devono credere e praticare. Se si è insicuri, incerti, confusi, contraddittori, non si può costruire. Particolarmente oggi bi-sogna possedere una fede illumina-ta e convinta, per poter essere illu-minanti e convincenti. Il fenomeno della ‘culturalizzazione’ di massa, e-sige una fede approfondita, chiara, sicura. Per questo motivo vi esorto a seguire con fedeltà l’insegnamen-to del Magistero. (…) Non lasciatevi intimidire, o distrarre, o confondere da dottrine parziali o erronee, che poi lasciano delusi e svuotano ogni fervore di vita cristiana.

in secondo luogo, abbiate l’ansia della santità

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Solo chi ha, può dare; e il militante dell’Azione Cattolica è tale proprio per dare, per amare, per illuminare, per salvare, per portare pace e gio-ia. L’Azione Cattolica deve puntare decisamente sulla santità. Ogni impegno, anche di tipo sociale e caritativo, non deve mai dimenti-care che l’essenziale nel Cristianesi-mo è la Redenzione, e cioè che Cri-sto sia conosciuto, amato, seguito. (…) Il mondo oggi ha bisogno di e-sempi, di edificazione, di prediche concrete e visibili. Questa deve es-sere la preoccupazione dell’Azione Cattolica! (…) Che cosa deve fare l’Azione

Cattolica? Portare il sorriso dell’a-micizia e della bontà a tutti e do-vunque. L’errore e il male devono sempre essere condannati e com-battuti; ma l’uomo che cade o che sbaglia deve essere compreso e a-mato. Le recriminazioni, le critiche amare e polemiche, i lamenti ser-vono a poco: noi dobbiamo amare il nostro tempo e aiutare l’uomo del nostro tempo. Un’ansia di amore deve sprigionarsi continuamente dal cuore dell’Azio-ne Cattolica che davanti alla culla di Betlemme medita l’immenso mi-stero di Dio fattosi uomo proprio per amore dell’uomo.

“grande e importante è il compito dell’azione cattolica nel nostro tempo, su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica”

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ra un sabato pomeriggio di febbraio. Il sole fuori riusciva ancora a scaldare, ma noi eravamo all’interno dell’oratorio intenti ad allestire i giochi e le attività che dopo poco meno di 20 ore avrebbero accolto tante maschere: la domenica del carnevale, infatti, è il rito che si sa-rebbe celebrato da lì a poco. Mi divertivo insieme a tanti altri giovani educatori e animatori a preparare i percorsi per i giochi e a colorare (per quel che so fare) i cartelloni di benvenuto. Nel primo pomeriggio, però, arrivò una telefonata, una telefonata capace di gelare il sangue e di spegnere improvvisamente l’entusiasmo. Carlo è morto.Chi piangeva, chi corse a casa, chi si consolava a vicenda. In quei tren-ta secondi era crollato il mondo. Carlo per morti era stata la spalla su cui appoggiarsi nei momenti difficili, era stato il compagno di giochi al campo, era stato l’amico con il quale dialogare di impegno nel so-ciale. Era troppo il dolore per continuare a fare quello che stavamo facendo. I piatti di plastica con le tempere versate giacevano sul pa-vimento, i cartelloni erano abbandonati e i percorsi a ostacoli erano solo abbozzati. Nessuno aveva il coraggio di proseguire, anzi qualcuno si chiedeva se non fosse giusto chiudere a lutto l’oratorio. Al diavolo il carnevale. Ricordo ancora quella riunione in mezzo al corridoio con il don che con gli occhi gonfi ci esortava ad andare avanti perché solo così avremmo testimoniato il nostro amore per Carlo. Non era facile, ma era l’unica strada da percorrere. Eravamo lì per servire. Carlo ci aveva insegnato che senza il sorriso non si può servire. Carlo ci aveva insegnato che senza la fede non si può comprendere appieno la gio-ia. Carlo ci aveva insegnato che senza la fede si fatica ad accettare la sofferenza. Carlo ci aveva insegnato che l’AC non è una realtà avul-sa dalla parrocchia ma è piuttosto una presenza viva. Le sue parole si erano fatte carne: al Campo, al gruppo Giovanissimi dell’AC, nelle serate al bar. Era un educatore autorevole, non autoritario. Era un educatore che sapeva mettersi in gioco con una grande autoironia. Proverbiali i suoi scherzetti, ma anche le sue riflessioni ferme e misu-rate. In quel pomeriggio di febbraio ho compreso che aveva un senso spendere la propria vita per gli altri. In quel pomeriggio di febbraio ho compreso che non si può essere un educatore a tempo parziale, ma che l’educatore – sull’esempio di Carlo – è sempre disponibile a tutte le ore a mettersi in ascolto e ad accompagnare la vita dei suoi ragazzi. In quel pomeriggio di febbraio ho compreso che davvero solo la fede (coltivata e non messa in un cassetto) l’aveva aiutato ad affrontare la malattia e a leggere in questa esperienza l’abbraccio di Dio. In quel pomeriggio di febbraio ho capito che valeva la pena mettersi in gioco.

una testimonianza sull’importanza di accompagnarela crescita dei ragazzi. quando un educatore si metteveramente in gioco riesce a far vivere Cristo comemodello al quale guardare per vivere la quotidianità

Piera, cosa significa essere pre-sidente di AC?Le priorità di questo triennio sono a-vere a cuore l’associazione, curare le relazioni, promuovere la correspon-sabilità e assicurarsi che gli educato-ri vivano bene il servizio che stanno svolgendo in Associazione.Come hai conosciuto l’AC?Grazie a un invito di un educatore a partecipare a un incontro del gruppo giovanissimi ho potuto incomincia-re a seguire da vicino la realtà. Pia-no piano, grazie alle persone che ho incontrato, ho avuto l’opportunità di conoscere e capire cosa significa far parte di un’associazione e nello spe-cifico dell’Azione Cattolica.Cosa hai imparato da questa e-sperienza?Ho toccato con mano quanto sia bello stare in un’associazione com-posta da bambini, giovani e adulti e vedere davvero come ogni settore porti all’Associazione un contributo diverso e unico. Me ne rendo conto soprattutto ora che la partecipazio-ne degli associati viene meno per la

quel pomeriggio di febbraio

eL’Associazione a Borgosatollo in cifre

acR: 12 tesserati giovani: 15 tesserati adulti: 19 tesserati

all’ac mi sento come a casa

MARIA, 45 ANNIall’ac mi diverto

FILIPPO, 9 ANNI06

il tema

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Le priorità?Curare le relazioniL’AC di Borgosatollo è da sempre fucina di educatori, basti pensare all’indimenticata figura del compianto Carlo Salvalai. Anche per questo motivo abbiamo intervistato la giovane presidente parrocchiale Piera

di luciano zanardini

Il nuovo cammino di iniziazione cristiana può favorire lo speci-fico dell’AC?Penso che il cammino ACR abbia tutte le caratteristiche per essere un cammino di iniziazione cristia-na. Purtroppo la nostra associazio-ne parrocchiale non si trova nella situazione di poter garantire con continuità questo cammino, per-ché richiede energie che ora non abbiamo.Qual è il settore nel quale fate più fatica?Il settore che più mi preoccupa, per-ché vorrei si potesse far di più, è il Settore Giovani. Da anni vorremmo far ripartire il gruppo giovani ma la difficoltà ad avere figure educative disponibili non l’ha ancora permes-so. Non potendo far partire un cam-mino vero e proprio per i nostri gio-vani, alcuni adulti hanno comunque preparato qualche incontro formati-vo, proposto saltuariamente. Un bel segno di un’Associazione che ha a cuore i giovani e cerca comunque di attivarsi in questa direzione.

