ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE SCIROEU de MILAN · 2020. 1. 20. · ACCADEMIA da “LETTERATURA...

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Anno XVII – Numero 113 – Novembre/Dicembre 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999 ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE SCIROEU de MILAN www.sciroeu.it LA CASA DI “DON LISANDER” Rimessa a nuovo torna a vivere la dimora milanese di Alessandro Manzoni Nel cuore di Milano troviamo la raccolta piazza Belgioioso dominata dal neo-classico palazzo Belgioioso, oggi Brivio Sforza, capolavoro di Giuseppe Piermarini. Il palazzo era frequenta- to, tra gli altri letterati ed intellettuali, dal Pa- rini e dal Foscolo che praticavano il raffinato salotto dei Belgioioso. In fondo alla piazza, all’angolo con via Morone, vive un palazzetto in cotto su tre piani, è la casa dove lo scrittore e poeta Alessandro Manzoni abitò dal 1814 e morendovi il 22 maggio del 1873. La casa dopo quasi un anno di lavori di re- stauro ha ritrovato il fedele aspetto originario dei numerosi ambienti così per i decori in essi contenuti. Gli arredi e le opere d’arte sono sta- ti debitamente ed armoniosamente ricollocati. Un lavoro molto ben fatto che ha pure recupe- rato il giardino, la biblioteca, lo studio di “Don Lisander” e quello del suo amico Tommaso Grossi notaio e soprattutto egregio scrittore. In questa casa ha sede il prestigioso Centro di studi manzoniani che raccoglie le opere del Manzoni, i numerosi studi critici intorno al poeta e le prime edizioni delle sue opere. Interessante pure il Museo manzoniano che comprende una ricca iconografia del grande milanese: documenti storici, oggetti persona- li, alcuni pregevoli quadri e la camera da letto dove lo scrittore morì arredata con i suoi mo- bili originali. Insomma ora la casa di via Morone 1 custodisce de- gnamente la memoria del grande italiano e milanese, la cui opera complessiva ed il suo pensiero potranno continuare ad ispirare i nostri passi culturali che sono da sempre condizionati dai famosi “Promessi sposi” che si può considerare il primo romanzo storico italia- no ed europeo di profondo pensiero etico. Alla morte del Manzoni la casa fu acquistata dal nobi- le Bernardo Arnaboldi per poi diventare proprietà del- l’ex Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde che la donò al Comune di Milano per l’uso del Centro studi manzoniani. Ora la dimora è visitabile gratuitamente seguendo un interessante percorso espositivo e descrittivo. Osmano Cifaldi

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Anno XVII – Numero 113 – Novembre/Dicembre 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE

SCIROEU de MILANwww.sciroeu.it

LA CASA DI “DON LISANDER” Rimessa a nuovo torna a vivere la dimora milanese di Alessandro Manzoni

Nel cuore di Milano troviamo la raccolta piazza Belgioioso dominata dal neo-classico palazzo Belgioioso, oggi Brivio Sforza, capolavoro di Giuseppe Piermarini. Il palazzo era frequenta-to, tra gli altri letterati ed intellettuali, dal Pa-rini e dal Foscolo che praticavano il raffinato salotto dei Belgioioso. In fondo alla piazza, all’angolo con via Morone, vive un palazzetto in cotto su tre piani, è la casa dove lo scrittore e poeta Alessandro Manzoni abitò dal 1814 e morendovi il 22 maggio del 1873.La casa dopo quasi un anno di lavori di re-stauro ha ritrovato il fedele aspetto originario dei numerosi ambienti così per i decori in essi contenuti. Gli arredi e le opere d’arte sono sta-ti debitamente ed armoniosamente ricollocati. Un lavoro molto ben fatto che ha pure recupe-rato il giardino, la biblioteca, lo studio di “Don Lisander” e quello del suo amico Tommaso Grossi notaio e soprattutto egregio scrittore.In questa casa ha sede il prestigioso Centro di studi manzoniani che raccoglie le opere del Manzoni, i numerosi studi critici intorno al poeta e le prime edizioni delle sue opere. Interessante pure il Museo manzoniano che comprende una ricca iconografia del grande milanese: documenti storici, oggetti persona-li, alcuni pregevoli quadri e la camera da letto dove lo scrittore morì arredata con i suoi mo-bili originali.Insomma ora la casa di via Morone 1 custodisce de-gnamente la memoria del grande italiano e milanese, la cui opera complessiva ed il suo pensiero potranno continuare ad ispirare i nostri passi culturali che sono da sempre condizionati dai famosi “Promessi sposi” che si può considerare il primo romanzo storico italia-no ed europeo di profondo pensiero etico.Alla morte del Manzoni la casa fu acquistata dal nobi-

le Bernardo Arnaboldi per poi diventare proprietà del-l’ex Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde che la donò al Comune di Milano per l’uso del Centro studi manzoniani.Ora la dimora è visitabile gratuitamente seguendo un interessante percorso espositivo e descrittivo.

Osmano Cifaldi

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SOMMARIO

2 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

EDITORIALELa casa di “Don Lisander”di Osmano Cifaldi

1

PROGRAMMI E SEGNALAZIONI 3

IN CARTA 5

Luigi Medicida “Letteratura dialettale milanese” di Claudio Beretta

6

C’era una volta: la magica sala del teatro Gerolamodi Osmano Cifaldi

8

POESIA E STILE 9

MILAN... LA COGNOSSI? di Giorgio Moro ViscontiVia Agostino Bertani

11

MENEGHINOUn simbolo che non deve scomparirea cura di Tullio Barbato

12

LEGGIUU E SCOLTAA 16

LEGGIUU E SCOLTAAFoeura del cavagnoeu

20

VEDRINA DE LA BOTANICA a cura di Fior-ella Lupino, erbacea vorace

21

EXPO - I 100 anni del Camparinodi Osmano Cifaldi

22

CUNTA SÙ di Ella TorrettaLa vigna de Milan

23

SALUTE A MILANO di Filippo BianchiLe ferite

25

FIRIFISS 27

Accademiadel Dialetto Milanese

Quote annue di adesione del 2015Soci Aderenti da € 35,00Soci Effettivi da € 52,00Soci Sostenitori da € 180,00

La quota può essere versata suBanca Popolare del Commercio e dell’Industria Iban IT24H0504801613000000003602Agenzia 33 – via Secchi 2 – Milanooppure: C/C Postale N°24579203“Accademia del Dialetto Milanese”

SCIROEU de MILANEdito dall’Accademia del Dialetto Milanese

Bimestrale fondato nel 1999Reg. Trib. di Milano N°789 del 24-12-99

Direttore: Gianfranco GandiniFax 02 8266463

www.sciroeu.itACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE

Sede c/o Circolo Filologico Milanese via Clerici, 10 – 20121 Milano

Tel. 3336995933 Fax 028266463C.F. 97206790152 NAT. GIUR. 12

Presidente onorario: Gino Toller Melzi

Consiglio DirettivoPresidente: Gianfranco GandiniVicepresidente: Mario ScuratiConsiglieri: Ella Torretta - Segretaria Edoardo Bossi Lucio Calenzani

Redazione: Tullio Barbato,

Filippo Bianchi, Edoardo Bossi, Osmano Cifaldi, Fior-ella,

Gianfranco Gandini, Giorgio Moro Visconti

Francesca PiragineGino Toller Melzi, Ella Torretta,

Marialuisa Villa Vanetti

E-mail: [email protected]

Realizzazione e disegni di:Marialuisa Villa Vanetti

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PROGRAMMI

Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 3

www.sciroeu.itè in rete la versione aggiornata anche per tablet e cellulari

RADIO MENEGHINARadio Meneghina, fondata da Tullio Barbato nel 1976, sta riposizionando la sua presenza sul territorio a Milano-centro in via Caffaro e in via Trasimeno. Trasmette interventi di Luca Barbato, Mario Censabella, Ada Lauzi, Enzo Ravioli, Roberto Carusi, Gianfranco Gandini, Roberto Marelli, Giuliano Fournier, Roye Lee, Piero Bianchi, Liliana Feldman, Ella Torretta, Pierluigi Amietta, Natale Comotti, Vincenzo Barbieri, Roberto Biscardini, Michaela Barbato, Lorenzo Barbato e le dirette delle partite di calcio casalinghe dell’Inter dallo stadio Meazza. Radio Meneghina è l’emittente che riserva il maggiore spazio alla produzione dialettale di canzoni, poesie, prose.

APPONTAMENT E MANIFESTAZION:

Manifestazion di amis:

Gino Toller Melziconversazioni

“Storia di Milano”il giovedì dalle 16.30 alle 17.30

UNITREvia Ariberto 11 - Milano

Ella Torrettaha iniziato

le conversazioni“Freguj de milanes”

quindicinalmenteil giovedì alle 15.30 ed alle 16.30

“Scrivemm in milanes”

Humanitervia S. Barnaba, 48 - Milano

El Pontesell - Biblioteca Fra’ Cristoforo - via Fra’ Cristoforo 6 - Milano

XVIII Corso di Lingua e Cultura Milanesetutti i Lunedì dalle 16.45 alle 19.15

Docenti: Paola Cavanna, Gianmaria Ferrari, Bianca Mancuso, Pietro Passera, Mario Torchio con la partecipazione di altri esperti. “Giornate riservate al poeta amico” e

“Giornate dedicate a canzoni di tradizione e cori”Informazioni telefoniche dalle 17,00 alle 19,00 - 02 89530231 - 02 88465806 - 02 26145172

Sabato 7 novembre h. 15.30 Sciroeu di Poettapresso il Circolo Filologico Milanese

Sabato 12 dicembre h. 12.30 Pranzo socialepresso il Circolo Filologico Milanese

Un’occasione per fraternizzare con la se-zione di Milanese del Circolo Filologico. Per informazioni e prenotazioni:Gandini 3336995933 - 027610548

Museo Martinitt e Stellinecorso Magenta 57 - per info e prenotazioni tel. 02 43006522

dalle 15,30 alle 17,00 “Grammatica e letteratura milanese”

A cura di Gianfranco Gandini

Calendario degli incontri. 2015: 3 novembre/ 1 dicembre

2016: 12 gennaio/2 febbraio/1 marzo/5 aprile/3 maggio/7 giugno

ATTENZIONEImportante

Si rende noto a tutti gli amici e soci che il nuovo indirizzo

postale è il seguente:

Circolo Filologico Milanese via Clerici, 10 20121 Milano

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4 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

SEGNALAZIONI

CONFERENZE FILOLOGICO – MUSEO MARTINITTa cura di Cristina Cenedella e Gianfranco Gandini

Presso il Circolo Filologico in via Clerici, 10

Quattro incontri, nei quali verranno letti e commentati documenti originali di uomini e donne della Milano otto e novecentesca (testamenti, elenchi dotali e inventari di case). Verrà scoperto il mondo intimo e quotidiano dei personaggi e delle classi sociali alle quali appartenevano; la lettura e l’analisi di componimenti poetici dell’epoca o contemporanei, completeranno le conferenze, richiamando sia gli argomenti trattati, sia la rilevazione di termini dialettali usati nei documenti originali otto e novecenteschi. 1° incontro - mercoledì 18/11/15 ore 18,00 La borghesia milanese della prima metà del XIX secolo.Il ragioner Giuseppe Tavola e sua moglie Elena Galli – Cristina Cenedella Lettura della poesia di Pier Gildo Bianchi “Al pattee” – Gianfranco Gandini

