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1 ACHILLE SALETTI LE RECENTI NOVITÀ IN MATERIA DI ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI Sommario: 1. La nuova struttura dell’espropriazione presso terzi. – 2. Il pi- gnoramento presso terzi nel caso di beni individuati dal creditore … – 3. … e nel caso di ricerca telematica dei beni da pignorare. – 4. L’iscrizione a ruolo dell’espropriazione presso terzi. - 5. La competenza. - 6. La giurisdi- zione nell’espropriazione forzata di crediti. – 7. Riflessi su cumulo, riduzio- ne e riunione. – 8. Modalità della dichiarazione espressa del terzo, termini e momento perfezionativo del pignoramento. – 9. Limiti alla pignorabilità di stipendi e pensioni. 1. A seguito delle modifiche del 2014, è cambiata la struttura dell’espropriazione presso terzi. Mentre, in passato, il terzo era chiamato a presenziare a questo procedimento fin dal suo inizio, oggi la fase diretta all’accertamento dell’esistenza dei beni pignorati si articola in vari momenti, relativamente autonomi tra loro e nitidamente scanditi. Il primo è incentrato sull’udienza di comparizione del debitore ese- cutato: si tratta dell’unica fase sempre presente, fisiologica, si può dire, nello svolgimento della procedura. Essa è preordinata, da un lato, a raccogliere e valutare le dichiarazioni del terzo pignorato e, dall’altro, a dare i conseguen- ti provvedimenti nella presenza delle sole parti del processo esecutivo, debi- tore esecutato e creditore procedente, senza quella del terzo. Cosa possibile perché, a differenza del passato, in cui si distingueva tra crediti di lavoro ed altri crediti, oggi le dichiarazioni dei terzi pignorati vanno rese fuori udien- za, per posta raccomandata o certificata, indipendentemente dal tipo di cre- dito colpito. L’udienza è dunque finalizzata a dare i provvedimenti conseguenti alle dichiarazioni raccolte; provvedimenti che potranno spaziare dalla chiu- sura del procedimento espropriativo, nel caso di dichiarazione negativa non contestata, all’assegnazione o vendita dei beni pignorati, in caso di dichiara- zioni positive, al passaggio ad una ulteriore fase, eventuale, nel caso di mancata dichiarazione del terzo. Qualora, infatti, la dichiarazione del terzo non sia stata resa prima della citata udienza, si dovrà passare ad una diversa fase dell’espropria- zione in questione, caratterizzata da una nuova udienza, questa da svolgersi anche con la presenza del terzo pignorato, chiamato, a questo punto, a ren- dere la sua dichiarazione al cospetto del giudice. Nulla quaestio se la dichiarazione del terzo sia resa in questo mo- mento: si procederà ai successivi passaggi imposti dalla procedura, ma an-

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ACHILLE SALETTI

LE RECENTI NOVITÀ IN MATERIA DI ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI

Sommario: 1. La nuova struttura dell’espropriazione presso terzi. – 2. Il pi-gnoramento presso terzi nel caso di beni individuati dal creditore … – 3. … e nel caso di ricerca telematica dei beni da pignorare. – 4. L’iscrizione a ruolo dell’espropriazione presso terzi. - 5. La competenza. - 6. La giurisdi-zione nell’espropriazione forzata di crediti. – 7. Riflessi su cumulo, riduzio-ne e riunione. – 8. Modalità della dichiarazione espressa del terzo, termini e momento perfezionativo del pignoramento. – 9. Limiti alla pignorabilità di stipendi e pensioni.

1. A seguito delle modifiche del 2014, è cambiata la struttura dell’espropriazione presso terzi. Mentre, in passato, il terzo era chiamato a presenziare a questo procedimento fin dal suo inizio, oggi la fase diretta all’accertamento dell’esistenza dei beni pignorati si articola in vari momenti, relativamente autonomi tra loro e nitidamente scanditi.

Il primo è incentrato sull’udienza di comparizione del debitore ese-cutato: si tratta dell’unica fase sempre presente, fisiologica, si può dire, nello svolgimento della procedura. Essa è preordinata, da un lato, a raccogliere e valutare le dichiarazioni del terzo pignorato e, dall’altro, a dare i conseguen-ti provvedimenti nella presenza delle sole parti del processo esecutivo, debi-tore esecutato e creditore procedente, senza quella del terzo. Cosa possibile perché, a differenza del passato, in cui si distingueva tra crediti di lavoro ed altri crediti, oggi le dichiarazioni dei terzi pignorati vanno rese fuori udien-za, per posta raccomandata o certificata, indipendentemente dal tipo di cre-dito colpito.

L’udienza è dunque finalizzata a dare i provvedimenti conseguenti alle dichiarazioni raccolte; provvedimenti che potranno spaziare dalla chiu-sura del procedimento espropriativo, nel caso di dichiarazione negativa non contestata, all’assegnazione o vendita dei beni pignorati, in caso di dichiara-zioni positive, al passaggio ad una ulteriore fase, eventuale, nel caso di mancata dichiarazione del terzo.

Qualora, infatti, la dichiarazione del terzo non sia stata resa prima della citata udienza, si dovrà passare ad una diversa fase dell’espropria-zione in questione, caratterizzata da una nuova udienza, questa da svolgersi anche con la presenza del terzo pignorato, chiamato, a questo punto, a ren-dere la sua dichiarazione al cospetto del giudice.

Nulla quaestio se la dichiarazione del terzo sia resa in questo mo-mento: si procederà ai successivi passaggi imposti dalla procedura, ma an-

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che in caso di mancata comparizione di tale soggetto potranno seguire i provvedimenti di assegnazione o vendita, quando il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore esecutato «si considerano non contestati». Solo, dunque, in questa fase dell’iter processuale è richiesta, oggi, la partecipazione del terzo all’udienza.

Se invece le dichiarazioni del terzo sono contestate dal creditore pro-cedente - indipendentemente dalla modalità e dal momento con cui siano state rese - sarà una fase ancora diversa ad aprirsi, che è funzionale agli adempimenti previsti dall’art. 549 c.p.c. e nella quale è richiesta parimenti la partecipazione del terzo.

Globalmente la nuova scansione della procedura appare condivisibi-le. Si semplifica, infatti, la situazione per il caso – che dovrebbe essere quel-lo fisiologico – di collaborazione del terzo, sulla dichiarazione del quale non sorgano discussioni: in questa ipotesi, infatti, l’espropriazione può conclu-dersi in una sola udienza, con un impegno del terzo sicuramente meno gra-voso che in passato. Da questo punto di vista, la valutazione non può che essere positiva, con l’unico rilievo che – a differenza del passato, quando la partecipazione del terzo all’udienza valeva anche ad informarlo dell’esito della stessa – oggi, soppressa questa partecipazione, il debitor debitoris non avrà alcuna contezza circa l’esito dell’espropriazione. Sicché, fino a quando non gli sarà stato notificato il provvedimento di assegnazione (magari in forma esecutiva, accompagnato dall’atto di precetto) o l’eventuale rinuncia agli atti, egli si troverà in una sorta di limbo. Forse sarebbe stato opportuno «chiudere il cerchio», prevedendone l’informativa circa l’esito dell’udienza di comparizione, cui sono chiamati oggi solo creditore e debitore.

2. Questa chiara scansione dei momenti in cui si articola

l’espropriazione presso terzi, trova riscontro nel nuovo contenuto dell’atto di pignoramento, che continua ad essere determinato dall’art. 543, 2° com-ma, c.p.c. Ma mentre l’ingiunzione di cui all’art. 492 c.p.c. e gli elementi contenuti nei primi tre numeri di quel comma rimangono immutati, al con-trario quelli previsti dal n. 4 risultano profondamente modificati.

Della citazione del debitore e del terzo, in precedenza previste, rima-ne ferma solo la prima: l’esecutato dovrà essere invitato a comparire davanti al giudice competente con il rispetto del termine – immutato – di 10 giorni, ai sensi del combinato disposto del comma 3° dell’art. 543 e dell’art. 501 c.p.c. Per quanto concerne il terzo, invece, l’atto di pignoramento dovrà con-tenere, quale che sia la natura del credito pignorato, l’invito a rendere la propria dichiarazione, inviandola al creditore procedente entro 10 giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento a mezzo raccomandata o posta elet-tronica certificata. Nel contempo dovrà essergli fatto avvertimento che il mancato invio di tale dichiarazione comporterà la necessità della sua compa-rizione in apposita udienza e che in mancanza di comparizione o qualora, comparendo, non renda la propria dichiarazione, «il credito pignorato o il

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possesso delle cose di appartenenza del debitore nell’ammontare o nei ter-mini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del pro-cedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegna-zione». Si è così eliminata una situazione che aveva suscitato unanimi criti-che, anche da punto di vista della legittimità costituzionale, per non essere stata prevista alcuna informativa del terzo quanto alle conseguenze della sua mancata dichiarazione.

Si tratta di avvertimento importante nell’economia dell’espropria-zione presso terzi: qualora esso manchi, secondo taluno, vi sarà una nullità rilevabile d’ufficio, ma la soluzione, per quanto sommamente garantistica, sembra eccessiva, considerato che la legge non dispone specificamente al-cuna nullità in proposito e che l’atto di pignoramento è comunque idoneo a raggiungere il suo scopo. Pertanto, ferma la possibilità del giudice dell’esecuzione di disporre la rinnovazione del pignoramento carente, prefe-ribile appare concludere, essendo l’avvertimento in questione finalizzato a permettere l’applicazione della regola della non contestazione, per l’inapplicabilità di tale regola, laddove la dichiarazione del terzo non sia stata resa.