si e riflettere insieme? Perché non prepararci insieme a questo servi-zio? Potrebbe sembrare scontato, in realtà non lo è. Da questa collabora-zione noi abbiamo sicuramente avu-to la possibilità di confrontarci con altri educatori ed è stato arricchente soprattutto in un momento in cui il gruppo ACG era gestito da una so-la educatrice; abbiamo permesso ai ragazzi di vivere esperienze che da soli non avremmo potuto proporre. Come Associazione abbiamo il com-pito di portare nella comunità il no-stro stile di far gruppo e di curare le relazioni.Quali sono le difficoltà che hai incontrato come Associazione?La nostra associazione è composta da pochi giovani e molti adulti. Di con-seguenza la vita associativa è cambia-ta: gli adulti hanno tempi e impegni diversi rispetto a un po’ di anni fa. Credo che sia necessario trovare un nuovo equilibrio e capire quale sia il ruolo degli adulti all’interno dell’as-sociazione per scegliere quale strada intraprendere per il futuro.

difficoltà ad attivare cammini for-mativi a causa della mancanza degli educatori. Un’altra bella esperienza è vivere la corresponsabilità e vede-re che, anche nei momenti difficili, genera positività.L’AC e la vita quotidiana… Quale può essere il rapporto dell’AC sul territorio parrocchiale?Negli ultimi anni l’AC ha deciso di puntare in modo più deciso sulla scelta missionaria. Noi come asso-ciazione parrocchiale cerchiamo di portare avanti questa scelta cercan-do di offrire alla comunità occasioni di riflessione su tematiche che ri-guardano tutti come la cittadinanza o l’attenzione alle fragilità umane. Avete sviluppato qualcosa di particolare in collaborazione con la parrocchia?Forse può non sembrare particolare, ma è importante. Mi riferisco alla bella collaborazione che si è creata tra ACG e catechisti degli adolescen-ti. Se entrambi abbiamo a cuore la formazione e la crescita dei nostri adolescenti, perché non confrontar-

“la nostra associazione è composta da pochi giovani e molti adulti. di conseguenza la vita associativa è cambiata, gli adulti hanno tempi e impegni diversi rispetto a un po’ di anni fa. credo che ora sia necessario trovare un nuovo equilibrio per capire quale sia il ruolo degli adulti all’interno dell’associazione e scegliere quale strada intraprendere per il futuro”

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l’ac è una grande famiglia

PAOLO, 13 ANNI

all’ac non mi sento solo

LuIgI, 56 ANNI

all’ac posso servire cristo

MARIO, 43 ANNI

all’ac ho imparato a crescere

LuCA, 14 ANNIall’ac mi diverto

FILIPPO, 9 ANNI

all’ac ho trovato qualcuno

che mi ha valorizzato

ELISA, 37 ANNI

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ri della persona umana, della socie-tà umana, della storia umana - non sta forse nella crisi della città? Crisi di sradicamento, come è stato giu-stamente detto: sradicamento della persona dalla città, da cui la persona trae perfezione e misura! Perché la persona umana è in qualche modo definita dalla città in cui si radica: come la pianta dal suo campo. La città con le sue misure, il suo tem-pio, le sue case, le sue strade, le sue piazze, le sue officine, le sue scuole, rientra in qualche modo nella defi-nizione dell’uomo! Sradicate l’uomo da questo suolo che l’alimenta e lo perfeziona: che avrete?”.Occorre, allora, percorrere due stra-de per alimentare una spiritualità della città.Innanzitutto cogliere la domanda di spiritualità che emerge dalla diffusa domanda di ragioni per credere alla vita e per sperare sulla sua vittoria. Per questo, bisogna misurarsi con la vita quotidiana. La vita è una e-sperienza da condividere con tutti. C’è, in ogni credente, la percezione sofferta come di una doppia appar-tenenza. Si sente cittadino di una città che deve rendere sempre più abitabile, per dimorarci con gioia e con trepidazione. E sa di essere a casa solo nella città futura. Le due città sono così diverse, così recipro-camente lontane, così intensamente affascinanti. Non ne può abbando-nare una a favore dell’altra, perché operando in questo stile tradirebbe prima di tutto se stesso.La vita quotidiana, posta al centro, trascina con sé tematiche che sono molto lontane da quelle su cui è sta-ta scritta per tanto tempo la spiritua-lità cristiana. Ne ricordo alcune, se-lezionandole tra quelle a cui siamo oggi più sensibili: la riscoperta della vita e della soggettività, l’attenzione ai valori della amicizia, della corpo-reità, della ferialità, della felicità, del “mondo vitale”, il bisogno di signifi-catività, la vivibilità delle proposte, la partecipazione, la radicale cen-tralità della propria persona anche sulle norme, sui valori, sulle leggi; la provvisorietà, la relatività, la proble-maticità, la coscienza (rassegnata o esaltante) della propria finitudine come verità di se stessi.

Per una spiritualitàdella cittàInizia un nuovo anno associativo, tutto improntato sull’icona biblica di Mt 22,1-14, sulla festa di nozze organizzata da un re per suo figlio. un cammino formativo che aiuti a crescere nella fiducia nell’uomo, nell’educazione al bene comune

l Progetto formativo Perché Cristo sia formato in voi, al cap. 4, ci ricor-da “il mondo non è una realtà “nono-stante la quale” viviamo da cristiani, ma quella attraverso cui camminia-mo verso Dio, che non è estraneo al mondo in cui ci ha donato di vivere. Il laico di AC sta nel mondo, come Gesù che si è fatto uomo assumendo fino in fondo i tratti umani di un’e-sistenza storica”. In questa incarna-zione “viviamo nel mondo ricono-scendone il valore, ma liberi da ogni logica che lo assolutezza e ne fa un idolo. Si può essere cristiani solo a condizione di compiere delle scelte, consapevoli che non tutte quelle pos-sibili sono compatibili con il Vangelo”. Ne consegue che “siamo missionari con le nostre comunità, aiutandole ad aprirsi, ad accogliere, a rendersi più sensibili alla vita delle persone. La missione che vogliamo far matu-rare oggi non passa tanto attraverso iniziative nuove, ma soprattutto at-traverso un nuovo modo d’essere in rapporto al Vangelo e alle persone”.I cristiani, nonostante tanti segnali contrastanti e tanti sforzi che sem-brano cadere nel vuoto, si impe-gnano a realizzare quanto auspica-va Carlo Carretto. Nel suo celebre libro “Il deserto nella città”, egli so-steneva che bisogna creare lo spa-zio di libertà e di convivialità, nella responsabilità comune, favorendo le condizioni strutturali dell’ospita-lità. Per ognuno di noi, pellegrini e viandanti, la città è una sfida che ci

