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Mensile di cultura religiosa e popolare Mensile di cultura religiosa e popolare www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1 Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Giugno 2008 / n. 6 Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata. www.frateindovino.eu - [email protected] Abbonnement - Poste - Taxe Perçu RESPONSABILITÀ di Ulderico Bernardi* D a che mondo è mon- do, l’uomo ha fame di pane e di libertà. In quanto persona che condivi- de con i suoi simili il piacere della vita, ha bisogno di so- stentare la debolezza della carne, quanto di muoversi si- curo in mezzo agli altri. In en- trambe le situazioni ha la ne- cessità di trovare un accordo per suddividersi i compiti, e per stabilire regole comuni di comportamento. Una società è prospera quando c’è cibo a sufficienza per tutti e ciascu- no rispetta le leggi. L’armonia regna fra le generazioni, l’i- gnoranza viene combattuta con l’educazione e l’istruzio- ne, in casa e a scuola, chi go- verna avverte il senso di re- sponsabilità per i suoi atti. Questo è l’ordine sociale che i popoli vorrebbero. I guai co- minciano quando la storia si mette a correre senza riguar- do, e i tempi si scombinano. Domina la fretta, che non consente più di vedere i bor- di della strada tracciati per se- gnare i confini tra il lecito e il possibile. Una situazione che conosciamo bene. La tra- sgressione è tra noi, consueta. Disordini di ogni genere si ve- rificano quotidianamente, ori- ginando sofferenze che afflig- gono tutte le generazioni. Anche gli antichi conosceva- no questo scompiglio che mette a soqquadro la società intera. I greci ce l’hanno rac- contato nella forma del mito, com’era loro costume. È la storia di Zeus padre degli dei che ogni giorno guidava con mano ferma il carro del sole attraverso i cieli, a benefica- re la Terra. Il figlio Fetonte gli chiese, per una volta, di assu- mere il suo posto. Una re- sponsabilità grande, e, impru- dentemente, come accade tal- volta nelle famiglie, il genito- re acconsentì. Col risultato che il giovanotto si diede a una corsa pazza, sconvolgen- do l’ordine delle stagioni, co- sì che boschi e raccolti s’in- cendiarono e intere popola- zioni si abbrustolirono. Per fermare lo sciagurato, Zeus si trovò costretto a scagliargli contro un fulmine, che lo centrò e lo fece precipitare nell’Eridano, il fiume che og- gi chiamiamo Po. L’impruden- za, l’irresponsabilità, l’abban- dono di ogni limite, genera- no disgrazie. Guai a quei ge- nitori e maestri che dimenti- cano il loro ruolo di adulti e trascurano la trasmissione dei valori essenziali. Della Legge, con la elle maiuscola. continua a pagina 2 *docente di sociologia dei processi culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia A DDIO AL SENSO DI La caduta dei valori e della coscienza nel nostro tempo È un luogo comune affermare che in Iran le donne hanno poca libertà. L’obbligo di portare il velo ne sarebbe la dimostrazione migliore. In una guida leggiamo che le donne non possono rivolgersi a uomini estranei, non possono circolare se non accompagnate, non possono cantare… Ma non è questa la realtà che si presenta davanti a noi. di Nenad Stojanovic, foto di Lisa Schädel servizi alle pagine 4 e 5 N el maggio del 1945, quando venne arrestato dai soldati americani in una delle ultime operazioni della seconda guerra mondiale, Joseph Ratginger si trovò la testa invasa da mille pensieri. Ma sicura- mente non immaginò che nel 2008, vestito di bianco tra ovazioni e canti augurali, avreb- be festeggiato alla Casa Bianca, a Washington, il suo ottantune- simo compleanno. Invece proprio questo è accaduto. Nel maggio del 1945 egli era da poco diciottenne. Nel precipitare degli eventi nella sua patria (come altrove) uscì dalle file na- ziste nelle quali era stato forzata- mente reclutato e cercò la via verso casa. A Traunstein, in Baviera, incappò in una retata decisa dalle truppe statunitensi. Insieme a un’infinità di conna- zionali, con nuovamente addos- so la divisa che aveva ripudiato, fu costretto a marciare per tre giorni. Finì in un campo di de- tenzione a Ulm, dove rimase tre mesi. Poi riebbe la libertà. Raccontata nel libro “Finding My Father’s a War”, curato da alcuni dei reduci americani vete- rani che ne furono comprotago- nisti, questa storia è stata recu- perata e “strillata” dal settima- nale “Time” in occasione della visita che Papa Benedetto XVI ha compiuto negli Stati Uniti dal 15 al 20 aprile scorsi. Nel suo articolo “Time”, sulla base di una autorevole testimonianza, ha pure spiegato che proprio du- rante la “detenzione” a Ulm, Joseph Ratzinger cominciò a nu- trire simpatia e ammirazione per gli americani: “Rimase colpito - la citazione è tratta dalla rivi- sta - dal modo nel quale essi evitarono qualsiasi vendetta nei confronti dei tedeschi, e anzi si prodigarono per la ri- costruzione del loro Paese”. Gli osservatori sono stati con- cordi nel rilevare che raramente George W. Bush, da quando è in carica, ha allestito nella sua residenza ufficiale un ricevimen- to come quello offerto il 16 apri- le a Benedetto XVI. C’erano più di cinquemila invitati. Nei discorsi pubblici, mentre George W. Bush ha sottolineato che c’è molto bisogno oggi di un messaggio che presenta Dio come amore “in un modo nel quale alcuni invocano il nome di Dio per giustificare atti di terrorismo assassino”, Benedetto XVI ha rammentato che la democrazia può fiorire “solamente quando i leaders politici sono guidati dalla verità e ispirano le loro deci- sioni alla saggezza generata dal principio morale”. (G.C.) Nel nome dell’uomo AMERICA E I RAN VISTI DA VICINO COSTUME Imputato bacio si difenda Giuseppe Zois 15 VERSO IL 2015 Milano si veste di Expo Arturo Consoli 3 OLIMPIADI La fiaccola unisce o divide? Collecchia e Celli 7 e 9 SICUREZZA Il “Grande Fratello” in strada Enzo Dossico 9 servizi a pagina 6

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Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata.

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RESPONSABILITÀdi Ulderico Bernardi*

Da che mondo è mon-do, l’uomo ha fame dipane e di libertà. In

quanto persona che condivi-de con i suoi simili il piaceredella vita, ha bisogno di so-stentare la debolezza dellacarne, quanto di muoversi si-curo in mezzo agli altri. In en-trambe le situazioni ha la ne-cessità di trovare un accordoper suddividersi i compiti, eper stabilire regole comuni dicomportamento. Una societàè prospera quando c’è cibo asufficienza per tutti e ciascu-no rispetta le leggi. L’armoniaregna fra le generazioni, l’i-gnoranza viene combattutacon l’educazione e l’istruzio-ne, in casa e a scuola, chi go-verna avverte il senso di re-sponsabilità per i suoi atti.Questo è l’ordine sociale chei popoli vorrebbero. I guai co-minciano quando la storia simette a correre senza riguar-

do, e i tempi si scombinano.Domina la fretta, che nonconsente più di vedere i bor-di della strada tracciati per se-gnare i confini tra il lecito eil possibile. Una situazioneche conosciamo bene. La tra-sgressione è tra noi, consueta.Disordini di ogni genere si ve-rificano quotidianamente, ori-ginando sofferenze che afflig-gono tutte le generazioni.Anche gli antichi conosceva-no questo scompiglio chemette a soqquadro la societàintera. I greci ce l’hanno rac-contato nella forma del mito,com’era loro costume. È lastoria di Zeus padre degli deiche ogni giorno guidava conmano ferma il carro del soleattraverso i cieli, a benefica-re la Terra. Il figlio Fetonte glichiese, per una volta, di assu-mere il suo posto. Una re-sponsabilità grande, e, impru-dentemente, come accade tal-

volta nelle famiglie, il genito-re acconsentì. Col risultatoche il giovanotto si diede auna corsa pazza, sconvolgen-do l’ordine delle stagioni, co-sì che boschi e raccolti s’in-cendiarono e intere popola-zioni si abbrustolirono. Perfermare lo sciagurato, Zeus sitrovò costretto a scagliarglicontro un fulmine, che locentrò e lo fece precipitarenell’Eridano, il fiume che og-gi chiamiamo Po. L’impruden-za, l’irresponsabilità, l’abban-dono di ogni limite, genera-no disgrazie. Guai a quei ge-nitori e maestri che dimenti-cano il loro ruolo di adulti etrascurano la trasmissione deivalori essenziali. Della Legge,con la elle maiuscola.

➣ continua a pagina 2*docente di sociologia dei processi

culturali all’Università

di Ca’ Foscari, Venezia

ADDIO AL SENSO DILa caduta dei valori e della coscienza nel nostro tempo

È un luogo comune affermare che in Iran le donne hanno poca libertà.L’obbligo di portare il velo ne sarebbe la dimostrazione migliore.

In una guida leggiamo che le donne non possono rivolgersi a uomini estranei,non possono circolare se non accompagnate, non possono cantare…

Ma non è questa la realtà che si presenta davanti a noi.

di Nenad Stojanovic, foto di Lisa Schädel

servizi alle pagine 4 e 5

Nel maggio del 1945,quando venne arrestatodai soldati americani in

una delle ultime operazioni dellaseconda guerra mondiale, JosephRatginger si trovò la testa invasada mille pensieri. Ma sicura-mente non immaginò che nel 2008, vestito di bianco traovazioni e canti augurali, avreb-be festeggiato alla Casa Bianca,a Washington, il suo ottantune-simo compleanno. Invece proprio questo è accaduto. Nel maggio del 1945 egli era dapoco diciottenne. Nel precipitaredegli eventi nella sua patria (come altrove) uscì dalle file na-ziste nelle quali era stato forzata-mente reclutato e cercò la viaverso casa. A Traunstein, inBaviera, incappò in una retatadecisa dalle truppe statunitensi.Insieme a un’infinità di conna-zionali, con nuovamente addos-so la divisa che aveva ripudiato,fu costretto a marciare per tregiorni. Finì in un campo di de-tenzione a Ulm, dove rimase tre mesi. Poi riebbe la libertà.Raccontata nel libro “FindingMy Father’s a War”, curato daalcuni dei reduci americani vete-rani che ne furono comprotago-nisti, questa storia è stata recu-perata e “strillata” dal settima-nale “Time” in occasione dellavisita che Papa Benedetto XVIha compiuto negli Stati Uniti dal15 al 20 aprile scorsi. Nel suoarticolo “Time”, sulla base diuna autorevole testimonianza,ha pure spiegato che proprio du-rante la “detenzione” a Ulm,Joseph Ratzinger cominciò a nu-trire simpatia e ammirazione pergli americani: “Rimase colpito- la citazione è tratta dalla rivi-sta - dal modo nel quale essievitarono qualsiasi vendettanei confronti dei tedeschi, eanzi si prodigarono per la ri-costruzione del loro Paese”.Gli osservatori sono stati con-cordi nel rilevare che raramenteGeorge W. Bush, da quando èin carica, ha allestito nella suaresidenza ufficiale un ricevimen-to come quello offerto il 16 apri-le a Benedetto XVI. C’eranopiù di cinquemila invitati. Neidiscorsi pubblici, mentre GeorgeW. Bush ha sottolineato che c’è molto bisogno oggi di unmessaggio che presenta Dio come amore “in un modo nel quale alcuni invocano il nome di Dio per giustificareatti di terrorismo assassino”,Benedetto XVI ha rammentatoche la democrazia può fiorire“solamente quando i leaderspolitici sono guidati dalla verità e ispirano le loro deci-sioni alla saggezza generatadal principio morale”. (G.C.)

Nel nome

dell’uomoAMERICA E IRAN VISTI DA VICINO

COSTUME

Imputatobaciosi difendaGiuseppe Zois

15

VERSO IL 2015

Milanosi vestedi ExpoArturo Consoli

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OLIMPIADI

La fiaccolaunisceo divide?Collecchia e Celli

7 e 9

SICUREZZA

Il “GrandeFratello”in stradaEnzo Dossico

9

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2 / Giugno 2008

Son tanto di moda le mo-ratorie che ne vorrei pro-porre una anch’io. Vorrei

una moratoria sull’utilizzo delterritorio. Uno stop alle costru-zioni sull’italico suolo. Tutto.Ci penso da un po’, da quandomi pongo alcune domande sulfatto che qui da noi muoversi,viaggiare, spostarsi è diventatoun problema, di più, un rischiocontinuo. Lestrade non sonoadeguate alle esi-genze di milionidi autoveicoli,chi prende il tre-no piange amarelacrime, la situa-zione generaleinsomma è distallo. È vero, uno dei motivi è lega-to al fatto che negli anni deldopoguerra, complice l’impor-tanza (non solo per il prestigioma anche per la grande occu-pazione) della Fiat, la grandeindustria automobilistica ita-liana, si svilupparono soprat-tutto le strade a discapito del-le ferrovie che oggi infatti, seci paragoniamo che so, alla

Francia, alla Germania si pos-sono considerare da terzo mon-do o forse più giù. È vero an-che che la classe dirigente e po-litica degli ultimi trent’anni halucrato su ogni intervento pub-blico, a cominciare proprio dastrade e autostrade facendofior di creste sugli appalti, conla conseguenza che i soldi nonbastavano mai e che molte

opere sono rima-ste al palo, allafaccia dell’Euro-pa avviata verso ilterzo millennio. Ma non può esse-re solo questo. Einfatti non pos-siamo paragonar-ci ai nostri vicinidell’Europa an-

che per altri motivi, innegabi-li e indipendenti dalle nostrevolontà. Guardate la Spagna,la Francia, anche la Germania:sono nazioni fisicamente am-pie, con un territorio variega-to, ma allo stesso tempo congrandissime aree pianeggiantio di collina dove è facile, faci-lissimo insediare qualunquestruttura: strade, ferrovie, case,

palazzi. E osserviamo invece ilnostro stivale lungo lungo chedeve fare i conti in alto con leAlpi e le Prealpi, scendendonel mezzo del budello con gliAppennini e ai due lati col ma-re le spiagge. Di spazio dove“insediare” opere pubbliche oresidenze ne resta assai poco.Lo confermano le vedute aeree:il confronto tra il paesaggiofrancese e quelloitaliano visti dal-l’oblò di un aero-plano è davveroimpietoso quantoa spazi verdi rap-portati a strutturedi vario tipo. In-somma, per farlabreve, noi di ter-ritorio utilizzabilene abbiamo pro-prio pochino. E quel pochino,ammettiamolo, è stato quasitutto già utilizzato. A meno chenon vogliamo cominciare a in-taccare la montagna, forse èmeglio che ci fermiamo.Per piacere fermiamoci. Invecedi costruire ex novo case, pa-lazzi, centri commerciali sem-pre più grandi, aziende, uffici,

mettiamoci a ristrutturarequello che c’è e che, spesso ab-bandonato (parlo dei centristorici, parlo dei capannoni di-smessi e cose così), porta allecittà e ai paesi solo degrado eincuria. L’invito è ai sindaci,prima di tutto: nei nuovi pia-ni regolatori (che oggi si chia-mo piani di governo del terri-torio) dite “stop” alle nuove

costruzioni, met-tete in primopiano il recuperodi quello che giàc’è. Vi ringrazie-ranno in tanti,tutti quelli chepotranno domanicontinuare a re-spirare in un’Ita-lia con ancora unpizzico di verde.

E non credo che il “niet” ainuovi edifici possa togliere la-voro al mondo dell’edilizia e aiprofessionisti del settore (ar-chitetti, ingegneri e via dicen-do), perché si lavora anche ri-strutturando. Ci vuole un po’ di coraggio. Epoi, una moratoria non si ne-ga a nessuno.

Mettiamoci a ristrutturare

Qualche tempo fa mi è capitato tra lemani un libro con una copertinamolto eloquente: ritraeva una per-

sona su una sedia a rotelle; un uomo, col bu-sto inclinato in avanti, la testa appoggiataalla mano destra che la sosteneva, in un at-teggiamento pensoso. Una frase in coperti-na chiariva in maniera inoppugnabile il te-ma del volume: “autobiografia di un malatodi sclerosi multipla”. Si trattava di un argo-mento nel quale non volevo addentrarmi,perché questo tipo di letture solitamente midanno un forte turbamento. Tuttavia, il ti-tolo del libro era terribilmente provocato-rio e costituiva una chiave di lettura di que-sta vicenda umana che mi è parsa subitostraordinaria: Scelto da Dio. Intitolare la pro-pria storia di malato di sclerosi multipla inquesto modo? Vedere se stesso, vittima di un

avvenimento che normalmente definirem-mo “disgrazia”, come un eletto, un uomoscelto da Dio a questa missione? Ho dunquecominciato a leggere il libro, restando qua-si contratto, pronto a ricevere da un momen-to all’altro qualche colpo allo stomaco. Misono ritrovato invece proiettato in un am-biente che non conoscevo, affascinante, se-reno. Era quello della Svizzera francese, del-la cittadina di La Chaux de Fonds, dove ènato l’autore e dove la sua penna indugia peroltre un terzo del libro, per raccontare l’e-poca della sua infanzia, i giochi di bambi-no, i lavori nell’orto, la raccolta della legna,la sua grande passione per il calcio; moltepagine sono dedicate al calcio che l’autoreha praticato per anni a livello dilettantisti-co, militando in diverse formazioni locali.In seguito, il racconto si sposta nel Cantone

Ticino, dove il protagonista si è trasferito nonancora trentenne per intraprendere la sua at-tività di orologiaio e dove si è sposato, aven-do due figli. Comincia qui il racconto dellamalattia, della sua comparsa, della sua inva-denza, della forza con cui la sclerosi multiplademoliva la sua indipendenza e la sua possi-bilità di una vita normale. Eppure, anche inquesta parte del libro, domina una serenitàdi fondo, come una pacca sulle spalle del let-tore, un sorriso che invita a sperare, perchécon grande semplicità e forza, l’autore ci spie-ga come, dentro questa terribile esperienza,abbia saputo scoprire quella luce che ha po-tuto portarlo a definirsi “Scelto da Dio”. Cosìscrive nel suo libro: “Mentre scrivevo mi sentivo vivo, utile, sentivole immagini sopite riemergere, offrirsi all’esplo-razione, unirsi a voci e rumori per dar loro luo-go; ed infine ad episodi, veri e propri filmati del-la mia esistenza! Quanto dolore e quanta vita intutto questo! Quante parole ho detto, quanti ge-sti ho fatto, scatti d’ira, egoismi fuori luogo!Quanto cambierei se solo potessi tornare indie-tro! Ed in questo percorso a ritroso, in questa spi-rale verso il basso, in questo inferno dantesco,ho ritrovato la luce, la forza di proseguire nellacertezza di essere stato eletto, perché scelto daDio”.Dopo aver letto questo libro, ho avuto la pos-sibilità di conoscere Maurice Prètôt, questoè il nome dell’autore che non avevo ancorarivelato. Ho incontrato una persona davve-ro serena, un uomo il cui modo di parlare, diraccontare, esprimeva un animo pacificato.Il suo semplice starmi davanti convogliavaverso di me una grande energia, qualcosa cheper me era ad un tempo struggente e corro-borante; forse, per la prima volta nella miavita, ho sperimentato la forza inesauribile diuna testimonianza vera. Luca Saltini

PER LA SALVAGUARDIA DEL TERRITORIO

La LUCE in fondo al TUNNELLA FORZA INESAURIBILE DI UNA TESTIMONIANZA VERA

DILETTA ROCCA

➣ dalla prima pagina

Il valore universale di quegli an-tichi indirizzi trasmessi dalPadreterno agli uomini con le

tavole della Legge dovrebbe ren-derli ispiratori per tutte le altrenorme. Solo per ricordarne qualcu-no agli immemori: Non avrai altroDio fuori che me, il Dio fonte deiComandamenti, il Creatore ditutte le cose, di te e del tuo pros-simo, delle risorse naturali da nonsprecare, che non è lecito sostitui-re con il culto del denaro o del po-tere, né con il feticcio del sesso odella droga. Onora il padre e lamadre, quindi abbi rispetto per legenerazioni, si tratti di quelle an-ziane o di quelle più acerbe, spes-so abbandonate a se stesse davan-ti ai rischi connessi a mezzi tecno-logici che richiedono un uso ade-guato all’età, come la televisioneo il computer. Non ammazzare,quindi non dimenticare che quan-do viaggi in automobile governiuna possibile arma di sterminio,da maneggiare consapevolmente enon trattare con leggerezza, ma-gari alterato dall’alcol; e se è pos-sibile correre a duecento all’ora perle nostre antiche strade d’impian-to medievale non è lecito farlo,non solo perché lo vieta il codicema perché è immorale mettere arischio la propria e l’altrui vita.Non è da dire che al presente il di-sagio per questo scardinamentodelle regole non sia avvertito datutti. Anche i giovani, che nonhanno conosciuto altra società chequesta, mandano segnali di soffe-renza. In cento modi, se solo fos-simo ancora in grado di leggere isimboli. Quel loro provocare gliadulti con gli abiti strappati, conle pance di fuori, con acconciatu-re allucinanti e ornamenti tribaliinfilati sul naso, su lingua, labbrae orecchie, sono precise comuni-cazioni d’incertezza sulla loroidentità. Chiedono non tanto diessere criticati, quanto di essereguidati a ritrovare il valore del cor-po. Da rispettare. Mentre infuria-no pornografia e violenza sessua-le anche sui piccoli, sulle adole-scenti e le donne in genere.Mentre l’esibizionismo e l’inde-cenza dilagano sugli schermi, isti-gando ad andare in fretta, scaval-cando ogni fase delle età, nellaconfusione colpevole di pubertà,adolescenza, condizione adulta,senza mai raggiungere la maturità.Per i più fragili è una sentenza dimorte, cercata nel disordine ali-mentare dell’anoressia e della bu-limìa, come nel delirio dell’abusoalcolico e della tossicodipendenza.Quando la persona non viene piùriconosciuta come un frammentodell’Eterno, venendo meno la sa-cralità della vita il valore dell’es-sere umano precipita fino ad an-nullarsi. Allontanamento dallaconcezione religiosa del vivere ecatastrofe sociale procedono in pa-rallelo, anche in una società ric-ca di beni materiali. Non di so-lo pane vive l’uomo, ammoni-va il Salvatore in faccia al Malignoche Gli esibiva le sue tentazioni.

