ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE SCIROEU de MILAN · La Fondazione e i proprietari della casa...

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Anno XVII – Numero 110 – Luglio/Agosto 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999 ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE SCIROEU de MILAN www.sciroeu.it Le manifestazioni legate a Expo sono davvero molte. Eventi frut- to di programmazione per durare a lungo, altrimenti di estrinseca- zioni spontanee, o temporanee. Talune sono espressione di arte e cultura, altre propongono luo- ghi e simboli della nostra città, pur sempre legate alla storia e quindi alla cultura. L’occasione di Expo ha indotto alcune associazioni o enti a ri- velare luoghi che normalmente non sono deputati a visite, per il più vasto pubblico. Una di queste è la Casa degli Atellani, sita in Corso Magenta, nella quale è stata fatta rinasce- re l’antica vigna di Leonardo da Vinci. Abbiamo appreso la notizia at- traverso i media – telegiornale della Lombardia e altre trasmis- sioni – che hanno esaltato le pe- culiarità dei luoghi, delle strut- ture che ci sono stati consegnati dalla storia, raccontandone le vicende dalla ine del 1400 ai nostri giorni. La Fondazione Portaluppi ha voluto regalare questa parte di Milano facendo raccontare la storia a voci internazionali; la casa degli Atellani ha visto signii- cative trasformazioni effettuate dall’architetto Piero Portaluppi, forse il maggiore protagonista dell’archi- tettura milanese. La Fondazione e i proprietari della casa quindi, con l’aiuto dell’Università delle Scienze agrarie di Milano e di Confragricoltura, hanno realizzato questa iniziati- va che consentirà, durante Expo, di far conoscere una parte di Milano, meno nota: la casa degli Atellani e la vigna di Leonardo. VEDERE MILANO E dagli organizzatori abbiamo avuto una gradita sor- presa che riguarda la nostra passione per il meneghi- no: fornire ai visitatori un’audio guida, con la descri- zione del luogo di visita, in varie lingue del mondo, fra le quali è compreso anche il nostro dialetto! Non possiamo che rallegrarcene e ringraziare la Fon- dazione Portaluppi per questa attenzione, rara oggi nelle varie manifestazioni della nostra città. L’invito è quindi di recarsi a visitare la Casa degli Atellani e la rinata vigna di Leonardo da Vinci. Gianfranco Gandini

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Anno XVII – Numero 110 – Luglio/Agosto 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE

SCIROEU de MILANwww.sciroeu.it

Le manifestazioni legate a Expo sono davvero molte. Eventi frut-to di programmazione per durare a lungo, altrimenti di estrinseca-zioni spontanee, o temporanee. Talune sono espressione di arte e cultura, altre propongono luo-ghi e simboli della nostra città, pur sempre legate alla storia e quindi alla cultura.L’occasione di Expo ha indotto alcune associazioni o enti a ri-velare luoghi che normalmente non sono deputati a visite, per il più vasto pubblico. Una di queste è la Casa degli Atellani, sita in Corso Magenta, nella quale è stata fatta rinasce-re l’antica vigna di Leonardo da Vinci. Abbiamo appreso la notizia at-traverso i media – telegiornale della Lombardia e altre trasmis-sioni – che hanno esaltato le pe-culiarità dei luoghi, delle strut-ture che ci sono stati consegnati dalla storia, raccontandone le vicende dalla ine del 1400 ai nostri giorni.La Fondazione Portaluppi ha voluto regalare questa parte di Milano facendo raccontare la storia a voci internazionali; la casa degli Atellani ha visto signii-cative trasformazioni effettuate dall’architetto Piero Portaluppi, forse il maggiore protagonista dell’archi-tettura milanese. La Fondazione e i proprietari della casa quindi, con l’aiuto dell’Università delle Scienze agrarie di Milano e di Confragricoltura, hanno realizzato questa iniziati-va che consentirà, durante Expo, di far conoscere una parte di Milano, meno nota: la casa degli Atellani e la vigna di Leonardo.

VEDERE MILANO

E dagli organizzatori abbiamo avuto una gradita sor-presa che riguarda la nostra passione per il meneghi-no: fornire ai visitatori un’audio guida, con la descri-zione del luogo di visita, in varie lingue del mondo, fra le quali è compreso anche il nostro dialetto! Non possiamo che rallegrarcene e ringraziare la Fon-dazione Portaluppi per questa attenzione, rara oggi nelle varie manifestazioni della nostra città. L’invito è quindi di recarsi a visitare la Casa degli Atellani e la rinata vigna di Leonardo da Vinci.

Gianfranco Gandini

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SOMMARIO

2 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

EDITORIALEVedere Milanodi Gianfranco Gandini

1

PROGRAMMI E SEGNALAZIONI 3

CARLO PORTAda “Letteratura dialettale milanese” di Claudio Beretta

6

Nella Casa Antellani in corso Magenta la “Malvasia”

della vigna di Leonardo di Osmano Cifaldi

8

POESIA E STILE 9

Le tre carte del poetaa cura di Edoardo Bossi

10

MILAN... LA COGNOSSI? di Giorgio Moro Visconti

Corso San Gottardo, Borgh di formagiatt 11

Il Monte Stella 12

SCIROEU DE LA PRÒSAGianfranco Gandini

13

LEGGIUU E SCOLTAA 16

LEGGIUU E SCOLTAAFoeura del cavagnoeu

19

VEDRINA DE LA BOTANICA a cura di Fior-ella

Ciliegia, frutto simbolo di cortesia, grazia e mode-

stia

21

Il Manzoni che non conosciamo di Osmano Cifaldi

La Monaca di Monza22

CUNTA SÙ di Ella Torretta

Per on ballett23

SALUTE A MILANO di Filippo Bianchi

L’occhio opaco25

FIRIFISS 27

Accademia

del Dialetto Milanese

Quote annue di adesione del 2015

Soci Aderenti da € 35,00Soci Effettivi da € 52,00Soci Sostenitori da € 180,00

La quota può essere versata suBanca Popolare del Commercio e

dell’Industria

Iban IT24H0504801613000000003602

Agenzia 33 – via Secchi 2 – Milano

oppure: C/C Postale N°24579203

“Accademia del Dialetto Milanese”

SCIROEU de MILANEdito dall’Accademia del Dialetto Milanese

Bimestrale fondato nel 1999Reg. Trib. di Milano N°789 del 24-12-99

Direttore: Gianfranco Gandini

Fax 02 8266463

www.sciroeu.it

ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESESede c/o Centro Culturale di Milano

Via Zebedia 2 - 20123 MilanoTel. 3336995933 Fax 028266463C.F. 97206790152 NAT. GIUR. 12

Presidente onorario: Gino Toller Melzi

Presidente: Gianfranco Gandini

Vicepresidente: Mario Scurati

Consiglieri: Ella Torretta - Segretaria Edoardo Bossi

Lucio Calenzani

Redazione: Edoardo Bossi,

Gianfranco Gandini,

Francesca Piragine

Gino Toller Melzi, Ella Torretta,

Marialuisa Villa Vanetti

Filippo Bianchi, Osmano Cifaldi,

Fior-ella,

Giorgio Moro Visconti

E-mail: [email protected]

Realizzazione e disegni di:

Marialuisa Villa Vanetti

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PROGRAMMI

Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015 3

www.sciroeu.it

RADIO MENEGHINA

Radio Meneghina, fondata da Tullio Barbato nel 1976, sta riposizionando la sua presenza sul territorio a Milano-centro in via Caffaro e in via Trasimeno. Trasmette interventi di Luca Barbato, Mario Censabella, Ada Lauzi, Enzo Ravioli, Roberto Carusi, Gianfranco Gandini, Roberto Marelli, Giuliano Fournier, Roye Lee, Piero Bianchi, Liliana Feldman, Ella Torretta, Pierluigi Amietta, Natale Comotti, Vincenzo Barbieri, Roberto Biscardini, Michaela Barbato, Lorenzo Barbato e le dirette delle partite di calcio casalinghe dell’Inter dallo stadio Meazza. Radio Meneghina è l’emittente che riserva il maggiore spazio alla produzione dialettale di canzoni, poesie, prose.

APPONTAMENT E MANIFESTAZION:

L’Accademia, come di consueto, riprenderà gli incontri del Sciroeu di Poetta nel mese di ottobre.

Le date di queste e di altre manifestazioni e incontri vi saranno prontamente comunicate con il Sciroeu di settembre/ottobre.

A tutti i soci e amici Buone Vacanze dal Consiglio Direttivo

Claude Monet, Bateaux a’ Etretat, 1883, olio su tela (Fondation Bemberg, Toulouse - France)

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ACCADEMIA

4 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

Abbiamo il piacere di comunicare le risultanze delle votazioni che hanno determinato le nuove cariche sociali del Circolo Filologico Milanese.Al nuovo Consiglio Direttivo e alle altre cariche sociali le nostre congratulazioni e l’augurio di un proicuo e buon lavoro.

PRESIDENTE M° Valerio Premuroso

VICEPRESIDENTEDott.ssa Agnese Santucci

SEGRETARIOSig. Andrea Zardin

VICESEGRETARIOSig.ra Marisa Bigongiari

BIBLIOTECARIOSig. Arturo Bosoni

CURATORE TECNICO DELLA BIBLIOTECAProf. Angelo Gavezzotti

CASSIERESig. Piero Augusto Zanocchi

ECONOMO M° Valerio Premuroso

RESPONSABILE DEL PERSONALEAvv. Francesco Laruffa

RESPONSABILE DELLA DIDATTICADott.ssa Agnese Santucci

ALTRI CONSIGLIERISig.ra Laura Cozzi

M° Bob Krieger

Dott.ssa Tiziana Gori

Sig. Luigi Alberto Margutti

COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTIDott.Sergio Belloli

Dott.Pierfranco Tanzi Mira

ISPETTOREDott. Emanuele Arlandini

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ACCADEMIA

Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015 5

Lunedì 18 maggio 2015, dopo la S. Messa celebrata da Mons. Pino Pellegrini nella Parrocchia del Mu-rialdo, con preghiere e omelia in autentico dialetto milanese, un festoso incontro nel Salone, al quale si sono uniti - ben graditi - studenti e docenti della Scuola del “Pontesell”.Ada Lauzi congeda i suoi cari amici e ringrazia di cuore Angela Turola e Gianvittorio Peirone, da anni stretti collaboratori competenti e generosi nella con-tinua disponibilità, nonostante problemi di distanza, tempo e salute.Ringrazia il gruppo di lettori e poeti, seriamente im-pegnati in una continua ascesa artistica.Ringrazia il fedele pubblico partecipante dei Soci, tra cui Franca Fumagalli, bella e cara voce milanese che, col compianto Pinuccio Arosio, ha donato agli incon-tri tanta gioiosa musica.A costoro Ada Lauzi ha voluto lasciare un affettuo-so ricordo: una mini-targa d’argento con le iniziali “AdP”, accompagnato da questa dedica scritta appo-sta per loro, augurando a tutti un mondo di bene:

Saluto di Ada

On penser piscininde tegnì semper vesinche sott vos (scolta) el te dische saremm semper “Amis”con quell spirit meneghin(pan al pan e vin al vin)che ’l ghe uniss in armoniaper amor de la Poesia.