sospinge ad essere uomini nuovi, ca-paci di verità e di giustizia, di amo-re e di pace, come diceva il grande Giorgio La Pira, sindaco di una delle città con la maggiore tradizione cul-turale del mondo, Firenze. A tal proposito, Giorgio La Pira scris-se ai sindaci delle città europee, du-rante uno dei convegni che organiz-zava negli anni cinquanta per tessere quella trama di relazioni politiche ad un livello più basso di quello naziona-le ma preziosissimo per la creazione della pace nel mondo: “Vi dirò subi-to: sono venuto volentieri per por-tarvi il saluto cordiale e augurale di Firenze: sono venuto per rendere te-stimonianza alla validità di un movi-mento - come il vostro - che si radica profondamente nella storia contem-poranea e che è destinato a portare frutti preziosi di perfezionamento, d’elevazione, d’unità e di pace non solo fra le Nazioni dell’Europa ma fra le Nazioni del mondo intero. E le ragioni della validità storica di que-sto movimento (di gemellaggio tra le grandi città europee) e della sua capacità di fruttificazione per il bene dei popoli diventano tutti i giorni più evidenti e meritano d’essere sempre più illustrate e diffuse. Quali queste ragioni? La risposta è facile: fra tutte possiamo sceglierne alcune che so-no essenziali per la luce che proiet-tano sulla crisi della storia presente. Signori, vi chiedo: una delle cause fondamentali di questa crisi - una crisi che tocca le concezioni basila-

di massimo orizio

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spiritualità

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Senza Gesù nella storia dell’uomo il conflitto resta e la distanza è in-colmabile. In Gesù la distanza è or-mai coperta definitivamente: l’im-manente è il luogo in cui il trascen-dente si fa «volto» e «parola». Gesù è la mediazione che rende Dio vici-no e presente all’uomo nella grazia della sua umanità. È infatti Gesù di Nazareth, quell’uomo che ha un tempo e una storia, una casa, degli amici e dei nemici, l’evento dove Dio si è fatto volto e parola e dove l’umanità è stata trascinata alle sue capacità espressive più impensabi-li, fino a risultare parola e volto del Dio ineffabile.La mediazione è quindi l’umani-tà dell’uomo. In modo sovrano e inimitabile lo diciamo per Gesù di Nazareth. In lui e nella distanza di realizzazione che ci separa da lui, lo diciamo, con gioia trepidante, di ogni uomo, di ciascuno di noi.La vita quotidiana è l’esistenza di o-gni uomo: l’insieme delle esperien-ze che l’uomo produce, entrando in relazione con gli altri, nella storia di tutti. Distesa a frammenti nel tem-po, la vita quotidiana è un evento u-nico e articolato: una trama, tessuta giorno dopo giorno, in cui diciamo chi siamo e come ci sogniamo.

Questa vita è il luogo dove Dio si fa presente ad ogni uomo, di una pre-senza tanto intima e profonda da es-sere più presente a me di me stesso. La salvezza non è l’esito di alcuni ge-sti speciali. E’ ormai l’ambiente in cui esprimiamo tutta la nostra esi-stenza. Camminiamo a fatica verso la pienezza di salvezza, già segnati dalla sua novità.La seconda strada da percorrere è impegnarsi per un’anima plurale della città.Si può senz’altro concordare col cardinal Carlo Maria Martini, per il quale “il pluralismo religioso è oggi una sfida per tutte le grandi religio-ni, soprattutto per quelle che si de-finiscono come vie universali e de-finitive di salvezza: se non si vuole giungere a nuovi scontri, occorrerà promuovere con forza un serio e corretto dialogo interreligioso”. Ci vuole un dialogo accogliente, colto come caso serio e kairòs, oc-casione propizia per aprirsi al no-vum, e filo rosso del cristianesimo postconciliare. Andrà evidenziato, in ogni caso, come il dialogo si rive-li sovente più aspirazione che real-tà: un intraprendere l’impossibile e accettare il provvisorio. In più di un documento vaticano – fra cui la

dichiarazione conciliare Nostra Ae-tate e l’enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI – il termine dialogo rende in effetti il latino colloquium, ad e-vocarne una versione maggiormen-te dimessa e quotidiana: e quotidia-na è la dimensione dialogica che si manifesta nelle relazioni sociali tra credenti di differente appartenen-za. Infatti accade spesso, oggi, che la fondante dimensione dialogica sia quella personale, privata, concreta, come quella di fatto sperimentata da quanti hanno a che fare, diret-tamente e non superficialmente, con immigrati di religioni altre . E’ dialogo su questioni pratiche, dub-bi e speranze, a partire dal vissuto quotidiano, non da problematiche astratte. L’inatteso pluralismo che ci sta at-traversando è destinato, prevedibil-mente, a porre a dura prova la no-stra tradizionale ignoranza in campo biblico e religioso. Sarà impossibile, in ogni caso, continuare a conside-rare il fatto religioso come un ele-mento puramente individualistico o folkloristico, privo di influssi cultu-rali, economici e sociali. Come ogni novità, una situazione del genere potrà provocare paure non gestite e indurre a chiusure intellettuali,

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come sta facendo, ma anche stimo-lare a un autentico salto di qualità pure sul piano etico, se sarà vissuta con la necessaria laicità (poiché la laicità aperta è il presupposto di o-gni sano pluralismo ).Come dialogare? Il dialogo interreli-gioso dovrà maturare nel quadro di un riconoscimento che chi dialoga non sono le religioni (entità astrat-te) bensì delle donne e degli uomini in carne ed ossa, con storie, vissuti, sofferenze, speranze, peculiari e ir-ripetibili. Occorrerà poi una buona conoscenza reciproca degli interlo-cutori coinvolti: conoscenza intel-lettuale, dei testi e dei documenti ufficiali delle chiese e delle religio-ni (imparare le religioni), certo, ma anche umana, a partire da un at-teggiamento sincero di ascolto del-le narrazioni altrui (imparare dalle religioni). Lavorare assieme in qual-che settore specifico, ad esempio, affrontando problemi di giustizia so-ciale o discriminazioni inaccettabili, potrebbe rendere più denso e con-vincente un rapporto interreligioso.A conclusione una storia, un testo e una notizia. “Un giorno Yehuda Amichai, il grande poeta della cit-tà moderna di Gerusalemme, sta-va seduto con due panieri di frutta sui gradini accanto alla porta della Cittadella. A un certo punto sentì una guida turistica che diceva: ‘Lo vedete quell’uomo con i panieri? Proprio a destra della sua testa c’è un arco dell’epoca romana. Proprio a destra della sua testa’. Scrive A-michai: Io mi dissi: la redenzione verrà soltanto se la loro guida dice: ‘Vedete quell’arco dell’epoca roma-na? Non è importante; ma lì vicino, più in basso, a sinistra, sta seduto un uomo che ha comprato la frutta e la verdura per la sua famiglia’” .Un libro per approfondire: Città a-mata e temuta - Una via urbana alla spiritualità (Spiritualità del quotidia-no) di Enzo Bianchi, Marco Garzo-nio, Ernesto Olivero, Luigi Verdi, Rosanna Virgili.Infine una bella notizia che coinvolge tutta l’AC e vale più di ogni discorso: “Papa Francesco ha riconosciuto le “virtù eroiche’’ del ‘’Servo di Dio’’ Giuseppe Lazzati. Per lui, quindi, si aprono le porte della beatificazione.

’introduzione illustra le mo-tivazioni poste alla base del docu-mento: innanzitutto, recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutar-lo a distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il crede-re si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la liber-tà dell’uomo. In secondo luogo, la Lumen fidei – proprio nell’Anno della fede, a 50 anni dal Conci-lio Vaticano II, un “Concilio sulla fede” – vuole rinvigorire la per-cezione dell’ampiezza degli oriz-zonti che la fede apre per confes-sarla in unità e integrità. La fe-de, infatti, non è un presupposto scontato, ma un dono di Dio che va nutrito e rafforzato. “Chi cre-de, vede”, scrive il Papa, perché la luce della fede viene da Dio ed è capace di illuminare tutta l’e-sistenza dell’uomo: procede dal passato, dalla memoria della vi-ta di Gesù, ma viene anche dal

futuro perché ci schiude grandi orizzonti.