Ulderico Bernardi

Il tramontodel rispetto

Troppe nuove licenzeedilizie per costruire case: al punto in cui

siamo sarebbe importante cominciare

il recupero dell’esistente

Cari sindaci nei nuovipiani di governo del territorio, forse

è giunta l’ora di puntaresul recupero di moltiedifici abbandonati

Frate Indovino - Perugia

Periodico mensile di cultura popolare e religiosa della Provincia Umbra dei Frati Minori Cappuccini. Direttore re-sponsabile: Mario Collarini. Direttore tecnico-amministrativo: Tarcisio Calvitti. Registrazione Tribunale di Perugia n.257 - 58 N. 11 B. Prov. T.I. 1-7-’58. Spedizione in abbonamento postale articolo 2 comma 20/c legge 662/96 - filia-le di Perugia. Conto corr. postale 4069 intestato a: “Frate Indovino” Via Severina 2 - Casella Postale - 06124 Pe-rugia.

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3 / Giugno 2008

Sicurezza e qualità del cibo, tecno-logia per l’agricoltura, tutela dellabiodiversità, educazione a tavola,

solidarietà nella distribuzione delle risor-se, migliori stili esistenziali, rispetto del-le culture e delle tradizioni gastrono-miche: ecco alcuni degli argomenti chesottostanno al tema scelto per l’Expoche Milano - dopo aver sconfitto laconcorrenza di Smirne, città della Tur-chia - ospiterà nel 2015. Puntando sul-lo slogan “Nutrire il pianeta, energie perla vita”, la metropoli lombarda con in-tuizione lungimirante ha legato la impo-

nente rassegna che si appresta ad allesti-re a un problema che va facendosi sem-pre più pressante sulla scena mondiale:quello, cioè, di garantire qualcosa damangiare ogni giorno a popolazioni che,tra continue impennate del prezzo delpetrolio, ricerca di fonti energetiche al-ternative, variazioni nelle colture, di-versi utilizzi dei prodotti delle campa-gne e affarismi vari, specialmente nellearee più arretrate e povere, rischiano ditrovarsi con nulla da mettere in boccao di doverlo pagare a prezzi assurdi.Attorno alla maxi-impresa ormai in can-

tiere - dal 31 marzo, data dell’annuncioe del via ufficiale, giunti da Parigi - so-no fioriti numeri da capogiro: 3,2 miliar-di di euro per investimenti in infrastrut-ture, 70 mila posti di lavoro nell’arco dicinque anni, costruzioni suggestive ca-paci di cambiare il profilo dell’agglome-rato urbano imperniato sul Duomo sor-montato dalla “bèla Madúnina”, seicen-to padiglioni-vetrina su un’area di1.700.000 metri quadrati in un nuovoavveniristico quartiere, a impatto am-bientale zero, ubicato in adiacenza alcomplesso, pur esso assai moderno,

della Fiera di Rho-Pero. Con le antici-pazioni dei progetti strettamente lega-ti all’evento sono corsi i propositi diriassetto generale del volto che Milanoattualmente presenta. Sono stati imma-ginati miglioramenti a tutto campo, ini-ziative in tutte le direzioni con il coin-volgimento delle province vicine inuno sforzo coordinato di valorizzazionedelle potenzialità ambientali, turistiche,economiche non soltanto della Lom-bardia ma di tutta l’Italia settentriona-le. Circa trenta milioni sono i visitato-ri attesi dai cinque continenti.

Dalla… via Gluckall’Expo nel 2015

Attesi a Milano trenta milioni di visitatori“

Di fronte agli entusiasmidei più impegnati nel-l’operazione - entusia-

smi ampiamente condivisi dallagente comune - non sono man-cati gli scettici, i propensi allacautela, i critici. Ha fatto notiziaAdriano Celentano, l’eterno ra-gazzo della Via Gluck, sempreinnamorato dei prati verdi,quando ha parlato del pericolodi un incombente “colpo di gra-zia” (alla fisionomia dell’urbemeneghina) e ha puntato l’in-dice contro certi grattacieli stu-diati da architetti che egli nonha esitato a definire “archi-carne-fici”. Il popolare cantautore cheama i toni forti ha scoperto unautorevole alleato contro la “co-lata di cemento” nell’architettoRenzo Piano, il quale, precisan-do in rapporto all’Expo, di vo-lersene stare professionalmenteda parte per dar spazio ai giova-ni, ha dichiarato in una inter-vista accordata al più diffusoquotidiano italiano: “Temo la re-torica celebrativa e vedo il rischiodella corsa all’oro, dell’affarismo”.L’ideatore del Beaubourg di Pa-rigi ha difeso Adriano Celenta-no come “voce della coscienza”molto importante in certi fran-genti: “Se ci sono discussione e di-battito anche i progetti migliora-no”. Renzo Piano ha comunqueritenuto di mettere sul tavolodel sindaco Letizia Moratti al-cuni suggerimenti nel contestodella Milano da …rivedere:“Occorrerebbe - ha detto l’insi-gne architetto - frenare l’esplo-sione territoriale della città, chiude-re le ferite della periferia, costruiresolo sul costruito, trasformare iltraffico privato in pubblico, am-pliare ogni metro quadrato di ver-de, ritrovare l’acqua, smetterla difare i grandi parcheggi in centro”.Con le edizioni accolte nel1881 e nel 1906 Milano già datempo si è inserita nell’albo d’o-ro delle Esposizioni universali.Nel nostro Paese ha avuto sif-fatto privilegio anche Torino,che ha aperto le porte alla spe-cialissima Mostra nel 1870, nel1902, nel 1911 e nel 1961 (perla ricorrenza, in quest’ultima oc-casione, del primo centenariodell’unità d’Italia).Gli studiosi collocano le radicidelle “esposizioni”, intese in sen-so lato, addirittura nel secoloXVI, quando non di rado entrole fiere mercantili si proponeva-no pure rassegne di dipinti. Le

proposte di tale tipo comincia-rono ad evidenziarsi con regola-rità nella seconda metà del‘600, particolarmente in Fran-cia: da biennali diventarono an-nuali nei primi decenni del se-colo XIX. Dall’incontro tra lecreazionii artistiche in cerca divetrine e la costruzione mecca-nica ansiosa di far conoscere ipropri progressi si può dire - intermini molto generali - sia ma-turata a poco a poco l’idea pri-migenia dell’Expo ora etichetta-ta come “universale”. Andò - l’i-dea stessa - concretamente inporto per la prima volta a Lon-dra nel 1851, nel Palazzo di Cri-stallo appositamente costruitoin ferro e vetro da Joseph Pax-

ton. La provvisorietà delle strut-ture via via pensate per inscena-re le esposizioni favorì poi losperimentalismo architettoni-co in vista di sempre nuovi sti-li. Parigi nel 1855 fu la primametropoli a ripetere l’esperien-za di Londra. La capitale ingle-se tornò in campo nel 1862, se-guita da Istanbul nel 1863, daDublino nel 1865 e da Oporto(nel medesimo anno). A quelpunto scattò una sorta di Expo-mania, nel senso che un po’ovunque, e senza badare alle so-vrapposizioni, ci si attivò per or-ganizzare “esposizioni”, universa-li e no: fiorirono infatti le ras-segne nazionali (la prima stret-tamente italiana si tenne a Fi-

renze nel 1861), regionali, pro-vinciali, generaliste oppure mo-notematiche. Nel 1888 si ten-nero contemporaneamentequattro Expo universali: a Bar-cellona, a Copenaghen, a Mel-bourne e a Bruxelles. L’anno pri-ma era avvenuta la stessa cosa.Parigi nel 1889 tenne da sola lascena connotando la sua Espo-sizione, in quell’anno, con l’in-nalzamento della Torre Eiffel.Al debutto del ‘900 fu introdot-ta la sistemazione “a villaggio”,cioè in più edifici organicamen-te sistemati in un’area circoscrit-ta. Nel 1928 nacque un apposi-to Ufficio per l’organizzazionedelle Esposizioni universali; es-so venne reimpostato nel 1948;

successivamente furono intro-dotti ulteriori cambiamenti nel-le finalità e negli obiettivi.Nell’ultimo mezzo secolo hannoavuto notevole risalto le Expo diBruxelles (nel 1958, con 40 mi-lioni di visitatori), di New York(nel 1964-65, con 51 milioni divisitatori), di Montreal (nel1967, con 50 milioni di visita-tori), di Osaka (nel 1970, purecon 50 milioni di visitatori), diSiviglia (nel 1992, per festeggia-re i 500 anni dalla scopertadell’America). Milano, natural-mente, vorrebbe avere la propriaExpo del 2015 un’affluenza al li-vello dei primati toccati dalle piùnote rassegne della secondametà del secolo scorso. Ma inpochi anni tante situazioni sonocambiate. Le “novità” dell’arte,della tecnica, della scienza, del-l’industria, ora non vengonopiù scoperte negli stands dei pa-diglioni fieristici; esse arrivanotutti i giorni sui teleschermi ac-cesi nelle case e negli uffici. Perattirare gente serve qualcosa dipiù, qualcosa di diverso, di inu-sitato e accattivante.

ARTURO CONSOLI

“Gloria, / gloria al genio italico/ che pionier di attività / alSempion aprì la via / della

nuova civiltà. // Gloria, gloria al genioitalico / al pionier di civiltà / che al Sem-pion aprì la via / di progresso e libertà”.Questi versi erano in auge nel 1906, quan-do Milano accolse per la seconda volta l’E-sposizione universale (le era già capitato nel1881; nel 2015 vivrà la sua terza esperien-za). Le due strofe citate sono tratte dall’“In-no trionfale” composto per “la festa di duepopoli” di fronte al “Traforo del Sempio-ne”. Proprio il coronamento della masto-dontica impresa nella catena alpina portò lametropoli meneghina ad aprire le sue portealla rassegna internazionale. Pensata già ver-so la metà dell’Ottocento, messa in progettonel 1893, la galleria di 19.730 metri - trac-ciato record - sulla linea ferroviaria Milano-Losanna cominciò ad essere costruita nell’a-gosto del 1898. I lavori sul versante svizze-ro e sul versante italiano andarono avantiper sette anni con una spesa complessiva dicirca 79 milioni di lire (di quell’epoca). Nel-la parte elvetica l’intervento procedette piùspeditamente che nella parte italiana. L’ulti-mo diaframma, sotto il Monte Leone, tra laVal d’Ossola e il Vallese svizzero, cadde nel-la mattinata del 24 febbraio 1905. L’incon-

tro gioioso tra le squadre di operai di diversanazionalità mobilitati nel tunnel ebbe uffi-cialmente luogo il 2 aprile successivo. Il 18ottobre venne ultimata la sistemazione dell’in-terno della galleria. E il 1° giugno 1906 potètransitarvi il primo treno. L’esposizione inter-nazionale di Milano - legata all’evento - erastata già inaugurata più di un mese innanzi,esattamente il 28 aprile. Il settimanale “LaDomenica del Corriere” commentò il ta-glio di avvio della “mostra” con queste paro-le: “L’audace idea che Milano concepìqualche anno fa, di festeggiare l’apertu-ra della nuova ferrovia attraverso il Sem-pione, con una Esposizione è ormai unfatto compiuto”. Tutti vorranno visitarlaper constatare i confortevoli progressi fattinel nostro Paese, non inferiori certo a quel-li raggiunti da nazioni più ricche, più forti, piùevolute dell’Italia nostra.Per la verità, pur trovandosi in costante mi-glioramento, l’Italia non stava attraversan-do momenti particolarmente felici. Proprioin aprile (nel 1906) si era risvegliato nuo-vamente il Vesuvio con una bocca lavica. Inuna regione già piena di stabilimenti comela Lombardia erano frequenti gli scioperi, at-tuati specialmente dagli addetti all’industriatessile che da tempo inutilmente stavano re-clamando una riduzione degli orari giorna-

lieri di lavoro. A Cagliari tenevano bancoincidenti in piazza causati da un eccessivoaumento dei prezzi dei generi alimentari.Più delle “meraviglie” in vetrina all’Expo diMilano colpirono la fantasia popolare altrifatti succedutisi nel corso di quell’anno(1906) che gli astrologi avevano profetizza-to assai “nero”, ma che in concreto non lorisultò più degli altri. Il 18 giugno il Duca de-gli Abruzzi raggiunse la vetta più alta, invio-lata, del massiccio del Ruwenzory, nel cuo-re del continente nero. Due italiani ebberoil premio Nobel: l’istologo Camillo Golgi (exaequo con uno spagnolo) per la Medicina,e Giosuè Carducci per la Letteratura. Algrande poeta, impossibilitato a muoversi permotivi di salute, il riconoscimento fu porta-to direttamente a casa, a Bologna, nella stes-sa data e nella stessa ora nelle quali era pre-vista in Svezia la cerimonia della consegnadei premi agli altri vincitori. L’11 novembre,partendo dalla Piazza d’Armi di Milano, conun pallone aerostatico, due audaci riusciro-no ad attraversare le Alpi da Sud a Nord conun volo di circa 260 chilometri. Sempre aMilano, nel 1906, non si sa se per l’Expo omeno, venne posta la prima pietra della nuo-va poderosa stazione ferroviaria. Che peròfu pronta soltanto ...nel 1931, ossia venti-cinque anni più tardi. (A.C.)

Nel 1906 in coincidenza con il Sempione

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4 / Giugno 2008

In America vivono più di mezzomilione di americani di origineiraniana. Tra loro ci sono nume-

rosi nomi illustri: scienziati, imprendi-tori e letterati che contribuisconoogni giorno alla vita sociale ed eco-nomica degli Stati Uniti. Nulla distrano se non fosse per le continue

tensioni politiche tra USA ed Iran.Mentre i politici americani, sia Re-pubblicani che Democratici, ribadi-scono quotidianamente la necessitàdi proteggere gli Stati Uniti dalla mi-naccia dei programmi nuclearidell’Iran, ipotizzando persino un in-tervento militare qualora le risolu-

zioni delle Nazioni Unite non venis-sero rispettate, più di mezzo milionedi americani di origine iraniana vi-vono e prosperano negli USA senzache queste tensioni politiche inter-feriscano minimamente con la loroesistenza. A Los Angeles, città sim-bolo dell’America hollywoodiana, in

molti quartieri ci si trova immersinella cultura persiana: ristoranti ti-pici con specialità iraniane, spetta-coli di musica tradizionale, libreriecon testi in lingua Farsi, festeggia-menti per ricorrenze persiane e vici-ni di casa iraniani che raccontano leloro storie di vita.

Qui AMERICAcon vista sull’IRAN

La politica è in tensione, la gente in coabitazione“

Il film Persepolis, un disegno animato inbianco e nero che narra le vicende poli-tiche dell’Iran moderno, ha attirato l’at-

tenzione dei media quando nel2007 si è aggiudicato il Premiodella Giuria al Festival del Ci-nema di Cannes.Ispirato all’autobiografia illu-strata scritta da MarjaneSatrapì, una donna iranianaespatriata in Francia, il carto-ne animato racconta la vita diuna bambina (a cui dà la voceChiara Mastroianni) e dei suoi

familiari sullo sfondo della RivoluzioneIslamica, narrandone speranze e delusioni po-litiche legate alla caduta dal potere dello Scià

ed all’instaurazionedel regime fonda-mentalista islamico.La storia tocca temisociali e culturali le-gati all’emigrazioneed al continuo desi-derio di fare ritornonel proprio Paesedove condurre unavita normale nostan-

te l’oppressione e l’estremismo del regime alpotere. Il film narra le vicissitudini di una fa-miglia ma rappresenta in modo più generaleciò che diverse migliaia di iraniani espatriatiall’estero hanno vissuto negli ultimi decenni. La reazione del governo iraniano all’uscitadel film non è stata positiva. La critica mos-sa dal portavoce delle autorità iraniane è cheil film voglia mostrare una faccia irreale enon veritiera della gloriosa RivoluzioneIslamica. Nonostante le critiche negative laproiezione del film è stata autorizzata in mo-do limitato in alcune sale di Tehran ma so-lo in versione censurata.

Il cartone animato “Persepolis”

Non esistono censimen-ti ufficiali ma statisti-che demografiche affi-

dabili stimano che la popola-zione di origine iraniana resi-dente negli Stati Uniti sia su-periore a mezzo milione di per-sone. Gli iraniani (o “persiani”come spesso preferiscono iden-tificarsi) d’America sono inse-diati nei maggiori centri dellaEast Coast e soprattutto dellaWest Coast. Data la forte con-centrazione di popolazione per-siana, Los Angeles viene anchespesso identificata con il nomedi “Tehrangels” (nato dalla fu-sione di Tehran e Los Angeles).La migrazione persiana negliStati Uniti è un fenomeno ab-bastanza recente. Alcuni studisull’argomento fanno risalire ilprimo flusso migratorio di popo-lazione persiana in USA a grup-pi di studenti e specialisti che,grazie all’Immigration Bill del1965 (legge creata per favorirel’immigrazione di personale spe-cializzato in America, fenome-no conosciuto anche come “fu-ga di cervelli”), ebbero la possi-bilità di studiare e specializzar-si nelle università degli StatiUniti. Un secondo flusso migra-torio, probabilmente il più im-portante, avvenne successiva-mente alla Rivoluzione Islamicadel 1979 che rovesciò il regimedello Scià ed instaurò l’attualeregime al potere. Molti irania-ni appartenenti a classi socialimedio-alte, i quali avevano stu-diato negli anni ’60 nelle uni-versità americane, sfruttarono iloro contatti per emigrare incerca di fortuna negli StatiUniti. Inizialmente, durante ilperiodo della RivoluzioneIslamica, l’emigrazione fu spin-ta soprattutto da motivi politi-ci o religiosi, e successivamen-te anche da ragioni economichelegate all’incertezza dovuta allaguerra con l’Iraq durata più diotto anni ed all’embargo impo-sto dagli stati occidentali. Conil passare degli anni, vista l’in-variata situazione politica inIran, molti emigrati scelsero dirimanere in America richieden-do la cittadinanza americana econsolidando così la loro pre-senza negli Stati Uniti. Ad oggi la comunità persiana inAmerica possiede numerosestazioni radio e TV locali in lin-gua Farsi (lingua persiana), unconsistente network di quoti-diani regionali e magazine divario genere e vanta numerosinomi illustri nei campi dellamedicina, scienza ed imprendi-toria tra i quali anche il fonda-tore di Ebay, Pierre Omidyar.

