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a tutto in questo numero AR CO Il Museo del Violino David Ojstrakh, documenti, testimonianze e ricordi Carlo Bergonzi. Alla scoperta di un grande Maestro Liuteria in festival Il Postwebernismo. I Ferienkurse di Darmstadt Il 38° Congresso Internazionale ESTA di Bruges La quotazione degli strumenti ad arco: le ultime aste Organo ufficiale di ESTA Italia numero 6 - anno III prezzo di copertina 8 Tariffa regime libero: Poste Italiane spa - sped. in a. p. 70% DCB (Cremona C.L.R.) ISBN 88-8359-135-8

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in questo numero

ARCO

Il Museo del Violino

David Ojstrakh, documenti, testimonianze e ricordi

Carlo Bergonzi. Alla scoperta di un grande Maestro

Liuteria in festival

Il Postwebernismo. I Ferienkurse di Darmstadt

Il 38° Congresso Internazionale ESTA di Bruges

La quotazione degli strumenti ad arco:le ultime aste

6Organo ufficiale di ESTA Italianumero 6 - anno IIIprezzo di copertina 8 €

Tariffa regime libero: Poste Italiane spa - sped. in a. p. 70% DCB (Cremona C.L.R.)

ISBN 88-8359-135-8

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cremonabooks&violins

in Piazza del Comune(Largo Boccaccino, 12/14)

a Cremona

tel. +39 0372 [email protected]

lunedì 15,30/19,30martedì/sabato 9,30/19,30

domenica 10,00/19,00

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Organo ufficiale di ESTA Italia

numero 6 - anno III

In copertina: David Ojstrakh

direttore responsabileGiovanni Battista Magnoli

assistente e coordinatrice editorialePaola Carlomagno

comitato di redazioneMarco AndriottiBarbara BertoldiFausto CacciatoriAlberto CampagnanoPaola CarlomagnoEnnio FrancescatoBruno GiurannaSatu JalasLuca Sanzò

segreteria di redazioneAnna Domaneschi

editore e redazione CREMONABOOKSCremona, Largo Boccaccino, 12/14tel. 0372 31743 - fax 0372 [email protected]

grafica, impaginazione, raccolta pubblicitariaFORMAT - Cremona, via A. Rodano, 21tel. 0372 800243 - fax 0372 [email protected] - www.formatcr.it

stampa: Fantigrafica - CR

Comitato Direttivo ESTA ItaliaBruno Giuranna presidenteSatu Jalas vice-presidenteEnnio Francescato segretarioMarco AndriottiBarbara BertoldiAlberto CampagnanoGiuseppe MiglioliLuca SanzòUrsula Schaa

Soci OnorariClaudio AbbadoSalvatore Accardo Piero FarulliRenato Zanettovich

iscritto al registro stampa periodica

al n. 441 in data 21.4.2008

in questo numero

Il Museo del Violino

Intervista a Oreste Perri Sindaco della Città di Cremona

Intervista ad Andrea MosconiConservatore dei beni liutari della Città di Cremona

David Ojstrakh, documenti, testimonianze e ricordi

Carlo Bergonzi. Alla scoperta di un grande Maestro

Liuteria in festival

Il Postwebernismo. I Ferienkurse di Darmstadt

Il Distretto della Musica ai nastri di partenza

I liutai cremonesi alla conquista di Cina e Stati Uniti

La vita nel… Laboratorio di Violino

Strumenti musicali, vernici e colori

Recensioni

Stewart Pollens - Stradivari

E’ nata una stella: l’Accademia ViolinisticaZinaida Gilels

Didattica e professione

Violins and Bow Makers of Australia

Il 38° Congresso Internazionale ESTA di Bruges

Le quotazioni degli strumenti ad arco:le ultime aste

Play Day e Incontro di Cremona

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Avvertenza al LettoreLa successione degli argomenti seguel’impostazione che personalmente ritengoconsequenziale al tema affrontato.Niente paura! Nessun obbligo a seguirequesto iter. Ognuno liberamente leggaquanto gli interessa, poi ricomponga il te-sto secondo le priorità che attribuisce al-l’argomento.Faccio osservare che ho tentato d’affron-tare la questione secondo diverse sfaccet-tature, avendo presente che un “Museodel Violino” non è solo questione cremo-nese, ma coinvolge l’intera liuteria italiana,la musica, i beni culturali, la loro salva-guardia e il significato stesso che essi han-no per la storia.

Indice aperto• Presentazione • Il museo: come declinazione dei beni

culturali nella memoria

• Il Museo del Violino: uno spazio carat-terizzato

• Il Museo del Violino e Cremona: oltre ilmuseo, il museo diffuso delle botteghe

• Il Museo del Violino e la musica: l’Au-ditorium

• Il museo: le collezioni degli strumentied altro

• L’utenza: dalla Sig.ra Maria allo studiosoemerito

• L’architettura: Cocchia, oltre Cocchia• Architettura, Musica e Liuteria

PresentazioneNon si va a teatro in viola, come non vo-glio parlare del Museo del Violino primache questo sia realizzato. «Per scaraman-zia?» si dirà. Ebbene sì!Allora che significato ha questo mio ap-proccio che riguarda un progetto che èancora sulla carta e in via di definizione?Attenzione: non solo sulla carta, ma già

in via di realizzazione. I muri di un edifi-cio, più precisamente l’interno, sono giàda qualche mese sottoposti alle modifi-che del caso.Nel secolo scorso il Palazzo dell’Arte erastato ideato allo scopo di ospitare l’arteplastica contemporanea che avrebbe do-vuto dar lustro alla città di Cremona. Co-sì non fu; questa è una storia che non ciriguarda. Si proceda quindi con ordinecol dare risposta alla domanda. Non vo-glio celebrare ciò che ancora non ha for-ma: sarebbe sostenere che “il nascituro”sarà un genio! Lasciamolo dire ai posteri:Manzoni docet. Quello che voglio sem-plicemente tentare di consegnare in que-sto mio scritto sono le motivazioni pro-fonde che sottendono l’intero progetto.Per cui quanto dirò è un modo per og-gettivare le linee guida che vedono instretto dialogo la proprietà Comune diCremona con il committente Fondazione

Anna Lucia Maramotti Politi

Il museo del violino

Palazzo dell’Arte, sede del futuro Museo del violino (1944 qualche anno dopo la suacostruzione)

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Arvedi-Buschini, la Commissione scien-tifica con lo studio progettista Studio Pa-lù-Bianchi.Si venga ora all’altra osservazione: la scel-ta di Palazzo dell’Arte. La questione im-porrebbe un’analisi architettonica ed ur-banistica. Questa è rinviata. Sarà il museostesso, una volta realizzato, ad offrire ri-sposte.Si osserva che nelle intenzioni di chi ave-va voluto il palazzo questo avrebbe do-vuto celebrare Cremona attraverso dueaspetti: arte e contemporaneità. Ebbene,quale arte costituisce il nucleo dell’identitàstorico-culturale della Città? È facile ri-spondere: la liuteria. La “contemporaneità”è stata forse tradita? No certo. L’attualità èfiglia del passato. L’oggi non è comprensi-bile se non lo si declina con la storia chel’ha preceduto. Pensare alla liuteria con-temporanea e disancorarla dal suo passatoè commettere una distorsione. Significadimenticare che l’uomo è un “animalestorico”. Le arti, al pari delle scienze, co-me la politica al pari dell’economia, con-catenano il passato al presente, e questoal futuro, in una dialettica che di conti-nuo s’interfaccia con la novità: la perso-nalità inalienabile del soggetto umano che,nutrito dalla storia, si esprime solo se neha metabolizzato la cultura e l’ha fattapropria.Nessun genio nasce dal nulla, non è meraespressione del suo tempo, ma è il risulta-to di quel lungo travaglio interiore in cuiil passato si pone come fonte di esperien-za e di conoscenza, d’intuizione declinatacon la kunstwollen della propria epoca. Ilrisultato è la consapevolezza che nell’u-miltà e nella temperanza, quasi inconscia-mente, si raggiungono i vertici dell’arte edella scienza, i vertici del progresso, i ver-tici di quell’onestà intellettuale e praticache fa grande l’uomo.

tività dello spirito che afferma la conti-nuità e l’identità della personalità (singolanel caso dell’io, collettiva nel caso di unapopolazione).Attraverso la memoria il ricordo “appar-tiene a…”, non è solo evocazione, ma haun significato. La memoria è la facoltà cheunifica i momenti della coscienza, è ga-ranzia dell’“unità dell’io”, quell’io noncostituito da fotogrammi, ma “unità in-scindibile”.La nota dominante della coscienza è lamemoria.Attraverso questa ciascuno di noi ha espe-rienza e conseguentemente consapevo-lezza di essere “soggetto responsabile”.Alcontrario del ricordo, la memoria non ri-guarda solo il passato, ma coniuga, attra-verso il presente, il futuro. Solo la memo-ria rende possibile l’anticipazione del do-mani.Per affrontare il tema del museo è neces-sario un successivo tassello. La memoriasi configura, non solo come esperienza (sipensi alla funzione del ricordo negli ani-mali), ma come attività storica. L’uomo,ben lo aveva già sottolineato Aristotele, è“animale storico”. Questi, sulla base delleconoscenze acquisite, sa progettare nuovipercorsi sviluppando ricerche e dare un’i-dentità al proprio tempo indirizzando laprassi.Forse non è più necessario soffermarsi sulvalore del museo: il suo significato è uncorollario di quanto detto. Si comprendebene come il museo sia il luogo che, ac-cogliendo presenze ormai storicizzate efacendone memoria, sviluppi oggi, nellacontinuità, attività apparentemente in re-lazione con il passato.Chi visita un museo non soddisfa una pu-ra curiosità, ma affronta il presente arric-chito da conoscenze e competenze deri-vate dalla storia.