Il primo capitolo: Abbiamo creduto all’amore (1 Gv 4, 16). Facendo riferimento alla figura biblica di Abramo, in questo ca-pitolo la fede viene spiegata co-me “ascolto” della Parola di Dio, “chiamata” ad uscire dal proprio io isolato per aprirsi ad una vita nuova e “promessa” del futuro, che rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo, legandosi così strettamente alla speranza. La fede è connotata anche dalla “paternità”, perché il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è Dio Padre, la sor-gente di bontà che è all’origine di tutto e che sostiene tutto. Nella storia di Israele, all’opposto della fede c’è l’idolatria, che disperde l’uomo nella molteplicità dei suoi desideri e lo “disintegra nei mille istanti della sua storia”, negan-dogli di attendere il tempo della promessa. Al contrario, la fede è affidamento all’amore misericor-

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dioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che raddrizza “le storture della nostra storia”; è disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuo-vo dalla chiamata di Dio, “è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui per vedere il luminoso cammi-no dell’incontro fra Dio e gli uomi-ni, la storia della salvezza” (n.14). E qui sta il “paradosso” della fede: il continuo volgersi al Signore rende stabile l’uomo, allontanandolo dagli idoli. La LF si sofferma, poi, sulla figura di Gesù, mediatore che ci a-pre ad una verità più grande di noi, manifestazione di quell’amore di Dio che è il fondamento della fede: “nella contemplazione della morte di Gesù, infatti, la fede si rafforza”, perché Egli vi rivela il suo amore in-crollabile per l’uomo.

Il secondo capitolo: Se non cre-derete, non comprenderete (Is 7,9). Il Papa dimostra lo stretto legame tra fede e verità, la verità affidabile di Dio, la sua presenza fedele nel-la storia. “La fede senza verità non

salva – scrive il Papa –. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità”. Ed oggi, data “la crisi di verità in cui viviamo”, è più che mai necessario richiamare questo legame, perché la cultura contemporanea tende ad accettare solo la verità della tecnologia, ciò che l’uomo riesce a costruire e misura-re con la scienza e che è “vero per-ché funziona”, oppure le verità del singolo valide solo per l’individuo e non a servizio del bene comune. Og-gi si guarda con sospetto alla “verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale”, per-ché la si associa erroneamente alle verità pretese dai totalitarismi del XX secolo. Ciò comporta però il “gran-de oblio del mondo contemporane-o” che - a vantaggio del relativismo e temendo il fanatismo - dimentica la domanda sulla verità, sull’origine di tutto, la domanda su Dio. La Lu-men fidei sottolinea, poi, il legame tra fede e amore, inteso non come “un sentimento che va e viene”, ma come il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona

La luce della fedeLumen fidei è la prima enciclica firmata da Papa Francesco.Suddivisa in quattro capitoli, più un’introduzionee una conclusione, la Lettera si aggiunge alle Encicliche di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza

occhi nuovi per vedere la realtà. Se, quindi, la fede è legata alla verità e all’amore, allora “amore e verità non si possono separare”, perché solo l’a-more vero supera la prova del tem-po e diventa fonte di conoscenza. E poiché la conoscenza della fede na-sce dall’amore fedele di Dio, “verità e fedeltà vanno insieme”. La verità che ci dischiude la fede è una veri-tà incentrata sull’incontro con Cri-sto incarnato, il quale, venendo tra noi, ci ha toccato e donato la sua grazia, trasformando il nostro cuore. A questo punto, il Papa apre un’am-pia riflessione sul “dialogo tra fede e ragione”, sulla verità nel mondo di oggi, in cui essa viene spesso ridotta ad “autenticità soggettiva”, perché la verità comune fa paura, viene iden-tificata con l’imposizione intransi-gente dei totalitarismi. Invece, se la verità è quella dell’amore di Dio, al-lora non si impone con la violenza, non schiaccia il singolo. Per questo, la fede non è intransigente, il cre-dente non è arrogante. Al contrario, la verità rende umili e porta alla con-vivenza ed al rispetto dell’altro. Ne deriva che la fede porta al dialogo in tutti i campi: in quello della scienza, perché risveglia il senso critico e al-larga gli orizzonti della ragione, in-vitando a guardare con meraviglia il Creato; nel confronto interreligioso, in cui il cristianesimo offre il proprio contributo; nel dialogo con i non cre-denti che non cessano di cercare, i quali “cercano di agire come se Dio esistesse”, perché “Dio è luminoso e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero”. “Chi si mette in cammino per pra-ticare il bene – sottolinea il Papa – si avvicina già a Dio”.

Il terzo capitolo: Vi trasmetto quello che ho ricevuto (1 Cor 15,3). Tutto il capitolo è incentrato sull’im-portanza dell’evangelizzazione: chi si è aperto all’amore di Dio, non può tenere questo dono per sé, scrive il Papa. La luce di Gesù brilla sul vol-to dei cristiani e così si diffonde, si trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si accende dall’altra, e passa di generazione in generazione, attraverso la cate-na ininterrotta dei testimoni della

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chiesa

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fede. Ciò comporta il legame tra fede e memoria perché l’amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù. Inol-tre, diventa “impossibile credere da soli”, perché la fede non è “un’op-zione individuale”, ma apre l’io al “noi” e avviene sempre “all’interno della comunione della Chiesa”. Per questo, “chi crede non è mai solo”: perché scopre che gli spazi del su-o ‘io’ si allargano e generano nuove relazioni che arricchiscono la vita. C’è, però, “un mezzo speciale” con cui la fede può trasmettersi: sono i Sacramenti, in cui si comunica “u-na memoria incarnata”.

Il quarto capitolo: Dio prepara per loro una città (Eb 11,16). Questo capitolo spiega il legame tra la fe-de e il bene comune, che porta alla formazione di un luogo in cui l’uo-mo può abitare insieme agli altri. La fede, che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al servizio concreto del-la giustizia, del diritto e della pace. Ecco perché essa non allontana dal mondo e non è estranea all’impegno concreto dell’uomo contemporane-o. Anzi: senza l’amore affidabile di Dio, l’unità tra gli uomini sarebbe fondata solo sull’utilità, sull’inte-resse o sulla paura. La fede, inve-ce, coglie il fondamento ultimo dei rapporti umani, il loro destino defi-nitivo in Dio, e li pone a servizio del bene comune. La fede “è un bene per tutti, un bene comune”; non serve a costruire unicamente l’al-dilà, ma aiuta a edificare le nostre società, così che camminino verso un futuro di speranza. L’Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede: innanzitutto, la famiglia fondata sul matrimonio, inteso co-me unione stabile tra uomo e don-na. Essa nasce dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale e, fondata sull’a-more in Cristo, promette “un amore che sia per sempre” e riconosce l’a-more creatore che porta a generare figli. Poi, i giovani: qui il Papa cita le Giornate mondiali della gioventù, in cui i giovani mostrano “la gioia della fede” e l’impegno a viverla in modo saldo e generoso.