Persino nel campo della politi-ca non mancano esempi di au-torità di origine iraniana. GoliAmeri, per citare uno dei nomipiù noti, fa parte del Partito Re-pubblicano ed attualmente ri-copre la carica di Assistant Se-cretary of State for Educationaland Cultural Affairs. La signo-ra Ameri è nata a Tehran.Nella città di Beverly Hills, sob-borgo ricco di Los Angeles do-ve vivono le star del cinema esi fa lo shopping più caro delmondo, circa un quinto dellapopolazione è di origine irania-na. Nel 2007 Beverly Hills haeletto sindaco Jimmy Delshad,un industriale iraniano tra i piùinfluenti in California. Nonostante molti professionistidi origine iraniana abbiano de-ciso di americanizzare i loro no-mi, nelle pagine gialle di LosAngeles sotto la voce avvoca-ti, medici o ingegneri è possibi-le identificare una consistentepercentuale (circa un terzo deltotale) di origine persiana. Indowntown, il centro città di LosAngeles, la presenza persiana èevidenziata dalle scritte in Farsisulle insegne dei negozi presen-ti un po’ ovunque in alcuniquartieri ricchi del centro città.Tra i negozi non ci sono soloquelli di alimentari con prodot-ti tipici, o ristoranti persiani maanche molti bookstores (libre-rie) a testimonianza dell’alto li-vello culturale degli emigratipersiani in queste zone.

Parlando di esperienze perso-nali, il fenomeno “iraniani inAmerica” mi si è rivelato inmodo inaspettato poco dopol’arrivo a Los Angeles: il pro-prietario della casa in cui vivo,il dentista, il broker che seguei miei investimenti e così viaincludendo anche la professo-ressa di inglese e tanti altriesempi. Tra questi c’è ancheAhmad, un simpatico quaran-tenne, che prima di trasferirsia Los Angeles ha vissuto percirca 18 anni a Palermo dovesi è laureato in architettura, in-dirizzo restauro architettonico.La rivoluzione islamica del ’79che aveva portato alla rivolu-zione culturale spinse molteuniversità iraniane alla chiusu-ra in attesa di un riadeguamen-

to del sistema scolastico alnuovo regime. Era il 1980 edAhmad, per poter continuaregli studi, fu costretto a lascia-re il suo paese e trasferirsi inItalia, uno dei pochi Paesi eu-ropei a non aver chiuso le re-lazioni diplomatiche con il re-gime iraniano.Parlandomi della Sicilia, Ah-mad mi fa notare due punti incomune con il suo Paese. Il pri-mo è che entrambi sono vitti-me del pregiudizio, infatti agliocchi del mondo Sicilia fa ri-ma con “mafia” mentre Iran hauna assonanza con “terrorismoislamico” , due immaginiestremamente negative con lequali la maggior parte della po-polazione non ha nessuna asso-ciazione. Il secondo punto in

comune è l’invasione araba: ildominio arabo-islamico inSicilia dal VII al X secolo e l’in-vasione araba in Persia nel VIsecolo. Di questa dominazionei siciliani hanno ritenuto aspet-ti positivi della cultura arabacome la coltivazione del riso, lagastronomia, i sistemi di irriga-zione e l’astrologia, mentre ipersiani hanno mantenuto unrapporto di amore-odio neiconfronti del mondo arabo, ilquale ai loro occhi si rese col-pevole della caduta dell’impe-ro persiano e dello zoroastrismoa favore dell’islam. Dopo essersi laureato Ahmadavrebbe voluto far ritorno nelsuo Paese per poter esercitare lapropria professione in restauroarchitettonico ma dopo un’at-tenta valutazione della situazio-ne scelse di trasferirsi in Ame-rica. Dal 1998 Ahmad vive inCalifornia dove ha creato unsuo studio di architettura e, co-me tanti iraniani emigrati ne-gli Stati Uniti, anche lui è riu-scito ad avere successo nellapropria professione. Dell’Ame-rica ha un’opinione positiva.Secondo Ahmad uno stranieroin Italia rimane per tutta la vi-ta uno straniero, anche se havissuto nel Paese per molti an-ni. Negli Stati Uniti uno stra-niero non è altro che uno deitanti immigrati che hanno con-tribuito nei secoli alla ricchez-za di questo Paese, un america-no, per dirla in poche parole.

da Los Angeles, CLAUDIO TODESCHINI

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5 / Giugno 2008

AShiraz - “città dei poeti,delle rose, e del vino”, apochi chilometri dal-

l’antica Persepolis dei re per-siani Ciro e Dario - siamo ospi-tati nella casa di un’insegnan-te che organizza corsi di cantoe di poesia. Appena arrivati,impariamo a conoscere l’altrafaccia dell’Iran femminile. In-contriamo tantissime giovaniche vestono all’occidentale,con jeans stretti e felpe quasitrasparenti. Molte hanno nasirifatti. (È attualmente di mo-da, fra giovani iraniani, sotto-porsi alla chirurgia plastica).Dentro le mura domestiche lamaggior parte di loro non por-ta il velo nemmeno alla pre-senza di stranieri maschi. Neiluoghi pubblici si accontenta-no di rispettare la legge vesten-do un copricapo leggero e colo-rato che lascia scoperta buonaparte dei capelli. Tuttavia, lochador (vestito nero che lasciascoperto solo il viso) è tuttoral’indumento tradizionale delledonne iraniane, soprattuttonelle città di provincia ma an-che nei quartieri meno agiatidi Tehran e Isfahan.

Sarà un paradosso, ma c’èchi afferma che propriol’obbligo legale di porta-

re il velo, che nella maggiorparte dei Paesi musulmani nonesiste, ha permesso alle donneiraniane di emanciparsi. Giàdal 1963 hanno il diritto di vo-to e oggigiorno sono in mag-gioranza nelle università. Senei Paesi arabi i ristoranti so-no occupati quasi esclusiva-mente dai maschi, basta usci-re, la sera, in un qualsiasi risto-rante iraniano per vedere tan-te donne, talvolta senza alcu-na presenza maschile. Per stra-da o sugli autobus interurbanicapita spesso che giovani don-ne si rivolgono al turista ma-schio, per curiosità, per scam-biare qualche parola in inglese,per conoscere l’Altro.

IL VENTO CONSERVATOREGuai però a tirare conclusio-ni generali da osservazionibrevi e sommarie che un visi-tatore può raccogliere in qual-che giorno e che rimangononecessariamente parziali e sog-gettive. L’Iran è pur sempreuno Stato totalitario. Dopo laparentesi relativamente libe-

autorità di polizia che construmenti molto sofisticati sor-vegliano gli sms. “Mi è capita-to di organizzare delle cene incasa mia con amici iraniani. Co-me membro del corpo diploma-tico non avevo problemi a tene-re e a consumare alcol. E sape-vo che ognuno di questi amici,quando era da solo con me, be-veva. Ma in presenza di altrinessuno accetta un bicchiere divino”, ricorda un diplomaticooccidentale. Ciononostante

sorprende che molta gente in-contrata per strada, sull’autobuso in ristorante, dopo poche fra-si comincia a criticare aperta-mente il governo. Il quale,quindi, sembra essere molto im-popolare. Ma non va dimenti-

cato che nel 2005 Ahmadi-nejad ha raccolto il 62% dei vo-ti e che con ogni probabilitàverrà rieletto nel 2009.

*Tutti i nomi sono stati modificati.

rale del presidente Khatami,durata otto anni (1997-2005),con l’elezione di Mahmud Ah-madinejad alla presidenza ètornato a soffiare un vento po-litico più conservatore. Quasitutti hanno un cellulare, maquando un gruppo di giovanidi Tehran vuole organizzareuna festa privata, magari conmusica occidentale e un po’ dialcol, deve inventarsi messag-gi in codice o altri metodi peraggirare il “grande fratello”, le

Vista da lontano, la cupola potreb-be essere quella di una moschea, omagari il tetto di un palazzo signo-

rile. Man mano che ci si avvicina ci sirende però conto che l’apparenza ingan-na: la croce posta in alto alla cupola se-gnala che si tratta di un luogo di cultocristiano, uno fra tanti - lo avremmo sco-perto più tardi - che si trovano in questoPaese che fino al 1935 si chiamava Persia. La Cattedrale di Vank è una fra tredicichiese armeno-ortodosse situate nel quar-tiere di Jolfa (o Julfa), a Isfahan (o Esfa-han), la città dei ponti, forse la più bellafra le città iraniane (non a caso è gemel-lata con Firenze). All’interno della catte-drale si rimane colpiti dalla quantità e laqualità degli affreschi, mentre all’esternosi erige un bel campanile rettangolare.Il quartiere porta il nome dell’omonimoluogo al nord del Paese, vicino alla fron-tiera con l’Armenia. È da lì che nel 1605oltre 30.000 armeni, conosciuti per il lo-ro talento artigianale e commerciale, fu-rono trasferiti a Isfahan dallo Scià per-siano Abbas. Il sovrano garantì agli ar-meni libertà di culto nonché forme diautonomia comunitaria. Lo testimonia-no diversi documenti oggi esposti nelmuseo adiacente alla cattedrale. Lo vi-sitiamo assieme a una scolaresca musul-mana, sotto lo sguardo onnipresente del-l’Imam Khomeini che ci osserva da unapiccola fotografia posta sopra l’entrata.“È del tutto normale che bambini musul-mani vengano a vedere la cattedrale e il mu-seo, così come i nostri bambini visitano lemoschee”, ci dice una signora armena cheincontriamo nell’edificio.

“Noi siamo diversi”Non tutte le chiese sono facilmente re-peribili. Quelle più piccole, come laChiesa di San Nicola, sono nascoste die-tro le mura e bisogna rivolgersi a qualcu-no del quartiere per accedervi. Oggi la co-munità armena di Isfahan conta circa 6-

8.000 anime. In tutto l’Iran ci sarebberooltre 200.000 armeni, soprattutto aTehran, ma le cifre non sono sempre at-tendibili (alcune fonti parlano di 100.000altre di 400.000 persone). Una piccolaminoranza, quindi, visto che in tutto ilPaese vivono quasi 70 milioni di perso-ne. La legge garantisce loro una presen-za in Parlamento (due seggi), così comead altre tre minoranze religiose ricono-sciute (la comunità ebraica, assiriana e zo-roastriana hanno, ciascuna, un seggio).Gli armeni hanno mantenuto la proprialingua e la scrittura, le scuole e le asso-ciazioni. La pressione sociale, fortissima,di fatto esclude matrimoni con i musul-mani. Malgrado il divieto assoluto di con-sumare alcol, le autorità chiudono un oc-chio se sono cristiani o ebrei a farlo. “Manon abbiamo sempre le stesse chances di ot-tenere un posto di lavoro nell’amministrazio-ne pubblica”, osserva Vartan*, un commer-ciante armeno sulla cinquantina che ciaccompagna per le strade di Jolfa. Dopola rivoluzione islamica del 1979 moltihanno deciso di emigrare. “Qui quasi tut-

ti i giovani educati sognano di andare in Oc-cidente”, ci dirà qualche giorno più tardiKarim, un giovane che incontriamo aYazd, affascinante città con torri del ven-to, vicinissima al deserto. In Iran basta po-co - un incontro casuale, una breve con-versazione - per essere invitati in una ca-sa a mangiare e/o a dormire. Trascorriamola serata da una famiglia armena. Menutradizionale iraniano: kebab e riso. Ci of-frono anche del vino e del whisky. Sulbalcone scorgiamo un’antenna satellita-re, un po’ nascosta ma funzionale. In teo-ria i cittadini iraniani non potrebberoaverle, ma anche in questo caso le auto-rità chiudono un occhio. Per la famigliaarmena questa è la finestra sul mondo.“Avete notato che siamo diversi dai musul-mani?”, ci chiedono i nostri ospiti. Ci ten-gono ad apparire più “occidentali” ai no-stri occhi. Mi viene in mente l’espressio-ne “narcisismo delle piccole differenze” chel’intellettuale canadese Michael Ignatieffha coniato con riferimento ai Balcani. Piùci si somiglia, più si cercano le minimedifferenze per essere diversi dagli altri.

La vita concreta oltre le apparenzeSOTTO L’OCCHIO DEL FONDAMENTALISMO

Qui Irancon vista

sull’OccidenteDa Tehran NENAD STOJANOVIC - Foto LISA SCHÄDEL

Cattedrale di Vank

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6 / Giugno 2008

Si compiranno il prossimo 10 di-cembre i sessant’anni del varo del-la “Dichiarazione universale dei di-

ritti dell’uomo” da parte della assembleadelle Nazioni Unite, con il sì di qua-rantotto Stati. Prima di tale data, e incoincidenza con la stessa, non manche-ranno altre manifestazioni celebrativedel documento che, in un compendioe in un arricchimento di “Carte” pre-cedenti di varie epoche e provenienze,per la prima volta in forma organicaenunciò i principi dell’uguaglianza tragli individui e dell’irrinunciabilità delloro rispetto e proclamò le libertà, a cia-scuno spettanti, di pensiero, di parola, diopinione, di azione, di domicilio, di as-sociazione; libertà da abbinare ai dirit-ti al lavoro, al riposo, alla sicurezza, al-l’assistenza in caso di bisogno. Difficil-mente però si potrà trovare - per il ri-chiamo e la sottolineatura dei conte-

nuti del basilare pronunciamento del1948 a New York - una voce più autore-vole e più credibile di quella del Pon-tefice romano. Il 18 aprile scorso Bene-detto XVI si è presentato alla tribunadel Palazzo di vetro, in un’aula gremitadai circa tremila rappresentanti dei 192Stati che attualmente aderiscono all’O-NU, sostenuto dall’opera prodigata daisuoi predecessori per ottenere la tradu-zione nelle realtà quotidiane di ogni ti-po e latitudine degli articoli che com-pongono la “Dichiarazione”. Pio XII e Giovanni XXIII agirono dalVaticano. Paolo VI e Giovanni Paolo IIandarono personalmente anche a NewYork per farsi interpreti delle attese pri-marie, delle “spettanze” di ogni uomo.Giovanni Battista Montini vi parlò nel1965. Karol Wojtyla vi arrivò una pri-ma volta nel 1979 e vi tornò nel 1995.Joseph Ratzinger nel suo intervento di

alcune settimane or sono ha dato at-to alle Nazioni Unite del lavoro svol-to e che stanno svolgendo per la “co-struzione del bene comune” a favore del-la intera umanità intesa come “fami-glia di popoli”. Ma non si è trattenutodal segnalare “l’evidente paradosso di uncontesto multilaterale che continua a es-sere in crisi a causa della sua subordina-zione alle decisioni di pochi, mentre i pro-blemi del mondo esigono da parte della co-munità internazionale iniziative sottoforma di azione comune”.Il Papa ha richiamato l’attenzione diquanti lo stavano ascoltando sulla situa-zione dei Paesi poveri “che rimangono aimargini di un autentico sviluppo integralee sono perciò a rischio di sperimentare so-lo gli effetti negativi della globalizzazione”.Il Pontefice ha messo due sfide sui ta-voli dell’Onu, affidandole alla buonavolontà di tutti gli Stati che la forma-

no: la sfida in una “protezione” globaledella umanità e la sfida della piena ga-ranzia della libertà religiosa. Approfon-dendo il concetto della “responsabilità diproteggere”, entrato in auge soprattuttodopo il 2001, Benedetto XVI ha tra l’al-tro affermato: “Ogni Stato ha il diritto pri-mario di proteggere la propria popolazioneda violazioni gravi e continue dei dirittiumani, come pure dalle conseguenze del-le crisi umanitarie provocate sia dalla na-tura sia dall’uomo. Se gli Stati - ha pro-seguito - non sono in grado di garantire si-mile protezione, deve intervenire la comu-nità internazionale”. Joseph Ratzinger,con la pacatezza di toni e con l’incisi-vità delle argomentazioni che caratte-rizzano sempre i suoi discorsi, ha ammo-nito che “la promozione dei diritti umanirimane la strategia più efficace per elimi-nare le diseguaglianze tra Paesi e gruppi so-ciali, come per accrescere la sicurezza”.

Il viaggio della riconciliazione

Due sfide messe dal Papa sui tavoli dell’ONU“

Assai prima e assai più cheper l’inconsueta, ecce-zionale festa genetliaca

alla Casa Bianca, che ne haconnotato gli inizi, il viaggio diBenedetto XVI negli Stati Uni-ti ha avuto spicco nei media perla grave questione della pedo-filia nell’ambito ecclesiale cla-morosamente esplosa da quelleparti alcuni anni or sono e tut-tora molto viva nell’opinionepubblica USA. Il Papa l’ha af-frontata più volte apertamente;con schiettezza e risolutezza,senza cercare attenuanti o scap-patoie: e tale atteggiamento hafortemente inciso sul “pieno suc-cesso” della sua visita, sulla sua“conquista dell’America”.Ratzinger ha parlato di “profon-da vergogna”, di “grande sofferen-za per la Chiesa statunitense, perla Chiesa in generale e per lui per-sonalmente”: “I pedofili - ha pun-tualizzato - sono assolutamente in-compatibili con il sacerdozio”. Nel-l’incontro con gli oltre 450 ve-scovi dell’immenso Paese nonha esitato ad affermare che la si-tuazione “talvolta è stata gestita inmaniera pessima”. Ha ricordatoi provvedimenti poi scattati, lemisure di prevenzione applica-te nella convinzione che “è im-portante avere buoni preti piutto-sto che avere molti preti”. Ha in-contrato personalmente ungruppo di vittime degli abusi pertestimoniare la condivisionedelle loro sofferenze. Ha viva-mente esortato la Chiesa ame-ricana tutta a vivere questo mo-mento come “tempo di purifica-zione, di guarigione” dallo scan-dalo dei preti pedofili e di pie-no rilancio della sua positivapresenza nella società.Attualmente negli Stati Uniti icattolici sono una settantina dimilioni (20 milioni in più rispet-to a 30 anni fa: soprattutto l’im-migrazione ispanica ha contri-buito all’incremento). Sono

gurano benedicente sono anda-ti a ruba tra i 45 mila fedeli pre-senti nel National Park Stadiumdi Washington e tra gli oltre 60mila assiepati nel mitico YankeeStadium (per il baseball) diNew York (sede, quest’ultimo, il20 aprile scorso, alla domenicapomeriggio, della celebrazioneche ha concluso il “viaggio apo-stolico”). Foltissima è stata l’ade-sione pure a tutti gli altri incon-tri. Di fronte ai rappresentanti didiverse religioni il Papa romanoha elogiato l’America dalle mol-te anime, nella quale “giovani cri-stiani, ebrei, musulmani, indù,buddisti siedono fianco a fianco,imparando gli uni con gli altri e gliuni dagli altri”. Nell’insistere sul-la necessità e sulla importanzadel dialogo ha però fatto questaannotazione: “Cari amici, nel no-stro tentativo di scoprire i punti dicomunanza forse abbiamo evitatola responsabilità di discutere le no-stre differenze con calma e chiarez-za”. Ha riservato un saluto spe-ciale, in sede separata, ai “fratel-li e sorelle ebrei” - dei quali ha vi-sitato pure una sinagoga - nellaimminenza della loro Pasqua.Alla vastità della risonanza deldiscorso di Benedetto XVI da-vanti all’assemblea delle Nazio-ni Unite nella ricorrenza del ses-santennale della “Dichiarazionedei diritti dell’uomo” si sono intrec-ciate le intense emozioni desta-te dalla sua preghiera nel crate-re a Ground Zero, nel luogo cioèove a New York sorgevano le tor-ri gemelle investite dall’atto ter-roristico compiuto l’11 settembredel 2001. Nel ricordo delle 2.974vittime di quell’eccidio, che se-gnò una svolta nella storia nonsoltanto degli Stati Uniti ma delmondo intero, il Papa, attornia-to da 28 persone in rappresen-tanza della metropoli, dei super-stiti e delle famiglie degli scom-parsi, si è commosso, si è inginoc-chiato e ha pregato.

MARIO COLLARINI

Preghiera a Ground ZeroO Dio dell’amore, della compassione e della ri-conciliazione, rivolgi il Tuo sguardo su di noi, po-polo di molte fedi e tradizioni diverse, che siamoriuniti oggi in questo luogo, scenario di incredi-bile violenza e dolore.Ti chiediamo nella Tua bontà di concedere lucee pace eterna a tutti coloro che sono morti in que-sto luogo, i primi eroici soccorritori insieme a tut-ti gli uomini e le donne innocenti, vittime di que-sta tragedia solo perché il loro lavoro e il loro ser-vizio li ha portati qui l’11 settembre 2001.Ti chiediamo, nella Tua compassione di portarela guarigione a coloro i quali, a causa della loropresenza qui, in quel giorno, soffrono per le le-sioni e la malattia.Guarisci anche la sofferenza delle famiglie anco-ra in luogo e di quanti hanno perso persone carein questa tragedia.Concedi loro la forza di continuare a vivere concoraggio e speranza.Ricordiamo anche coloro che hanno trovato la

morte, i feriti e quanti hanno perso i loro cari inquello stesso giorno al Pentagono e a Shanksville,in Pennsylvania.I nostri cuori si uniscono ai loro mentre la nostra pre-ghiera abbraccia il loro dolore e la loro sofferenza. Dio della pace, porta la Tua pace nel nostro mon-do violento: pace nei cuori di tutti gli uomini e ledonne e pace tra le nazioni della terra.Volgi verso il Tuo cammino di amore coloro chehanno il cuore e la mente consumati dall’odio.Dio della comprensione, sopraffatti dalla dimen-sione immane di questa tragedia, cerchiamo la Tualuce e la Tua guida mentre siamo davanti ad even-ti così tremendi.Concedi a coloro, le cui vite sono state risparmia-te, di poter vivere in modo che le vite perdute quinon siano state perdute invano.Confortaci e consolaci, rafforzaci nella speranza econcedici la saggezza e il coraggio di lavorare instan-cabilmente per un mondo in cui pace e amore au-tentici regnino tra le nazioni e nei cuori di tutti.