Se la regola della non contestazione non opera nell’anzidetto caso, analogamente non troverà applicazione quando l’atto di pignoramento non individui precisamente quali sono le somme dovute dal terzo o le cose del debitore da lui detenute. La riforma ha fatto chiarezza sul punto, eliminando il dubbio, che si era dato talvolta in passato, se non potesse prendersi quale termine di riferimento per l’assegnazione il credito indicato dal pignorante a fondamento della sua azione esecutiva.

Oggi nessuna incertezza è più possibile: la previsione del n. 4 predet-to sancisce puntualmente che, da considerarsi non contestati, sono «il credi-to pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammon-tare o nei termini indicati dal creditore»; previsione poi ribadita vuoi dal 1° comma dell’art. 548 c.p.c., vuoi - e ancor più chiaramente, se possibile - dal successivo art. 549, 1° comma, stesso codice.

Ne consegue che, se continua a rimanere ferma la possibilità di indi-care le cose o somme dovute anche in forma assolutamente generica, come costantemente affermato dalla giurisprudenza ante riforma (1), senza che ciò infici la validità del pignoramento presso terzi (come discende inoppugna-bilmente dal citato art. 549), nondimeno, per sfruttare la regola della non contestazione, l’atto di pignoramento dovrà presentare un grado di specifici-tà molto maggiore di quello richiesto dal n. 2 dell’art. 543, comma 2°, c.p.c., quanto al credito o ai beni che si vogliono colpire esecutivamente.

3. Le caratteristiche dell’atto di pignoramento - quando i beni da sot-toporre ad esecuzione siano stati individuati non dal creditore procedente,

(1) Cass. 24 maggio 2003, n. 8239.

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ma dall’ufficiale giudiziario a seguito di consultazione telematica delle ban-che dati, ai sensi dell’art. 492-bis c.p.c. - si differenziano notevolmente da quelle testé esaminate.

L’attività dell’ufficiale giudiziario e quella del creditore procedente si collocano in momenti differenti tra loro e si concretano in separati atti, a differenza dal pignoramento nel caso, tradizionale, di beni individuati diret-tamente dal creditore procedente, in cui l’attività di competenza di ciascun soggetto vale a realizzare un atto soggettivamente complesso, ma unitario.

Il 5° comma del citato art. 492-bis sancisce, infatti, che, quando l’accesso alle banche dati ha consentito di individuare crediti del debitore o cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi, «l’ufficiale giudi-ziario notifica d’ufficio, ove possibile a norma dell’art. 149-bis o a mezzo telefax, al debitore e al terzo il verbale, che dovrà anche contenere l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precet-to, dell’indirizzo di posta elettronica certificata di cui al primo comma (2), del luogo in cui il creditore ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere resi-dente, dell’ingiunzione, dell’invito e dell’avvertimento al debitore di cui all’articolo 492, primo, secondo e terzo comma, nonché l’intimazione al terzo di non disporre delle cose e delle somme dovute nei limiti di cui all’articolo 546».

A questa attività dell’ufficiale giudiziario, che genera il sorgere del vincolo del pignoramento, segue quella prevista dal 5° comma dell’art. 543 c.p.c., che invece fa capo al creditore e all’ufficio giudiziario e si svolge in vari momenti, che sono: a) l’iscrizione a ruolo; b) l’istanza di assegnazione o di vendita delle cose mobili o dei crediti; c) la pronuncia del decreto, a seguito dell’istanza che precede, con cui il giudice dell’esecuzione fissa l’udienza per l’audizione del creditore e del debitore e «provvede a norma degli articoli 552 o 553»; d) la notificazione, da effettuarsi a cura del credi-tore, al debitore e al terzo del decreto pronunciato dal giudice, con l’invito e l’avvertimento al terzo di cui all’art. 543, comma 2°, n. 4 c.p.c.

Come si vede, il pignoramento si articola in due atti separati, anche nel tempo, i quali, benché costituiscano un’unica fattispecie a formazione progressiva, hanno una ben precisa individualità tra loro (a differenza dall’altro caso di pignoramento).

Volendo passare ad un più analitico esame dei vari elementi, in que-sto caso, del pignoramento, il primo profilo da affrontare concerne la previ-sione contenuta nell’art. 492-bis, comma 5°, c.p.c., secondo la quale l’ufficiale giudiziario deve notificare l’atto previsto da detta disposizione «d’ufficio».

Non si tratta di un pignoramento che avvenga in assenza della do-manda di parte: tale principio è rispettato, avendo la parte già formulato la

(2) Cioè quello indicato dall’avvocato all’atto della richiesta, rivolta al presidente del tribunale, di autorizzazione alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.

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richiesta di pignoramento implicitamente nell’istanza rivolta al presidente del tribunale competente di autorizzare la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (art. 492-bis, comma 1°, c.p.c.). La cosa risulta ine-quivocabilmente dall’art. 155-ter, comma 2°, disp. att. c.p.c., il quale statui-sce che tale richiesta di pignoramento è destinata a perdere efficacia, laddo-ve non siano indicati all’ufficiale giudiziari i beni da pignorare nel termine di 10 giorni dalla comunicazione di questi.

Escluso, dunque, che il pignoramento sia atto che prescinde dall’istanza di parte, la suddetta locuzione, «d’ufficio» può agevolmente spiegarsi nel senso che il legislatore ha voluto escludere la necessità di un’ulteriore attività di impulso, successiva a quella manifestatasi nella ri-chiesta di accesso alle banche dati (3), perché si addivenga a suo compimen-to.

Quanto al contenuto dell’atto dell’ufficiale giudiziario – che viene notificato integralmente al debitore e, per estratto, al terzo (art. 492-bis, comma 5°, ult. parte, c.p.c.) (4) - esso esaurisce buona parte di quello che caratterizza il pignoramento «tradizionale». Vi è, infatti, l’individuazione dei beni pignorati, rappresentata dal verbale delle risultanze dell’accesso alle banche dati, che consente al terzo di individuare puntualmente quelli sotto-posti a pignoramento, l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto, l’indirizzo di posta elettronica certificata dichiarato dal difensore del creditore istante nella richiesta di accesso alle banche dati, l’indicazione del luogo in cui risiede il creditore procedente o dove ha eletto domicilio (art. 492-bis, comma 5°, c.p.c.).

A questi elementi, che coincidono con quelli considerati dai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 543, comma 2°, c.p.c., si aggiungono l’ingiunzione e gli invi-ti/avvertimenti di cui ai primi tre commi dell’art. 492 c.p.c., nonché l’intimazione di non disporre delle cose o delle somme pignorate nei limiti di cui all’art. 546 c.p.c. (art. 492-bis, comma 5°, c.p.c.).

Come si vede l’atto da compiersi da parte dell’ufficiale giudiziario – che genera il vincolo di indisponibilità - ha un contenuto analogo a quello dell’atto di pignoramento «tradizionale» e ricomprende anche elementi che in questo sono di paternità del creditore procedente. Ne rimangono esclusi solo gli elementi menzionati all’art. 543, comma 2°, n. 4, c.p.c., che sono demandati al prosieguo, da curarsi dalla parte procedente.

Questa dovrà, in primo luogo, provvedere all’iscrizione a ruolo della espropriazione presso terzi (art. 543, comma 5°, prima parte, c.p.c.).

(3) Ciò salvo il caso che sia necessaria una scelta tra i beni da pignorare (artt. 492-bis, commi 6° e 7°, c.p.c. e 155-ter, comma 2°, disp. att. c.p.c.), caso in cui è il creditore a dover indicare all’ufficiale giudiziario il bene da pignorare. Se poi questa indicazione non venga fornita nei termini previsti, la richiesta di pignoramento perde efficacia, salva la facoltà di proporne un altra ex novo, che, peraltro, aprirà un nuovo procedimento esecutivo, da svol-gersi, a questo punto, nelle forme previste dall’art. 543, comma 2°, c.p.c. (4) Estratto contenente esclusivamente i dati al terzo riferibili.

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A questa dovrà seguire l’istanza di assegnazione o di vendita delle cose mobili o dei crediti, da presentarsi dal pignorante o dagli intervenuti muniti di titolo esecutivo. Decorso il termine dilatorio di dieci giorni di cui all’art. 501 c.p.c. (5), il creditore dovrà infatti richiedere l’assegnazione o la vendita delle cose pignorate o dei crediti, sotto pena della perdita di effica-cia del pignoramento stabilita dall’art. 497 c.p.c., qualora l’adempimento in questione non intervenga entro 45 giorni dal compimento di tale atto (mo-mento che, nella fattispecie, deve parimenti farsi coincidere con la notifica-zione di quanto previsto dall’art. 492-bis, comma 5°, c.p.c.).

Si tratta di attività non richiesta nel caso di espropriazione presso terzi introdotta dal pignoramento «tradizionale», secondo l’opinione a mio avviso preferibile: l’istanza di cui all’art. 501 c.p.c. qui sembra necessaria non tanto per il carattere officioso del pignoramento, che non sussiste, quan-to per l’esigenza di far progredire il procedimento, con la fissazione della udienza di comparizione del debitore, nella quale dare i successivi provve-dimenti del caso.