he rapporto hanno gli i-taliani con la “carità”? Cosa si sa esattamente della Caritas, delle sue azioni, delle sue scelte di in-tervento? Sono domande che è lecito porsi di fronte al Rapporto Annuale 2012, diffuso da Cari-tas Italiana (www.caritas.it) con il titolo molto indicativo: “Soste-nere - Formare - Ripartire. Un anno di Caritas”. Come è noto, Caritas Italiana è un “organismo pastorale” della Cei, incarica-to di animare l’intera comunità ecclesiale, attraverso iniziative sia nazionali, sia diocesane, sia − una dimensione forse meno conosciuta, ma altrettanto rile-vante − internazionali. Ebbe-ne, proprio un volume come il Rapporto Annuale consente di prendere visione in maniera mol-to sintetica e didascalica di una mole di interventi niente affatto casuali o semplicemente imposti dalle “emergenze”. Perché se è vero che proprio all’esplodere di difficoltà specifiche, spesso si in-voca “l’intervento della Caritas”, osservando l’insieme delle azioni si coglie la complessità dei diversi gradi di aiuto che vengono messi in campo. La Caritas, si potrebbe

dire, non è un “bancomat” della carità, anche se spesso e volen-tieri agisce tempestivamente in questo senso. Invece, è un cor-po ecclesiale che con meticolosi-tà commisura i propri interventi, graduandoli secondo le concrete possibilità operative, ma anche compiendo quell’azione di “ani-mazione” della comunità cristia-na e della società civile che è tra i propri compiti istituzionali.

Un network di 10mila volontari. Giusto per sintetizzare alcune di queste “emergenze” che lo scorso anno sono state affrontate, basta citare i poderosi fenomeni migra-tori, via mare e via terra, che ri-guardano il nostro Paese; il terre-moto nelle regioni del nord Italia; la crisi economica che ha investi-to l’Europa con la disoccupazio-ne e povertà crescente; le emer-genze internazionali (carestia nel Corno d’Africa, emergenza nel Sahel, sommosse e “primavere” in Siria, Egitto, Terra Santa, vio-lenze in Nigeria ecc.).Caritas Italiana non agisce da sola su questi versanti internazionali. Di solito si raccorda con Caritas d’Europa e con Caritas Interna-

La caritas non èun “bancomat”:è vita di chiesauna radiografia di tutti gli interventi realizzatia livello nazionale e internazionale.In azione oltre 10mila volontari che operanosempre nell’ottica dell’inclusione sociale

a cura di luigi crimella

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società

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tionalis, specie di fronte a eventi co-me i forum sociali mondiali, il coor-dinamento delle grandi emergenze, i gruppi di lavoro su temi o eventi specifici. Grazie a questa pluralità di relazioni, dal livello diocesano a quello internazionale, gli organismi della Caritas sono in grado di collo-care le scelte che riguardano sin-gole azioni in equilibrato rapporto tra di loro.Ne è prova, ad esempio, la distribu-zione di aiuti che spazia dall’inter-vento sulle povertà interne (mense, dispensari, centri di accoglienza) monitorate dal programma statisti-co Ospoweb che è in uso da parte di 480 centri di ascolto in 52 diocesi e 10 regioni ecclesiastiche. L’univer-so dei volontari (sono 10.434 pres-so 516 servizi), insieme alle équipe diocesane e ai seminaristi che han-no preso parte a corsi di pastorale integrata rappresentano una delle componenti strutturate della Chie-sa italiana più efficaci ed operative.

Centinaia di processi di “inclusio-ne”. Il “Rapporto Annuale 2012” conferma i motivi per cui la Caritas riscuote una generale e “trasversa-le” fiducia da parte dei vari sogget-ti sociali. Si tratta di un riconosci-

mento derivante dai diversi ambiti di impegno e presenza.Così troviamo l’Aids, gli ospedali psichiatrici giudiziari, il carcere, i rom-sinti-camminanti, i senza fissa dimora: tutte realtà queste, per le quali Caritas ha promosso percorsi di “inclusione”.E poi ancora i minori, la salute men-tale, l’esclusione sociale, la famiglia. Grazie ai fondi 8xmille vengono co-sì finanziati centinaia di progetti (258 nel 2012) per un totale di 16 milioni di euro, tutti rigorosamen-te documentati e a disposizione di quanti fossero scettici sull’utilizzo di questi fondi derivanti dagli accordi concordatari.Un capitolo a parte, e di stretta at-tualità, riguarda l’immigrazione e i fenomeni ad essa connessi (tratta, rimpatri, centri di accoglienza, lavo-ro nero, richiedenti protezione in-ternazionale ecc.). Su queste vicen-de, Caritas (insieme alla Fondazio-ne Migrantes) ha il “polso” sempre aggiornato; e inoltre agisce anche tramite il nutrito gruppo di giovani in servizio civile (sono stati 686 nel 2012) che, nonostante la riduzione di fondi, rimangono un avamposto della carità sia in Italia sia negli in-terventi all’estero.

Interventi in Europa e nel mondo. Il “Rapporto Annuale 2012” elenca poi minuziosamente i diversi pro-getti e attività sviluppati in Europa e nel mondo.

Sarebbe complesso citarli tutti, per-ché sono decine.A titolo di esempio aiuti sono andati al Kosovo per i disabili, in Macedo-nia per Caritas parrocchiali, in Ser-bia per salute mentale, in Armenia per acqua potabile, in Turchia per giovani a rischio.E così via, con interventi in 12 paesi europei, 30 in Africa, 15 in Medio Oriente e Africa del nord, 18 in Asia e Oceania, 17 in America Latina e Caraibi. Oltre agli interventi diretti, molto rilevante è l’animazione dei “microprogetti” che sono stati 334 in 58 paesi, per circa 1,5 milioni di euro con 16 mila donatori.Ogni microprogetto è di poche mi-gliaia di euro (mediamente tra 3 e 6/7 mila) e quindi la platea dei be-neficiati è molto ampia.Il totale dei fondi per le attività all’e-stero è di 20 milioni e 60 mila euro, mentre per quelle in Italia è stato di 24,89 milioni, a cui aggiungere 3,4 milioni di costi di gestione. Questa è Caritas Italiana.

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Quest’annol’azione cattolica e l’african art gate organizzano presso villa pace dal 27 settembre al 13 ottobre la mostra “distanze e differenze ma legate con arte”, frutto di un incontrodi due realtà con realtà con percorsi differenti, ma con intenti rispondenti

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’Azione Cattolica chiude un percorso triennale dal titolo “Legàmi aperti”, un percorso che ha portato i suoi associati a incontrare e a dia-logare con culture differenti diven-tando l’una ricchezza per l’altra. L’A-frican Art Gate sostiene la realtà missionaria del Mozambico e la va-lorizzazione della cultura e dell’ar-te mozambicana, attraverso uno dei suoi artisti talentuosi Antonio Malendze, detto Malè. La mostra e-sporrà una trentina di tele di questo artista plastico in cui si raccontano i valori fondamentali per la cultura africana: l’acqua e la natura, la don-na, la famiglia, la gioia della condi-visione... tutti valori di cui la nostra cultura occidentale ha ancora biso-gno e che invece sta dimenticando e accantonando e che l’Azione Cat-tolica e l’African Art Gate desidera-no riportare al centro come identi-tà focale dell’uomo. La mostra sarà affiancata da una serie di incontri che vogliono sviluppare alcuni temi dell’arte di Malè in dialogo con la no-stra cultura, per un dialogo costrut-tivo in cui ogni polo diventa prezioso riferimento per l’altro.

