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n. 228 della rivista Accademia Italiana di Cucina, anno 2011, mese GiugnoSe vi piace queso numero della rivista acquistatelo oppure sottoscrivete un conveniente abbonamento annuale.

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CIVILT TAVOLADELLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

LACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

www.accademia1953.it

N. 228, GIUGNO 2011 / MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA

ISSN 1974-2681

S O M M A R I O

CARI ACCADEMICI...

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Tradizione tra verit e menzogna (Giovanni Ballarini)

EDITORIALEEsperienza e cultura a tavola (Gianni Franceschi)

CULTURA & RICERCA

LACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI E DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO, CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DON DALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA, ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE, GIAN LUIGI PONTI, GI PONTI, DINO VILLANI, EDOARDO VISCONTI DI MODRONE, CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.

6 Un legume speciale (Giancarlo Burri) 7 Premio Orio Vergani 8 Gli arancini di Camilleri (Silvia De Lorenzo) 10 Cinquemila Ricciardi) anni divini (Francesco 11 La torta di Gasparro) Mazzini (Gabriele 13 Il cavolo Pelle)ricette nelle (Alfredo 16 InventarioChiesa e gastronomico (SilvanaAlessandra Ferrari)

24 Morbida spongada (Ippolita Chiarolini) 25 La strega pastizzera (Pino Jubatti) 27 La malail aurea ovvero pomodoro(Publio Viola)

33 A tavola non si invecchia (Giovanni Frad) 34 Il risottoEmilio Gadda) giallo (Carlo 36 Lagriturismo in Italia (Antonio Ravid) 37 Un talento Pisani)vulcano sotto il (Massimo 38 Baccal,Nobili) equilibrato un cibo (Fabio 39 Quandoalilmercato bestiame andava(Aldo Focacci)

I NOSTRI CONVEGNI

29 ePalummi, favuzzi panareddi(Concetto Scandurra)

14 Lolio della costa (Elizabeth Riani) 15 Archestrato di Gela (Ina Ciotta)GAZZETTA UFFICIALE

30 La cucina diZangh) bordo (Antonino 31 Le primavera erbe spontanee di(Mario Stramazzo)

41 Le ricette di famigliaSICUREZZA & QUALIT

18 Il cibo del soldato nel Risorgimento(Franco Apicella)

42 LeucarestiaGasparro) per i celiaci (GabrieleLE RUBRICHE4 12 28 43 44 45 63 65 78 Calendario accademico Ricette dAutore Accademici in primo piano Notiziario In libreria Vita dellAccademia Carnet degli Accademici Dalle Delegazioni International Summary

20 Consapevolezza della tradizione(Donato Pasquariello)

22 Potager royal della Venaria (Elisabetta Cocito) 23 Agnello s,deconiglio no (Marino Medici)

La copertina: particolare de La colazione (1868) di Claude Monet (Stdel Museum di Francoforte), esposto a Roma, Palazzo delle esposizioni, via Nazionale 194, fino al 17 luglio prossimo nellambito della mostra 100 capolavori dallo Stdel Museum di Francoforte. Impressionismo, Espressionismo, Avanguardia. unopera fondamentale dellarte pre-impressionista del pittore francese. In una casa parigina - Monet era nato e viveva nella capitale - una mamma e il suo bambino sono davanti alla tavola imbandita. Si tratta del pranzo (il titolo originale del dipinto infatti Le djeuner e non Le petit djeuner che avrebbe indicato la colazione della mattina). Certo che, in primo piano, sembrerebbe che sia il giornale del mattino ad attendere il capofamiglia accanto al suo posto ancora vuoto; ma in tavola c di tutto: uova alla coque, la terrina del burro, pane, frutta, verdura, le ampolle dellolio e dellaceto, e perfino la bottiglia del vino. La signora se n gi versato un mezzo bicchiere: difficile che sia di mattina.

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CONSIGLIO DI PRESIDENZAPRESIDENTE Giovanni Ballarini VICE PRESIDENTE VICARIO Severino Sani VICE PRESIDENTE Benito Fiore SEGRETARIO GENERALE Paolo Petroni TESORIERE Giuseppe De Martino ATTIVIT EDITORIALI E DI COMUNICAZIONE (Segretario del Consiglio di Presidenza) Paolo Basili RAPPORTI CON LE DELEGAZIONI IN ITALIA (NORD E CENTRO) Giovanni Fossati RAPPORTI CON LE DELEGAZIONI IN ITALIA (SUD) Mimmo DAlessio RAPPORTI CON LE DELEGAZIONI ALLESTERO Maurizio Moreno

CONSULTA ACCADEMICAGiovanni Ballarini (Parma), Paolo Basili (Roma), Leonardo Bianchi (Napoli), Cesare Bisantis (Padova), David Mario Bixio (Tigullio), Maurizio Campiverdi (Bologna-San Luca), Gianni Carciofi (Cervia), Umberto Cenni (Imola), Franco Cocco (Empoli), Sergio Corbino (Penisola Sorrentina), Mimmo DAlessio (Chieti), Carlos Victor Dana (Ferrara), Giuseppe De Martino (Nola), Giuseppe Di Lenardo (Udine), Annabella Di Montaperto (Barcellona), Benito Fiore (Londra), Giovanni Fossati (Milano Brera), Mauro Magagnini (Ancona), Luigi Marini (Teramo), Lucio Messina (Palermo), Maurizio Moreno (Roma Nomentana), Aurelio Pappalardo (Bruxelles), Berardo Paradiso (New York Soho), Elena Pepe (Milano), Paolo Petroni (Firenze), Concetta Maria Princi Lupini (Reggio Calabria), Severino Sani (Ferrara), Mario Ursino (Catania), Giorgio Z (Pinerolo), Beppo Zoppelli (Treviso) Segretario della Consulta: Giovanni Fossati

COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTIPresidente: Roberto Ariani (Firenze) Revisori effettivi: Antonio Bertani (Roma Valle del Tevere - Flaminia), Teresa Perissinotto (Treviso) Revisori supplenti: Sergio Gristina (Livorno), Giuseppe Bernoni (Milano Brera)

COLLEGIO DEI PROBIVIRIPresidente: Maria Giuseppina Truini Palomba (Rieti) Probiviri effettivi: Nemo Cuoghi (Padova), Francesco Salvatore Rapisarda (Caltagirone) Probiviri supplenti: Corrado Piccinetti (Pesaro-Urbino), Tamara Diomede (Bruxelles)

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Tradizione tra verit e menzognaDI GIOVANNI BALLARINI Presidente dellAccademia

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Noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero, ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare.

ari Accademici, stiamo vivendo lautunno della bicentenaria cucina borghese, nata dalle ceneri della grande cucina rinascimentale dellAncien rgime, spazzata via dalla rivoluzione della fine del secolo XVIII e con il suo fastigio durante la Belle poque. Una cucina, quella borghese, che in Italia si evoluta affondando solide radici nelle tradizioni popolari regionali e per suoi aspetti descritta e quasi codificata da Pellegrino Artusi. Nellattuale periodo di transizione postmoderna che interessa anche la cucina, nella quale vediamo molti nuovi che avanzano, la nostra Accademia si trova a dover svolgere il non facile compito di tutelare i valori delle tradizioni delle cucine regionali e al tempo stesso, conoscendo il presente, contribuire a una costruzione della cucina futura, anche attraverso la critica gastronomica. Una costruzione del futuro che non pu dimenticare i consolidati valori passati. La tutela della tradizione non deve significare imbalsamarla o relegarla in un museo morto e immobile, come sta per esempio avvenendo nei numerosi musei della civilt contadina, e neppure considerare i lasciti e le manifestazioni tradizionali quali giacimenti (giacimenti enogastronomici). Un grave pericolo infatti, anche per la cucina, quello di trasformarla in un museo, mentre bisogna mantenerla viva, promuovendone e favorendone il miglioramento, come la nostra Accademia sostiene e opera fin dalla sua fondazione. Tutelare le tradizioni non significa neppure mantenere prodotti o riprodurre e ripetere pi o meno antiche ricette fini a se stesse, ma renderle attuali e fruibili da strati di popolazioni compatibili con le caratteristi-

che stesse del prodotto o della preparazione, e questo anche attraverso una loro intelligente interpretazione e un restauro conservativo filologicamente corretto e non sempre facile. Vi sono, infatti, casi nei quali la diffusione di prodotti o ricette tradizionali pu essere molto ampia, pensiamo alle paste di cui lItalia divenuta celebre e per diversi aspetti ben diverse da quelle di cinquanta, cento anni fa. In altri casi vi sono dei limiti di produzione oltre i quali vi uno snaturamento del prodotto, come avviene per molti dei formaggi definiti di nicchia. Tradizioni quindi che oggi, necessariamente, possono essere per molti o moltissimi, ma anche per pochi. Ma non vi solo questo problema. Ben pi importante il rapporto che nella tutela della tradizione vi tra una memoria veritiera e unarte gastronomica che pu essere anche menzognera. Questione non nuova e di ogni arte, ben ritratta dal mito antico delle Muse, ideale supremo dellArte, di cui erano patrone. Alle nove Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine, la memoria, possiamo aggiungerne una decima, Gasterea, musa dellarte della cucina, ispiratrice e protettrice della nostra Accademia, e che dal padre trae lintelligenza e dalla madre il culto della tradizione. Che la cucina e in particolare quella alta o gastronomica sia arte indubbio. Arte significa un valore, un grande valore, una verit, ma al tempo stesso arte pu anche significare travisamento, camuffamento, travestimento e quindi menzogna. Sempre nellarte, e quindi in cucina, vi sono due tendenze: quella della semplicit e di unarte minimalista che mette in luce le caratteristiche intime e miglio-

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ri dei singoli alimenti, e laltra, di unarte barocca della trasformazione pi spinta con lo scopo di nascondere la natura degli alimenti e orientata a meravigliare e stupire il consumatore. Una cucina del vero e della menzogna, quindi, si potrebbe dire, spesso in contrapposizione, che ritroviamo nella cucina tradizionale e in quella innovativa. Una dicotomia che la critica gastronomica non pu trascurare, anche se origine di dubbi, ma soprattutto di discussioni e di dispute che, a ben vedere, sono anti-

che quanto la nostra cultura. Gi in uno dei pi antichi testi della nostra civilt, la Teogonia di Esiodo, pi o meno coevo di Omero e autore del primo libro di tecnologia Le opere e i giorni, si pone in modo chiaro il problema del vero e del falso nellarte, mettendolo nel canto delle Muse che allunisono ci dicono: Noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero, ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare (Esiodo, Teogonia, incipit, 27-28[3]). Menzogne simili al vero sono oggi

cantate anche in cucina, dove coloranti e aromi artificiali a volte paiono pi reali e credibili del vero. Altra menzogna simile al vero la vediamo nella freschezza degli alimenti e delle preparazioni alimentari, prolungata oltre il naturale, e per tante altre caratteristiche, per non parlare delle tradizioni tradite e inventate. Cerchiamo quindi di fare in modo che anche la nostra cucina italiana continui a cantare il vero.