Ada Lauzi (e così sia)

Arrivederci!

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ACCADEMIAda “LETTERATURA DIALETTALE MILANESE” di Claudio Beretta

Carlo Porta

6 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

Dalla letteratura di Claudio Beretta:

Ricorda il prof. Claudio Beretta, nella sua Letteratura, che Dante Isella colloca la composizione di questo poemetto tra marzo e aprile del 1819 e che ogni sestina sia stata conquistata lottando sia con gli impegni professionali, sia con il disagio isico e morale. Si tratta di una critica alle ‘damazze’, un tipo di signora milanese altolocata, ricca che affoga nella propria albagia, pari solo alla sua ignoranza. Lirica improntata a schietto realismo, senza metafore, senza allegorie, il cui effetto satirico viene ottenuto attraverso immagini ed espressioni iperboliche, vicine però alla realtà o almeno ad alcuni casi limite

LA NOMINA DEL CAPPELLAN LA NOMINA DEL CAPPELLANO

[continua dal numero precedente]

Quell che ghe raccomandi pù che possl’è quella polizia benedetta,che se regorden che col tanf indossde sudor de sott sella e de soletta,e con quij ong con l’orlo de vellù,se quistaran del porch e nient de pù.

Certe lènden suj spall, cert collarinche paren faa de foeudra de salamm,certi coll de camis, de gipponin,hin minga coss de portà innanz ai damm;omm visaa, se soeul dì, l’è mezz difes,hoo parlaa ciar, e m’avaran intes.

Stremii, sbattuu, inlocchii come tapponquij pover pret s’hin miss tra lor in croeucc,e inin, fussel mò effett de la session,o d’on specc che gh’avessen sott i oeucc,fatto stà che de on trenta amalappennael se n’è fermata lì mezza donzenna.

A sto pont ona gran scampanelladala partezipa a tucc che Soa Eccellenzadonna Pavola inin la s’è levadae che l’è sul prozint de dà udienza;el camarer allora el corr, el truscia,e i pret fan toilett con la bauscia.

La Marchesa Cangiasa, in gran scufionfada a la Pompadour tutta a ioritt,coj sò duu bravi ciccolattinonde taftà negher sora di polsitte duu gran barbison color tanè,l’eva in sala a specciaj sul canapè.

Quello raccomando più che possoè quella pulizia benedettache si ricordino che, col tanfo addossodi sudore di sottascella e di soletta,e con quelle unghie con l’orlo di velluto,si acquisteranno del porco e niente più.

Certe lendini sulle spalle, certi collariniche sembrano fatti di fodera di salame,certi colli di camicie, di giubboncini,non sono cose da portare davanti alle dame;uomo avvisato, si suol dire è mezzo difeso,ho parlato chiaro, e m’avranno inteso”.

Spaventati, sbattuti, sbalorditi come tontiquei poveri preti si sono messi tra loro in crocchio,e inine fosse mo effetto della sessione,o di uno specchio che avessero sotto gli occhi,fatto sta che di una trentina a mala penase ne è fermata lì mezza dozzina.

A questo punto una gran scampanellatapartecipa a tutti che Sua Eccellenzadonna Paola inine si è levatae che è in procinto di dare udienza;il cameriere corre, si dà da fare,e i preti fanno toilette con la saliva

La Marchesa Cangiasi, in gran cufionefatto alla Pompadour, tutto a iorellinicoi suoi due bravi cioccolatinonidi taftà nero sopra i polsinie due gran baffoni color tanè, era in sala ad aspettarli sul canapè.

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ACCADEMIA

Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015 7

[continua nel prossimo numero]

Ma la Lilla, che l’eva arent a leequattada giò cont on sciall noeuv de Franza,appenna che la sent quij dodes peela salta in terra, scovand giò per stanzael sciall noeuv e bojand a pò no posscon tutt e quant el iaa di sò trii goss.

E boja e boja e rogna e mostra i dent,don Malacchia che l’è on poo fogos,vedendes saraa in bocca el compliment,el perd la lemma e el ghe dà su la vos,e menter el ghe dà de la seccadael fa l’att de mollagh ona pesciada.

On’orsa (come disen i poetta),che la se veda toeù da on cacciador,o ferì on orsettin sott a la tetta,no la van in tanta rabbia, in tant furor,come la va Sustrissima a vedèdon Malacchia cont in aria el pè.

Per fortuna del ciel che la Lillin,con quell intendiment che l’è tutt sò,l’ha savuu schivà el colp in del sesincol tira arent la cova e scrusciass giò,del restant se no gh’era sta risorsavattel a pesca cossa fa quell’orsa.

Schivaa el colp, descasciaa don Malacchia,even i coss asquasi quiettaa;già la dondava la cappellaniasu i ceregh de quij pocch cinqu candidaa,quand on olter bordell, on olter casel ne manda anmò on para in santa pas.

E l’è che l’illustrissima patrona,menter la va a cuu indree sul canapèper met in statu quoniam la personastada in disordin per l’affar del pè,in del lassas andà, cajin, cajin,la soppressa col sedes la Lillin.

Don Tellesfor e don Spiridion,duu gingella che riden per nient,dan foeura tutt duu a on bott in d’on s’ciopponde rid inscì cilapp, inscì indecent,che la Marchesa inin scandalizzadala dà foeura anca lee con sta ilada.

Ma la Lilla che stava vicina a leicoperta bene con uno scialle nuovo di Franciaappena sente quei dodici piedisalta in terra, scopando giù per la stanzalo scialle nuovo e abbaiando a più non possocon tutto e quanto il iato dei suoi tre gozzi.

E abbaia e abbaia, e ringhia e mostra i dentidon Malachia che è un po’ focoso,vedendosi chiuso in bocca il complimento,perde la lemma e le da sulla voce, e mentre le dà della seccatricefa l’atto di mollarle una pedata.

Un’orsa (come dicono i poeti),che si veda togliere da un cacciatore,o ferire un orsetto sotto la mammella,non va in tanta rabbia, in tanto furore,come va la sua “Sustrissima” nel vederedon Malachia con in aria il piede.

Per fortuna del cielo che la Lillina,con quell’intendimento che è tutto suoha saputo schivare il colpo nel culettocol tirare vicina la coda ed accucciarsi;per il resto, se non c’era questa risorsa,vattelapesca cosa fa quell’orsa.

Schivato il colpo, scacciato don Malachia,eran le cose quasi acquietate;già dondolava la cappellania sulle chieriche di quei pochi cinque candidati,quando un altro bordello, un altro casone manda ancora un paio in santa pace.

Ed è che l’illustrissima padrona,mentre va a culo indietro sul canapèper mettere in statu quoniam la personache era stata in disordine per l’affare del piedenel lasciarsi andare, cain, cain,soppressa col sedere la Lillina.

Don Telèsforo e don Spiridione, due sciocchini che ridono per niente,escono tutti e due di botto in uno scoppio di risa così fatuo, così indecente,che la Marchesa inine scandalizzataesce anche lei con questa inilata:

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ACCADEMIA

8 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

La Milano al tempo del duca Ludovico il Moro e di Leonardo recitava una commedia umana fatta di grandezza economica, artistica e d’orgoglio. Assu-meva lo stesso portamento di chi “soffre contrasti e dolori ma non butta via il tempo a piangersi addos-so”.Milano si affermava e cresceva come quella d’oggi. La grande povertà nella città lombarda ha quasi sem-pre fatto fagotto ed il benessere vi ha sempre alber-gato. Milano è così da sempre. Non conta da dove vieni, ma cosa sei disposto a fare. Quì vive gente che annusa le valenze, il saper fare, la volontà di realiz-zare e dunque di lavorare. Così accadde per Leonar-do da Vinci. Venuto a Milano su invito del Duca Lu-dovico Sforza detto il Moro, governante di iuto e di prua, assolutamente lungimirante, Leonardo nei suoi vent’anni milanesi lasciò opere da far trattenere il ia-to come il “Cenacolo” in Santa Maria delle Grazie. Venne lodato e premiato dal Duca nel 1499 quando irmò a favore del genio di Vinci l’atto di donazione di una vigna dopo avere appena ultimato “l’Ultima Cena”. La proprietà con annessa una piccola dimora, misurava circa ottomila metri quadrati ed era situa-ta in corso Magenta a poche decine di metri dalla stupenda chiesa di Santa Maria delle Grazie. Questo vigneto rappresentò per il genio toscano la leva per potere ottenere la cittadinanza milanese a cui tanto

ambiva. Purtroppo ciò non avvenne per ragioni po-litiche: pochi mesi dopo il Duca venne spodestato e così nel 1502 la proprietà venne addirittura conisca-ta. Leonardo penò fatica per riaverla e dovette im-plorare Carlo d’Amboise plenipotenziario del re di Francia a Milano.Col tempo sull’area di Leonardo fu costruita una nuova ed ampia dimora conosciuta come “Casa degli Atellani” che inglobò il vigneto. Le ricerche hanno condotto ad individuare il sito esatto del vitigno ove il “Maestro” coltivava una apprezzata “Malvasia”.La quattrocentesca proprietà Atellani, prima di pas-sare di mano a favore di Leonardo, era posseduta da Giacometto e Scipione Atellani, originari della Bali-licata e fedeli scudieri di Ludovico il Moro. Si trova in corso Magenta al n. 67 ed è dotata di un bel cortile di gusto bramantesco e si prestava ad accogliere in-trattenimenti e feste ricordate dalle cronache redatte da Matteo Bandello.Ricchezza storica preziosa della città che con pazien-za ininita è riuscita ad individuare la vigna molto cara a Leonardo e che presto verrà ripiantata e offerta al pubblico gradimento.La Storia è bella; è l’inestimabile ilo che ci può se-durre e condurre a scoperte incredibilmente interes-santi.

Nella Casa Antellani in corso Magenta la “Malvasia” della vigna di Leonardodi Osmano Cifaldi

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POESIA E STILE

9 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

La nostra Accademia si è posta quali obiettivi la tutela e la difesa del dialetto milanese in tutte le sue manifestazioni, con particolare riguardo alla poesia – art. 2 dello Statuto.Ogni poesia, dovrebbe rispettare due momenti ben precisi determinati dalla poetica e dalla prosodia, elementi questi che vengono, ahimè, troppo spesso ignorati.Ben lo sapeva il compianto prof. Claudio Beretta che richiamò il nostro senso poetico con vari arti-coli apparsi in una rubrica, sui Sciroeu di diversi anni or sono e che vogliamo riproporre, credendo che possano essere propedeutici ai nostri odierni poeti afinché ne traggano insegnamento.