Riciclo e Recupero. Malè è un artista di strada che dipinge e uti-lizza materiali di recupero. La no-stra realtà ci sta invitando a fare dell’attenzione ai rifiuti un’arte per non rimanere schiacciati da essi. L’incontro vuole mettere in campo difficoltà e potenzialità della cultura del recupero.Questione della donna. La don-na come centro della famiglia e dell’economia. Il femminile dell’A-frica e dell’Occidente a confronto.Acqua. Sappiamo quanto l’acqua debba diventare per noi occidenta-le, abituati alla facilità di un giro di rubinetto, qualcosa da considerare prezioso e inestimabile. L’Africa e al-cuni addetti ai lavori ce lo racconta-no in questo evento.Cineforum Waste Land (2010) diretto da Lucy Walker e Joao Jar-dim. Un film-documentario sul pro-blema della più grande discarica del mondo e di chi vi abita riscatta-ti dall’arte.“C’era una volta un luogo”. U-na fiaba raccontata ai bambini con tele di Malè e voci di attori nel Par-co secolare di Villa Pace.

africanart gate

Alla base di quest’associazione ci sono l’amore per l’arte e la sua espressione a tutti i livelli, l’attenzione per gli ultimi e la sensibilizzazione hai problemi sociali. Tre sono gli obiettivi prefissati, collegati in maniera logica tra loro: valorizzazione dei talenti; realizzazione laboratorio artistico; educationalvalorizzazione di talenti. Esistono espressioni artistiche in luoghi e modi inimmaginabili, è nostra volontà poter far emergere questi talenti dai luoghi degradati del continente Africano, la purezza intellettuale legata al riciclaggio caratterizza la loro arte ricca di significato, aiutati, possono esprimersia livelli altissimi,intraprendere un cammino comune che possa portarli a esporre le loro opere sul territorio e fuori dai loro confini. Realizzazione laboratorio artistico. Costruzione di un laboratorio artistico per i ragazzi di strada alla periferia di Maputo in Mozambico,non solo togliere dalla strada ma dare la possibilità di esprimersi con strumenti appropriati e seguiti da educatori.educational. L’utilizzo dell’arte per affrontare tematiche sociali è alla base del nostro impegno di sensibilizzazione nelle scuole sul territorio Italiano, già sperimentato con grande efficacia essendo completamente diverso dai sistemi convenzionali, un percorso a doc per ogni tipologia di classe, i ragazzi sono coinvolti nella lettura dei dipinti e alla riflessione sui temi trattati.

Distanze ma legate con artel

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il grido del famoso buzz lightyear di Toy story calza alla perfezione per questo articolo e per descrivere una persona speciale: claudio. claudio nasce con la sindrome di down quasi 29 anni fa (il 23 dicembre) a brescia e vive a collebeato. non staremo qui a raccontarvi tutta la sua storia: l’obiettivo di questo articolo è raccontare come un ragazzo nato con dei limiti sappia vivere una vita piena di entusiasmo,di vittorie e di amicizie… dentro questi limiti

o spunto arriva dalla Commissione Nazionale di AC per i testi dei Gio-vanissimi 2013/2014: pensando al modulo dell’interiorità, il primo nome che esce per l’intervista è quello di Alex Zanardi. Il secondo quello di Claudio. Ed ecco allora che “i capi” approvano questa proposta e si organizza l’inter-vista nel ridente paesino di Collebeato. Claudio è un ragazzo d’oro, che sa esaltarsi per una vittoria, ma anche emozionarsi e imbarazzarsi se ne deve parlare. Appena sa della proposta accetta subito, anche se con qualche pre-occupazione…e così con l’aiuto di mamma e papà, di Angelo e Gabri ci si prepara, soprattutto psicologicamente, a questa nuova “sfida”. Come tutte le altre sfide che Claudio ha intrapreso, anche questa è un successo: certo, c’è imbarazzo e agitazione (e non solo da parte sua), ma dopo un primo mo-mento di inceppamento, l’intervista scorre tranquilla, tra una risata e una corsa, una risposta seria e una risata distensiva. Ma cosa fa Claudio di così speciale per essere intervistato addirittura per l’AC Nazionale? Un sacco di attività. Innanzitutto in Parrocchia è impegnato come educatore AC di un gruppo di 9/11 e partecipa al gruppo giovani: nei momenti di condivisione è meglio parlare prima di lui, perché poi quando lui dice qualcosa zittisce sempre gli altri, talmente belle e vere sono le sue frasi su Gesù e il Vange-lo!! Poi ci sono le soddisfazioni dell’atletica leggera: ogni volta che parteci-pa a qualche manifestazione sportiva vince sempre almeno due o tre me-daglie… salto in lungo, lancio del peso (di cui è stato campione nazionale!), 100 e 200 metri da solo o in staffetta… non c’è differenza: lui gareggia con il massimo dell’impegno e dell’entusiasmo. Inutile dire che in paese Clau-dio è conosciuto e ben voluto da tutti… anche dagli interisti, lui che è un milanista sfegatato. E infatti una delle frasi che dice spesso è “Ho molti ve-ri amici”. Due le frasi che riporto qui tratte dall’intervista a Claudio e che mi sembrano particolarmente significative. La prima è il motto delle Spe-cial Olympics “Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa ten-tare con tutte le mie forze”, che Claudio ha fatto suo non solo nelle gare ma anche nella vita di tutti i giorni. La seconda è il saluto e l’augurio col quale al termine dell’intervista si rivolge ai giovanissimi di tutta Italia: “Per vivere bene chiedete l’aiuto a Gesù che ci vuole bene e ci aiuta a superare tutte le nostre difficoltà. Bisogna guardare al futuro con un atteggiamento buono”. Vai Claudio, verso l’infinito e oltre!

Verso l’infinitoe oltre!!!

lAntonio Alberto Malendze

Nasce a Maputo (Mozambico)il 21 gennaio 1980. Subito appassionato di pittura,a 16 anni si cimenta nella vendita di opere di colui che poco dopo diverrà suo maestro, l’artista di strada Musis Simbine, che predilige la pittura a olio.Le ardue condizioni di vitalo portano a dipingere su teledi qualsiasi tipo: lenzuola usurate, panni vecchi,cerate di copertura; similmente reperiscele colorazioni necessarie nelle modalità più disparate. La tecnica principale è sempre l’olio su tela e sui dipinti inizia ad apporre la sua firma di artista: Malè. Nel 2010 Malè intraprende un iter artistico che lo conduce a dipingere su tele di grande dimensione, su cui si dipana la narrazione di storie complesse rappresentate in molteplici fasi, mentre continua sino ad oggi, incessante, la sua appassionata ricerca artistica. (tratto da “Malè e il suo Mozambico” Catalogo 2013). Informazioni sul sitohttp://www.antoniomalendze.it.

