Abstracts Convegno CIS 2008 - UniBG · In Monica Barni & Donatella Troncarelli, a cura di, Lessico...

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Raccolta degli Abstracts

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Relazioni ad invito – Abstracts Claudio Baraldi (Università di Modena e Reggio Emilia) Interazione didattica e comunicazione interculturale L’interazione didattica si basa su presupposti locali e di contesto. I presupposti locali, cioè inerenti allo svolgimento hic et nunc dell’interazione, sono dati dai modi in cui si producono la sequenza dei turni e le relazioni tra i turni, e sono stati studiati dalla linguistica applicata e dall’analisi sociologica della conversazione (ad es. Sacks, Schegloff, Heritage, Drew, Jefferson). I presupposti “di contesto” sono invece presupposti culturali, secondo la definizione di John Gumperz, che permettono ai partecipanti di orientarsi ai contenuti e alla relazione tra di essi. Seguendo la teoria del sociologo tedesco Niklas Luhmann, questi presupposti culturali possono essere considerati delle aspettative generalizzate, che riguardano i valori di riferimento (codificazione, secondo Luhmann), le forme dei contributi all’interazione (assunzione di ruoli e espressioni personali), i risultati dell’interazione (conservazione delle aspettative esistenti, cambiamento di aspettative o espressione personale). I presupposti culturali possono essere colti nell’interazione attraverso degli indicatori di contestualizzazione (contextualization cues), come sono definiti da Gumperz. Nelle interazioni didattiche, è possibile osservare i fattori linguistici e culturali prendendo in esame la comunicazione tra docenti e studenti. I fondamenti locali dell’interazione riguardano il modo in cui si sequenziano ed alternano i turni (o le azioni) di docenti e studenti, ad esempio attraverso le tipiche triplette domanda-risposta-feedback valutativo. I presupposti culturali, fissati dalla semantica del sistema educativo, in particolare dalla riflessione della pedagogia e della metodologia della didattica, riguardano il valore ed il significato assegnato all’educazione, il modo in cui vengono interpretati i rispettivi ruoli ed il coinvolgimento delle persone (ad es. negli approcci “centrati sulle persone” che sono spesso consigliati della pedagogia), che determinano la rilevanza di determinate azioni (ad es. insegnare, valutare, rispondere alle domande) e di determinate esperienze (ad es. ascoltare, prestare attenzione), l’apprendimento considerato necessario (aspettative cognitive), il comportamento da tenersi in classe (aspettative normative) ed eventualmente il grado di espressione personale atteso (aspettative affettive, empatia, apprezzamento, “sguardo positivo”). Le strutture locali che regolano la presa e la sequenza dei turni e i presupposti culturali risultano distinguibili soltanto dal punto di vista analitico: nelle pratiche didattiche, possono essere osservati soltanto insieme, ed insieme assegnano un significato comprensibile ed accettabile all’interazione didattica, sia dal punto di vista dei partecipanti, sia da quello del ricercatore (o di qualsiasi altro osservatore). Nelle classi multiculturali, questi aspetti vanno considerati con riferimento ad un problema specifico: la comunicazione interculturale. Si parla di comunicazione interculturale in relazione al fatto che nella comunicazione (quindi nell’interazione didattica) si producono i significati di una diversità di presupposti culturali e quindi è necessario costruire un orientamento comune. Spesso, nelle classi multiculturali, si parte dal presupposto che “esistano” bambini o ragazzi di culture diverse: in realtà l’esistenza di condizioni di diversità culturale è verificabile soltanto nell’interazione, in particolare attraverso l’emergere di conflitti. Nell’interazione, è poi possibile verificare limiti e possibilità del trattamento della diversità culturale e dei conflitti che vi emergono: ad esempio è possibile osservare se si tratta di un trattamento etnocentrico, oppure di una forma di dialogo interculturale. L’analisi attenta della comunicazione nell’interazione didattica è quindi fondamentale per capire (a) se si tratta di comunicazione interculturale che fa emergere una diversità di presupposti e i corrispondenti conflitti e (b) come questa diversità e questi conflitti vengono trattati. Questo tipo di analisi può essere utile agli insegnanti, poiché permette loro di osservare vincoli e possibilità della loro azione e di quella degli studenti. Allo scopo di chiarirne la portata e di renderne evidente l’utilità, sarà presentata una serie di esempi empirici, basati su trascrizioni di interazioni in classe.

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Camilla Bettoni (Università di Verona) Come gestire l’errore grammaticale Non solo ai livelli di competenza linguistica più bassi ma anche a quelli medio-alti, è chiaro che l’insegnante non può rilevare tutti gli errori che riscontra nella produzione degli allievi. Se è lasciato al suo istinto, durante lo scambio comunicativo è facile che l’insegnante tenda a rilevare gli errori abbastanza casualmente, ed è risaputo che questa prassi non produce risultati ottimali in termini di apprendimento, mentre sicuramente provoca frustrazione e forse anche risentimento negli allievi nei confronti sia dell’insegnante sia della lingua. Parlando di grammatica, da una parte la letteratura glottodidattica si è concentrata maggiormente su come trattare gli errori in classe, dall’altra la linguistica acquisizionale è stata maggiormente utile nel suggerire la successione con cui insegnare le strutture linguistiche. In questa relazione cercherò di abbinare le due prospettive disciplinari per mostrare quanto possa risultare efficace selezionare per il trattamento sistematico in classe solo gli errori relativi alle strutture di volta in volta imparabili. E cioè, trattarli uno per volta (onde il singolare nel titolo della relazione, modificando così l’approccio del Focus-on-form di Long 1991; Long e Robinson 1998), nel momento opportuno lungo la sequenza di apprendimento (identificandola in base alla Teoria della processabilità; cfr. Pienamann 1986, 1989, 1998; Pienemann, Di Biase e Kawaguchi 2005 in generale, e Di Biase e Kawaguchi 2003; Bettoni e Di Biase 2005, e in stampa, per l’italiano L2). Dimostrerò che questo abbinamento può funzionare illustrando due esempi molto diversi tra loro: l’acquisizione del plurale dei nomi da parte di bambini apprendenti l’italiano L2 a livello iniziale in contesto L1 (Australia, cfr. Bettoni e Di Biase 2007), e l’acquisizione dell’ordine delle parole da parte di adolescenti a livello avanzato in ambiente L2 (Italia, cfr. Bettoni, Di Biase e Nuzzo, in stampa). Bibliografia Bettoni Camilla, in stampa, Quando e come insegnare grammatica. In Dagli studi sulle sequenze di acquisizione alla classe di italiano L2. Collana CIS, Vol. 5, Perugia, Guerra Edizioni. Bettoni Camilla e Bruno Di Biase, 2005, Sviluppo obbligatorio e progresso morfosintattico: un caso di Processabilità in italiano L2. ITALS. Didattica e linguistica dell’italiano come lingua straniera 2(1), 27-48. Bettoni Camilla e Bruno Di Biase, 2007, Come sviluppare la resa in grammatica del lessico in italiano L2: un esperimento in una scuola primaria di Sydney. Studi di Glottodidattica 2, 82-94. Bettoni Camilla e Bruno Di Biase, in stampa, Lessico verbale e questioni di Processabilità in italiano L2. In Monica Barni & Donatella Troncarelli, a cura di, Lessico e apprendimenti. Milano, Franco Angeli. Bettoni Camilla, Bruno Di Biase e Elena Nuzzo, in stampa, Postverbal subject in Italian L2 – a Processability Theory approach. In Dagmar Keatinge and Jörg-U. Keßler, a cura di, Research in Second Language Acquisition: Empirical Evidence Across Languages. Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing. Di Biase Bruno e Satomi Kawaguchi, 2002, Exploring the typological plausibility of Processability Theory: Language development in Italian second language and Japanese second language. Second Language Research 18, 272-300. Long Michael, 1991, Focus on form: a design feature in language teaching. Pagg. 39-52 in Kees de Bot K., Ralph Ginsberg e Claire Kramsh, a cura di, Foreign language research in cross cultural perspective. Amsterdam, John Benjamins. Long Michael e Peter Robinson, 1998, Focus on form: theory, research and practice. Pagg. 15-41 in Catherine Doughty e Jessica Williams, a cura di, Focus on form in classroom second language acquisition. Cambridge, Cambridge University Press. Pienemann Manfred, 1986, L’effetto dell’insegnamento sugli orientamenti degli apprendenti nell’acquisizione di L2. Pagg. 307-326 in Anna Giacalone Ramat, a cura di, L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua. Bologna, Il Mulino. Pienemann Manfred, 1989, Is language teachable? Psycholinguistic experiments and hypotheses. Applied Linguistics 1, 52-79.

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Pienemann Manfred, 1998, Language Processing and Second Language Development: Processability Theory. Amsterdam, John Benjamins. Pienemann Manfred, Bruno Di Biase e Satomi Kawaguchi, 2005, Extending Processability Theory. Pagg. 199-251 in Manfred Pienemann, a cura di, Cross-Linguistic Aspects of Processability Theory. Amsterdam, John Benjamins.

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Gabriele Kasper (University of Hawai’i at Manoa) Locating cognition in second language interaction and learning: Inside the skull or in public view?