Dalla rubrica “Poesia e Stile” a cura del prof. Claudio Beretta.

Continua a pag. 24

Carlo Porta: Sestinn per el matrimoni Verri-Borro-meo

Potremmo analizzare lo stile impiegato da Porta in ogni sua poesia, perché in ciascuna c’è un’originali-tà, secondo l’ispirazione poetica del momento, nel-l’ambito di un disegno storico più ampio. Ci limite-remo qui, per concludere il ciclo sul nostro poeta, ed esaminare queste Sestinn dove troviamo un’occasio-ne contingente, il matrimonio del Sur Cont Don Ga-briell Verr con la Sura Contessina Donna Giustina Borromea, un evento eccezionale per Milano perché sanciva l’unione di due grandi famiglie, anche nei loro rilessi politici e inanziari, malgrado la suddi-tanza a Vienna.Per Porta occorre distinguersi tra i molti epitalami confezionati per un’occasione simile, più unica che rara. Il suo estro lo conduce a riprendere il Jonathan Swift della traduzione dell’inferno. Il poeta è malato, una forma reumatica, che gli provoca frequenti mal di capo; compone nel maggio 1819 le prime otto se-stine, poi nel caldo giugno si fa aiutare da Grossi che lo visita, al letto, ogni mattina e compongono il resto, in totale 234 versi che usciranno come prodotti dalla ditta GuP (Grossi und Porta). La trama è semplice: il poeta sente l’importanza del tema, ne gira e rigira a letto le soluzioni possibili inché cade addormentato e sogna. Si trova davanti al tempio di Apollo, sul-le pendici dell’Elicona ed incontra il suo prefetto di studi, del collegio, che lo introduce all’uficio del dio in uno stanzone tappezzato di libri. Apollo è calvo, invecchiato, la giacca gli casca sulle spalle; una spe-ra di sole entra da un inestrone e il vecchio fa che si chiuda perché gli dà fastidio, a lui che aveva guidato proprio il carro del Sole. È circondato, tra gli altri, dalle Muse, ma anche queste sono incartapecorite.

Porta si fa coraggio, il prefetto gli suggerisce il ceri-moniale e, fatti tre inchini da rompersi la spina dor-sale, il poeta chiede al dio, in un linguaggio classico impeccabile (e iperbolico), di suggerirgli un tema per la canzone agli sposi; il dio, senza alzare il capo, lo afida ad un bidello: stanza C, armadio VI, lettera M (modello evidentemente prefabbricato). Il poeta ri-batte che si tratta di un caso eccezionale, per il qua-le vorrebbe fare un elogio originale (e qui prende lo spunto per fare in lungo e in largo il vero elogio agli sposi), ma Apollo allora sì alza la testa e gli grida: <Sei un romantico> ed incita tutti i presenti a sca-gliargli addosso i fascicoli che tenevano in mano (al-manacchi, poemetti ecc.). Tale è la massa di ciò che gli arriva addosso che il poeta è convinto di esserne soffocato, invece non ne riporta la minima scalittu-ra, come se non fossero esistiti. Ma si sveglia, si tro-va con il suo tema ancora da svolgere:<...romantegh come sont tutt quell che foo / sont condannaa a toeull foeura del mè coo,> E fa gli auguri agli sposi. Il poe-metto è riuscito molto bene, è stato elogiato persino da Vincenzo Monti classicista, l’avversario più note-vole di Porta, in lettere e cultura, dall’alto della sua cattedra di Pavia; è un calco sui Viaggi di Gulliver di Swift, così come Monti si era ispirato al classicista inglese John Dryden (1631-1700). Ma el nòst bosin non teme di utilizzare le immagini di Jonathan Swift (1667-1745), invertendone talvolta i signiicati, ma sempre nel proprio ilone romantico: lo scrittore in-glese faceva tirocinio nel 1699 (cioè un secolo pri-ma) presso Sir Temple, difensore del mondo classico originale e iero avversario degli imitatori moderni. Fu una battaglia di idee che Swift camuffò in una battaglia di libri della Biblioteca di St. James, The battle of the Books. Per non citare che un esempio,

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10 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

Le tre carte del poetaConoscenza della metrica, Sintesi, Sentimanto e fantasia

a cura di Edoardo Bossi

Ho letto, in un articolo apparso sulla rivista Nuova Tribuna Letteraria a irma di Enzo Ramazzina, una rilessione che vorrei portare a conoscenza di tutti i nostri poeti dialettali; il saggio mi ha fatto rilettere molto mi auguro che altrettanto possa accadere agli amici poeti del nostro sodalizio.Scrive il Ramazzina che un giorno un suo lettore ebbe a scrivergli:” Quanto ai poetucoli, caro Ramazzina, lei sa bene come taluno creda, o supponga, di fare poesia solamente perché tronca la riga e va a capo. Con la quale tecnica – si fa per dire – compie il suo verseggiare e mostra spesso l’ombra di due lunghe, inconfondibili orecchie pelose” e facendo seguito a queste poche righe, l’articolista propone la sua riles-sione sui poeti asini.In Italia e quindi non solo a Milano, continua il Ra-mazzina, sono moltissimi gli autori sprovvisti degli elementi basilari che consentono il giusto approccio al componimento poetico, mentre gli autori auten-tici, genuini, con le carte in regola, si quantiicano in poche centinaia. Chi scrive continua ponendosi la domanda “Ma allora, tutte queste poesie pubblicate su giornali e riviste? Tutte queste sillogi, questi con-corsi, questi premi letterari…?”Consapevole tuttavia, che con questo preambolo avrebbe potuto passare per un odioso disfattista, cerca di chiarire il concetto affermando che il suo intento è dimostrare – ma senza salire in cattedra, visto che le sue affermazioni possono essere opinabili – una ve-rità oramai condivisa da molti, secondo cui, nel deli-cato campo dell’arte poetica,” tanti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, come direbbe una nota massima evangelica. In altre parole intende sostenere che scri-vere versi è abbastanza facile, fare Poesia (con la “P” maiuscola) è cosa ben più complessa ed impegna-tiva: nel primo caso, è suficiente un po’ di spirito d’emulazione con l’aggiunta, magari, di un’infarina-tura tecnica e di un po’ d’abilità nel secondo caso, oltre ad una adeguata cultura in materia, necessitano fantasia, sentimento e, soprattutto capacità di creare. Chi scrive si domanda allora se vale la pena scrivere tanto? Spendere energie e soldi per la soddisfazione di vedere stampati i propri pensierini in qualche ri-vista specializzata? Se proprio ci si ostina nel voler

comporre versi e non si vuole correre il rischio di essere criticati che ci si assicuri almeno, quando ci si siede alla scrivania, di possedere le carte in regola. Ed ecco, secondo il Ramazzina quali sono:

Prima carta: avvalersi di una buona metrica tradizio-nale. Anche se non se ne farà uso perché si è scelto di scrivere versi moderni e d’avanguardia, la proso-dia e la metrica servono ad educare il senso estetico musicale: ogni poesia, infatti, per quanto si seguano tecniche ed indirizzi nuovi, deve sempre essere eu-fonica. In pratica, il particolare collocamento delle parole ha sempre da produrre una gradevole musica-lità. Ma tale musicalità non è qualcosa di puramente esteriore; non deriva dalla volontà del poeta d’ac-carezzare l’udito del lettore, ma manifestarsi come indice d’armonia interiore: consonanza di pensieri, di concetti, di logica. Evitare quindi le ripetizioni, l’accostamento di vocaboli con desinenze uguali, la vicinanza di gruppi sillabici con suoni simili, per non incorrere nel difetto opposto, la cacofonia, che signi-ica “suono sgradevole”. Ecco perché si dice che i poeti “cantano”.

Seconda carta: quando si scrive bisognerebbe “strin-gere” il più possibile, dato che la poesia è sintesi, non descrizione, o narrativa, o discorso. Bisogna evitare la tendenza a produrre periodi lunghi e laboriosi. Se ci si sofferma troppo a parlare della luna, del sole, delle stelle, del mare, dei iori o dei propri affari, si corre il rischio di fare prosa e non poesia.

Terza carta: sentimento e fantasia. La vera poesia è il frutto e l’espressione di sentimento e della fanta-sia, non del ragionamento, per cui l’abbondanza di simbolismi e di allegorie, le troppe igure retoriche, l’insistenza di sottigliezze e di cavilli ilosoici, le frequenti deduzioni moralistiche, od altro, rappresen-tano delle vere e proprie alterazioni, che riescono, in qualche modo, ad intaccare la validità e l’autenticità di un componimento poetico.

Continua a pag. 26

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ACCADEMIAMILAN... LA COGNOSSI? a cura di Giorgio Moro Visconti

Corso San Gottardo, Borgh di formagiatt di Giorgio Moro Visconti

Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015 11

San Gottardo è stato un medico benedettino (960-1038), nativo di Baviera e canonizzato nel 1131 da Papa Innocenzo II. Raffaele Bagnoli (Le strade di Milano, ed Effetti, 1970, p. 879) scriveva che: “a San Gottardo è dedicato uno dei quartieri più popolari di Milano. Vi si accede da piazzale XXIV Maggio, va-sto vestibolo, che ha mutato il suo aspetto provinciale quando lo recinsero, nella parte meridionale, dei due grandi palazzoni porticati. Il corso invece conserva parte dell’aspetto caratteristico di un tempo, nelle sue case non vistosamente alte, uniformi con gli in-terni inalterati per lo più formati da stretti e lunghi cortili a guisa di budello, ove s’aprivano antri bui e freschi in cui si custodivano i formaggi provenien-ti dalla “Bassa”… “È tutto un ambiente che merita di essere conservato perché è l’unico, a Milano, che presenti una ineguagliabile caratteristica, antica ed ammufita sin che si vuole, ma singolare nel volto della città extramurana.” Dal libro “La Milano della memoria Zona 5”, edito dal Comune di Milano cir-ca 10 anni fa: “Il Borgo di San Gottardo, attraver-sato dall’omonima via, è sempre stato un quartiere popolare. Vi abitavano e vi lavoravano soprattutto artigiani e commercianti di latticini e di formaggi, per cui la via San Gottardo era conosciuta come “el borgh di formagiàtt” perché nei cortili interni e nelle cantine delle sue case vi si stagionava il formaggio proveniente dalle fattorie del pavese e del lodigiano. Vi erano innumerevoli magazzini interrati, dove si stagionavano formaggi, ben sotto il piano stradale, lunghi persino oltre 150 metri, estesi dal borgo ino al Naviglio Pavese. Le “casere” sono a poco a poco scomparse e nuovi ediici hanno sostituito quelli ormai fatiscenti. Al 18 del corso S. Gottardo – una volta corso Santa Trinità – si vede an-cora l’impianto delle costruzio-ni dell’epoca, con i caratteristici cortili multipli interni. All’inizio del borgo, allineata con le case circostanti, si eleva la Chie-sa di San Gottardo: oratorio di Benedettini che divenne sede parrocchiale all’epoca di San Carlo, con una giurisdizione che