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di Thomas Turelli

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franco feroldi: un bresciano al Codice di Camaldoli

padre manziananel ricordarlo, alla morte, disse: “Era un uomo probo,buono, onesto, saggioed operoso che,illuminato da una intelligenza acuta e sorretto da un cuore sensibile e generoso,seppe affrontare la vitacon umiltà e con sensodi responsabilità.La sua ricca personalitànon ammetteva dicotomie tra scienza e fede, tra prassi e teoria, tra testimonianza ecclesiale e presenza civile”.

n questi mesi si ricordano i 70 anni del celebre “Codice di Ca-maldoli”, ossia quel programma di ricostruzione sociale e politica che alcuni cattolici, che si trovaro-no presso Camaldoli nel luglio del 1943, elaborarono e che costituì u-na delle basi su cui si fece la nostra Costituzione.Il “Codice” fu predisposto da al-cuni studiosi e politici, quasi tutti giovanissimi, tra cui Giorgio La Pi-ra, Giuseppe Capograssi, Gesualdo Nosengo, Pasquale Saraceno, Gui-do Gonella, Aldo Moro, Giulio An-dreotti, Emilio Taviani. Venne poi predisposto per la pubblicazione a cura soprattutto di Sergio Paro-netto e Pasquale Saraceno, e uscì nel 1945 col titolo Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamen-to sociale a cura di un gruppo di a-mici di Camadoli.Tra gli estensori due bresciani: Lo-dovico Montini, già parlamentare del Partito Popolare, e un giovane

docente universitario, Franco Fe-roldi, di cui si celebra quest’anno il centenario della nascita e che ebbe un ruolo importante nella stesura della parte economica del Codice (uno dei capitoli più corposi del documento).Franco Feroldi è un personaggio non sufficientemente ricordato nella nostra città, forse anche per la sua scomparsa prematura (mo-rì a 69 anni). Si ricorda soprattutto come docente per molti ani all’uni-versità di Parma e come presidente della Camera di Commercio.Tuttavia Feroldi fu uno dei primi a livello bresciano ad impostare nel dopoguerra una visione dell’econo-mia e della società a partire dalle riflessioni sul vangelo.

la vitaNato a Brescia nel 1913, Feroldi si laureò all’Università Cattolica di Milano prima in Giurisprudenza e poi in Economia e Commercio. Fin

da giovane entrò nel circuito vir-tuoso dei Padri della Pace, presso i quali formò la propria spiritualità: da studente venne in contatto con la Fuci di padre Manziana e poi col-laborò con i Laureati Cattolici, gui-dati da padre Marcolini. Nel 1944 si sposava con Nella Abbate dalla quale ebbe 5 figli. Don Peppino Tedeschi, il dinami-co sacerdote promotore di molte i-niziative culturali, ospitava su “La Voce Cattolica”, il settimanale che dirigeva, gli articoli di carattere e-conomico e sociale del giovane e già brillante studioso Feroldi.Franco però non era solo un uomo dedito agli studi e lontano dalle vi-cende storiche: negli anni più dif-ficili della guerra fece parte attiva delle Fiamme Verdi e nell’imme-diato dopoguera fu consigliere co-munale di Brescia. Proseguiva però intanto la sua attività di docente: nel 1956 vinceva il concorso ordi-nario presso l’Università di Parma dove insegnò Economia per molti anni, divenendo per due volte an-che preside di Facoltà.Nel 1968 venne nominato presi-dente della Camera di Commercio

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cento anni dalla nascita di un bresciano poco ricordato

idi michele busi

Testimoni

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franco feroldi: un bresciano al Codice di Camaldolidi Brescia, carica che terrà fino alla morte, nel gennaio 1982.Padre Manziana nel ricordarlo, alla morte, disse: “Era un uomo probo, buono, onesto, saggio ed operoso che, illuminato da una intelligenza acuta e sorretto da un cuore sensi-bile e generoso, seppe affrontare la vita con umiltà e con senso di re-sponsabilità. La sua ricca persona-lità non ammetteva dicotomie tra scienza e fede, tra prassi e teoria, tra testimonianza ecclesiale e pre-senza civile”.

il pensieroFeroldi fu un attento studioso del pensiero sociale cristiano, che cer-cò di rileggere e attualizzare alla lu-ce delle vicende italiane degli anni della ricostruzione.Riporto un brano tratto da un suo articolo su “La Voce Cattolica” del luglio 1943, quando il trentenne Feroldi proponeva alcune riflessio-ni su Cattolicesimo e ricostruzione. Sono riflessioni che forse hanno qualche insegnamento anche per i cristiani di oggi:“Se certamente il Vangelo non con-tiene i consigli pratici per l’uomo

politico nella sua attività puramen-te tecnica, esso però contiene tutto un insegnamento che non ha nulla da invidiare, sia pure limitandosi al-le grandi linee maestre, a qualsiasi programma generale di ricostruzio-ne politica, mentre tutti li supera per ampiezza di visione e per no-biltà di fini.Si continui pure a dire che l’inse-gnamento sociale cattolico è fatto di utopie, di fantasticherie più o me-no belle, ma non ci si lamenti poi se le costruzioni politiche e sociali, tirate su con lunghi sforzi che co-stano e sfiancano, crollano poi, in tutto o in parte, addosso agli stessi costruttori.Questa è l’ora della restaurazione della libertà. La tragica prova cui sottostà in questo momento la fa-miglia umana testimonia la vitali-tà, l’aderenza alla vita dell’insegna-mento evangelico.Qualora l’umanità non aspiri al sui-cidio collettivo come a sua meta su-prema, il ritorno ai criteri di onestà, di sincerità, di giustizia, che sono nel Vangelo e che dal Vangelo pos-sono erompere nella vita pubblica, è inevitabile”.

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cattolicialla costituente.incontri su dossetti,la pira e lazzatiUn’iniziativa di “Città dell’uomo Brescia”

giorgio La Pira, giuseppe Dossetti e giuseppe Lazzati sono stati tre cristiani protagonisti della vita civile del nostro paese, a partire proprio da quegli anni difficili della guerra e in quelli delicati del dopoguerra.Tra l’altro in questi mesi si celebrano alcune date importanti: nel 2013 ricorrono i 100 anni della nascita di Dossetti, nel 2014 sono 110 anni da quella di La Pira, mentre giuseppe Lazzati ha visto riconosciuta l’eroicità delle proprie virtù, passo che apre la strada alla beatificazione, che avverrà probabilmente nel 2014.Per questo l’associazione“Città dell’uomo Brescia” propone una serie di incontriche presentano queste tre figure,in modo particolareil loro apporto e la loro riflessione nell’ambito dei lavoridella Costituente.gli incontri avranno inzionel mese di ottobre.Per informazioni, consultareil sito dell’associazione:www.cittadelluomobrescia.it

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nata per volareANDREA OLDONI

EDIZIONI SEgNO

Ciuffettina è una cinciallegra, una piccola cinciallegra,figlia di mamma Piumacorta e papà Alvaveloce.Ciuffettina ha paura di volare.Parte da qui il breve racconto, la storia attiva (come la definisce il suo autore perché arricchisce ogni fine capitolo con domande o quesiti che portano le esperienze dei personaggi a interrogare i ragazzi sulle esperienze nella loro vita) che vuole aiutare i ragazzi a scoprire la vita come un grande volo da fare a piene ali. Attraverso imprevisti e difficoltà,Ciuffettina scoprirà il segreti dell’occhio iridescente che le permetterà di diventare l’eroina di Sempreverde.

Il teologo domenicano Radcliffe mostra come la fede cristiana potrà prosperare solo se si riscoprirà il battesimo. Radcliffe parte con le domande e i dubbi dell’attualità, illustrando come si debbano superare le sfide del secolarismo e del fondamentalismo religioso.Immergersi nel battesimo è fare il grande passo perché, spiega l’autore, è un gesto che condensa i momenti più profondi della vita umana: la nascita, la crescita, l’innamoramento, la ricerca di senso, il coraggio di donarsi,la malattia, la sofferenza e la morte. un libro dallo stile vivace e appassionato, che sprona a scommettere la vita su Cristo.

prendere il largo!