L’articolo in esame parla, a questo proposito, di istanza per «l’assegnazione o la vendita delle cose mobili o l’assegnazione dei crediti», sicché potrebbe pensarsi che, con riguardo a questa seconda categoria di beni, sia esclusa la vendita. Si tratta di conclusione non condivisibile, in quanto la norma prevede che il giudice provveda a norma degli articoli 552 o 553 c.p.c.; e quest’ultima disposizione sancisce espressamente che dei crediti può anche essere disposta la vendita. Sicché pare lecito concludere che si sia menzionato l’id quod plerumque accidit, senza volontà di disco-starsi dalla disciplina generale.

A seguito di tale istanza, il giudice dell’esecuzione fisserà l’udienza per l’audizione del creditore e del debitore, in cui provvedere «a norma de-gli articoli 552 o 553»; il relativo decreto sarà notificato, a cura del credito-re, al debitore esecutato e al terzo, con l’invito e l’avvertimento, a quest’ultimo soggetto, di cui all’art. 543, comma 2°, n. 4, c.p.c.

Dopo di che l’iter processuale potrà riprendere a svolgersi secondo le regole previste con riguardo all’altra fattispecie di pignoramento.

4. Anche con riguardo al pignoramento presso terzi, quale che sia la forme in cui è stato compiuto, si deve procedere all’ iscrizione a ruolo, che non si differenzia da quella prevista nelle altre forme di espropriazione, se non per il fatto che per la relativa istanza è previsto un termine di 30 giorni, più ampio di quello stabilito per il pignoramento mobiliare diretto ed immo-biliare, per consentire al creditore procedente di valutare le dichiarazioni del terzo e, quindi, se procedere nell’iniziativa esecutiva.

Tale termine, cui si applica la sospensione feriale, trattandosi di ter-

(5) Che si computerà a far tempo dalla notifica da parte dell’ufficiale giudiziario dell’atto di sua competenza.

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mine processuale, decorre, stante il chiaro tenore della norma, dalla conse-gna al creditore procedente dell’originale del pignoramento, dunque non dalla sua semplice messa a disposizione, ma dall’effettivo ritiro dell’atto notificato. Questa soluzione, d’altra parte, non consente al creditore di pro-crastinare a suo piacimento l’iscrizione a ruolo, perché dal pignoramento decorrerà comunque il termine di cui all’art. 497 c.p.c.: sicché se l’istanza di vendita, che presuppone l’iscrizione a ruolo, non verrà presentata nel rispet-to del termine di 45 giorni fissato dall’anzidetta norma, il pignoramento perderà efficacia. Ne deriva che l’iscrizione a ruolo non potrà, per forza di cose, essere differita oltre il suddetto termine di 45 giorni.

L’istanza di iscrizione a ruolo dovrà contenere i requisiti dell’art. 159-bis disp. att. c.p.c. (6) ed essere accompagnata dal deposito di copie conformi all’originale dell’atto di pignoramento preso terzi (citazione o ver-bale notificato, a seconda che ricorrano i casi di cui all’art. 543, comma 2°, o dell’art. 492-bis, comma 5°, c.p.c.), del titolo esecutivo e del precetto.

La conformità di tali copie ai relativi originali è attestata dall’avvocato. In difetto di tale attestazione, l’iscrizione a ruolo non potrà efficacemente perfezionarsi, con la conseguenza che, se nel termine previsto dalla norma in esame non vengano depositate le richieste copie conformi, si applicherà la sanzione della perdita di efficacia del pignoramento.

A seguito dell’iscrizione a ruolo, verrà formato il fascicolo dell’esecuzione. Se, per contro, l’iscrizione a ruolo non è avvenuta nel ter-mine previsto, il pignoramento perde efficacia, ai sensi del comma 4°, ulti-ma parte, dell’art. 543 c.p.c. (7). Si verifica, così, una situazione del tutto analoga a quella prevista dall’art. 497 c.p.c., con conseguente estinzione, anche in questo caso, dell’instaurata espropriazione, secondo la disciplina dettata per quell’evento anomalo.

5. La riforma del 2014 ha anche inciso sulla competenza per l’espropriazione presso terzi, sostituendo alla regola tradizionale, che la fa-ceva coincidere con il luogo di residenza del terzo, una duplice regola che la determina, normalmente, in funzione del luogo di residenza, domicilio, di-mora o sede del terzo, a meno che il debitore esecutato non sia una pubblica amministrazione, caso in cui la competenza è stabilita ancora in funzione del luogo in cui si trova il debitor debitoris.

Il primo profilo da considerare concerne l’esatto ambito di applica-zione dell’art. 26-bis c.p.c., che parla, sia nella sua rubrica che nel testo, di

(6) Nonché quelli, ai sensi della previsione dell’ultima parte dell’articolo citato, stabiliti dal D.M. Giustizia 19 marzo 2015 (pubblicato in G.U. 23 marzo 2015, n. 68), costituiti, per l’espropriazione presso terzi, da: importo del precetto; data udienza indicata in citazione; dati identificativi del creditore; dati identificativi del difensore della parte che iscrive a ruolo; dati identificativi del debitore; dati identificativi del terzo pignorato; dati identificati-vi del custode; dati del titolo esecutivo; tipologia del bene. (7) Con le conseguenze di cui all’art. 164-ter disp. att. c.p.c.

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espropriazione di crediti. Nonostante questa chiara previsione è discusso se tale norma valga per la sola espropriazione di crediti o, invece, per tutte le ipotesi di espropriazione presso terzi, anche quando abbia ad oggetto cose del debitore detenute dal terzo.

Tale dubbio apparentemente non ha ragione d’essere, visto il chiaro disposto del predetto art. 26-bis; se non che, vigente la precedente norma - il cui tenore era, per questo profilo, identico a quello della disposizione di nuovo conio - si riteneva che l’espropriazione presso terzi dovesse sempre svolgersi avanti al giudice del luogo di residenza del terzo, argomentando dall’art. 543, 2° comma, n. 4, c.p.c, allora vigente, che indicava come giudi-ce competente il pretore del luogo di residenza del terzo, senza distinguere tra pignoramento di crediti e pignoramento di beni mobili presso terzi.

Questa conclusione non appare più condivisibile, in quanto l’art. 543, 2° comma, n. 4, c.p.c. oggi vigente, anch’esso modificato, non ha più un tenore tale da rilevare con riguardo al problema in esame, contenendo una previsione del tutto neutra dal punto di vista della competenza (8). In questo contesto sembra preferibile interpretare la nuova disposizione, nono-stante la somiglianza con l’abrogato 2° comma dell’art. 26 c.p.c., nel senso della sua chiarissima lettera: essere, cioè, relativa al solo caso di espropria-zione di crediti, non a quello di cose mobili del debitore detenute dal terzo, da espropriarsi pur sempre con le forme dell’espropriazione presso terzi, ma davanti al giudice del luogo in cui si trovano le cose, ex art. 26, 1° comma, c.p.c.

All’argomento letterale, che, nel nuovo contesto normativo, sembra insuperabile, va aggiunta anche un’altra consonante considerazione. Se in passato, attribuendo, anche in caso di cose mobili del debitore detenute dal terzo, la competenza al giudice del luogo di residenza del terzo, vi era un elevato grado di probabilità che tali cose si trovassero nella circoscrizione del giudice adito, visto che presumibilmente il terzo le aveva presso di sé, oggi, introdotta la regola per cui giudice competente è quello della residen-za, domicilio, dimora o sede del debitore esecutato, non vi è più alcun lega-me ragionevole con il luogo dove presumibilmente si trovano i mobili in questione, dato che, per definizione, essi sono detenuti da un altro soggetto rispetto al debitore. Insomma, se in precedenza si poteva presumere che un giudice la cui competenza era determinata dal luogo di residenza del terzo, fosse normalmente anche il giudice del luogo in cui si trovavano le cose detenute da tal soggetto, oggi questa regola presuntiva non ricorre più; il che rende razionale che crediti e cose mobili sottoposti all’espropriazione presso terzi siano assoggettate a regole di competenza diverse.

L’espropriazione di crediti si svolgerà, dunque, avanti al giudice del luogo dove si trova la residenza del debitore, mentre quella indirizzata a

(8) La citazione (oggi del solo debitore) deve avvenire – si legge nel novellato art. 543 c.p.c. - «davanti al giudice competente».

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colpire solo cose mobili del debitore detenute dal terzo rientrerà nella com-petenza dell’ufficio giudiziario nel cui circondario si trovano le cose. Ciò non significa che non si possa più procedere congiuntamente ad una espro-priazione di crediti verso il terzo e di mobili detenuti da questi: una tale so-luzione sarà ancora possibile, a condizione che i beni mobili si trovino nel circondario del tribunale del luogo di residenza del debitore.

Se, quindi, il terzo, rendendo la propria dichiarazione, indichi di es-sere detentore anche di cose che si trovano nel circondario di altro ufficio giudiziario, diverso da quello adito, in tal caso l’espropriazione deve prose-guire per questi beni davanti al giudice competente ex art. 26, 1° comma, c.p.c., non solo in applicazione della regola della translatio iudicii, ma an-che del principio sancito dall’art. 492, commi 4°e 5°, c.p.c., che afferma positivamente la possibilità di prosecuzione del processo esecutivo in una diversa sede giudiziaria.

Queste conclusioni valgono anche con riferimento alla previsione dell’art. 26-bis, comma 1°, c.p.c., nonostante essa tenga ferma la regola di competenza tradizionale, giacché anche nella specie sono valide le conside-razioni derivanti dalla sua lettera, da un lato, e del mutato tenore dell’art. 543 c.p.c., dall’altro. Piuttosto, dei dubbi possono aversi quanto all’esatto ambito di applicazione della regola del comma 1° dell’articolo in questione, in quanto la stessa fa riferimento alle «pubbliche amministrazioni indicate dall’art. 413, quinto comma»; norma che però non contiene alcuna elenca-zione/individuazione di particolari pubbliche amministrazioni.