SLA researchers take different positions on how to conceptualize the relation between language, cognition, and social context in L2 learning. The main dividing line in the current debate runs between theories that locate cognition, including language, in the individual mind and those in which cognition is constituted by socio-interactional practices. Ecumenical perspectives are emerging as well, emphasizing that the cognitivist focus on intra-psychological representation and processes remains essential for SLA but needs to be complemented by social, cultural, and situational dimensions of L2 learning. Based on ethnomethodology and conversation analysis, I will develop a view of cognition as an ongoing social process and accomplishment. Orderly, meaningful, coordinated talk requires that participants analyze and monitor their own and their co-participants’ turns on a moment-by-moment basis. When traced back to its source in interaction, it can be shown how socially shared cognition simultaneously enables and is produced by the sequential organization of interaction. I will argue, supported by data from L2 interactions, that the perspective of cognition as a socially shared, situated, contingent, interactionally grounded phenomenon has critical implications for a conversation-analytic approach to L2 learning.

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Bruno Moretti (Università di Berna) La 'riduzione' di una lingua obiettivo, la trasferibilità delle conoscenze relative all'acquisizione delle L2 e il problema della fossilizzazione

In questa relazione verranno presentati i risultati di un progetto sviluppato in Svizzera presso le Università di Berna e della Svizzera italiana (e con la partecipazione dell'Università di Bergamo) che aveva per obiettivo lo sviluppo di un minicorso di italiano, della durata di una settimana (quindi circa 28 ore scolastiche), utilizzabile nella scuola dell'obbligo allo scopo di trasmettere agli allievi delle regioni non italofone competenze comunicative elementari in questa lingua. La ragione di questa operazione va ricercata nel fatto che le riconsiderazione fatte negli ultimi anni in materia di politica delle lingue seconde nelle scuole pubbliche svizzere, unitamente alla diminuzione della presenza di italofoni nei territori non tradizionalmente di lingua italiana (come conseguenza soprattutto dell'integrazione linguistica dei figli degli emigranti italiani arrivati in Svizzera prima degli anni Settanta), hanno indebolito la posizione dell'italiano rispetto ad altre lingue seconde e hanno aumentato la percentuale di quei cittadini elvetici che non hanno, nel corso della loro carriera scolastica, alcun contatto con la nostra lingua. Per questa ragione si è pensato di elaborare una versione molto ridotta di corso di lingua, che avrebbe potuto, nel caso ideale, essere generalizzata a tutti gli allievi delle scuole dell'obbligo. L'obiettivo, oltre a quello già citato di trasmettere competenze rudimentali, poteva essere quello di avvicinare anche da un punto di vista degli atteggiamenti più persone alla lingua italiana e eventualmente aumentare il numero di coloro che seguiranno poi i corsi 'normali' di italiano. Dati i limiti molto ristretti di tempo a disposizione diventa evidente la necessità di sfruttare al massimo tutti gli strumenti possibili per ottenere risultati soddisfacenti. Per esempio, da un punto di vista metodologico, sembrava perciò naturale affidarsi, nella costruzione del curriculum, alle conoscenze acquisite negli studi sull'acquisizione spontanea dell'italiano come L2, sulla base del presupposto che le soluzioni adottate dagli apprendenti spontanei potessero indicare 'percorsi di acquisizione facilitata' anche per altri tipi di apprendenti. In particolare però ci si è dovuti accorgere che, per varie ragioni, questo tipo di operazioni va fatto tenendo conto di vari aspetti che costringono a ricalibrare l'idea di partenza. Nel corso della relazione si presenterà quindi parte delle soluzioni adottate e si discuteranno alcuni problemi fondamentali che operazioni di questo tipo sollevano.

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Gabriele Pallotti (Università di Modena e Reggio Emilia) Interazione e socializzazione nella seconda lingua

La relazione intende presentare la prospettiva della socializzazione linguistica come approccio per comprendere le interazioni nella L2. Dopo avere illustrato il quadro teorico generale, si affronteranno esempi concreti tratti da uno studio longitudinale di apprendimento dell'italiano come L2 da parte di una bambina marocchina. Ci si soffermerà in particolare sulle ripetizioni, mostrando come la loro forma e funzione vari a seconda delle caratteristiche del contesto di interazione. Per quanto riguarda le etero-ripetizioni, esse differiscono sistematicamente a seconda che riguardino parole rivolte all'apprendente o parole rivolte ad altri. Anche le auto-ripetizioni sono sensibili al contesto di partecipazione, tendendo ad aumentare in situazioni comunicative più complesse, dove l'apprendente non è stata selezionata come interlocutrice e deve inserirsi in corsi di interazione già aperti. Questi risultati mostrano come l'acquisizione di una seconda lingua sia un fenomeno allo stesso tempo linguistico e sociale: imparare la L2 comporta anche l’inserimento in una (micro)-cultura, fatta di pratiche, relazioni, situazioni sociali.

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Relazioni selezionate – Abstracts Nicoletta Chiapedi L'insegnamento dell'articolo italiano ad apprendenti sinofoni:i risultati di uno studio sperimentale.

Nel corso della storia della glottodidattica si sono susseguite numerose teorie relative all’insegnamento linguistico; dopo un periodo in cui la necessità dell’istruzione formale in una seconda lingua era stata messa in discussione ed alcuni studiosi, tra cui Krashen (Krashen 1982), avevano auspicato la messa in atto di metodi glottodidattici caratterizzati da quella che Ellis ha definito come la Zero option1 (Ellis R. 1997), la rilevanza dell’insegnamento formale è stata di nuovo sottolineata da alcuni studiosi (Long 1983, 1991) che considerano l’attenzione selettiva alla forma (FonF) come un requisito fondamentale perché abbia luogo l’apprendimento di una seconda lingua. Negli anni Novanta, quindi, la ricerca condotta nel campo della SLA è partita dal presupposto che in classe gli approcci più impliciti (unfocused) fossero fallimentari; essa si è quindi occupata di determinare quale tipo di FFI2 potesse risultare più efficace, per quali strutture tale tipo di istruzione potesse essere considerata utile e quale grado di expliciteness essa dovesse raggiungere: è infatti provato che non tutte le strutture linguistiche vengono apprese nello stesso modo e, di conseguenza, che anche i metodi del loro insegnamento devono variare (Doughty/Williams 1998: 211). Il presente contributo vuole illustrare alcuni dei risultati emersi nel corso di un progetto di ricerca condotto nell’ambito di un dottorato in linguistica svolto presso l’Università per Stranieri di Perugia. Tale progetto si è occupato di analizzare alcuni degli aspetti che caratterizzano il processo di acquisizione dell’articolo italiano in contesto di apprendimento guidato e di mettere a confronto due metodologie glottodidattiche utili per l’insegnamento di questa specifica categoria linguistica che, secondo molti studiosi, difficilmente può essere insegnata (Pica 1985; Doughty/Williams 1998). Lo studio, condotto con due gruppi di apprendenti sinofoni di livello A2 iscritti ai corsi di lingua e cultura italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia, si è occupato di paragonare due metodologie glottodidattiche caratterizzate da focus on form avente gradi di explicitness diversi. Nel corso della ricerca sono stati infatti messi a confronto due diversi tipi di intervento didattico, della durata di cinquanta minuti ciascuno: uno, definito “esplicito” (E), basato su un lavoro di ricerca induttiva della regola da parte degli apprendenti e dalla successiva sistematizzazione della stessa da parte dell’insegnante e uno, denominato “implicito” (I), che è stato progettato tenendo in considerazione la definizione di implicit focus on form fornita dalla letteratura nel campo della SLA (Doughty/Williams 1998: 232). Questo tipo di intervento non prevede in nessun momento della lezione la presentazione esplicita della regola grammaticale, regola che deve quindi essere individuata in modo induttivo dagli apprendenti a partire dall’input significativo fornito durante la lezione. Nel corso di questo trattamento didattico, che ha avuto luogo all’interno del laboratorio linguistico, ha trovato ampio spazio l’utilizzo di tecniche di memorizzazione che, seppur non vengano generalmente utilizzate nell’ambito dei moderni approcci glottodidattici occidentali, rivestono però grande importanza nell’insegnamento delle lingue in Cina (Cortazzi/Jin 1996) e sono quindi state considerate culturalmente familiari per il gruppo di apprendenti oggetto della ricerca. Il confronto tra l’efficacia delle due metodologie adottate ha permesso di ottenere risultati significativi soprattutto per quanto riguarda l’uso dell’articolo in contesti in cui esso precede un aggettivo possessivo seguito da un nome di parentela. I risultati ottenuti dall’analisi dei dati raccolti attraverso un pre-test scritto effettuato prima della realizzazione dell’intervento didattico e attraverso due post-test somministrati agli informanti a distanza rispettivamente di una settimana e due mesi dal termine del trattamento didattico, mettono in evidenza come, per quanto riguarda la categoria d’uso dell’articolo presa in considerazione, l’intervento definito “esplicito” abbia fatto registrare esiti di apprendimento migliori: se infatti prima dell’intervento didattico mirato la maggior parte degli informanti di entrambi i gruppi presi in considerazione tendevano a utilizzare l’articolo anche davanti a possessivi seguiti da

1 Con questo termine si indica l’importanza di attività fondate sul Focus on meaning 2 Focus on Form Instruction

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sostantivi di parentela al singolare, in seguito al lavoro di ricerca della regola gli apprendenti del gruppo E hanno fatto registrare un incremento significativo del numero di occorrenze corrette, incremento evidente soprattutto nel caso di quattro delle interlingue analizzate. Tale incremento non è invece evidente nel caso dell’altro gruppo di apprendenti, che non sono in questo caso riusciti a individuare una regola e a compiere generalizzazioni relativamente al funzionamento dell’articolo; l’analisi delle registrazioni condotte in laboratorio dimostra infatti che l’articolo non sempre è stato percepito in maniera corretta e ciò non ha permesso agli studenti di prestare attenzione al loro utilizzo all’interno del SN. Per quanto riguarda questo specifico contesto d’uso dell’articolo si può quindi affermare che sia risultata più efficace la scelta di utilizzare una metodologia didattica basata su un tipo di focus on form più esplicito; da questi primi dati a disposizione pare invece che un tipo di approccio fondato sulla memorizzazione, seppur per certi aspetti culturalmente più familiare per la tipologia di apprendente che ha partecipato alla ricerca, non sia da considerare efficace per l’insegnamento di questa specifica categoria linguistica.