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CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2011GIUGNO2 giugno - Nuoro Convegno Su Pitzudu: longevit e cucina della tradizione di Ovodda 4 giugno - Pisa-Valdera Convegno 150 anni di Unit. Lalimentazione: cultura e storia di un popolo 9-12 giugno - Budapest Convegno Specificit e diversit della cucina italiana a 150 anni dallUnit dItalia 11 giugno - Vigevano Convegno Pepe rosa 15-18 giugno - Siracusa Escursione e incontro con la Delegazione di Stoccolma 24 giugno - Campobasso Convegno Pellegrino Artusi, luomo che un lItalia a tavola 24-26 giugno - Isernia III edizione del premio Allium cepa IV edizione del premio Molisani allestero Decennale della Delegazione 25 giugno - Venezia-Mestre Venticinquennale della Delegazione 2-4 settembre - Pollino-Policastro Inaugurazione della Delegazione a Maratea 9-11 settembre - Maremma-Presidi Convegno a Saturnia Maremma: terra di sapori forti e di briganti 10-11 settembre - Pescara Convegno Lacqua: risorsa per lambiente ed elemento essenziale per gli alimenti e per la cucina 15 settembre - Udine Convegno La cucina friulana dopo lUnit dItalia 17-18 settembre - Ancona Verdicchio doro a Staffolo 24 settembre - Gorizia Convegno La cucina mitteleuropea a Gorizia 24-25 settembre - Modena Convegno Aceti balsamici di Modena. Usi e abusi 24-25 settembre - Vercelli Cinquantennale della Delegazione Convegno Il risotto di Cavour 25 settembre - Cento Citt del Guercino Quarantennale della Delegazione 15 ottobre - Lariana Cinquantennale della Delegazione Convegno Cinquanta - Cento Centocinquanta 20 ottobre - Cena ecumenica La cucina della frutta 20 ottobre - Bergamo Cinquantennale della Delegazione 20 ottobre - Pisa IV edizione del premio al miglior allievo dellIpssar Matteotti di Pisa 22 ottobre - Trapani Convegno I venti piatti che hanno unito lItalia: 150 anni... di cucina

NOVEMBRE5 novembre - Prato Venticinquennale della Delegazione 11-13 novembre - Siena-Valdelsa Decennale della Delegazione Convegno La cucina nellarte senese e toscana 19 novembre - Lodi Convegno La cucina in televisione 19 novembre - Padova Cinquantennale della Delegazione Convegno Aspetti sociali della cucina del Padovano dagli anni Sessanta a oggi Premio alla gastronomia che opera nel sociale

SETTEMBRE2 settembre - Campobasso Convegno Il Molise e lUnit dItalia: storia, fonti documentarie, arte, musica e gastronomia

OTTOBRE1-2 ottobre - Pisa Cinquantennale della Delegazione Convegno Sensi e gastronomia

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E D I T O R I A L E

Esperienza e cultura a tavolaDI

GIANNI FRANCESCHI

LAccademico consapevole del perpetuo rinnovarsi della tradizione.

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LA SCOMPARSA DI GIANNI FRANCESCHILa rivista era gi in stampa, quando arrivata la notizia che purtr oppo il Dir ettor e Gianni Franceschi era venuto a mancare. Daccordo con il Consiglio di Presidenza, che ha manifestato il suo cordoglio, la redazione ha deciso di lasciare cos comera lultimo numero da lui curato, compreso il suo editoriale. Nel numero di luglio renderemo, insieme a quanti vorranno ricordarlo, il dovuto omaggio al nostro Direttore.

resentando, sulla Domenica del Corriere, che era allora il settimanale pi diffuso in Italia, una manifestazione accademica prevalentemente culturale (una mostra di pittura dedicata allesaltazione della buona tavola), Orio Vergani scrisse: Gli Accademici non vantano il peccato della gola ma cercano di far ricordare che anche la frugalit pu essere saporita. Diventare Accademico non facile, ma ancor pi difficile comportarsi da Accademico. difficile e, forse, anche scomodo, perch gli Accademici, come i carabinieri, sono sempre in servizio. Ventiquattrore su ventiquattro. E la militanza non si esaurisce nei pranzi e nelle cene, o nella lettura frettolosa della rivista accademica, o nella presenza passiva a un convegno. Essere Accademico comporta pi doveri che diritti, pi impegni che disimpegni. LAccademico deve collaborare con il Delegato nellorganizzazione dellattivit sociale, specialmente in campo culturale. La partecipazione a una riunione conviviale non deve essere soltanto un rito mangereccio, ma una corretta e cosciente partecipazione improntata ai principi fondamentali di esperienza, ponderazione, accortezza, attenzione, avvedutezza, prudenza. Non bisogna infatti dimenticare che lAccademico consapevole di non sentirsi pregiudizialmente legato e collegato alla tradizione e, nello stesso tempo, percepisce con chiarezza che linnovazione non va respinta in quanto tale perch essa rappresenta il fondamento essenziale della trasformazione, quindi del perpetuo rinnovarsi della tradizione. La tradizione, infatti, qualcosa di mutevole, il frutto di un continuo affinamento, il risultato di tante sperimentazioni. Proviamo a pensare, per un momento, ai funghi. Prima di riuscire a capire quali

fossero mangerecci e quali no, luomo ha dovuto provare, spesso con il risultato di un mal di pancia ma talvolta anche sulla sua pelle, il fungo innocuo e quello che, subdolamente, rappresentava un pericolo pi o meno grave. Il cammino del fungo, che spesso indichiamo come esperienza, invece un esempio classico di quello che la tradizione in cucina. Per lAccademico diventa tradizione anche la presenza alla vita sociale e culturale, che sempre nuova e diversa. E, soprattutto, vocazione, passione, disponibilit, interesse ed entusiasmo. Se mancano questi elementi fondamentali lAccademico antico e quello nuovo non sono in sintonia con la filosofia e la prassi che costituiscono i presupposti culturali e morali del nostro sodalizio. Quando eravamo bambini, ci hanno insegnato che non si deve parlare a tavola. Cos a tavola parlavano solo i grandi. Niente di pi sbagliato. Avrebbero dovuto insegnarci che non si parla con il boccone in bocca. Cos, lAccademico deve accostarsi alla riunione conviviale conscio che quello il luogo deputato per la celebrazione dei principi accademici, primo fra tutti laderenza alla parola convivio, parola bellissima che ha la stessa radice di conversare, verbo latino (prima coniugazione, mi viene alla mente) che non significa chiacchierare ma trovarsi insieme. La conversazione, dunque, deve essere intesa come parte essenziale del convivio accademico, motivo importante e qualificante. Non per commentare o raccontare i fatti del giorno ma per uno scambio di opinioni, di giudizi su quello che si mangia o si beve, soprattutto su quello che si ascolta quando la riunione conviviale accompagnata da un discorso, da una relazione, da un commento culturale.

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Un legume specialeDI GIANCARLO BURRI Accademico di Padova

Rivalutare in cucina il lupino, ancora relegato sulle bancarelle di sagre e fiere paesane.

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nsalata di lupini e olive, lupini in salsa rossa, tritello di lupini e melanzane, crema di lupini al profumo di menta, capasanta su crema di lupini. Sono solo alcune proposte gastronomiche tradizionali, o rivisitate con un accento di modernit, che tentano di rivalutare una leguminosa un tempo conosciuta e apprezzata. Origini antichissime quelle del lupino: specie di lupino parzialmente addomesticato erano coltivate, gi 4.000 anni fa, sia nellarea del Mediterraneo che nelle zone andine del Sud America. Umilissimi tra i legumi, i lupini, detti therms, comparivano sotto forma di zuppe sulle tavole della Grecia contadina nellultimo giorno di ogni mese, con lo scopo di propiziarsi Ecate, dea dellOltretomba, e allontanare, cos, dalle case i fantasmi. Erano alla base della dieta dei filosofi cinici (Zenone, Diogene ecc.), e veni-

vano anche sgranocchiati, durante i simposi, insieme a ceci tostati, nocciole, mandorle, olive, polpettine, con la funzione di tamponare lo stomaco fra una bevuta e laltra. Tra tutti gli alimenti nessuno meno pesante e pi benefico dei lupini secchi. Cos Plinio, a testimonianza della popolarit del lupino nel mondo di Roma: perch lupini salati erano in vendita lungo le strade, lupini in salamoia costituivano una basilare base proteica dellalimentazione dei soldati romani (con questa dieta arrivarono fino in Britannia!), lupini come contorno anche nelle cene dei nobili (Satyricon: cena di Trimalcione). Lupini coltivati per il miglioramento del suolo, del pascolo; lupini utilizzati persino come falsa moneta nelle rappresentazioni dei comici. I semi delle variet antiche di lupino (Lupinus albus, - lupino bianco, la pi ancestrale) contenevano una serie di alcaloidi molto amari (lupanina, lupinidina, lupinina), che venivano rimossi mettendo a bagno i semi in acqua per pi giorni, prima del trattamento con salamoia, o per immersione prolungata in acqua di mare. Solo nel XX secolo, grazie alle ricerche dello scienziato tedesco von Sengbusch, le antiche specie sono state sostituite, nelle coltivazioni, da cultivar pi dolci, a basso contenuto di alcalodi (0,05%), come il lupino giallo (Lupinus luteus) il lupino azzurro (Lupinus angustifolius). Grazie alla sua composizione chimica, caratterizzata da proteine ad alto valore biologico (34-43% sul peso secco), lipidi grezzi (5,4-9,0%, con ottimo rapporto tra gli acidi grassi essenziali omega 3/omega 6), poco amido (0,72,2%), sali minerali (sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo), vitamine B1, B2, A, C, e fibra grezza (14-16,5%), il

lupino ha destato da sempre lattenzione della scienza, non solo sotto laspetto nutrizionale, ma anche sotto il profilo terapeutico. Da Ippocrate (antiglicemico, vermifugo) ad Avicenna (purgativo, antidiabetico), da Andrea Mattioli (antidispeptico) a Giuseppe Donzelli (stomachico, antianoressico), per citare gli autori pi noti. I semi di questo legume sono finiti, nel 2010, al centro di diverse ricerche in campo nutrizionale, con risultati decisamente molto interessanti. Secondo i ricercatori dellUnit di metabolismo-nutrizione del San Raffaele di Milano, per esempio, gli effetti insulinomimetici di una proteina vegetale presente nei lupini possono rappresentare un potenziale alleato nella cura del diabete di tipo 2, mentre - per il suo contributo nella regolazione della crescita muscolare - la stessa proteina potrebbe avere interessanti prospettive di applicazione come integratore alimentare e sportivo. Un recente studio, condotto in Polonia dal National food and nutrition institute di Varsavia su ipercolesterolemici alimentati con latte di lupino, ha evidenziato cali di colesterolo totale fino al 10%, e del colesterolo cattivo Hdl superiori al 12%. Ed ecco che in Germania ormai prossimo il lancio sul mercato di una salsiccia che soddisfa il palato ma che non fa ingrassare e porta altri benefici allorganismo, a base di proteine del nostro legume. Anche lindustria alimentare sta rivalorizzando le farine estratte dai lupini, perch, grazie allelevato potere emulsionante (naturale), permettono di migliorare la distribuzione dei vari ingredienti nella fase dellimpasto dei prodotti da forno e delle paste, oltre che conferire una colorazione giallo oro (naturale), molto apprezzata.