Il museo: come declinazione dei beni culturali nella memoriaMi scusi quindi il lettore se, prima d’en-trare in medias res, mi soffermo sul signi-ficato e sul valore del museo.Lo avverto sin d’ora: qualora questa pa-gina apparisse un’elucubrazione di chi,prima d’affrontare un progetto, volesse ca-pirne il senso, può direttamente passare alparagrafo successivo. Ciascuno di noi puòscegliere i percorsi intellettuali da seguire.Questo scritto ha un suo sviluppo logi-co-consequenziale, ma può essere, facen-do eco a Umberto Eco, un testo aperto.Cos’è un museo? Cosa vuol essere nellospecifico il Museo del Violino?Un museo è un luogo della memoria, ilMuseo del Violino è un luogo della me-moria liutaria. Prima d’affrontare questoproblema, è necessario chiedersi cosa s’in-tenda per “memoria”.Non affronto un tema generale, ma vo-glio tentare di accostare il lettore al “fon-damento” (arché) dell’oggetto di cui siparla. Parlare di un evento storico ed in-terpretarlo, dopo aver vagliato l’autenti-cità delle fonti, è un’operazione che chia-ma in causa i valori che si attribuisconoall’agire umano. Dunque accostiamoci al“tema della memoria”, fondamento chesottende l’ideazione di un museo.Solitamente il termine “memoria” è uti-lizzato come sinonimo di “ricordo”.Niente di più equivoco. Il ricordo è per ilpensiero un contenuto (“io ricordo cosaho fatto ieri”). Si tratta di quell’attivitàdella coscienza per cui si evocano fatti,conoscenze, sensazioni e sentimenti cheappartengono al passato. È la presenza diun “accadimento” che appartiene a untempo. Il ricordo riguarda un tempo as-sente, si coniuga con oblio e con sogget-tività.Diversamente la memoria è in primis at-

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Il museo del violino:uno spazio caratterizzato

È il violino il bene che identifica la cittàdi Cremona: è la liuteria la realtà cultura-le con cui i cremonesi si mostrano almondo e che dà vitalità alla nostra storia.Essa costituisce la nostra memoria predo-minante, rende possibile un futuro nonomologato da un becero qualunquismo,né tanto meno da un’effimera volontà dipotenza che si risolve nella spettacolaritàdell’evento.Si proceda con ordine. In Città è presen-te il Museo Stradivariano. Si tratta di unasezione del Museo “Ala Ponzone”. È do-veroso ricordare come Illemo Cammelli

abbia realizzato il Museo con il precipuoscopo di allestire una pinacoteca che con-servasse i dipinti e le opere plastiche, me-moria di autori locali. Cammelli, docentedi Storia dell’arte del nostro Liceo “Ma-nin”, aveva ben compreso la necessità dinon disperdere un patrimonio che appar-teneva ai cremonesi. Quando gli è statoproposto d’implementare il Museo conmemorie e cimeli liutari, il Professore haavuto alcune reticenze. La sua formazioneculturale non gli consentiva di porre ac-canto alle opere d’arte (tali, per definizio-ne, solo quadri, statue e simili) gli stru-menti musicali. Questi, pur ritenuti espres-sione d’alto artigianato, erano pur semprerisultato di un’attività artigianale. C’erano

poi cimeli e memorie: forme, corredi perla costruzione di strumenti, modelli.Tuttoquesto apparato non trovava una consonacollocazione rispetto a quanto già eraesposto. Il concetto di cultura materialenon era ancora stato elaborato in Italia e ladivisione netta fra arte ed artigianato, cheprepotentemente perdurava da noi, rap-presentava un pregiudizio che suggerivadi non ospitare nello stesso edificio le col-lezioni d’arte pittorica e quelle liutarie.Se i pregiudizi tali erano e tali rimangono,non si può ignorare un fondamentaleprincipio metodologico. Le opere pittori-che e quelle che testimoniano l’eccellen-za liutaria hanno percorsi “concettual-mente” museografici e museologici dif-

Museo Stradivariano, disegno di Antonio Stradivari

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ferenti. L’opera convenzionalmente defi-nita “d’arte” abbisogna di spazi in cui lafruizione estetica venga potenziata. Se èvero che un quadro permette di farci ac-costare a un’epoca, se è altrettanto veroche attraverso l’iconografia s’identifica ilmodo di sentire di un periodo storico, lafruizione dell’opera va ben oltre la letturastorico-sociale. Fruire un’opera è ancherenderla coeva al modo di sentire dell’os-servatore. Il primato spetta alla dimensio-ne estetica, dimensione per la quale la pit-tura è stata principalmente realizzata.Diversamente accade per gli strumentimusicali. Questi, realizzati per “far musi-ca”, rispondono contemporaneamente auna doppia istanza: quella estetica e quel-la funzionale. Il violino trova la sua ragiond’essere nella sua sonorità, nel suo tim-bro, nell’essere al servizio del musicista,sia questo interprete o compositore. Ilviolino, come qualunque strumento mu-sicale, vive nel rapporto simbiotico con ilmusicista. Il distacco penalizza entrambi,ciascuno di essi ha la propria ragion d’es-sere nel rapporto con l’altro.Vero è chenel caso delle opere realizzate dai liutaic’è una componente estetica imprescin-dibile, individuabile nella forma dello stru-mento, in una serie di particolari “scul-torei”, in un’armonia dell’uso dei mate-riali. Come dimenticare il valore simboli-co della chiocciola? Come non apprez-zare la scultura delle effe? Come non sof-fermarsi sulla verniciatura che tanto benepotenzia l’unicità della marezzatura? L’o-pera del liutaio è primariamente nel ri-sultato che egli ottiene acusticamente: èil raggiungimento di un timbro, che dàvoce alla musica e le permette di farsisuono. La musica esiste anche sul penta-gramma, così come un’architettura esistenel progetto, ma entrambe sono fatte peressere realizzate e sensibilmente colte. La

loro condizione d’essere non è meramen-te concettuale, è nella fruizione: condi-zione dello spalancamento dei sensi peradire allo spirito. Le arti si servono deisensi per raggiungere l’interiorità che nes-suna argomentazione riesce a penetrare.La contemplazione del bello è pura“astanza”. Per cui è lecito chiedersi: «qua-le bellezza salverà il mondo?» Le arti per-mettono allo spirito di fare esperienza deltrascendimento dall’immanenza. Spalan-cano quegli orizzonti che da sempre ap-partengono all’uomo e che la mondanità,troppe volte, porta a ignorare, quando anon disconoscere.In quest’ottica, pensare a un Museo delViolino scisso dalla musica è come sna-turarlo. Allora, si può giustificare la reti-cenza di Cammelli: per gli strumenti mu-sicali non è adeguata una mera fruizionevisiva, è necessario l’ascolto, è necessaria lapresenza del musicista.Ci sono poi “gli apparati”(forme, corredoper la costruzione degli strumenti, dise-gni, attrezzi, ecc.), che possono suscitaresolo curiosità o possono essere oggetto distudio per il liutaio. La concezione delmuseo, come questa già si ritrova nel se-colo XVIII, distingue galleria d’arte daraccolta di cimeli, i quali hanno bisogno dipercorsi funzionali sia alla didattica, sia al-lo studio. Ci si può compiacere di unaforma di un violino, ma questa serve percomprendere l’arte liutaria.

Il Museo del Violino e CremonaLa Città ha necessità di un museo del vio-lino. Si tratta della necessità di mostrarsi:non di mettersi in mostra, ma di essere difronte al mondo con la propria immagine,siccome un uomo mostra la propria fac-cia. Poco tempo fa mi è capitato di parla-re con uno dei maggiori conoscitori del-l’arte locale, il dott. Giovanni Rodella. Lo

storico ha osservato come nel campo ar-tistico cremonese molte siano le eccellen-ze. Nomi come quello dei Campi e diBertesi hanno una rilevanza fondamen-tale per comprendere non solo l’arte lo-cale, ma anche l’arte italiana. Questi artistisono quasi sempre degli sconosciuti. Se sipensa che Amati e Stradivari erano coevi aquesti grandi, si comprende come “l’ec-cezionalità della liuteria” costituisca quel-l’unicum con cui Cremona debba pre-sentarsi.Il museo della liuteria si pone quindi an-che come volano per far conoscere quegliaspetti dell’arte cremonese che altrimentirimarrebbero sconosciuti. La stessa storiadi Cremona diviene naturalmente ogget-to d’attenzione. La Città ha reso possibileche i grandi liutai fossero conosciuti, per-ché non era una piccola città, ma era laseconda città del Ducato. La presenza deiGesuiti ne implementava la cultura. Nonmeravigli quindi la risonanza dei nostriliutai all’estero e la richiesta dei loro stru-menti da parte delle case regnanti.Attraverso la liuteria si rende riconosci-bile la Città che, per essere salvaguardata,ha bisogno primariamente di essere co-nosciuta. Si spera che nessuno osi toccarequanto nel tempo si è sedimentato e co-stituisce il nostro patrimonio storico-cul-turale.Vero è che nella storia è sempre inagguato la distruzione, che assume formediverse: da quelle tragiche delle guerre aquelle melodrammatiche dell’intempe-ranza di chi vuole lasciare un segno nuo-vo. È doveroso sperare che la conoscenzametta al riparo da eventuali nefasti avve-nimenti.Il Museo del Violino ha anche un altrocompito: far conoscere la liuteria con-temporanea che con le sue botteghe cit-tadine caratterizza il nostro centro storico.Il Museo del Violino non deve essere pen-