Bibliografia Coleman H. (ed.), 1996, Society and the Language Classroom, Cambridge University Press, Cambridge. Cortazzi M./L. Jin, 1996b, Cultures of learning: language classrooms in China, in Coleman H. (ed.), 169–206. Doughty C.J./J. Williams (eds.), 1998, Focus on Form in Classroom Second Language Acquisition, Cambridge University Press, Cambridge. Ellis R., 1997b, SLA Research and Language Teaching, Oxford University Press, Oxford. Krashen S., 1982, Principles and Practice in Second Language Acquisition, Pergamon Press, Oxford. Long M.H, 1983, Does second language instruction make a difference? A review of research, TESOL Quarterly, 17 (3), 359-382. Long M.H., 1991, Focus on form: a design feature in language teaching methodology, in De Bot at alii (eds.), 39-52. Pica T., 1985, The selective impact of classroom instruction on second language acquisition, Applied Linguistics, 6 (3), 214-222.

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Federico Farini (Università di Modena e Reggio Emilia) L’impossibile eguaglianza: analisi sociolinguistica del prodursi di selezione sociale nell’interazione educativa Il contributo che si propone affronta un tema trascurato dalla sociologia dell’educazione, ossia quello delle forme in cui la selezione sociale nell’educazione si concretizza a livello delle interazioni educative. Sulla base dell’analisi di interazioni educative videoregistrate, raccolte nell’ambito di una ricerca intitolata “La promozione della mediazione interculturale per il dialogo e la pace: il coinvolgimento di bambini e adolescenti” (Cofin-PRIN 2005), progettata dal Dipartimento di Scienze del Linguaggio e della Cultura presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, si intendono esplorare due versanti della selezione educativa cercando di rispondere a due interrogativi: quando si produce selezione? come la selezione prende empiricamente forma? Entrambi questi interrogativi promuovono un’attenta riflessione sulla relazione tra educatore ed educando in contesti sociali espressamente dedicati alla formazione della personalità. Il primo interrogativo stimola l’esplorazione dei modi in cui gli educatori creano spazi interattivi in cui inserire l’espressione di valutazioni selettive, sfruttando strategicamente la distribuzione delle opportunità di partecipazione, i meccanismi di riparazione, specifiche forme di apertura del turno ed un importante dispositivo retorico, quello delle domande interrogative-negative. Il secondo interrogativo promuove un’analisi delle forme in cui la selezione si materializza nelle interazioni, osservando le azioni di feedback valutativo, le contraddizioni all’azione degli educandi, le comparazioni tra performance di ruolo che si producono nella conversazione. Si ritiene opportuno precisare che cosa si intenda per “selezione”, nel contesto del sistema educativo, dal momento che molte ricerche aventi per oggetto la selezione educativa, soprattutto in ambito sociologico, dedicano scarsa attenzione alla definizione dell’oggetto delle proprie ricerche. Ci si accontenta di definire la selezione educativa come strumento di una selezione sociale prodotta da condizioni di diseguaglianza, per finire con l’auspicarne il superamento, senza però rendersi conto di come la selezione sia una conseguenza, ed un presupposto, dell’educazione stessa. Il comportamento degli insegnanti, infatti, è necessariamente selettivo, perché l’educazione presuppone delle distinzioni quantomeno tra comportamenti corretti o sbagliati, che devono essere concretizzate in rimproveri o elogi, con inevitabili effetti selettivi. A questo proposito possiamo definire l’insegnamento come sistema di interazione di tipo speciale, che comporta l’espressione di cognizione e capacità e che ha una speciale capacità di ottenere prestazioni, basata sulla selezione. Cosa motiva gli educandi ad allinearsi alla comunicazione educativa, se non la selezione? Al di fuori del medium della selezione il singolo atto del giudicare, premiare, respingere non ha significato. Il significato è dato dal fatto che una lode (o biasimo) implica sempre la promessa di altra lode (o biasimo) a fronte della ripetizione dello stesso comportamento. Ogni selezione è elemento di una costruzione autoportante che dà fiducia, credito, reputazione: in questo senso è possibile affermare come qualsiasi selezione sia sempre “duplice”, riferendosi allo stesso tempo a comportamenti passati che vengono valutati, e creando aspettative in base a cui comportamenti futuri saranno valutati. La selezione educativa assume tre forme, differenziate per “raggio di azione” e criteri di giudizio:

1. valutazione interattiva della corrente performance cognitiva, nella forma lode-biasimo; 2. voti, ossia simbolizzazione del medium della selezione utilizzata per rendere

un’interazione specializzata nel produrre valutazione, ad esempio l’interrogazione, riferimento di ulteriori valutazioni;

decisioni che vengono sollecitate dall’organizzazione scolastica e che riguardano la mobilità al suo interno degli educandi. Queste decisioni riguardano promozioni, bocciature, inclusioni in livelli più avanzati dell’organizzazione. Il lavoro che sottoponiamo alla vostra attenzione focalizza la sua analisi sulla forma di selezione più strettamente legata all’interazione educativa, quella della valutazione interattiva della performance cognitiva degli educandi. Il raggio di azione di questa forma di selezione è limitato, in quanto essa funziona in base ad un principio di contiguità, ossia riferendosi al contributo più prossimo nell’interazione. Questa limitatezza, però, è di natura temporale, non sociale: la selezione interattiva non ha effetti meno rilevanti delle selezioni che avvengono all’interno di sistemi di interazione

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specializzati nel produrre valutazioni che devono poi servire come riferimento per ulteriori valutazioni, secondo lo schema peggioramento-miglioramento (ad esempio le interrogazioni, che producono voti). Anche la valutazione che si produce al di fuori di sistemi di interazione specializzati ha effetti selettivi, in primo luogo sul piano della motivazione della partecipazione degli educandi. Anche l’insegnamento “ordinario” incoraggia o disincentiva la partecipazione alla comunicazione educativa, quindi produce selezione rendendo più o meno probabile il successo scolastico degli educandi. Si ritiene opportuno specificare in che modo si può parlare di selezione all’interno di sistemi di interazione educativi non specializzati nel produrre valutazione. Se è vero che le valutazioni che l’insegnante esprime nell’interazione, in forma lodebiasimo, non portano a escludere in modo definitivo i contributi dei bambini, in quanto la selezione opera sul piano della pertinenza del contributo specifico, è altrettanto vero che la struttura del sistema educativo sia ben nota agli educandi e, sebbene la valutazione dell’educatore nello specifico non produca selezioni definitive, nel caso in cui essa si esprima in forma negativa, può essere osservata come infortunio nel percorso della carriera educativa. In questo senso la selezione all’interno dei sistemi di interazione assume un significato che va ben oltre l’effettivo raggio della sua azione. Quando, all’alba della modernità, l’educazione era ancora affare delle famiglie, essa poteva apparire come processo naturale, conseguente alle predisposizioni dei bambini: la natura avrebbe provveduto poi, nella gran parte dei casi, a dirigere queste predisposizioni sui binari suggeriti dalla stratificazione sociale. Si poteva quindi parlare di “selezione naturale”, interpretata come specchio della diversità di rango: ogni ceto doveva avere un’educazione adatta alla sua “natura”. La modernità comporta il cambiamento del modo di intendere la selezione educativa, che non è più demandata alla “naturale predisposizione” degli educandi. E’ il sistema educativo, producendo carriere scolastiche che sono riferimento per valutare il valore della persona nel momento dell’accesso ad altri sistemi sociali, a creare buona parte delle chance di partecipazione sociale per cui esso prepara. La selezione diventa una responsabilità dell’educazione, che non può demandarla all’esterno, e viene esercitata decidendo su elogi e biasimo, voti e pagelle, sulle promozioni e sulle conclusioni della carriera educativa. In quanto la selezione rappresenta una prestazione dell’educazione nei confronti di altri sistemi sociali (carriere professionali) ed appare come componente imprescindibile dell’educazione, si ritiene che un’analisi delle condizioni in cui si produce selezione nella comunicazione educativa, e delle forme che questa interazione assume, rivesta un interesse particolare per un incontro rivolto in primo luogo a raccogliere idee e spunti sulle caratteristiche peculiari dell’interazione didattica. Bibliografia Baraldi, C. 2005. “Forms of communication in multicultural classrooms: A way of exploring dialogue”. In Herrlitz, W., R. Maier (eds). Dialogues in and around multicultural schools. Niemeyer, Tubingen Baraldi, C. (a cura di) 2007. Dialogare in classe. La relazione tra insegnanti e studenti. Donzelli, Roma Christensen. P. , M. O’Brien (eds.). 2003. Children in the Cities. Falmer Press, London Kim, Y.Y. 2001. Becoming intercultural. An integrative theory of communication and cross-cultural adaptation. Sage, London Lawy, R. & G.Biesta. 2006. “Citizenship-as-practice: the educational implications of an inclusive and relational understanding of citizenship”. British Journal of Educational Studies, 54, 1: 34-50 Luhmann, N. 1990. Sistemi Sociali. Il Mulino, Bologna Luhmann, N. 2005. Organizzazione e decisione, Mondadori, Milano Luhmann, N., K.E. Schorr.1999. Il sistema educativo, problemi di riflessività, Armando, Roma Osler, A. 2006. “Multicultural schools and classrooms: using the voices of children and young people to inform policy and practice”, pp.34-48. In: Baraldi, C (ed). Education and intercultural narratives in multicultural classrooms. Officina Edizioni, Roma Qvortrup, L. 2005. “Society’s Educational System. An introduction to Niklas Luhmann’s pedagogical theory”. Seminar. International Journal: 1-18 Vanderstraeten, R. & G.Biesta. 2006. “How is education possible? Pragmatism, communication and the social organisation of education”. British journal of education studies, 54,2: 160-174