Vivere il battesimo...TIMOTHY RADCLIFFE

quERINIANA

“Perché mi hai chiamato?” chiede don LorenzoMilani a Dio.questa domandasofferta e intensaè il titolo del libro pubblicato recentemente dalle edizioni San Paolo che raccoglie le lettereai sacerdoti,appunti per le omelie, preghiere e leultime parole del prioredi Barbiana,quelle scritte sui bigliettini quando il cancroalla lingua di cui morìa soli 44 anni gli impediva di parlare

n questi anni la Fondazione Lo-renzo Milani ha raccolto testimo-nianze e documenti autografi che ci permettono di arricchire la co-noscenza di don Lorenzo oltre gli scritti conosciuti, nel mistero di una chiamata. Michele Gesualdi, presidente della Fondazione e uno dei primi allievi a Barbiana, intro-duce il volume dove si recuperano i carteggi che don Milani intesse con figure note della Chiesa di quel periodo, come il segretario di papa Giovanni Loris Capovilla, don pri-mo Mazzolari, ma anche con il suo padre spirituale don Bensi e i suoi compagni di seminario. Traspare, da quelle lettere, quanto don Lo-renzo cercasse di camminare sem-pre dentro la Chiesa anche quan-do ne soffriva l’incomprensione; si capisce come avesse trasformato Barbiana, luogo di confino intellet-tuale e morale, in un luogo di amo-

di anna maria gavazzi

In libreria

Don Milani e la ricerca di Diore per il Vangelo, attraverso il ser-vizio ai ragazzi dei cascinali isolati sul Mugello, cui la scuola in quegli anni pareva non andare incontro: “Mi hanno confinato in un deserto perché non potessi nuocere. Ci son venuto senza batter ciglio e con pa-zienza da eremita ho trasformato il deserto in un minuscolo giardino”.Lo abbiamo amato tutti don Lo-renzo. Molti si sono appropriati del suo pensiero talvolta in senso riduttivo. Con il risultato che nel-la lettura della sua esperienza non sono andati oltre il momento del-la protesta. Chi legge bene le sue pagine, invece, non si arresta allo sdegno, ma va più a fondo e ne co-glie i motivi, che non sono mai so-lo politici o sociologici. Lorenzo è soprattutto don Lorenzo. Lorenzo è, come dice Michele Gesualdi, un convertito che ha passato il guado a vent’anni. Nessuno lo aveva gui-

i

in libreria

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una raccolta di frasi tratte del Vangelo che ci aiutano a riflettere e a scovare che cosa risiede nel nostro cuore. È il secondo libro di una collana che il sacerdote bresciano, cappellano militare, sta pubblicando per stimolare la riflessione vita- Vangelo. Lo sforzo di entrare in continuo contatto con gli altri, con le conseguenti gioie e delusioni, ci porta a revisionare continuamente la nostra identità, il nostro modo di prendere coscienza di noi stessi. Troppe volte siamo condizionati da quello che gli altri pensano e dicono di noi e rischiamo di comportarci secondo l’etichetta che ci è stata incollata addosso.

Prima traduzione italiana di un’opera di Strauss. L’autore mostra come la malattia della civiltà del tempo sia causata dal rifiuto di Dio. La soluzione è il ritorno alla fede tradizionale, una profonda trasformazione della coscienza umana con al centro Cristo. Scritto nel 1948, il libro è diviso in due parti. Nella prima, attraverso alcuni piccoli saggi, propone un’acuta riflessione sulla condizione umana e sul significato dei nostri atteggiamenti verso Dio, verso noi stessi e verso il mondo. La seconda parte è invece costituita da una raccolta di pensieri, frasi, aforismi in forma di diario, su temi esistenziali e di fede.

nell’intimità di me stesso.

Il VangeloPIERLuIgI PLATA

EDIZIONI SAN PAOLO

bedienza impreziosita dalla fatica. Le lettere che egli scrive al padre spirituale don Raffaele Bensi sono traboccanti di questa esperienza; come pure gli appunti per le ome-lie domenicali dove parla di tutto senza fare sconti, dai film da vede-re o no alla pratica della preghiera, dal mistero della morte al senso del dovere e del sacrificio, che egli co-nosce bene. Un catechismo popo-lare chiaro e forte: “ Esaminiamoci dentro. A chi abbiamo creduto noi nella nostra vita? A che? Per che circostanze? Che cosa ci ha portato talvolta a fidarci e altre no? Trovia-mo quel che vogliamo trovare. Tro-viamo quel che cerchiamo. Trovia-mo se cerchiamo”.Don Milani era nato nel 1923. Il suo novantesimo anniversario ca-de proprio nell’anno che la Chiesa ha proclamato l’Anno della fede. Di testimonianze come questa ha bisogno la fede di tutti.

stretta è la porta… PAVOL STRAuSS

PAOLINE

interiore e l’ha trovata nel Vange-lo. Accoglie la fede come dono e la abbraccia con l’entusiasmo del neofita, amando la Chiesa come una madre e seguendola con ob-

dato verso un cammino spirituale. Liberali ma atei, i suoi genitori giu-dicavano la religione discorso per poveri incolti. Ha cercato da solo una risposta alla sua inquietudine

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prosegue anche quest’anno la felice intuizione de “il concilio davanti a noi”, il percorso proposto dall’azione cattolica e dall’Ufficio diocesano per gli organismi di comunione in collaborazione con la scuola di teologia per laici e l’Ufficio diocesano per la scuola. il corso, ospitato a villa pace di gussago, si articola in un biennio di base e nel terzo anno a carattere laboratoriale. il percorso si rivolge a chi desidera una conoscenza dei documenti del concilio. i corsi si svolgono dalle 15 alle 17: le iscrizioni si ricevono presso l’azione cattolica entro il 10 ottobre. va ricordato che per gli insegnanti di religione la frequenza è riconosciuta e accreditata. la scuola prevede un primo modulo dedicato alle costituzioni conciliari e il secondo dedicato ad alcuni decreti e dichiarazioni. a proposito del vaticano ii, benedetto Xvi ebbe a dire nel discorso alla curia romana del dicembre 2005: “perché la recezione del concilio, in grandi parti della chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. i problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. l’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna.dall’altra parte c’è l’”ermeneutica della riforma”,

del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-chiesa, che il signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del popolo di dio in cammino”. per informazioni, telefonare allo 03040102: il costo del corso è di 40 euro. l’apertura (il 12 ottobre) è stata affidata a don fabrizio mandreoli.per il primo anno verranno presi in esami: sacrosanctum concilium con don claudio boldini, dei verbum con don Raffaele maiolini, gaudium et spes con mariangela ferrari, lumen gentium con don antonio lanzoni.dio parla alla chiesa e al mondo, anche attraverso i fatti della storia. la stessa storia della chiesa partecipa della storia degli uomini. “la chiesa – afferma proprio la gaudium et spes – cammina assieme con l’umanità tutta e sperimenta, assieme al mondo, la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana”. i corsisti del secondo anno si confronteranno su: nostra aetate con francesco capretti, Unitatis Redintegratio con don claudio zanardini, dignitatis Humanae con padre marcello storgato, ad gentes con padre mario menin, apostolicam actuositatem con mariangela ferrari.padre mario menin e don antonio lanzoni svilupperanno, invece, i corsi del terzo anno sulla lumen gentium offrendo spunti e confronti con l’ecclesiologia del vaticano ii: la chiesa popolo di dio, sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale;la cattolica della chiesa, i rapporti con le altre chiese,la chiesa universale e le chiese particolari,la vocazione dei laici e la natura missionaria della chiesa.

A scuola di Concilio