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sato come un monumento alla liuteria,ma come prima ed ultima tappa di unpercorso ideale che lo mette in strettocontatto con l’intera Città. La conoscenzadel Museo non si esaurisce entro l’edificiodi Palazzo dell’Arte, ma obbliga a scopri-re le botteghe dei nostri liutai. Ciascunodi loro mette a profitto i propri talenti e siconfronta con i musicisti. Nasce un dialo-go in cui lo strumento e la musica “duet-tano”. Liutaio e musicista si mettono alservizio delle loro rispettive arti, il risulta-to è unico. Confidenza ed empatia ren-dono possibili la composizione e l’esecu-zione della musica.Attualmente non sem-pre esiste questa possibilità. Non sempre imusicisti vengono a Cremona e contat-tano direttamente i liutai. Si deve ricordarecome un tempo questo rapporto fosse co-stante e come proprio a tale incontro sidebba la realizzazione degli strumenti piùprestigiosi e della musica più bella.A que-sto problema pone una soluzione concre-ta il Museo del Violino.All’interno di Pa-lazzo dell’Arte verrà realizzato un presti-gioso Auditorium. Sarà questo il “sito”naturale della musica e farà convenire inCittà i musicisti. Il contatto verrà creatonel modo più consono allo sviluppo stes-so della musica.

Il Museo del Violino e la musica:l’AuditoriumNel Museo del Violino troverà postol’Auditorium. È opportuno non prean-nunziare nulla che riguardi la sua archi-tettura. È in fieri. Per la sua presentazionesi dovrà doverosamente attendere l’archi-tetto che la sta realizzando. Si può anti-cipare che l’acustica è stata oggetto digrandissimo studio, che la capacità della“zona” dedicata all’orchestra prevede si-no a cinquanta orchestrali, che l’ambienteè predisposto per le registrazioni. Ho usa-

to appositamente il termine molto vago di“zona”, perché si prevede che questo spa-zio si presenti in modo pregevolissimo.Qui mi fermo anche se, lo confesso, mi èdifficile!L’Auditorium sarà servito da una cameraanecoica, che potrà essere utilizzata sia damusicisti sia da studiosi di meccanica del-lo strumento. Questi ultimi potranno per-venire a interessanti scoperte. Il Museonon sarà semplicemente luogo in cui simostrano ai visitatori gli strumenti, ma la“casa” in cui questi dimorano e vivono.Di vita infatti correttamente si parla, nonsemplicemente di sussistenza. La vita peruno strumento è essere al servizio dellamusica. Si tratterà di definire modalità di-verse per ciascuno strumento, ma ciascu-no di essi dovrà rapportarsi con l’arte deisuoni.È questo uno dei temi più scabrosi da af-frontare. Gli strumenti storici vanno suo-nati o debbono divenire oggetto di frui-zione visiva? Cosa significa “conservarli”?Cosa significa farne delle “copie”? Cosacomporta affidarli alle cure di un liutaio-restauratore soprattutto in funzione dellevigenti norme applicative del Codice deiBeni Culturali? Come possono e devonoessere oggetto di studio, soprattutto di ri-cerche scientifiche che comportano un’a-nalisi diretta? Cosa significa, oltre la defi-nizione “da manuale”, che sono da rite-nersi leciti solo gli “interventi non di-struttivi”? Ancora: come è possibile chegli strumenti storici escano dal Museo edin quali condizione possono uscire? Comeaccompagnare la loro fruizione nel Museocon esecuzioni prestigiose? Come i no-stri studenti della Scuola di liuteria po-tranno ad essi accostarsi per trarne inse-gnamento? E, soprattutto, quali analisi so-no veramente congrue alla conoscenzadegli strumenti?

Tutte queste sono domande le cui rispostesono oggetto di dibattito fra i componentidella Commissione scientifica. Già ungrande aveva tentato di accostarsi al violi-no con mente analitica: Einstein. Il Fisicoaveva concluso che tante sono le variantidi cui bisognerebbe tener conto e che unmodello scientifico adeguato al violinonon può essere elaborato facilmente. Og-gi si assiste alla proposta di modelli d’in-dagine diversi. Soprattutto differenti fraloro sono le posizioni degli studiosi, noncontraddittorie, ma difficilmente compa-tibili. Purtroppo la “contraddittorietà”,fonte feconda nell’ambito della filosofia,non può essere invocata in sede pratica. Icontrasti comportano dibattiti cui do-vranno seguire scelte consapevoli. La lo-gica insegna che una non-scelta è pursempre una scelta.Vale ancora e sempre ildetto della Scuola Salernitana “primumnon nocere”. Ma poi, quando effettiva-mente non si nuoce?La responsabilità è grande e certamenteè su questo piano che si gioca la credibi-lità della Commissione scientifica.

Il museo: le collezioni degli strumenti ed altroLa collezione storica del Comune di Cre-mona sarà il nucleo centrale del Museo.Sarà questa oggetto di maggior studio edibattito. Accanto ad essa ci saranno glistrumenti vincitori delle edizioni passatee future del concorso di liuteria della Fon-dazione Antonio Stradivari – La Triennale.Associare strumenti d’indiscussa unicitàcon la liuteria che si è qualificata nei con-corsi della Triennale comporta un con-fronto attivo fra passato e presente, un dia-logo fra due modi d’intendere la liuteria,che si confronta con esigenze musicali di-verse. Le ragioni della liuteria non possonoche essere quella della musica, ma vale an-

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che la reciproca. Il timbro dello strumentoè una proposta per il compositore e perl’esecutore. Ospitare gli strumenti che han-no superato le prove di un concorso in-ternazionale significa testimoniare la qua-lità dell’odierna liuteria e, mentre si co-struisce un tratto di storia, la si mantiene

viva, attuale e potenzialmente ricca.Come anello di congiunzione tra passatostorico e presente si collocano le colle-zioni del Museo Sradivariano. Gli stessistrumenti esposti in Palazzo “Ala Ponzo-ne” sono da ritenersi storici: certamentenon assurgono alle vette di quelli che il

Comune sta ospitando, ma sono comun-que segno di una liuteria viva e vivace.Accanto a questi strumenti, come già siè fatto cenno, vi è un apparato liutario(forme, disegni, ecc. ) che abbisogna diuna diversa collocazione museografica emuseologica. Se da una parte questi ci-meli sono funzionali a far accostare l’ine-sperto alla liuteria, dall’altra costituisconoun bene prezioso per lo studioso.Va ri-cordato come Sacconi avesse esaminato ilmateriale riferito a Stradivari attualmentepresente nel Museo.Vi sono altre testi-monianze e vanno valutate per la loro di-versa importanza storica e per la loro fun-zione conoscitiva e didattica.Le collezioni temporanee a Cremona, periniziativa della Fondazione Antonio Stra-divari, troveranno ospitalità nel Museo. Èquesta un’esperienza estremamente signi-ficativa perché rende possibile una cata-logazione e uno studio degli strumentidelle più prestigiose collezioni. Il patri-monio di competenze costituisce quelknow how di cui deve prendere consape-volezza la liuteria. Si tratta di riappropriarsidi un primato che è tale soltanto se avràuno sviluppo progressivo e non si beerà diglorie passate.Il Museo, seguendo già le orme di quelloStradivariano, ma rinnovandosi nella for-ma e nei contenuti, avrà percorsi didattici.Lo scopo è quello di far entrare il visita-tore attraverso veri e propri itinerari gui-dati da competenze tecniche e da cono-scenze di storia liutaria.Accanto a questipercorsi, già si è fatto cenno, vi sarannospazi dedicati alla ricerca: biblioteca, luoghiper l’ascolto, laboratori per la ricerca, am-bienti attrezzati per la catalogazione e perl’esperienza percettiva del suono deglistrumenti. Corre qui l’obbligo ricordare lanecessità di una “presenza a distanza” delLaboratorio “Arvedi-Buschini” operante

Museo Stradivariano, forma di Antonio Stradivari

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nell’Università di Pavia. Analogamente,dicasi per la camera anecoica, ambienteper un primo studio della meccanica del-lo strumento. Su questo aspetto è dovero-so prestare grande attenzione. In tal sensogià “Musicos” dell’Università di Genovasta realizzando interessanti studi.Si potrebbero definire le “stanze” previste“astanterie”, luoghi preziosi per le primeanalisi e per individuare per ciascunostrumento l’apparato di conoscenzescientifiche ed umanistiche che ad essocompete.