si estendeva ino al Gratosoglio, alla Barona ed a S. Maria dei Navigli. Ricostruita una prima volta verso il 1740 su disegno del sacerdote Giuseppe Castiglio-ni, a partire dal 1836 la chiesa fu restaurata e ampliata con una nuova facciata dovuta a Cesare Nava (1985). Nell’interno, degni di nota, vi sono grandi affreschi del Valtorta e del Morgari ai lati dell’altare maggiore e le vetrate eseguite su cartoni di Aldo Carpi.” Sulla nuova facciata della chiesa neoclassica con il restau-ro conservativo effettuato nel 1983 e 1984 si legge “S. Gothardo”, perché è di origine tedesca. Il cam-panile fu rifatto nel 1959. Corso S. Gottardo è dopo la Piazza XXIV maggio (inizio della prima guerra mondiale), dove c’è l’Arco della Pace, progettato dall’Architetto Luigi Cagnola ed eretto tra il 1808 e il 1814 (dedicato alla vittoria napoleonica di Ma-rengo nel 1801 e nel 1815 ridedicato dagli austriaci alla pace). Corso S. Gottardo termina dove inizia via Giuseppe Meda e dove c’è il Largo Gustav Mahler, sede dell’Auditorium di Milano (Orchestra la Verdi). Prima c’era il cinema Massimo. L’unico negozio che espone una insegna sui formaggi è li di fronte al n. 49. Comunque la strada è un completo susseguirsi di negozi, bar, ristoranti. Ci sono due farmacie. La chiesa di S. Gottardo in Corso non va confusa con la chiesa di San Gottardo in Corte (monumento nazio-nale con maestoso campanile) in via Pecorari, vicino al Duomo, costruita tra il 1330 e il 1336 per volon-tà di Azzone Visconti, morto di gotta a 36 anni, che l’aveva dedicata a S. Gottardo protettore dei gottosi stessi.

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ACCADEMIA

Con il titolo “Il Monte Stella” è inalmente uscita la riedizione della cronistoria della “Montagna de San Sir” di Tullio Barbato, dai bombardamenti della se-conda Guerra mondiale ai giorni nostri. È stata pub-blicata per i tipi della Selecta (176 pagine 18 euro), con il patrocinio di Radio Meneghina e presentazio-ne de “Il Giorno”.È la quarta edizione dell’opera, dopo che le prece-denti sono andate a ruba, praticamente raddoppiata rispetto all’originaria del 2008, arricchita e aggior-nata sia nei testi (ino al 2015), sia nelle illustrazioni (ben 134, delle quali 52 nuove).Tra queste ultime, di particolare impatto quelle re-lative ai bombardamenti, ai funerali delle vittime di Gorla, alle partite di calcio dei mutilatini di don Carlo Gnocchi, ai sindaci che hanno operato per la “montagnetta”, a Piero Bottoni, a un barbuto giova-ne Roberto Vecchioni e al Giardino dei Giusti dove ha trovato un cippo anche il “ribelle” don Giovanni Barbareschi, oggi novantaquattrenne.Quanto ai testi poetici dialettali, oltre quelli che già c’erano di Ada Lauzi, Piera Bottini, Maria Curti Co-merio, Giovanni D’Anzi, Nino Rossi, igurano quel-li di altri vernacolisti dell’Accademia, da Edoardo Bossi ad Alberico Contursi detto Bico.

L.B.

Il Monte Stella

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SCIROEU DE LA PRÒSA

I BALL DE MIA NÒNAGianfranco Gandini

Quand seri on ioeu, vers i des ann, hoo vivuu on poo de temp con la mia nòna che la stava de cà in via Pascoli. L’era ona cà granda con tanti ioeu e con lor seri diventaa amis, ancaben che l’era minga la mia cà. Gh’era ona cort granda doe se podeva giugà in certi orari del dì e, despess, giugavom cont i tollitt con denter i igurinn di corridor del gir d’Italia. Se gh’aveva de tirai cont i did sul bord del marciapee senza fai andà foeura e vinceva chi rivava primm in fond. La mia nòna la gh’aveva dò stanzett che me piaseven tanto e di vòlt, quand se podeva nò andà a giugà perchè l’era minga l’orari giust, me piaseva vardà quand l’andava in cusina a preparà el disnà per el mezzdì. M’è restaa in la ment ona pitanza che ògni tant la me faseva, anca perchè gh’avevi dii che la me piaseva on bell poo: i oeuv trifolaa, inscì je ciamava lee.La ricetta che me regòrdi (gh’è passaa on quai dì...) la cominciava cont el fà i oeuv dur. Ona vòlta che la mia nòna la gh’aveva levaa el guss je faseva diventà fregg. Poeu la preparava ona padella con denter el

butter, on poo de erborin, ona fesa d’aj e on ciccinin de saa, ma pòca, e la faseva deslenguà el butter. Poeu la ghe metteva i oeuv che l’aveva tajaa in duu ò quatter e je faseva andà ina che ciappaven on poo de color. Domà el profumm el me faseva vegnì l’acquetta in bocca sicchè tripillavi semper per podè mangiai.La cà, come hoo dii, la me piaseva ma la gh’aveva on difett, gh’era nò el riscaldament cont i termosifoni, ma gh’era la stua e, quand rivava l’inverna la mia nòna la cominciava a fà sù di ball de carta. La prima vòlta che l’avevi vista avevi pensaa che la voreva famm on quai scherz. Ma subit la m’aveva dii: sù stà minga lì cont i dent in bocca, juttom!Mì seri restaa compagn de on orlucch perchè savevi minga da che part comincià e còssa gh’avevi de fà. Ma con pazienza la m’aveva spiegaa che i ball de carta doveven servì per la stua, sicchè prima se gh’aveva de fà sù i ball, poeu metti in l’acqua che se impregnaven ben e poeu fai sugà per fà in manera che quand se buttaven in la stua podeven rend on poo de iamma.On quai ann pussee tardi, quand seri in di Martinitt, i ball faa sù cont i strasc je dopravom de giugà sòtt’al pòrtich quand pioeva, per fà i partid de fòlbal e me vegneva semper in la ment i ball de carta de la mia nòna.

Intermezzi di Edoardo Bossi

Cappèll de pret, trii canton, trii mister, per quèst el va ben in tutt’i maner!

Di vòlt l’è minga assee recità on provèrbi, saria bèll anca spiegann el perchè e d’indoe nassen. Hoo ciappaa come esempi quèll che vedì chì de sora:“’Na vòlta, per dì che on quaicòss l’andass semper ben in tutt’i maner ò in tutt’i occasion se recitava el provèrbi che hoo citaa. El cappèll del pret, el “triicòrno” che idealment divis in quatter part, el gh’aveva domà trè alètt e che el canton senza alètt l’andava portaa a sinistra, ma da qualsiasi part el fudèss voltaa el canton, nessun el se saria incorgiuu e per tant l’andava semper ben. I trii Misteri de la Fed ò vun el ghe cred ò el ghe cred nò se te ghe credet vann ben in tutt’i maner, se discuten nò. I trii Canton par ch’el riferiment el riguarda i trii Canton Svizzer che per primm hann costituii la Federazion Svizzera, rivaa poeu in del temp ai vòtt del dì d’incoeu; quèsti hinn: Canton Uri, Canton Untervald, Canton Svitto, che in del 1291, in d’on praa, el primm d’agost hann sigillaa l’accòrd, ma pararia che la data la sia taroccada, quindi, qualsiasi data ghe se mètt la va semper ben.

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Poeti di LombardiaAda Negri

Ada Negri nacque a Lodi il 3 febbraio 1870. Le sue origini erano umili: suo padre Giuseppe era vetturino e sua madre, Vittoria Cornalba, tessitrice; passò l’infan-zia nella portineria del palazzo dove la nonna, Peppina Panni, lavorava come custode presso la nobile fami-glia Barni, legata un tempo al celebre mezzosoprano Giuditta Grisi, ino alla morte della quale era stata governante Peppina: sul rapporto tra Grisi e la sua fa-miglia, Ada costruirà il mito della propria infanzia. In portineria Ada passava molto tempo sola, osservando il passaggio delle persone, come descritto nel romanzo autobiograico Stella Mattutina (1921).Ad appena un anno dalla nascita rimase orfana del padre avvinazzato e avvezzo al canto, considerato, dunque, un peso dalla madre Vittoria: fu grazie ai sa-criici di questa, la quale cercò un guadagno sicuro in fabbrica, che Ada poté frequentare la Scuola Normale femminile di Lodi, ottenendo il diploma di insegnante elementare.Il suo primo impiego fu al Collegio Femminile di Co-dogno, nel 1887. La vera esperienza d’insegnamento che segnò la sua vita e la produzione artistica, però, fu intrapresa a partire dal 1888, nella scuola elementare di Motta Visconti, paesotto in provincia di Milano nel quale Ada passò il periodo più felice della sua vita; al mestiere di maestra è legata e contemporanea l’attività di poetessa: fu in questo periodo che iniziò a pubbli-care i suoi scritti su un giornale lombardo, il Fanfulla di Lodi. In questo periodo compose le poesie poi pubblicate nel 1892 nella raccolta Fatalità: questo libro ebbe un gran-de successo, portando Ada ad acquistare grande fama, a tal punto che, su decreto del ministro Zanardelli, le fu conferito il titolo di docente per chiara fama presso l’Istituto superiore “Gaetana Agnesi” di Milano. Così si trasferì con la madre nel capoluogo lombardo. A Milano entrò in contatto con i membri del Partito so-cialista italiano, anche grazie agli apprezzamenti rice-vuti da alcuni di essi per la propria produzione poetica, nella quale è molto sentita la questione sociale. Tra loro ebbe un ruolo fondamentale il giornalista Ettore Patri-zi, col quale ebbe intense relazioni epistolari; conobbe poi Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff (della quale ebbe a dire di sentirsi sorella ideale).Nel 1894 vinse il Premio Giannina Milli per la poesia. Nello stesso anno uscì la sua seconda raccolta di poe-sie, Tempeste, meno apprezzata di Fatalità, nonché vit-