2° incontro - mercoledì 02/12/15 ore 18,00 I beni immobili e mobili dei borghesi della prima metà del XIX secoloL’inventario dotale di Elena Galli – Cristina CenedellaL’inventario dell’eredità di Giuseppe Tavola – Cristina CenedellaTermini dialettali o richiamanti il dialetto – Gianfranco Gandini

3° incontro - mercoledì 20/01/16 ore 18,00La piccola nobiltà milanese di primo Novecento.Sintesi della poesia di Carlo Porta “La nomina del Cappellan” – Gianfranco GandiniLa contessa Maria Rosa Dina Caccia – Cristina Cenedella

4° incontro - mercoledì 17/02/16 ore 18,00I poveri, le classi le più umili e popolari tra Sette e Ottocento.Lettura del registro di ricovero dei poveri del Pio Albergo Trivuzio – Cristina Cenedella Cenni sull’Orfanotrofio Maschile di Milano “I Martinitt” – Gianfranco Gandini

Ingresso libero fino a esaurimento posti

Solo recentemente abbiamo appreso, purtroppo con molto ritardo che ci ha lasciati il socio Marco Candiani. Ricordiamo Candiani fra i poeti che hanno dato lustro sia all’Accademia del Dialetto Milanese, sia alla nostra città, con la forza della sua poetica. Fra le sue opere più importanti ricordiamo “Paròll in del vent” e “I Promessi Sposi” – 500 sestine per 3000 versi in endecasilabi – opera che vede quale appendice “La peste de Milan in del 1630, libera traduzione sempre di Marco Candiani.Ci ricorda Marco, nella sua premessa ai Promessi Sposi “Rinunciare, se non addiritura disprezzare i dialetti, tutti i dialetti, è tradire le proprie radici e rinnegare il passato...” Ciao Marco...

Dobbiamo purtroppo rilevare un altro estremo saluto di un appassionato di poesia, socio dell’Accademia. Giuseppe Peraboni che tutti ricordiamo per l’entusiasmo e la passione che esprimeva durante la recitazione delle sue poesie.Ciao “Peppin”, R I P

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Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 5

IN CARTA

NUOVI VOCABOLI RENDONO PIÙ RICCA MI-LANO

Cherubini, Banfi, Angiolini, Arrighi, Antonini, erano i vocabolari milanesi consultabili fino a qualche anno fa; mancava una nuova opera, che oltre a racchiude-re il sapere meneghino dei secoli scorsi, aggiornasse, con nuovi vocaboli una lingua, quella milanese che, data da molti per finita, al contrario è andata evol-vendosi. Grazie al contributo della Vallardi Editrice, ecco il nuovo Dizionario Milanese (italiano-milanese e mi-lanese-italiano) edito nel 2001 e ristampato nel 2014 con oltre 40.000 lemmi che, tenendo conto del les-sico moderno riporta naturalmente anche le parole arcaiche, affiancando le voci colte e letterarie ai ter-mini economici, tecnici, scientifici e ai neologismi che di volta in volta la nostra lingua ha attinto da altri idiomi (celti, latini, spagnoli, tedeschi, francesi, ecc.).La Vallardi non poteva che affidare il compimento di tale opera al Circolo Filologico Milanese, importante istituzione meneghina che dal 1872 propone corsi di lingue, importanti manifestazioni culturali, dotata di una ricca biblioteca di pubblica consultazione. Scrive il Presidente m° Valerio Premuroso nella prefazione del volume: “Questo Dizionario rappresenta l’opera più impegnativa realizzata dalla sezione di Cultura Milanese del Circolo Filologico”.Il coordinamento, la ricerca e la revisione di que-st’opera è stata affidata a due importanti personaggi milanesi, Claudio Beretta e Cesare Comoletti, docen-ti presso il Filologico, di cui sono stati anche Presi-denti, nel corso di sei lustri di studio e insegnamento. Grazie anche ai collaboratori che hanno affiancato Beretta e Comoletti, la realizzazione di quest’opera consegna alla nostra e alle generazioni future l’eredi-tà linguistica ricevuta dai grandi del passato: Bonve-sin de la Riva, Carlo Maria Maggi, Giuseppe Tanzi, Carlo Porta e Delio Tessa, per citarne solo alcuni.Un prezioso “Livre de chevet” che non dovrebbe mancare in ogni casa e che conferma la qualità delle scelte culturali del Circolo Filologico e di quelle edi-toriali di Vallardi.

Roberto Marelli

Continua a pag. 10

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ACCADEMIAda “LETTERATURA DIALETTALE MILANESE” di Claudio Beretta

Luigi Medici

6 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

Dalla letteratura dialettale Milanese di Claudio Beretta

“Luigi Medici (1888-1965) rappresenta nella costellazione degli scrittori milanesi di questo secolo il poeta che ha saputo nobilitare il nostro dialetto rispettandone rigorosamente la genuinità, sia come linguaggio, sia come metro, pur trattando gli argomenti più diversi, dall’avvenimento spicciolo quotidiano al profondamen-te filosofico......Anche in questa lirica il poeta ha saputo inserire con semplicità e pertinenza espressiva i grandi concetti della vita, visti dalle autorità, dai piccoli, con la chiusa del bidello che riassume tutto.Anche qui ha scelto una strofa di cinque endecasillabi ABBAB”.

IL SAGGIO DE L’ASILO IL SAGGIO DELL’ASILO

L’asilo l’era on bus de salettina,che curiosava in de l’ortin del pret;de là vegniva l’odorin del sped,e del most, che buiva in de la tina,col profumm de l’incens e de la fed;

e in quell’ort, per dî mej, quell tòcch de pràa,cont on vignoeu de pôs del battisterie ona sciresa, attacch al presbiteri,che la tegneva fresch i mes d’estàa,tra dùu cipress, bei scur, de monasteri,

in l’ombra celestina de la gesai cereghètt giugaven a spannetta,e, fasendes de scala, inscì a spalletta,rampegaven in magg su la sciresaa impieniss de sgalfioni la socchetta.

Ben, là gh’era l’asilo. Ciar, quiett,cont i ritratt del Re e de la Reginae, sora a on altarin, la Madonninache tra i fior la guardava su i banchett,coi mas’c a dritta e i femmin a manzina.

On cardenzin tutt pien de barlafuse de belée de legn d’ogni color;dùu quader, con su i besti, i frutt, i fior,ona vanga, on restell, la rocca, on fus, (pitturàa come i veden i pittor)

formaven el museo de sta scoletta;e on bell quadrett, dedrée d’on tavolin, con su on fioeu, tra on angiol e on ciappin,el serviva a spiegà la dottrinetta,pussée de tutt i master in latin.

L’asilo era un buco di salettinache curiosava nell’orticello del prete;di là veniva l’odorino dello spiedo, del mostoche bolliva nel tino, col profumodell’incenso e della fede;

e in quell’orto, per dirla meglio, quel pezzetto di prato con una piccola vignadietro al battistero ed un ciliegio vicino alpresbiterio che lo teneva fresco nei mesi estivi,tra due cipressi ben scuri, da monastero,

nell’ombra clestina della chiesa i chierichettigiocavano a spannetta e, facendosi da scala,così a spalletta, arrampicavano in maggiosul ciliegio per riempirsi di ciliegionila sottanina.

Bene, là stava l’asilo. Chiaro, quieto, con i ritratti del Re e della Regina e, sopra un altarino, la Madonnina che tra i fioriguardava sulle panchine coi maschi a dritta e le femmine a mancina.

Un credenzino tutto pieno di cianfrusagliee di giocattoli di legno d’ogni colore;due quadri, con bestie, frutti, fiori, una vanga,un rastrello, la rocca, un fuso (dipinti comeli vedono i pittori)

formavano il museo di questa piccola scuola; e un bel quadretto, dietro un tavolino, con un ragazzo tra un angelo e un diavoletto serviva a spiegare la dottrinettapiù di tutti i mastri in latino.

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ACCADEMIA

Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 7

E sti robb, maneggiáa con la pazienzad’ona suora-maestra eren asséeper sgurà, per la festa, qui tripéee pizzagh el lumin de la sapienzae la bella passion per i mestée.

Per el “Saggio”, strusaven de la gesa trii o quatter banch e i scagn per i “primm post”(el segretari, el sindech, el prevostla dottora,el nodar e la marchesa)infiláa come i dord sul mennarost;

e i bagaj eren lì, sti bei rattincavezzaa, tucc in rosa, i tosanett, coi cavèi ligáa sù come mazzett,e i mas’c, in bleu, cont el cavagnoline i crapitt che spontaven di collett;

e la suora-maestra, in d’on scuffion de tila incanettada, con duu oggittde foin, sbarlusent ma piscinitt, la tegneva lì in suddizionsta bella cavagnada de rattitt.

El sur curatt, content come on papà,el se godeva tutta sta nïada...cont i sò man l’aveva battezzada,come el gh’aveva laváa giò ai sò pài peccáa, in del seggion de la bugada;

el sur sindech settáa giò in cadregon,cont ona bella faccia de barbera,pensand a l’ultim prezzi del gruerael borlonava, inscì come on rodon,on cappell grand, compagn d’ona stadera

e la marchesa, che la se ne intend, cont l’orgnett la guardava i beleritt,i ball de lana, i gioeugh, i disegnitte i pont in cros de fil, fáa de nient,a greca, a fior, a foeuj, a scantonitt.

Comincia il saggio. El mas’c del sur Tognin,ch’el tripillava arent a la marchesa,el va sul palch e, con la man distesa, el dis su franch el sò complementin,cantand cont ona vôs fresca e distesa,

E queste cose, maneggiate con la pazienzad’una suora-maestra erano sufficienti per ripulire, per la festa, quei treppiedi e accendere il lumino della sapienza e la bellapassione per le faccende.

Per il “Saggio” trascinavano dalla chiesa treo quattro banchi e le seggiole per i “primi posti”(il segretario, il sindaco, il prevosto,la dottoressa, il notaio e la marchesa)infilati come i tordi sul menarrosto;

e i ragazzetti erano lì, questi bei topolini,ravviati, tutti in rosa, le ragazzine coi capellilegati su come mazzetti, e i maschi, in blucon il cestino e le testoline che spuntavano dal colletto;

e la suora-maestra, in un cuffione di tela incannettata, con due occhietti da faina, luccicanti ma piccoli, teneva lì in soggezione questa bella grande cesta di topolini.

Il signor curato, contento come un papà,si godeva tutta quella nidiata... l’aveva battezzata con le sue mani, come già avevalavato via ai loro padri i peccatinel grande secchio del bucato;

il signor sindaco, seduto sul seggiolone,con una bella faccia da barbera, pensandoall’ultimo prezzo del gruviera rotolava,come fosse una grande ruota, un cappellogrande, simile ad una stadera

e la marchesa, che se ne intende, con l’occhiale guardava questi piccoli giocattoli,le palle di lana, i giochi, i disegnini e i punto-croce di filo, fatti di niente,a greca, a fiori, a foglie, a piccoli angoli.