L’utenza: dalla Sig.ra Mariaall’emerito studiosoChi sarà il frequentatore del Museo?Due tipologie costituiscono gli estremi: dauna parte il curioso, privo di qualsivogliacompetenza, ma desideroso di conoscere latradizione liutaria cremonese; dall’altra par-te lo studioso che a Cremona trova op-portunità uniche sia per gli studi umani-stici, sia per quelli scientifici.Tra questedue categorie vi è una miriade di situa-zioni che corrispondono alle esigenze diciascun futuro utente del Museo.Una categoria merita una particolare at-tenzione: i liutai. Si tratti di studenti chefrequentano la Scuola di Liuteria, si trattidi professionisti che vogliono essere ag-giornati mediante quella che oggi si defi-nisce “formazione permanente”, il Museosi costituisce “centro per gli studi liutari”.Non si dimentichi che a Cremona esi-stono da anni associazioni che a diversotitolo s’interessano di liuteria. Queste sidovranno attivare, non solo allo scopo diessere propositive, ma anche allo scopodi realizzare in sinergia iniziative utili ailiutai.Accanto al liutaio c’è lo studente e lo stu-dioso di Musicologia. Non si può dimen-ticare che la Facoltà è sorta a Cremona

proprio per l’esistenza in loco della tra-dizione liutaria. Questa Facoltà potrà of-frire competenze capaci di coniugare mu-sica a liuteria. Molte iniziative potrannoessere sviluppate nel Museo: dalle tesi dilaurea agli studi di organologia, dalle le-zioni (conferenza e musica) a iniziativeconcertistiche. Con la Biblioteca di Stato,con l’Archivio di Stato, con il Teatro Pon-chielli potranno svilupparsi attività voltead una sempre maggiore conoscenza delmondo della liuteria.Tutte queste mani-festazioni andranno coordinate.Lo scopo è di avere un “museo attivo”.Quanto si vuole evitare, perché sarebbeassurdo, è di avere un museo che accolgabeni preziosi, ma poi non li faccia frut-tare.Non si può neppure pensare che la liute-ria a Cremona non abbia organi di stam-pa ufficiali, “siti” per farsi conoscere, tra-smissioni specialistiche con servizi da dif-fondere oltre le nostre frontiere.Ma veniamo alla Sig.ra Maria. Questa vie-ne a Cremona in torpedone, perché la suavicina di casa le ha riferito che in Cittàc’è il Museo del Violino.La curiosità la spinge. A Cremona nonsolo deve sentirsi gratificata nel parteci-pare ad un “grande evento”, ma deve ave-re la possibilità d’incrementare la propriacultura. Quante sono le “signore Marie”(fra queste mi pongo anch’io) che hannobisogno di percorsi didattici?!? La nostraospite deve lasciare la Città desiderosa disaperne di più intorno agli strumenti, allamusica, alla storia locale, alla sua arte e al-le sue eccellenze. Deve avvertire che Cre-mona è la città in cui “passare un gior-no” è tempo speso bene. Ciò che si devepredisporre sono progetti educativi accat-tivanti. L’“evento spettacolare” non vapensato fine a se stesso, ma come occa-sione per acquisire conoscenza.

L’architettura: Cocchia,oltre CocchiaNon intendo parlare dell’architettura diCocchia. Mi si voglia scusare, lo farò soloquando il Professor Colalucci, uno fra imaggiori studiosi e restauratori che ab-biamo al mondo, avrà eseguito il restauroesterno dell’edificio. Un errore fonda-mentale in arte è parlarne prima che leanalisi ne abbiano evidenziato i caratteriprecipui. Saranno i risultati a farci cono-scere il vero progetto di Cocchia.Troppevolte ho appreso che gli studi che prece-dono un intervento conservativo di re-stauro, un intervento di consolidamentoe di pulizia, sconvolgono opinioni radi-cate negli storici dell’arte. Eppure ci sonoi documenti. Ma il documento maggioredell’architettura è l’edificio stesso. Quindiè d’uopo attendere.Si penserà che io abbia a presentare il pro-getto in fieri. Neppure di questo parlerò.Già l’ho detto: il primo a renderlo notoconviene sia l’architetto.

Architettura, Musica e LiuteriaUn’osservazione è però d’obbligo. Hoparlato di memoria. La musica non esistesenza memoria.Ogni composizione è un susseguirsi dinote nella scansione del tempo. È la me-moria che le connette. Quando una notao più note lasciano il posto ad altre è lamemoria, sede dell’unità, dell’io, a conca-tenarle. Non si tratta di percezioni checadono nel nulla, ma si congiungono, te-stimoniando quella permanenza dell’ioche va oltre la percezione e la sensazione.La materia della musica non è solo il suo-no, ma è necessario il tempo: la durata perl’esecuzione, la durata per la fruizione. Iltempo scorre nella coscienza e coglie nel-la musica la presenza di un linguaggio chesi fa arte: linguaggio non decodificabile,

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ma che corrisponde alla misura del tempoesistenziale fatto di sentimenti, di apertu-re, veri e propri spalancamenti dell’animasu quanto ella conosce da sempre e cuinon sa dare un nome. Ciò che l’uomo in-tuisce attraverso la musica è la necessitàdi “abitare il tempo”, che è ben altra cosarispetto al suo scorrere come ci indica l’o-rologio.È stato detto che l’architettura è musicapietrificata, la musica è architettura deltempo.L’uomo ha preso dimora nell’architettura,l’uomo nella musica dà forma al tempo.La liuteria, a servizio della musica è alcontempo espressione plastica di forma edi misura, si serve dell’architettura per tro-vare una dimora che le offra un ambienteconsono alle proprie esigenze: il Museodel Violino.

ANNA LUCIA MARAMOTTI POLITIgià docente di lettere presso l’I.P.I.A.L.L., at-tualmente insegna Teorie e Storia del Restauropresso le Facoltà d’Architettura di Ferrara e delPolitecnico di Milano ove ha tenuto un corsonel Master di secondo livello di Museologia esalvaguardia dei beni storici ed ambientali. Pre-sidente dell’A.L.I. ha al suo attivo numerosepubblicazioni, fra cui La materia del restauro(Milano, Angeli, 1989) e Passato Memoria Fu-turo: la conservazione dell’architettura (Mila-no, Giosia, 1996).

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Il sottoscritto,

titolo: � M° � Prof. /(ssa) � Dott. /(ssa) � Sig./(ra)

cognome: nome:

nato a: il:

residente a: provincia di: C.A.P.:

in via/piazza: n.

telefono: fax:

e-mail: @

eventuale altro indirizzo a cui inviare la posta ESTA:

via: n. Città o località: C.A.P.:

strumento: �Violino � Viola � Violoncello � Contrabbasso � Altro (specificare )

professione (barrare una o più categorie): � Concertista � Direttore � Insegnante

� Formatore di insegnanti � Compositore � Ricercatore/Musicologo

� Studente � Altro (specificare)

presso:

(è possibile allegare il proprio Curriculum Vitae)

se studente (per gli allievi di insegnanti privati, fornire i dati sul docente di seguito richiesti, è facoltativo),

allievo della classe del Prof..:

CHIEDE di iscriversi a codesta Associazione in qualità di (barrare la voce che interessa):

� Socio Studente Euro 20,00 � Socio Ordinario Euro 30,00

� Socio Sostenitore contributo annuo superiore a Euro 50,00

La quota associativa può essere versata a mezzo Bollettino Postale sul C/C N. 92466960 intestato a: ESTA-Italia, c/o Camera diCommercio di Cremona, Piazza Stradivari 5, 26100 – Cremona, oppure tramite Bonifico Bancario sul C/C n. 000000180098intestato a ESTA-Italia presso la BANCA CREMONESE DI CREDITO COOPERATIVO, via Roma 14, 26100 Cremona,ABI: 8454, CAB: 11403, CIN: E, CODICE PAESE: IT,IBAN: IT43E0845411403 000000180098, BIC: ICRA IT MMC M0, con causale:“Quota associativa annuale 20 ”

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI (Legge 675/96)I dati personali sono ad uso esclusivo del Consiglio Direttivo e servono alla compilazione dell’elenco dei Soci, di cui va inviata an-nualmente copia all’ESTA Centrale.Vi preghiamo di compilare il quadro sottostante, qualora ESTA-ITALIA decidesse di rendere dis-ponibile, ai soli Soci, l’elenco.

� Consento, oppure � Non consento, ad ESTA ITALIA di disporre dei miei dati personali, nominativo, indirizzo completo, e-mail,

telefono, fax, scuola presso la quale insegno (per i docenti interessati), sopra indicati, per la pubblicazione nell’elenco dei Soci ESTA.

Data: Firma:Per i minorenni va indicato il nome e la firma di uno dei genitori o di chi ne fa le veci:

Inviare questa pagina per posta elettronica oppure per posta ordinaria a:ESTA-Italia, c/o Camera di Commercio di Cremona, Piazza Stradivari 5, 26100 Cremona - [email protected]

E.S.T.A. – ITALIAPresidente: Bruno Giuranna

SCHEDA PERSONALE D’ISCRIZIONE(Scrivere in stampatello)

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Oreste Perri, dal 2009, è sindaco di Cremona. «Laliuteria – ci spiega – caratterizza fortemente l’i-dentità di Cremona. Quando nei teatri e nelle saleda concerto di tutto il mondo echeggia il suonodei violini cremonesi, quel suono descrive megliodi qualsiasi parola la nostra città e la sua tradizioneliutaria».Il primo cittadino parla di un’eccellenza e di unprimato, che dal Cinquecento arriva fino a noi.