“praticanti” più degli europei (il40%, tra loro, va a Messa tuttele domeniche). Si sentono “im-pegnati” per la loro fede, ma innotevole numero sono pure “im-prevedibili” nei loro atteggia-menti, nel senso che su certe te-matiche (aborto, divorzio, penadi morte, omosessualità) nonsempre collimano con le posizio-ni della gerarchia. Nell’insiemecomunque il cattolicesimo ame-ricano viene giudicato “vibran-

te ed eticamente sano”. Ci sonoparrocchie in difficoltà (ancheper la mancanza di sacerdoti);ma molto efficienti e possonocontare su un notevolissimonumero di collaboratori e di lai-ci (tante le donne) pronti a pro-digarsi nelle iniziative formative,assistenziali, pastorali ma anchenelle attività amministrative.In questo “popolo di Dio” abba-stanza “inquieto”, esposto a fre-quenti cambiamenti, Benedetto

XVI da Washington e da NewYork - ossia dalle uniche due me-tropoli nelle quali ha messo pie-de - ha lanciato il suo messaggio,incontrando una rilevatissima ri-spondenza. Dopo il rito presie-duto nella cattedrale di StPatrick - dove ha stimolato a“promuovere e a proteggere la vi-ta” - il Papa ha percorso la Quin-ta Strada tra folle plaudenti.Cappellini e tazze con la sua im-magine e statuette che lo raffi-

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7 / Giugno 2008

Le violenze scoppiate nel mese dimarzo in Tibet, tra dimostrantianti-Pechino e le forze di sicurez-

za cinesi, hanno avuto una immediataripercussione sull’Unione Europea. Co-me se ce ne fosse stato bisogno, la de-licata situazione nella regione - sottooccupazione militare cinese dal 1950 esottoposta ad un intenso processo di ci-nesizzazione - ha aggiunto un altro ele-mento di complicazione ai rapporti, giàdi per sé molto complessi, tra il vecchiocontinente ed il gigante giallo.La reazione di Bruxelles alle violenze èstata criticata da più parti come troppoindulgente nei confronti di Pechino: laCommissione ha espresso rammarico epoi condanna per le violenze, ha invi-tato tutte le parti ad esercitare la mas-sima calma (in quello che è sembrato unmettere sullo stesso piano i monaci di-sarmati e le truppe di un esercito vastoe potente) ma non ha mai minacciatocontromisure. Ed in particolare si è guar-data bene dal parlare di boicottaggio deigiochi olimpici che si svolgeranno aPechino in agosto. Senza mostrare alcuntentennamento, l’alto rappresentantedella politica estera europea Solana haannunciato ai giornalisti: “io alla cerimo-nia di apertura intendo esserci”. Pochi gior-ni dopo il presidente francese Nicolas

Sarkozy ha lasciato planare l’ipotesi diun boicottaggio (non dei giochi, solodella cerimonia di apertura), ma pocotempo dopo ha corretto il tiro. Solo ilparlamento europeo ha chiesto di lascia-re aperta la porta al boicottaggio, mal’aula di Strasburgo in queste materienon ha praticamente potere.

Il calcolo della Commissione è sem-plice: non soltanto la Cina è un part-ner commerciale sempre più impor-

tante (gli scambi aumentano al ritmoimpressionante di un +20-25% l’anno),ma il paese - un tempo arretrato e chiu-so su se stesso - è diventato ormai unfattore di politica estera che non può es-sere trascurato. Quando manifestazioniper la democrazia sono scoppiate inBirmania contro la giunta militare alpotere (e anche in questo caso i mona-ci buddisti hanno giocato un ruolo fon-damentale), l’Europa ha chiesto aiutoalla Cina, perché è Pechino uno dei so-stenitori principali del regime diRangoon. Ma l’ombra della tigre cine-se si staglia ormai ben oltre i già vasticonfini dell’Asia: in Africa i cinesi so-no sbarcati in massa, offrendo prodot-ti sempre meno scadenti e a buon mer-cato, ma soprattutto la disponibilità divasti capitali per investimenti. Con un

grande vantaggio, per i leaders dei pae-si in questione: Pechino non si fa scru-poli democratici, non condiziona il pro-prio sostegno alla promozione dei dirit-ti umani, tutto ciò che la leadership ci-nese vuole è conquistare mercati per lapropria irresistibile crescita economica.

La Cina ha tutta la liquidità chevuole: per anni ha esportato mol-to più di quanto importasse: fino

a poco tempo fa il valore delle esporta-zioni dell’UE in Cina - oltre un miliar-do e trecento milioni di abitanti - equi-valeva grosso modo a quello delleesportazioni in Svizzera, che di abitan-ti ne ha sette milioni. La bilancia ame-ricana è sbilanciata soprattutto verso laCina. Ma i cinesi hanno fatto di meglio:con i soldi guadagnati hanno compera-to i titoli del debito americano. In bre-ve il remimbi, la valuta ufficiale cinese,è diventato un protagonista di primopiano del mercato valutario mondiale.Come nel caso del dollaro, la sua valu-tazione nei confronti dell’euro è parti-colarmente bassa, e ciò rende le espor-tazioni europee ancora più difficili.Ma non è tutto: la Cina deve essere in-vitata al tavolo ogni volta che si voglio-no discutere temi seriamente planetari,come la lotta al cambiamento climati-

co. Sono le centrali elettriche cinesi,quasi tutte a carbone, a rilasciare ton-nellate di anidride carbonica per soddi-sfare l’inesauribile fame di energia delpaese. Tuttavia, è imbarazzante chiede-re a Pechino di “contenersi” quando fi-no a ieri sono stati i paesi occidentali aconsumare in lungo e in largo senzapreoccuparsi dell’effetto serra. Anche lacrisi alimentare degli ultimi mesi, con ilrepentino aumento dei prezzi degli ali-menti, è da imputarsi in parte anche agliaumentati consumi del paese. Quando laCina ha deciso la distribuzione gratuitadi un bicchiere di latte al giorno nellescuole di tutto il paese, il prezzo mondia-le del latte è immediatamente salito, an-che in Europa. Per tutti questi motiviBruxelles ritiene che con Pechino siameglio discutere che litigare. La strate-gia potrebbe avere dato qualche frutto,visto che la Cina ha annunciato di vo-ler prendere contatti con il Dalai Lama,dopo averlo ignorato e demonizzato peranni. Lo ha fatto mentre nel paese erain corso una visita ufficiale della Com-missione europea: ben 8 commissari im-portanti, guidati dal presidente Barroso.Non capita spesso che una delegazioneeuropea in visita all’estero sia così nutri-ta e di alto livello. Anche questo è unsegno dei tempi.

Con PECHINO meglio TRATTARELa politica davanti agli scenari aperti dalle Olimpiadi di agosto“

con Luca Collecchiaqui Bruxelles

Le urne si sono chiuse, i ri-sultati sono noti e vinti evincitori appaiono ben

delineati: senza ambiguità disorta, stavolta. Spazzati via ipartitini minori, finalmente si èsemplificata la rappresentanzapolitica ridotta, essenzialmen-te, a tre componenti: il vincen-te Partito del Popolo della Li-bertà (che fa capo Berlusconi,Fini e Bossi) e i perdenti Parti-to Democratico (Veltroni-DiPietro) e Unione Democraticadi Centro (Casini). E questo è,senza ombra di dubbio, un fat-to positivo perché significa lafine del potere di ricatto eser-citata da esigue minoranze,gruppuscoli, signori del voto lo-cale e così via. Detto questo, igrandi problemi che affliggonol’Italia - a livello internaziona-le e nazionale - restano, comun-que, drammaticamente irrisol-ti: e devono essere, obbligato-riamente, risolti.

Dal punto di vista inter-nazionale, l’Italia devefronteggiare una diffusa

instabilità. È una instabilità ra-dicale che vede l’assenza di unaassetto ordinato del mondo: si-mile, per intenderci, a quello

che caratterizzava il mondo al-l’epoca della tanto vituperataguerra fredda. Il suo epicentroè negli Stati Uniti i quali vivo-no una crisi economica e politi-ca di non poco rilievo. Strettida un lato da una devastantecongiuntura economica (unenorme debito pubblico, dete-nuto per circa il 40% dalla Ci-na) e dall’altro da una diminui-ta credibilità internazionale (ba-sta pensare alle guerre), gliUSA oscillano tra una confusapolitica di potenza e una inca-pacità decisionale che sfuma inuna vera e propria impotenza.Ciò pone tutti i suoi alleati nel-le condizioni di dover interveni-re, in qualche modo, per fron-teggiare sia il disastro economi-co che si sta, progressivamente,estendendo sia la conseguentecrisi di credibilità. Ciò richiededecisioni importanti e radicali.Sono decisioni in cui fonda-mentale sarà il ruolo dell’Euro-pa e dei paesi che fanno parte:l’Italia, per prima. Significa, al-tresì, che bisogna costruire, real-mente, una politica europeacredibile e autonoma, un siste-ma di alleanze intelligenti eaperte (con una svolta, ad esem-pio, nella politica verso la Rus-

sia) e una equilibrata presa didistanza dalla politica statuni-tense. Politica che - negli ultimitempi - ha solo provocato de-stabilizzazioni a catena: in tuttolo scacchiere mondiale. A ciòsi deve aggiungere l’impegno -sempre più pressante - ad agirenella direzione di colmare il di-vario tra paesi poveri e ricchi.

Ma non meno rilevantisono i problemi na-zionali che urgono, da

tempo, senza mai aver ricevutouna risposta adeguata. E qui l’e-lenco rischia di essere lunghis-simo. Si tratta di dare in pri-mo luogo fiducia a una citta-dinanza stanca della politica,delusa dai politici e sempre piùscettica sul valore di una de-mocrazia inidonea a risolverei problemi che si profilano al-l’orizzonte. Ma si tratta di af-frontare anche - con estremorealismo e celere pragmatismo- le difficoltà economiche chestanno impoverendo l’Italia,facendone sempre più un pae-se del Terzo Mondo. E a ciò siaggiungono, a cascata, tutti gli

altri problemi: dall’emergenzarifiuti in Campania (e altrove)al funzionamento del sistemasanitario, dalla riforma eletto-rale a quella pensionistica, dalfederalismo al potenziamentodelle linee di comunicazione(la TAV prima di tutto), dallasicurezza sul lavoro e nelle cittàalla disoccupazione, dalla scuo-la sino all’energia, passando perl’Alitalia e la scuola. E così via.Come si vede c’è, veramente,da rimboccarsi le maniche.Tuttavia, sembra proprio giun-to il momento in cui la dirigen-za politica e la opposizione usci-ti dalle elezioni debbano “met-tersi in gioco”: debbano “rim-boccarsi le maniche” e lavorareper il bene comune. Gli eletto-ri hanno richiesto in manierapressante e ultimativa - con lostrumento del voto - che il go-verno futuro sia all’altezza del-le necessità presenti, offrendorisposte chiare, precise e re-sponsabili. Hanno chiesto l’im-pegno di tutti gli eletti ad esse-re degni della fiducia loro ac-cordata, intervenendo sul tes-suto sociale malato dell’Italia

con le cure appropriate: al finedi guarirlo. Nessuno si illudeche ciò sia indolore, che nonsiano richiesti sacrifici. Si vuo-le, però, che questi inevitabilisacrifici siano richiesti senzaipocrisie, strategie elusive ofinzioni, ma con la durezza dichi ha un progetto, una strate-gia e una meta raggiungibile. Esoprattutto con la convinzionedi dover dare l’esempio. Per an-ni, si è colpevolmente tergiver-sato - da parte di tutte le forzepolitiche e i politici - dietro idistinguo, le ideologie, i picco-li interessi di gruppo, i vantag-gi individuali, i sogni, le illusio-ni: in buona o in cattiva fede.Oggi, è il momento di decisio-ni meditate, impegnative e co-raggiose in cui i nuovi politicidevono dimostrare ciò che so-no veramente: come uomini ecome cittadini. Devono lascia-re dietro di sé il ricordo di una“casta” di burocrati, affaristi eprofittatori per accreditarsi co-me onesti, leali, sinceri servito-ri del paese. Questo gli italianilo vogliono e lo pretendono.

Claudio BonvecchioDocente di Filosofia delle Scienze

Sociali all’Università di Varese

SENZA PIÙ SCONTI

Un Paeseda riformare

Tutto come ampiamente previsto:

Berlusconi trionfatore con

la sua coalizione e con la Lega

che ha fatto…boom. Ora si tratta

di governare senza più scuse.

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8 / Giugno 2008

La cosa che più mi ha rat-tristato della scorsa cam-pagna elettorale è che

nessuno degli schieramenti inlizza ha detto una parola che èuna sul problema per eccellen-za del nostro Paese, quello del-la scuola. Possibile che nessu-no dei candidati al governoavesse a cuore la qualità cultu-rale della nostra scuola? Possi-bile che, tra i tanti discorsi sulfuturo della nazione, l’impor-tanza della scuola non abbiatrovato alcuna considerazione?In mancanza di idee proprie inproposito, i nostri candidatiavrebbero potuto prendere l’e-

Bulli e bullismo, una storiaquasi infinita di cui sicontinua a parlare e su

cui si sprecano convegni, dibat-titi e pubblicazioni, compresaquella che mi è appena arrivatasott’occhio, dal titolo “I bullinon sanno litigare”.Titolo che mi sembra partico-larmente azzeccato, perché sepenso alla mia infanzia ed allamia fanciullezza, di litigate nericordo tante, mentre non ricor-do che ci fossero in giro tantibulli e tanto bullismo. Meglio,qualche ragazzo un po’ prepo-tente e presuntuoso c’era ancheallora, ma veniva subito neutra-lizzato dal resto del gruppo.Voglio dire che dappertutto - ascuola, all’oratorio, nei gruppiche si formavanoper giocare nellacontrada, oppurenei prati le sered’estate, finita lafienagione - sec’era qualcunoche alzava un po’troppo la cresta esi metteva a fare“il di più” venivasubito messo alsuo posto da tutti gli altri: loignoravamo, lo guardavamomale, lo lasciavamo solo, loescludevamo dal gioco. E nonc’era bisogno che intervenissequalcuno di adulto - un genito-re, un docente, il curato - an-che perché sapevamo bene chei “grandi” ci avrebbero castiga-ti tutti senza stare ad accertaretorti e ragioni (non come ades-so che i genitori prendono sem-pre le parti dei loro figli anchequando si comportano male):insomma ci arrangiavamo dasoli, a noi interessava giocare insanta pace e quindi chi non sta-va alle regole veniva “attacca-to” dal gruppo proprio come glianticorpi attaccano i virus del-le malattie.

Non che fossimo dei santarel-lini, intendiamoci; anzi, forseeravamo più monelli rispetto aibambini di oggi, ci divertivamoanche a fare dispetti e scherzinon sempre graditi, andavamoa giocare anche in posti che og-gi sarebbero ritenuti pericolosi- i torrenti, le grotte, le galleriedismesse dai minatori - con i ra-gazzi del paese confinante colnostro a volte facevamo persi-no a sassate, lanciandocele a vi-cenda da un versante all’altrodella valle… Ma non succede-va mai niente di veramente gra-ve, anche perché i capi-bandasapevano bene quali erano i li-miti e quand’era il momento dismetterla, magari scappando agambe levate… Sì, perché for-

mavamo dellebande, un po’ sultipo di quelle de “Iragazzi della viaPaal”, con tanto diterritorio che lebande rivali siguardavano benedall’occupare, an-che perché a no-stra volta noi ri-spettavamo il loro.

Le liti c’erano eccome, ma nonesisteva proprio che qualcunovenisse aggredito da più ragazzi,come succede coi bulli di oggi:i litiganti dovevano lottare ad ar-mi pari, le regole, seppur nonscritte, erano ferree e guai a nonrispettarle: la pena era l’esclusio-ne dal gruppo con il marchio del“rognino” o del “vigliacco”, mar-chi infamanti quanto mai. Ecco, io credo proprio che ilbullismo sia cresciuto e dilaga-to da quando un certo sistemadi vita ha tolto ai bambini ed airagazzi la possibilità di stare ingruppo, rubando loro gli spazied i tempi necessari. Forse la so-luzione sarebbe proprio questa:restituire ai ragazzi i posti e iltempo per giocare insieme.

sempio, il buon esempio, daifrancesi: già nel 2006 sia Nico-las Sarkozy che la sua avversa-ria Segolène Royal avevanomesso la scuola al centro del-la loro campagna elettorale,mentre alcuni mesi fa, duran-te una sua visita alla cittadinadi Perigueux, il presidenteSarkozy ha enunciato una se-rie di principi ai quali adegua-re i programmi del prossimoanno scolastico. Il Presidenteha anche annunciato di volerpassare subito ai fatti, perché“già dai primi anni di scuola ci sigioca il futuro dei bambini e del-l’intera nazione”.

Si partirà dalla scuola maternain cui si dovrà apprendere lalingua parlata, perché i bambi-ni in età prescolare non sonotroppo piccoli per cominciare a“parlare correttamente”.Per la scuola primaria, Sarkozyindica “l’apprendimento del fran-cese basato sulla sua ricchezza les-sicale, che è strumento di libertà;dell’ortografia che tiene in piedi lalingua e della grammatica che è l’i-nizio di ogni pensiero, comincian-do da soggetto, verbo e comple-mento”. Anche l’abbandonodell’insegnamento morale nontrova il favore del Presidente: sidovrà dunque tornare “all’ap-prendimento delle regole del buoncomportamento, alla conoscenzaed al rispetto dei valori e degli em-blemi della Repubblica, alla cono-scenza delle regole elementari del-la vita pubblica, evitando anchequalsiasi forma gergale nella for-mulazione dei programmi e nel lin-guaggio dei docenti”.La mancanza delle strutturelinguistiche e le carenze di lo-gica si riflettono poi inevitabil-mente sull’apprendimento del-la matematica, disciplina per laquale, com’è noto, gli studen-ti italiani sono tra i peggiori delmondo.L’altro punto di forza della ri-forma voluta da Sarkozy riguar-da la valutazione dei docenti: laloro capacità verrà d’ora in poivalutata ogni due anni, e nonsulla base di documenti burocra-tici, ma sui progressi fatti dagliscolari e dagli studenti loro af-fidati. Certo, lo so bene che par-lare di valutazione dei docenti,in un Paese in cui la scuola è pertanti versi un serbatoio controla disoccupazione e quindi il re-gno dei sindacati, è una speciedi bestemmia. Ma credo che difronte ad adolescenti “normali”che non sanno formulare decen-temente un pensiero che è uno,dovremmo tutti sentirci un po’in colpa. E chi ci governa ancheun po’ di più.

Bulli e monelli,una bella differenza

Nelle corsie degli ospedali del nostro Paesele donne-medico sono sempre più numero-se: le laureate in medicina, fino a pochi de-cenni fa una sparuta minoranza, sono ora ol-tre il 50%. Le statistiche dicono che le stu-dentesse di medicina sono quelle più in re-gola con gli esami, quelle più motivate e pre-parate: spesso bagnano il naso ai colleghi eterminano prima gli studi, per cui si preve-de che tra poco i medici in rosa in Italia sa-ranno l’80%. Però… C’è il solito però: quan-do si arriva ai vertici le cose cambiano bru-scamente: solo il 5% delle donne medicoraggiunge livelli elevati di carriera, prima-riati, cattedre universitarie e presidenze disocietà scientifiche. Il solito “soffitto di ve-tro”, ben rappresentato anche dalle istitu-zioni sanitarie in cui continuano - purtrop-po? - a comandare gli uomini.