Si è proposto di interpretare il richiamo normativo nel senso che la regola in esame sia applicabile non in ogni caso di pubblica amministrazio-ne assoggettata ad una espropriazione presso terzi, ma solo quando tale pro-cedura venga promossa da un pubblico dipendente per un credito di lavoro. Per gli altri crediti verso la P.A. dovrebbe valere la regola di cui al comma 2° dell’art. 26-bis c.p.c.

La soluzione non convince, in primo luogo perché non appare sorret-ta dalla lettera della legge, la quale non fa alcun riferimento al tipo di diritto di credito azionato, ma semplicemente individua le pubbliche amministra-zioni richiamando un’altra norma, la quale si riferisce indistintamente a tut-te, nel loro complesso. Inoltre, sarebbe difficile cogliere la ratio della norma interpretata in modo così limitato. Se, infatti, può avere un senso discostarsi dalla regola generale di cui al comma 2° dell’art. 26-bis nel caso di pubbli-che amministrazioni, per evitare, come osserva la Relazione, «che i tribunali di alcune grandi città, tipicamente sedi di PP.AA. siano gravati da un ecces-sivo numero di espropriazioni presso terzi», assai meno congruo sembra discostarsene per particolari tipi di credito, quali sarebbero solo quelli di lavoro verso le pubbliche amministrazioni. Mentre letta in una prospettiva generale, la norma ha una sua precisa giustificazione, questa non sarebbe agevole da cogliere laddove fosse riferita ai soli crediti di lavoro pubblico.

Quindi, il discrimen tra le due regole di competenza in materia di

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espropriazione di crediti è rappresentata esclusivamente dalla qualità sog-gettiva del debitore esecutato.

Passando all’esegesi della norma, il comma 2° dell’articolo in que-stione individua tre criteri di competenza per le persone fisiche (residenza, dimora, domicilio) e uno (sede) per le persone giuridiche.

Con riguardo alle persone fisiche, due interrogativi si pongono: quel-lo del rapporto tra i vari criteri considerati dal legislatore, da un lato, e delle conseguenze che derivano dall’ignoranza dei luoghi determinativi della competenza, dall’altro.

Quanto al primo, ci si può chiedere, infatti, se si debba individuare un ordine preferenziale tra residenza, domicilio e dimora, analogo, ad es., a quello dettato dall’art. 18, comma 1°, c.p.c., oppure se tali criteri concorrano su di un piano di parità. Questa seconda soluzione è preferibile, stante il tenore della legge che non pone graduazioni, a differenza da altre disposi-zioni. Del resto, il venir meno del legame giudice/bene esecutato, rende per-fettamente fungibili, ai fini delle esigenze esecutive, i giudici dei luoghi sopra menzionati.

D’altra parte, l’equipollenza tra i vari criteri ben si giustifica anche da un punto di vista razionale: non si può trascurare che i crediti sono beni connotati da una «volatilità» notevole, sicché il tempo necessario per le ri-cerche, se si dovesse seguire un ordine preciso tra i vari criteri, potrebbe rivelarsi pregiudizievole per la fruttuosità dell’espropriazione. Sarebbe, in-somma, ingiustificato costringere il creditore procedente a (magari defati-ganti) ricerche sulla residenza o il domicilio del debitore, se ne è perfetta-mente nota la dimora.

Venendo al secondo problema – quali conseguenze derivano dall’ignoranza dei luoghi determinativi della competenza – è da risolversi alla luce della previsione dettata dall’art. 18, comma 2°, c.p.c.: visto che risulta ormai abbandonato il riferimento al terzo, dal punto di vista della determinazione della competenza, a favore di una visione che privilegia i luoghi di pertinenza del debitore, sembra logico fare riferimento, in via ana-logica, alla regola posta da tale disposizione che, con norma di chiusura, attribuisce la competenza al giudice del luogo di residenza dell’attore-creditore, quando siano ignoti residenza, domicilio e dimora del convenuto-debitore.

Quanto alle persone giuridiche (diverse dalle pubbliche amministra-zioni) non pone particolari problemi la relativa previsione, che individua il luogo di competenza dell’espropriazione presso terzi nel luogo della sede del debitore. Non tutto, però, è rimasto perfettamente identico rispetto a quanto avveniva in precedenza.

Il (vecchio) art. 26, comma 2°, c.p.c. nulla diceva con riferimento al-le persone giuridiche, parlando esclusivamente del luogo di residenza del terzo, ma era comunemente ritenuto che, in difetto di una espressa previsio-ne di legge, si dovesse fare capo alla sede, in ragione della previsione

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dell’art. 19 c.p.c. Dovendosi applicare quest’ultima disposizione, oltre al luogo della sede (allora del terzo), vi era la competenza anche il giudice del luogo «dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda», sicché l’espropriazione poteva essere instaurata anche in questi luoghi.

Questa soluzione non sembra più sostenibile di fronte all’odierna di-sposizione, che individua, con specifica previsione, la sola sede quale crite-rio di competenza. Quindi, per l’espropriazione dei crediti vantati verso una persona giuridica, la competenza sarà determinata dalla sua sede legale o da quella effettiva, ex art. 46 c.c., con esclusione dei luoghi ove il debitore per-sona giuridica abbia «uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda».

Passando alla competenza (derogatoria rispetto a quella generale), dettata per il caso che sia una pubblica amministrazione ad essere debitrice, dal comma 1° dell’art. 26-bis c.p.c., ancora incentrata sui luoghi di pertinen-za del terzo, va in primo luogo osservato che si tratta di competenza residua-le, dovendo trovare anzitutto applicazione le previsioni contenute in leggi speciali. Solo qualora queste manchino, si applicherà la regola di competen-za del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo.

Con riferimento ai primi tre criteri, relativamente alle persone fisi-che, valgono le stesse considerazioni sopra svolte sul loro carattere concor-rente, ovviamente riferite in questo caso al terzo, che rimane qui determi-nante, come si è detto, ai fini dell’individuazione della competenza.

Analogamente è a dirsi con riguardo alla sede del terzo, persona giu-ridica: sicché, alla luce della puntuale previsione normativa in argomento, in precedenza inesistente, è da escludere la competenza del giudice del luogo «dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autoriz-zato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda». Risulta così superato l’insegnamento giurisprudenziale, in precedenza fondato sulla più articolata previsione contenuta nell’art. 19, comma 1°, c.p.c., relativo alla possibilità di citare il terzo debitor debitoris, qualora si tratti di banca, avanti al giudice del luogo nella cui circoscrizione si trova la sede secondaria della stessa, ove sia intrattenuto il rapporto. Sarà competente, in questo caso, solo il giu-dice della sede legale (o effettiva), superandosi così anche ogni dubbio circa l’estensione della dichiarazione di questo soggetto, che dovrà riferirsi a tutti i rapporti intrattenuti dall’amministrazione debitrice pignorata.

6. Secondo la Relazione, «l’esposta modifica dei criteri di competen-

za territoriale nell’espropriazione di crediti non intercetta in alcun modo il tema di riparto della giurisdizione esecutiva tra i giudici appartenenti a Stati diversi, posto che il criterio della residenza del terzo di cui all’articolo 26 del codice di procedura civile non rileva quale indice di collegamento ai sensi della legge 31 maggio 1995, n. 218, tenuto conto che il terzo pignorato non è colui che subisce l’azione esecutiva». Ciò in quanto – alla stregua

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dell’insegnamento di Cass., 5 novembre 1981, n. 5827 (9), espressamente invocato dalla Relazione - «la giurisdizione italiana sussiste “se il credito oggetto dell’obbligazione è sorto o deve essere soddisfatto, con l’adem-pimento dell’obbligazione, nel territorio dello Stato”».

Peraltro autorevole dottrina affermava, nella vigenza dell’art. 26, comma 2° (vecchio testo), c.p.c., che questa norma di competenza interna valeva anche a determinare la giurisdizione italiana in materia esecutiva, dovendosi desumere dalle disposizioni sulla competenza territoriale i limiti della giurisdizione esecutiva, in difetto di norme specifiche in argomento. Tesi avvalorata, oggi, dalla l. 31 maggio 1995, n. 218, che, all’art. 3, comma 2°, ultima parte, sancisce a chiare lettere che «rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio», norma applicabile, se del caso, in via analogica nel nostro caso.

Se non che, a lasciare perplessi circa la possibilità di utilizzare tale regola nell’espropriazione di crediti, sono i risultati paradossali che ciò fini-rebbe con il produrre. Non si può trascurare, infatti, che il nuovo art. 26-bis c.p.c. detta due regole antitetiche in questa materia: la competenza territoria-le, di regola, discende dalla residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, ma in altri casi, quando, cioè, ad essere esecutata è una pubblica ammini-strazione, essa è determinata in ragione degli stessi luoghi, ma riferiti al de-bitor debitoris. Con il risultato che, volendo trarre dalla regola di competen-za quella di giurisdizione, quest’ultima verrebbe a dipendere da un fattore puramente accidentale, cioè le caratteristiche soggettive del debitore esecu-tato. In altre parole la giurisdizione italiana sussisterebbe ogni qual volta il debitore abbia residenza, domicilio, dimora o sede in Italia, salvo che detto debitore non sia una pubblica amministrazione, caso in cui la giurisdizione dipenderebbe dai luoghi riferibili al terzo.