«Carlo IX, re di Francia– ricorda – commissio-nò un’intera orchestraad Andrea Amati, men-tre due secoli dopo unquintetto di Stradivarientrò al Palazzo Realedi Madrid, dove è anco-ra oggi conservato[mancante di una viola,ndr]. Bastano queste duevicende ad evidenziarequanto il primato dellaliuteria cremonese abbiaradici lontane e profon-de. Non solo storica-mente, ma soprattuttoperché frutto di unalunga e fertile coopera-zione tra cultura, arte,artigianato, abilità mani-fatturiera».«Anche se costruiti tan-ti secoli fa – continua –questi strumenti ci rac-

contano una storia viva e attualissima: il consensointernazionale che premia oggi tanti costruttoritestimonia una cultura di prodotto forte ed antica,che ha dimostrato di evolvere incessantemente neltempo.Dalle botteghe settecentesche ai liutai, le cui bot-teghe animano tutto il centro storico, scorre una li-nea equilibrata di arte e artigianalità, creatività etradizione, storia e territorio, qualità dei materiali etecniche di lavorazione.

Intervista a Oreste PerriSindaco della Città di Cremona

Straordinario ed irripetibile è stato il fenomenodella liuteria cremonese tra Cinquecento e Sette-cento grazie alla continuità di una tradizione chemantiene salde nel tempo alcune caratteristichestilistiche e tecniche di base, e contemporanea-mente si evolve sviluppando novità anche di gran-de rilievo».Come preservare allora la supremazia della scuolaclassica cremonese, come fare in modo che la no-stra città abbia ancora un ruolo centrale nella liu-teria riuscendo a reggere la sfida della globalizza-zione, che anche in questo settore inizia a farsi sen-tire? «Nasce anche dalle riflessioni maturate intorno aquesta domanda – dichiara – il progetto dell’Am-ministrazione comunale di creare un unico luogodove far confluire le realtà che maggiormente sonolegate alla liuteria classica, moderna e contempo-ranea, e dare vita al Museo del Violino. La messa inmostra dell’eccellenza liutaria, dalla tradizione allasua continua rigenerazione nel contemporaneo,può rappresentare il modo migliore per catalizzarei flussi turistici internazionali, così da proporrel’immagine di una città che esalta le proprie radicie conserva la forza di rinnovarsi in continuazio-ne».Quindi, con giusto orgoglio, il Sindaco parla deiprossimi progetti.«Il Museo del Violino, che verrà realizzato graziealla lungimiranza e alla generosità di un impren-ditore illuminato e di un grande mecenate qual èGiovanni Arvedi, rappresenterà il cuore pulsantedi Cremona, a dimostrazione che il connubio trapubblico e privato è vincente per lo sviluppo delterritorio. Un complesso museale di concezionecontemporanea, realizzato in un vasto e imponen-te palazzo degli anni Trenta del secolo scorso, ingrado di interessare gli esperti della materia comedi appassionare i neofiti o di stimolare la curiositàdei non appassionati che saranno condotti allascoperta di un mondo antico e nuovo, affascinan-te e coinvolgente: un’esposizione di grandissimaqualità per rappresentare la principale tradizionecremonese e vincere le sfide del futuro».

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Intervista ad Andrea MosconiConservatore dei beni liutari della Città di Cremona

Incontrandolo durante una “missione” negli StatiUniti, Beppe Severgnini ha definito Andrea Mo-sconi “The Strad’s baby-sitter”, cioè il baby-sitterdello Stradivari. Il giornalista del «Corriere dellaSera» traduce – in modo affettuoso e sensibile – illavoro che, quotidianamente, svolge il conservatoredi una delle più importanti collezioni di strumentimusicali del mondo.Ogni mattina, alle 8, in giacca e cravatta, sale lo sca-lone di Palazzo Comunale, si chiude nella Sala deiViolini e si dedica a ciascuno dei capolavori diAmati, Stradivari, Guarneri, Rugeri e Ceruti quiconservati. Un rito che rinnova da trent’anni perchéil Maestro (peraltro anche tra gli ideatori e promo-tori, con Salvatore Accardo, dell’Accademia “Stauf-fer” e dei corsi che hanno permesso di perfezio-narsi a tantissimi giovani virtuosi) ha seguito, sindall’acquisto dello Stradivari 1715, il primo violinodella collezione, il formarsi di questa importantissi-ma raccolta che oggi riunisce dodici capolavori del-la liuteria classica cremonese. Gli strumenti esposti

tracciano la storia di quella che è stata la più grandescuola liutaria di ogni tempo, nata e sviluppatasi incittà dalla prima metà del XVI secolo alla primametà del XVIII secolo. Unica eccezione, quasi acreare un ponte tra passato e presente, è un violinodi Ferdinando Sacconi, lo “Stradivari del Novecen-to”, costruito, tuttavia, usando proprio la forma cheil suo più illustre predecessore aveva impiegato ainizio del Settecento per la fabbricazione del “Cre-monese 1715”.Ogni mattina il professor Mosconi estrae uno aduno, dalle teche in vetro, gli strumenti e, con lostesso amore, li controlla e li suona per una decina diminuti, alternando scale ed arpeggi a pagine piùfamose ed impegnative della letteratura per violinosolo, con brani di Bach,Tchaikovsky o Bartók, soloper citare quelli che abbiamo ascoltato incontran-dolo intento nel suo impegno di conservatore. Unesercizio necessario perché, ci spiega, «suonarli nepreserva le qualità».Anche dalle parole emerge l’e-leganza del carattere e la conversazione, amabile e

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garbata, lascia emergere la straordinaria passione cheanima Mosconi e lo lega a questi strumenti,“oggettivivi e sensibili”.«Ogni violino ha bisogno di esser suonato», spiegamentre li paragona al corpo umano. «Rimanereimmobili per troppo tempo rende faticoso ognimovimento. Ugualmente i violini traggono gio-vamento delle vibrazioni prodotte dalle onde crea-te dall’archetto sulle corde». Uno strumento musi-cale, per essere perfetto, deve essere ascoltato.Mosconi, con la sua dedizione, assicura che questipreziosi violini rimangano la gioia degli amanti siadella liuteria, sia della musica. Grazie a questo eser-cizio i capolavori della collezione possono essereutilizzati dai più importanti solisti nei loro con-certi e far apprezzare appieno le loro caratteristichetimbriche.Se a Oxford il “Messia” è famoso come lo “Stradi-vari muto”, all’ombra del Torrazzo, invece, si è scel-to di non limitarsi alla contemplazione estetica.Mosconi, quasi quotidianamente, è protagonista diapprezzate audizioni pubbliche. Lui stesso ricorda di

essersi esibito, tra gli altri, anche di fronte a tre pre-mi Nobel.Il conservatore, poi, segue gli strumenti anche quan-do questi lasciano Palazzo Comunale per mostre oconcerti nei più importanti teatri del mondo. Scri-ve, in proposito, ancora Beppe Severgnini: «In viag-gio non li molla un attimo, per nessun motivo: li ab-braccia al check-in, li chiude in cassaforte vegliatodalle guardie armate, come concordato con l’assi-curazione». Fra i successi più importanti Mosconiricorda Parigi, dove lui stesso aveva in programmadiverse audizioni con lo Stradivari 1715: «l’inizioera fissato per le 17,30 – ricorda con precisione –ma sin dal primo pomeriggio aveva iniziato ad ac-calcarsi la gente. Una folla immensa che anzichédiminuire, continuava a crescere».La ragione per cui questi strumenti hanno carat-teristiche timbriche eccezionali è sempre rimastaun mistero, ma certo parlare con il professor Mo-sconi ed ascoltarlo mente li suona permette di ap-prezzare la poesia che rende la voce di questi violi-ni così diversa da quella di ogni altro.

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Paolo Cecchinelli

[Era] Un uomo di straordinaria modestia. For-se la persona più schiva e modesta che io abbiamai conosciuto. Un’artista, come tutti sanno,grandissimo: il suono del suo violino era il piùbello e il più forte che si potesse ascoltare. (Svja-toslav Richter)1

IntroduzioneOjstrakh2 è stato uno dei più grandi in-terpreti del violino del XX secolo. La va-stità del repertorio dai grandi dell’epocabarocca ai suoi contemporanei, il suonoprofondo e perfettamente riconoscibiletra molti altri, la modernità nel far “can-tare” il violino, l’intensità del vibrato, l’en-tusiasmo per la sua attività di insegnante,sono ancora oggi, a 36 anni dalla scom-parsa, un punto di riferimento per le nuo-ve generazioni di violinisti. Il contributo,che si avvale di testimonianze recenti emeno recenti dei suoi colleghi o parenti edi lui stesso, vuole mettere in luce alcuniaspetti della “lezione” di Ojstrakh, un ar-tista completo, attivo anche come violi-sta e direttore d’orchestra, ancora attuale.Molte delle informazioni contenute inquesto articolo sono ricavate da diversisaggi e articoli, in particolare dalla versio-ne tedesca (1977) di un prezioso quantoraro libro in russo di Viktor Jusefovic, Da-vid Oistrach, Gespräche mit Igor Oistrach.3