tima di una forte critica da parte di Luigi Pirandello. In questo periodo la sua lirica si concentrò soprattutto su temi sociali ed ebbe forti toni di denuncia, tanto da farla deinire la poetessa del Quarto Stato.Il 1896 fu l’anno di uno sbrigativo e presto fallimentare matrimonio con Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, dal quale ebbe la iglia Bianca, ispiratrice di molte poesie, e un’altra bambina, Vittoria, che morì a un mese di vita. Da questo periodo le sue vicende per-sonali modiicarono fortemente la sua poetica e le sue opere divennero fortemente introspettive e autobiogra-iche, come si vede in Maternità, pubblicata nel 1904, e Dal Profondo (1910).La separazione con Garlanda avvenne nel 1913, anno in cui Ada si trasferì a Zurigo, dove rimase ino all’ini-zio della Prima guerra mondiale e dove strinse amici-zia, tra gli altri, con Fulcieri Paulucci de Calboli; da Zurigo scrive Esilio, pubblicato nel 1914, opera con evidente riferimento autobiograico, e la raccolta di novelle Le solitarie, pubblicata nel 1917, opera mo-derna ed attenta alle molte sfaccettature della tematica femminile. L’anno seguente esce Orazioni, raccolta di odi alla patria: gli anni della guerra avevano trasfor-mato la passione civile in patriottismo, accompagna-to all’avvicinamento alle posizioni mussoliniane. Dal 1915 si ha traccia della sua presenza a Lodi attraverso la corrispondenza con l’attrice Paola Pezzaglia, inter-prete sulle scene della sua poesia. La corda principale della sua poesia erano ormai i sen-timenti e, avanzando gli anni, la memoria: nel 1919, lo stesso anno in cui moriva la madre Vittoria, da un’altra esperienza amorosa nasceva una nuova rac-colta di poesie, Il libro di Mara, raccolta inusuale per la società cattolica e conservatrice di quell’epoca. Due anni dopo, nel 1921, anno del matrimonio della iglia Bianca, è la volta di Stella mattutina, romanzo autobio-graico di successo.Nel 1931 fu insignita del Premio Mussolini per la car-riera; erano gli anni in cui Benito Mussolini ancora utilizzava i rapporti nati nel suo periodo socialista. Il premio consacrò Ada Negri come intellettuale di re-gime, tanto che nel 1940 fu la prima donna membro dell’Accademia d’Italia. Non rinnegò mai la sua ade-sione al regime.Ma ormai la sua vita era permeata da profondo pessi-mismo, chiusa in se stessa e in una ritrovata religiosità che la portarono ad affondare in un progressivo oblio.Morì nel 1945 e fu sepolta nel famedio di Milano. Il 3 aprile 1976 la sua tomba è stata traslata nell’anti-ca Chiesa di San Francesco a Lodi.

Sinfonia azzurra

Venne in cerca di te nella calda notte, lungo le strade dai fanali azzurri. Tutte le strade, allora, la notte erano azzurre come le vie dei cieli, e il volto amato non si vedeva: si sentiva in cuore E ti trovò, o dolcezza, nell’ombra casta, velata d’un vapor di stelle. Fra quel tremolìo d’astri discesi in terra, in quell’azzurro di due irmamenti l’uno a specchio dell’altro, ella ella pure rispecchiò in te l’anima sua notturna. E ti seguì con passo di bambina senza sapere, senza vedere, tacita e luida. E allor che il giorno apparve con fresco riso roseo su l’immenso turchino, non trovò più se stessa per ritornare.

A testimonanza della fama di cui godeva Ada Negri, una cartolina del 1915 che riporta alcuni dei suoi versi

Notturno nuziale

Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio, e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento. E la ghermisti con artiglio d’aquila, e tutta la costringesti nella tua forza riplasmandola in te con tal furore ch’ella perdette il senso d’esistere. E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto, e dal balcone aperto la notte guardava con l’occhio d’una sola stella rossastra, e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri la tristezza dell’ombra vi vegliò sino all’alba.

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16 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

VÀ A PROVVED!

La lista te l’hoo fada,l’ho fatta io per tee fermet nò per srada,a bev i tò cafè.

Duu etti de giambon, ma quell visin a l’òss,l’è pròppi el pussee bone tì fa nò el balòss,

trii etti de fontina,caròtol, erborin,e lassa stà la Gina,desmett de fà el cretin.

Farina, pan grattaa,michett... l’è ’l nòster pan,cafè de quell masnaa.T’hoo dii fà nò el giavan

coi dònn dal cervellee,e ten a ment che a càte gh’heet ona miee!Te gh’hee poeu de comprà

dal sòlit fondegheela salsa e on poo de òlidanee te n’hoo daa asseema vann come ’l rosòli.

Allora, t’hee capii...?Dessedes, va a provved,ma anca se l’è chì,la toa miee la ved!

Gianfranco Gandini

LEGGIUU E SCOLTAA“Sciroeu di poetta” ospita, così come ci sono pervenute le composizioni, “lette e ascoltate”, noi le pubblichiamo, correggendo qualche palese refuso, convinti di stimolare la volontà

di chi sente spontaneo il desiderio di esprimersi, interloquendo con la musa, in dialetto milanese e con l’augurio che queste pagine possano scoprire nuovi talenti.

Mercato del pesce a Milano - G. Marzulli

SERA D’AUTUNN

Settaa dennanz al foeugh del vecc caminsù ’na poltrònna mezza scalcagnadacoi oeucc quasi saraa, la pipa in boccael sògna i temp passaa, quei pien de vita.De tant in tant el s’cioppettà de legnael romp quell dolz requià del nòster vecc;e quell profumm de bon che ’l sa de boschel se spantega intorna insemma al fumm.L’è adree insognass montagn de quand de gioinel rampegava sù come i stambecch, e poeu inciocchii de lus, de sô, de ventel s’impieniva el coeur de quij moment.Adess hinn ricòrd ormai lontansconduu in d’on cantonscell de la soa ment,che poeu de tant in tant a l’improvvistornen legger per lù come carezz!

Alarico Zeni

QUEI OEUGG VERD

Quei oeùgg verd , el sò sguard serenhann rapii la mia anima.Etèrna fed in on amor che l’ha brindaa a tanti vittòri.Quei oeùgg verd, limpid’me on lagh, in doveon dì me son speggiaa , restarann semper in del mè coeur.Quei oeùgg verd,i scordarò mai.

Micaela Baciocchi

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Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015 17

LONTAN DE MILAN

Sbaratti el inestroeu,coi tend tiraa de part,on boff de vent freschin el me scorliss la mente ’l fa volà via i sògnsmorzaa dent d’on gran sbagg.Slongaa de sora on scagn,coi man sul consolaa,masni grev solitudin…l’oeugg el corr sora ’l tavolpareggiaa cont on tond, on biccer, on mantin…domà on baston francessecch e pòss faa a dadittcompesaa col giambon.Se ghe ne impòdi mì! Sont… a pan e pessitt!

Ma doman, se Dio ’l voeur,sì… tacchi a lavorà.Quell lavorà lontan…tròpp lontan de Milan,soramaròss l’è nòel mestee che speravi,dòpo tanto studià.Fa nagòtt! Content?... Pòcch,però… in coo de l’àscia,se gh’ha de cominciàvoltà i manigh indree,senza pesà sù i spalldi mè gent. Se hann faa per segnamm el sentee!

Ma Milan… el me manca!La mia cà, e i parent,i amis e brascià sù, basottà la morosa(lee la sarà mia sposa) che ghe deslengui adree,che gh’hoo semper in ment…strad, bottegh e bastion,i reciòcch di campann,che cont el sò “dinn… dann”me disen quanti hinn i or.

Mì resti semper coi oeugge i oregg a l’erta e pront

sul “chi va là” e ’pènael campanell el sònaper on noeuv lavoràin del mè bell Milan,corraroo come ’l venta snasà el car profummde l’aria pièna rasa de vita meneghina.

Quand sarà el sò moment,(e ’l rivarà sicur)lì denanz al splendorde la mia Madonnina,levaroo i brasc al ciel,ghe dimostraroo veradevozion e amor.E ’l mè restà lì citto…el se farà preghiera.

Bico (Alberico Contursi)

L’È ASSEE PÒCCH

Invers...’me on cielnegher de nivolche pòrten tempesta.

Passa arent ona mama,in di brasc on pattanch’el frigna de gustforse el voeur on quaicòss,l’è invers anca lù!...el vardi...ghe sfrisi el nasin,el derva i oggioni...negher, pien de magon,,el sfrega i sò lacrimel tira on sospir...grand... pussee de lù!

Me varda curiosel tira su el nasiniss de frignà....e d’on bòtt...anmò on grand sospirpoeu slarga el bocchinch’el par ona ròsacon su la rosada,e quasi de sfròsme regala on sorris!...ciao...ghe disi pian pian,lù ’l me saludacol gest d’ona man!

Se suga el magon,sparissen i nivol......e torna el seren!!

Mario Scurati

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18 Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015

LEGGIUU E SCOLTAA

ANNA (Frank)dal liber: “Dòna de cent color” di Paola Cavanna

Signor, picchen al mur, trann giò la pòrta!Sbragen, bestemmen ’sti diavol in divisaTra pòcch sarann chì denter. Mì sconvòltaschisciada in d’on canton, anmò in camisa

el coo tra i mè genoeugg, per vorè credde vess tant piscinina e no famm ved

I mè piang in silenzi, lì brasciaacon chi oeugg de beritt che va al beccheee con quell dondonà di rassegnaa:-destin che semper je voeur presonee-

Mì inveci, duu penser: - Chi l’ha tradii?-E poeu: - Perchè Signor, m’è toccaa a mì?-

Son ’na pattana, cos’hoo vist del mond?I sògn, i mè illusion, i mè speranzhinn relegaa chì denter, dove se scondel mè vess viva, bloccada in questi stanz

On ior de serra, che no ved mai ’l solOn usellin che mai l’ha ciappaa el vol!

Sora i mè foeuj, la voeuja de ballà……i batticouer, tutta la mia legriaona canzon… la smania de cantàvosa el mè coeur… rispond ona bosia

duu ann de gioventù, murada vivatarpada ògni speranza o spettativa

Hinn denter! Hinn rivaa col mitra in mancoi oeugg de giazz, furios ’me can mastin!Pòrten la cros, questi bon cristianma negra, riscienta e coi rampin

Se l’è con lor, ’me disen, pròppi Diogh’è pù de religion… Signor adio!

Me ruzen, me sborlònen, me tra in straacon tant d’orgòli d’avè faa on’impresade gran coragg: per avè stanaanumm pòr rattitt stremii, già mezz in gesa…

…ma a on bòtt ’sto ciar e tant’aria purala me inciocchiss e senti pù paura!