Tante e brave, però…

GISELDA BRUNI

Ci ha provato un coraggioso fornaio di Fro-sinone a lottare contro il caro-prezzi del pane,vendendolo a 1 euro al chilo. Ma le panetterierivali lo hanno costretto a fare marcia indietro.Ora lo vende a 1 euro e mezzo, che è sempremeno rispetto ai concorrenti più economici del-la sua città.Il prezzo del pane continua a fardiscutere: i consumatori chiedono di calmierar-lo e i panificatori, incolpando i rincari della fa-rina, dicono che non è possibile. Ma qualcosasi sta muovendo, alcuni panificatori hanno ab-bassato i prezzi: a Milano la quarta settimanadel mese, quella in cui gli stipendi delle fami-glie sono agli sgoccioli, il pane comune costa 3euro al chilo. Come Pierino, pongo la doman-da dell’ingenuo: ma perché, se i panificatorivendono a questo prezzo una volta al mese- pre-sumibilmente senza rimetterci - non lo fannoanche tutti gli altri giorni?

Caro, carissimo pane

Bella l’idea di un’associazione di insegnan-ti inglesi: di fronte alla realtà di troppi bam-bini infelici, insoddisfatti ed ansiosi - e se-condo l’ultimo rapporto dell’United NationChildren’s Found i bimbi inglesi lo sono piùdei loro coetanei europei - hanno pensatoche molto di questo disagio dipenda dallaquantità dei compiti che devono fare a ca-sa, perciò hanno proposto di ridurli o addi-rittura di abolirli del tutto. Può darsi che al-la base dell’infelicità di tanta parte della nuo-vissima generazione inglese ci siano altri mo-tivi - famiglie assenti, insegnanti poco pre-parati, programmi scolastici inadeguati - ma,sempre secondo l’associazione citata, glialunni dovrebbero avere più tempo per gio-care, per esplorare, per sperimentare. Parolesante! Speriamo che siano seguite dai fatti,e non solo in Inghilterra.

I compiti rendono infelici

Un antidoto ai troppiepisodi di violenza trale bande dei ragazzi,

sarebbe quello di restituire loro spazi e tempo per giocare

Tra i banchi il futuro di un Paese

Una cura alla francese

Sua Maestà Messner

Èil re riconosciuto delle alte quote. Gli ottomila sonostati tutti ai suoi piedi. Un sovrano delle cime. La cate-na dell’Himalaya gli appartiene di diritto e tutti si inchi-

nano alla sua grandezza di alpinista che ha sfidato l’impossibi-le. Sopra di lui c’è stato davvero soltanto il cielo. E lui è SuaMaestà Reinhold Messner, professione dominatore. I libri suquesto uomo che ha scosso anche le sensibilità e le coscienze,mobilitando anche alla causa ecologica e all’impegno per la sal-vaguardia della Terra, non si contano: lui sempre al centro,anzi, in alto. Ora è uscita una rivista tutta dedicata a lui: “Alp”,negli “speciali” gli ha fatto un “ritratto” eccezionale. “Alp” èun bimestrale di una Casa specializzata in materia di monta-gna. È pubblicata da CDA & Vivalda Editori e per gli appas-sionati è una vera chicca da non perdere. C’è moltissimo da sa-pere, e in forma agile e svelta, su Reinhold, dall’infanzia alfuturo, con interviste che mettono a fuoco la multiforme, ric-ca personalità di questo protagonista, sempre alla ricerca del-l’umano. Con uno come lui, che è sovrumano.

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9 / Giugno 2008

L’attualità e le statistichedelineano il progressivoappesantirsi di situazioni

di insicurezza per i cittadini, sen-za che si faccia qualcosa di con-creto. Parole tante, fatti zero. Sarebbero oltre sei milioni ledonne tra i 16 e i 70 anni chenella loro vita si sono trovateesposte a violenze fisiche oppu-re sessuali (specialmente negliambiti domestici e nel giro del-le rispettive conoscenze); quasiuguale è il numero di quelle chehanno subito violenza psicolo-gica; oltre due milioni sarebbe-ro le donne vittime di compor-tamenti persecutori; in Italianella seconda metà del 2007 so-no stati registrati oltre 2.150 ca-si di violenza sessuale, con unaleggera flessione al medesimoperiodo del 2006. Assai spessotuttavia i tentativi di abusi e gliabusi sono coperti dal silenzio.Fanno parecchio rumore le sto-rie che hanno gli immigrati co-me protagonisti, ma non rappre-sentano sicuramente la maggio-ranza, abbondano le storie conprotagonisti gli italiani. Un po’per un motivo, un po’, o molto,per l’altro, l’Italia si è ormai fat-ta - nel contesto specifico - unabrutta immagine. Una notaesponente del mondo dellospettacolo ha affermato: “ANew York e a Londra io torno acasa ad ora inoltrata, da sola, sen-za timori. A Milano non mi fido”.L’Università di Bristol (Inghil-terra) ha approntato un vade-mecum per le proprie studentes-se intenzionate a visitare o asoggiornare per un certo perio-do in Italia: un manuale di con-sigli pratici per aiutarle a non in-cappare in momenti tremendi.Rapine nei negozi e nelle ville,scippi per strada, borseggi e truf-fe, investimenti pirateschi costi-tuiscono - accanto a quello del-la violenza alle donne - alcunidegli altri capitoli della “insicu-rezza personale” nel nostro Paese.Le forze dell’ordine sono costan-temente mobilitate contro sif-fatte forme di criminalità. In aggiunta a quella offerta da-gli agenti qualificati - polizia, ca-rabinieri, guardie di finanza, vi-gili urbani - pure in Italia, consue peculiarità, si va facendo oravia via più consistente un’altrarete, modellata su esperienze si-milari in auge all’estero: anche danoi, ormai, è assai diffusa la vi-deosorveglianza. Le cifre più re-centi dicono che sul …frontedella sicurezza in Italia sono at-tive circa un milione e trecento-mila telecamere: il 20% di essestanno sulle strade per rilevare iltraffico; un altro 20% funzionatra metropolitane e stazioni fer-roviarie; circa il 30% tiene a ba-da i movimenti attorno allebanche, e altrettante “vegliano”su stabilimenti, supermercati,negozi, bar e ristoranti, centri di

gni, ha fatto collocare circa tre-mila “obiettivi puntati”; altri 1.200circa si trovano nella metropo-litana: i rimanenti (per arrivarealla quota 13 mila) sono stati in-stallati da enti, istituzioni, priva-ti di ogni appartenenza. Sia aMilano che a Roma sono previ-sti in breve volger di tempo ul-teriori rilevanti incrementi deipunti di “videosorveglianza”.Alla luce dei dati globali rileva-ti alla fine del 2007, in Italia c’è- per il controllo della sicurezza- una telecamera, in media, ognicinquanta abitanti. In altri Paesiesistono ben più poderosi appa-rati di egual natura: Londra hacirca 4.200.000 telecamere (unaogni 14 abitanti, delle sue zonecentrali e del suo hinterland).La Cina - il subcontinente chesempre più viene tenuto presen-te nei raffronti “globali” - ha va-rato un progetto di videosorve-glianza che con un numero in-definito di telecamere abbracciacirca seicento agglomerati urba-ni con in testa Pechino e Shan-gai, “osservate” ciascuna di que-ste da 250-300 mila occhi elet-tronici. In poche parole, il“Grande fratello”, più che in te-levisione, a questo punto funzio-na nella realtà quotidiana.Grazie alle immagini registrate,sempre più frequentemente siarriva ad identificare il respon-sabile di un evento criminoso.

Enzo Dossico

ritrovo, abitazioni e ville. Nel so-lo 2007 sono state vendute epiazzate dalle nostre parti circa230 mila telecamere, con il con-seguente aumento del 17% delnumero degli “occhi elettronici”già aperti nel nostro Paese. Danoi nelle spese per l’acquisto e lainstallazione di questi strumen-ti si è passati dai 211 milioni dieuro del 2000 ai 292 milioni dieuro del 2004, ai 441 milioni dieuro del 2007. Per la sicurezza ingenerale degli edifici (allarmi,impianti antintrusione; monito-raggi degli accessi e via dicendo)dai 1.600 milioni di euro circa in-vestiti nel 2000 si è arrivati a1.700 milioni di euro nel 2002 e,dopo oscillazioni di diversa en-tità, si è giunti ad oltre 1.860 mi-lioni di euro nel 2007.Ovviamente le zone più attrez-zate sotto questo aspetto sono lemetropoli. Milano può contaresu circa diecimila telecamere perla sicurezza (pari a una ogni 140abitanti). Le apparecchiature so-no così distribuite: circa 1.370nella metropolitana; circa 1.100nelle strade, nelle stazioni e inpunti “strategici” identificati dalComune; le altre sono sistema-te un po’ ovunque.A Roma, dove gli “occhi elettro-nici” in funzione adesso sono cir-ca 13 mila, il rapporto è di unatelecamera ogni duecento abi-tanti; il Municipio della capita-le, nell’ambito dei propri impe-

In icuripiati

Icambiamenti climatici causati dal-l’uomo sono “democratici”? Qualcu-no ha detto di sì, perché danni e be-

nefici si compenserebbero e sarebberoegualmente distribuiti tra tutti gli abi-tanti della Terra. Ma ci sono motivi perdubitare di quest’affermazione. La granmaggioranza dei climatologi ritiene chebuona parte dei cambiamenti climaticidegli ultimi decenni e di quelli prevedi-bili nei prossimi siano causati dalle at-tività umane che emettono i cosiddetti“gas di serra”; questi aumentano rapida-mente l’effetto serra naturale dovuto aigas di cui è composta l’atmosfera. L’80%dell’alterazione del clima sarebbe dovu-to alle emissioni di CO2, il principalegas prodotto bruciando combustibili fos-sili (carbone, petrolio, gas naturale) ovegetali. Il resto sarebbe dovuto ad altrigas: il metano, emesso dalle attività agri-cole e di allevamento e dalla decompo-sizione di materiali organici e rifiuti, ilmonossido di azoto, emesso dalle conci-mazioni e da altre attività agricole e in-dustriali, gli idrocarburi alogenati usati infrigoriferi e condizionatori e in alcuniprocessi industriali. Quasi tutti i clima-tologi prevedono che l’aumento di que-sti gas nell’atmosfera causerà in molte

regioni l’aumento della temperatura, dellivello dei mari, siccità, inondazioni, ura-gani e altri fenomeni estremi.Alcuni polemisti ambientali, tra questiBjorn Lomborg, affermano che se un cli-ma più caldo farà aumentare i decessiestivi degli anziani, esso per contro faràdiminuire i decessi invernali; se certeterre inaridiranno, altre diventerannopiù fertili. Questi argomenti sarebberolegittimi se non ci fossero differenze diprosperità materiale e di capacità isti-tuzionale e tecnologica tra i popoli e trale classi sociali. Tali differenze invecesono grandi. Stress ambientali come sic-cità, inondazioni e uragani hanno con-seguenze molto più gravi quando colpi-scono una popolazione povera e pocoattrezzata piuttosto che una ricca e tec-nologicamente agguerrita. Inoltre laparte dei cambiamenti climatici proba-bilmente causata dall’uomo è dovuta so-prattutto ai consumi degli abitanti piùricchi, mentre la maggioranza di chi su-bisce i danni ha contribuito minima-mente a generarli. Quattro quinti del-le emissioni dei “gas di serra”, sono in-fatti causati dal quinto più ricco degliabitanti del pianeta. Quando nel 1958venne fondata Misereor, l’opera vesco-

vile della Chiesa cattolica in Germaniaper la cooperazione allo sviluppo, il car-dinale Joseph Frings disse nel suo discor-so: “Dobbiamo portare davanti agli occhidell’opinione pubblica due ingiustizie: chei beni di questo mondo sono ripartiti in mo-do così sproporzionato e che questa iniquadistribuzione non viene modificata”.Quanto fu detto allora per la ripartizio-ne dei beni e delle risorse vale da alcu-ni decenni anche per l’iniqua distribu-zione dell’inquinamento e dei danni daesso provocati. I grandi cambiamentiper i quali dobbiamo impegnarci sonoquindi di due tipi, uno qualitativo e unodistributivo: da una parte l’umanità nelsuo insieme deve ridurre gradualmentel’uso delle tecnologie che emettono i gasdi serra e sostituire queste tecnologiecon altre più moderne, basate sulleenergie rinnovabili e sul rispetto dei ci-cli biologici della natura; dall’altra par-te il quinto degli abitanti, ovvero i piùricchi del pianeta, deve ridurre di qua-si dieci volte le proprie emissioni pro ca-pite per permettere ai quattro quinti, imeno ricchi, di aumentare gradualmen-te i loro consumi, il loro benessere e leloro, per ora ancora, inevitabili emissio-ni di gas nocivi.

Se vogliamo un clima democraticoL’ARIA CHE TIRA MARCO MOROSINI

Contro gli assalti

della criminalità

anche nel nostro

Paese si sta sempre

più diffondendo

la videosorveglianza.

Speranze legatea una FIACCOLA

Qualcuno ha scritto che, acausa delle traversie nel-le quali è incappata la

fiamma olimpica per le contesta-zioni legate alla situazione del Ti-bet, la Cina ha già perso buonaparte dei risultati che, per la pro-pria immagine nel mondo, si eraripromessa con l’organizzazionedei Giochi in cartellone a partiredal prossimo 8 agosto. In effetti, aparte alcuni incidenti sporadici -come quelli che si verificarono inItalia nel 2006, alla vigilia dellegare invernali in Piemonte - nonera mai accaduto nulla di tantoclamoroso al passaggio della fiam-ma accesa con un suggestivo ri-tuale nella culla primigenia dellamanifestazione.La fiaccola venne inventata circa72 anni fa, in occasione della un-dicesima Olimpiade dell’era mo-derna, nel 1936 ambientata aBerlino. La capitale tedesca riuscìad aggiudicarsi il privilegio nel1931. In Germania in quegli an-ni si ebbero poi però grossi cam-biamenti, con l’avvento del nazi-smo. All’avvicinarsi del grande ap-puntamento sportivo si moltiplica-rono le proposte di un boicottag-gio dei giochi ospitati da AdolfHitler. La campagna per la diser-zione fu vibrante particolarmentenegli Stati Uniti. Soltanto dopouna serie di assicurazioni e dopol’esplicita richiesta del ComitatoOlimpico Internazionale a quellotedesco di garanzie sul rispetto del-le norme e sulla ripulsa di ogni di-scriminazione razziale o politica,gli americani decisero di scenderein campo. Le cose andarono poicome tutti sanno. Basterà qui ri-

cordare che anche l’ultimo tedofo-ro, Erik Schilgen, fu scelto special-mente per il suo fisico longilineo,la sua pelle chiara e i suoi capellibiondi, ossia per le sue caratteri-stiche somatiche in linea con i ca-noni razziali del nazismo. L’idea del vincolo tra la terra ma-dre dei Giochi e quelle via via de-stinate ogni quattro anni ad acco-glierli, ha retto al di là degli orien-tamenti di chi l’aveva lanciata perprimo e degli sconvolgimenti cau-sati sul nostro pianeta dal secon-do conflitto mondiale. La fiammaè sempre stata vista come simbo-lo di quegli ideali, che portavanogli ellenici a chiedere lo stop a tut-te le guerre, a tutti i conflitti nelperiodo delle gare. In adesione asiffatto spirito sul finiredell’Ottocento vennero rilanciatele antiche competizioni. E questoalone ha continuato ad avvolgerele Olimpiadi moderne, anche at-traverso le vicende tormentate - epure tragiche - che non di rado lehanno accompagnate.Nell’affidamento alla Cina del-l’appuntamento di questo 2008c’è la speranza di una sua mag-gior apertura ai tempi nuovi, di unsuo pieno inserimento nel consor-zio internazionale, di suoi passiavanti sul terreno della effettivademocrazia e del rispetto totale deidiritti umani. C’è da augurarsiperò che lo sport nella sua versio-ne strettamente agonistica, vissu-ta nel segno della più pura lealtà,dia una spinta più risolutiva ver-so quello che era e resta il vero,e più importante traguardo, del-le Olimpiadi 2008.

Adolfo Celli

s&

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10 / Giugno 2008

I SE GNI DEI TEM PI

denutrizione? Il fabbisogno alimentare degli esseri umani - come noto - viene espresso in calorie, e varia a seconda dell’età, del peso, del sesso, della salute, del lavoro, del clima, del metabolismo, delle abitudini alimentari. Normalmente, un’alimenta-zione sufficiente deve garan-tire almeno 2.000 calorie il giorno. Ebbene, si calcola oggi che nel mondo più di 1 miliardo e 300 mi-lioni di persone (circa 1/4 della popolazione mondiale) ha un’alimentazione insuffi-ciente. Secondo l’OMS, di questo 25%, almeno 500 milioni non dispongono neppure di 1500 calorie il giorno, per cui soffrono di fame assoluta. E’ noto che un’alimentazione insufficien-te porta a: dimagrimento, apatia, debolezza muscolare, depressione del sistema ner-voso, minor resistenza alle malattie, invecchiamento pre-coce, morte per inedia. Que-ste conseguenze si manifesta-no soprattutto nei bambini, la cui mortalità nel Terzo mondo è altissima. Inoltre le malattie parassitarie e in-fettive colpiscono soprattutto i bambini non solo a causa della denutrizione, ma anche per le precarie condizioni igieniche (acqua inquinata, mancanza di fogne, ecc.). L’UNICEF ha calcolato che la causa principale di morte dei bambini fino a 5 anni è dovuta alla disidratazione, conseguente alle diarree provocate da infezioni inte-stinali.

il 2015 è lontano, sempre più lontano, praticamente irraggiungibile. Il Rapporto annuale sullo Stato di insicu-rezza alimentare nel mondo, diffuso recentemente dalla Fao, ammette: “In dieci anni,

in pratica, non è stato fatto alcun

progresso verso l’obiettivo di dimez-

zare il numero di sottoalimentati

nel mondo”. Già in occasione della Giornata mondiale del-l’alimentazione, lo scorso 16 ottobre, il direttore generale dell’organizzazione, Jacques Diouf, aveva reso note alcune cifre allarmanti, ma i risultati dell’ultimo Rapporto mostra-no come in alcune zone - tra queste l’Africa - la situazione non solo non è migliorata, ma è in peggioramento.Le ultime rilevazioni della FAO si riferiscono al perio-do 2001-2003. Le persone sottoalimentate sono ancora 854 milioni, tra queste 820 milioni vivono nei paesi in via di sviluppo, 25 milioni nei Paesi in transizione e 9 milioni nei Paesi industria-lizzati. Il rapporto sottolinea che ci sono alcuni dati con-fortanti e riguardano i Paesi in via di sviluppo, nei quali il numero di sottoalimentati si è ridotto del 3% rispetto al 1990, e potrebbe dimezzar-si entro il 2015. Ma a fronte di queste buone notizie si evidenzia un divario sempre più ampio con i Paesi più poveri, nei quali le cifre par-lano di un aumento netto della povertà. Ma che cos’è la fame? Quan-d’è che si può parlare di ali-mentazione insufficiente o di

NAZZARENO CAPODICASA

Dall’opinione pubblica dei paesi più ricchi la fame del Terzo mondo è considerata come l’ef-fetto quasi logico e perverso di situazioni inevita-bili, tipiche dei paesi più poveri (ad es. il clima, l’arretratezza tecnologica, gli alti tassi di natalità). Una convinzione di questo genere porta a due atteggiamenti: rassegnazione-indifferenza, oppure, nel migliore dei casi, compassione-elemosina. Ra-ramente si mettono in discussione i meccanismi economici e sociali e le scelte politiche degli stati che regolano e legano il Sud al Nord del mon-do. Posizione geografica sfavorevole? Guardando una qualunque cartina geografica, si ha la netta impressione che il problema della fame e del sottosviluppo si concentri soprattutto nella fascia equatoriale fra i due tropici. Ma se guardiamo le cose più da vicino, ci accorgeremo, ad esempio, che il Sud degli Usa e l’Australia non soffrono affatto la fame, mentre alcune zone temperate (come il Sud dell’America Latina) patiscono la fame al pari di certi paesi equatoriali e tropicali. Non mancano certo nei paesi poveri né risorse naturali né produzione agricola ad alto livello di produttività. Ma tutto questo ben di Dio è destinato all’esportazione verso l’Occidente, a profitto di un numero esiguo di persone o di grosse società multinazionali, che spesso decido-no e speculano sui prezzi, senza alcun vantaggio per le popolazioni locali. E’ sufficiente inoltre qualche annata di siccità, perché le conseguenze siano disastrose.Se l’enorme quantità di cereali destinati all’ali-mentazione del bestiame venisse impiegata di-rettamente nell’alimentazione umana, potrebbero venir nutrite ben 2 miliardi e 500 milioni di persone. Con la sola quantità di cereali che USA e URSS destinano al bestiame, si potreb-bero nutrire 1 miliardo di persone. Dal 1970 al 1983 la produzione alimentare complessiva (cereali, legumi, tuberi, carne ecc.) è aumentata del 47% (l’aumento medio dei prodotti in quei 14 anni è stato del 3,3% l’anno). L’incremento della popolazione nello stesso periodo è stato, a livello mondiale, dell’1,9% annuo, mentre nel Terzo mondo del 2,5%. Come si può notare, la causa primaria della fame del mondo non sta in una produzione alimentare insufficiente, ma nell’impossibilità per i più poveri di acquistare gli alimenti prodotti. I prezzi dei generi alimen-tari sono troppo alti per i redditi medi della popolazione del Terzo mondo. Nei paesi avanzati la spesa alimentare rappresenta il 20-25% del reddito familiare, mentre il resto è speso per vestiario, mezzi di trasporto, alloggio, diverti-menti ecc. Nei paesi più poveri invece la spesa alimentare costituisce fino all’80% del reddito familiare. Da noi la povertà raramente comporta fame e denutrizione, nel Terzo mondo invece povertà significa subito fame.