L’autore è un violinista che da giovaneebbe la fortuna di conoscere e suonaredavanti a Ojstrakh. La redazione definiti-va del libro è in realtà molto diversa daipropositi dell’autore. Come lo spiega nel-la prefazione,4 Ojstrakh aveva promessoa Jusefovic un libro-intervista nel quale ilcelebre violinista si sarebbe confessato eavrebbe messo in luce molti dei “segre-ti” del mestiere. In realtà le conversazionitra i due, su suggerimento di Ojstrakh, si

sarebbero rimandate a quando Ojstrakhavesse diradato la sua frenetica attività diconcertista e didatta. Con rammarico, Ju-sefovic scrive che allora non aveva capitoche Ojstrakh non si sarebbe mai fermato -Ojstrakh viveva sotto grande tensione -per una serie di circostanze all’epoca nonancora chiare.5 La morte a sessantasei an-ni di Ojstrakh ha mandato in fumo il pro-getto originario ma Jusefovic non si èperso d’animo, ed ha radicalmente modi-ficato il piano di lavoro del libro. Facen-dosi aiutare da Igor’, il figlio di David Oj-strakh, Jusefovic ha impostato il volumi-noso saggio utilizzando molto materialeinedito fotografico e documentario6 del-l’archivio Ojstrakh e soprattutto avvalen-dosi di riflessioni e ricordi di grandi in-terpreti, amici e colleghi che hanno co-nosciuto e collaborato artisticamente conOjstrakh. Il loro contributo (a 33 annidalla pubblicazione) è tutt’altro che supe-rato, ed è ancora oggi prezioso per faremergere molti aspetti della personalità diOjstrakh.L’impostazione del libro di Jusefovic è diuna chiarezza esemplare. L’organizzazionedel materiale è diviso in capitoli, dove levicende biografiche sono messe in secon-do piano rispetto alla figura del violini-sta, del musicista da camera, del direttore edell’insegnante; un capitolo è dedicato al-la figura del padre e del figlio (David eIgor’ naturalmente), seguono altri aspettidella personalità di Ojstrakh, il caratteree gli hobby.Ben più importanti sono le riflessioni ericordi che interpreti e compositori (suoicollaboratori) hanno lasciato su Ojstrakh.Tra i compositori è doveroso citare Mja-skovskij, Prokof ’ev, Sostacovic, Khacatu-rian, Kabalevskij, Hindemith, Sibelius; iprimi quattro hanno anche dedicato lorocomposizioni a Ojstrakh. Tra i colleghi

violinisti si ricordano Kreisler, Szigeti,Enescu,Thibaud, Heifetz, Kogan, Stern,Zimbalist.Tra i pianisti che hanno lasciatotestimonianze scritte su Ojstrakh si citanoRichter e Badura-Skoda.Tra i direttoriMravinskij, Kondrasin, Svetlanov, Rozdest-venskij, Klemperer e Ormandy.Tra i vio-loncellisti non manca Casals. Come giàaffermato, frammenti e dettagli di infor-mazioni contenuti in questo saggio sonostati utili a ricostruire le fasi poco chiare ocontroverse della vita e dell’arte di Oj-strakh. Impostare un “quadro” sul violi-nista in senso cronologico sembra ridutti-vo, date le sue molteplici attività che siintersecano e si sovrappongono; non è na-turalmente l’unica via percorribile, ma èquella che permette di valorizzare la fi-gura di un uomo straordinario che ha po-sto la musica, in tutte le accezioni del ter-

David OjstrakhDocumenti, testimonianzee ricordi

David Ojstrakh

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mine, al centro del mondo, al di sopra ditutto, anche al di sopra della sua vita.

1908. Frammenti biografici David Fëdorovic Ojstrakh nacque il 30settembre 1908 nella cosmopolita Odessasul Mar Nero (all’epoca cittadina dellaRussia zarista, poi Unione Sovietica, oggiUcraina) nella modesta famiglia israelitadi Fëdor Davidovic Ojstrakh (musicistasemi-professionista di violino, mandolino,corno e altri strumenti, che conducevaun piccolo negozio di libraio) e di Isa-bella Stepanovna Kolker (cantante nel co-ro del Teatro dell’Opera di Odessa). La

città, soprannominata da un critico ame-ricano la «La Mecca dei pianisti» era do-tata di un grande teatro d’opera simile performa e struttura a quello di Vienna, e diun Conservatorio famoso per aver “lau-reato” molti celebri pianisti (de Pach-mann, Horowitz, Sapellnikov, Gilels,Richter, ecc.). I violinisti “laureati” alConservatorio non sono da meno dei pia-nisti: Elman, Zimbalist, Heifetz. Come ri-corda Umberto Masini,

Il violino, strumento popolare par excellence inRussia, era particolarmente vicino allo spirito ealle tradizioni della gente di Odessa. Lo sisentiva suonare alle feste, ai matrimoni, nellestrade e nei cortili, dai girovaghi in cerca d’unpaio di kopeki: il suo suono antico ha semprecommosso l’animo degli slavi.7

L’apprendistato musicale di Ojstrakh fuanalogo a quello di molti bambini dellasua generazione.A cinque anni, dopo averdimostrato le proprie attitudini per lostrumento, comincia a studiare seriamen-te il violino.

Il violino compare in tutti i miei ricordi d’in-fanzia […] quando avevo tre anni mio padremi regalò un violino-giocattolo che imparai pre-sto a suonare immaginando di essere un musi-cante di strada. Nessuno immaginava quantoammirassi quegli ambulanti che venivano spes-so a suonare sotto le finestre di casa con fisar-moniche, trombe e violini. Credo di essere sta-to il loro ascoltatore più entusiasta. Quando siallontanavano, scendevo in cortile e mi mettevoa grattare sul mio piccolo violino giallo, circon-dato da una torma di altri bambini che ascol-tavano estasiati. Naturalmente facevo finta dileggere la musica, gettando, di tanto in tanto,un’occhiata sullo spartito appeso al muro. Non-ostante ce la mettessi tutta, i risultati eranodavvero modesti; ma per me era la felicità.8

1913. L’apprendistatoLo studio del violino, che inizia nel 1913,avviene con l’ex primo violino dell’or-chestra dell’Opera di Odessa, Pëtr Solo-monovic Stoljarskij (1871-1944), un notoviolinista ma soprattutto uno dei più im-portanti e prestigiosi docenti di violinodi tutta la Russia, secondo per popolaritàall’ungherese, ma ormai trapiantato a SanPietroburgo, Leopold Auer.9 Il giovaneOjstrakh, dopo una prova attitudinale -che Stoljarskij commenta con: «David ènato per suonare il violino»10 - inizia astudiare privatamente con lui nella suaampia casa, e il maestro lo accetta come ilpiù giovane dei circa ottanta allievi. Oj-strakh avrà sempre parole di eterna grati-tudine nei confronti del suo primo edunico maestro: Stoljarskij

[…] aveva un grande cuore d’artista e un gran-de amore per i bambini. Sapeva stimolare lacreatività e l’immaginazione degli allievi sce-gliendo per ognuno un metodo di sviluppo sumisura. Era un bravissimo maestro.11

A differenza di molti bambini prodigio diorigine russa, a grandi linee della stessaetà e provenienti tutti dalle celebri scuoledi Auer (Mischa Elman, Efrem Zimbalist,Kathleen Parlow, Toscha Seidel, EddyBrown, Max Rosten,Thelma Given, Mi-chel Piastro, Jascha Heifetz e Nathan Mil-stein) e di Stoljarskij (primo maestro diMilstein, Nahoum Blinder, BenjaminMordkovich, Boris Goldstein, ElizabethGilels), Ojstrakh non era uno di essi. Nonera in altre parole un bambino prodigiocome Menuhin. Successo e popolarità fu-rono graduali; è solo dopo un intenso stu-dio del violino e della viola, e dopo il di-ploma, che Ojstrakh inizierà a farsi unnome. La fine del primo anno di studio èconcluso con un saggio scolastico di tuttiDavid Ojstrakh all’età di cinque anni

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gli allievi (1914); Milstein, più grande dilui e compagno di studi, ricorda così quel-l’avvenimento.

Ho provato un particolare trasporto per il mioamico David Oistrach, un violinista meravi-glioso, un uomo dolce e affascinante, nato, comeme, a Odessa. Quando Oistrach giunse per laprima volta a New York nel 1955, mi chiamò.[…] Lo invitai a cena e ricordammo la vec-chia Odessa. Oistrach mi rammentò che aOdessa avevamo suonato assieme nella prima-vera del 1914; lui aveva aperto il matinée de-

gli studenti e io ero l’ultimo nel cartellone, comediplomato nella scuola del nostro professore Sto-liarsky. […] Oistrach disse che nel 1914 ave-va poco più di cinque anni, ma a me sembravache ne avesse molti di più. Ricordava che nel-l’appartamento di Stoliarsky avevamo suonatoil Quartetto n. 2 di Borodin e io ero al vio-loncello. È vero, allora stavo imparando a suo-nare un po’ quello strumento. […] Oistrachricordò che un giorno, nello studio di Stoliarskya Odessa, mi aveva sentito suonare l’affasci-nante Fairy Tale di Dobrowen e il pezzo gli eratalmente piaciuto che aveva deciso di impararloin giornata: così fece, fra lo stupore dei suoicompagni. Durante la conversazione Oistrachespresse il suo stupore perché io, emigrato, non-ostante decenni di lontananza, parlavo un rus-so letterario corretto, senza inflessioni straniere.12