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Premio Orio VerganiLAccademia ha attribuito il premio Vergani 2011 ad Andrea Camilleri e a Luca Zingaretti, che impersona il commissario Montalbano nella serie televisiva.

ra i premi dellAccademia, rivolti a tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nel mondo della gastronomia, diffondendone i valori culturali e garantendone i principi, il Premio Orio Vergani il pi importante. Viene conferito a persone, enti

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o associazioni che, estranei allAccademia, abbiano grandemente onorato, con la loro attivit, la cultura gastronomica e la Civilt della Tavola italiana, in qualsiasi campo, in Italia o allestero. Questanno lAccademia ha voluto premiare, attraverso il personaggio del commissario Montalbano, il suo autore Andrea Camilleri e il suo interprete televisivo Luca Zingaretti. Tra le fiction televisive pi riuscite prodotte dalla Rai negli ultimi anni figura infatti, a buon diritto, la serie dedicata alle indagini del commissario Montalbano. Facile fare del buon cinema - si potrebbe dire - con a disposizione tutta quella gustosissima letteratura di base messa a disposizione da Andrea Camilleri con decine di storie scritte sul tema. Purtroppo non sempre cos; accade anzi spesso che una buona storia non venga tradotta sullo schermo con lincisivit che merita. In questo caso gli autori (tra cui lo stesso Camilleri), il regista (Alberto Sironi), gli interpreti (primo tra tutti Montalbano-Luca Zingaretti ma anche comprimari e caratteristi sempre allal-

tezza) hanno saputo offrire un prodotto cinematografico di qualit. Ma per lAccademia le storie di Montalbano sono interessanti in modo speciale perch pervase dal profumo della buona cucina. Quella cucina casereccia ma di qualit, fatta di dettati antichissimi, di corretta esecuzione, di sapore, che il personaggio Montalbano sembra amare forse pi delle sue indagini, forse pi di Livia, leterna fidanzata. Se la pasta ncasciata, quanno scomparse (dopo una cenetta ben riuscita, ndr), fu rimpianta ass, le milanzane alla parmigiana si meritarono, arrivate al termine, na speci di lungo lamento funebre. Colla pasta, trov onorevole morte macari na bottiglia di un bianco tenero e ngannevoli, con le milanzane si sacrific invece na mezza bottiglia di un altro bianco che, sutta napparenza di mitezza, ammucciava un animo tradimentoso. un passo tratto da Le ali della sfinge. Sarebbe proprio un buon Accademico il commissario Montalbano, perch, competente ed esigente, onora la cultura gastronomica italiana. Per questo lo si premia.

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Gli arancini di CamilleriDI SILVIA

DE LORENZO

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Lintervista che Andrea Camilleri ha rilasciato alla nostra rivista.

ella sua casa di Roma, il cui indirizzo, guarda caso, porta il nome di un formaggio, Andrea Camilleri ha risposto alle domande dellintervista, mostrando il suo profondo legame con la gastronomia tradizionale siciliana che, ancora non molto tempo fa, si esprimeva anche in una annuale riunione con gli amici dove, in casa sua, si celebrava il rituale degli arancini fatti a regola darte. Tra gli obiettivi dellAccademia Italiana della Cucina c quello di

tutelare le tradizioni della cucina italiana. Lei come si pone di fronte al cibo e alla gastronomia: predilige la cucina tradizionale o le piace anche sperimentare? Per quello che mi permesso, visto il regime al quale da diversi anni mi sottopongono i miei dottori (!) prediligo la cucina tradizionale, ma se potessi sperimenterei. Leggo a volte di nuovi cuochi o di nuove ricette che sembra prescindano dalla cucina e siano pi ispirati allarchitettura o allarte contemporanea. Mi affascinano molto.

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Come nato per lei il gusto per la tavola, e quando? Da sempre, da bambino. Mia nonna era una straordinaria cuoca che ha abituato male tutta la famiglia. Devo dire per che mia madre e oggi mia moglie hanno seguito la tradizione. Il gusto per la tavola un tratto non secondario della personalit di Montalbano, il suo personaggio pi famoso. Lo era anche per Maigret e per Ner o Wolfe. Mangiar e bene aguzza lingegno? Certamente mangiare bene aguzza lingegno. possibile comunque che alcuni investigatori usino la tavola come una sorta di inconscio risarcimento per le situazioni mortali con le quali si vengono a confrontare. Di certo in Europa capita spesso che finiscano la giornata davanti a un piatto prelibato, in America invece hanno del buon whisky o una bionda mozzafiato. Torniamo a Montalbano. Lei non si limita a dire che il commissario va a mangiare, ma scende nel particolare dei piatti che gusta sia al ristorante sia a casa. Si tratta sempre di piatti della tradizione siciliana: quali ama di pi (lei e Montalbano) e perch? una domanda che mi fanno spessissimo e alla quale non saprei rispondere. I piatti della mia vita cambiano di anno in anno, di et in et. Rimangono come fari nella notte gli arancini che richiedono, nella mia ricetta familiare, unelaborazione di almeno 2 giorni di lavoro. Provando a stilare un ipotetico menu con i piatti pi citati nei libri con Montalbano, questo sarebbe composto, per antipasto, da una caponatina, per primo piatto dalla pasta ncasciata, per secondo da triglie di scoglio olio e limone o fritte, per dolce dai cannoli giganti. Sono i piatti della cucina siciliana che an-

TUTTE LE AVVENTURE DEL COMMISSARIO I ROMANZI E I RACCONTI1994 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 La forma dellacqua (Sellerio). Il cane di terracotta, Il ladro di merendine (Sellerio). La voce del violino (Sellerio). Un mese con Montalbano (racconti, Mondadori). Gli arancini di Montalbano (racconti, Mondadori). La gita a Tindari (Sellerio). Lodore della notte (Sellerio). La paura di Montalbano (racconti, Mondadori). Il giro di boa (Sellerio). La pazienza del ragno (Sellerio), La prima indagine di Montalbano (racconti, Mondadori). La luna di carta (Sellerio). La vampa dagosto, Le ali della sfinge (Sellerio). La pista di sabbia (Sellerio). Il campo del vasaio, Let del dubbio (Sellerio). La danza del gabbiano (Sellerio). La caccia al tesoro, Acqua in bocca (con C. Lucarelli, Minimum Fax), Il sorriso di Angelica (Sellerio). Il gioco degli specchi (Sellerio).

che lei preferisce o sono quelli da non dimenticare, da salvaguardare? Ce ne sono altri che secondo lei rischiano di scomparire e andrebbero valorizzati o salvaguardati? Ritengo che negli ultimi anni la Sicilia stia facendo un ottimo lavoro di promozione dellenogastronomia, penso ai prodotti, ai vini e ai cuochi che valorizzano il territorio in maniera assai positiva e concreta. Montalbano, a volte, si sofferma sulla preparazione canonica, a regola darte, per esempio degli arancini o dei cannoli, per i quali chiede se sono realizzati ancora avvolgendo la pasta su una canna. Ha quindi un palato raffinato e unelevata cultura gastronomica? No, abituato forse male come me. Montalbano pranza ogni giorno al ristorante: niente fast-food. Cosa rappresenta il rito del pasto per lui/lei? Mangiare ha un suo tempo, esige una scansione temporale e quindi io

sostengo la comodit del mangiare. Mangiare non solo nutrirsi ma anche obbedire a un rituale di vita. Per lAccademia Italiana della Cucina la convivialit un elemento importante della civilt della tavola; Montalbano, invece, quando mangia non vuole parlare: sacralit del cibo? esaltazione del gusto? No, diverso, non che Montalbano ami mangiare da solo, pu mangiare in compagnia, anzi ma parla esclusivamente tra una portata e laltra. Mentre sta gustando un piatto preferisce concentrarsi su quello che sta facendo. Il premio Vergani che le stato conferito, anche attraverso il suo personaggio, ha in sintesi la motivazione di premiare le persone che hanno grandemente onorato, con la loro attivit in qualsiasi campo, la cultura gastronomica e la civilt della tavola. In che modo lei ci si riconosce? Io scrivo continuamente della civilt del cibo.

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R I C E R C A

Cinquemila anni diviniDI

FRANCESCO RICCIARDI

Inaugurata a fine maggio nel Novarese DiVino, una mostra che brilla per completezza, ampiezza, rilevanza e numero dei materiali originali riuniti per raccontare la storia affascinante del vino.

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i dir: Unaltra mostra sul vino. S, unaltra, ma questa davvero unaltra cosa. Inaugurata a fine maggio, DiVino - dallantichit a oggi brilla infatti per completezza, ampiezza dellarco temporale trattato (dai primordi della coltura intensiva della vite - III millennio a.C. - ai giorni nostri), rilevanza e numero dei materiali originali riuniti (350 i reperti archeologici, in parte mai esposti prima, che abbracciano tutte le civilt vinicole del Mediterraneo) a raccontare la storia affascinante di questo impareggiabile coagulante sociale. La mostra rester aperta fino al 5 agosto negli spazi espositivi di Materima, suggestivo luogo darte creato da Nicola Loi a Casalbeltrame, nel Novarese. Curata dalla direttrice del Museo archeologico nazionale di Firenze,

Giuseppina Carlotta Cianferoni, e da Fabrizio Minucci di Ara (Attivit di ricerca archeologica), la mostra si deve alla collaborazione tra la Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana, il Museo archeologico nazionale di Firenze e lo Studio Copernico, questultimo da sempre impegnato nellarte moderna. Per dare infatti originalit alla proposta espositiva, alle testimonianze storiche si uniscono le sculture contemporanee di Marino Marini e Giuliano Vangi, in un coinvolgente gioco di suggestioni. La prima delle quattro grandi sezioni in cui si articola la mostra affronta il tema della vinificazione e della viticoltura, partendo dalle origini, attraversando il simposio greco ed etrusco per arrivare, passando per il commercio del vino (etrusco), al banchetto di epoca romana. La seconda sezione dedicata al mondo del Vicino Oriente e della Grecia, mentre la terza allEtruria e a Roma. Lultima, attraverso un excursus su Medioevo e Rinascimento, conduce il visitatore fino al periodo risorgimentale. Il cuore della mostra per rappresentato dai temi che costituiscono la cultura del vino: la produzione, la tecnologia, il costume, il territorio. Il tema della coltivazione della vite e della produzione della principale bevanda dellantichit nel mondo antico

proposto con particolare attenzione allItalia e il gran numero di fonti iconografiche e letterarie restituiscono un affresco completo sui vini, sul loro approvvigionamento, sul banchetto e sul simposio. In mostra, pitture vascolari, lastre fittili a rilievo, materiali lapidei conducono il visitatore attraverso la tradizione della produzione del vino, la vinificazione e lideologia del simposio un tempo legato al culto di Dioniso. DiVino ci ricorda che gli echi del passato trovano riflessi anche nel mondo moderno e che le conoscenze secolari, legate alla domesticazione della vite, alla produzione, al commercio e al consumo del vino, e infine al simposio, sono aspetti oggi dati per scontati da molti ma che, affondando le loro radici nelle terre e nelle societ dei nostri avi, i popoli che si affacciavano sul bacino del Mediterraneo pi di 6.000 anni fa, vanno approfonditi anche oggi e tenuti nel giusto conto.