N.Cap.

Andare oltrela compassionee l’elemosina

La sempre maggiore richiesta di prodotti agricoli ha avuto la conseguenza di far salire

i prezzi alle stelle e di renderne impossibile l’acquisto ai più poveri.

Sappiamo tutti, o dovremmo sapere, che almeno 800 milioni di persone non hanno il sufficiente per soddisfare il primo dei bisogni

essenziali dei viventi. Quello di sfamarsi. L’aumento del prezzo degli alimen-tari è salito nel corso di un anno di circa il 40% scatenando sommosse in diversi paesi, come Haiti, Egitto, Marocco, Mauritania, Filippine. Ma l’elenco potrebbe diventare molto più lungo.

Nell’indifferenza del mondo occidentale e nella corsa dissen-

nata alla massimizzazione del profitto e dello sfruttamento scriteriato delle risorse della terra, si sta consumando un dramma epocale. Comincia-no a scarseggiare, almeno per chi è già povero, le scorte di grano e di riso, il “pane” come si diceva durante la guerra. Molteplici le moti-vazioni della catastrofe alle porte. In primo luogo la speculazione finanziaria sulle materie prime alimentari, legata a doppio filo alla produzione di biocarburanti che, in nome di una fittizia ecologia, stanno convertendo la produzione di pane in produzione di benzina.Ci si mettono poi le grandi multinazionali dei prodotti agricoli, che spingono verso l’imposizione di organismi geneticamente modificati – OGM - con lo scopo di conquistare il mercato mon-diale e con la conseguenza di far scomparire i piccoli produttori e le colture diver-sificate, al momento unico mezzo di sostentamento per molte popolazioni del Terzo mondo. Un “crimine plane-tario”, come è stato definito da un autorevole personaggio delle Nazioni Unite, che si sta consumando nel compli-ce silenzio-assenso dell’opinio-ne pubblica dei paesi ricchi, composta di mangiatori di carne, stressati e malati di cuore. L’obiettivo di dimez-zare il numero di persone che soffrono la fame entro

Bimbi & SolidarietàTORINO – Per ricordare la festività della “Domenica delle Palme”, il Sub-Priorato del Piemonte dell’Ordine di San Fortunato onlus, ha effettuato l’ennesima donazione in favore dei bambini di Torino donando tre scatoloni di giochi e giocattoli, tre tavoli prima infanzia, una specchiera, un passeggino, un girello, una bicicletta ed infine 3 macchinine “primi passi” presso la Chiesa di Santa Maria Consolatrice, nuova sede della Parrocchia di San Clemente Willibrord del rito Vetero-Cattolico dell’Unione di Utrecht – Comunione Anglicana di Torino nella persona di Don Giuseppe Biancotti. “Anche se questa donazione è stata effettuata

ad una Chiesa sorella – spiega il Priore del Piemonte Alfredo Mulè – sono contento che sia andata a buon fine perché non c’è niente

di meglio che vedere i bambini sorridere a prescindere dalla razza o dal

proprio credo religioso.

La grande fame è in agguato Un silenzioso omicidio di massa

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11 / Giugno 2008

La Salvia è presente in tutta l’Eu ro pa centrale, ed è una pian ta spon-

ta nea. Pre di li ge ter re ni so leg -gia ti, sas so si e po ve ri d’ac qua. Si ri pro du ce per ta lea pre le -van do a set tem bre i ra met ti del l’ul ti ma cre sci ta; dopo aver- li mes si a ra di ca re in torba e sabbia si tra pian ta no a di mo ra nella pri ma ve ra suc ces si va. Per avere una produzione di foglie più grandi e più ricche di olii essenziali c’è un me to do in fal li bi le che è quello di to-gliere le spighe da fi ore alla loro com par sa. Le parti da uti liz za re sono pro prio le som mi tà fi orite che si rac col go no da maggio a lu glio e le foglie che, invece, si rac col go no tutto l’an no. Ge ne ral men te si usa il pro- dot to fre sco, per ché durante l ’es sic ca zio ne si per do no par te dei prin ci pi attivi che sono estre ma men te volatili; ma, nel caso si vo glia no co- mun que con ser va re, è buo na norma stac ca re le foglie dalla pianta e farle es sic ca re in un po sto om bro so e ven ti la to, quin di met ter le in ba rat to li. Le som mi tà fi orite, in ve ce, si essic-cano ap pe se, legate in mazzetti e si ri pon go no in sac chet ti di carta o tela. Lo stes so nome, salvia, che deriva dal la ti no “salus” che si gni fi ca “sa lu te” op pu re da “sal vus” cioè “salvo, “sano”, ci fa capire che questa pianta ha vir tù te ra peu ti che ec cel len ti. Essa, in fat ti, viene con si de ra ta, fi n da tem pi lon ta -nis si mi, molto uti le nel cam po del l’er bo ri ste ria me di ca. Co no -

sciu ta già da Ip po cra te, Ga le no e Paracelso entra in sie me ad altre piante aromatiche nella com po si zio ne del Kiphi degli egi zia ni. Pro prio Pa ra cel so ne esaltò le virtù col le gan do le al l’in fl uen za del pianeta Gio-ve e Di sco ri de ne ri co nob be l’effetto em me ne go go. I gre ci ed i romani ne fa ce va no am pio uso e nel Me dio e vo la Scuo la Medica Salernitana, una del le più fa mo se del l’epo ca, for mu lò una specie di pro ver bio che di-ceva così: “Di che cosa morirà l’uo mo che fa cre sce re salvia nel suo orto?”.Secondo una leggenda di ori- gi ne cristiana la salvia deve tut te le sue proprietà be ne fi che ad un miracolo di Gesù. Quan- do que sti era ancora bambino e sta va fug gen do in Egitto in- sie me con i ge ni to ri, la pianta della sal via gli offrì le sue sof fi ci e pro fu ma te foglie come gia ci -glio ed allora Gesù ri cam biò il fa vo re fa cen do la di ven ta re la pian ta dal le nobili pro prie tà che è stata tra man da ta sino a noi. Nel Seicento si cominciò a pro dur re in Francia un aceto bal sa mi co detto “Aceto dei quat tro ladroni” — la ricetta è riportata a fi ne articolo —, che si diceva ave re un potere mi ra co lo so nel pro teg ge re dalle ma lat tie in fet ti ve. Il suo in gre dien te prin ci pa le erano pro prio le fo glie di salvia. La sto ria le ga ta a questo aceto spiega l’ori gi ne del suo cu rio so nome. Tolosa ven ne colpita nel 1630 da una ter ri bi le epi-

demia di peste ed un gruppo di ladroni senza scru po li razziò le case de gli am ma la ti. Quando i la dri ven ne ro cat tu ra ti, le au to ri tà chie se ro loro come aves se ro fatto a non con trar re l’epi de mia dal mo men to che ave va no violato tan te case in fet te. Questi risposero che avreb be ro spiegato il mo ti vo soltanto a pat to di aver salva la vita. Il loro se gre to era, ap- pun to, la ri cet ta a base di erbe in cui fi gu ra va la salvia. Ma le proprietà di questa erba salutare sono davvero mol tis -si me. La sua azione te ra peu ti ca va da quella tonica a quella diu re ti ca, an ti reu ma ti ca, sti- mo lan te del l’ap pa ra to di ge ren te ed em me na go ga. E’ an che un ot ti mo ri me dio per il cuore ed il sistema ner vo so, negli stress per ec ces si vo im pie go fi sico ed in tel let tua le e ne gli stati emotivi e de pres si vi. Ma, grazie al suo de ci so aro ma è an che un ot ti mo in gre dien te della cucina me di ter ra nea. E’, però, come una “pri ma don na” che non am met te che altri offuschino il suo ruo lo e cioè unita ad altre erbe aro ma ti che annulla com ple ta men te tutti gli altri profumi. Una ricetta semplicissima a base di salvia si può ottenere friggendo le foglioline in olio di oliva dopo averle passate nella pastella. Si tratta delle gu sto sissime frit tel le di sal via. Per prepararle oc cor ro no i seguenti in gre dien ti: 100 gr di farina; 50 gr. di Em men tal; 30 foglie di salvia; 1 uovo; mez zo

la salvia Il prezzemolo

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bic chie re di bir ra; olio di semi per frig ge re e sale. Lavate ed asciu ga te bene le fo glie di salvia poi preparate una pastella mor bi da con la farina, l’uo vo, la bir ra ed un pizzico di sale. In tin ge te le fo glie nella pa stel la te nen do le per il picciolo e frig ge te le in una pa del la con l’olio ben cal- do. La scia te do ra re e poi fate asciu ga re su carta as sor ben te da cucina. Co spar ge te le fo glie an co ra calde con l’Em men tal grat tu gia to. Ed ecco la ricetta del l’Ace to dei quattro ladroni sopra no mi -na ta. Occorrono venti gram mi di otto piante da far macerare in due litri di aceto. Le piante sono: sal via, timo, lavanda, ci- tro nel la, men ta, ruta, assenzio e ro sma ri no. Poi si ag giun go no al cu ni chio di di garofano, noce mo sca ta e cannella. Si ri po ne il tutto in una bot ti glia che va messa in un luo go non fred do. Si lascia ma ce ra re per quin di ci giorni poi si fi l tra e si tra va sa. Questo aceto ser ve per mas sag gi tonici al cor po ma anche per rendere limpida l’ac qua del l’ul ti mo lavaggio quan do si lavano i capelli.

Il prezzemolo

Il suo aroma par ti co la re e in con fon di bi le ren de, in-fatti, ap pe ti to si mol ti piat ti

ed è l’in gre dien te prin ci pa le di sal se e marinate come la “sal sa ver de” e il “bouquet garni” ma è an che alla base di molti piatti di pe sce, di carne e di pri mi piat ti. Originario della zona me di-ter ra nea il prezzemolo si tro va anche spontaneo nei ter re ni in col ti fi no a 1000 metri di al- ti tu di ne e, prin ci pal men te, di que sta pianticella si uti liz za no le foglie fresche poiché du ran te l’es sic ca zio ne perdono sia il loro pro fu mo che gran par te delle loro proprietà. Sia l’uso che la col ti va zio ne di questa pianta è estre ma men te diffu-so in tut to il mon do e, non a caso, c’è un modo di dire molto co mu ne che è: “è come il prez- ze mo lo” quando si vuo le dire di

BRUNO DEL FRATE una persona che ci sta sem pre tra i piedi o quan do si in tru fo la in ogni si tua zio ne. Questo perché anche il prez- ze mo lo ha la capacità di in si -nuar si in quasi tutte le ri cet te e tutti i piatti. E, se non si in si nua tra gli ingredienti, fa bella mo stra di sé come guar-nizione ren den do ap pe ti bi le un piatto scial bo e dal l’aspet to poco in vi tan te. L’uso decorati-vo del prez ze mo lo, infatti, non è un’in ven zio ne moderna ma già nella Gre cia antica si usava de co ra re i piat ti che si servi-vano in tavola con foglioline di prez ze mo lo men tre alcuni ciuf fet ti ba sta va no per com- por re dei mazzolini da porre sul le men se. Un’altra usanza degli an ti chi greci era quella di in trec cia re ghir lan de da porre sul capo dei com men sa li più im por tan ti come se gno ben au gu ra le per il ban chet to che si ap pre sta va no a con su ma re. Nel la Pasqua ebrai ca, in ve ce, il prez ze mo lo viene usato du- ran te il “Se da rim” cioè il pa sto ri tua le poiché questa pianta è una delle prime che ger mo -glia no in primavera e, quindi, rap pre sen ta il nuovo princi-pio, la nuova vita che sboccia. Men tre è molto usato ed amato nel la cucina il prez ze mo lo non è sta to mai troppo ap prez za to da gli erboristi. Tranne po chis -si me ec ce zio ni non viene ci ta to né dai Greci né dai Ro ma ni ed anche du ran te il Me dio e vo il suo uso, dal punto di vista cu ra ti vo, è molto li mi ta to; si pen sa va, in fat ti, che l’unico uso pos si bi le fosse quello di farlo bol li re in sie me al vino e di ber lo per vin ce re i do lo ri al pet to ed al cuo re. Solo con l’ini zio del no stro secolo gli er bo ri sti hanno co min cia to ad ap prez zar lo e a con si gliar lo con tro molte pa to lo gie come las sa ti vo, diu re ti co ed anche come sur ro ga to del chi ni no nel la cura con tro la ma la ria. La me di ci na po po la re, in ve ce, ha sco per to che il prez ze mo lo som mi ni stra to in dosi mas sic ce può pro vo ca re abor ti. Vediamo, dun que, in con clu -sio ne del nostro ar ti co lo, care ami che, una ri cet ta sem pli -cis si ma ma de li ca ta che è il “Bur ro alla maitre d’ho tel” che vede i se guen ti in gre dien ti:100 gr di bur ro, 1 li mo ne non trat ta to, 1 ciuf fo di prez ze mo lo, sale e pepe. Fate ammorbidire il burro a temperatura ambiente. Pu li te e lavate il prezzemolo, asciu- ga te lo e tritatelo finemente, in cor po ran do lo al burro. La-vorate il tutto in una ciotola fi nchè il com po sto non sarà omogeneo e soffi ce. A questo punto in cor po ra te il succo fi l-trato del li mo ne ed insaporite con scorza di limone, sale e pepe. Con le mani inumidite date al composto una forma ci-lindrica ed avvolgete il panetto con la pellicola tra spa ren te. Raffreddare in fri go ri fe ro per due ore poi servitelo tagliato a rondelle.

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12 / Giugno 2008

Erano tempi di relativa calma. Re Teodorico insediatosi a Ravenna,

con le sue indubbie capacità politiche, riusciva a mantene-re uno stato di duratura pace tra Goti e Romani. Insomma, a Roma, nonostante la caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.C.), non si viveva male. Anzi, tutt’altro, Teodorico mantenne le tradizioni amministrative di Roma e lasciò che gli Italiani si governassero da soli, mentre gli Ostrogoti, sottomessi alle proprie leggi, coesistevano pacifi camente con quelli senza immischiarsi nei loro affari.Sta di fatto che, ciò nonostan-te, al giovane Benedetto non andava proprio giù di seguire quella scelta fatta dai genitori per suo conto. Non gli piaceva per niente l’ambiente moral-mente degradato che gli era stato imposto di frequentare. E’ tanto vero che, lui ricco pa-trizio, aveva scelto di abitare nel rione di Trastevere, tra povera gente e case malandate. E più precisamente laddove sarebbe sorta, tra l’XI e il XII secolo, sui resti della Domus Aniciorum, la chiesa di San Benedetto in Pi-scinula. Luogo che deve il suo strano nome ai resti di antiche piscine termali ritrovate nei pressi della chiesa. Il giovane umbro, fortemente attratto dalla vita monacale che si svolgeva nei tanti mo-nasteri intorno a Norcia, era fatto per ben altre cose. Fatto si è che, un bel giorno, con la complicità della nutrice, se ne scappò via dalla capitale del tramontato Impero per rifu-giarsi tra i monti dell’Abruzzo come un lupo dall’indole genti-le e già in odor di santità. I due, affamati e stanchi per un viaggio che, data l’epoca, possiamo facilmente immagi-nare particolarmente duro e avventuroso, trovarono ospi-talità nella canonica di Affi le, l’antica Effi dis, un paese vicino

Monte Taleo, esposta al sole per tutta la giornata. Quella caverna si può ancora visitare, si trova a circa 70 chilometri a est di Roma ed è il celebre Sacro Speco di Subiaco.Qui il giovane visse da eremita per tre anni, fi no a quando un chierico, letteralmente rapito dalla visione extrasensoriale di Benedetto in quella grotta, pensando di rendergli un buon servizio, disse a tutti dove si trovava.Come si può ben pensare, da quel momento, Benedetto non ebbe più pace. Le visite aumentavano di giorno in giorno e lui, nonostante fosse sconvolto da quell’imprevista ondata di popolarità, non vi si sottrasse, considerandola un se-gno del Signore. Una volta gli si presentò davanti una fanciulla particolarmente bella e scarsa-mente vestita, ridestando in lui, come naturale, degli inconteni-bili desideri carnali. Per evitare di infrangere il voto di castità, prese la decisione di denudarsi e gettarsi tra i rovi. L’atroce dolore che gli procu-rarono le spine infi lzandosi in ogni parte del corpo, servì ad allontanare ogni tipo di ten-tazione e a ridargli la serenità perduta. A tal proposito, si dice che san Francesco d’Assisi, pas-sando di lì nel 1223, innestasse su quei rovi delle rose.Comunque sia, il clima di ‘beata solitudine’ che aveva respirato nei primi anni s’era fatalmente disperso, tanto valeva accettare l’incarico di superiore offerto-gli dai monaci di un convento che sorgeva poco distante dalla grotta. L’uso orientale voleva

agli incantevoli piani di Arci-nazzo. Benedetto era pieno di fervore cristiano e non tardò a farsi vo-ler bene dal parroco del posto e dall’intera comunità. Della gran brava gente timorata di Dio, che lo aveva accolto, insie-me alla sua nutrice, con molta generosità sin dall’inizio. Evidentemente, già da ragazzo, disponeva di una marcia in più. Per così dire, di una “santa marcia”. Tant’è che fu proprio ad Affile che operò il suo primo miracolo. Ricompose, come fosse nuovo, un vaglio (setaccio) di terracotta utile per mondare il farro, che la sua ba-lia s’era fatta imprestare da una vicina e che accidentalmente era andato in frantumi. Una vera tragedia per quei tempi e, soprattutto, in quella contrada sperduta dove la povertà era dietro ogni porta.La notizia si sparse nel paese in men che non si dica. Il va-glio ‘miracolato’ fu appeso sul portale della chiesa a furor di popolo. E Benedetto, che non amava tutto quel clamore at-torno alla sua persona, avendo a modello sant’Antonio abate e i Padri del Deserto, progettò di andare a vivere in solitudine sugli aspri monti di Subiaco. Incontrò per via un austero monaco, tale Romano, che lo ascoltò paternamente e, nonostante tentasse di dis-suaderlo, infine si convinse che il giovane era maturo per affrontare l’eremitaggio. Gli procurò un abito di pelle di capra, lo tonsurò ben bene e gli indicò una grotta posta a strapiombo su un fianco del

FRATEMARCO

che fosse un eremita a dover governare una comunità di monaci. Benedetto, purtrop-po, trovò un ambiente per nulla consono ad abiti monacali. Per questo cercò, con il potere che gli era stato conferito volonta-riamente, di riportare ordine e severità di costumi. Così che i monaci, invece di correggersi cristianamente, facendo tesoro delle reprimende del Superiore indirizzate loro a fi n di bene, dal momento che gli avevano affidato una carica perpetua e quindi non potevano più allontanarlo, pensarono bene di sbarazzarsene uccidendolo. La consuetudine voleva che nei monasteri, ad ogni pasto, fosse l’abate, dopo la benedizione, a bere il primo sorso di vino in segno augurale. Quindi progettarono di eliminarlo avvelenando il vino. Sta di fatto che la brocca che conteneva la bevanda mani-polata andò in frantumi pro-prio quando Benedetto aveva iniziato a benedirla. Alcuni monaci capirono che la brocca si era rotta per volontà divina e, confessando il tentativo de-littuoso che li vedeva coinvolti, gli chiesero perdono. Per nulla scoraggiato, Bene-detto se ne tornò al suo amato eremo. Appena qualche giorno dopo, meditando su quanto gli era successo e illuminato dal-lo Spirito Santo, si decise ad accogliere i tanti giovani che, conquistati dalla sua fama di santità, gli chiedevano umil-mente di condividere con loro la sua rigorosa scelta di vita spi-rituale, formando in tal modo una nuova congregazione. Divise i suoi monaci in tre-dici cenobi, alla maniera di sant’Antonio: ogni cenobio contava di dodici monaci e di un abate. Chi vi apparteneva doveva fare voto di castità, ob-bedienza e comunanza dei beni, doveva inoltre pregare secondo la liturgia delle ore, studiare i testi sacri e condurre una vita parca, moralmente retta e coe-rente fi no in fondo ai principi cristiani. Infi ne, i novelli mona-ci dovevano lavorare per il loro sostentamento, da cui il motto latino “Ora et labora” (prega e lavora) che ancora vige tra i benedettini, malgrado l’Ordi-ne, nel tempo, si sia diviso in diverse riforme. Praticamente, nasceva in questo modo — semplice e virtuoso — l’Ordine benedet-tino, alle dipendenze dirette del Papa, che si sarebbe, in breve tempo, sparso a macchia d’olio in tutt’Europa. Un Ordine eroi-co che avrebbe avuto il merito,

Benedetto nasce a Norcia, tra il 480 e il 490. La data è incerta. Sicuro invece è che la sua famiglia era nobile e perciò benestante, e che in età puberale viene mandato a studiare a Roma, in compagnia della nutrice Cirilla, al fi ne di potere, una volta

completati gli studi, intraprendere una brillante carriera politica. Questo è, nelle inten-zioni della sua famiglia, ma, si sa, l’uomo propone e solo Dio dispone: in conclusione, non sarebbe andata affatto così. Tan-to che oggi lo si ricorda come un santo di grande rilevanza e popolarità e non come politico.