Grazie Signor del sol, di ior, del vent!Com’el va svelt el sangu in di mè venncome me batt el coeur e la mia mentla corr, la buscia, l’ha streppaa i cadenn

Me impienissi de son, profumm, color…Anch domà per incoeu, grazie Signor!

Paola Cavanna

Ragazza ebrea, scrisse il suo diario nei due anni di reclusione con la famiglia, in una stanza segreta, per nascondersi dai nazisti, durante la seconda guerra mondiale. Essi vennero traditi e furono trasportati nei campi di concentramento tedeschi. Anna morì di tifo nel marzo ’45 a soli 16 anni, nel campo di concentramento di Bergen Belsen, circa tre settima-ne prima dell’arrivo delle truppe inglesi. Dopo la guerra, il suo diario venne pubblicato, rendendola famosa in tutto il mondo.

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Sciroeu de Milan - Luj/Agost 2015 19

LA RASPADÜRA

La raspadüra l’ha gh’ha origin da ona natural dispo-sizion di paisan d’on temp “al tegnì de cunt” donca buttaven via pròppi nient.Nissun l’ha certiicaa stòricament quand l’ha comin-ciaa a vess raspadüra ò almen el perchè. Se gh’ha de savè che la forma, de formagg grana, per tirà foeura i rizzol che l’è la raspadüra, l’ha gh’ha nò de vess stagionada ma pròppi giovina.Gh’è nò de pensà che “i ludesan, largh de buca e strett de man” sacriicassen ona bella forma de for-magg grana, tanto savorida, per dopralla inscì… De principi l’è pensabil che a la raspadüra fudessen destinaa i form giovin che per on quai difett sarien andaa a mal. S’è pensaa allora de utilizzai al mej e subit, col grattà via la crosta su voeuna di dò facc pian, se passava a raspai col doprà on cortelasc pien-taa in vertical ch’el sortiva i rizzol bèi gustos, l’è in-sci che l’ha cominciaa a vess… la raspadüra. El cald savor del formagg grana el conquista el ciel de la bocca, e’l fa vegnì voeuja de bev del vin ross, quell bon. Fina ai ann 50-60 del sècol passaa, i òst pussee furb metteven sul tavol on bell piatt de raspadüra, gratis; ch’el regall, el vegneva ripagaa da ordinazion de vin che la raspadüra… la ciamava.

LEGGIUU E SCOLTAA

RASPADÜRA

El formagg l’è formagg granastagionaa el gh’ha nò de vess,ona forma bella sanache se pò raspalla adess.

Tanti rizzol la madurabèi savorii, tucc de gustàel sò nòmm l’è: raspadüraludesana… e poeu, sognà.

Mara Chierichetti

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Desideriamo far notare ai lettori che le prose e le liriche comprese in questa rubrica sono trascritte con la stessa graia usata dagli autori. La redazione corregge solamente eventuali evidenti refusi lasciando così la possibilità di confrontare, con altri autori presenti, i differenti modi di scrivere, talvolta suggeriti dall’evoluzione della lingua.

LA FINESTRA SUL NAVILI

Quand de nòtt la luna pienala se speggia in del Navilie la fa la gibigiannain su l’acqua lustra e nera,lù, che ’l par quasi indormentcont on sgrisor el se strusadasi dasi ai spond arente tutt’a on tratt el par d’argent.L’è el Navili de Milansemper lì da sescent annpassen stracch de ianch a lùquai barbon, quai sgarzolin,(de barcon ne passa pùPù de dònn scrusciaa al brellin).Ven mattina e de colp l’acquala diventa verdesinnagent che va semper aposoperari, ioeu, moros.Poeu, quand el sô se vòlta indree,me la faccia d’ona tosache se mostra timorosa, ross el ciel e rossa anlee.Quell canton del nòst Milantestimòni de la stòrial’è in del coeur e la memòria.Quiett e bell e senza bòriael va innanz in del dòmillasperemm ben, anmò cent ann.

Maria Brusotti

EL SE DIS IN GIR (SOLILOQUI)

El se dis in gir, l’era quella noeuva che l’andava intorna e che la rivava a mì con la premessa: - però fa citto – dighel a nissun – tì parla nò – Inscì che mì seri l’ultim a savè sta robba chì, che gh’avevi de tegnilla denter in de mì come se tutt el mond el se fermass. Cioè come se mì fussi el primm a tajà la cadenna de la comunicazion con l’umanitaa che se l’avaria savuda la podeva pensà che seri staa propi mì l’ultim a spantegà quell che m’aveven dii con tanta circospezion. Mì el prim e l’ultim. Vun che ’l cunta sù anca quell che ’l gh’ha de dì come se se ’l voress deslegeriss d’on pés sul stòmegh. Chissà perchè incoeu hinn semper men quii che voeuren dimm ona ròbba che la gh’ha de restà in tra mì e lor, che l’è poeu quell che ona vòlta se sentiva in gir. Per esempi in sul Metrò se parla nò ma se leg in di facc motrient de la gent che la voeur tegniss denter quii penser che hinn minga quej che se dis in gir ma quij che giamò sann tucc sul Metrò perchè l’è lì, a la solita fermada, che la comincia e la iniss ona giornada, lì in sul Metrò che se leg sui giornai la noeuva che la fa stremì a l’è forsi mej parlann minga, intanta che la fera la va e che ’l mond el gira istess. Dòpo a sera a la television la noeuva la ven spiegada, tritu-rada tòcch a tòcch, sezionada repetuda el dì adree, in manera che ona noeuva la resta minga domà voeuna, ma la soa moltiplicazion cont i sò dettaj la deventa pussee granda, noeuva de tegnii dent ina a che on’altra, che la sia peggior, la gh’abbia de ciappà el sò pòst. E i oeucc se saren sù come i oregg, e i facc motrient sora al Metrò. Quii facc che hinn ’me on specc, perchè anca mì ghe son denter insemma a lor, e me ven ina de rid in del pensamm con la stessa voeuja de dì senza parlà che se de nò parli indepermì e me dann del matt. E già el capissi adess el perchè, che quand incontri on quaidun e ghe domandi – come la va? – el me rispond tutt in d’on iaa – minga mal – podaria andà mej – se tira innanz – l’è mej tasè – pussee d’inscì la pò minga andaa – Ma sacrenon! Nissun ch’el dis – va benon – che anca se la fuss domà on’idea la sariss ona consolazion el savè che minga tucc sonen de s’cepp ma la sariss per quest ’na “contranoeuva” che incoeu la podaria vess quella de dì in gir senza ritegn, magara de sonalla con la tromba de la banda, che anca quand la stecca l’è legriosa.

Joreste

LEGGIUU E SCOLTAAFOEURA DEL CAVAGNOEU

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Ciliegia, frutto simbolo di cortesia, grazia e modestiadi Fior-ella

VEDRINA DE LA BOTANICAa cura di Fior-ella

Continua a pag. 26

Albero fruttifero della famiglia Rosacee, proveniente dall’Asia Minore tra il Mar Caspio ed il Mar Nero. Giunto in Europa in tempi remoti, ma pare sia stato introdotto in Italia nel 1° sec. a. C. da Lucullo.La sua diffusione in Italia va dalla collina alla media montagna in boschi misti di latifoglie.Molte varietà sono coltivate in Europa ed in America Settentrionale e numerose specie di ciliegi ornamen-tali sono piantumati per la decorazione di parchi e giardini.L’albero più conosciuto è il Prunus avium, ma ne esi-stono un centinaio di specie.Si può riconoscere questo albero per il suo portamen-to slanciato con chioma itta e stretta che può supera-re i 20 metri di altezza con ioritura precoce, spesso prima delle foglie che sono di media grandezza con margine seghettato sulla pagina superiore verde lu-cente, mentre quella inferiore è più chiara.In autunno il fogliame si colora di rosso con sugge-stivo effetto cromatico sia nei giardini che tra i via-li cittadini o nei boschi grazie alle piante selvatiche presenti. La corteccia è decorata a sottili righe orizzontali co-lor grigio-rossastro.Il legno è ricercato per ebanisteria, produzione di mobili e la fabbricazione di pipe.In greco Kerasos, termine che pare provenga dal nome della cittadina Kerasunte, come affermava San Gerolamo. In Italia si venera il Santo delle ciliegie, Gerardo Tin-tore, patrono di Monza.Si racconta che una sera di dicembre molto fredda e con la neve che imbiancava strade e caseggiati, Ge-rardo volesse rimanere in Duomo per pregare tutta la notte, ma la sua proposta non venne accettata.Gerardo per convincere i presenti della sua richiesta promise loro un cestino di ciliegie nonostante non fosse stagione di fruttiicazione. Il mattino seguente gli ostiari ricevettero un sacchetto con i suddetti frut-ti tra la meraviglia di coloro che non avevano creduto alla promessa.Per ricordare questo avvenimento il 6 di giugno di ogni anno l’ospedale di Monza offre ai canonici del Duomo una colazione a base di questi gustosi frutti.Il frutto è una drupa ovoidale di colore rosso-nerastro con polpa carnosa, dolce, dal nocciolo rotondo e con

lungo peduncolo. I frutti sono rappresentati in un affresco di Bernardi-no Luini nel Duomo di Monza.Il iore del ciliegio è simbolo della bellezza femmini-le, cortesia, grazia e modestia.Diversi poeti giapponesi hanno celebrato questo frut-to in poesia

Cadono i iori di ciliegiosugli specchi d’acqua della risaia.

Stelle, al chiarore di una notte senza luna…

I iori grandi hanno cinque petali spesso bianchi, rag-gruppati in abbondante ioritura nei mesi primaverili, aprile-maggio. In Cina il iore di ciliegio ha ispirato non solo pit-tori, musicisti e letterati in dall’antichità ma, per la fragranza del frutto ed il colore rosa, paragonato alle labbra femminili che attirano i baci. Sulle falde di un monte, poco lontano da Tokio, sono stati piantumati 100.000 ciliegi selvatici che quan-do sono in ioritura attirano i giapponesi da diverse località per ammirare questo spettacolo prodigioso indicato come “Futura Beatitudine”. Anticamente era considerato albero capace di guarire molte malattie.Le ciliegie sono indicate per curare artriti, reumati-smi e combattere il colesterolo.100 grammi di frutti freschi producono soltanto 38 calorie, una discreta quantità di calcio, potassio, fon-damentale per la vita dei muscoli, molti antiossidan-ti, validi per le funzioni antinvecchiamento.Ricetta per toniicare il viso. Schiacciare 200 gr di ciliege con panna fresca, spalmarla sul viso per 15-20 minuti e la pelle stanca torna fresca.