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Chiara Ghezzi (Università di Bergamo) Interagire online tra lessico e grammatica

Il presente contributo si propone di presentare i risultati di una sperimentazione che indaga la relazione tra negoziazione di significato in interazioni sincrone online (chat) e tipi di task; in particolare ci si propone di verificare se, e in che modo, il tipo di task, la sua complessità (Robinson, 2001, Ellis, 2001 e Nunan, 2004) e focalizzazione – sulla grammatica o sul lessico - possano determinare differenze nella quantità e nella tipologia delle negoziazioni di significato e conseguentemente avere riflessi sul tipo di noticing (Robinson, 1995 e Schmidt, 1990) che gli apprendenti mettono in atto. La sperimentazione ha riguardato in particolare due gruppi plurilingui di studenti adulti di italiano L2 di diversa competenza linguistica (A2 e B1+) che hanno lavorato in coppia, interagendo online attraverso il software di messaggistica istantanea (MSN Web Messenger) per portare a termine una serie di task comunicativi appartenenti alla stessa tipologia (information gap task - Pica / Kang / Sauro, 2006), ma con focalizzazione diversa (sulla grammatica o sul lessico). I presupposti teorici alla base di questo studio provengono da alcuni assunti dell’ipotesi dell’Interazione (Long, 1996) che ha messo in evidenza i benefici dell’interazione faccia a faccia per l’apprendimento linguistico in contesti “problematici” a livello comunicativo nei quali si verifichino, appunto, negoziazioni di significato. Tali contesti, attraverso una focalizzazione sulla forma linguistica, risultano particolarmente adatti (Pica, 1994, Long, 1996, e Gass 1997) allo sviluppo dell’interlingua poiché forniscono all’apprendente l’accesso a un input più comprensibile, perché modificato sia linguisticamente che internazionalmente; parallelamente, forniscono le condizioni per negoziare su aspetti formali della lingua (a livello lessicale, semantico e morfo-sintattico) in contesti in cui l’obiettivo primario è sulla creazione di significato, rendendo quindi più probabili processi di attenzione selettiva a livello formale (noticing) e favorendo fenomeni di pushed output che contribuiscono all’aumento del controllo sulle strutture linguistiche già interiorizzate e all’uso di nuove strutture linguistiche non ancora interiorizzate (Gass / Varonis, 1994 e Swain / Lapkin, 1995) e che si traducono in ultima istanza in interventi di ristrutturazione progressiva dell’interlingua dell’apprendente. Diversi studi (Blake, 2000, Salaberry, 2000, Pellettieri, 2000, Smith, 2003 e Lai / Zhao, 2006) hanno evidenziato le similarità tra interazioni sincrone online (chat) e in presenza, dimostrando che anche in un contesto mediato da computer (CMC) si sviluppano negoziazioni di significato simili a quelle indagate per le interazioni in presenza. Questa sperimentazione si propone quindi primariamente di sottolineare come il contesto di interazione sincrona online (chat) possa costituire uno strumento didattico privilegiato in grado di fornire molti dei benefici ascritti all’ipotesi dell’Interazione perché permette agli apprendenti di negoziare significato in una modalità che, a differenza dell’interazione orale faccia a faccia, fornisce un tempo maggiore per il monitoraggio della forma e per la processazione linguistica. Secondariamente ci si propone di indagare se la pianificazione del task (anche rispetto alla complessità cognitiva) da parte dell’insegnante possa rappresentare una variabile nel determinare la quantità e il tipo di negoziazioni che si verificano online. Da alcuni studi sull’interazione online (Blake, 2000, Pellettieri, 2000 e Smith, 2003) è emerso infatti che la maggior parte delle negoziazioni in questo specifico contesto riguardano item di tipo lessicale, o, più in generale, richieste di chiarificazione del contenuto generale dell’enunciato, mentre rimangono nell’ombra negoziazioni di tipo grammaticale, presumibilmente perché meno “salienti” a livello comunicativo. Per verificare questa variabile sono stati utilizzati information gap task già sperimentati in contesti di interazione faccia a faccia (Pica / Kang / Sauro, 2006) pianificati in modo da elicitare negli apprendenti l’uso di differenti e specifiche caratteristiche linguistiche (di tipo lessicale o grammaticale).

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Bibliografia Blake, R., 2000, “Computer Mediated Communication: A Window on Spanish L2 Interlanguage”, Language Learning and Technology 4.1, pp. 120-136. Ellis, R., 2003, Task-based Language Learning and Teaching, Oxford, OUP. Gass, S.M. / Varonis, E.M., 1994, “Input, interaction, and second language production”, Studies in Second Language Acquisition, 16, pp. 283-302. Gass, S.M., 1997, Input, interaction, and the second language learner, Hillsdale, Erlbaum. Lai, C. / Zhao, Y., 2006, “Noticing and Text-Based Chat”, Language Learning and Technology 10.3, pp. 102-120. Long, M. / Robinson, P., 1998, “Focus on Form: theory, research, and practice”, in Doughty, C. / Williams, J. Focus on Form in Classroom Second Language Acquisition, Cambridge, CUP, pp. 15-41. Long, M. H., 1996, “The role of linguistic environment in second language acquisition”, in Richie, W.C. / Bhatia T.K. (eds.) Handbook of Second Language Acquisition, pp. 413-468. Nunan, D., 2004, Task-based Language Teaching, Cambridge, CUP. Orletti, F., 2004, Scrittura e nuovi media, Roma, Carocci. Pellettieri, J., 2000, “Negotiation in cyberspace”, in Warschauer, M. / Kern, R. Network-based Language Teaching, Cambridge, CUP, pp. 59-86. Pica, T. / Kanagy, R. / Falodun, J., 1993, “Choosing and using communication tasks for second language instruction”, in Crookes, G. / Gass, S. (eds.) Tasks and Language Learning: Integrating Theory and Practice, vol. 1, Clevedon, Multilingual Matters. Pica, T. / Kang, H-S / Sauro, S., 2006, “Information Gap tasks. Their Multiple Roles and Contributions to Interaction Research Methodology”, Studies in Second language Acquisition 28, pp. 301-338. Pica, T., 1994, “Research on negotiation: What does it reveal about second-language learning conditions, processes, and outcomes?, Language Learning 44, pp. 493-527. Robinson, P., 1995, “Attention, Memory and the Noticing Hypothesis”, Language Learning, 45.2, pp. 283-331. Robinson, P. 2001, “Task Complexity, Task Difficulty, and Task Production: Exploring Interactions in a Componential Framework”, Applied Linguistics 22/1, pp. 27-57. Salaberry, M.R., 2000, “L2 Morphosyntactic Development in Text-Based Computer-Mediated Communication” Computer Assisted Language Learning 13.1, pp. 5-27. Schmidt, R.W., 1990, “The role of consciousness in second language learning”, Applied Linguistics, 11, pp. 129-158. Smith, B., 2003, “Computer-mediated negotiated interaction and lexical acquisition”, Studies in Second Language Acquisition 26, pp. 365-398. Swain, M. / Lapkin, S., 1995, “Problems in output and cognitive processes they generate: A step towards second language learning”, Applied Linguistics, 16, pp. 371-391. Werry, C., 1996, “Linguistic and interactional features of Internet Relay Chat”, in Herring, S. (ed.) Computer-mediated communication: Linguistic, social and cross-cultural perspectives, Amsterdam, Benjamins, pp. 47-63. Yates, S.J., 1996, “Oral and written linguistic aspects of computer conferencing: A corpus-based study”, in Herring, S. (ed.) Computer-mediated communication: Linguistic, social and cross-cultural perspectives, Amsterdam, Benjamins, pp. 29-49.