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La torta di MazziniDI

GABRIELE GASPARRO Delegato di Roma

Amava il cioccolato perch consola dai tradimenti e dalle ingiurie della vita.

ra le icone delle nostre glorie risorgimentali spicca per seriet e austere sembianze il grande Giuseppe Mazzini, lispiratore della nostra Unit. Il suo ritratto, che abbiamo impresso nella mente dai lontani giorni di scuola, ci incute un timore reverenziale che mal si concilia con lidea di una persona amante del gusto della tavola. Labbigliamento scuro, la barba, lo sguardo serio e penetrante, davano lidea della concentrazione assoluta che diviene fiamma, come lo defin Nietzsche. Eppure Mazzini non disdegnava le piacevolezze che pu dare la vita, amava la musica, componeva canzoni, suonava la chitarra e port con s lo strumento in esilio. In Svizzera compose una dolce melodia, Canto delle mandriane bernesi, ispirata a un canto di pastori del Cantone di Berna, dove si era rifugiato nel 1836. Il fascino femminile lo trov sensibilissimo fin dalla giovane et. I suoi amori lo conforteranno molto nelle ore tristi. A Londra era circondato da un vero e proprio circolo femminile, che egli scherzosamente chiamava il suo clan. Lo curavano, lo servivano, lo coccolavano e lo ascoltavano rapite. Trenta anni di esilio per luomo pi ricercato dEuropa. A Londra apr un negozio dove vendeva vino e olio. Suo padre, un dignitoso professore di anatomia allUniversit di Genova, trovava degradante per un letterato fare il mercante. Non esiste lavoro degradante - ribatteva Mazzini - anzi, sarebbe bene che anche i letterati lo facessero qualche volta. DallItalia faceva venire bottiglie di vino che restavano invendute. Quanto allolio affermava: Che im-

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porta che lolio sia di Lucca o della Liguria se buono!. Era sicuro che sarebbe riuscito a vendere la sua merce e diceva: Solo invece di venderlo allingrosso come io voleva, mi rassegner, considerando le molte spese, a venderlo a piccole partite e direttamente ai consumatori, per evitare il guadagno che vogliono farvi gli intermediari che poi lo rivendono. Ma nonostante tutto gli affari non andarono bene e fortuna era che il padre continuasse a mandargli lassegno mensile. Qualche spirito dissacratore potrebbe dire che il piatto preferito da Mazzini erano gli spaghetti alla carbonara, considerati i suoi trascorsi cospirativi che ne fecero uno dei pi illustri fondatori della societ segreta che gett il seme del Risorgimento italiano. Nel suo travagliato peregrinare non sembra che il nostro eroe abbia provato nostalgia per i piatti della sua rimpianta Liguria. Nella sua vasta produzione di lettere e scritti nulla si rinviene sul suo atteggiamento verso la cucina. Non gli dispiacevano il caff, le noci, il cioccolato. Si narra che solesse dire: Il cioccolato ha mille pregi, consola i fallimenti, i tradimenti, le ingiurie della vita, le malinconie per le passioni perdute e per quelle mai avute. La sua predilezione per i dolci in genere la scopriamo da una lettera che scrisse alla madre, il 28 dicembre 1835, con la quale le spediva una ricetta per una torta alle mandorle: Eccovi la ricetta di quel dolce che vorrei faceste e provaste, perch a me piace assai... traduco alla meglio, perch di cose di cucina non mintendo, ci che mi dice una delle ragazze in cattivo francese. Pestate tre once di mandorle, altrettante di

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zucchero. Sbattete il succo dun limone e due torli duovo, montate a neve gli albumi, e mescolate tutto. Unta di burro una tortiera, mettete sul fondo la pasta sfoglia, sulla quale verserete il miscuglio suddetto. Gli esegeti del nostro vate nazionale gli attribuiscono anche la diffusione del roast-beef in Italia, che fanno risalire alla prima met dellOttocento. Sembra che il termine venne usato per la prima volta nel 1837, in uno scritto da Londra inviato proprio da Mazzini, ma limpulso a tale preparazione fu dato probabilmente dagli inglesi residenti nella penisola, soprattutto in Toscana. Nella sua tormentata vicenda umana, Mazzini non partecip a banchetti e festeggiamenti, come fece, anche se a volte riluttante, Garibaldi. Schivo e umile, nemmeno nei giorni della gloriosa Repubblica romana volle approfittare dei lussuosi palazzi principeschi della citt eterna, e alloggi in un piccolo appartamento in via dei Due Macelli al numero 97, nel quartiere dove erano numerose le presenze degli stranieri del Grand tour. Consumava i pasti nelle trattorie dei dintorni, ma nessuna di queste ha mai pensato a conservare il tavolino o langolo dove era solito sedersi Mazzini, come invece accaduto per altri illustri personaggi della storia patria. Nel 1872, in unItalia ancora plaudente per la Roma conquistata, arriv a Pisa da Lugano, stanco e malaticcio, sotto il falso nome di dottor George Brown, e alloggi presso Giannetta Nathan Rosselli che lo accud con amorevolezza. Laria dolce toscana facilit lavvicinamento ai piaceri della tavola che gli proponeva la gentile Giannetta. Ma nulla valse a impedire il repentino declino della sua salute. Nella primavera dello stesso anno Mazzini mor, non senza aver lasciato ai posteri la frase solenne, rituale per i grandi: La libert prima che diritto un dovere.

LE RICETTE DAUTORECome condire linsalata mistaLinsalata mista si prepara con lattuga, buglossa, menta, nepitella, finocchio, prezzemolo, crescione, origano, cerfoglio, cicoria e lancedine - dette rispettivamente dai medici tarassaco e arnoglossa -, morella, fiori di finocchio e parecchie altre erbe aromatiche, lavate e scolate per bene. Si mettono in un piatto grande, si salano con abbondanza, si aggiunge olio e sopra si sparge aceto; poi si lasciano macerare un po. Per la loro selvatica durezza, quando si mangiano bene triturarle a lungo con i denti. Questo contorno richiede pi olio che aceto e pi che destate consigliabile dinverno, perch, esigendo una digestione pi lunga, dinverno pi facile smaltirlo. BARTOLOMEO PLATINA da De honesta voluptate (1474)

Insalatine alla genoveseAbbiate dei filetti di carne, o pesce cotto e rifreddo, capperi, erbe fine, alici, fagioletti, sparagi ecc., condite con olio, aceto, sale, pepe, e sugo di limone, riempiteci delle piccole cassettine di pane fritto, e servite subito. Potrete nella suddetta composizione unirci un poco di aspic, indi farla gelare, e poi servirla nelle cassettine. Con le code di gamberi, e di ragoste, si fanno delle ottime insalatine. VINCENZO AGNOLETTI da Manuale del cuoco e del pasticciere (1834)

Insalata di cicoriaSei belle indivie terse e sgocciate come sopra si bagnano di quattro cucchiai dolio sopraffine doliva; e, aggiuntivi due o tre crostelli di pane stropicciati daglio, con sale pesto e un cucchiaio di buon aceto, si ravvolgono finch sia tutto imbevuto il savore e si servono incontanente. Saffanno benissimo con queste insalate le erbe aromatiche, cerfoglio, pimpinella, prezzemolo, dragoncella, ecc., purch in piccola dose. Si pu tuttavia largheggiare di pi in assenzio. FRANCESCO CHAPUSOT da La cucina sana, economica ed elegante (1846)

Insalata di broccoliIngredienti: broccoli, olio, aceto, capperi, acciughe, prezzemolo. Subbolliti nellacqua salata e sgocciolati i broccoli, asciugali con una salvietta e disponili in una insalatiera. Preparata a parte la salsa di olio, aceto, unoncia di capperi, due o tre acciughe e prezzemolo triti, versala sui broccoli. Si prepara allo stesso modo linsalata cotta di navoni, di carote, di barbabietole, di pomi di terra, ecc. da La cucina degli stomachi deboli (1862)

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Il cavolo nelle ricetteDI ALFREDO PELLE Accademico apuano Centro Studi F. Marenghi

Il nome e lodore spesso lo tengono lontano dalle nostre tavole.

finito linverno e i campi riprendono nuova vita e si riempiono derbe selvatiche (che risotti, che frittate!). Fino a qualche mese fa i campi, gelati nellinverno, molto poco avevano da dare se si escludevano il radicchio, splendido compagno dellinverno, e il cavolo, meno famoso per le colpe primigenie che lo accompagnano, dovute anche al suo nome che continua a generare equivoci e imbarazzi: Col cavolo vengo a questa festa; I bambini nascono sotto i cavoli (qui c, o almeno sembra ci sia, un doveroso omaggio a Marco Porcio Catone - 234-149 a.C. - che fu un grandissimo mangiatore di cavoli ed ebbe 23 figli). Resta il fatto che, fino a qualche decennio fa, era in uso nelle campagne servire ai novelli sposi una zuppa di cavolo. Laltra colpa primigenia che il cavolo non ha un buon odore e perci

non molto amato in cucina: colpa di composti solforati che se ne stanno fermi finch non vengono a contatto con gli enzimi che si staccano dai tessuti quando questi vengono spezzati e posti in cottura, producendo trisolfuri responsabili del puzzo. C un fatto che deve essere portato a conoscenza: pi il cavolo cuoce pi puzza. Fra il quinto e il settimo minuto la quantit di solfuro didrogeno raddoppia e tutta la casa si appesta. I cavoli non sanno cosa sia la privacy e se una casalinga del terzo piano si mette a cucinarli la faccenda viene risaputa, in un baleno, da tutto il condominio! Gli antichi, che non ne conoscevano le ragioni chimiche, affermavano che il puzzo era il sudore di Giove. Cos in un mondo di tirannia gastronomica asettica, linda, pulita, abbiamo tenuto il cavolo lontano dalle liste dei ristoranti e dalle novelle correnti del gusto: il cavolo cibo miserevole, rappresenta il vecchio, le cucine fumose; ricorda, in definitiva, quello che chiamato cibo straccione. E pensare che, in Italia, fra cavoli, broccoli, cavolfiori, di Bruxelles e compagnia varia ci sono oltre 150 variet. Il che, nella cucina della casa, vuol dire un numero incredibile di ricette che sono divenute classiche: maiale e verze sofegae; pasta e broccoli; orecchiette con le cime di rapa strascinate e tutto il mondo dei crauti altoatesini, di chiara derivazione tedesca (ne parla gi, nel 1570, Bartolomeo Scappi: Sono portati in Trevisi e Venetia di terra todesca cappucci salati con salimora in vasi di terra e legno), e in Friuli brovade e muset, cos come in Francia la choucroute lequivalente della milanese cassoeula e i russi hanno, come piatto nazionale, una zuppa di cavolo, lo shtci, che man-