Viva la pennichella!Non conoscete ancora il Professor Matte Tucker del Centro del Sonno dell’Harvard Medical School? Peccato, perché, dopo prove e riprove, notti insonni e laboriose elucubrazioni, ci comunica la sua sensazio-nale scoperta! Pensate: fare la pennichella quotidiana fa bene alla salute ed alla memoria. Un’arma vincen-te per chi studia oppure deve trascorrere tediosi po-meriggi tra le scartoffie o sommerso da cartelle e files sul monitor del pc. La pro-va è stata realizzata su 33 giovani – media 23 anni - , un terzo maschi e due terzi femmine. Mentre 17 giovani rimanevano svegli nel laboratorio, i restanti schiacciavano un rilassante pisolino. Ebbene, analiz-zando i test sulle lezioni mattutine, il ricercatore ha fatto la…sensazionale sco-perta: il pisolino fa bene e rinforza la memoria! Ma, ahimé, solo a chi si con-centra molto durante le fasi di apprendimento.«Questi risultati - afferma Tucker - suggeriscono che c’è

una sorta di livello ideale per

apprendere attraverso il sonno,

che aiuta ad elaborare in modo

ottimale i ricordi. L’importanza

di questa scoperta - aggiunge - è anche che il sonno può essere

utile, ma non ad elaborare tutte

le informazioni acquisite nella

fase di veglia». Insomma, la pennichella funziona solo

«con quelle che abbiamo impa-

rato bene».I miei tre pazienti lettori si domanderanno dov’è la scoperta. Infatti, non lo sa neanche Erasmo.

O meglio, lo sa da sempre. Quando ha potuto, infatti, il pisolino pomeridiano se l’è sempre concesso! I risul-tati intellettuali non saprei dirveli, ma sicuramente il risultato è piacevole e ri-lassante!

San BenedettoProtettore d’Europa

non solo di aver svolto opera di evangelizzazione nelle aree pagane dell’intero continente, ma, altresì, di aver conservato il grosso della cultura classica che ci è pervenuta e di aver con-tribuito non poco a valorizzare i luoghi — sia sotto il profi lo paesaggistico che agricolo (le grandi bonifi che benedettine) —, dove s’insediava attraverso i suoi innumerevoli monasteri di bella quanto severa fattura. La data della morte (dies nata-lis) di san Benedetto è incerta come la nascita: dovrebbe, per quanto ne sappiamo, essere avvenuta il 21 marzo di uno di quegli anni che vanno dal 547 al 560.

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13 / Giugno 2008

Le recenti rivolte e sommos-se, accadute in numerosi paesi e causate dall’insoste-

nibile prezzo dei generi di pri-missima necessità, hanno lasciato del tutto indifferenti e mute le nostre fonti d’informazione. Igno-rare: questa la parola d’ordine di quotidiani e telegiornali. Se ne straparla se riguarda le nostre tasche, ma se ciò avviene nel Congo o ad Haiti, è desolante dirlo, ma non interessa proprio nessuno, né in alto né in basso. Se coloro che non hanno nulla sbarcano sulle nostre spiagge in cerca di un’esistenza meno disperata, rischiando in ogni momento di annegare, lo fanno solo ed esclusivamente perché spinti dalla fame.E’ tutto un mondo di miseria, che si affolla alle porte di un mondo occidentale ricco e distratto, satollo ed egoista. Nessuno vorrebbe augurarsi la risposta che ebbe Luigi XVI alla notizia della presa della Bastiglia. “E’ una rivolta?”, domandò il monarca, del tutto ignaro dei problemi sociali, che affliggevano gran parte dei suoi sudditi. “No, Sire, è una rivoluzione”, fu la risposta che ricevette. Rispo-sta dettata, forse, da un incipiente sentore di un formicolio alla

cervicale, al pensiero di quella macchina inventata da un certo signor Guillotin. Con l’intento umanitario di non far soffrire troppo i condannati, fino allora accoppati con una più artigia-nale e crudele mannaia. Senza dimenticare che il re era stato

preceduto dalla consorte regina, Maria Antonietta. La quale, qualche giorno prima di quel 14 Luglio del 1789, incuriosita dalla folla in tumulto per le strade di Parigi, ne chiese la ragione ad uno dei suoi cortigiani. “Il popolo non ha il pane”, fu la risposta. “Perché non mangiano brio-

ches?”, consigliò la giovane regina. Se non fosse per la drammaticità della situazio-ne, la scenetta calzerebbe a pennello per pubblicizzare qualche prodotto di pastic-ceria!

Paura ed elezioniEnfatizzare: sembra essere questa or-mai l’ultima tendenza con cui stampa e televisioni trattano gli stranieri. Ti ripetono per dieci volte che il mal-fattore è romeno, albanese o magre-bino, alimentando paure oltremisura. Salvo, ovviamente, tacere quando lo “straniero” fa il bravo, lavora, viene sfruttato. Tre quarti delle violenze sulle donne, nel nostro paese, sono consumati tra le mura domestiche. Ma un marito che maltratta la con-sorte non fa vincere le elezioni!

Italiche lagne

Sempre attuale l’inevitabile lamentela italica del “Piove, Governo ladro!”. Siamo costretti a sorbirci ore ed ore di discorsi, già sentiti milioni di vol-te, su cosa va male in Italia, cosa do-vrebbero fare i governanti, cosa farei io se comandassi! Ma continuiamo

tranquillamente a sporcare strade e boschi, a parcheggiare in doppia fila, a non rispettare le regole del Codi-ce della strada, a fare i furbi non rispettando la fila, a tentarle tutte per evadere il fisco o turlupinare il prossimo. Viva l’Italia!

Fame di KW

Consumiamo ogni anno, tra imprese, negozi, uffici e casa, 338 miliardi di chilowattora. Una quantità della quale si fatica a capire le dimensio-ni, se non facendo confronti con altri paesi. “Bruciamo” una quantità d’energia elettrica quanto Polonia, Romania, Austria e Turchia che,

messe insieme, assommano a 136 milioni d’abitanti. O, se preferite, quanto mezzo miliardo d’africani. E quella che produciamo non è suf-ficiente, dipende da materie prime importate e costa il 60% in più della media europea. Allegria!!!

Made in China

Una quantità enorme di bandiere inneggianti alla libertà del Tibet, in aperta contestazione alla politica del governo cinese ed ai Giochi olimpici, erano pronte ad essere spedite in ogni angolo del globo. Nessuna me-raviglia, vista l’aria che tira nell’opi-nione pubblica di mezzo mondo. La

sorpresa sta però altrove: le bandiere nascevano proprio in Cina. E’ noto che i prodotti cinesi, a basso costo grazie allo sfruttamento ed a salari da fame, invadono il mondo. Ma in questo caso si avvera il detto: “Chi di spada ferisce…”.

Chi sbaglia…

Si è insediato il nuovo Parlamento, con una nuova maggioranza ed un nuovo Governo. Da destra a manca, ci hanno promesso aria nuova e volti puliti, maggiore sicurezza per tutti i cittadini ed uguali diritti. Soprattutto attraverso la “sicurezza della pena”. A caratteri cubitali abbiamo letto: “Nes-suno sconto di pena. Chi sbaglia deve pagare”. Ci auguriamo che non sia stato un errore tipografico e che la frase non venga intesa in ben al-tra maniera, come nel passato…”Chi paga può sbagliare…”!

La pubblicità, parola che deriva da “pubblico” inteso nel senso “ren de re noto”, è an ti chis si ma. I commercianti greci espo ne va no le merci ac com -pa gna te da scritte accattivanti e i librai della Roma im pe ria le, sotto i portici della via “Argiletum”, attaccavano “ma ni fe sti” (in pergamena, cera o, per far prima, scolpiti di ret ta men te sui muri) rac co -man dan ti la lettura delle ope re di vari scrittori. Anche a Pompei sono sta te ritrovate iscrizioni (sia sui muri che su oggetti comuni quali vasi o piatti) che pub bli ciz za va no i servizi delle terme, spetta-coli, gare, of fer te speciali delle botteghe, aper tu ra di nuovi negozi, l’one stà dei candidati alle ele zio ni ecc. L’aumento della produzione e il proliferare di mestieri e merci nuove diede vita alla concorrenza tra vari imprenditori e quindi alla ne ces si tà di farsi conoscere a pubblici sempre più vasti. Nel XIII sec. i commercianti as sol da va no banditori ed aral di che gi ra va no per le vie cit ta di ne suonando tamburi e strillando rac co man da zio ni varie stile “Mastro Gu gliel mo fa bellissimi bic chie ri! Fatevi cavare i denti da Ma stro Brunello!”. Dal XVI sec. furono gli stessi com mer cian ti a diventare banditori di loro stessi, girando a bordo di car ri per paesi e per città an nun cian do sempre con grida le meraviglie dei loro pro dot ti ed esponendo ru di men ta li car- tel lo ni in di can ti i loro nomi. Il primo an nun cio pub bli ci ta rio a pa ga men to ap par ve nel 1630 sulla

“Ga zet te” fran ce se; ebbe molto suc ces so tan to che il di ret to re Théophra ste Renaudot il 30 mag gio del 1631 fece uscire il “Feuille du bu re au d’adres ses” , il primo giornale della storia fatto di annunci a pa- ga men to, se gui to nel 1640 dal l’in gle se “Mer cu rius po li ti cus”. Per due secoli la pub bli ci tà ri ma se legata ai gior na li; fu solo nell’800, con lo svi lup po del la litografia, che ini zia ro no a vedersi sui muri i pri mi ma ni fe sti disegnati da gran di ar ti sti come Manet, Jules Che ret (affiches per la Rimmel). Toulouse-Lautrec (spettacoli e cosmetici) ecc. Nel 1904 i fratelli Lumiere realizzano per lo champagne Moët et Chandon il primo fil ma to pubblicitario che andò in onda al cinema; nel 1923 l’in du stria le André Citroën tap pez zò Parigi di manifesti con su scritto “Se questa set ti ma na il tempo è bello guar da te il cielo”, e in quel mo men to un aereo formava col fumo in cielo il nome Ci troën (il pi lo ta quasi s’am maz zò per poter scrivere la die-resi) e nel ’25 sempre lui mise sul la Tor re Eiffel un’im men sa in se gna col suo nome il lu mi na ta da 200 mila lampadine (rimasta sino al 1934). Ma la prima grande rivoluzione nel la pub bli ci tà avvenne il 28/8/1922, quan do la stazione ra dio AT&T trasmise il primo spot della storia (durata 10 mi nu ti): sponsor la Que en sbo ro & Co, che vendeva ap par ta men ti in un quartiere di New York. La seconda ri vo lu zio ne avvenne negli anni

’50 sem pre negli USA, con la nascita delle prime tv com mer cia li senza canone, che per campare avevano as so lu to bisogno di pubblicità: il primo “commercial” andò in onda sulla Nbc nel 1953.

Lo spillo di Erasmo

MITI' VIGLIERO

Mastro Guglielmo e la pubblicità

“Perché non mangiano brioches?”

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14 / Giugno 2008

che Pietro dette a Gesù: “Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente”. Si avvicina poi a Lui vedendolo come “Figlio dell’uomo”, cioè appartenente

alla famiglia umana. Come uno di noi. Quindi secondo l’autore Gesù non è un mito, ma autentico per-sonaggio storico, cioè “una persona

CONTINUA A MERAVIGLIARCI la serie di pubblicazioni che seguono una dietro l’altra e

dimostrano la fresca giovinezza del-l’ultra ottantenne P. Teobaldo Ricci, cappuccino, filosofo, storico, morali-sta e mistico che vive nella quiete dell’eremo Le Celle, presso Cortona, dove alterna l’uso della penna a quello della zappa coltivando l’orti-cello. Ha fatto suo il detto monasti-co “Prega e lavora” programmando una vita che gli ha favorito l’appro-fondimento nella spiritualità france-scana, nella storia della Chiesa, nella teologia, nel mondo socio-religioso e ateo contemporaneo.

Attualmente il cappuccino è interessato, in modo partico-lare, alla figura di Gesù di

cui parla con vivo interesse e indi-scussa competenza nel libro “Quel Gesù, il Signore” con sottotitolo “E voi che dite chi io sia?”, pubblicato nel febbraio scorso con le Edizioni Porziuncola - Assisi.

E’ vero. Tanto si è scritto su Gesù, forse troppo. E spesso a vanvera. Chi Lo vede fi-

losofo, carismatico, profeta, maestro, sindacalista, rivoluzionario e ambizio-so perfino con la pretesa di essere Dio. P. Teobaldo riesce a focalizzare e quindi a svilupparne poi la identi-tà divina facendo propria la risposta

“Hanno venduto come

schiavi uomini onesti,

solo perché non pote-

vano pagare i loro debiti, perfino

poveri che non erano in grado di

saldare nemmeno il debito di un

paio di sandali. Costringono il

povero a strisciare nella polvere e

rendono la vita difficile al debo-

le...” (Osea 2,6 -7).

“Siedo sulla schiena di un

uomo, soffocandolo, co-

stringendolo a portarmi.

E intanto cerco di convincere me

e gli altri che sono pieno di com-

passione per lui e desidero di mi-

gliorare la sua sorte con ogni mezzo

possibile. Tranne che scendendo

dalla sua schiena”. A fare que-sta riflessione è quel grande romanziere russo che è stato Tolstoj, noto anche per la sua sensibilità sociale. Le sue ri-ghe portano spontaneamente il pensiero a tutte le forme di sfruttamento che l’umanità nella sua storia ha perpetrato e perpetra anche ai nostri giorni. Dalla schiavitù dell’an-tichità fino al colonialismo e alle moderne forme di razzi-smo, di persecuzioni e di vio -lenza, scorre un filo nero di sopraffazioni e d’abusi. Spes-so questi crimini sono stati compiuti anche da chi aveva la bocca piena di parole che andavano nel senso opposto, come socialismo, solidarietà, fraternità, uguaglianza. Talvol-ta, ahimé, anche nel nome di Dio.Ma, al di là di questi tra-gici avvenimenti storici, nel nostro piccolo quotidiano, un po’ tutti in qualche occasio -ne della vita ci siamo seduti sulla schiena di un altro approfittando di lui. Benché convinti della validità assolu-ta del messaggio cristiano sul rispetto della dignità della persona e del valore dell’amo-re, abbiamo curato il nostro interesse prevalendo sugli altri, forse anche ricorrendo all’ingenuità altrui, adottando la divisa della furbizia e della manipolazione. Sarà sempre necessario, di conseguenza, un esame autocritico e sin-cero sulle nostre relazioni sociali, per essere eventual-mente pronti a scendere dalla schiena del prossimo.

Sulla

schiena

dell’altro

materialmente esistita, con coerenza ed equilibrio” tale da sfidare i suoi avversari: “Chi di voi può convincer-mi di peccato?”

Originale la colloca-zione di Gesù che ne fa lo scrittore:

prima del tempo, cioè nell’eternità con il Padre e lo Spirito Santo; e la Sua presenza poi nel tempo cioè fra gli uomini dove dimostra di essere “Signore, unico maestro, testimone della verità, servo, guaritore, pastore, profeta, intrattenito-re, controversista, psicologo e conoscitore della legge: uomo perfetto”. Per l’autore quindi Gesù indiscutibil-mente è “accettabile, credi-bile, affidabile”.

Il francescano si veste quasi da certosino nel-l’arricchire pazientemen-

te i suoi otto capitoli con ricche, preziose e numero-sissime note come una tesi di laurea.

Michel Montaigne scriveva che sono così pochi quelli

che sanno invecchiare con grazia. Fra questi senza dubbio c’è anche P. Teobaldo.

BRUNO DEL FRATE

Quel GESU’ il SIGNORE

Ne Il maestro e Mar ghe ri ta di Bulgakov, un as si sten te del diavolo propone alla protagonista di di ven ta re strega; se ac con sen ti rà lui le donerà un un guen to miracoloso che la ren de rà per sempre giovane e bella. Nel chiacchiericcio dei sa lot ti buoni delle televisioni e delle radio e negli spot pub bli ci ta ri che questi media rimandano in conti-nuazione, sem bre reb be emer ge re, tra tut ti, lo slogan ‘sem pre gio va ni e bel li’. Non si parla d’altro, fat ta salva la cucina e qual che al tro ar go men to di va ria uma ni tà e vanità. E an che la cu ci na, spesso e vo len tie ri, vie ne trattata in chiave sa lu ti sti ca, che in sé per sé non è un male, anzi tut t’al tro. L’edu ca zio ne alla pre ven zio ne è un fatto serio, e se i mezzi di comunica-zione di massa riescono in qual che modo a darci qual che dritta me glio così, pur ché non si esageri e non si speculi furbescamente in direzione di mer ca ti già di per sé fi o ren ti. Talvolta for se, il limite è quello della confusione: trop- pe in di ca zio ni messe assieme con qualche az zar do. Ma, in som ma. D’al tron de la me di ci na, vuoi quella uf fi cia le, vuoi quella cosiddetta oli sti ca o na tu ri sta o come me glio si preferisce chiamarla, non sono dei complessi mo no li ti ci. Proprio no. Vivono di scuole più o meno spe cia li sti che in costante dia let ti ca, quando va bene, tra di loro. L’impor-tante, si sa, sono i risultati e i prezzi da pa ga re non solo in termini mo ne ta ri. In fatto di sa lu te, non nuo ce re in nan -

zi tut to do vreb be essere la pri ma re go la di chi si occupa di salute e di malattie.Comunque sia, bi so gne reb be, secondo me, in si ste re di più sul fatto che l’in vec chia men to è del tutto naturale. Non ci si do vreb be ostinare a considerare la vecchiaia

come una ma lat tia o come un acerrimo ne mi co da combattere si ste ma ti ca men te. Un at teg gia men to del ge ne re è poco sag gio ol tre che inu ti le e, talora, pe ri co lo so. La cro na ca di que sti ultimi tem pi, ha mes so in luce fatti ve ra men te in- quie tan ti. Si va dal rag gi ro alla vera e pro pria truf fa, dal l’in ter ven to più o meno nocivo alla de va sta zio ne fi si ca e mentale, fi no ad ar ri va re, nei casi li mi te, al de ces so. Cer ca re di in vec chia re bene e man te ne re il corpo e la men te in ef fi cien za a qualsiasi età, in ve ce è cosa buona

e giusta. Parafrasando san Fran ce sco che chiamava la mor te affettuosamente so rel la, po trem mo in co min cia re a chia ma re con saggezza e consapevolezza il pe ri o do fi na le del la nostra vita, sora vec chia ia. E sarebbe una ri vo lu zio ne co per ni ca na se così fos se, in quanto oggi, nelle no stre società oc ci den ta li e in quelle che si vanno occidentaliz-zando per via della globalizzazione, ve dia mo pe no sa men te avan za re la ten den za a ri muo ve re la stes sa idea di morte. Da qui a de mo niz za re la vecchiaia il passo è bre ve e ce ne ac cor gia mo ogni giorno. Ven de re mo an che noi l’ani ma a Bel zebù come fece Margherita?