Un simile risultato sarebbe la negazione di quella che si ritiene la re-gola fondante la giurisdizione in materia esecutiva: il fatto, cioè, che essa è la proiezione della sovranità statuale. La cosa è confermata quando si osser-va che «funzione del processo esecutivo è l’attuazione concreta di un diritto certo spettante ad un soggetto mediante l’incidenza dell’attività degli organi competenti … nella realtà concreta per adeguarla alla situazione consacrata (quale dovrebbe essere) nel titolo esecutivo. Incidenza dell’attività esecutiva che opera in un determinato aspetto della realtà fenomenica; e vi opera qua-le esercizio della sovranità dello Stato. È appunto questa realtà fenomenica oggetto dell’attività esecutiva, che va posta a fondamento della ricerca del criterio di collegamento» (10).

Orbene, non si vede come la sovranità statuale potrebbe sussistere, o meno, in ragione della qualità soggettiva del debitore; e ciò induce ad ab-bandonare la via dell’applicazione analogica della regola di cui all’art. 3 l.

(9) Cass., S.U., 5 novembre 1981, n. 5827, in Giust. civ. 1982, I, 1310. (10) Cass., S.U., 5 novembre 1981, n. 5827, cit., nella motivazione.

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218/1995, per mancanza dell’eadem ratio. Se, dunque, argomentare dalla competenza territoriale appare non

appagante nella specie, si tratta di individuare quale elemento assumere a fondamento della soluzione del problema. A questo proposito, la citata sen-tenza delle Sezioni Unite n. 5827/1981 osserva che «la sovranità dello Stato nel settore dell’esecuzione forzata ha modo di esplicarsi se la realtà fenome-nica, da trasformare per adeguarla alla situazione giuridica, si trova nel suo ambito territoriale; che soltanto allora la realtà fenomenica da trasformare può essere appresa dal potere giudiziario esecutivo, espressione della sovra-nità dello Stato; non certo quando la realtà fenomenica si trovi al di fuori dell’ambito territoriale della sovranità dello Stato e non sia, perciò, da que-sta apprensibile nell’aspetto di quel potere. Criterio generale di collegamen-to, al fine di determinare la giurisdizione italiana nelle esecuzioni forzate di qualsiasi tipo, è, pertanto, la localizzazione della realtà fenomenica, sulla quale l’esecuzione forzata deve incidere, nell’ambito territoriale della so-vranità dello Stato» (11).

Criterio di collegamento di facile applicazione nelle espropriazioni forzate immobiliari e mobiliari presso il debitore, che devono concernere una cosa che si trova nel territorio dello Stato perché sussista la giurisdizio-ne italiana, al pari che nell’espropriazione presso terzi, quando essa abbia ad oggetto delle cose. Se, poi, detta espropriazione ha ad oggetto un credito del debitore esecutato verso un terzo cittadino straniero, «il criterio della loca-lizzazione dell’oggetto dell’esecuzione, valido e necessario, per tutti gli altri tipi di esecuzione forzata, in ragione dell’esercizio della sovranità dello Sta-to italiano nei limiti del suo ambito territoriale, non può non esserlo anche per quest’altro tipo di esecuzione» (12).

Da queste premesse la Suprema Corte faceva discendere la conse-guenza che, per valutare l’esistenza o meno della giurisdizione italiana, bi-sognava guardare alla localizzazione del credito e della relativa obbligazio-ne. Problema risolto, allora, sulla base delle regole poste dagli artt. 4, n. 2, ultima parte, e 20 c.p.c.: «pertanto, sussiste la giurisdizione italiana se, og-getto dell’espropriazione, è sorto o deve essere soddisfatto, con l’adempimento dell’obbligazione, nel territorio dello Stato italiano» (13).

Il ragionamento sopra esposto è perfettamente condivisibile, salvo che nella sua parte conclusiva.

Ciò vale, in primis, per il criterio che argomenta, per ritenere sussi-stente la giurisdizione, dal luogo dove l’obbligazione è sorta. A prescindere dal, parzialmente mutato, quadro normativo, è evidente che, se la disloca-zione del bene nel territorio italiano costituisce il criterio fondamentale per l’attribuzione della giurisdizione esecutiva, è lecito dubitare che esso possa essere fatto coincidere con il luogo dove l’obbligazione è sorta. Si tratta di (11) Cass., S.U., 5 novembre 1981, n. 5827, cit., nella motivazione. (12) Cass., S.U., 5 novembre 1981, n. 5827, cit., nella motivazione. (13) Cass., S.U., 5 novembre 1981, n. 5827, cit., nella motivazione.

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un dato storico, il quale non postula necessariamente un legame con la «realtà fenomenica, da trasformare». Perché mai si dovrebbe poter svolgere in Italia l’espropriazione di un credito che fa capo, magari, ad un soggetto privo di legami con l’ordinamento italiano e rivolto verso un altro soggetto altrettanto estraneo allo stesso, solo perché in Italia è sorto il rispettivo cre-dito/debito? È un dato che non vale a «localizzare» ex se in Italia l’oggetto dell’espropriazione, con conseguente necessità di escludere che simile ipo-tesi valga a giustificare la giurisdizione esecutiva italiana.

Ma in identica prospettiva muove, a ben vedere, anche la regola al-ternativa, derivante dal fatto che l’obbligazione sia da eseguirsi in Italia. Regola che viene poi variamente specificata dall’art. 1182 c.c., il quale indi-vidua il luogo dell’adempimento per le obbligazioni pecuniarie non sempre nel medesimo luogo, ma secondo parametri variabili.

Anche in questa fattispecie la regola di giurisdizione è suscettibile di cambiare considerevolmente in base a criteri, puramente convenzionali, di localizzazione del credito in Italia e del tutto estranei all’individuazione del-la «realtà fenomenica, da trasformare per adeguarla alla situazione giuridi-ca». Insomma, è chiaro che la stessa non può essere individuata sulla base delle regole sopra indicate, ma va individuata secondo altri parametri, che valgano effettivamente ad individuare tale «realtà fenomenica, da trasforma-re».

Se si parte da questa premessa, della necessaria dislocazione in Italia della «realtà fenomenica, da trasformare», tenuto conto che il credito in quanto tale è entità incorporale priva di una specifica collocazione in un luogo piuttosto che in un altro, l’analisi deve incentrarsi su chi quel credito è in condizione di soddisfare, cioè sulla persona del terzo debitore. In effetti, se il credito è privo di una dislocazione territoriale precisa, non altrettanto è a dirsi per il debitor debitoris, cui compete realizzare l’attività necessaria per la soddisfazione del creditore esecutante. Vi è una sorta di “identifica-zione” tra la prestazione dovuta e chi è chiamato ad adempierla. Identifica-zione che, a mio avviso, è confortata proprio dalle disposizioni in materia di espropriazione presso terzi oggi vigenti.

Da questo punto di vista, se si guarda chi è il vero soggetto passivo della potestà esecutiva nell’espropriazione di crediti, appare evidente che questi è rappresentato dalla persona del debitor debitoris. Costui è costituito custode del credito pignorato e sanzionato se tale obbligo non rispetti; il terzo debitore è destinatario del titolo esecutivo rappresentato dal provvedi-mento di assegnazione, che si verrà a formare nell’espropriazione presso terzi; sempre questo soggetto è gravato dalle conseguenze del riconoscimen-to presunto previsto dall’art. 548 c.p.c., tanto da rischiare di dover risponde-re in proprio, anche se non è effettivamente debitore della somma pignorata; il credito nei suoi confronti è destinato a poter essere accertato con forme semplificate previste dall’art. 549 c.p.c., diverse da quelle, assai più garanti-stiche, di cui potrebbe beneficiare, se non fosse stato coinvolto nel processo

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esecutivo. Insomma, l’intero status del terzo pignorato appare sacrificato in

quanto egli è coinvolto nel processo esecutivo, senza, si noti bene, essere assoggettato alla forza di un preesistente titolo esecutivo. Se è indiscutibile che il terzo debitor debitoris non è parte formale del processo esecutivo, non si può trascurare che, altrettanto chiaramente, tale procedimento mira a crea-re degli strumenti per costringere il nostro soggetto ad adempiere alla pre-stazione dovuta; sicché, in verità, viene ad essere parte sostanziale dello stesso.

Orbene, se si considera tutto ciò, il debitor debitoris rappresenta quella «realtà fenomenica, da trasformare»: nell’impossibilità di apprendere materialmente il credito, il cui pagamento si presume fargli carico, si agisce nei suoi confronti per raggiungere indirettamente lo scopo. Del resto, i dena-ri necessari per soddisfare il credito si trovano presso di lui, sicché anche sotto questo profilo appare la coincidenza con la realtà fenomenica da tra-sformare.

Se si accettano queste premesse, la giurisdizione esecutiva italiana sussisterà, ancor oggi, indipendentemente dal fatto che la regola di compe-tenza applicabile sia quella del comma 1° piuttosto che 2° dell’art. 26-bis-c.p.c., ogni qual volta il terzo si trovi in Italia, dove potrà essere soggetto a quel complesso di poteri del giudice che sorgono dall’esecuzione e in essa trovano il proprio fondamento, rimanendo, per contro, del tutto irrilevante la dislocazione spaziale del debitore esecutato - che, pur essendo il soggetto passivo della pretesa esecutiva, dalla stessa è toccato solo in quanto perde la titolarità del credito in precedenza vantato – al pari del luogo dove sia sorta l’obbligazione o debba eseguirsi il pagamento dovuto dal terzo. Con la con-seguenza che, se anche il debitore esecutato abbia i propri luoghi di riferi-mento all’estero e il pagamento del debito del terzo debba essere ivi esegui-to, sussisterà la giurisdizione italiana quando quest’ultimo soggetto si trovi in Italia.