giano da pi di mille anni. Questa zuppa fatta con carne (ma anche pesce), funghi, cipolla, pepe e panna acida. A Trieste non c chi non lodi la jota, minestra di crauti, fagioli e maiale e anche patate. E la ribollita divenuta una bandiera della cucina toscana, come la fiorentina. Una curiosit del Meridione: quelli che ora sono chiamati, storicamente, mangiamaccheroni (i napoletani) furono in precedenza mangiafoglie e il piatto per eccellenza era la minestra maritata, un insieme di verdure, tra cui il cavolo, in un brodo di cappone, e di manzo, salsicce, cotiche, profumi, talmente ricca che doveva avere un palmo de grascio in superficie. Molto pi moderni sono i cavolini di Bruxelles, derivati dal cavolo selvatico attraverso secolari selezioni. Sono dei frutti delle dimensioni di una noce che si formano sul fusto. In Italia sono poco coltivati e vengono, in gran parte, importati dai mercati del Nord Europa. Come sempre sembra che furono i Romani a portarli in Belgio. Una cosa per certa: i cavoli hanno benefiche virt che indagini epidemiologiche hanno evidenziato. Il loro regolare consumo associato a una bassa incidenza di tumori al colon, in quanto possiedono sostanze antineoplastiche, ossia a difesa dai tumori. Inoltre contengono vitamine C e K, sostanze antiossidanti e sali di potassio, oltre a una serie importante di protidi, lipidi glucidi, nonch fosforo, calcio e iodio. Perci, in nome dei precetti della dieta mediterranea e di una sana alimentazione, mangiamo cavoli con buona frequenza. Del resto, per via dellodore, c qualcuno di voi che si ferma davanti a un bel pezzo morbido di gorgonzola e lo rifiuta?

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Lolio della costaDI ELIZABETH RIANI Accademica di Viareggio Versilia

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Delicato, fruttato o intenso?

ella splendida cornice di Villa Le Pianore a Capezzano di Camaiore, si svolto il convegno dedicato a Lolio della costa in Versilia, organizzato dalla Delegazione di Viareggio Versilia con lo scopo di valorizzare lolivicoltura del territorio e promuovere una nuova identit per questo importante prodotto locale. La sede fu, nel XVIII secolo, la villa di Maria Teresa di Savoia, duchessa di Lucca e moglie di Carlo Lodovico di Borbone. Maria Teresa scelse in questo luogo, nella campagna versiliese, un antico mulino per realizzare il suo piccolo rifugio locus amoenus. Pi tardi, Roberto, duca dei Borbone-Parma, si fece costruire un nuovo imponente palazzo di tre piani, in stile neorinascimentale. Qui nel 1892 nacque sua figlia Zita di Borbone-Parma, lultima imperatrice dAustria. Il parco circostante, di cinque ettari, ricco di piante esotiche e circondato da uliveti, venne realizzato, contemporaneamente alledificio ottocentesco, dal giardiniere paesaggista francese Jean-Pierre BarilletDeschamps. La giornata di lavoro e convivialit, che ha visto la sinergia tra lAccademia e i produttori olivicoli versiliesi aderenti al Marchio collettivo per la produzione di olio extravergine doliva, ha avuto lobiettivo di diffondere questa nuova identit dellextravergine prodotto nei comuni della Versilia, in particolare Viareggio, Camaiore e Massarosa. Il convegno, presieduto dal Presidente Giovanni Ballarini e moderato da Elizabeth Riani, Consultrice della Delegazione, si aperto con i saluti del Delegato Renzo Gagnesi che ha presentato il sindaco di Camaiore Giampaolo Bertola, in duplice veste di padrone di casa e appassionato

olivicoltore. Il sindaco ha voluto introdurre largomento alla folta platea composta da Accademici, produttori locali, appassionati e amici, parlando non solo come primo cittadino ma anche come diretto interessato alle problematiche e alle evoluzioni recenti nellolivicoltura in Camaiore. Il primo intervento stato quello di Antonio Dati, direttore dellUnione provinciale agricoltori Lucca e referente, per la provincia di Lucca, per lAssociazione produttori olivicoli toscani. Egli ha illustrato il progetto di tutela dellolivicoltura e di valorizzazione del territorio e del paesaggio in una localit ad alta vocazione, quale la Versilia, ricordando le tappe burocratiche per i riconoscimenti a livello provinciale, regionale e nazionale. seguito lintervento del dottor Luciano Scarselli, tecnico esperto nel campo della produzione olivicola e dei processi di trasformazione per lottenimento dellolio extravergine di oliva, nonch fondatore e presidente Ascoe (assaggiatori e cultori dellolio extravergine di oliva).

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La sua relazione ha illustrato le caratteristiche e le prerogative dellolio della costa, partendo con un breve excursus su come percepiamo, a livello gustativo e olfattivo, le qualit salienti di un particolare olio e illustrando le propriet chimiche che differenziano e classificano un olio fra delicato, fruttato o intenso. seguita Licia Gambini, direttrice dellAema di Pisa, con un intervento dal titolo Un prodotto in un teatro naturale, essenziale in cucina, che ha illustrato come madre natura sempre dispone i suoi frutti in modo che si armonizzino fra di loro in una particolare zona. Per esempio, lolio che deriva dalle olive della Versilia ha un gusto deli-

cato che lo rende perfetto per condire il pesce. Vittoriano Pierucci, ristoratore locale, intervenuto per parlare brevemente delle origini del marchio collettivo Lolio della costa, essendone uno dei primi promotori; infine Andrea Serani, responsabile del sistema qualit della societ Salov, con sede a Massarosa, ha svolto una relazione su Limportanza nutrizionale dellolio extravergine di oliva. Ha concluso i lavori il Presidente Giovanni Ballarini, il quale ha ripreso il filo conduttore degli interventi, che nel loro complesso hanno fornito un interessante panorama sullargomento. Gli interventi, complementari e concisi, hanno tenuto alta lattenzione

del pubblico che ha seguito con vivo interesse fino alla fine. Poi, in perfetto orario, i partecipanti hanno visitato il frantoio di Giulia Cristiani, a Lombrici sulle colline di Camaiore, dove i padroni di casa hanno illustrato le diverse fasi di lavorazione meccanica del frantoio. Subito dopo, nellaccogliente soppalco del frantoio, hanno offerto un assaggio di pane, olio e vino per degustare i loro prodotti. Ha concluso la giornata un pranzo squisito nella bellissima sala di Villa Le Pianore, con un menu studiato per la degustazione dellolio della costa. Nel pomeriggio stata organizzata la visita alla cittadella e al Museo del Carnevale.

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ARCHESTRATO DI GELALa Delegazione di Gela ha avuto il piacere di invitare i propri concittadini e gli Accademici delle altre Delegazioni siciliane al convegno intitolato ad Archestrato di Gela, poeta greco famoso per lopera, a tema cucinario, scritta nel 330 a.C. circa e intitolata Hedypatheia, il cui significato pu essere ricondotto a I piaceri del gusto, o, secondo la felice traduzione divulgata da Enzo Degani, Vita di delizie. Il convegno stato ospitato nella splendida cornice della Sala Eschilo del Museo archeologico di Gela e ha visto il susseguirsi degli interessanti interventi di tre illustri relatori. La prof.ssa Ingoglia dellUniversit di Messina, dopo una brevissima introduzione sulla figura di Archestrato, ha illustrato le ricette a base di pesce, tratte dallopera sopra citata, sottolineando la semplicit degli ingredienti e lesaltazione di sapori essenziali e delicati. La relazione stata particolarmente interessante perch la fonte scritta, rappresentata, appunto, dalla poesia di Archestrato, stata, per cos dire, riscontrata, attraverso la ricerca e la descrizione di reperti archeologici coevi, atti a confermarne lattendibilit. La prof.ssa Cannilla, docente del liceo classico Eschilo di Gela, ha mirabilmente illustrato le caratteristiche della poesia cucinaria a partire dal VI secolo a.C., sottolineando i modi pi disparati in cui i vari autori hanno trattato il cibo: dal poeta greco Ipponatte, che sfrutta le vivande per mettere in ridicolo personaggi importanti, ad Ananio, che scrive un calendario nel quale, stagione per stagione, consiglia gli alimenti pi adatti. Di notevole valenza stato il riferimento ad Ateneo, la cui opera, I deipnosofisti, redatta intorno al 200 d.C., ha fatto giungere fino a noi parte del lavoro di Archestrato, i cui versi sono espressione dellesaltazione di un piacere della tavola sobrio ed equilibrato. Il convegno si concluso con il brioso intervento dellAccademico di Caltanissetta, Diego Argento, che, nellevidenziare lassoluta modernit delle ricette di Archestrato, ha invitato gli Accademici della Delegazione ospitante a creare un laboratorio cucinario finalizzato alla realizzazione di tali delizie. La conclusione dei lavori stata accompagnata dal pranzo presso il ristorante dellhotel Villa Peretti, in cui gli ospiti hanno gustato deliziosi antipasti e delicate portate a base di prodotti locali. Nel pomeriggio gli Accademici hanno completato la giornata culturale partecipando alla visita guidata di alcune delle meraviglie archeologiche della citt di Gela: il Museo, i bagni greci e le mura timoleontee. (Ina Ciotta)

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Inventario gastronomicoDI SILVANA CHIESA Accademica di Crema E ALESSANDRA FERRARI Specialista in Scienze gastronomiche

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LAtlante del patrimonio gastronomico italiano rimasto solamente una proposta di legge.