Comincia il saggio. Il maschio del signorTonino che trepidava vicino alla marchesa,va sul palco e, con la mano distesa, dice consicurezza il suo complimentino,cantando con voce fresca e distesa,

[continua nel prossimo numero]

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ACCADEMIA

8 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

C’era una volta: la magica sala del teatro Gerolamodi Osmano CifaldiA poca distanza dal palazzo Vescovile, a ridosso del-la parte absidale del Duomo, insiste un severo palaz-zo che fu sede del Tribunale e oggi ospita il coman-do della polizia locale, ovvero dei vigili urbani, dei “ghisa” insomma.Venne eretto nel 1586 e durante le congiure del 1821 quì furono processati e condannati al carcere duro alcuni patrioti milanesi da scontare allo Spielberg, il severo e turrito castello ove si consumò la prigionia di Pellico e di Maroncelli. Una lapide ricorda il fatto ed elenca i nomi che udirono la sentenza il 24 gen-naio 1824.

Sulla stessa piazza Beccaria, al n.8, fu attivo il teatro Gerolamo. Progettato nel 1868 dall’architetto Giu-seppe Mengoni, lo stesso che realizzò la galleria Vit-torio Emanuele, nacque come teatro delle marionette e prese il nome di Gerolamo della Crina, una mario-netta piemontese portata a Milano dal teatrante Giu-seppe Fiando. Dal 1906 i famosi marionettisti “Carlo Colla e Figli” ci restarono per oltre cinquant’anni, fino al 1957.Era un piccolo teatro molto accogliente che pote-va vantare 350 posti, ove si realizzavano i sogni di grandi e soprattutto piccini grazie a storie e leggende

che le marionette raccontavano attraverso le sapienti movenze prodotte dagli “invisibili” fili manovrati dai magistrali Colla.Dai Colla in poi il teatro visse dell’influenza artisti-co-organizzativa del grande Paolo Grassi, della af-fermata compagnia stabile diretta da Carlo Colombo ed infine della regia dell’altrettanto noto maestro di teatro Umberto Simonetta.I milanesi vogliono togliersi la morte nel cuore per il silenzio del Gerolamo, sperando che la sua attività possa continuare come un tempo con i mitici Colla. Vi è la possibilità che questo potrà realizzarsi nel-

l’area dell’ex Ans-aldo.Intanto tremila ma-rionette, oltre a sva-riate scene e costu-mi sono in attesa di entrare in campo.L’EXPO è l’occa-sione per rilanciare lo spettacolo ve-ramente unico del vecchio Gerolamo.La compagnia ma-rionettistica Carlo Colla e Figli intan-to, nell’atelier di Via Montegani ha dato il via alle ce-lebrazioni verdia-ne con una serie di rappresentazioni mobilitando oltre

200 marionette e circa 50 fondali. Una straordinaria riduzione, coniugabile con le marionette a firma di Eugenio Monti Colla che sotto l’ala protettiva della Madonnina realizza il miracolo di far vivere in modo nuovo i capolavori verdiani.

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POESIA E STILE

9 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

La nostra Accademia si è posta quali obiettivi la tutela e la difesa del dialetto milanese in tutte le sue manifestazioni, con particolare riguardo alla poesia – art. 2 dello Statuto.Ogni poesia, dovrebbe rispettare due momenti ben precisi determinati dalla poetica e dalla prosodia, elementi questi che vengono, ahimè, troppo spesso ignorati.Ben lo sapeva il compianto prof. Claudio Beretta che richiamò il nostro senso poetico con vari arti-coli apparsi in una rubrica, sui Sciroeu di diversi anni or sono e che vogliamo riproporre, credendo che possano essere propedeutici ai nostri odierni poeti affinché ne traggano insegnamento.

Dalla rubrica “Poesia e Stile” a cura del prof. Claudio Beretta.

Continua a pag. 26

La metrica del sonetto (2)

Il sonetto, abbiamo visto, è un componimento breve (4+4+3+3 versi), vuol esprimere un solo concetto, e di regola, i primi 11 versi vogliono essere la pre-messa e gli ultimi 3 la conclusione. Così Porta (22, 1814): Paracarr che scappee de Lombardia... E la conclusione: De podè nanca vess indifferent / sulla scerna del boja che ne scanna.Qualche volta si rende necessaria, per enfasi poetica, una dimostrazione e questa sta nella coda. Fabio Va-rese (1570-1630) ci ha lasciato diversi sonetti caudati. Uno tra i più celebri è quello dove il poeta descrive la propria abitazione: No m’domandé de grazia donde sto / che maledetto sia sto in d’ona cà / dov’no poss dì né nogg mai repossà / del fregg e del fracass e del spuzzò... La ‘coda’ consiste in cinque terzine nel-le quali il poeta ‘dimostra’, cioè descrive il ‘perché’ del suo concetto: odori, visioni e sopra tutto, rumori molesti: ... Tra l’olter gh’è on fioeu / d’on vesin che no m’lassa mai dormì / ch’al rasgia dalla sira fin’ al dì... Varese adotta la forma aBB, cioè il primo verso della coda, che è sempre un settenario, rima con l’ul-timo verso della terzina precedente (quindi la terzina che segue sarà bCC, ovvero: Ma cazz mì voeui fugì / e portà via ona nogg la paia e ’l legg, / maledett sia ’l padron, la cà col tegg.) Carlo Porta ribalta questa struttura alle estreme con-seguenze nel Sonettin col covon. Già nel titolo il ‘piccolo’ sonetto sta in opposizione alla ‘lunghissima coda’ (no. 71, del 1817). La forma iperbolica è meta-fora di ribellione, di repulsa di uno stile classico or-mai morto, in favore di uno spirito romantico, il tutto in modo esasperato. Mì romantegh? Soo ben ch’el me cojona: / Mì son classegh fin dent el moll di oss, / mangi, bevi, foo el porch in Elicona / e ai romante-

gh per mì ghe caghi adoss. E fa una sequela infinita di citazioni classiche che vogliono essere solo delle punture ai veri classici ch’egli combatte. Sono 191 versi, dei quali 14 di sonetto vero e proprio e 177 di coda (59 terzine), un vero e proprio virtuosismo (sul fare dei classici) che si conclude: Nò, nò, no vuj sta bega / classegh sont e vuj stagh: saront fors’anch / on cojon, ma on cojon classegh almanch. La verve del Porta si spiega in tutta la sua causticità. Intanto dimostra di conoscere il mondo classico e i metodi classici meglio di qualunque classicista. La sua ribellione è quindi contro un mondo che è fuori della storia, ma la sua satira è sopra tutto politica: Grossi ha fatto circolare il suo poemetto contro Fran-cesco I, per la morte del Prina: Porta è stato convoca-to dalla polizia, il conte di Raab, che glie ne attribui-sce la paternità, finché Grossi non si autodenuncerà; la censura gli impone di ‘limare’ ampi tratti della sua poesia; sente frequenti dolori allo stomaco e emicra-nie. Sono dei retroscena non abbastanza considerati dalla critica, ma fanno parte della vita e dello stile, questa volta esasperato, benché in chiave ironico-umoristica, del poeta.Il sonetto può anche essere però di ottonari e seguire, riguardo alla rima, le stesse regole dei sonetti in en-decasillabi. Ce ne dà un esempio Luigi Medici (1888-1965) ne La pipa del Giacomin, La cometta, I gemm de savon, La parada del ramm,(Sogno di una notte di mezzo inverno), pubblicata nel 1963. Di quest’ul-timo do un esempio: Su l’attenti! Stamp, ramina, / bell pairoeu de la polenta / su la fiamma sbarlusenta / col caldar de la gaina... e anca tì ciccolatera, / col frollin infilaa dent / sull’attenti chì in filera! Si tratta di descrivere il piacere che ci danno i rami in cucina: un verso scorrevole e ‘minuto’ per cose minute.

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10 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

Alberico Contursi, in arte “Bico” persevera nella sua passione poetica e, continuando a guardarsi intorno con curiosità (che io definisco sia l’anticamera della conoscenza) appunta luoghi, fatti, persone per poi trasformarli in pensieri poetici.Ecco quindi vedere la luce il suo quarto libro di poesie “ Pen-ser in stondéra” dove, appunto, raccoglie queste sue emozioni perché lui, Bico, ha piacere di renderne partecipi i suoi cari e tutti gli amici.Come sempre Bico arricchisce il volume con disegni, fotogra-fie e quant’altro giudica possa dare corpo a questa sua fatica.Non mancano riflessioni intimistiche che Alberico sa come tra-sformare in versi ben rimati e cadenzati

... e gent che giudiziosascarega in del foppontutta la delusionde vita ingenerosa...

Bravo Bico, non ci resta che dire, come di consueto, ...dai spettom el prossim liber, sì perché io lo so che Bico ci sta già pensando...

Continua da pag. 5 - In carta

ACCADEMIA

Intermezzi di Edoardo Bossi

Ma perché de dis: “Stemègna”?

Che “stemègna” el voeura dì “spilorcio” el sèmm tutti ma d’indoe la nass ’sta paròla minga tutti el sann; mì proeuvi dav ona spiegazion.Sì, voeur dì “spilorcio” in manera figurativa, ma in la manera pròpria l’è la carta ò la tela de l’impanada che in di cà pòer de campagna la se doperava al pòst del veder. E el latino voeurom desmentegall? Nò de cèrt! Basta pensagh a sora on momentin: “staminea” e “stame” l’è el fil. Ai finèster se metteva el veder per riparà la cà da spiffer e frègg, per fà economia e risparmià in sul cost del veder se doperava la carta pegora ò una tela de lin cerada (fil).Anmò incoeu se dopera la paròla “stemègna” per dagh del “tirchio” a on quaivun fòrsi perchè la carta ò la tela la fa economia in sul veder, se poeu la se mètt sora a on telar bèlla tirada mèj anmò. Spend pòcch, stà in sul tiraa, ècco la spiegazion!