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IL MANZONI CHE NON CONOSCIAMO

La Monaca di MonzaManzoni nei meandri del suo capolavoro

di Osmano Cifaldi

Il lento e maestoso luire del gran iume dei “Pro-messi sposi” offe il destro per scoprirvi territo-ri, personaggi, fatti dalle diverse sfaccettature in un’epoca, quella del Seicento, vissuta in Lombar-dia sotto il velario di sudore e di dolore dell’ottusa dominazione spagnola.La “Monaca di Monza”, Virginia Maria de Leyva, è tra i personaggi più enigmatici e dificili da per-cepire nel vasto quadro del romanzo manzonia-no. Fu accusata di condurre una vita immorale, di scempio dell’esempio. Il processo a suo carico stabilì la fondatezza delle voci sulla suora ed alla sua conclusione, il 18 ottobre 1608, venne emes-sa una condanna di segregazione perpetua in una celletta murata di due metri per tre nel monastero delle convertite di Santa Valeria a porta Vercellina in Milano.La vita delle penitenti segregate fu sempre trava-gliata ed appesantita da rigide regole religiose e da una ferma disciplina quotidiana volte al recupero delle ospiti.S. Carlo Borromeo, all’epoca, arcivescovo di Mi-lano, ebbe sempre un occhio di riguardo per la Pia Casa di S. Valeria, attiva testimone del recupero e della ritrovata conversione.Così la trentenne monaca di Monza, ritenuta gran-de nelle colpe e nello scandalo per via della tresca amorosa con il giovane nobile Gianpaolo Osio du-rata dieci anni e inquinata da crimini delittuosi dello stesso Osio, fu destinata ad espiare i suoi peccati sul-la strada impervia di un completo ravvedimento. Nel romanzo manzoniano suor Virginia prese il nome di Gertrude e l’Osio quello di Egidio.Anche l’altro cardinale di Milano Federico Borromeo ebbe a cuore il convento di S. Valeria e sempre brigò perchè non mancasse allo stesso la risorsa inanziaria per sovvenire alle esigenze del mantenimento delle segregate alcune delle quali, compresa la nostra mo-naca mancavano di pagare la retta stabilita.Anzi a proposito di suor Virginia de Leyva gli am-ministratori del monastero cercavano di far rispettare il dispositivo della sentenza tribunalizia riguardante le quote che dovevano essere versate dal monastero di S. Margherita di Monza “per gli alimenti di suor Virginia Maria che da molti anni vive nella casa delle

convertite di S. Valeria”.Quattordici anni dopo dall’inizio della “prigionia” di suor Virginia, durante quindi il 1630, anno della devastante peste descritta dal Manzoni, constatato l’eroico ravvedimento della monaca Virginia, la pena fu commutata e così abolito l’isolamento con il resto del mondo.La monaca di Monza uscì da quell’esperienza du-rata 42 anni, estremamente provata nel isico come ci riferisce il Ripamonti: “...vecchierella, macilenta, venerabile, cui dificilmente, a vederla qual’è, ti igu-reresti che sia stata un tempo bella e inonesta”.La morte la colse il 17 gennaio del 1650.Così erano le penitenze a quell’epoca e superarle non era cosa da poco; era eroico il concluderle. Anche se allora i monasteri erano considerati uficialmente rifugio dei deboli, difesa degli oppressi, esaltazione di umili “su prepotenze e tempi vindice la beneica fede ai trioni avvezza”.

Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Ritratto di giovane monaca, 1730 circa (La monaca di Monza)

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CUNTA SÙa cura di Ella Torretta

Per on ballettdi Ella Torretta

- Mamma, allora pòdi andà?-T’hee scovaa sù la cusina…t’hee inii de fà i des cannett in la soletta di calzett?- Si… hoo faa tusscòss… te me lasset andà? L’è giovedì grass e la mamma de la Rosetta, la sciora Marchetti, la fa i tortei… Fann on poo de festa in cà soa… ven anca la Pina cont el sò fradell..- Quell l’è bon!... me par ch’el te faga la ronda con quell’aria de pampaluga…- Figuremes… poeu el me pias nanca… el gh’ha i cavei ross e i pè piatt… - Eh già… cont i pè piatt el balla minga ben… come ti!- Allora voo?... si?... te vedaree che ai des e mezza saroo a cà. - Va ben. Va minga foeura del porton e per traver-sà el cortil mettett el mè sciallett… Nient cappellin, borsetta e vestii a ior… l’è on poo tròpp scalfaa chì, denanz! A propòsit de vestii, va ben che te fee la sar-tina, ma Signor, el tò papà el s’è lamentaa perchè el t’ha vist a tajà sù tutt a frimpei quella bella stòffa che t’hann regalaa in sartoria e poeu te stee lì a sgu-giattà al ciar de la lumm de nòtt e strasà stoppin e petròli per giuntà insema tutti i tòcch de stòffa che t’hee tajaa…- Digh al papà che l’è on modell de Paris, el va faa inscì. L’hoo copiaa de nascondon… Se le savess la mia Premier de sartoria…!- Ciao, voo… me desmentegavi de toeu sù el fazzo-lett, intanta do la vos a la Rosetta per digh che rivi subit. Dòpo on para d’or la sciora Teresa la ved minga comparì la soa tosa e la decid de andà anca lee in cà de la Sciora Marchetti… magara hann vanzaa on poo de tortei… lee ie fa inscì bon!La riva sù al terz piant cont el iaa gròss, .. ma se sent nissun, silenzi de tomba, nissun che sbròtta, che cicciara… mòrt el foeugh e fregg i verz!- Permess? Sciora Marchetti, pòdi vegnì dent on mo-ment?- Oh sciora Teresa, che la vegna, la vegna innanz… pensavi pròppi a lee... vorevi vegnì giò a trovala, perché la mia tosa Rosetta la m’ha dii che lee la fa-seva i tortei- istess precis paròll bosard anca de la mia tosa che pròppi stasera la doveva vess in cà soa… che cincia-

petta! Allora dove hinn andaa?- Adess che me ven in ment on para d’or fa hoo vist dal mè poggioeu che la soa tosa la trava giò in cort da la inestra de la soa stanza on quaicòss… Prima on pacchett, poeu on alter... e dòpo l’è rivada chì in cà mia… La rideva ’me ona cialla e la seguitava a ripett: “Rosetta ghe l’hoo fada, ghe l’hoo fada a la mia mamma!” I tosann hinn andaa de là a vestiss e dòpo l’è rivada chì in cusina tutta in tir… con sù on bell vestidin a ior, el cappellin in coo e sul brasc ona borsetta cont i lustritt… - l’è ona sorpresa anca per mì perché l’era lee che la doveva preparaa i tortei per fa festa del giovedì grass!- Cara sciora Marchetti me l’ha pròppi fada! L’ha imbastida ben… alter che andà in stanza a toeu sù el fazzolett… L’ha traa giò da la inestra vestii, borsetta e cappellin!... Ma dove sarann andaa?... in conidenza l’è tutta soa mader… mi son semper stada ona patida per el ball… Lee che la fa la modista la me prestaria minga on cappellin con la veletta che andemm a cer-cai in la balera de Via Savona?- A la nòstra età, andà in d’ona sala de ball! Sciora Teresa, lee la buscia?- Se la dis… minga per fà on ballett, ma per cercà i nòster tosann. Dai andemm, la vegna… voo giò de bass in cà mia a toeu su el paltò… al mè mari ghe disaroo che… che voo a fà ona puntura a ona sciora che sta in via Savona!... Se ne dis? Questa l’è ona bosia necessaria, ghe par?

GLOSSARIO

Pampaluga = scioccoScalfaa = scollato Sgugiattà = cucire male Do la vos = chiamo Buscia = impazzita

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Continua da pag.9 - Poesia e Stile

Virgilio aveva una corazza splendida e un cavallo di razza e agguerrito: il suo antagonista, Dryden, aveva una vecchia rozza ed era contenuto in una vecchia corazza arrugginita nella quale spariva la sua igura emaciata.Durante una sosta della battaglia, Temple si riposa-va vicino ad un ruscello; due moderni gli lanciaro-no proditoriamente due giavellotti colpendolo alla schiena, ma non riuscirono neppure a scalirlo, come se non avessero tirato. È evidente l’ispirazione, come è evidente dai Viaggi di Gulliver quando nell’Isola dei Maghi il capitano evoca Omero ed Aristotele: <...Aristotele era curvo e camminava appoggiandosi ad un bastone, la faccia smunta, i capelli radi e cascanti, la voce cavernosa>. Nel viaggio al ‘Paese dei Nobili

Cavalli’ il cerimoniale di presentazione al Re, assisti-to dall’amico, e il linguaggio iperbolico sono analo-ghi in Swift e in Porta.Gli esempi si potrebbero moltiplicare, com dimostra-to nel volume dello scrivente Carlo Porta – Fonti letterarie milanesi, italiane, europee. Esaminando l’opera del nostro poeta, abbiamo constatato che, oltre al suo talento naturale, egli era innanzi tutto diventato esperto dei vizi e delle virtù degli uomi-ni, sia per conoscenza diretta, sia attraverso le fonti anche europee le più impensate; conosceva i classici italiani e stranieri, ed ebbe così degli ottimi maestri. Sopra tutto, come Maggi, Verri e come Tessa, amò e difese la pace, non disgiunta dalla giustizia e dalla libertà. Un’eredità preziosa se sapremo riconoscerla ed apprezzarla.

Intermezzi di Edoardo Bossi

SE TROEUVOM SÒTTA L’ORA IN ARI

Che voltaa in italiano voeur dì: “Ci incontriamo sotto l’ora che c’è in alto”.Con quèsta espression i milanes intendeven dass appontament in la piazzètta che se troeuva dedree al Dòmm.Tutti sann che l’era ona consuetudin per i milanes quèlla de trovass in sul sagraa del Dòmm per discut de politica, de inanza, de spòrt e de alter argoment e i notizzi de prima man se saveven pròppi lì, ona sòrta de “Agenzia ANSA”. Quand però se doveva discut de affari se andava a cercà on sit on poo pussee quiètt e indoe se minga dedree del Dòmm? Bisògna savè che subit dedree del Dòmm gh’era on Cimiteri e che fra l’abside del Dòmm e el Camp Sant gh’eren di blòcch de marmo, attrezzadur per la lavorazion di marmi, piccol baracch doe i dipendent de la Vene-randa Fabbrica del Dòmm laoraven. Intorna a la metà del 800 s’è decis de mètt ordin e de dagh a la Veneranda Fabbrica ona sede doe podè sistemà ofizzi, laboratori e magazzin. L’incarich per la costruzion del palazz l’è staa daa a i architètt Pietro Pestagalli e Giuseppe Vandoni (1841-1853); la maestosa facciada tardo-neoclassica la presenta di grand colònn corinzi che dann grand importanza al palazz. In su la part alta del palazz l’è staa sistemaa on “fastigio” compòst da on orelògg con de part dò statov: voeuna l’è ona dòna che l’è dree a dormì e la rappresenta la “nòtt”, l’altra on òmm cont ona man a i oeugg compagn d’ona visiera per paras dal sô ch’el rappresenta el “dì”. El “fastigio” l’è staa giontaa in del 1865. In del palazz l’è restada incorporada la gesètta de Santa Maria As-sunta in Camposanto che l’è del 1696. Per conclud, el dì: “Se troeuvom sòtta l’ora in ari” l’è pròppi come dì: “S’incontrom sòtta l’orelògg del Palazz de la Veneranda Fabbrica del Dòmm”.