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Silvia Gilardoni (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Il lessico nell’interazione didattica: capire e parlare in italiano L2

Il lessico costituisce molto spesso uno dei problemi centrali nella comunicazione in L2, sia a livello ricettivo, quando nel discorso sono proposte parole o combinazioni di parole non note all’apprendente, sia a livello produttivo, quando una lacuna lessicale crea un impedimento nell’elaborazione del messaggio. Nei problemi di comprensione e produzione lessicale risulta estremamente rilevante la modalità di gestione dell’interazione didattica, non solo per la risoluzione delle difficoltà comunicative, ma anche nella prospettiva dell’apprendimento linguistico. Il ruolo dell’interazione nello sviluppo dell’apprendimento del lessico emerge all’interno di una concezione dinamica, variazionale e discorsiva del lessico e della competenza lessicale. La competenza lessicale, che comprende la memoria delle unità lessicali e un insieme di regole di combinazione e di generazione del lessico, può essere intesa come un sapere caratterizzato da una certa instabilità, determinata da fattori quali le differenze sociali, le divergenze nella formazione linguistica e culturale delle persone, la capacità limitata di memorizzazione, la creatività umana, ecc.; l’interazione verbale diventa così il luogo in cui gli interlocutori controllano, aggiustano e verificano la loro percezione della realtà e il rapporto con essa, costruendo e ricostruendo nel discorso le unità che compongono la memoria lessicale. Nell’interazione si svolge un lavoro di intercomprensione, che viene realizzato in comune dai parlanti nell’ambito di una negoziazione finalizzata a raggiungere un accordo sugli obiettivi comunicativi, le procedure, le relazioni e il senso stesso della comunicazione. Nel caso specifico della comunicazione esolingue, quando gli apprendenti incontrano una lacuna lessicale o devono affrontare l’opacità totale o parziale di determinate unità lessicali, si generano operazioni discorsive di “lavoro” sul lessico, costituite da attività cooperative di costruzione, negoziazione e verifica delle ipotesi lessicali. Le sequenze interazionali di lavoro lessicale, nella misura in cui rispondono a un bisogno comunicativo, attirano l’attenzione dell’apprendente creando delle attese; riteniamo pertanto che rappresentino delle sequenze potenzialmente acquisizionali, ossia delle circostanze conversazionali particolarmente favorevoli per l’acquisizione della L2, in quanto possono contribuire a facilitare l’integrazione di elementi lessicali nell’interlingua. Con il presente contributo intendiamo analizzare le modalità di trattamento del lessico nell’interazione didattica in italiano L2, mettendo a fuoco in particolare le caratteristiche delle sequenze di negoziazione interattiva dell’informazione lessicale e le strategie interazionali legate alla facilitazione della comprensione e produzione lessicale. L’analisi si basa su una selezione illustrativa ed esemplificativa di sequenze interazionali tratte da un corpus di interazioni didattiche raccolte in diversi contesti di insegnamento di italiano L2 per apprendenti adulti in Italia e all’estero. La ricerca presenta dunque un obiettivo di natura principalmente descrittiva; ad esso si affianca però anche l’intenzione di pervenire a una valutazione dal punto di vista glottodidattico delle diverse modalità di gestione del lessico nell’interazione, così da offrire suggerimenti metodologici e operativi per la pratica didattica.

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Roberta Grassi /Cristina Mangiarini (Università degli Studi di Bergamo) Quale feedback per quale competenza. Una sperimentazione autoriflessiva sull’efficacia – e l’accettabilità – del controllo sul feedback in ambito di Focus on Form comunicativo. Dopo decenni di studi dedicati alle modifiche dell’input più funzionali all’apprendimento di L2 (cfr. sintesi in Long 1996), buona parte dell’attenzione nel filone ‘interazionalista’ della SLA research si concentra attualmente (Mackey / Gass 2006, Mackey 2006) sull’identificazione del tipo di feedback più utile per lo sviluppo della competenza in L2. Rispetto a tale tema appare oggi nettamente delineata la contrapposizione tra due scuole di pensiero, entrambe difese da eminenti studiosi: da una parte si ritiene il feedback implicito, nello specifico il recast, come massimamente adatto a realizzare il desiderato focus on form, momentaneo e mirato su uno sfondo interazionale ininterrottamente comunicativo (Long 2006); dall’altra, criticando a partire dalla sua implicitezza la potenziale ambiguità del recast (Mackey / Gass / McDonough 2000, Lyster 2004 tra altri), si ritiene che l’informazione metalinguistica correttiva esplicitamente fornita rappresenti l’opzione più utile per ottenere dall’apprendente il noticing necessario per una potenziale elaborazione interna della forma in oggetto (Ellis / Loewen / Erlam 2006). Prendendo spunto proprio dall’accurata sperimentazione in Ellis et al. 2006, la cui caratteristica a nostro avviso di maggiore interesse consiste nell’aver cercato di confrontare gli effetti dell’una e dell’altra tipologia di feedback sull’apprendimento e sulla competenza rispettivamente implicita ed esplicita (N. Ellis 1994, DeKeyser 2003), si è replicato tale studio in una classe di apprendenti adulti di italiano L2 di livello intermedio (QCER: B1) apportando però al suo impianto almeno una modifica che riteniamo significativa: grazie all’analisi in atti si sono più opportunamente bilanciate le caratteristiche qualitative e quantitative delle due mosse di feedback messe a confronto, così rendendo la presenza o meno di informazione metalinguistica effettivamente l’unico elemento discriminante tra le due forme di evidenza negativa offerte. Si sono in tal modo realizzate le condizioni per verificare se da tale presenza o assenza, e non da altro, dipendano o meno un maggiore apprendimento implicito e/o esplicito, separatamente testati sia nell’immediato che in differita con batterie di test mirati rispettivamente sull’output orale non monitorato, sull’output scritto monitorato e sulla competenza metalinguistica esplicitamente dichiarativa. A partire da pretest e questionari si è diviso il gruppo classe, composto in parte da soggetti con un pregresso di prevalente istruzione formale e in parte da soggetti con scarsa o nulla istruzione formale pregressa in italiano L2, in due sottogruppi tra loro raffrontabili rispetto a due variabili: il grado di competenza e l’addestramento/propensione alla riflessione metalinguistica esplicita e “tecnica”. Un terzo nucleo di soggetti, appartenenti alla stessa classe ma non sottoposti al trattamento, ha invece costituito il gruppo di controllo. Le forme messe sotto esame sono i pronomi clitici diretti ed indiretti di terza persona, scelti per la ‘felice’ combinazione di bassa salienza percettiva ed elevata complessità morfosintattica intrinseca che li caratterizza e li rende, oltre che difficilmente acquisibili compiutamente in contesto naturale (Berretta 1986, Giacalone Ramat, 2003) anche, almeno secondo la letteratura interazionalista, forme particolarmente adatte ad un proficuo focus on form (FoF) (Doughty / Williams 1998). Su un piano diverso, il monitoraggio di tutte le fasi di ideazione ed implementazione della sperimentazione ha poi fornito serie di spunti di riflessione ulteriori, forse collaterali rispetto all’obiettivo principale sopra descritto, ma centrali per le loro implicazioni glottodidattiche. Tali spunti riguardano, oltre agli ovvii – ed insormontabili – problemi nella creazione di task comunicativi in cui l’uso dei pronomi non fosse in definitiva evitabile, anche le difficoltà legate all’impostazione e al mantenimento di uno sfondo comunicativo – essenziale nel FoF – sul quale poter tuttavia esercitare un controllo del feedback che la stessa letteratura vuole altrettanto imprescindibilmente pieno. Infine, il monitoraggio delle percezioni e reazioni psico-affettive dei soggetti coinvolti – apprendenti ed insegnanti – , raccolte attraverso elicitazioni di stimulated recall (Faerch / Kasper 1987, Gass / Mackey 2000) ed incrociate, nel caso degli apprendenti, con le aspettative e le esperienze formative pregresse hanno pure fornito spunti che riteniamo non privi di interesse, specificamente in relazione alla discussione in atto circa l’effettiva pianificabilità dei task (e di lì all’opportunità di proseguire nella ricerca dei criteri per un sillabo procedurale o per task; cfr. Long 2006b) nonché l’applicabilità degli stessi task quali strumenti utili contemporaneamente sia all’azione che alla sperimentazione didattica