ntorno al 1950-1955 lItalia si finalmente lasciata alle spalle un lunghissimo ciclo della sua storia gastronomica, che potremmo definire preindustriale, fatto di denutrizione e squilibri alimentari. La crescita del benessere invece di tradursi, come in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti, in egemonia del prodotto industriale pronto da consumare e preparato altrove (talora a centinaia di chilometri dal punto di acquisto) ha stimolato in Italia la valorizzazione di derrate e ricette tradizionali, la ricerca (e quindi salvaguardia) delle piccole produzioni e un culto della rarit enogastronomica (Capatti A., Montanari M., La cucina italiana. Storia di una cultura). Ma non possibile tutelare ci che non si conosce. Un elenco di cose o un inventario alla base di qualunque iniziativa di protezione o salvaguardia. Linventario gastronomico una raccolta strutturata e ordinata dei beni gastronomici materiali e immateriali che costituiscono il patrimonio gastronomico locale. I principi che stanno alla base dellinventario gastronomico sono: - ladozione di un approccio scientifico nella ricerca, individuazione, descrizione, classificazione e valutazione dei beni immateriali che costituiscono, insieme a quelli materiali, il patrimonio gastronomico locale di una comunit. Tale approccio consiste nel seguire una metodologia di ricerca e inventariazione scientifica e sistematica, quindi replicabile al variare delle culture locali (il raggio di azione non si spinge oltre i confini italiani) e ordinata; - il riconoscimento dellunit storica territoriale nella provincia, piuttosto che nella regione, in quanto, sto-

ricamente, il territorio agrario attorno al centro urbano ha sempre riconosciuto nel mercato cittadino il luogo di maggior rilievo per la promozione e la vendita dei prodotti stessi; - il riconoscimento della natura dinamica del patrimonio gastronomico locale perch parte integrante del patrimonio culturale di una collettivit. Quindi la volont di non museificare, cio di non fossilizzare il patrimonio gastronomico locale, ma anzi di salvaguardarlo in modo dinamico, con attenzione ai beni in pericolo di estinzione, e di valorizzarlo, in particolare nelle sue evoluzioni. Quindi, se i confini nazionali di ricerca sono quelli italiani, loggetto dinventariazione il patrimonio gastronomico della provincia. Perch la provincia? Perch la storia dItalia insegna che la citt costituisce il luogo strategico di costruzione e trasmissione di una cultura gastronomica al tempo stesso locale e nazionale. La citt il luogo per eccellenza dello scambio commerciale, ma anche, secondo un modello esclusivamente italiano, il capoluogo di un territorio, grande o piccolo, che a essa fa riferimento sul piano amministrativo, produttivo e culturale. Dunque la citt rappresenta il territorio, appropriandosi, in modo pi o meno diretto, talora violento, dei suoi beni e della sua cultura, anche gastronomica, per metterla in gioco, esportarla, diffonderla. In Italia il patrimonio gastronomico viene normalmente individuato e riconosciuto attraverso il richiamo di identit cittadine, e ci non solo nel caso di ricette o preparazioni elaborate in ambito urbano, nelle botteghe artigianali o, pi tardi, negli stabilimenti industriali, ma anche quando si tratta di risorse provenienti dalla

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campagna, dai monti, dal mare. La proposta dei confini provinciali spinge a mettere fra parentesi quella dimensione regionale del patrimonio gastronomico su cui tanto si insiste oggi, ma che in effetti costituisce unacquisizione recentissima, sul piano culturale non meno che politico, ed per sua natura estranea ai parametri interni della storia della cucina. Una carta dellItalia gastronomica dovr dunque scomporre o accorpare le circoscrizioni amministrative del territorio, ricomponendole in unit

culturalmente pi omogenee e significative (Capatti A., Montanari M., cit.). In Italia la salvaguardia e la valorizzazione sono rivolte al grande patrimonio agroalimentare italiano (inteso esclusivamente come un insieme di prodotti). Lamministrazione italiana sostiene e favorisce con sempre maggiore forza il sistema delle denominazioni che lEuropa ha adottato per sviluppare e proteggere i prodotti alimentari. LAtlante del patrimonio gastronomico italiano rimasto solamente una proposta di legge.

Il progetto descritto risultato essere fra i primi tentativi, in Italia, di raccogliere informazioni e costruire un appropriato studio in materia, nel contesto dellinventariazione del patrimonio gastronomico provinciale, per la quale non esiste una metodologia sistematica e scientificamente valida, strutturata sulla base della ripartizione locale (provincia), unico approccio possibile per individuare, salvaguardare e valorizzare la cultura gastronomica italiana.

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ACCADEMICO EDUCATORELAccademia , a mio avviso, unanima a due facce, unistituzione dalla duplice personalit: il suo obiettivo principale quello di tutelare le tradizioni della cucina italiana, promuovendone e favorendone la difesa e il miglioramento, tramite la valorizzazione dei suoi piatti, delle sue ricette, delle sue tipicit gastronomiche e cucinarie. Ma oggi, sullo stesso piano, il suo impegno e la sua attenzione sono, e devono essere, indirizzati anche a tutti i momenti culturali della civilt del cibo e della tavola che in essa si trovano, e nel caso, riportarli alla luce. LAccademia ha quindi il privilegio di governare e seguire, favorire e divulgare, nel senso pi ampio, vasto e completo, laspetto culturale del mondo della cucina italiana, cosa che sta gi facendo da diverso tempo. A tal proposito, la sua attivit e il suo impegno hanno acquisito unimportanza, e una ufficialit, che la obbligano, che ci obbligano, come Accademici, a non disattendere il nostro prestigioso compito e a dedicare una particolare e costante attenzione a questo tema, con unazione non solo nazionale o regionale, ma lavorando capillarmente in tutte le Delegazioni. Ogni Delegazione, ogni Accademico, per questo deve sentirsi parte integrante e attiva nelle sue attivit e iniziative, prima educando e insegnando, poi coltivando e valorizzando la cultura della cucina italiana, indirizzando e orientando lo studio e lapprofondimento del grande tema della civilt del cibo e della tavola italiana. evidente che questo maggior impegno implica un lavoro di studio e di ricerca, ma anche di informazione e di divulgazione, non solo nel proprio ambito, ma anche verso il mondo esterno non accademico: un lavoro delicato e non facile, che per va fatto localmente tramite conferenze, convegni, relazioni e interventi, mentre nazionalmente, come avviene gi attraverso Internet e non solo, dobbiamo continuare a sfruttare tutto il patrimonio cartaceo elaborato, a cominciare dal nostro periodico mensile e tutto ci che via via andremo a produrre e pubblicare, per renderlo sempre pi fruibile da un maggior numero di cultori e appassionati, da tutti gli interessati di cucina e non. Fatto da non sottovalutare perch questo anche un modo per interessare il possibile nuovo lettore a diventare Accademico, perch la tavola una cerimonia, perch la cucina un momento aggregativo ineguagliabile, dove laccoglienza libert e d modo a colui che viene accolto di sentirsi libero, ma anche partecipe della cultura della tavola, perch la gastronomia arte. LAccademico quindi, a mio parere, deve essere promotore della ristorazione italiana di qualit, inoltre deve essere convinto del valore culturale della cucina, per poi essere in grado, a sua volta, di assumere il ruolo di educatore nellindirizzare verso la cultura la mentalit nel buongustaio. (Tito Trombacco)

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Il cibo del soldato nel RisorgimentoDI FRANCO APICELLA Generale di corpo darmata

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I vettovagliamenti non erano facili da organizzare. Faceva eccezione Garibaldi.

el XIX secolo, presso la maggior parte degli eserciti, i servizi logistici - quindi anche il vettovagliamento - avevano ancora unorganizzazione sommaria rispetto a quanto poi si sarebbe sviluppato nel secolo successivo con le due guerre mondiali. Napoleone aveva gi individuato limportanza dellalimentazione del soldato nel suo famoso aforisma Une arme marche son estomac, ma evidentemente la lezione non era stata ancora bene assimilata. In ltalia i soldati dellArmata sarda lesercito del Regno di Sardegna - durante le campagne di guerra venivano alimentati essenzialmente con carne bovina e pane. La carne bovina di solito veniva lessata con le verdure di stagione reperibili in loco ricavandone cos una zuppa da consumare al mattino presto con il pane (pi spesso sotto forma di galletta). Si conservava nel tascapane, insieme con il pane, qualche pezzo di carne che sarebbe servito per rifocillarsi nel corso della giornata. Una testimonianza diretta dei problemi connessi con il vettovagliamento si ha nella relazione stilata al termine della campagna del 1848 da Ferdinando di Savoia duca di Genova, figlio del re Carlo Alberto, comandante dellartiglieria, protagonista della caduta della fortezza di Peschiera e poi comandante di una divisione nel prosieguo della guerra. Stupiscono, considerando il rango e il casato del personaggio, la franchezza e il dettaglio con cui sono evidenziate le manchevolezze del servizio di vettovagliamento. Nel corso della campagna erano stati allestiti solo due magazzini - uno per ciascun corpo darmata - a cui ciascun reparto doveva inviare i propri carri per rifornirsi di viveri, carne e pane. La

carne poi veniva cucinata nelle marmitte, grossi recipienti che i reparti avevano in dotazione e che talora venivano considerati un ingombro da portare al seguito durante le marce di trasferimento. Linconveniente pi frequente era costituito dal ritardo con cui i viveri arrivavano presso i reparti a causa delle notevoli distanze (spesso oltre 20 chilometri), da coprire quasi sempre in ore notturne. I carri del vettovagliamento non erano organici ai reparti ma requisiti e condotti da civili i quali, al minimo pericolo, si allontanavano; ma anche quando riuscivano a tornare a destinazione, accadeva talora che non trovassero il reparto perch nel frattempo questo aveva ricevuto lordine di spostarsi in altra localit. Proprio durante la battaglia di Santa Lucia presso Verona, il 6 maggio 1848, capit che alcuni reparti iniziassero la marcia allalba senza aver toccato cibo perch i viveri non erano ancora arrivati e il rancio non era stato confezionato; i soldati rimanevano cos digiuni fino alla fine della giornata, con evidenti conseguenze anche sul loro rendimento in combattimento. Altro grave problema era lacqua; le borracce di cui disponevano i soldati erano rudimentali e comunque insufficienti per una giornata intera. Numerosi sono gli episodi riferiti da soldati che cercano di riempire la loro borraccia ma non trovano fonti o pozzi nel luogo in cui stanno combattendo. Un esempio drammatico si ha nel racconto di Stanislao Grimaldi del Poggetto, ufficiale del reggimento Genova cavalleria che, proprio alle porte di Verona durante la battaglia di Santa Lucia, viene mandato a cercare acqua nelle vicinanze del Fenilon, dove era stata allestita una am-

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bulanza, un posto di prima medicazione. Il Grimaldi si trova di fronte scene raccapriccianti e, anzich acqua, i rivoli di sangue dei feriti; quindi costretto ad allontanarsi dopo avere quasi perso i sensi. Dai suggerimenti che lo stesso Ferdinando duca di Genova e altri comandanti formulano nei loro rapporti, emergono lopportunit di un maggior numero di magazzini dislocati in maniera pi aderente al dispositivo tattico e la necessit di dotare organicamente i reparti di carri dedicati al vettovagliamento condotti da militari. Con un provvedimento ancora pi incisivo si suggerisce poi di eliminare le marmitte per la cottura della carne, che talora nelle marce di trasferimento si perdono o si rompono, assegnando un recipiente individuale (quella che poi diventer la gavetta)

in cui ciascun soldato pu cucinare la sua razione di carne. In sostanza, pi che nella qualit e nella quantit degli alimenti, che allepoca comunque erano allinsegna della sobriet, il problema principale nel corso delle campagne risiedeva nella distribuzione e nella confezione. Purtroppo le cose non migliorarono nelle guerre successive, visto che anche a Custoza, il 24 giugno 1866, capit che alcuni reparti iniziassero la battaglia senza avere toccato cibo. Chi invece la sapeva lunga, anche in termini di alimentazione del soldato, era Garibaldi. Le esperienze che aveva maturato nelle grandi distese del Sud America gli servirono anche per le campagne condotte in ltalia. ln un suo ordine del giorno, emanato agli inizi della campagna del 1866, Garibaldi dispone che ciascuna unit

abbia al seguito buoi vivi da macellare alla bisogna per provvedere direttamente di carne i soldati. C poi un curioso paragrafo in cui Garibaldi invita i suoi uomini a sostituire il pane con la polenta in caso di bisogno, sottolineando la validit di questo alimento. ll caso vuole che questo ordine del giorno sia stato emanato proprio quando Garibaldi si trovava nei dintorni di Storo, la cittadina oggi famosa proprio per la polenta. Le due guerre mondiali del XX secolo cambieranno definitivamente anche il servizio di vettovagliamento che oggi nellesercito italiano pu a ragione essere considerato uneccellenza tra i vari servizi; lo testimonia tra laltro lappetibilit delle mense italiane da parte di commilitoni alleati e amici nelle attuali operazioni multinazionali.