Questa conclusione parrebbe scontrarsi con la nuova regola di com-petenza dettata dall’art. 26-bis c.p.c., almeno quando il debitore non è una pubblica amministrazione. Se competente per l’espropriazione di crediti è il giudice del luogo ove il debitore abbia la sua residenza, domicilio, dimora o sede, trovandosi questi luoghi all’estero, sembra mancare un giudice che possa provvedere, anche se il terzo debitore si trova in Italia.

Il problema era già stato affrontato da Cass. 5827/1981, la quale lo aveva risolto (nella fattispecie, la sede della società terza pignorata – rile-vante allora ai fini della competenza - era sita all’estero) affermando che l’unico criterio applicabile – anche ai fini della determinazione della compe-tenza territoriale - era quello «della localizzazione del credito», rappresenta-to dal luogo ove l’obbligazione era sorta o doveva eseguirsi. Quindi, se sus-sisteva la giurisdizione italiana, dalla regola di giurisdizione doveva trarsi anche quella di competenza per territorio.

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La soluzione può lasciare dubbiosi. Nel quadro normativo odierno, in cui la regola di competenza territoriale posta dall’art. 26-bis, comma 2°, c.p.c. è incentrata sulla residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, qualora questi si trovi all’estero, ma sussista la giurisdizione italiana trovan-dosi il terzo debitore in Italia, appare più appagante fare applicazione l’art. 18, comma 2°, c.p.c., norma di chiusura in materia, nella parte in cui attri-buisce la competenza al giudice del luogo ove risiede l’attore, alias il credi-tore, quando il debitore non ha residenza, né domicilio, né dimora nella Re-pubblica.

Se poi anche questo criterio fosse inapplicabile, per essere solo il terzo residente in Italia, a questo punto la competenza per territorio non po-trebbe che essere quella del giudice del luogo di riferimento del terzo.

7. La modifica della regola di competenza applicabile in materia di

espropriazione di crediti incide anche sull’operatività della riduzione del pignoramento, quando non trova applicazione la regola derogatoria posta dal 1° comma dell’art. 26-bis c.p.c. per le pubbliche amministrazioni, caso in cui la situazione non presenta novità rispetto a quella precedente.

Quando, invece, il foro competente per l’espropriazione di crediti è determinato in funzione dei luoghi di riferimento del debitore, più probabile è che i crediti vantati dal debitore esecutato verso vari terzi vengano colpiti nell’ambito di un’unica espropriazione, il che permette anche una più age-vole applicazione della regola dettata dall’ultimo comma dell’art. 546 c.p.c., nel quadro di un unico processo esecutivo.

Il fatto che la dichiarazione del terzo debba venir inoltrata entro un breve termine al creditore procedente, consente, d’altra parte, di acquisire rapidamente un quadro completo di quelli che sono i crediti pignorati. È ben vero che di questa situazione il giudice non ha contezza diretta, essendo la dichiarazione indirizzata al pignorante; ma il fatto che debba provvedere dopo aver convocato le parti, gli consentirà di ottenere dal creditore pigno-rante un quadro della situazione.

Se, per contro, la dichiarazione del terzo manchi, anche se il pigno-ramento ha un grado di specificità tale da consentire l’applicazione della regola della non contestazione, non riterrei che si possa considerare come avvenuto positivamente nei confronti di quel terzo, nei termini indicati dal creditore procedente. Tale effetto è ricollegato alla mancata comparizione dell’udienza che verrà fissata ad hoc: sicché prima che ciò si verifichi, il pignoramento effettuato presso quel terzo dovrà essere ritenuto negativo.

Naturalmente la modificazione della regola di competenza non com-porta necessariamente che i pignoramenti verso vari terzi siano proposti nell’ambito di un’unica espropriazione. Qualora ricorra una tale eventualità, troverà pur sempre applicazione la regola dell’art. 546, 2° comma, c.p.c., ma competente per la richiesta riduzione del cumulo – laddove non vi siano gli estremi per la riunione – sarà ognuno dei giudici che siano investiti delle

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relative procedure. Mi sembra, infatti, che anche qui debba applicarsi la re-gola che si ritiene utilizzabile nel caso di cumulo eccessivo di mezzi di espropriazione disciplinato dall’art. 483 c.p.c., qualora manchi un giudice investito dell’espropriazione immobiliare. L’attribuzione di detta competen-za concorrente impone, da un lato, che, una volta proposta la domanda di riduzione a un giudice fra quelli competenti, gli altri si dichiarino incompe-tenti rispetto alle eventuali richieste di riduzione che venissero loro propo-ste; e, dall’altro, che, una volta rifiutata la richiesta riduzione, ogni nuova richiesta debba essere indirizzata al giudice precedentemente adito. Ciò vuoi perché il potere di scelta, una volta esercitato, deve ritenersi consumato, vuoi perché solo il giudice che ha emesso un provvedimento è legittimato a revocarlo o modificarlo, configurandosi la nuova richiesta di riduzione qua-le istanza di modifica o revoca del precedente provvedimento.

Quanto alla riunione di pignoramenti di crediti, essa non è incisa di-rettamente dalla nuova regola di competenza contenuta nel comma 2° dell’art. 26-bis c.p.c. Piuttosto il regime della riunione non è stato adegua-tamente coordinato con il principio del riconoscimento tacito.

L’art. 550, comma 1°, c.p.c. fa infatti carico al terzo d’indicare i pi-gnoramenti presso di lui effettuati. Nel momento in cui trovi applicazione la regola del riconoscimento tacito, sicché l’obbligo del terzo è meramente presunto, l’indicazione circa gli eventuali preesistenti pignoramenti farà difetto. Con la conseguenza che più procedure sugli stessi beni potranno svolgersi separatamente, fino a giungere al relativo epilogo, rappresentato dall’assegnazione del medesimo bene in favore di creditori diversi.

V’è da domandarsi se, in questo caso, il terzo possa essere ritenuto responsabile per i danni conseguenti alla mancata indicazione dei pignora-menti precedentemente effettuati. Tradizionalmente si riteneva che la re-sponsabilità del terzo non discendesse dalla mancata dichiarazione, ma dalla sua incompletezza, laddove fosse stata resa, ma fosse mancata l’indicazione dei pignoramenti precedentemente effettuati. In questa prospettiva, il fatto che la dichiarazione sia mancata totalmente, fa venir meno il presupposto della responsabilità. Questa conclusione, peraltro, potrebbe essere messa in discussione oggi, qualora si ritenga che ormai, dal complesso delle norme riformate, discenda un preciso obbligo giuridico del terzo di rendere la pro-pria dichiarazione. Se si condivide questa premessa, anche la totale omis-sione della dichiarazione potrebbe essere ritenuta produttiva di danno, nella prospettiva che qui interessa, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

8. Le modalità secondo le quali il terzo deve rendere la propria di-

chiarazione sono state grandemente semplificate dalla riforma del 2014. Mentre a seguito della riforma del 2012 essa doveva essere resa con

forme diverse a seconda del tipo di credito pignorato, di lavoro oppure no, oggi la dichiarazione del terzo va sempre resa con identiche modalità. Infat-ti, andrà sempre effettuata in forma scritta e trasmessa mediante raccoman-

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data con avviso di ricevimento o posta elettronica certificata. Si evita, così, ogni tipo di imbarazzo al debitor debitoris, che non è più costretto a proce-dere ad una valutazione relativamente alla natura del proprio obbligo per individuare le modalità secondo cui rendere la propria dichiarazione.

Da questo punto di vista, come da quello, più generale, della sempli-ficazione degli obblighi del terzo, la modifica appare apprezzabile non co-stringendo più, in nessun caso, detto soggetto a partecipare all’udienza per rendere la propria dichiarazione.

Venendo al contenuto della dichiarazione, non vi sono state novità in argomento. Va solo precisato che la dichiarazione è richiesta anche nel caso non si debba nulla o siano colpiti solo dei crediti impignorabili, per evitare che possa trovare applicazione la regola della non contestazione.

Quanto al problema se la dichiarazione del terzo debba essere auten-ticata o meno – problema che si pone anche laddove venga inoltrata per po-sta certificata, non essendo richiesta la sottoscrizione digitale - mi sembra da risolvere negativamente. Il fatto che il legislatore non abbia previsto nulla sul punto, neppure in sede di riforma, legittima tale conclusione. Se poi sai aggiunge che lo spirito di molte delle riforme degli ultimi anni è stato quello di alleggerire gli oneri gravati sul terzo, sarebbe contraddittorio imporgli un aggravio non da poco come quello di dover far autenticare la propria sotto-scrizione.

La dichiarazione del terzo va resa entro dieci giorni dalla notifica-zione del pignoramento, termine pacificamente ordinatorio. Ne consegue che tale dichiarazione potrà validamente essere trasmessa anche in un mo-mento successivo, anche se, per essere rilevante ai fini della procedura ese-cutiva, dovrà essere resa in tempo utile per l’udienza fissata ex art. 543, 2° comma, n. 4, c.p.c.