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(Ellis 2000, Seedhouse 2005, Gass / Mackey / Ross-Feldman 2005, Pica / Shannon / Sauro 2006), con vantaggi per entrambe. Bibliografia Berretta, Monica, 1986, “Per uno studio sull’apprendimento dell’italiano in contesto naturale: il caso dei pronomi personali atoni”. In Anna Giacalone Ramat (a c. di), L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua, Bologna, Il Mulino, 329-352. DeKeyser, Robert M., 2003, Implicit and explicit learning. In Catherine Doughty / Michael H. Long (eds.), The handbook of second language acquisition. Oxford, Blackwell, 313-348. Doughty, Catherine / Williams, Jessica, 1998, Focus on form in classroom L2 acquisition. NY: Cambridge University Press. Ellis, Nick, 1994, Implicit and explicit learning of languages. San Diego, CA, Academic Press. Ellis, Rod / Loewen, Shawn / Erlam, Rosemary, 2006, Implicit and Explicit Corrective Feedback and the Acquisition of L2 Grammar. Studies in Second Language Acquisition, 28, 339-368. Ellis, Rod, 2000, Task-based research and language pedagogy. Language Teaching Research 4,3, 193-220. Færch, Claus / Kasper, Gabriele, (Eds.), 1987, Introspection in second language research. Clevedon, Multilingual Matters. Gass, Susan M. / Mackey, Alison, 2000, Stimulated recall methodology in Second Language Research. NJ, Mahawah-London, L. Erlbaum Associates. Gass, Susan M. / Mackey, Alison / Ross-Feldman, Laureen, 2005, Task-based interactions in classrooms and laboratory settings. Language Learning 55, 4, 575-611. Giacalone Ramat, Anna (a c. di), 2003, Verso l’italiano. Roma, Carocci. Long, Michael H., 1996, The role of linguistic environment in second language acquisition. In William C. Ritchie / Tej K. Bhatia, (eds), Handbook of second language acquisition. New York, Academic Press, 413–468. Long, Michael H., 2006, Recasts: the story so far. In Michael H. Long, Problems in SLA. Lawrence Erlbaum Associates, Mahawah, N.J., 75-116. Long, Michael H., 2006b, Texts, Tasks, and the advanced learner. In Michael H. Long, Problems in SLA. Lawrence Erlbaum Associates, Mahawah, N.J., 119-135. Lyster, Roy, 2004, Differential effects of prompts and recasts in form-focused instruction. Studies in Second Language Acquisition 26, 399-432. Mackey, Alison, 2006, Epilogue. From Introspections, Brain Scans, and Memory Tests to the Role of Social Context: Advancing Research on Interaction and Learning. Studies in Second Language Acquisition 28: 369–379. Mackey, Alison / Gass, Susan, 2006, Pushing the methodological boundaries in interaction research: An introduction to the special issue. Studies in Second Language Acquisition 28: 169–78. Mackey, Alison / Gass, Susan / McDonough, Kim, 2000, How do learners perceive interactional feedback? Studies in Second Language Acquisition 22, 471-497. Pica, Teresa / Kang, Hyun-Sook / Sauro, Shannon, 2006, Information Gap Tasks: their multiple roles and contributions to interaction research methodology. Studies in Second Language Acquisition 28, 301-338. Seedhouse, Paul, 2005, “Task” as research construct. Language Learning 55, 3, 533-570.

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Massimo Palermo / Donatella Troncarelli / Emilia Petrocelli (Università per Stranieri di Siena) Le ricadute dell’input sull’output: aspetti della coesione nei libri di testo e nelle produzioni di apprendenti di Italiano L2 e L1 La proposta di contributo nasce da uno studio dedicato all’analisi delle modalità in cui le produzioni di studenti di italiano L2 e L1 di scuola superiore si correlano all’input dei libri di testo al fine di approfondire l’analisi dei processi di acquisizione della lingua italiana da parte di stranieri. In particolare, l’interesse è quello di osservare il grado di ricettività di caratteristiche linguistiche dell’input, quali l’impiego della connessione e della nominalizzazione, confrontando l’esecuzione degli apprendenti stranieri con quella del gruppo di controllo costituito dai compagni italiani, allo stesso livello di sviluppo cognitivo. Si è scelto di analizzare testi espositivi sia nell’input dei libri di testo che nell’output in italiano L1 ed L2, perché in ambito scolastico l’apprendente è ampiamente esposto a tale tipo testuale che, per i suoi tratti caratterizzanti, lo induce a riflettere sull’organizzazione dei concetti e sulla modalità in cui sono espressi a livello linguistico i legami di coerenza alla base del testo. Stretta è, dunque, la correlazione che si stabilisce, a livello contenutistico e linguistico, tra input ed output attraverso la fruizione del testo espositivo, che si ritiene, pertanto, un campo d’indagine privilegiato. Un corpus costituito da parti di testi espositivi, relativi a discipline scientifiche, tratti da manuali di studio in uso nella scuola secondaria di secondo grado, sono confrontati con i dati di due corpora che comprendono le produzioni scritte degli studenti. Il primo corpus (Corpus Italiano L2) è composto da testi prodotti nell’arco di nove mesi da alunni stranieri di aree geolinguistiche diverse ed è analizzato trasversalmente in questo studio. Il secondo (Corpus Italiano L1) comprende invece le produzioni di coetanei italiani, della stessa scuola, realizzate sulla base del medesimo compito comunicativo assegnato ai ragazzi stranieri. Conformemente alle linee di tendenza dell’italiano contemporaneo, in tutti i corpora si registra globalmente un uso esteso di connettivi polifunzionali e di alta frequenza d’uso. Questi sono usati in una gamma più variegata di soluzioni semantiche sia nei manuali di studio che, pur se in forma minore, nel Corpus Italiano L1. Oltre al dato atteso relativo al largo impiego dell’ipotassi nei manuali di testo, tra i connettivi semantici si rileva un uso dei subordinativi rispetto ai coordinativi più significativo nel Corpus Italiano L1 che in quello di Italiano L2. Gli alunni madrelingua sembrerebbero dunque far leva su gerarchie testuali ipotattiche in modo maggiore rispetto ai migranti. Per quanto concerne i connettivi testuali, nei libri di testo occorrono connettivi maggiormente condivisi da una consuetudine d’uso mentre, nel caso degli altri due corpora, le scelte sembrano esser dettate anche dalla percezione linguistica degli apprendenti, che mostrano di operare con creatività nei confronti di tale categoria di connessione. In entrambi i corpora Italiano L2 ed Italiano L1, si registra un uso spiccato di forme di connessione tipiche dell’articolazione del testo espositivo per fini didattici e non emergono significative differenze quantitative nell’uso dei connettivi testuali. Globalmente, tra gli apprendenti in contesto didattico di italiano L2 ed L1 si riscontrano alcune divergenze nella gamma dei connettivi utilizzati. Gli allievi di madrelingua italiana tendono ad usare forme più marcate su un registro alto e su criteri di specialità del discorso. Ciò testimonia che questa fascia d’informanti fa leva su un maggior ventaglio di forme per esprimere i complessi significati delle scienze. Nel Corpus Italiano L2 emerge, di contro, una minor padronanza degli usi linguistici attraverso l’utilizzo talvolta di mezzi di connessione mutuati dall’oralità o non appropriati al registro formale della comunicazione didattica. Nel Corpus Italiano L1 tale fenomeno, pur presente, è raro e si verifica quasi esclusivamente con il più lieve uso del ‘che’ polivalente, marca di italiano informale/trascurato. Oltre ai connettivi, si analizza un altro procedimento sintattico tipico dei libri di testo e, più in generale, dei linguaggi settoriali e specialistici: la nominalizzazione. Nei linguaggi delle discipline emerge l’uso frequente di sostantivi astratti, verbi sostantivati, participi con valore nominale in luogo della predicazione con verbo esplicito. Alla più articolata struttura ipotattica, dunque, si preferisce spesso una strutturazione testuale più sintetica. Il ricorso a costruzioni nominali sembra essere più frequente negli studenti italiani rispetto agli stranieri, che mostrano di essere in una fase interlinguistica di elaborazione del fenomeno della subordinazione e della strutturazione testuale attraverso la predicazione con il verbo esplicito. Ciò porta a considerare la

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nominalizzazione una tappa del percorso interlinguistico successivo all’acquisizione dell’ipotassi e tipico dell’apprendimento dell’Italiano L2 in un contesto formale come quello scolastico.

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Bibliografia

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Fabiana Rosi (Università di Pavia) Il ruolo dell’insegnamento nell’emergere della competenza metalinguistica