Gli anni di studio col grande maestro -nel frattempo Ojstrakh è ammesso alConservatorio di Odessa - si rivelano im-portanti e decisivi per la sua formazionemusicale, non solo per le lezioni con Stol-jarskij ma anche per le amicizie con gio-vani colleghi che in seguito acquisterannofama e popolarità, tra cui Horowitz, Pia-tigorsky, e naturalmente l’amico Milsteincon il quale suonerà assieme in formazio-ni diverse: Ojstrakh alla viola e Milsteinal violoncello.13

1923-26. L’orchestra,il diploma e i primi concertiNel 1923 Ojstrakh si esibisce per la primavolta da solista con un’orchestra. Il Con-certo n. 1 (BWV 1041) di Bach è esegui-to con l’orchestra d’archi degli allievi delConservatorio. Prima di diplomarsi, Oj-strakh è solista in altri concerti con or-chestra. Pur non essendo una metropoli,Odessa aveva delle stagioni concertisticheprestigiose alle quali partecipavano con-certisti di fama. La formazione di Ojstrakh

è eterogenea, matura musicalmente ascol-tando ogni genere di musica; dedica unaparticolare attenzione ai più popolari vio-linisti che si esibiscono ad Odessa, tra cuiil giovane Joseph Szigeti e Miron Poljakin.Ojstrakh stringerà una grande amiciziacon loro.14

Nell’estate nel 1926, poco più che dicias-settenne, Ojstrakh si diploma in violinoe viola a pieni voti, eseguendo in una ri-duzione pianistica il fresco di stampaConcerto n. 1 in re maggiore op. 19 diProkof ’ev (1916-17 prima versione, 1923versione definitiva), la Ciaccona dalla Partitan. 2 (BWV 1004) di Bach, la Sonata IlTrillo del Diavolo di Tartini, la Passacagliadi Haendel e la Sonata per viola e pianofor-te di Anton Rubinstein.15 Da quel mo-mento Ojstrakh non avrà più maestri. Ildiploma segna un passo importante perOjstrakh, ma non è un punto d’arrivo,semmai di partenza. È determinato a mi-gliorare ancora di più la lezione stilisticaed espressiva. Lo splendore tecnico, la bel-lezza e profondità del suono saranno incontinua evoluzione; è deciso a perfezio-nare ogni aspetto del violinismo e lo stu-dio incessante e consapevole lo porteran-no nel giro di pochi anni ad un’insupera-ta abilità interpretativa, almeno in UnioneSovietica. Nel frattempo allarga il propriorepertorio violinistico con l’inclusione dibrani noti e meno noti che riusciranno acoprire, nel giro di pochi anni, quasi tresecoli di musica. La sua brillante tecnicagli permette di superare qualunque ge-nere di difficoltà in qualsiasi opera scrittaper violino; in musica, tuttavia, il virtuosi-smo non è tutto, e rendendosene contoil giovane artista scelse la strada più diffi-cile, quella dello studio costante per ac-quisire e accrescere la sua conoscenza, perimparare a cogliere l’essenza stessa dellecomposizioni che doveva interpretare.David Ojstrakh a quindici anni

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Sempre nel 1926 si esibisce a Odessa (nelConcerto di Beethoven), e a Kiev, sotto ladirezione di Glazunov, suona il suo Con-certo in la minore op. 82. È il primo no-me di prestigio che collabora con Oj-strakh.16

I due concerti con orchestra gli apronola strada per altri sedi prestigiose: il 10 ot-tobre 1928 si esibisce a Leningrado conl’Orchestra Filarmonica locale, una dellepiù prestigiose del mondo, e la direzionedi Mikolai Malko.17

L’utilizzo di un violino di scarsa qualitànon impediscono a Ojstrakh di stupire ildirettore e il pubblico: «non potevo im-maginare allora che, di lì a trent’anni, avreiun giorno ritrovato Malko in Australia eche, ancora più tardi, avrei suonato conlui il concerto di Sostacovic a Londra».18

Il brano in programma è il celebre Con-certo in re maggiore op. 35 di Pëtr Il’icCajkovskij (1878), composizione che di-venterà uno dei cavalli di battaglia del re-pertorio di Ojstrakh.Del Concerto, eseguito innumerevoli vol-te negli anni successivi, Ojstrakh riporte-rà in luce la versione originale, ripristi-nando la cadenza originale e i diversi “ta-gli” voluti da Auer, in una nuova edizioneUrtext (1956) che nel giro di pochi anniha sostituito la versione “rimaneggiata”di Auer.19

1927. Il ritorno di Prokof ’ev in Russia Nel 1927 l’avvenimento più prestigiosodella vita musicale di Odessa è costituitoda uno dei “rientri” in Unione Sovieticadel maggiore compositore russo, SergeiProkof ’ev, uscito nel 1918 ma tempora-neamente rientrato già nel 1923, dopouna lunga permanenza all’estero; il rientrodefinitivo avvenne nel 1936.Il compositore tiene un concerto al Teatro

dell’Opera ed Ojstrakh ricorda la circo-stanza con queste parole:Fu un grande avvenimento. Molto prima che ilconcerto avesse inizio il teatro era gremito inogni ordine di posti.Tutti i musicisti, i giovani,gli appassionati della città erano presenti, fuun grande successo. […] Non mi era mai suc-cesso prima di restare così fortemente impres-sionato da un concerto; e non dalla musica, checonoscevo benissimo, ma dall’interpretazione.Di Prokofiev mi colpì molto la semplicità. Nonun gesto superfluo, non un minimo segno dicompiacimento: non vi era nulla in Prokofievche potesse essere interpretato come un desideriodi impressionare il pubblico. Il suo stile esecuti-vo sembrava dire:“Non voglio abbellire la miamusica - prendetela o lasciatela così com’è”. Inogni cosa che suonava si poteva percepire unasorta di grande purezza interiore. Fu un avve-nimento indimenticabile.20

Il primo incontro fra i due avvenne neigiorni successivi: il meeting però, comericorderà Ojstrakh, fu tutt’altro che for-tunato. In onore del compositore fu orga-nizzato un rinfresco, seguito dall’esibizio-ne pubblica di alcuni giovani strumentistiche suonarono musiche di Prokof ’ev, co-me tributo nei confronti del compositoretrionfalmente rientrato in patria. Il di-ciannovenne Ojstrakh esegue lo Scherzo,il secondo movimento dal Concerto n. 1dello stesso Prokof ’ev, brano che Ojstrakhaveva portato al diploma appena un annoprima. Durante l’esecuzione Ojstrakh sirese conto che Prokof ’ev era particolar-mente nervoso e non approvava l’esibi-zione.Alla conclusione il compositore cri-ticò l’esecuzione di Ojstrakh, «giovanotto,questo non si suona così!»,21 ma fu dis-ponibile a suggerire al violinista la giustainterpretazione. La correzione di alcunipassaggi interpretativi da parte di Proko-f ’ev avvenne in presenza del pubblico, ap-

provando infine l’esecuzione. A distanzadi alcuni anni dall’“incidente”, quandoOjstrakh era già famoso, si rincontraronoe divennero amici. Ojstrakh e Prokof ’evlavorarono molto assieme, sia in esecuzio-ni pubbliche,22 sia per la creazione dinuove composizioni da camera (op. 80,op. 94a), rafforzando ancor più la loroamicizia.

Devo dire che a quel tempo suonavo discreta-mente bene. I passaggi di bravura non mi spa-ventavano, l’intonazione era precisa […] manegli anni a venire avrei dovuto ancora miglio-rare il suono, il senso del ritmo, il controllo del-l’archetto e approfondire la mia comprensionedei più reconditi significati della musica.23

1928. Il trasferimento a MoscaLa fine del 1928 segna una svolta nellavita e carriera di Ojstrakh; senza lasciaredefinitivamente la “piccola” Odessa, si av-vicina alla “grande” Mosca, dove debutta il22 gennaio 1929 nel piccolo auditoriumdel teatro musicale V. I. Nemirovich-Dan-chenko24 con un programma che prevedemusiche di Brahms (Sonata op. 108), Gla-zunov (Concerto op. 82 in una riduzionecon pianoforte),Tartini ed altri. Le tappesuccessive sono la vittoria al concorso vio-linistico ucraino di Kharovsk nel 193025 e,professione a parte, il matrimonio con Ta-mara Ivanovna Rotareva, sua partner pia-nistica, e la nascita di Igor’ (1931) a Odes-sa. Mosca è la città dove ha la residenzaufficiale dal 1936 come attesta in un’in-tervista Igor’: «[…] sono nato a Odessa emi trasferii a Mosca con la famiglia quan-do avevo cinque anni».26

L’anno dopo ottiene una dacia a Skhodn-ya nella periferia residenziale di Mosca,regalata da Stalin dopo la vittoria al “Con-cours Ysaÿe” di Bruxelles (1937).27 Inrealtà intensificando le sue molteplici at-

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tività musicali, Ojstrakh inizia una tournéeche potrebbe definirsi senza sosta: primanella sola Unione Sovietica, poi nei paesi“satelliti” e dal 1951 in Occidente, finoall’ultimo concerto ad Amsterdam del-l’ottobre del 1974. Il 1933 è un anno im-portante perché Ojstrakh sperimenta unnuovo modo di esibirsi; se il consolidatorecital del violino col pianoforte di stam-po tardo ottocentesco è ormai dominatocon brani per entrambi gli strumenti (sal-vo rare eccezioni), Ojstrakh testa un nuo-vo modo di dialogare con l’orchestra: ri-nuncia al classico concerto per violino tradue brani per sola orchestra, il primo disolito di breve durata. Ojstrakh invecepropone un’impresa senza precedenti, treconcerti, uno dopo l’altro, nella stessa se-rata. Per la prima volta nel 1933 Ojstrakhsi esibisce in tre concerti per violino e or-chestra di Mozart, Mendelssohn e Caj-kovskij. Quest’evento, che ha pochi riva-li nel campo concertistico, Ojstrakh lo ri-peterà spesso anche nelle tournèe in Eu-ropa.