Sempre giovani e belli

UGOLINO VAGNUZZI

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15 / Giugno 2008

Un concerto, il 30 giugno, conLorin Maazel alla direzione de“Il Messia” di Haendel. Un

convegno e la pubblicazione di una gui-da pratica alla conoscenza storico-ar-chitettonica della basilica papale di SanPaolo fuori le mura a Roma. Celebra-zioni, pellegrinaggi, convegni, mostre epersino una marcia notturna verso lachiesa dedicata all’Apostolo delle gen-ti. Queste sono soltanto alcune delleiniziative promosse per commemorarei duemila anni della nascita di San Pao-lo. Il 28 giugno - quasi certamente allapresenza del Patriarca di Costantinopo-li - Papa Benedetto XVI aprirà la «Por-ta paolina», così ribattezzata per dare unospeciale significato all’evento, mentreresterà chiusa la «Porta Santa» e nel bra-ciere arderà la «fiamma paolina» alimen-tata con l’olio donato dai fedeli. La spe-ciale commemorazione avrà anche unproprio inno. Una sorta di colonna so-nora scritta dal priore dell’Abbazia, dom

Johannes Paul Abrahamowicz. Trecen-tosessantacinque giorni, tanti fino al 28giugno 2009, permeati tutti dallo spiri-to ecumenico che è proprio di Saulo diTarso. «Ci apprestiamo a vivere - spiega ilcardinale Andrea Cordero Lanza diMontezemolo, dal 2005 arciprete della

basilica romana - un anno di grazia con-sacrato, come ha voluto il Papa, alla testi-monianza e all’insegnamento di Paolo e al-la preghiera e azione per la piena unità ditutti i cristiani. Un anno che ci spronerà aproseguire con maggiore impegno la nostravita di credenti in Cristo». Annunciatogià un anno fa da Benedetto XVI, l’e-vento commemorativo mira a far risco-prire l’attualità di Paolo e ad imprime-re nuovo slancio al dialogo ecumenico.Tra le iniziative ci sono anche l’annul-lo di uno speciale francobollo, la conia-zione di una «medaglia del bimillenario» el’emissione, da parte del Governatora-to della Città del Vaticano, di una mo-neta da 2 euro. L’attivazione di un sitoweb (www.annopaolino.org) offriràinoltre la possibilità di seguire in diret-ta i momenti salienti dell’evento. In ul-timo, un’operazione dall’alto valore sim-bolico: poiché dal 2005 la cappella de-stinata al Battistero non è più usata percelebrare Battesimi, questa sarà trasfor-

mata in «cappella ecumenica» per offrirea ciascun cristiano che lo richieda unospeciale luogo di preghiera, dove nonsaranno celebrati i sacramenti. In essasarà riposto l’altare che era stato rimos-so nel 2006 dall’ipogeo di San Paoloper poter rendere visibile il sarcofagodell’Apostolo, tornato alla luce duran-te una recente campagna di scavi. Unascoperta, quest’ultima, che ha fatto ac-cendere i riflettori sulla basilica, presad’assalto dai fedeli e dagli studiosi ditutto il mondo. L’archeologo GiorgioFilippi, che ha coordinato i lavori, pre-cisa tuttavia i termini sostenendo che«parlare di ritrovamento è sbagliato. Nes-suno ha mai avuto dubbi sul luogo dellasepoltura dell’Apostolo». Su di esso l’im-peratore Costantino eresse la prima pic-cola basilica ma le successive modifi-che strutturali ed architettoniche han-no di fatto causato la scomparsa del se-polcro sotto il pavimento.

Mariaelena Finessi

L’imputato BACIOdifeso dall’amore

Un anno a ROMA nel segno di SAN PAOLO

In Francia si avviano al riconoscimen-to dei diritti per la famiglia allargata. Èil primo Paese in Europa che affronta

questa delicata materia. I tempi lo esigono.La media delle famiglie che “tengono” èin calo. Per due che resistono, magari an-che incerottate ma vanno avanti, ce n’èun’altra che si sfascia. Contro la febbre,più che buttar via il termometro, servestudiare qualche rimedio. Il problema èquello delle persone che si trovano a con-vivere con figli non naturali. Quando c’è

un cognome diverso, sono ostacoli nonindifferenti da superare, dalla scuola allasanità. Un milione e 600 mila minoren-ni francesi vivono con un nuovo partnerdi papà o mamma. Si vorrebbe normaliz-zare la situazione per il “terzo genitore”.DIFFICILE cambiare il passo su un ter-reno scivoloso, dove contano i sentimen-ti e dove l’intimità ha il suo peso. Gli ad-dii producono sempre lacerazioni. D’altraparte, in questa modernità che corre e silascia alle spalle in fretta comportamen-

ti e abitudini del passato, ci vuole un qua-dro di riferimento legislativo. Nella societàfluida troveremo sempre più frequenti sto-rie di patrigni, matrigne, fratellastri e so-rellastre e occorrerà snellire iter e buro-crazie. Si tratta di “contemperare” ruoli tragenitori biologici e nuovi arrivati, diffiden-ze e capacità di farsi accettare, facilitazio-ni legali e spazio di interiorizzazione. Sepoi sia più facile ricucire la cicatrice dapiccoli o adolescenti è ardua risposta: ognistagione ha la sua pena. (G.Z.)

Genitori biologici e famiglie allargate

L’articolo “la legge del ba-cio” ha fatto salire lamosca al naso di un

anonimo lettore, che ha invia-to una lettera indignata control’imputato bacio, colpevole ditutta la degenerazione in atto,dai comportamenti adolescen-ziali a quelli matrimoniali. Do-po aver letto quella lettera, midomando francamente in qualemondo viva questo anonimocensore e se abbia occhi per ve-dere attorno a sé o non stia par-lando di un passato remoto incui la forma veniva fatta preva-lere sulla sostanza. Voler disciplinare per legge unbacio, com’era all’esame in Ger-mania, e quindi un’effusioned’amore - che può disturbare so-lo chi è disturbato di suo e conqualche problema irrisolto - èuna evidente velleità. Credo chechiunque, dotato di elementarebuon senso, può rendersi contodell’inutilità di una simile perdi-ta di tempo. Sono ben altri gliinterventi, le cure e le premureche la gente si aspetta dai poli-tici, quindi dai legislatori. L’autore della reprimenda con-tro i baci scrive che bisognereb-be “plaudire a regolamenti che ri-conoscono la validità di modellicomportamentali corretti” e ag-giunge - per chiarire fino in fon-do il suo pensiero - che “i baci so-no l’attività propedeutica ad altri at-ti: perversioni, sperimentazioni ditutti i tipi, che talvolta possono im-pedire o condizionare anche unnormale sviluppo sessuale ed uncorretto esercizio della sessualitàdurante la vita matrimoniale”. Ci vuole già una bella forzaturadi mente per spingersi a una si-mile grammatica delle emozio-ni e dei sentimenti. La causa del-la crisi del matrimonio, egregio

Signor Anonimo, ha radici benpiù profonde che il bacio. Il ma-trimonio ha bisogno di ben al-tre fondamenta e rivalutazione,se si vuole che regga agli urti del-la modernità, che non solo “il farsesso prima e fuori del matrimonio”(pratica per altro non proprio re-centissima: solo che prima si sa-peva poco o si nascondeva co-munque molto, a differenza dioggi, in tempo di visibilità esi-bita e di clamore mediatico). I Comandamenti sono dieci eforse - come si è fatto anchetroppo - bisognerebbe evitare diconcentrarsi soprattutto sul se-sto e sul nono. Di più: forse bi-sognerebbe rivalutare anchel’amore, che è la base del ma-trimonio, in tutte le sue espres-sioni, evitando di spargere l’ideadel peccato dappertutto. Magarisarebbe ora di rivalutare queltantino anche il corpo.C’è un libro che mi permetto diconsigliare ai lettori: “Karol ilGrande” del vaticanista Dome-nico Del Rio (edizioni Paoline),

con un capitoletto (a pagina50) molto interessante su cuispendere qualche non oziosa ri-flessione sul magistero di uncerto Karol Wojtyla: “Parlava aigiovani e non aveva timore di usa-re espressioni e immagini da cui ri-fuggivano i suoi compagni di sa-cerdozio o anche gli stessi docen-ti di morale cattolica. “Teologia delcorpo”, “Teologia del sesso”: era-no le parole usate da Karol quan-do trattava con i giovani dell’a-more umano. Gli piaceva illu-strare il Cantico dei cantici del-la Bibbia: “Mi baci egli con i ba-ci della sua bocca. Poiché le suetenerezze sono migliori del vino”(Ct 1,2). “La mascolinità e lafemminilità - diceva Wojtyla -sono due differenti incarnazioni,cioè due modi di essere corpo delmedesimo essere umano creato aimmagine di Dio. La funzione delsesso è costitutiva della persona enon solamente un attributo dellapersona. Essa dimostra come l’es-sere umano è costituito profonda-mente nel corpo come lui o lei. La

presenza dell’elemento femminilea fianco dell’elemento maschile, etutto insieme con lui, significa unarricchimento per l’uomo in tuttala prospettiva della sua storia, ivicompresa la storia della salvezza”.E ancora: “Ecco allora che il “cor-po”, il corpo “nudo” dell’uomo edella donna aveva un “fascino”,un “linguaggio” non solo sul pia-no fisico, ma anche su quello spi-rituale, teologale”.Diceva Karol: “Le parole d’amo-re pronunziate da entrambi si incen-trano sul corpo, non solo perché es-so costituisce per se stesso sorgentedi reciproco fascino, ma anche e so-

prattutto perché su di esso si soffer-ma direttamente e immediatamen-te quell’attrazione verso l’altra per-sona, verso l’altro io, femminile omaschile, che nell’interiore impul-so del cuore genera l’amore”. Piùche del bacio e dei baci, bisogne-rebbe aver paura d’altro. Molti sipreoccupano di apparire, piùche di vivere bene. Per questo fi-niscono per confondere il granocon il loglio, per star male essestesse e per far male. Sarebbe piùutile e saggio cercare di “veder”bene nella vita: e si finirà ancheper stare tanto bene.

Giuseppe Zois

L’abuso di alcol c’èsempre stato. Non èaumentato negli ulti-

mi tempi: piuttosto è venutoalla luce grazie ai controlli eai rilevamenti con l’etilome-tro. La pirateria sulle stradeè in crescendo e lo è per unmotivo ben preciso: i vigilinon sono presenti in stradacome nel passato. Occorreràriportare sulle strade il mag-gior numero possibile diagenti. Prevenzione ed edu-cazione. C’è anche una de-

terrenza fatta di sanzioni benprecise. In Scandinavia, inInghilterra c’è una notte digalera se si viene sorpresi conlimiti superati dall’alcol equesto sarebbe un sano dis-suasore. E poi, la certezzadella pena. La revoca dellapatente, che in qualche ca-so grave dovrebbe essere riti-rata a vita, bisogna che siamantenuta. In Italia è possi-bile rifarsi un’altra patentee quindi il rimedio viene va-nificato.

BACCO AL VOLANTE

Page 16: Abbonnement - Poste - Taxe Perçu ... · porre una anch’io. Vorrei una moratoria sull’utilizzo del territorio. Uno stop alle costru-zioni sull’italico suolo. Tutto. Ci penso

16 / Giugno 2008

Dio fece la donna per ultima perchè non voleva consigli mentre creava l’uomo.

AnonimoDicono che l’amore sia cieco. Credetemi, niente ha la vista più acuta del vero amore. Niente. L’amore ha la vista più acuta del mondo. La dipendenza è cieca, l’attaccamento è cieco... non chiamate amore quelle cose.

AnonimoDov’è il cielo, là vi è Dio.

Anonimo pellerossa della tribù Ewe

L’1 di giugno sorge mediamente in Italia

intorno alle ore 4,39

e tramonta intorno alle 19,36.

Il 15 di giugno sorge mediamente in Italia

intorno alle ore 4,36

e tramonta intorno alle 19,45.

Il 30 di giugno sorge mediamente in Italia

intorno alle ore 4,38

e tramonta intorno alle 19,48.

Questo numero è andato in stampa il 12 maggio del 2008.

Richiedere a: E.F.I. - via Se ve ri na, 2

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Nei campiDopo la mie ti tu ra arate su bi to il ter re no in su per fi cie; innaffi atelo e pre pa ra te lo per le “seconde col- tu re”. Il mais ha bisogno di una buona ir ri ga zio ne, come pure la bar ba bie to la da zuc che ro. Non uccidete rospi, ramarri e lu cer -to le, tutti ani ma li che si ci ba no di insetti.

Negli ortiIntensificate l’irrigazione, ma attenzione non utilizzate ac qua più fredda della tem pe ra tu ra ambiente. Liberate il terreno da erbe spontanee non deside-rate. Piantagione a rotazione. Seminate nelle aiuole dove le colture si sono esaurite, dopo averle ri pu li te e lavorate a do-vere bie to le, carote, verze, lat-

tughe, fa gio li ni e indivie; cavolfiori e ca vo li per le

stagioni fred de. Attenzione alla tignola che attacca le olive ap-pena nate.

Nei terrazzi e nei giardiniFioriscono gigli, rose, mar ghe -ri te, garofani, papaveri e ogni ben di Dio. Effettuate il trat ta -men to preventivo con tro il mal bianco delle rose. I pra ti van no innaffi ati alla sera. At ten zio ne agli insetti.

In cantinaE’tempo di ef fet tua re il terzo travaso del vino conservato nelle tradizionali botti di le gno. Attenzione al caldo, una buo na cantina non do vreb be es se re soggetta a grandi escur sio ni ter-miche. Chi riu ti liz za le bottiglie già usate, per im bot ti glia re il vino nuovo, sia accorto nel ripulirle a fondo.

Testi a cura di fratemarco

Gnocchetti sardi

Ingredienti per 4 per so ne: 300 gr di gnoc chet ti sardi, 1 cuore

di sedano, 1 etto di gro vie ra, 1 etto di

nocciole sgusciate, 30 g di pi no li tostati

al forno, 1/2 cipolla, 1 etto di ma io ne se

allo yogurt, 1 limone, olio extra ver gi ne di

oliva, senape q.b., peperoncino in pol ve re

q.b., 8 fo glie di lattuga romana o spa do na

(2 per ogni piatto) e sale q.b.

Lavare il sedano e, dopo averlo asciugato, tagliatelo in tante ron- del li ne. Tritate sottilmente la ci-polla, pe sta te le nocciole e tagliate la gro vie ra a dadini. A parte, in un�in sa la tie ra, unite, nelle quan-tità indicate: maionese, senape, pe pe ron ci no, olio, suc co di limone e trito di ci pol la, amalgamate con un cuc chia io di le gno. Lessate gli gnocchetti in ab bon -dan te acqua salata. Scolateli al dente e raf fred da te li direttamente nel co la pa sta in acqua corrente, quindi ver sa te li nell�insalatiera. A questo pun to, ag giun ge te vi il sedano, la gro vie ra, le nocciole e i pinoli. Mescolate bene il tutto e lasciate riposare per circa un�ora a temperatura am bien te. Al momento di servire, metterete in ogni piatto due foglie di lattuga ben di ste se e sopra la porzione di gnoc-chetti sardi.

bene a sapersi PER NON RUSSARE

* Evitare il sovrappeso, seguendo una dieta bi lan cia ta e fa-cendo del moto. Il russamento, spesse volte dipende proprio da questo. * Alla sera evitare le ab buf fa te. * Ridurre caffè e alcolici.* Utilizzare umi di fi ca to ri elettrici nella stan za dove si dor-me.* Addormentarsi as su men do una posizione di un fianco oppu-re a boc co ni, comunque sia evi tan do la posizione su pi na.* Provare ad utilizzare gli ap po si ti cerotti che migliorano la re spi ra zio ne nasale.

TABAGISMO

La liquirizia, contribuendo alla ri ge ne ra zio ne delle mucose degli apparati respiratorio e digerente, è un ottimo rimedio

contro l’in tos si ca zio ne da tabacco.

FIORI DI BACH: PINO SELVATICO (pinus silvestris)

PAROLA CHIA VE: pentimento, ri mor so, autoaccusa, sco rag gia men to, disperazione, per fe zio ni smo.Il tipo Pino selvatico, Pine in in gle se, soffre spesso di gravi sensi di colpa del tutto immotivati almeno in appa-renza. Iper cri ti co nei propri confronti fino al l’ipo con dria, ha un’opinione di sé e delle sue capacità intellettive ai minimi livelli, tanto che chiede scu sa continuamente senza alcuna ra gio ne oggettiva. Talvolta par quasi che voglia dire scusatemi tanto se sono venuto al mondo dal momento che mi ritengo un incapace. Un tipo di atteggiamento che si ritrova anche nei soggetti depressi, ma qui abbiamo a che fare con soggetti quasi sempre molto attivi e volen-terosi di risultare utili agli altri nonostante la disistima che nutrono nei propri confronti. Bach, più precisamente, indica il ri me dio in questione «per quelli che si fanno sem pre dei rim pro ve ri e non sono mai appagati dai propri risultati; a volte, di fronte a un er ro re commesso da altri, si fan no ca ri co di ogni re spon sa bi li tà». C’è, come dire una sorta di ma so chi smo in te rio re che informa i com por ta men ti del sog get to Pine, tanto che si in flig ge con ti nua men te sofferenze, umi lia zio ni, per una sor ta di desiderio di au to pu ni zio ne e un bisogno ineludibile di penitenza. Per fe zio ni sta, sul la vo ro si sottopone a in cre di bi li tour de

for ce senza mai però es se re sod di sfat to dei risultati ot te nu ti.

ABBONARSI E' FACILEBasta versare sul Conto Corrente postale 4069 intestato a:

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la quota, indicata qui sotto, che più riterrete opportuna.

UFFICIO ABBONAMENTI: TEL. 075.506.93.50 - 075.506.93.51 - FAX 075.505.15.33

*Il Solstizio di giugno apre le porte alle giornate corte.

*A San Giovanni, dimentica i malanni.

*Il pescatore buono ha San Pietro per patrono.

*Per San Pietro o paglia o fie no.

* San Giovanni non vuole inganni.

*Giugno pieno di luce ed alto il grano, il contadino ha già il

falcetto in mano.*Di giugno figlie, orti e giar- di ni controllali dai vicini.

*Se piove per san Barnabà, l'uva bianca se ne va. Se piove

mattina e sera, se ne va la bian ca e la nera.

GIUGNO

“Io son giugno che mieto il grano,

lo mieto al monte, a valle e nel piano:

con tanta fatica e tanto sudore

da poverello mi faccio signore.”

Il 22 di giugno, a Nola (Cam pa nia) si svolge la rituale Sagra de’ Gi gli, che il Cattabiani definisce: «una delle feste più spettacolari del nostro paese». Si ricorda il vescovo e protettore san Paolino (353-431 d.C.) che tornato dall’Africa, fu ac col to sulla spiaggia di Torre Annunziata dal popolo festante che gli offriva mazzi di gigli in segno di riconoscenza per aver ottenuto a sue spese la liberazione di alcuni nolani resi schiavi dai Vandali dopo la caduta della città. Col passare dei secoli i gigli si trasformarono in 8 macchine a forma di obelisco o campanile, alti 25/30 mt, ricoperti di cartapesta e adorni di fiori, nastri, festoni, ecc., che rappresentano i mestieri. Uno è a forma di barca con sopra la statua del Santo. Vengono trasportati in processione per tutta la città, a spalla da facchini riuniti in ‘pa ran ze’ di oltre 200 persone. Ca rat te ri sti co è il ballo finale, prima della benedizione del Vescovo.

Sagra de’ Gigli

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S. Giovanni BattistaSi ricorda il 24 giugnoGiovanni Battista è l’unico san-to, oltre la Madonna, che viene ce le bra to anche nel gior no della na sci ta. Il 29 di agosto, si ricorda invece il suo martirio. Giovanni, il cui nome si gni fi ca “Dio è propizio”, è il pre cur so re per antonomasia di Gesù Cristo. La data liturgica, tre mesi dopo l’An nun cia zio ne e sei prima del Natale, è coerente alle indicazioni del Vangelo di Luca. Infatti, l’an-gelo Gabriele dice a Ma ria nel la sua casa di Nazareth in Ga li lea: “...questo è il sesto mese per lei...”, intendendo il periodo di tem po già trascorso dalla cugina Eli sa bet ta in attesa di suo figlio. Giovanni, dopo un periodo pas- sa to nel deserto come ere mi ta, inizia a battezzare sulle rive del Giordano per propiziare l’arrivo del Re den to re. «Io vi battezzo con ac qua - egli dice nel Van- ge lo di Luca — ma viene uno che è più forte di me, al qua le io non sono degno di scio glie re neppure il le gac cio dei sandali; costui vi bat tez ze rà in Spirito Santo e fuo co».