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ACCADEMIAMILAN... LA COGNOSSI? a cura di Giorgio Moro Visconti

Via Agostino Bertani di Giorgio Moro Visconti

Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 11

Felice Venosta nel suo libro “Milano e le sue vie”, ed. Messaggi, 1867, nella prefazione scrive che dare nomi appropriati alle vie “è il modo questo più facile di istruire, di diffondere notizie e utili cognizioni tra il popolo d’ogni età e d’ogni classe e di tener vive con affetto nelle sue tradizioni”. È capitato anche a noi di domandarci chi era questo personaggio. La via Agostino Bertani è da via Meldi d’Eril a Piazza Sem-pione. Nacque a Milano venerdì 19 ottobre nel 1812 e morì a Roma venerdì 10 aprile 1886. Chirurgo e patriota partecipò alle 5 giornate del 1848. Nell’as-sedio di Roma del 1849 diventò amico di Garibaldi e prese parte all’organizzazione della spedizione dei mille; nel 1859 Garibaldi lo chiamò come medico capo della brigata Cacciatori delle Alpi, carica che mantenne anche nel 1866 al seguito del corpo volon-tari dello stesso Garibaldi. Deputato nel 1861 (sini-stra storica) promosse un’inchiesta agraria. Nel 1866 membro della massoneria. Bertani fece una specie di autobiografia (citata nel libro di Vincenzo Bevacqua “Milaninaria”, Ed. Viennepierre, 1997) dove scrisse che “in venerdì fece la sua laurea. In venerdì face il suo maggior viaggio. In venerdì venne a fissarsi a Genova. Il venerdì digerisce meglio. In venerdì è sempre benevolo. In venerdì infine ha deciso di an-dare in paradiso a ricevere il suo premio”. Un suo monumento, scultore Vincenzo Vela, fu inaugurato il 30 aprile 1888: da Piazza Donegani fu poi trasferito in Piazza Fratelli Bandiera. Fu anche amico di Gio-suè Carducci, che scrisse di lui “Agostino Bertani pare una statua di bronzo; una statua di bronzo tiranno greco, nervosa, entro cui veneg-gia un fiero e acre sangue misto mo-derno. Figura fina, ferma, diritta tra la tempesta dei gran-di momenti, in un fascio di rughe che gli tormenta-no la fronte, alta, ondata; ha il fuo-

co, la spada, forse un fantasma, direi un fascio di scuri, nel fisso sguardo dell’occhio magne-tico…”. Via Bertani ha solo stabili con numeri pari dal 2 al

16, perché prospetta il Parco Sempione. La delibera comunale attribuì il nome alla via il 29 marzo 1889. La Parrocchia è quella del Corpus Domini. Come scrive il citato Bevacqua (p. 123) “la prima casa di via Bertani ha una balconata con cinque finestre, di queste, quella centrale con quattro imposte e quella sottostante incastrata nella cimasa del portale sono popolate da amorini. Gli amorini annidati sulla cima-sa del portale sembrano addormentati. Invece quelli della finestra a quattro imposte sembrano piuttosto svegli. Infatti: uno di loro sta prendendo per il collo un altro, un terzo aggredisce il quarto che sta per ca-dere di sotto; un quinto accorre sotto lo sguardo me-ravigliato del sesto e l’ultimo, sfuggito alla baruffa, spia dall’alto quello che gli altri stanno combinando. Di solito si ha l’idea degli amorini come quella che Francesco Albani ha fissato nel suo dipinto. Rosei, paffuti e gioiosi danzano intorno all’albero della vita. Gli amorini di questa casa invece sono anticonformi-sti: o dormono o litigano. Il n. 8 di via Bertani è vici-no ai prati e agli alberi del Parco fin quasi a toccarli. Di color giallo-dorato come i campi di grano e con l’emblema di un’automobile d’epoca in alto nel tim-

pano, questa casa è un insieme di simmetria, pro-porzione e buon gusto che si rileva nei fregi floreali a stucco e nei riquadri colorati, negli infissi e nelle cornici delle finestre, nella disposizione dei balconi e nel ferro delle loro ringhiere. Probabilmente, in questa casa, che merita una sosta per ammirarla nel suo insieme, tutti vorremmo abitare. Più avanti c’è una casa ricca di archi, lesene, mensole, fregi e te-ste che sembrano di gesso”. Sullo sfondo della via svetta il grattacielo Unicredit, simbolo del futuro. Via Bertani, negli anni scorsi, ha attirato l’attenzio-ne generale per due spot pubblicitari (macchine per il caffè) con protagonista l’attore George Clooney e altri, girati in un set cinematografico nello stabile al n. 2.

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12 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

MENEGHINO

Un simbolo che non deve scompariredi Tullio Barbato

a cura di Tullio Barbato

Riprendiamo il racconto della storia di Meneghin e Cecca con un po’ di amarezza, augurandoci una maggior attenzione da parte di politici e amministratori verso questi personaggi e il loro importante significato. Purtroppo, dal mese di luglio, il Comune, in pieno svolgimento di Expo 2015 (in occasione della quale li ha completamente dimenticati) ha ospitato nella anticamera dell’aula consiliare di Palazzo Marino una piccola mostra curata dalla Triennale e dedicata ai principali simboli identitari delle Città e in uno era raffigurato un improbabile Meneghino con una maschera che non ha mai portato... Non si può nemmeno parlare di “beata” ignoranza dello spirito milanese... Ma torniamo al tema...

1700 – Secolo XVIII L’immagine di Meneghino ideata dal Maggi ha successo sia nei circoli culturali che lui ha frequentato, sia nelle scuole in cui è stato docente, sia in teatro dove è diventata particolarmente cara al popolino.È una immagine di forte richiamo, che nel bene e nel male influenza buona parte della produzione teatrale di tutto il diciottesimo secolo come mostrano i titoli (spesso folli) delle pieces che autori e capicomici realizzano a ripetizione per le loro compagnie, vestendo quei panni per il carnevale e ogni altra occasione festaiola.Meneghino diventa croce e delizia del teatro dialettale. Il personaggio piace, fa ridere, attira il pubblico. Autori ed attori se ne appropriano per garantirsi pubblico e successo. La scena dialettale si arricchisce, ma le vene si fossilizzano, perdendo spesso l’occasione di spaziare con maggior respiro. E Meneghino coinvolge non soltanto autori milanesi o lombardi ma anche d’altre regioni. L’immensa figura del Maggi porta Ludovico Muratori (1672-1750) sacerdote di Vignola (Modena) trapiantato a Milano dove è custode della Biblioteca Ambrosiana e si afferma come uno dei maggiori eruditi italiani del tempo, padre della storiografia italiana, a dedicargli il libro “Vita di Carlo Maria Maggi”.

1724- 1759Girolamo Birago (1691-1773) poeta e autore di teatro,

erede di Maggi, insegnante alle scuole canobbiane, scrive un poemetto intitolato «Meneghin e la senavra» (cioè senape, nome dato anche a un convento fuori porta Tosa, futuro Corso 22 Marzo, davanti al quale si trova appunto una pianta di senape; e poi al manicomio e quindi al caseggiato-ricovero che ne prenderanno il posto e a tutto il quartiere) in cui conferma il suo felice uso della satira per «castigare» i costumi.Birago lo riduce pure a piece teatrale e firma altre due commedie con Meneghino: “Donna perla” (1724) e “El testament de Meneghin” (1759).

Anche Carlo Antonio Tanzi, attore e autore, valido poeta, assegna analogo ruolo a Meneghino in vari monologhi. E in ciò è imitato da un fratello, anch’egli poeta e attore.

Nella sua storia del Carnevale dalle sue origini ai giorni nostri (autori vari, Di Baio editore - 1983) l’architetto Pierpaolo Saporito sottolinerà come il Carnevalone ambrosiano sia “lo specchio della città”.

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Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 13

Gelosa della sua cultura, capitale imperiale, auste-ra nelle sua tradizioni ma aperta quanto poche altre al nuovo, Milano ha custodito nel suo Carnevalone così anomalo rispetto agli altri, una delle matrici della sua ‘civiltà’ più profonda popolare e urbana. Anomalia, questo suo prolungarsi nella quaresima, che è una costante da sempre.Come ben dimostra uno dei più illustri cultori della liturgia Mons. Moneta Caglio, Milano ha mante-nuto il primitivo uso della chiesa e delle origini di iniziare la quaresima dalla notte della domenica di quadrigesima; è stato il resto della cristianità che ne ha spostato i termini.Rigorosamente ancorata nelle sue tradizioni, Milano diventa quindi nei secoli isola di feste e di baldorie quando il resto del mondo cristiano è immerso nel-le Ceneri. E questo fatto straordinario per l’uomo medievale così permeato dalle ricorrenze canoniche religiose, fa di Milano un punto di attrazione euro-pea, per le sue feste della settimana grassa, festose e coinvolgenti tutta la città.Dall’epoca medievale in cui l’esuberanza popolare si identificava nelle feste dei pazzi all’avvento della Cavalleria con i suoi tornei fastosi che si svolgeva-no in Corte Ducale (attuale Palazzo Reale, prima dei restauri Piermariniani) e i suoi cortei di Carri, anche colti che si legavano alle allegorie umanisti-che della riscoperta del mondo classico, i “Trionfi” paganeggianti e rigogliosi. La Corte Ducale riva-leggiava in feste con quelle europee, basti ricorda-re quella del Paradiso, allestita con il contributo di Leonardo da Vinci, ma anche balli e feste popolari animavano la Milano rinascimentale.L’avvento degli Spagnoli non mortifica l’animo della città. E nonostante le grida che vietavano qua-si tutto (maschere, schiamazzi, lazzi, cortei, ecc.) il Carnevale è momento di grande festa e identità popolare. Musici e teatranti (inutile ricordare come proprio il Teatro dell’arte nasceva nell’ambito del Carnevale) invadono strade e piazze, carri festosi, talora anche assecondati dalle autorità in cerca di consenso, solcano la città tra ali di folla (è di quel-l’epoca l’apertura di via Velasca per un carnevale memorabile) in una gara fra le principali Badie (o corporazioni) nel farsi promotrici delle feste e delle sfilate. Emerge la Badia dei facchini che originaria del Lago Maggiore ben presto si trasforma in una com-pagnia aperta anche a eminenti personaggi. Que-

sti organizzano sontuose sfilate (le “Fachinade”) e compongono ariose poesie e sonetti.Le stesse piazze e strade vengono spesso trasforma-te. È della metà del XVIII sec. l’uso di innalzare i Monti Etna o Atlante in Piazza del Duomo, sorta di gigantesche macchine di teatro ove contemporanea-mente in speciali grotte ricavate si svolgevano atti di teatro e buffoneschi.È anche un periodo difficile per Milano: la peste ne decima la popolazione. Eppure ci è tramandata una testimonianza di un Carnevale traboccato anche nel Lazzaretto.Carlo Borromeo (1518-1584) tuttavia, rigido pala-dino della Controriforma, non gradisce questo clima di baldoria. Ordina perciò, nel tentativo di annullare lo stesso Carnevale, la soppressione della domenica che diventa di quaresima, e nonostante l’opposizio-ne del governatore spagnolo, riesce nel suo scopo. Ma le feste vietate la domenica si anticipano al sa-bato, che diventa doppiamente grasso...L’arrivo degli Austriaci pone in voga il gran bal-lo. A Palazzo Ducale si svolgono memorabili feste mascherate. I corsi dei carri si moltiplicano anche fuori dal periodo canonico. Spesso in occasione di particolari visite si indicono anche Carnevali extra. L’abate istitutore Giuseppe Parini (1729-1799) e altri intellettuali del tempo come PietroVerri (1728-1797) partecipano attivamente e lasciano composi-zioni e cronache su Facchinate e Masquerades.Composizioni musicali vengono realizzate per l’oc-casione, lo stesso Teatro alla Scala viene costruito tenendo presente questo tipo di esigenze cittadine. E infatti appena sorto diviene subito il centro delle feste. I famosi Veglioni della Scala continueranno fino al 1914.Ma è con Napoleone Bonaparte (1769-1821) che il Carnevale alla Scala assume un tono memorabile: grandi scenografie, addobbi, libretti e opere appo-sitamente scritte per l’occasione e fuori i corsi ma-scherati e balli pubblici per le strade e nei saloni privati.Con il ritorno degli Austriaci l’atmosfera si fa un po’ più cupa. Il Carnevale si racchiude nel priva-to della nuova elite, tuttavia non mancano episodi come il gran ballo alla Galleria de Cristoforis, ri-torna il Ballo a Corte, nasce il gusto della maschera tanto esasperato da essere talora vietato.