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LIMPORTANZA DEL CINQUE PER MILLECome noto, la nostra Accademia tra le istituzioni che possono beneficiare del cinque per mille, indicando sulla modulistica la volont del contribuente. Questa opzione non rappresenta nessun onere o aggravio per lAccademico-contribuente: anzi, se essa non venisse esercitata, il cinque per mille inutilizzato resterebbe nelle mani del Fisco. Le motivazioni di questa operazione si possono cos sintetizzare: dare una mano allautentica cucina italiana nel mondo e favorire listruzione in Italia di giovani cuochi stranieri. Partecipare a questa operazione di finanziamento dellAccademia facile. Basta infatti trascrivere nellapposita casella della denuncia dei redditi il codice fiscale dellAccademia, che 80109690158 LAccademico pu farlo personalmente oppure comunicare questo numero al proprio commercialista. Il diritto per lAccademia di accedere al cinque per mille stato ufficialmente sancito dallAgenzia delle entrate con un provvedimento del 20 aprile 2007: questo rappresenta un ulteriore riconoscimento della validit della nostra azione in Italia, e soprattutto allestero, per la difesa, la tutela e la valorizzazione della cucina italiana nella sua integrit e nella sua qualit. Questo ennesimo riconoscimento strettamente collegato allinserimento ufficiale dellAccademia tra le istituzioni culturali tutelate dalla Repubblica italiana. opportuno ricordare a tutti gli Accademici e ai nostri eventuali sostenitori che lopzione del cinque per mille pu essere esercitata, sulla modulistica fiscale, fino al 31 luglio prossimo. Si tratta senza dubbio di un diritto e di unoccasione da non perdere.

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Consapevolezza della tradizioneDI DONATO PASQUARIELLO Accademico di Roma Appia

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In uninterpretazione sociologica, soltanto un esercizio consapevole, consentendo di far propri i contenuti della tradizione, la rinnova di volta in volta nella sua essenza.

ome Accademici siamo tenuti ad attribuire significato di rilievo al concetto di tradizione, considerata la fondamentale funzione di tutela che la nostra Istituzione chiamata a esprimere nei riguardi delle esperienze e delle conoscenze italiche nel campo della cucina, configurabili in sintesi quale cultura specifica della tavola e tratto distintivo del nostro Paese nel mondo. Le tradizioni vengono spesso intese alla stregua di semplice retaggio del passato, a volte anche ingombrante e vincolante, specie quando assimilate in forma nebulosa e confusa e praticate per mera consuetudine, pi in adesione al comportamento della generalit del proprio gruppo sociale che per personale convinzione e scelta deliberata. Esse fanno originariamente parte del senso comune, cio di quellinsieme sconfinato di informazioni acquisite sin dallinfanzia e consolidate nella vita scolastica, professionale e di relazione che finiscono per rappresentare un autentico imprinting culturale, da cui discendono la personale visione della realt e lordinario atteggiarsi nel mondo. Per mera convenienza siamo infatti portati ad ancorare lazione quotidiana alle semplici regole cos assimilate, quasi sempre implicite e non dimostrate, che configurano schemi preformati di comportamento capaci di infondere sicurezza a livello di esistenza e di convivenza sociale. Allevidente utilit pratica di queste conoscenze si contrappone peraltro un certo determinismo imposto da imperativi, norme e rigidit pure assimilati e interessanti in vario grado i processi cognitivi e intellettivi, risultanti cos condizionati da falsi paradigmi, credenze, idee dominanti, stereotipi e conformismi; di qui le mol-

teplici possibilit di errore e di illusione riflettenti la sostanziale incapacit della mente di rendersi veramente aperta e libera nellautonoma interpretazione della realt e nella conseguente ricerca della verit. Se non suffragate da consapevoli esperienze e da correlati approfondimenti critici, le conoscenze di senso comune continuano a rimanere nellombra originaria, occupando soltanto lo sfondo indistinto della nostra azione quotidiana; la loro traduzione pratica, di norma quasi automatica e non accompagnata dal necessario sostegno della riflessione e della meditazione, genera tutta una serie di limitazioni al procedere del pensiero e dellazione. Pure il semplicistico e superficiale ricorso alla tradizione, quale memoria storica delle conoscenze e delle esperienze della comunit veicolate attraverso il senso comune, ne snatura il profondo e autentico significato; soltanto un esercizio consapevole, consentendo di far veramente propri i contenuti della tradizione, la rinnova di volta in volta nella sua essenza, permettendone al tempo stesso la corretta divulgazione e la regolare trasmissione. Ci dato purtroppo di vivere in societ che impongono scelte pressoch a ogni passo della vita quotidiana e in cui ogni comportamento, per quanto semplice e banale, implica responsabilit personali e genera vincoli sempre nuovi in grado di condizionare le successive azioni. Sembrano veramente lontane, e per certi versi mitiche, quelle societ del passato, anche recente, in cui ogni aspetto era predeterminato e la vita appariva generalmente facile e prevedibile; le tradizioni, le consuetudini e il buon senso indicavano con chiarezza le vie da percorrere e gli spazi da occupare, mentre il tempo percepito sembrava

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scorrere lentamente, lasciando occasioni di riflessione e di meditazione, quanto mai utili e opportune nei principali momenti di snodo della nostra esistenza. Si nutriva cos assoluta fiducia nel contesto di appartenenza e nellesito degli abituali comportamenti, fondamentalmente uguali a quelli passati e a quelli dei nostri simili in situazioni analoghe. Il contesto oggi profondamente mutato: i problemi quotidiani si presentano in termini enormemente pi complessi, specialmente in conseguenza delle accresciute possibilit di scelta derivanti dal diffuso e imperante consumismo, dalla sempre pi pervasiva globalizzazione, dalla facilit di entrare in rapporto, anche solo virtuale, con una molteplicit di soggetti in ogni parte del mondo. Questultimo sembra essere diventato molto pi piccolo e accessibile, ma allo stesso tempo terribilmente pi complesso a causa di unofferta pressoch illimitata di opzioni, non sempre pienamente conoscibili e difficilmente valutabili nelle loro reali dimensione e portata. Gli intervenuti cambi di paradigma non rendono quindi pi possibile affidarsi ciecamente alla memoria storica delle passate esperienze dei nostri padri e dei nostri simili. Relativamente al campo proprio della cucina, appena il caso di osservare come lofferta di materie prime, un tempo stabile e prevedibile in quanto strettamente ancorata al contesto locale e alla periodicit delle stagioni, sia ora decisamente pi articolata; le difficolt di scelta risultano accresciute dallo spessore dei mercati e da una disponibilit di prodotti continua e illimitata, dalla estrema incertezza del trattamento e dagli scrupoli, sempre pi presenti, rivenienti dalle nuove sensibilit in tema di sicurezza alimentare e di tutela ambientale e sociale. Ugualmente dicasi per i processi di cucina, che offrono oggi tutta una serie di alternative, anchesse non esenti da incertezze, dettate dallevoluzione tecnologica e dalle nuove conoscenze in tema di salute. Pure in termini di risultati, infine, le scelte sono dipen-

denti dal carattere innovativo delle soluzioni suggerite dai numerosi operatori e divulgatori di cucina e dal continuo avvicendarsi di mode e stili di vita sempre pi volatili ed effimeri. Come affermava il filosofo politico Cornelius Castoriadis, la tradizione tipica delle societ eteronome, cio di quelle societ storicamente determinate che tendono a mascherare in varia guisa, anche involontariamente, lorigine umana delle regole condivise dai propri membri, riferendole a entit esterne, a volte di carattere anche mitico (predecessori, eroi, figure del passato, leggi della storia e del mercato), per conferire loro carattere di sacralit e di inviolabilit. La forza della tradizione in particolare, ossia il seguito accordatole dalla comunit, riposa in questo caso pi su un riconoscimento formale che su un reale processo di assimilazione e di validazione. La trasformazione in una moderna societ autonoma, costituita cio da individui ugualmente autonomi, passa invece attraverso la consapevolezza che le regole veicolate dalla tradizione sono mera espressione della volont umana e, come tali, non esenti da naturali processi di ripensamento, modifica, innovazione e, al limite, anche di totale derubricazione. In tale tipo di societ i singoli, perdendo le loro passate certezze, cercano di impossessarsi dellautonoma capacit di fare scelte consapevoli, quale espressione di un proprio diritto, assumendosene le connesse responsabilit. In assenza di fondamenti predeterminati e inviolabili, una societ autonoma pertanto indotta, al pari dei propri membri, ad autocostituirsi attraverso un continuo e incessante lavorio di identificazione, interessante necessariamente anche le tradizioni quali comune eredit consegnata dal passato. Tale processo richiede indubbiamente opportune riflessioni critiche che consentano di pervenire alla piena conoscenza di ogni aspetto di quanto ricevuto in consegna dalle precedenti generazioni, dallindividuazione dei presupposti dorigine al-

la constatazione delle finalit della loro insorgenza, dalla diretta sperimentazione dei risultati alla verifica del grado di attualit dei contenuti in rapporto allevoluzione del contesto sociale e delle relative forme di vita. Nel caso della cucina, il processo di identificazione richiede, in uno con lesame delle singole tradizioni, una conoscenza sistematica, contestualizzata e integrata, anche rispetto ad altri saperi, delle miriadi di esperienze consolidate e concettualizzate in tema, per esempio, di composizione e articolazione degli alimenti, di abbinamenti preferenziali, di sistemi e tecniche dei processi di preparazione e di cottura, di dominanti fondamentali nella scelta e nellimpiego delle materie prime. Queste conoscenze, favorite dal modo libero e aperto di attivazione dei processi cognitivi, dovrebbero permettere un deciso arricchimento culturale, capace di fornire, fra laltro, alimento alle sane discussioni intorno alle cose di cucina con argomentazioni, osservazioni, riflessioni e connessioni, incentrate pure sulle motivazioni delle scelte operate nel divenire stesso del processo di identificazione. In questo modo il distacco cognitivo fra tradizione percepita e quella autentica tende progressivamente a ridursi fino a che i rispettivi contenuti, coincidendo, non vengano fatti del tutto propri, dando cos vita a una tradizione rinnovata quanto meno sul piano della consapevolezza. Da un siffatto processo di riappropriazione identitaria - da attuarsi a cura di chiunque intenda seriamente avvicinarsi alla cucina, come a qualunque altro sapere intensamente permeato da conoscenze ed esperienze rivenienti dal passato - dovrebbe in effetti conseguire la rinascita di tradizioni rafforzate negli elementi costitutivi e nelle loro ragion dessere, destinate ad avere diversa e accresciuta presa, a livello non solo individuale ma dellintera comunit, nel presupposto che il processo stesso abbia potuto trovare auspicabile e diffusa emulazione.