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SALUTE A MILANOa cura di Filippo Bianchi

L’occhio opaco di Filippo Bianchi

L’occhio, quel meraviglioso organo di senso che ci permette di vedere, e la cui struttura ha ispirato l’in-venzione e il funzionamento della macchina fotogra-ica, è dotato di due lenti naturali, la cornea (esterna) e il cristallino (interno), che vengono attraversate dalla luce irradiata dagli oggetti per andare a “im-pressionare” la retina, che a sua volta trasmetterà le informazioni al cervello per essere elaborate. Di queste due lenti, quella che si ammala più spesso è il cristallino, e la patologia più frequente è nota con il nome di cataratta, tanto da essere quasi isiologi-ca nella persona anziana. Questa malattia compor-ta una progressiva opacizzazione, ino a una perdita totale di trasparenza, del cristallino, il cui compito è di regolare la messa a fuoco delle immagini sulla retina. Per svolgere adeguatamente tale funzione, il cristallino deve essere trasparente ed elastico, pro-prietà che deriva dalla sua struttura e composizione (essenzialmente acqua e proteine). L’opacizzazione del cristallino è causata nella maggior parte dei casi dall’aggregazione e ossidazione delle proteine del cristallino, un processo che coinvolge tutto l’organi-smo nel normale invecchiamento del corpo. Per que-sto motivo la cataratta è associata, nel 90% dei casi all’invecchiamento ed è pertanto deinita senile. Le cataratte giovanili sono associate a caratteri ereditari oppure a traumi, cure farmacologiche come ad esem-pio terapie a base di cortisone, malattie sistemiche come il diabete; altre cause sono l’esposizione ai raggi solari e il fumo di sigaretta.La cataratta tende a svi-lupparsi in modo graduale: mentre nei primi stadi la malattia non disturba parti-colarmente la vista, col tra-scorrere del tempo - quasi sempre - inizia ad interfe-rire con la visione. Così, in mancanza d’intervento, la cataratta può degenerare ino alla cecità più assoluta. Di norma la cataratta non induce alcun tipo di cam-biamento nell’aspetto dell’occhio: eventuali iniam-mazioni, arrossamenti o aumento della lacrimazione sono da imputare ad altri motivi, e non sono correlate

in alcun modo alla cataratta. Solo quando la catarat-ta diviene “ipermatura”, ovvero il cristallino diven-ta completamente opacato, il paziente può accusare mal di testa e dolore provocati principalmente dalla malattia. Quando l’opacità è tale da ridurre le nor-mali attività lavorative e occupazionali del paziente, non ha oggigiorno alcun senso attendere la completa opacità del cristallino per operare, come era invece indispensabile fare ino a qualche tempo fa. L’inter-vento per la cataratta è un’operazione molto sicura e con ottime probabilità di successo, l’operazione nor-malmente dura meno di un’ora e non provoca quasi nessun dolore o fastidio. Per i pazienti affetti da ca-taratta in entrambi gli occhi il medico non sostituirà entrambii cristallini nel corso dello stesso intervento: il secondo occhio sarà operato solo dopo la completa guarigione del primo. L’intervento per la cataratta di solito viene eseguito in giornata, cioè il paziente non deve essere ricoverato in ospedale; è tuttavia neces-sario che ci sia un accompagnatore per riportare a casa il paziente. L’intervento di solito viene eseguito in anestesia locale: dopo aver praticato una minu-scola incisione nella cornea, il chirurgo rimuove il cristallino (esistono essenzialmente due metodiche, la facoemulsiicazione e l’estrazione extracapsula-re, entrambe con pro e contro). Nella maggior parte dei casi il chirurgo sostituisce il cristallino opacato con una lente intraoculare artiiciale e permanente che non richiede alcuna manutenzione. Dopo l’in-tervento il paziente dovrà instillare quattro volte al giorno delle gocce di collirio antibiotico nell’occhio

operato per almeno due setti-mane, ed è preferibile indossa-re degli occhiali scuri per una settimana a scopo protettivo. Il paziente potrà avvertire per 1 o 2 settimane diversi sintomi del tutto normali che gradualmente spariranno: un lieve fastidio in zona oculare con un certo grado di arrossamento e lacrimazione. Possono comparire sensazioni visive di corpuscoli scuri va-ganti e talvolta la tonalità della luce appare sull’azzurro/verde.

La visione avrà lievi luttuazioni giornaliere a cau-sa di un lieve astigmatismo isiologico che diminui-rà progressivamente permettendo di raggiungere il massimo della capacità visiva.

The False Mirror - René Magritte - 1928

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Continua da pag.10 - Le tre carte del poeta

Chi scrive conclude affermando che si potrebbero sal-tare le regole della metrica, creare versi lunghi come l’Autostrada del Sole, o corti come il pelo di una pul-ce: ma se il testo che si sta elaborando non evidenzia messaggi originali od interessanti, o, comunque il suo contenuto non è in grado di coinvolgere il lettore bisogna mettere il cuore in pace: lo scopo è fallito. Si desidera con i propri componimenti offrire al lettore solo accostamenti di immagini, più che di concetti?

Va bene, ma tali rappresentazioni non devono risul-tare oscure, offuscate, o false; al contrario devono balzare eficaci e il più possibile aderenti alla realtà, pur senza mostrarsi piene di fronzoli e di particolari: il bravo poeta non entra quasi mai nei particolari.Sedetevi dunque al tavolo quando vi sentite pervasi da autentica “ispirazione” (che – si badi bene! – nes-suno ha mai saputo spiegare cosa sia e donde proven-ga) ma se non si avverte il così detto richiamo della Musa, beh forse è bene gettare le proprie scartofie alle ortiche.

Continua da pag.21 - Ciliegia, frutto sim-bolo di cortesia, grazia e modestia.

I penducoli o il picciolo di ogni frutto con due pic-cole ghiandole rosa, può essere utilizzato in infuso o decotto, svolge azione diuretica, attenua gli antie-stetici rigoniamenti provocati dalla cellulite e con-tribuisce ad eliminare gli acidi urici preparando la seguente ricetta: - per il decotto porre 30 gr di penducoli in un litro di acqua bollente per 20 minuti, bere una tazzina mat-tino e sera. Le Ciliegie dette “Perle rosse”, sono coltivate anche a San Colombano al Lambro su 45.000 mq. oltre ai celebri vigneti per la produzione del rinomato vino di San Colombano. Le ciliegie vanno consumate dopo 3 giorni di perma-nenza in frigorifero. Frutto solitamente è consumato fresco, prima però è bene accertarsi che nelle “cerase” non si sia collocato il verme, detto anche “Marito” o Giovannino. I frutti sono anche conservati in barattoli sotto for-ma di marmellata, gelatina e la confezione di liquori come il Rataià che si può produrre artigianalmente seguendo con questo suggerimento.In un recipiente porre a macerare in poca acqua circa 200 grammi di ciliegie schiacciate con il nocciolo, togliendo però il penducolo. Dopo 3-4 giorni aggiun-gere zucchero a piacere e mezzo litro di alcool per liquori. Lasciar fermentare al buio per circa 1 mese. Filtrare il tutto e consumare un bicchierino al dì di questo liquore che risulterà molto dolciastro, ma va-lido come antiartritico, antiuricemico ed antigottoso. Altri liquori prodotti con le ciliegie sono in commer-

cio come il Kirsch, lo Cherry o il Maraschino, vanto della famiglia Luxardo. Girolamo Luxardo con la moglie Maria Canevari iniziò a produrre liquori in casa a Zara con il nome di Rosolio Maraschino. La famiglia si considerava italianissima tanto che la bot-tiglia era verde, il tappo rosso e l’etichetta bianca con la scritta solo in italiano. Gabriele D’Annunzio nel 1907 lo chiamò il “Sangue Morlacco” in onore dei montanari della Dalmazia che nel lontano ’600 difesero i conini della Sere-nissima dai turchi. Ancora oggi la famosa bottiglia rotonda impagliata si trova in commercio con il Ma-raschino Luxardo. In milanes si chiama “scires” sia la pianta che il frut-to e sempre riferendosi a questo frutto vi riporto un paio di proverbi: - I paròll hinn come i scires, dòpo voeuna ne vegnen adree des”! -“Quell lì l’è bon domà de taccà i piccoi ai scires” - riferito a chi simula di lavorare, ma… el fa nagòtt!

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Firifiss

Chiara Guidotti

sculture in terracotta

Amatevi l’un l’altro, ma non trasformate l’amore in un’angusta prigione. Cantate e danzate insieme e siate allegri, ma che ognuno di voi resti solo, come sole sono le corde di un liuto, benché vibrino della stes-sa musica.

Kahlil Gibran

Accade talvolta che una donna nasconda a un uomo tutta la passione che prova per lui, mentre lui, dal canto suo, finge per lei tutta la passione che non sente.

Jean De La Bruyère

Amare significa esporsi al dolore di venir feriti, profondamente feriti, da qualcuno in cui si ha fiducia.

Anonimo

Avrei potuto: non riusciremo mai a comprendere il significato di questa frase. Perché in ogni momento della nostra vita ci sono cose che sarebbero potu-te accadere, ma che alla fine non sono avvenute. Ci sono istanti ma-gici che passano inosservati quan-do, all’improvviso, la mano del destino muta il nostro universo.

Paulo Coelho

Alla fine tutti quanti siamo e re-stiamo soli.

Arthur Schopenhauer

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SCIROEU de MILAN

Come tutti gli anni le immagini delle copertine e della pagina centrale hanno un tema

per il 2015 sarà “Poeti di Lombardia”

In copertina: Ada Negri

Ada Negri Lodi, 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945

Ada Negri è stata una poetessa e scrittrice italiana. È ricor-data inoltre per essere stata la prima e unica donna ad essere ammessa all’Accademia d’Italia.

Il colloquio

Quando ti avrò raggiunto sulla sponda del iume di lucee tu mi chiederai che ho fatto tant’anni senza di te,io ti risponderò: “Ho continuato il colloquio”.Tu riderai per dolcezza tutto il riso de’ tuoi bianchi denti,e cingerai le mie spalle col tuo gesto securo di despota.E lungo i prati di viole che ioriscono solo pei morticontinueremo il colloquio.