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Poeti di LombardiaGiuseppe Parini

Figlio di un mercante di stoffe, frequentò le scuole di S. Alessandro o Arcimbolde, tenute dai barnabiti. Nel 1752, grazie alla modesta sicurezza economica derivante dalla rendita della prozia Annamaria Lat-tuada il giovane chierico pubblicò una prima raccolta di rime. Alcune poesie di Ripano Eupilino (Ripano è l’anagramma di Parino vero cognome che poi preferì cambiare più avanti), Eupili è il nome latino del lago di Pusiano: Parino da Eupili) sotto forma di novan-taquattro componimenti di carattere sacro, profano, amoroso, pastorale e satirico, che risentono della sua prima formazione culturale e soprattutto dello spirito bernesco. Da questi versi semplici e non encomiasti-ci, emerge l’immagine di un giovane ancora social-mente e intellettualmente isolato, che non conosce i dibattiti dell’ambiente lombardo ma che è ancora rivolto all’ambito dell’Accademia dell’Arcadia e del classicismo cinquecentesco.Grazie però ad una certa fama acquisita con questa raccolta, Parini venne accolto nel 1753 nell’Accade-mia dei Trasformati che si radunava in casa del conte Giuseppe Maria Imbonati ed era formata dal meglio dei rappresentanti della cultura milanese, dove trove-rà amici e protettori.Dopo aver compiuto a Lodi gli studi ecclesiastici, il 14 giugno del 1754, fu ordinato sacerdote ma le ri-sorse economiche, troppo scarse per farlo vivere in modo dignitoso, lo costrinsero a richiedere l’aiuto del canonico Agudio e poi dell’abate Soresi che lo soster-rà nell’entrare al servizio del duca Gabrio Serbelloni come precettore del figlio Gian Galeazzo.Il servizio a casa Serbelloni, pur non dandogli la si-curezza economica, lo mise a contatto con persone di elevata condizione sociale e di idee aperte, a partire dalla duchessa Vittoria che leggeva Rousseau e Buf-fon, al padre Soresi che sosteneva con ardore le rifor-me in campo scolastico, al medico di casa, Giuseppe Cicognini che sosteneva il dovere morale ad allargare le cure anche a coloro che per pregiudizio avevano mali considerati effetto di colpa.Intanto in casa Serbelloni il Parini osservò la vita del-la nobiltà in tutti i suoi aspetti ed ebbe modo di assor-bire e rielaborare alcune nuove idee che arrivavano dalla Francia di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Condillac e dell’Encyclopédie, che influenzarono gli scritti di questo periodo al quale risalgono, tra gli al-

tri, il Dialogo sopra la nobiltà, le odi La vita rustica (che sarà pubblicata solamente nel 1790 nelle Rime degli arcadi con lo pseudonimo di Darisbo Elidonio), La salubrità dell’aria, che affronta come la prece-dente l’opposizione città-campagna ma con uno stile completamente nuovo, e La impostura.Sempre in questo periodo scrisse, per i Trasformati, una polemica letteraria contro i Pregiudizi delle uma-ne lettere del padre Alessandro Bandiera con il tito-lo Due lettere intorno al libro intitolato “I pregiudizi delle umane lettere” e nel 1760 una nuova polemica letteraria contro i “Dialoghi della lingua toscana” del padre barnabita Onofrio Branda.Nell’ottobre del 1762, per aver difeso la figlia del compositore e maestro di musica Giovanni Battista Sammartini che era stata schiaffeggiata dalla duches-sa in uno scatto d’ira, fu licenziato e, abbandonata casa Serbelloni, venne presto accolto dagli Imbonati come precettore del giovane Carlo al quale il poeta dedicherà, nel 1764, l’ode L’educazione.Nel marzo del 1763, incoraggiato dagli amici del gruppo dell’Accademia e dal conte Firmian, pubbli-cò, anonimo, presso lo stampatore milanese Agnelli, Il Mattino che fu paragonabile alla Divina Commedia se non superiore e accolto favorevolmente dalla cri-tica e soprattutto dal Baretti che, nel primo numero della rivista La frusta letteraria, uscito il 1º ottobre del 1763, dedicava una critica positiva all’opera.Nel 1765 uscì, ancora anonimo, il secondo poemet-to, Il Mezzogiorno, che ottenne parimenti dai critici un giudizio positivo, tranne che da Pietro Verri su Il Caffè.I due poemetti, con la satira della nobiltà decaduta e corrotta richiamarono l’attenzione sul Parini e nel 1766 il ministro du Tillot lo chiamò per ricoprire la cattedra di eloquenza presso l’Università di Parma, cattedra che egli rifiutò nella speranza di poterne ot-tenere una a Milano. Nel 1768 la fama acquisita gli procurò la protezione del governo di Maria Teresa d’Austria, che era rappresentato in Lombardia dal conte Carlo Giuseppe di Firmian il quale, intuendo le sue potenzialità poetiche, lo nominò poeta ufficiale del Regio Ducale Teatro e lo incaricò di adattare per la scena lirica la tragedia Alceste di Ranieri de’ Cal-zabigi.Nello stesso anno il conte gli affidò la direzione della

«Gazzetta di Milano», organo ufficiale del governo austriaco, e nel 1769 la cattedra di eloquenza e belle arti presso le Scuole Palatine.Tra il 1770 e il 1771 Parini scrisse il testo delle opere teatrali l’Amorosa incostanza e l’Iside salvata, in oc-casione di due cerimonie di corte, e l’opera pastorale Ascanio in Alba per le nozze dell’arciduca Ferdinan-do d’Austria con Maria Beatrice d’Este, che verrà successivamente musicata da Mozart, catalogata come opera K 111 e rappresentata per la prima volta al Ducale di Milano il 17 ottobre 1771.Tradusse dal francese la tragedia “Mitridate re del Ponto” (Mithridate nell’originale) di Racine, che Mozart aveva musicato precedentemente ricavando-ne l’opera omonima K87 rappresentata per la prima volta sempre a Milano il 26 dicembre 1770.Nel 1771 tradusse, in collaborazione di alcuni “Ac-cademici trasformati” tra cui il Verri, una parte del poemetto La Colombiade pubblicato da Anne Marie Du Boccage.Nel 1774 fece parte di una commissione istituita per proporre un piano di riforma delle scuole inferiori e dei libri di testo e intanto si dedicò alla composizione de Il giorno e delle Odi.Nel 1776 gli venne concessa una pensione annua dal papa Pio VI e fu nominato ordinario della Società patriottica istituita da Maria Teresa per l’incremento dell’agricoltura.Tra il 1793 e il 1796 ospite del suo amico marche-se Febo D’Adda scrisse altre odi (Il messaggio, Alla Musa, la Musica) e quando i francesi di Bonaparte oc-cuparono Milano, seppure con riluttanza, entrò a far parte della Municipalità per tre mesi, rappresentando, insieme a Pietro Verri, la tendenza più moderata. Il poeta si spense nella sua abitazione di Brera il 15 agosto 1799, a pochi mesi di distanza dall’entrata de-gli austro-russi a Milano, dopo aver dettato il famoso sonetto Predàro i filistei l’arca di Dio, nel quale con-dannava duramente i francesi, ma allo stesso tempo, pur salutando il loro ritorno, lanciava un severo am-monimento anche agli austriaciVenne sepolto a Milano nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina con funerali molto semplici come egli stesso aveva voluto nel suo testamento.

« Predàro i Filistei l’arca di Dio;tacquero i canti e l’arpe de’ leviti,e il sacerdote innanzi a Dagon riofu costretto a celar gli antiqui riti.

Al fin di terebinto in sul pendioDavidde vinse; e stimolò gli arditie il popol sorse; e gli empi al suol natiode’ dell’orgoglio loro andar pentiti.

Or Dio lodiamo. Il tabernacol santoe l’arca è salva; e si dispone il tempioche di Gerusalem fia gloria e vanto.

Ma splendan la giustizia e il retto esempio;tal che Israel non torni a novo pianto,a novella rapina, a novo scempio. »

Sta flutta Milanesa on gran pezz fà L’eva del Mag; e peù la capitè A duu o trii d’olter, ma de quii che sà Sonà ona flutta cont el sò parchè.

Lor peù morinn, e questa la restè A MENEGHIN, ch’el la savuda fà Rid e fà piansg con tanta grazia che L’è ben diffizel de podell rivà. Anca lú pien de meret e de lod Adess l’è mort; e quel bravo istrument L’è restaa là in cà soa taccaa sù a on ciod. Ragazz del temp d’adess tropp insolent, Lasseel stà dove l’è; no ve fée god, Chè par sonall no basta a bottagh dent.

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16 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

LEGGIUU E SCOLTAA“Sciroeu di poetta” ospita, così come ci sono pervenute le composizioni, “lette e ascoltate”, noi le pubblichiamo, correggendo qualche palese refuso, convinti di stimolare la volontà

di chi sente spontaneo il desiderio di esprimersi, interloquendo con la musa, in dialetto milanese e con l’augurio che queste pagine possano scoprire nuovi talenti.

EL PRIMM AMOR

Distes sora on praa de velùtiri arént el mè amor...mila basitt sul sò faccin cont i foppett,mila carezzsui sò bòccol doraa,mila sospir...I oeugg che se fissenparlen de giòi sopii,adess liber de s’gorattà.El sô l’è ’dree a sparì,se smòrzen i ultim ciarel lagh el se scuriss...in gir gh’è pù nissun,domà la brevala moeuv i ondinn,la pòrta de lontanla vos di campanittche disen i or.Su ’na filera de morondi passaritt ciccioren,se strusen armonioscopiaa da duu zign in stondéra.Consegnom a la lunai nòster sògn coloraa de speranzos innamoraa.Sera striada,pareva viv ’na stòria...tròpp bella per vess vera.

De lì a pòcch... l’è finida!Destin vigliacch!Portada di sò géntlontan, de là del mond...Col coeur in tòcch,smorfiaa e magonéntmasteghi la realtàtornada fantasia;insormentii pensi al mè amor,sangottént biassi el sò nòmm,

la cerchi in mezz ai stell,vardi de sbiess la luna,che la ghigna de gust, ...l’ha faa volà via i sògn...bolgiròna, la se scond dedree i colmegn,e al sò comparì el mè can ...el ghe boia ’dree. Bico

EL GABBIAN

Son settaa giò sù on sass denanz al marme gòdi i bei regai de la naturatiri el fiaa, profumm de saa... aria purapiesè del viv... ch’hinn semper pussee rar!