Non vedrei, però, difficolta a ritenere valida la dichiarazione non ef-fettuata per posta, ma resa direttamente alla suddetta udienza, alla luce del generale principio del raggiungimento dello scopo.

Più dubbio è se la dichiarazione inviata a mezzo posta, dopo che il giudice ha fissato l’udienza ad hoc per la dichiarazione del terzo, sia idonea ad evitare l’applicazione della regola della non contestazione. La risposta mi sembra dover essere negativa, in quanto l’esclusione del riconoscimento tacito è ancorato ad una ben precisa fattispecie, che postula la comparizione personale del terzo e la sua dichiarazione apud iudicem, che non è equipol-lente alla semplice dichiarazione inoltrata a mezzo posta.

La scomparsa dell’udienza in cui il terzo doveva rendere la propria dichiarazione e la sostituzione della stessa con la comunicazione a mezzo posta, porta, infine, ad interrogarsi sul momento perfezionativo del pigno-ramento. Infatti, ante riforma, l’udienza, cui anche il terzo era citato a com-parire ancorché avesse facoltà di rendere la propria dichiarazione per iscrit-to, rappresentava, secondo la communis opinio, anche il momento perfezio-nativo del pignoramento (almeno quando non sorgevano contestazioni sulla

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sua dichiarazione), dato che a tale udienza il debitor debitoris aveva l’obbligo di comparire per integrare la propria dichiarazione, se necessario.

Scomparso – nel quadro dello svolgimento fisiologico dell’espro-priazione presso terzi - questo adempimento, è lecito domandarsi in quale momento il pignoramento si perfezioni.

Sicuramente non si può assumere come momento perfezionativo, quello della sua notificazione: l’art. 546, 1° comma, c.p.c., stabilisce, infatti, che esso si estende anche alle somme che pervengono sul conto corrente pignorato successivamente al suo compimento. Ma se questa soluzione è da escludersi, lo è parimenti che il pignoramento si perfezioni con la dichiara-zione del terzo.

Anche questa tesi, infatti, non convince, quando si consideri che tale dichiarazione deve essere resa in uno spazio di tempo variabile, da uno a dieci giorni successivi al pignoramento: appare singolare che possa essere il terzo a dare rilevanza, ai fini del processo esecutivo, alla situazione esistente in un certo momento, piuttosto che in un altro. Da questo punto di vista, un terzo negligente, che ritardi la propria dichiarazione oltre i termini fissati dal legislatore, finirebbe coll’essere benemerito nella prospettiva del pignorante, perché permetterebbe al pignoramento di colpire anche somme che magari sopravvengono a distanza di tempo. Questa conclusione è, d’altra parte, avvalorata dal rilievo che la dichiarazione del terzo non è inviata all’ufficio, ma al creditore procedente: con la conseguenza che essa appare viepiù ini-donea a rappresentare il momento di perfezionamento del pignoramento, non essendo neppure certo che giunga all’attenzione del giudice.

Escluso dunque che il perfezionamento del pignoramento possa coincidere con un evento puramente accidentale, com’è la comunicazione in questione, incerta sia nell’an (potendo la stessa non venir resa), sia nel quando (essendo variabile il momento in cui sarà, eventualmente, resa), sia nella sua idoneità a pervenire all’ufficio giudiziario, non resta che cercare un altro momento che possa rilevare ai nostri fini.

Da questo punto di vista, non si può trascurare che il terzo potrà es-sere chiamato a comparire avanti al giudice in un duplice momento succes-sivo a quello previsto per la sua dichiarazione per posta: all’udienza apposi-tamente fissata perché renda la sua dichiarazione ex art. 548 c.p.c., quando in precedenza questa sia mancata, oppure a quella fissata ai sensi dell’art. 549 stesso codice, qualora sorga contestazione sulla sua dichiarazione. In realtà, è solo con quest’ultimo adempimento che il pignoramento sarà per-fetto, nel senso della compiuta individuazione del suo oggetto.

Il terzo, conseguentemente, sarà tenuto a dare conto della situazione debitorea che sussisterà in relazione a quest’ultimo momento, sempre che la conclusione del procedimento non si realizzi prima. Conseguentemente il terzo sarà costituito custode di tutte le somme che saranno da lui dovute fino a tale momento e della mutata situazione dovrà dare notizia al creditore pro-cedente, con successiva dichiarazione, prima dell’udienza fissata ai sensi

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dell’art. 543, comma 2°, n. 4, c.p.c., a lui nota, benché nella stessa non sia tenuto più, oggi, a comparire Se poi il processo esecutivo si protrae ulte-riormente, anche il dovere di custodia si estende parallelamente, mentre le dichiarazioni integrative, a questo punto, potranno essere rese alle udienze in cui anche il terzo deve comparire.

Da questo punto di vista, la mutata articolazione dell’espropriazione presso terzi non conduce a risultati diversi da quelli tradizionali.

9. L’ultimo profilo da esaminare concerne le nuove regole in materia

di pignorabilità delle pensioni e degli stipendi. Cominciando dalle prime, esse sono state a lungo impignorabili, fino

a quando la Corte Costituzionale, con una serie di pronunzie (14), ha pro-gressivamente caducato i vari limiti in proposito esistenti; sicché le pensioni sono divenute pignorabili, rimanendo però incerta la misura in cui era pos-sibile sottrarle all’attività esecutiva (15).

Con la riforma del 2015 il legislatore ha introdotto una soglia entro la quale le pensioni e le indennità equiparate (la previsione normativa è mol-to ampia e sembra applicabile ad ogni tipo di erogazione di quiescenza) so-no assolutamente impignorabili; per la parte che eccede tale soglia esse, invece, sono pignorabili nei limiti previsti dell’articolo 545, commi 3°/5°, c.p.c., nonché dalle speciali disposizione di legge esistenti in materia (16).

Il limite entro cui la pensione è assolutamente impignorabile varia periodicamente, essendo rapportato all’importo dell’assegno sociale, che appunto viene determinato ogni anno. Attualmente questo assegno, discipli-nato dall’art. 3, commi 6° e 7°, l. 8 agosto 1955, n. 335, è pari, per l’anno 2016, ad € 448,07 mensili, corrisposti per 13 mensilità, per un ammontare complessivo di € 5.824,91 (17), sicché la somma assolutamente impignorabi-le è pari ad € 672,10.

Solo la parte della pensione «eccedente tale ammontare», come reci-ta il comma 7°, ultima parte, dell’art. 545 c.p.c., è suscettibile di essere pi-gnorata, ma, per espressa previsione di legge, esclusivamente nei limiti posti dai commi 3°, 4° e 5° dell’articolo in esame e dalle speciali disposizioni di

(14) Corte cost. 30 novembre 1988, n. 1041, 22 dicembre 1989, n. 572, 22 novembre 2002, n. 468 e, soprattutto, 4 dicembre 2002, n. 506 (quest’ultima, unitamente alla, di poco prece-dente, sentenza 468/2002, si può leggere in Riv. esec. forzata 2003, 170). (15) In proposito la giurisprudenza (v., da ultimo, Cass. 26 agosto 2014, n. 18225) afferma-va che «in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la deter-minazione del c.d. minimo vitale, ben può il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso (e non dovendo necessariamente fare riferimento all'impor-to di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso ente erogatore, come invero sostenuto dall'odierno ricorrente), pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita». (16) Le regole di pignorabilità previste dalle leggi speciali prevalgono, in quanto tali, sul regime generale, rappresentato dai predetti commi 3°, 4° e 5°. (17) V. circolare INPS 31 dicembre 2015, n. 210.

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legge. Ciò comporta che la quota della pensione eccedente l’importo pari all’assegno sociale mensile aumentato della metà – se non esistono delle specifiche disposizioni di legge in diverso senso - sarà pignorabile: a) per crediti alimentari, nella misura stabilita dal presidente del tribunale (art. 545, comma 3°, c.p.c.); b) per altri crediti, nella misura di un quinto (art. 545, comma 4°, c.p.c.). Nel caso, poi, di simultaneo concorso delle ipotesi indi-cate precedentemente, il pignoramento non potrà eccedere la metà dell’importo residuo della pensione, calcolato al netto di una somma pari all’assegno sociale mensile aumentato della metà (art. 545, comma 5°, c.p.c.).

Questa regola vale, però, nei limiti in cui la pensione non sia corri-sposta mediante accredito in conto corrente. Quando il pagamento avviene con queste modalità, il regime dell’impignorabilità è parzialmente diverso. Bisogna, infatti, distinguere tra le somme già esistenti sul conto al momento del pignoramento e quelle che, in un momento successivo, vi verranno ac-creditate a tale titolo.

Cominciando dalla prima ipotesi – somme già esistenti sul conto al momento del pignoramento – va preliminarmente detto che la regola di im-pignorabilità vale anche per gli stipendi e redditi equiparati, pagati secondo le anzidetta modalità. L’art. 545, comma 8°, c.p.c., menziona, infatti, espressamente, oltre agli stipendi, anche i salari o le altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licen-ziamento, sicché la sua previsione, particolarmente ampia, deve ritenersi estesa a tutti i compensi che derivano dal rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto, vuoi in considerazione del suo carattere di re-tribuzione differita, vuoi argomentando analogicamente dalle indennità do-vute a causa di licenziamento.

Orbene, quando la pensione o lo stipendio vengono accreditati in conto, le somme ivi esistenti sono impignorabili nei limiti del triplo dell’assegno sociale.