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Potager royal della VenariaDI

ELISABETTA COCITO Accademica di Torino

Ricreati gli splendidi giardini della tenuta reale.

di rivaleggiare con quello di Versailles, rimandandoci indietro nel tempo quando, gi nel Settecento, il re di Francia Luigi XIV ne apprezzava i prodotti. La realizzazione, pur se non ubicata nel sito storico, ispirata al disegno originale e comprende un insieme di aree geometriche occupate da prati, coltivazioni, fontane, alberi da frutto e pergole, inserite in un ampio

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l 16 aprile sono stati inaugurati alla Venaria reale di Torino i nuovi giardini della Reggia, lultima e la pi sontuosa della Corona di delizie voluta da Carlo Emanuele II, concepita non solo come luogo di piacere, ma come vetrina di importanti attivit manifatturiere del territorio in un significativo connubio di bello e utile. Anche gli splendidi giardini, che non hanno rivali per la bellezza delle prospettive e limponenza del panorama che li circonda, non sfuggivano a questa impostazione. Parte della tenuta reale era infatti utilizzata per coltivazioni estensive e uno spazio specifico era riservato al potager royal, ricreato oggi nel suo splendore: dieci ettari di orti e frutteti, con coltivazioni tipiche del territorio, che lo rendono in assoluto il pi grande dItalia e che gli permettono

rettangolo lungo il lato nord del canale di Ercole intorno alla Cascina Medici del Vascello. Grazie a unattenta lettura dei documenti storici, i curatori sono risaliti alle specie coltivate allinterno degli orti e dei frutteti e al loro utilizzo, cos da consentire il recupero della vocazione originale del luogo. Gli orti sono strutturati ad aiuole nelle quali si alternano ortaggi e fiori policromi con siepi di erbe officinali. Il frutteto, delimitato da ampi viali, comprende 1.700 alberi da frutto di antiche variet piemontesi, alcune ormai difficili da reperire, in particolare specie autoctone di drupacee (pesco, susino, albicocco, ciliegio) e pomacee (pero, melo). Esterno al potager, ai margini del Parco della Mandria, stato infine impiantato un bosco di 200 noccioli della qualit tonda e gentile del Piemonte.

Al di l dellinnegabile bellezza della ricostruzione, ci che rende originale e particolarmente attuale il progetto il suo scopo educativo. Guardare, ascoltare, annusare, toccare e assaggiare: questo infatti linvito che giunge dai progettisti, un modello unico nel suo genere ispirato ai principi dellagroecologia, creato non solo per fini estetici, ma anche e soprattutto ricreativi, educativi e gastronomici. Il potager vuole richiamare lattenzione sul valore intrinseco dellagricoltura, ricordando soprattutto ai giovani che frutta e verdura non devono solo richiamare le corsie di un supermercato, ma significano anche processi di coltivazione e crescita. Esso si propone quindi come palestra didattica e guider i visitatori a scoprire i frutti della terra attraverso laboratori e seminari. Un intenso programma prevede lezioni e conferenze su: Educazione sensoriale, per allenare i nostri sensi a riconoscere i cibi buoni (sani); Orticoltura ecologica, in cui si affronteranno temi quali la biodiversit, il rispetto verso la terra e il suo ecosistema; Spesa quotidiana, che rimanda alla capacit e consapevolezza di acquisto; Tecniche di cucina, rivolte alla trasformazione e conservazione dei prodotti della terra. Sui primi due temi sono inoltre previsti corsi specificamente rivolti agli studenti di scuola primaria e secondaria. Frutta e verdura nobilitate dallestetica, intercalate a fiori e bellezze artistiche: progetto vincente per attrarre pubblico e porsi come modello tanto da essere stato individuato come polo permanente delleducazione alimentare nazionale per lEsposizione internazionale del 2015, che avr come titolo Alimentazione e paesaggio.

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Agnello s, coniglio noDI MARINO DE MEDICI Accademico della Virginia

I bambini americani inorridiscono allidea di mangiare carne di coniglio.

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el calendario cinese, il 2011 lanno del coniglio, conosciuto con il nome formale di Xin Mao. Di fatto, il coniglio un animale importante nella Cina, che non solo il pi grande produttore di conigli, ma anche il pi grande esportatore, stando alle statistiche della Fao. Dopo la Cina, vengono, nella produzione, il Venezuela e, a ruota, lItalia. Ma lItalia anche il terzo importatore di carne di coniglio, segno indubitabile che se ne mangia parecchio. Gli Stati Uniti sono il nono Paese importatore, poca cosa in una nazione cos grande, che il maggior consumatore di carne al mondo. Perch mai questa avversione al coniglio? Per un motivo che Antonino Pino, un ristoratore di Leesburg (Virginia), riassume in una parola: Culturale. Easter Bunny, ossia il coniglietto di Pasqua, infatti uno dei simboli pi amati dagli ame-

ricani, legato alla concezione di rinascita, di fertilit e di nuova vita. Poi c il celebre Bugs Bunny, protagonista di una serie infinita di cartoni animati, di libri e film per bambini. E c un altro coniglio, Thumper, lesuberante amico di Bambi il cerbiatto. Non sorprende quindi che i bambini americani inorridiscano allidea di mangiare carne di coniglio. E che i loro genitori non se la sentano di mangiare animali che razzolano vicino casa, scoiattoli inclusi. E poi c chi contrario a consumare carne di coniglio perch questo viene considerato un roditore. Vero che il coniglio ha alcuni tratti del roditore ma costituisce una specie diversa, con quattro incisivi curvi nella mandibola. Al confronto con la lepre, un animale di dimensioni minori, con orecchie pi piccole e pelo dal colore uniforme. Stranamente, Thumper pi lepre che coniglio, con una bella coda. Malgrado le forti resistenze culturali, il coniglio viene ora servito sporadicamente nei ristoranti per cos dire etnici. I conigli sono unottima fonte di proteine, la loro carne ha un sapore che ricorda quella del pollo e possono essere cucinati al forno o fritti. Macellati non pi tardi degli otto mesi, possono pesare fino a tre chili. Meno resistenza nel consumo incontrano le lepri, che vengono macellate quando pesano sei chili. La loro carne scura e pi simile a quella di manzo che non di pollo. Contrariamente ai conigli, che sono per lo pi animali domestici, le lepri corrono molto allaperto e di conseguenza hanno pi muscoli e quindi una carne pi dura. Cucinare la lepre piuttosto complicato. NellAmerica coloniale prevaleva luso di prepararla jugged, ossia di cuocerla in una brocca entro un recipiente con acqua

per qualche ora, servendola con il sangue mischiato in un pur di fegato e crema. Gli americani non sono cacciatori di lepri. La caccia che prediligono, alla base di una vera e propria cultura che strettamente imparentata con il possesso indisturbato delle armi da fuoco, quella del cervo. Ma le carni dei cervi, come quelle di lepri e uccelli, tra cui anatre e colombe, possono essere consumate solo in famiglia. Il divieto di commercializzazione deriva dal fatto che gli animali uccisi quasi sempre contengono pallini. Il divieto non vale ovviamente per i conigli di allevamento. A questo punto vale la pena di chiedersi cosa ci sia di diverso tra il coniglietto Bunny che fa tanta tenerezza e altri animaletti che piacciono ai bambini, come porcellini, agnelli e capretti che finiscono regolarmente sulle mense americane. La spiegazione che rispetto a quelli il coniglio un pet, ossia un animale prediletto delle famiglie, come cani e gatti. Nessuno certamente mangia cani o gatti, quanto meno negli Stati Uniti. Di conseguenza, i ristoratori non mettono il coniglio tra i piatti del menu, ma lo offrono sporadicamente come special. Antonio Capece, uno chef lucano, gestore di un ristorante italiano a Richmond, ci prova di tanto in tanto abbinando la carne di coniglio alle pappardelle. Quasi sempre mi resta, e finiamo col mangiarcelo noi in cucina - confessa -. Meno mia figlia, che si rifiuta di mangiare il coniglietto di Pasqua, aggiunge con rassegnazione. Peccato, perch la carne di coniglio contiene molte proteine ed facile da digerire. Il resto del mondo lo sa e fa largo uso dei conigli, senza tanti scrupoli culturali.

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Morbida spongadaDI IPPOLITA CHIAROLINI Accademica della Vallecamonica

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Una laboriosa preparazione delle feste pasquali.

a spongada, un dolce tipico camuno, diffusa in tutta la Valcamonica in diverse varianti della ricetta. Le famiglie dei paesi della valle preparavano limpasto in pagnotte che venivano poi portate per la cottura presso un forno a legna, lasciando qualche spongada cotta come compenso per il servizio. Unantica leggenda racconta che a Monno, in alta Valcamonica, un mendicante entr in una panetteria per chiedere la carit; la panettiera si chiamava Rosa ed era molto avara. Il mendicante aveva dei modi gentili e gli occhi sinceri, cos conquist il cuore di Rosa che gli regal una pagnotta e questi, dopo averla nascosta sotto il mantello, la tramut nel dolce che noi tutti oggi conosciamo. Il suo nome deriva dal latino sponga che significa spugna, attribuito proprio per la sua consistenza morbida e spugnosa. La preparazione della spongada laboriosa, in-

LA RICETTAIngredienti: 130 gr di lievito di birra; 1,1 kg di farina bianca; latte; 800 gr di zucchero; 560 gr di burro; 10 uova intere; 8 tuorli duovo; vanillina; sale; zucchero a velo (per la spongada tipica di Breno). Preparazione: stemperare il lievito nel latte e 200 gr di farina bianca sino a formare un composto consistente; disporlo in un ambiente caldo e lasciare lievitare per 40 minuti. Preparare separatamente il primo impasto con 400 gr di zucchero, 280 gr di burro, 5 uova, 4 tuorli, 450 gr di farina bianca, vanillina, sale, sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo; quindi aggiungere il composto di lievito preparato in precedenza, lavorare bene e lasciare a riposo per 3 ore. Mescolare e lavorare gli ingredienti del secondo impasto seguendo le stesse dosi del primo e lasciare lievitare per