Sgarissen i gabbian in on ciel bell nettpar on concert... cont’ona quai stonadama dann legria al nass de la giornadae i ond del mar fann bicoccà i barchett.

On gabbian l’ha decis de requià’l se piazza sù ’na preia lì arentel varda in gir con fà indifferentpoeu el sgariss... par quasi a saludà!

Se scambiom on’oggiada a presentassel fa on vers... fòrsi el voeur taccà bottonmì ghe doo còrda a fà conversazionlì bei quiett... settaa sui nòster sass.

Stò bell gabbian el tacca a cuntà sùche del mar el conoss pregi e difettel sa quand l’è nervos oppur quietthinn confidenz che se fann tra lor duu!

El passa la soa vita a sgorattàquand boffa el vent el fa cent sghiribizzbalòss e svelt... l’è mai in di pastizz,e in del mar... semper pront el sò disnà!

’Dess el me varda... fòrsi el voeur savè’me l’è el mè tran tran sù stò bell monde mì ghe cunti sù che in fond in fondel mè l’è on viv tranquill e con piesè!

Poeu ghe disi: gh’hoo voeuja d’imparà,on desideri..’na soddisfazion,ma el mè l’è domà on sògn... on’illusionde andà, ’me tì,in del ciel a sgorattà!

Me drizzi in pee, saludi el mè amislù el me rispond cont’ona sgarida,ciao gabbian... e finiss la cicciarada,grazie a stò sit... tocchell de Paradis!

...e adess...On salt,el slarga i al e via el va..e mì slonghi i mè pass e voo a cà!!

Mario Scurati

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LEGGIUU E SCOLTAA

Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 17

SE FA SERA

I veggett de la Baròna hinn faa tucc in ’sta manerasemper lì su la banchetta a spettà che riva sera.

Ghe n’è quei de pasta bòna, ghe n’è quei ch’hinn sacramentsemper lì a cuntà sù quell che gira per la ment.

In politica, in la gesa, el balon, el president,lor capissen la sostanza, la coscienza de la gent.

Come mai ne manca vun, voeuri dì pròppi quell tal,fòrsi in gir a tappellà?

Stamattina el funeral.

Piero Beretta

PARÒLL

Quand vegnom al mondsemm biòtt, biòtt de tutt,semm bon domà de respirà e ciuccià poeu,maneman, imparoma stà in pee e a parlà.

La differenza fra òmen e bestil’è la paròla, ma minga semperla scinivella l’è collegadae se pò parlà a vanvera.

Se disen paròll che fann mal,che ferissen, che hinn pesgd’on s’giaffon o ’na fusilada,paròll che te vègnen addòss’me prèi e te lassen tutt gibollaa.

Paròll bosard dii per imbrojà on quèidun con promess che sarannn mai mantegnuuoppur dii per consolàon amis da on dispiasèò per quiettà on fiolin.

Paròll d’amor, tèner, dolz ’me l’uga, che fann dislenguà, che vann giò fin in fond al coeure te fann sentì important,unich al mond.

Che tenerezza i primm paròlldi fiolitt e quèi d’on innamoraa,che emozion in quèi d’ona canzon,che umiltà in d’on’orazion:paròll, paròll, ’me l’è difficil, di vòlt, trovà quèi giust.

Anna Maria Radice

CALA EL SIPARI

Ona comedia veral’è la vita,on palch scenich averttì... sù la scenna.La part che t’hee toccaaa l’è on poo gramala recita di vòlton poo stonada.Te fee quell che te pòdet,quel che te see.La recita l’è nonanmò finidaperò già se intraved’na fin amara,te tornet dentin l’ombra de la nòttde tì... resta nagòtt...cala el sipari!

Alarico Zeni

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18 Sciroeu de Milan - Settember/Ottober 2015

LEGGIUU E SCOLTAACOLP DE VENT

Colp de vent me sperluscen i cavei e mìghe voo adree feliz ’me ’na Pasqua.In sta bella estaa scolti nò i vos che me ciamen,hoo mettuu i al a la mia fantasia, desmenteghicattiveri che gh’hoo intorna!Ona brezza leggera la moeuv on cicinin el mar.Mì, foo ’me Icaro, ghe voli rasent e parli cont i gabbian e i pess che salten foeura quandel comincia a fà ciar, prima de sguizzàcontent perchè gh’è on bell pacett.Poeu, el vent el se fa pussèe fòrt el me menain alt, insci vedi el mond cont di oeugg different:i mè penser resten quattaa.Ghe voeuri ben a sto vent, che di vòlt l’è allegher,di vòlt l’è ’me ona tempesta’me i emozion in del mè coeure in del fond de la mia anima.

Micaela Baciocchi

PÒR CATULL

Pòr Catull, mocchela de dà de matte quell che te par pèrs, per perduu ciappel.Splendid sô per tì on temp sbarlusivenquand te ’ndavet dove lee la te menava,che nissun l’amarà come la amavom.Là se faseven cent de qui giughett,che a tì se pò dì che te piaseven ma a la tosa ghe dispiaseven minga.Sbarlusiven debon per tì sô splendid.La te voeur pù? Impotent! Voeurela nò!E, se la scappa, corregh minga adree!E viv minga come on pòr disgraziaa,ma tì, ostinaa, manda giò, tègn dur.S’ciao, tosa, ormai el Catull el se ne impippa,pù el te cercarà, el te pregarà nò.Smòrbia! Te brusarà el vess pù pregada. Barbòna, guaia a tì! Che vita te rèsta?Chì adess te vegnarà vesìn? Per chìte saree bella? ’Dess chì te amaree?De chì te disaree de vess morosa?A chì te daree i tò basitt? E i laver?’Dess i laver de chì te sgagnaree?Ma tì, Catull, ostinaa, tì tègn dur.

Daniele Gaggianesi

NARANZ RÒSARIA

On monton sù el banchette sora on cartell’Naranz Ròsaria.La mia amisa Ròsaria,minudrina, pièna de brio,gran ballerinae cont on gran coeur.Emm faa conoscenzain d’on pòst minga tant allegher.Serom lì per ona giustadinaai nòster gamb.La soa vos:“Chì la stòria la sarà longa”la parlava la mia lengua!L’era ona milanesatrapiantada in riviera.In vint ann tanti vòltsont andada a cà soa.Del dì grand tappasciadin riva al mar,la sira partid de Scarabeo a gògò.In di ultim ann se semm vist pòcchma el telefono el buiva.L’hoo ciamada per i fest.A sorpresa la vos del sò fioeu:“La mama l’è partida per semper”. On bòtt al coeur e tanta nostalgia.Hann daa el sò nòmm anca ai naranz.Me pias pensàche l’è on omagga la soa voeuja de viv.Mì tiri su el biccerai tò oeugg celesta la toa ridada…magara cont el limoncelloche el te piaseva tant.

Gianna Bernocchi

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LEGGIUU E SCOLTAA

Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 19

LINZOEU

Te se sferlet pian pianlinzoeu prezios ch’el temp e la bugadahann ridòtt ’me regnera delicada

Smòrt e sbiaviiel resta insèma per la disperazionTrama e l’ordiise mostren indecéntmiseria d’on splendor ch’el vòlta inesorabilmént

Te tegni dént in man’me ’na reliquiaRegòrd fòrt de passionde l’aroganzade giovin immortalpien de iattanza

Se smangia l’òrlo de la mia speranzaSu la rivòlta i cifer ricamaasquas hinn spariischisciaa da mila sopressad

Involtiamm dént de tì...ligada strettaUltim vestii de sposamia banderamasarada d’amor... dént ona fòppa sollamè sudari.

Paola Cavanna

L’ONESTÀ DE MÌ NONNATrilussa

Quanno che nonna mia pijò maritonon fece mica come tante e tanteche doppo un po’ se troveno l’amante…Lei, in cinquant’anni, nu’ l’ha mai tradito!

Dice che un giorno un vecchio impreciuttitoche je voleva fa’ da spasimanteje disse: -V’arigalo ’sto brillantese venite a pijavvelo in un sito-.

Un’antra, ar posto suo, come succedej’avrebbe detto subbito: -So’ pronta-.Ma nonna, ch’era onesta, nun ciagnede

anzi je disse: -Stattene lontano…-Tanto che adesso, quando l’ariccontaancora ce se mozzica le mano

L’ONESTA’ DE LA MIA NONA(Libera traduzione di Paola Cavanna)

Quand che mia nòna l’ha ciappaa mariil’ha minga faa me fann certi smorfiosche dòpo on poo se troven on moros In cinquant’ann, lee no l’ha mai tradii

La dis che on dì, on vegg libidinoscol fà de cascamòrt, gh’aveva dii-Ve regali on brillant, se v’adatiia vegnì a toeull, in d’on sit scabros On’altra, al pòst de lee, lì in sul momentsenza pensagh, l’avria rispòst: -Son pronta- Ma la mia nòna, onesta verament

l’ha nò ceduu. Gh’ha dii: -Gira giavan!-In manera che adess, quand che le cuntal’è li ancammò... che la se sgagna i man!

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Desideriamo far notare ai lettori che le prose e le liriche comprese in questa rubrica sono trascritte con la stessa grafia usata dagli autori. La redazione corregge solamente eventuali evidenti refusi lasciando così la possibilità di confrontare, con altri autori presenti, i differenti modi di scrivere, talvolta suggeriti dall’evoluzione della lingua.

LEGGIUU E SCOLTAAFOEURA DEL CAVAGNOEU

20 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

DA “L’ACCADEMIA DI SASS” DI PIER GILDO BIANCHI: TRENTA SONETTI IN DIALETTO MI-LANESE

VII

In mezz ai alter, on sassin de stradache ’l se ved nò, quand che se varda in sù,e, se di volt me veden, tutt al pùme dann per diversiv ona pesciada,

mì son content l’istess del mè destin,se ’l fa nivol o pioeuv, mattina o sera;me basta on poo de sô, in la primavera,perchè l’erbetta la me cress vesin.

E me par ogni volta de rivivcon bella stagion, compagn di piant,ringajardii dal palpit rinfrescantdel ventisell che ’l boffa temporiv.

Bandonaa in del primm frecc, quand gh’è nissunche passa, me intristissi... L’è l’autun.

VIII

Quand che passen de chì, l’anim sospéspien de scagett, d’ingossa o de speranza- Bagaj, vecc e madur in abondanza -de solit se dann minga per intés.

Che grava, soratutt, l’è la pauradel verdett impassibil di dottor.La scala? Ona trafila de dolor;ogni noster basell, ona tortura.

E, nun prej, senza colpa nè peccaa,se ciappom-sù di lacrim, di sospire di rosari de rangogn, de liro bestemi e scongiur appassionaa:

semm fenii su l’ingress d’on ospedale ’ben l’è pocch e ’l sta dessora el mal.