La nostra ricerca mette a confronto le riflessioni metalinguistiche prodotte da due campioni di apprendenti di italiano L2, studenti di corsi intensivi di lingua e studenti Socrates-Erasmus, al fine di analizzare il ruolo dell’insegnamento nella rappresentazione dei meccanismi interni al sistema linguistico della L2 da parte degli apprendenti. Recenti studi (Robinson, 1996; Leow, 2000) hanno dimostrato l’utilità di raccogliere informazioni metalinguistiche per comprendere i processi cognitivi di elaborazione dell’input e di associazione forma-funzione negli apprendenti di una seconda lingua. La riflessione metalinguistica permette, infatti, di individuare “gli apparati di riconoscimento delle strutture linguistiche e di controllo delle regole” (Vedovelli, 1990: 187), mettendo in luce la consapevolezza da parte del soggetto della propria conoscenza ed uso della lingua. La consapevolezza linguistica è centrale nell’ipotesi del noticing e dell’understanding (Schmidt, 1990), secondo cui l’acquisizione avviene in diverse fasi: nella prima l’apprendente pone attenzione all’input e individua l’elemento attraverso l’esperienza consapevole, istantanea e soggettiva del noticing; nella seconda cerca di comprenderne la funzione, analizzando l’elemento e confrontando i vari contesti in cui ha notato lo stesso elemento. Nell’ambito di questo quadro di riferimento si confrontano i giudizi metalinguistici elicitati da 24 studenti Erasmus presso l’Università di Pisa, di madre lingua spagnola e tedesca, e da 12 anglofoni nativi iscritti ai corsi di lingua italiana dell’Università per Stranieri di Perugia. I due campioni sono comparabili per il livello linguistico (intermedio-avanzato) e in quanto costituiscono due casi di apprendimento misto, giacché sono esposti sia all’input strutturato delle lezioni di lingua italiana sia all’input naturale delle interazioni con la società italofona circostante, sebbene in misura differente. Interessante è il confronto fra due contesti di apprendimento simili ma distinti per quanto riguarda il contesto dell’istruzione, l’input ricevuto, le interazioni linguistiche con i parlanti nativi (Ellis 1990). Gli studenti Erasmus hanno studiato la lingua italiana solo nella fase iniziale del loro soggiorno a Pisa e l’apprendimento è progredito grazie alle interazioni con la realtà sociale italiana e nelle attività accademiche, mentre per gli studenti dell’Università per Stranieri il principale contatto con la lingua italiana è in classe, poiché il corso copre la maggior parte delle ore della giornata e le interazioni più frequenti avvengono con gli altri studenti stranieri, compagni dei corsi di lingua. Queste divergenze nei percorsi acquisizionali implicano un diverso approccio all’Italiano, in cui la competenza metalinguistica si sviluppa con tempi e modalità differenti. I dati sono stati elicitati per mezzo di un protocollo retrospettivo di correzione di un esercizio scritto. Il test è stato somministrato anche a 12 studenti universitari italofoni nativi, come gruppo di controllo. Nel protocollo retrospettivo, i partecipanti, dopo aver compilato un clozetask in cui occorreva inserire la corretta forma di passato per i verbi proposti all’infinito, sono stati esortati a riflettere sulle selezioni verbali operate e a darne una motivazione. Si tratta di un task di Stimulated Recall, una metodologia introspettiva mirata a far emergere le strategie mentali seguite nella risoluzione di un esercizio linguistico. Come oggetto dell’esercizio si è scelta la morfologia tempo-aspettuale del verbo in modo da indagare lo sviluppo di un compito complesso dell’italiano L2 (Collins 2005) e trattato ampiamente nei corsi di lingua. Negli studenti dei corsi intensivi le interazioni con gli insegnanti, le spiegazioni, gli esercizi svolti individualmente e le altre componenti dell’input scolastico ricoprono una grande importanza nel processo di costruzione di una rappresentazione del sistema linguistico della L2. Di fronte alla richiesta di motivare le proprie scelte, gli apprendenti, infatti, tendono a riferire le definizioni date dai manuali, le formule ascoltate in classe, riproducendo non solo le parole ma anche la gestualità degli insegnanti (Sime 2006), e fanno poco riferimento all’input extrascolastico. Gli studenti Erasmus, invece, non si dimostrano consapevoli delle ragioni linguistiche per la scelta della forma verbale, bensì prestano attenzione a fattori come la frequenza delle forme nella produzione dei parlanti nativi di Italiano. Molti dichiarano di selezionare l’elemento che suona loro come più naturale, che hanno sentito più spesso nei discorsi degli italofoni, a differenza degli studenti più guidati, che conoscono i contesti d’uso corretti per le diverse forme verbali e sanno individuare i tratti linguistici

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pertinenti, come la presenza di avverbi, la natura semantica del predicato, la funzione discorsiva. Gli studenti meno guidati, quando tentano di descrivere le funzioni delle forme di passato prodotte, usano una gran varietà di definizioni e di aggettivi, dal momento che non riescono a riferirsi ai concetti di “compiutezza” o “abitualità”, e risultano più vaghi e creativi nella rielaborazione dell’input fuori della classe. Il ricorso alla madrelingua è maggiore negli studenti Erasmus, che hanno meno consapevolezza delle regole d’uso delle forme della L2 e mettono più spesso in relazione il sistema linguistico da apprendere e la propria L1, di cui non hanno una competenza metalinguistica attiva. Da un lato, gli ispanofoni percepiscono la stretta somiglianza fra la L1 e la L2 ma questo non facilita la loro spiegazione del task svolto, dall’altro, i tedescofoni creano dei parallelismi inesistenti fra la funzione delle forme di passato in italiano e in tedesco. La scarsa competenza metalinguistica sulla propria madrelingua emerge anche nel campione di italofoni nativi, che mostra di conoscere le distinzioni semantiche fra le forme verbali italiane di passato molto meno degli apprendenti semiguidati, i quali ricevono un insegnamento esplicito sulla struttura della L2 e sono in grado di rivolgere un’attenzione metalinguistica sia alla lingua che stanno imparando sia alla lingua materna.

Bibliografia

Collins, L. (2005), “Accessing Second Language Learners’ Understanding of Temporal Morphology”. Language Awareness 14, 4:207-220. Ellis, R., (1990), Instructed Second Language Acquisition, Oxford, Blackwell. Leow, R.P. (2000), “A study of the role of awareness in foreign language behaviour: aware versus unaware learners”. Studies in Second Language Acquisition 22:557-584. Robinson, P. (1996), “Learning simple and complex second language rules in implicit, incidental, rule-search and instructed conditions”. Studies in Second Language Acquisition 18: 27-67. Schmidt, R. (1990), “The role of consciousness in second language learning”. Applied Linguistics 11:129-158. Sime, D. (2006), “What do learners make of teachers’ gestures in the language classroom?”. International Review of Applied Linguistics 44: 211-230. Vedovelli, M. (1990), “Competenza metalinguistica e formazione del sistema temporale dell’italiano L2”. In Bernini, G. & Giacalone Ramat, A. (eds.), La temporalità nell’acquisizione di lingue seconde, Franco Angeli, Milano: 177-198.

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Ineke Vedder (Università di Amsterdam) Scrittura collettiva e noticing: gli effetti dell’interazione sull’acquisizione della grammatica in L2

Questa relazione riporta i risultati e le implicazioni di un’analisi degli effetti dell’interazione sull’acquisizione, da parte di un gruppo di apprendenti di italiano e di inglese, impegnati in un task di scrittura collettiva. Lo studio è basato sugli assunti della ‘Interaction Hypothesis’ (Gass & Mackey 2007, Mackey 2006, 2007; Gass, 1997, 2003; Long, 1996; Pica 2006) e la ‘Output Hypothesis’ (Swain 1995, 2005). La presentazione focalizza sugli effetti della negoziazione del significato sull’acquisizione della grammatica in L2 e le caratteristiche del processo di noticing degli apprendenti. I benefici dell’interazione e le sue ricadute sull’apprendimento linguistico sono stati ampiamente discussi nella letteratura (Bygate, Skehan & Swain 2001; Swain & Lapkin 2001). Come postulato da studiosi quali Long (1996), Gass (1997), Pica, Kang & Sauro (2006) e Schmidt (1990, 1995), soprattutto i task del tipo information-gap, che prevedono che gli apprendenti vengano stimolati a mettere a confronto le proprie opnioni, attirano l’attenzione sulle caratteristiche salienti della L2. La ‘Output Hypothesis’ di Swain ipotizza inoltre che la produzione della L2 in un contesto comunicativo possa condurre gli apprendenti a notare la discrepanza tra l’input e il proprio sistema linguistico, promovendo così la formazione di ipotesi sulla L2 (Swain 1995, 1998, 2005). Nonostante questi vantaggi, i risultati emersi dai vari studi che analizzano gli effetti dell’interazione sull’acquisizione non sono sempre univoci. Non è chiaro, per esempio, quali siano le aree linguistiche maggiormente influenzate dall’interazione e quale sia il peso dei vari fattori interni e esterni che determinano l’incorporazione di determinate forme linguistiche da parte dell’apprendente. Questo vale anche per gli influssi sulla performance dell’interazione, in relazione agli effetti della complessità del task (Gilabert, Barón, Llanes, in stampa; Michel, Kuiken & Vedder 2007). Lo studio di cui presenterò i risultati è stato condotto tra un gruppo di 25 studenti universitari di italiano e 34 studenti di inglese, tutti di madrelingua olandese, con un livello di padronanza intermedio e avanzato. Ai partecipanti è stata somministrata una prova di scrittura collettiva (dictoglos; cfr. Wajnryb 1990), consistente nella ricostruzione e la co-produzione in piccoli gruppi di un testo, letto dall’insegnante. L’ipotesi sottostante alla procedura dictoglos è che nella fase della scrittura collettiva vengano attivate le risorse cognitive degli studenti. Basandosi sulle conoscenze linguistiche e enciclopediche reciproche, gli apprendenti, per poter ricostruire il contenuto del testo, discutono contemporaneamente questioni grammaticali, lessicali, pragma-retoriche e ortografiche. Molto importanti a questo riguardo sono i ‘Language Related Episodes’ (LRE), discussi da Swain (2001), nei quali l’attenzione degli apprendenti, che sono impegnati a risolvere un problema comunicativo (i.e. la ricostruzione del testo), è indirizzata verso gli aspetti formali della L2 (Kuiken & Vedder 2002a, 2002b, 2005). Nella relazione saranno presi in esame, attraverso l’analisi di esempi provenienti dal corpus di testi degli studenti di italiano e inglese, i processi di focalizzazione dell’attenzione e di identificazione di determinate strutture grammaticali da parte degli apprendenti. La domanda principale a cui cercherò di rispondere riguarda gli effetti dell’interazione sullo sviluppo del sistema grammaticale in italiano L2 e inglese L2. Prima mi soffermerò sulle caratteristiche degli LRE in italiano L2 e in inglese L2 e sul modo in cui si svolge il processo di noticing. Poi esaminerò la relazione tra le occorrenze degli LRE, dedicati alla discussione di una struttura grammaticale specifica (il passivo), e l’acquisizione del passivo, in termini dell’identificazione di determinate strutture passive. Infine saranno discusse le conclusioni e le implicazioni della ricerca. Mentre l’analisi quantitativa dei dati non ha supportato l’ipotesi che l’acquisizione del passivo sia influenzata dal numero e dal tipo di LRE, l’esame qualitativo degli LRE ha dimostrato invece che sono numerosi i casi in cui l’interazione tra gli apprendenti favorisce il noticing e l’incorporazione delle costruzioni passive nel testo collettivo prodotto dagli studenti.