La peculiarità di questa nuova previsione normativa deriva dal fatto che il credito che viene in gioco non è più, all’atto del pignoramento, un credito pensionistico o di lavoro, visto che con l’accredito in conto della retribuzione o della pensione l’ente erogatore di questa o il datore di lavoro hanno adempiuto alla loro prestazione verso l’esecutato, mentre debitore è divenuto, in ragione del contratto di deposito in conto corrente, l’ente banca-rio o postale con cui è intrattenuto tale rapporto. Peraltro, la circostanza che le somme esistenti sul conto abbiano, almeno in parte, origine retributiva o pensionistica, è stata evidentemente considerata dal legislatore, che si è in-dotto a stabilirne, sulla base di una regola presuntiva, la parziale impignora-bilità, com’era per il credito che l’esecutato vantava originariamente verso il datore di lavoro o l’ente erogatore della pensione, presso il quale tali crediti non sarebbero stati pignorabili che in parte.

L’art. 545, comma 8°, c.p.c. sancisce che le somme corrisposte a ti-

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tolo di stipendio o pensione, «nel caso di accredito su conto bancario o po-stale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento».

Quindi tre sono i parametri che vengono in questione: deve trattarsi di somme accreditate su un conto intestato al debitore; dovute a titolo di stipendio o pensione; l’impignorabilità vale fino al triplo dell’assegno socia-le.

In primo luogo, il conto corrente deve essere «intestato al debitore», formula che pone l’interrogativo sul regime del conto laddove sia cointesta-to. L’applicabilità, però, della previsione sull’impignorabilità non sembra da escludersi neppure in questo caso. Da un lato, la lettera della norma non sembra preclusiva: essa, infatti, si limita a chiedere che il conto sia «intesta-to» al debitore, non dice che detto conto debba essere intestato solo al debi-tore (e un conto cointestato è intestato anche al debitore). Dall’altro, sussi-stono, anche in caso di cointestazione, le medesime esigenze di salvaguardia che valgono con riguardo al conto con unico titolare.

Ovviamente, dato che le quote dei vari creditori si presumono uguali, ex artt. 1298, comma 2°, e 1854 c.c., l’impignorabilità andrà computata solo sulla quota di spettanza del soggetto che ha disposto l’accredito della pen-sione o della retribuzione.

Parimenti non mi sembra ostativo all’applicabilità della regola di impignorabilità in questione il fatto che non si tratti di un conto corrente «dedicato» esclusivamente al mero incasso della pensione piuttosto che del-lo stipendio, ma di un conto su cui confluiscono anche rimesse che hanno un diverso titolo. Ciò vuoi in difetto di ogni diversa indicazione legislativa, vuoi per il fatto che le esigenze che hanno indotto a dettare la norma in que-stione sono identiche nelle due situazioni.

Maggiori dubbi suscitano i limiti dell’impignorabilità. Questa è san-cita con riguardo a «le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre in-dennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengo-no luogo di pensione, o di assegni di quiescenza». In realtà, a seguito dell’accredito in conto non vi sono più somme «dovute» a tali titoli, essendo il debito ormai discendente dal rapporto di deposito in conto corrente, ma semmai somme «versate» in ragione di tali titoli.

Il rilievo non è meramente semantico: ci si può chiedere, infatti, se qualora sul conto, in cui affluiscono rimesse anche di altro tipo, gli introiti per stipendi/pensioni siano stati inferiori al limite presuntivo di impignorabi-lità, questa si estenda anche alle somme versate per altro titolo, fino al rag-giungimento di detto limite, oppure debba essere circoscritta all’importo effettivamente accreditato per stipendi o pensioni. La soluzione sarebbe probabilmente in quest’ultimo senso, se si parlasse di somme «versate» per i predetti titoli, mentre appare più dubbia alla luce della formulazione adottata

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dal legislatore, che non ha un preciso significato giuridico, non esistendo più somme «dovute» a titolo di pensione/retribuzione.

In questo quadro, pare preferibile ritenere che il limite quantitativo introdotto dalla norma in esame operi automaticamente fino al massimo del suo importo, indipendentemente dall’ammontare delle rimesse affluite sul conto a titolo di stipendio/pensione. Induce a questa conclusione vuoi il ri-lievo che diversamente si finirebbe per operare un’inammissibile differen-ziazione con l’ipotesi in cui le rimesse per retribuzione/pensione, pur supe-rando nel loro ammontare complessivo la soglia d’impignorabilità, in realtà non esistano più, ad es. per essere state sistematicamente prelevate subito dopo il loro accredito, situazione che però non impedisce all’impignorabilità di operare; vuoi la considerazione che il terzo chiamato a rendere la propria dichiarazione, se dovesse ricostruire le causali dei singoli accrediti, si trove-rebbe in grave difficoltà, in considerazione del fatto che sovente non ha evi-denza degli stessi.

In sostanza, mi pare che il legislatore abbia sancito una regola di im-pignorabilità che inerisce ad ogni conto corrente per il semplice fatto del-l’accredito su di esso della pensione/stipendio, indipendentemente dall’ori-gine dei fondi esistenti sul conto.

Sempre con riferimento ai limiti dell’impignorabilità, ne appare dub-bio anche l’esatto ammontare. Il comma 8° dell’art. 545 c.p.c. parla, in pro-posito, di «importo eccedente il triplo dell’assegno sociale», ma, a differen-za della previsione contenuta nel comma precedente, che si riferisce all’importo «mensile» dell’assegno sociale, qui nulla si dice sul periodo da assumere come base per il computo. L’opinione dei primi commentatori è che si tratti del triplo dell’assegno sociale mensile. Considerando, peraltro, che l’art. 3, comma 6°, l. 8 agosto 1995, n. 335, determina l’assegno sociale su base annua, mi sembra più corretto assumere questo importo per il com-puto del limite in questione. A mio avviso, dunque, la somma impignorabile è pari al triplo dell’assegno sociale spettante su base annua.

Passando, ora, alla situazione che si verifica con riguardo alle somme che sopravvengono sul conto corrente successivamente al pignoramento (o in pari data), il regime di pignorabilità è più semplice, perché l’origine di tali rimesse è chiaramente individuabile. In conseguenza il predetto comma 8° stabilisce che a tali somme si deve applicare la disciplina prevista in via generale in ragione della loro origine.

Ne consegue che le somme accreditate in conto, a titolo di pensione o assimilati, in data coincidente con quella del pignoramento o in un mo-mento successivo a questo, saranno pignorabili nei limiti dettati dai commi 3°, 4°, 5° e 7° dell’art. 545 c.p.c.; le somme dovute a titolo di stipendio o assimilati, saranno pignorabili nei limiti ordinari, dettati dai commi 3°, 4° e 5° dell’articolo predetto; le rimesse effettuate per titoli diversi da quelli so-pra indicati saranno liberamente pignorabili, senza incontrare alcun limite.

Ne consegue che in caso di pignoramento del saldo di un conto cor-

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rente, su cui, successivamente, affluiscano delle somme a titolo di stipendio o pensione, si avrà una duplicità di masse pignorate: da un lato, le somme esistenti sul conto precedentemente del pignoramento, le quali saranno og-getto di impignorabilità nei limiti del triplo dell’assegno sociale annuo, se su quel conto viene accreditato lo stipendio o la pensione dell’esecutato; dall’altro, le somme sopravvenute al pignoramento, che saranno soggette alla regola d’impignorabilità conseguente alla loro origine.

L’ultimo quesito da porsi concerne le caratteristiche che deve avere l’accredito in conto della pensione o dello stipendio per giustificare l’ap-plicazione delle disciplina posta dal comma 8° dell’art. 545 c.p.c. Se, infatti, tale accredito è in corso al momento del pignoramento, nessun dubbio è possibile circa l’applicabilità delle regole di impignorabilità sopra esamina-te. Più dubbia, invece, è la situazione in cui l’accredito della pensione o del-lo stipendio vi sia stato in passato, ma sia cessato all’atto del pignoramento.

Il tenore letterale della norma farebbe pensare che l’accredito debba essere ancora in corso all’atto del pignoramento, atteso il duplice riferimen-to al regime ante e post pignoramento, ma l’espressa menzione anche delle somme che sono corrisposte occasionalmente, quali le indennità dovute a causa di licenziamento, gioca in senso contrario, legittimando la tesi secon-do la quale, laddove vi sia stato l’accredito di una somma per tale titolo, sussista comunque l’impignorabilità nei limiti di cui si è detto.

Il problema, a mio avviso, va risolto tenendo conto delle possibilità operative del terzo chiamato a rendere la dichiarazione e ad applicare le nuove regole di custodia, ex art. 546, comma 1°, ultima parte, c.p.c.

Da questo punto di vista, è preferibile limitare la regola sull’impignorabilità delle somme giacenti in conto al solo caso di disposi-zione di accredito esistente all’atto del pignoramento. Se si accogliesse la contraria soluzione, infatti, il terzo sarebbe posto davanti ad un compito estremamente arduo, se non impossibile, dato che, da un lato, gli estratti conto non sempre riportano le causali degli accrediti e, dall’altro, non devo-no essere conservati, al pari della documentazione concernente le singole operazioni, per il periodo eccedente il decennio (arg. ex art. 119, ult. com-ma, T.U.B.). Sicché, dovendo la disposizione in esame essere interpretata in sintonia con gli obblighi introdotti dal predetto art. 546, comma 1°, c.p.c. - che ne riproducono il contenuto, sub specie degli obblighi di custodia del terzo - non può che essere intesa nei limiti in cui impone un obbligo ragio-nevole da adempiersi da detto soggetto.