IX

Ona smaggia de bianch in mezz al scurdel paviment de marmo del ridottd’on teater: on bianch variaa de gottche paren dor e hin riportaa sui mur,

fra tendon de velù ross-amarant:quella smaggia de bianch - forma de sô - che impieniss la sala de s’ciarôe par che la risplenda de distant,

ben... Quella smaggia splendida son mì!Come in del fen se voeur trovà on guggin,dent in di tanabus di marmorinl’artista el m’ha cattaa per mettom chì

e tutti quej che passen su sto sassno fann nient alter che meravigliass.

X

El soo che me vardii tutti de sbiessde quand ghe staa la succia in del mè fossperchè sont minga on sass...Mì sont on ossrestaa sconduu sott’acqua fin adess.

Redond e solì, candid come biacca,hann creduu tanti volt che s’era on sassperchè no ’l ven spontani immaginassche son residov d’on garon de vacca.

Ma on fioeu malpratich per fà-foeura i scartd’on macèll clandestin, de nascondon,col rest el m’ha traa-dent a badilonin la corrent che ’n desfa la pupart.

Per di ann rampinaa, invece, sul fondm’hann despolpaa, col modellamm, i ond.

[continua dal numero precedente]

Continua a pag. 24

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Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 21

Lupino, erbacea voracedi Fior-ella

VEDRINA DE LA BOTANICAa cura di Fior-ella

Il Lupino angustifolium è un’erbacea annuale che cresce su terreni poco fertili. Si chiama Lupinus diminutivo di lupus, perché la pianta è vorace come un lupo ed impoverisce il ter-reno. Il nome Lupino deriva dal greco lype = dolore, per il sapore amaro dei semi, ricchi di sostanze azotate, molto nutrienti solo dopo la macerazione in acqua.Appartiene alla Famiglia delle Pa-pilionacee.Questa erbacea costituiva foraggio per gli animali e cibo per i poveri ed i miserabili. Un tempo i lupini si vendevano nel-le strade e distribuiti ai più poveri in occasione di trionfi di condottieri o in occasione di feste religiose.Le caratteristiche foglie a ventaglio si presentano sullo stelo alterne pal-mato-composte e si orientano sem-pre verso il sole anche nelle giorna-te nuvolose.Il lupino era coltivato nel bacino del Mediterraneo fin dai tempi più re-moti. Oggi è coltivato anche come pianta ornamentale per i fiori con sfumature azzurre.Il decotto di farina di semi di lupino era usato per lava-re le parti del corpo colpite da eczema. La farina veni-va anche utilizzata come shampoo contro i pidocchi.

Oggi i semi sono usati con l’aperitivo per uno spun-tino gustoso dopo essere stati lavati e cotti in acqua salata per togliere il sapore amarognolo.I semi di lupino venivano anche usati dai comici in scena per simulare le monete d’oro. Il baccello contiene da due a quattro semi che si rac-colgono in estate.Una vecchia leggenda racconta che durante la fuga in Egitto, la Sacra Famiglia trovò arbusti di lupino dove potersi adagiare, ma il lupino racchiuse le foglie per non accoglierla, quindi dovettero continuare il cam-

mino fino a quando trovarono rifugio sotto ad un abete che allargò i rami per nascondere il Bambino. Il frutto del lupino venne così condannato a risultare per sempre amaro.

Intermezzi di Edoardo Bossi

Perchè se dis: “Pacifich ’me on trè lira”?

Ai temp de Maria Teresa d’Austria, l’era stada coniada ona moneda del valor de trè lira e su gh’aveven incis el bèll faccion pacciaròtt e pacifich de l’Impetatris e allora per similitudin quand se parla d’ona persòna placida e soddisfada se usa dì: “Guarda quèll lì, l’è pacifich ’me on trè lira!”

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22 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

EXPO – I 100 anni del CamparinoIl celebre bar in galleria lo aveva battezzato Davide Camparidi Osmano CifaldiVieni con me a gustare un aperitivo dal “Campari-no”, un’icona meneghina, sito nel cuore del salot-to milanese della Galleria. Ma prima di giungervi facciamo una breve passeggiata per la “Corsia de’ servi”,l’odierno Corso Vittorio Emanuele, partendo da piazza S.Babila dove vive l’omonima basilica del V secolo fondata da S.Lorenzo; nella prima cappella a sinistra una lapide ricorda il punto dove venne bat-tezzato Alessandro Manzoni, il “Don Lisander” dei Promessi Sposi. Si prosegue per la Corsia de’ servi”, l’attuale Corso Vittorio Emanuelr, dove sul lato de-stro troviamo l’imponente e classicheggiante basilica di S. Carlo, sede dell’ordine dei Serviti.Si prosegue per il Corso. È una strada tracciata in epoca romana (sec.IV) quando Milano fu capitale dell’Impero Romano d’Occidente per oltre un seco-lo.La Corsia de’ servi entrò nella storia quando nel 1628 davanti al “Prestin di scanc” (delle grucce) si pro-dussero tumulti per via della scarsità di pane a causa della carestia. Al n. 13 s’incontra una statua romana detta del “Sur Carera”, l’uomo di pietra, sotto la quale i mila-nesi lasciavano satire, battute e motti politici salatissimi come a Roma per Pasquino.Da un lato all’altro di questo elegante “decumano” meneghino vivono ele-ganti bar e rutilanti negozi. Giungiamo in piazza Duomo e sul lato Settentrio-nale imbocchiamo la Galleria Vittorio Emanuele che s’apre con un vistoso Arco di Trionfo. Essa costituisce il centro della vita cittadina nonchè il tradizionale luogo di ritrovo dei mi-lanesi. L’opera fu progettata da Gio-vanni Mengoni che al termine della costruzione trovava la morte cadendo da una impalcatura. Iniziata nel 1865 veniva compiuta nel 1877. È a forma di croce lunga m.196 e con un’altezza dai 32 ai 47 m. dal suolo.Entrando in Galleria, subito a sinistra, tra l’inizio della stessa ed il lato del

portico troviamo il “Camparino”; è là da ben cen-to anni. Fu aperto da Davide Campari nel 1915. Il “Camparino” fa bella mostra ostentando il suo mar-chio d’origine di color rosso vivo. All’interno nulla è cambiato: atmosfera, arredi, bancone, mosaici, sono gli stessi d’un secolo fa. Il locale non ha mai seguito le mode nel rispetto di una tradizione che è dura a morire. Da un secolo il “Camparino” è stato un punto d’incontro di celebrità del mondo politico, artistico, letterario, sportivo, musicale, cinematografico: Gor-baciov - Quasimodo - Montanelli - Fellini - Macario - I De Filippo - De Sica - Manzù - Boccioni - Tosca-nini - Gavazzeni - Abbado - Muti - Tebaldi - Borboni - Pavarotti... sono solo alcuni dei numerosi altri fre-quentatori fissi dell’intramontabile locale.Ebbene andiamoci dal “Camparino” a gustare un aperitivo accostandoci a quel centenario bancone an-che nel nome dell’EXPO in corso di svolgimento nel comprensorio Rho - Pero.

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Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015 23

CUNTA SÙa cura di Ella Torretta

La vigna de Milandi Ella TorrettaCon l’Att Notaril del 1498 Lodovico il Moro el rega-la 8000 meter quader de terren a Milan per realizzà el sògn de Leonardo da Vinci d’avegh ona vigna tutta domà per lù.Leonardo l’aveva ciappaa i misur de la soa vigna: l’era larga 100 “braccia” e longa 294: la misura a “braccia” l’era quella che se usava a chi temp là. Sti misur de la vigna hinn scritt in del “Codice Atlan-tico”. Adess se pòdaria dì che l’era on terren grand pòcch pussee d’ on ettaro.L’è stada ona donazion del Duca de Milan “Lodovico Sforza, detto il Moro” che, content del quader de l’ “Ultima cena”, finida de pitturà dòpo quattr’ann de lavorà, ghe l’ha regalada.Leonardo, che come tutti sann l’era nassuu a Vinci, di part de Firenze, ghe saria piasuu diventà on cittadin de Milan, ma allora on forestee el podeva avegh la cittadinanza milanesa domà s’el gh’aveva di terren a Milan, inscì con sta donazion el sperava de veghela.Leonardo el s’era affezionaa a la vigna e anca senza l‘aiut de garzon ò paisan, el coltivava el terren, el curava de persona la vigna che la ghe regalava l’uga “Malvasia aromatica di Candia” e inscì el podeva schisciala giò e bev del bon vin bianch.Ghe saria anca piasuu avegh ona cà a Milan, per-chè el terren l’era tanto, ma per colpa de l’Inva-sion di Frances a Milan in del 1500, “Lodovico il Moro” l’è staa faa presonee e vista la mal parada, Leonardo l’ha menaa i tòll ò per mej dì l’ha lassaa Milan.Però el sò cruzzi l’era quell de dovè lassà la soa vigna.El decid allora de fittala a Gian Giacomo Caprotti de Oreno, on fiolòtt che Leonardo l’aveva ciappaa a bottega per imparà a pitturaa che de Soranòmm l’era ciamaa Salaì, sò alliev, sò “modello” preferii e se dis anca sò gimacch. Passada la boriana di Frances, el torna a Milan in del 1507 e el resta chi per pitturaa alter famos quader, disegn, invenzion progettaa in del silenzi de la soa vigna.In Francia dove poeu el se trasferiss al servizi del “Re Francesco I”, pòcch temp prima de sarà su i oeugg, el 2 de magg del 1519, el scriv el testament, dove se leg ch’el lassa ona part de la soa vigna al servitor Gian-battista Villano e l’altra metà al sò caroeu Salaì.

Cont el passà di ann i padron del terren hinn staa di-versi. L’è staa l’Arch. Luca Beltrami che in del 1920 dòpo avè studiaa quell che l’aveva scritt Leonardo in del “Codice Atlantico” e in di alter incartament, l’ha confermaa che el giardin de Palazz Atellani, l’è pròp-pi ona part de la vigna de Leonardo.

La vigna l’è stada quasi distrutta dai bombardament de la II Guerra Mondial, ma per merit de l’Arch Piero Castellini, che adess l’è el padron de la cà di Atellani e del tòcch de terren dove gh’è la vigna, ancamò al dì d’incoeu per vedè quell che gh’è restaa de la vigna, se pò andà in Cors Magenta al n. 65, de faccia de la Gesa di Grazi, e da on us’cioeu de veder, se va dent tutti i dì dai 9 or ai 18 del dòpomezzdì per dà on’og-giada a la famosa vigna de Leonard a Milan. Dòpo tanti situazion de abbandon, incendi, devasta-zion e bombardament, on para de professor de la cura di vidor “Viticultura” de l’Università de Milan, hann analizzaa i radis, ancamò viv de la vigna de Leonard, per scoprì el DNA de la qualità l’uga.Leonard adess el po’ vess soddisfaa e riposà in pas… la soa vigna la seguiterà a prodù uga e vin bianch per minga desmentegà la soa gran passion per sto tòcch de terren che ancamò incoeu i Milanes pòden visità dòpo cinqucent ann de stòria inscì tribulada.

fiolòtt = ragazzottogimacch = amanteboriana = trambusto sarà sù i oeugg = morire caroeu = beniamino, cocco us’cioeu = piccola porta

GLOSSARIOforestee = forestiero vidor = vitigno schisciala giò = pigiarla menaa i tòll = andarsene mal parada = situazione critica cruzzi = cruccio

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ACCADEMIA

24 Sciroeu de Milan - November/Dicember 2015

Continua da pag. 20 - Foeura del cavagnoeu

XI

Mì, coi mè venadur d’on bell rosaa,andavi ben sul banch d’on offellee,tra biccer sberlusent e candireed’argent e cabaret pien de bontaa.