Bibliografia Bygate, M., P. Skehan & M. Swain (eds.) (2001). Researching pedagogic tasks. Second language learning, teaching and testing. Harlow, UK: Pearson Education.

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Gass, S.M. (1997). Input, interaction and the second language learner. Mahwah, N.J.: Lawrence Erlbaum Associates. Gass, S.M. (2003). ‘Input and interaction’. In C. Doughty & M.H. Long (eds.), The handbook of second language acquisition. Oxford: Blackwell. Gass, S.M. & A. Mackey (2007). Data elicitation for second and foreign language research. Mahwah, N.J.: Lawrence Erlbaum Associates. Gilabert Guerrero, R. J. Barón & M.A. Llanes (in stampa). ‘Manipulating cognitive complexity across task types and its impact on learners’ interaction during oral performance’. IRAL. Special Issue on Interaction. Kuiken, F. & I. Vedder (2002a). ‘The effect of interaction in acquiring the grammar of a second language’. International Journal of Educational Research 37, 343-358. Kuiken, F. & I. Vedder (2002b). ‘Collaborative writing in L2: The effect of group interaction on text quality’. In S.Ransdell & M-L. Barbier (eds.), New directions for research in L2 writing. Dordrecht: Kluwer Academic Publishers, 169-188. Kuiken, F. & I. Vedder (2005). ‘Noticing and the role of interaction in promoting language learning’. In A. Housen & M. Pierrard (eds.), Investigations in instructed second language learning. Berlin: Mouton de Gruyter, 353-382. Long, M.H. (1996). ‘The role of linguistic environment in second language acquisition’. In W. Ritchie & T. Batia (eds.), Handbook of second language acquisition. Cambridge: Cambridge University Press, 15-41. Mackey, A. (2006). ‘Feedback, noticing and second language development: an empirical study of L2 classroom interaction’. Applied Linguistics 27: 405-430. Mackey, A. (2007). ‘The role of conversational interaction in second language acquisition’. In: A. Mackey (ed.), Conversational interaction in second language acquisition. Oxford: Oxford University Press, 1-26. Michel, M., F. Kuiken, & I. Vedder (2007) ‘The influence of complexity in monologic versus dialogic tasks in Dutch L2. IRAL 45/3, Special Issue 'Task complexity, cognition and second language learning and production (eds. P. Robinson & R. Gilabert Guerrero), 213-236. Pica, T., H-S Kang & S. Sauro (2006). ‘Information gap tasks. Their multiple roles and contributions to interaction research methodology’. SLA 28/2, 301-338. Schmidt, R. (1990). ‘The role of concsiousness in second language learning’. Applied Linguistics, 11, 129-158. Schmidt, R. (1995). ‘Consciousness and foreign language learning. A tutorial on the role of attention and awareness in learning’. In R. Schmidt (ed.), Attention in foreign language learning. Honolulu: University of Hawai’i Press. Swain, M. (1995). ‘Three functions of output in second language learning’. In G. Cook & B. Seidlhofer (eds.), Principles and practice in Applied linguistics. Studies in honour of H.G. Widdowson. Oxford: Oxford University Press. Swain, M. (1998). ‘Focus on form through conscious reflection’. In C. Doughty & J. Williams (eds.), Focus on form in classroom second language acquisition. Cambridge: Cambridge University Press, 64-82. Swain, M. (2001). ‘Integrating language and content teaching through collaborative tasks’. The Canadian Modern Language Review, 58/1, 44-63. Swain, M. (2005). The output hypothesis: Theory and research. In E. Hinkel (ed.), Handbook of research in second language learning and teaching. Mahwah, N.J.: Lawrence Erlbaum. Swain, M. & S. Lapkin (2001). ‘Focus on form through collaborative dialogue: Exploring task effects. In Bygate, M., P. Skehan & M. Swain (eds.) (2001). Researching pedagogic tasks. Second language learning, teaching and testing. Harlow, UK: Pearson Education, 99-118. Wajnryb, R. (1990). Grammar dictation. Oxford: Oxford University Press.

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Relazione di Riserva - Anna Rita Tamponi (Università degli Studi di Napoli Federico II) Uso sistematico dei task e sviluppo dell’interlingua: il ruolo dell’output come indicatore del processo di apprendimento attivato.

Lo scopo della presente ricerca è analizzare lo sviluppo dell’interlingua in classi eterogenee di studenti Erasmus attraverso il task-based approach. L’ipotesi di questo studio è che il tba permette uno sviluppo omogeneo dell’interlingua anche in gruppi di studenti eterogenei per provenienza e quindi madrelingua di origine ed interessi, essendo studenti Erasmus iscritti a facoltà differenti. La ricerca vuole sostenere che un uso sistematico dei task, con un curriculum basato essenzialmente su task pedagogici, di tipologia ripetuta, permette un sviluppo accelerato dell’interlingua rispetto ad un corso tradizionale, che anche possa includere sporadicamente ma non sistematicamente task comunicativi. Gli studenti di Italiano L2 della Federico II, pur nella loro eterogeneità, hanno acquisito strutture complesse, in un tempo limitato (60 ore) anche se non esplicitamente istruiti su di esse, attraverso l’esposizione ad un input collegato ad un contenuto disciplinare significativo e coinvolgente sia a livello emotivo che a livello razionale e a task di noticing e di patterning soprattutto relativi all’input (TI – Testo di Input) e di controlling e produzione personalizzata di un output modificato (TO – Testo di Output). Esempi di TI e TO sono i seguenti:

- TI descrittivo di un luogo italiano - TO descrittivo di un luogo d’origine - TI narrativo focalizzato su un comportamento socio-economico - TO narrativo - TI dialogico tratto da un breve estratto cinematografico – TO dialogico - TI argomentativo (breve articolo o recensione) – TO argomentativo - TI tratto dalla moda o design – TO su moda o design - TI tratto da narrazione letteraria – TO narrativo con personaggi e ambiente d’origine

Al fine di sostenere l’ipotesi relativa all’importanza dell’ uso sistematico del tba per ottenere un effettiva accelerazione della curva di apprendimento, sono state analizzate le produzioni di fine corso di 98 studenti, rispettivamente suddivisi in tre gruppi di 31 (maggio 2006), 34 (dicembre 2006) e 33 studenti (maggio 2007) e sono state messe a paragone con le produzioni di un gruppo di controllo di 23 studenti (dicembre 2005) che non aveva seguito in modo sistematico il corso basato sui task. L’organizzazione del sillabo per i 98 studenti non poteva essere strettamente sequenziale ma procedurale (Prahbu, 1987), pur considerando una progressione nella selezione dell’input e nella produzione dell’output da strutture morfo-sintattiche più semplici a strutture più difficili. Sono stati quindi a) selezionati dei testi; b)selezionati ed organizzati i task, soprattutto al fine di favorire le strategie di osservazione del rapporto lingua-contenuto (focus-on-form) e di ricostruzione dapprima guidata e poi autonoma di testi, espressione delle singole personalità; c) monitorati i risultati.

I dati raccolti relativi ai TO sono stati analizzati in base ai parametri indicati da Wolfe-Quintero ed altri (1998) per la valutazione della produzione scritta, secondo le macrocategorie di complessità (uso di frasi coordinate e dipendenti e rispetto della tipologia testuale), accuratezza (indice di errore ed intelligibilità) e valutazione complessiva relativa alla scorrevolezza e alla creatività.. I risultati sono stati molto interessanti perché hanno evidenziato uno sviluppo dell’interlingua in generale più rapido per gli studenti del 2006 e 2007, mentre non si è evidenziata una specifica differenza nella categoria relativa all’indice di errore fra gli studenti sottoposti sistematicamente al tba rispetto a quelli del 2005 che avevano solo sporadicamente svolto dei task nel corso di lingua. Dai dati emerge che il livello di competenza raggiunto nelle forms, ossia negli aspetti ‘formali’ della lingua è sostanzialmente molto simile fra i gruppi del tba e il gruppo di controllo. Nei gruppi tba, i task di focalizzazione dell’attenzione (noticing tasks) e di identificazione dei pattern (pattern

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identification tasks), hanno favorito i processi di attenzione selettiva preparando allo sviluppo di abilità specifiche, di riorganizzazione delle idee in italiano L2, in modo creativo, personalizzato e sostanzialmente corretto. I risultati del gruppo di controllo che ha lavorato in modo tradizionale mostrano sostanzialmente che la creatività, la scorrevolezza raggiunta sono nel complesso inferiori rispetto al gruppo sperimentale, mentre l’accuratezza risulta praticamente equiparabile. Dal punto di vista della competenza interculturale, l’abitudine al completamento di task ha permesso ai gruppi 2006 e 2007 l’attivazione di un collegamento fra il vissuto personale ed educazionale dell’apprendente con il contesto accademico e sociale italiano. La possibilità di integrare la propria visione del mondo con quella della lingua e cultura italiana attraverso il rapporto continuo fra TI e TO ha determinato un incontro non solo fra diverse culture e lingue di provenienza, valorizzate in classe, ma anche fra diverse visioni del mondo, che sono emerse in una personalizzazione dei contenuti rielaborati.