La condoglianza, invece, di parentl’ha decis che servissi in del Campsant,sul sepolcher d’on ceregh important,come làpida a on fioeu pur innocent:

on fioeu che l’era quasi on santarell,pront per vess insedii in la Gerarchia:forse abaa d’ona storica abaziao, in terra de mission, vescov modell.

De la Mort tiraa-giò del pedestall,ghe vanzaraa el mè marmo, a ricordall.

[continua nel prossimo numero]

Serata finale della 23° edizione di “Cantem Insemma”

La manifestazione si svolgerà presso il Teatro di Palazzo Terragni di Lissone in Piazza Libertà, 1 Sabato 7 novembre 2015 alle ore 21.00 con la presentazione delle 12 canzoni finaliste.

Info:ASSOCIAZIONE “ AMICI DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO” Associazione culturale no-profit 20037 PADERNO DUGNANO (MI) - Via C. Ferrini, 7 - Tel 02-91080322 [email protected] - www.canteminsemma.it

XII

Di volt arriven chì de giamò ciocch;senza pensagh, ghe passarissen via,ma topicchen per forza in l’osteriae borlen dent, cont el sò fà de locch.

El toppicà l’è facil perchè a drittaal primm basell, sul gust d’on panatton,sont lì mì, con la lima sul groppon,per fà che i soeul se netten de la litta.

Vann denter, càscen-giò duu o trii biccer,poeu vegnen foeura pussee ciocch de prima:semper lì, sass che ’l sporg con la soa lima,(lor topicchen) e mì foo el mè dover.

Ma l’è minga ona trappola forlina:adess, per chi sortiss, sont a mansina!

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SALUTE A MILANOa cura di Filippo Bianchi

Le ferite di Filippo BianchiA tutti, prima o poi, è capitato di farsi male caden-do, o tagliandosi con un coltello, o urtando contro un oggetto appuntito. Nella maggior parte dei casi, a questo “trauma” (così si chiama in termine medi-co) è seguita la formazione di una ferita, con perdita di sangue e ammaccatura tutto attorno. Per ferita si deve dunque intendere una rottura, diciamo un’inter-ruzione della pelle che, a seconda del suo aspetto e a seconda del mezzo traumatizzante che le l’ha pro-dotta, assume un nome particolare: si parla pertanto di ferita da punta, di ferita da taglio, di ferita lacera (quando la pelle appare come strappata) di ferita la-cero-contusa (quando attorno alla zona sfrangiata, la pelle è tutta pesta ed arrossata), e così via. Se la ferita è molto superficiale, e non comporta perdita di sangue, si parla di abrasione. Invece le escoriazioni sono causate da sfregamenti o graffi contro pareti od oggetti ruvidi.Una ferita, anche piccolissima, è sempre pericolosa; oltre a dar luogo ad una perdita di sangue, che può essere più o meno abbondante essa, causando un’in-terruzione della pelle, costituisce sempre una porta aperta per i microbi che, contaminandola, finiscono per infettarla. Cosa bisogna quindi fare in caso di fe-rita? Innanzitutto cosa NON fare: non pulire i bordi della ferita, non lavarla, non succhiarla o disinfettarla per evitare che sotto i bordi di essa penetri del mate-riale infetto. Se nella ferita sono finiti dei corpi estra-nei (ad esempio pezzi di vetro o schegge di legno) non bisogna cercare di asportarli, perché con tale manovra si possono anche ledere dei vasi sanguigni importanti, causando un sanguinamento che potrebbe anche essere profuso. Bisogna invece medicare con materiale sterile, cercando di non toccare con le mani la garza o il cotone; in caso di emergenza, si può usa-re un fazzoletto pulito oppure una piccola salvietta. Per le piccole ferite si può usare un cerotto adesivo con tampone di garza sterile già incorporato; inve-ce, in caso di cospicua emorragia, bisogna fasciare comprimendo e, per fare questo, applicare sopra la medicazione sterile due o tre strati di cotone e girar-ci sopra una benda, abbastanza strettamente (ma non troppo, se no si rischia di comprimere troppo anche i vasi sanguigni). Dopo una o due giorni dalla prima fasciatura, la medicazione iniziale va tolta e sostitui-ta con un’altra analoga: il numero delle medicazioni

andrà stabilito in base alla gravità ed ai particolari caratteri della ferita stessa.Quando le fe-rite sono mol-to estese, esse vanno suturate mediante punti di seta, e attentamente sorvegliate; quando si trovino in corrispondenza di parti pelose (come ad esempio il cuoio capelluto) bisognerà innanzitutto provvedere al taglio dei peli della zona interessata; ciò è anche utile per evitare che i peli o i capelli attorno alla ferita possano insinuarsi in essa, ritardando il processo di guarigione e cicatrizzazione.Si badi comunque che il trattamento di una ferita non si esaurisce con la sola medicazione locale. E’ noto, infatti, che essa può essere la porta di ingresso per una gravissima infezione quale è il tetano. Tutti noi in gioventù abbiamo subito la vaccinazione anti-tetanica, ma questa andrebbe rifatta (il cosiddetto “richiamo”) ogni 10 anni: L’antitetanica può com-portare la comparsa di rossore e dolore nel punto in cui viene eseguita l’iniezione. Eventualmente questi fastidi possono comparire entro 48 ore e possono du-rare per 2 o 3 giorni. Più raramente si possono mani-festare febbre, sintomi simili a quelli dell’influenza e malesseri generali di modesta entità. Mentre con la vaccinazione antitetanica stimoliamo le difese del nostro organismo a produrre direttamente le sue armi più specifiche e potenti contro la tossina, cioè gli an-ticorpi, se non siamo sicuri di essere vaccinati si po-trà utilizzare il siero antitetanico, attraverso il quale si forniscono gli anticorpi già belli e pronti, preparati in laboratorio, così da agire immediatamente.I modi in cui una ferita può guarire sono essenzial-mente due; in modo veloce, senza formazione di pus e con scarsi fatti infiammatori locali (arrossamento, gonfiore, dolore), oppure in modo lento, con forma-zione locale di pus, reazione infiammatoria e risenti-mento dello stato generale dell’organismo (febbre e malessere). In questo secondo caso bisognerà ricor-rere a farmaci antipiretici e sarà necessario instaurare una terapia antibiotica adeguata.

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ACCADEMIA

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Continua da pag. 9 - Poesia e Stile

Delio Tessa (1886-1939) non vuole essere da meno e, da maestro qual è, già nel 1911 ci dà un sonetto di settenari. Il poeta è innamorato, l’avvenire si ve-ste di rosa, sogna dei bambini e vuole dedicare ad essi una serie di poesie. La realtà della vita gli sarà matrigna. L’amore sfumerà per ragioni di censo. Ma questo sonetto, del 16 aprile 1911, è restato, il terzo dei “quadrett popò”.Una signora ha fretta ed entra in un negozio per com-prare uno scopino. Non c’è nessuno, c’è solo un ra-gazzino, riccioluto che fa la guardia e, di fronte alla fretta della signora, sollecita la mamma che è salita un momento a fare il ‘bisognino’: <Vialter specciem

Continua da pag. 13 - Un simbolo che non deve scomparire

Rinascono poi anche i famosi “barconi” (carri ma-scherati), e si specializza l’antico uso del lancio di uova marce, e con l’invenzione dei “coriandoli” -sorta di confetti in gesso- che venivano gettati anche dalle finestre sollevando un polverone gigantesco.Per le grandi sfilate del sabato grasso si afferma la vocazione degli svolgimenti a tema, marcatamente laici, dalla natura all’amore, con richiami alle feste e alle velie private o teatrali, in un clima di forte con-correnza tra i principali casati e le più ricche famiglie che si contendono anche la presenza di Meneghin e Cecca, a volte con un loro seguito. Un orientamen-to al quale si adeguerà anche il mondo cattolico alla metà del Novecento, soprattutto grazie agli oratori e alla loro federazione, la FOM, con ricorsi a modalità di tipo scoutistico e robinsoniano.L’intensa attività artistica e culturale della città attira a Milano il giovane attore e autore veneto Gaetano Fiorio (1744-1807) figlio del capocomico Marco Fiorio e attivo con la Accademia dei dilettanti di Ve-rona, Venezia e Milano.Gaetano si appassiona al dialetto milanese e firma tre commedie: “L’avventura di Meneghin Pecenna”, “Meneghino e moglie” (non la Cecca, ma una sco-nosciuta Laura) e “Meneghino affidato” che mette in

chì / de foeura on momentin / che mì voo a toeu on scojn / de piuma chichinscì. // Gh’è nissun chì?> < Son chì / mi!> < Signor che cojn / d’on comess! riz-zoli / te see chì de per tì, // la gh’è minga la mamma? > / < La gh’è sì... l’è de sora / a fà la pissa ...mamma // fa prest ven giò in bottega / mamma gh’è chì la sciora / fa prest, donca pessega!>. E secondo il suo stile espressionista, non osserva il canone che ogni strofa deve esprimere un concetto; passa da una stro-fa all’altra mediante enjambement, cioè a metà della frase, continuandola nella strofa successiva, sostitui-sce ad immagini fantasiose ( come farà in Caporetto, otto anni più tardi) immagini schiettamente realisti-che. Secondo il suo stile.

scena con una sua compagnia al Teatro di via Santa Redegonda.Nel 1796 si scioglie la Baia dei meneghini. Per le “maschere” milanesi e di tutto il nord Italia incomin-cia una nuova era.

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Firifiss

Serena Ferrariolio, penna su tela

Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei.

Anthelme Brillat-Savarin

Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene.

Virginia Woolf

Il numero tredici a tavola non è da temere se non quando c’è da mangiare per dodici.

Grimod de la Reynière

Quando è impegnato nel mangiare, il cervello do-vrebbe essere il servitore dello stomaco.

Agatha Christie

Mangiare è uno dei quattro scopi della vita… quali siano gli altri tre, nessuno lo ha mai saputo.

(Proverbio cinese)

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SCIROEU de MILAN

Come tutti gli anni le immagini delle copertine e della pagina centrale hanno un tema

per il 2015 sarà “Poeti di Lombardia”

In copertina: Giuseppe Parini

Giuseppe Parini Bosisio, 23 maggio 1729 – Milano, 15 agosto 1799

Giuseppe Parini è stato un poeta e abate italiano. Membro dell’Accademia dei Trasformati, fu uno dei massimi esponenti del Neoclassicismo e dell’Illuminismo in Italia.

« Va per negletta viaOgnor l’util cercandoLa calda fantasïa,Che sol felice è quandoL’utile unir può al vantoDi lusinghevol canto. »

(Giuseppe Parini, Odi, La salubrità dell’aria)