1934. L’insegnamento Ad Ojstrakh l’attività concertistica nonbasta; dominare lo strumento per tra-smettere emozioni è importante ma non èl’unico strada musicale percorribile. La ri-cerca di nuovi interessi musicali lo por-tano in breve tempo ad un nuovo e coin-volgente contatto umano e più diretto: ilconfronto con i giovani nella didattica,spesso con risultati al di sopra delle aspet-tative.

Nel 1934, dietro le insistenze del professorAlexander Goldenweiser, direttore del Conser-vatorio di Mosca, venni invitato ad entrare a farparte del corpo insegnante del quell’istituto.[…] Mi venne assegnata una classe e mi gettaicon entusiasmo nel lavoro d’insegnante, atti-

vità allora del tutto nuova per me. Oggi, quan-do mi accade di passare in rassegna la mia vita,rievoco invariabilmente con affetto la mia atti-vità di insegnante. Sono convinto che il con-tatto con la giovane generazione risulti sempredi grande profitto per il nostro sviluppo creativoanche se si tratta di un lavoro che assorbe unaquantità di tempo e di energie. Giunto allamaturità, un musicista è tenuto ad elargire aigiovani la sua esperienza. Si tratta per lui di unsacro dovere.A mio avviso l’attività didattica èun terreno di prova in grado di riuscire utileanche all’interprete militante.28

Il ventiseienne Ojstrakh ottiene il ruolo diassistente al Conservatorio di Mosca suinvito del direttore Alexander Golden-weiser, e nel 1939, dopo l’affermazione al“Concours Ysaÿe”, diviene professore or-dinario con la sua classe di perfeziona-mento. L’impegno e la dedizione versol’insegnamento, Ojstrakh li mantenne sinoalla morte. Numerosi sono stati gli allievi,provenienti da diverse nazionalità.Anchese l’attività concertistica di Ojstrakh lo haportato (dagli anni Cinquanta in poi)spesso lontano da Mosca, trovava il tempoper dedicarsi all’insegnamento. La re-sponsabilità nei confronti della didatticaè stata un accrescimento per gli allievi maanche per Ojstrakh stesso. Lui credevamolto nell’insegnamento, esemplificandoun problema musicale, tecnico o stilisti-co con lo strumento. Senza inibire la per-sonalità musicale di ogni allievo, facendo-ne dei “piccoli Ojstrakh”, cercava di met-tere in evidenza le qualità migliori di cia-scuno. Quello che segue è un’altra rifles-sione sull’insegnamento di Ojstrakh:

Lavorando con giovani di talento, seguendodappresso la maturazione dei musicisti più gio-vani uno trova sovente risposte ad interrogativiche gli sono stati parati innanzi nel corso del la-

voro concertistico. A volte vi accade di vedereuno studente risolvere per via intuitiva un pro-blema sul quale vi siete a lungo accaniti. Inmodo graduale ci si trova a far incetta di unasomma di esperienze nuove e sul lungo periodoanche le capacità dell’insegnante ne beneficia-no.29

Nella classe di perfezionamento di Oj-strakh era spesso presente un pianista-ac-compagnatore, perché gli allievi si abi-tuassero a concertare subito la musica.Dalle testimonianze contenute nelle in-terviste di alcuni allievi e da diverse ri-prese filmate emergono questi aspetti. L’e-lenco degli allievi che segue non è esau-stivo ma dà l’idea di quanti violinisti rus-si e stranieri nel corso degli anni si sonoaffermati, prima in concorsi internazio-nali e poi nell’attività concertistica, o di-ventando la “spalla” in prestigiose orche-stre in Occidente o in Unione Sovieti-ca.30 Accanto al figlio Igor’, si possono ri-cordare Nina Beilina,Victor Danchenko,Kaja Danczowska (Polonia), Rosa Fain,Grigori Feigin, Stefan Gheorghiu (Ro-mania), Eduard Grach, Peter Guth (Au-stria),Vaclav Hudecek (Cecoslovacchia),Liana Issakadze, Oleg Kagan,Valeri Kli-mov, Mikhail Kopelman, Gidon Kremer,Oleg Krysa, Stoika Milanova (Bulgaria),Lydia Mordkovich, Mark Lubotzki,VictorPikaisen, Igor’ Politkovsky, Miroslav Ru-sin, Moisey Sekler,Yakov Soroker, Ion Voi-cu, (Romania), Emmy Verhej (Olanda).31

Gli stralci degli interventi che seguono,ripresi da diverse interviste, sono la testi-monianza diretta del carisma di Ojstrakh,manifestato sotto forma di lezione tecni-co-interpretativa che ha trasmesso agli al-lievi effettivi, o in maniera indiretta ad al-tri che lo hanno ascoltato anche una solavolta. L’influenza di questo “messaggio”sulle giovani generazioni di violinisti so-

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prattutto in Unione Sovietica è rimastaprofondamente radicato anche dopo lasua scomparsa.Sulla personalità di Ojstrakh, sulla figuradell’insegnante e amico, un aiuto e puntodi riferimento per il giovani, ha scrittoSalvatore Accardo in modo chiaro, e cosìlo ricorda:

David Oistrach è stato, fra i miei colleghi, ilviolinista che più ho ammirato, la sua figura èstata per me un modello, un esempio soprat-tutto sotto l’aspetto umano. Ho avuto la fortu-na di conoscerlo bene; eravamo grandi amici.Oistrach era una persona fantastica, un uomoserio, sincero, semplice, lo ricordo sempre congrande commozione.A parte la sua indiscutibileimportanza artistica, Oistrach aveva una per-sonalità fuori del comune. La bontà e la gene-rosità di David Oistrach erano quasi prover-biali: aiutava tutti. Non erano solo i suoi allie-vi a beneficiare dell’appoggio e dei consigli di cuiera prodigo, ma anche altri giovani musicisti,soprattutto stranieri, furono da lui aiutati inogni modo.32

Gidon Kremer, il più celebre fra tutti gliallievi, ha lasciato toccanti parole nei con-fronti di Ojstrakh, sia nei suoi due saggi

Kindheitssplitter e Obertöne,33 sia in un in-tervista video.

[…] Dovetti affrontare un grande dilemma,quando arrivai al Conservatorio di Mosca spe-rando di essere ammesso nella classe di DavidOistrakh. Mi disse: “Ti accetterò nella miaclasse, se accetti di fare tutto quello che ti chie-do”. Immaginatevi, avevo diciotto anni, stavocercando di capire chi ero e qualcuno mi disse:“Devi essere sottomesso”. Qualcosa mi disgu-stò, allontanandomi da lui. Poi mi dissi:“Co-sa posso fare? Dopotutto voglio studiare conDavid Oistrakh”. Dissi di si. Quando Oi-strakh capì che la mia natura scontrosa e piut-tosto scatenata non nasceva dal voler fare ilcontrario di ciò che facevano gli altri, quando loscambio di energia che avrebbe costellato ottoanni di un rapporto molto stretto cominciò, tro-vammo una strada che ci sembrò felice. Ricordoche molte volte mi sentivo paralizzato duranteuna lezione. Mi preparavo il meglio possibile.Poi, quando sentivo i candidi commenti di Oi-strakh, ad ogni osservazione mi sentivo semprepiù teso, fino al punto di non riuscire più asuonare. Dovevo fare tutto quello che mi chie-deva esercitandomi a casa per poter farglielo ve-dere dopo. Quando qualcosa non funzionavacon uno studente, incluso me stesso, lui prendeva

il violino e ci dava subito una dimostrazione dicome avremmo dovuto suonarlo. Qualche voltaavevamo l’impressione che le lezioni di Oi-strakh mirassero a produrre tanti piccoli Oi-strakh. Era come se il Politburo avesse deciso,quest’anno ci servono dieci Oistrakh e l’annoprossimo ventisette. Questo li avrebbe resi mol-to felici. Avrebbero potuto esibire tanti piccoliOistrakh. Ovviamente Oistrakh stesso non lovolle mai fare. Si sforzava di far emergere i la-ti più interessanti di ogni studente. Sentiva af-finità con coloro che riuscivano a fare cose che luinon poteva fare a causa del suo rango, fama edetà. Era entusiasta di avere qualcuno che non sisarebbe limitato a seguirlo.34

Nel dicembre 1985 in seguito ad un ap-plaudito recital al Teatro alla Scala di Mi-lano, Kremer rilascia una intervista a Ma-sini; dopo una riflessione sulla Russia diieri e di oggi, le domande e risposte si fo-calizzano su Ojstrakh insegnante:

- Cosa ha rappresentato per lei David Oi-strach ed il suo insegnamento?

- È stato un incontro molto importante perme, così come è stato determinante in quelrapporto il fatto che lui fosse non solo ungrande insegnante ma anche un grandissi-mo artista. Ho imparato molto da lui ve-dendolo suonare in concerto e durante leprove. Era un uomo molto generoso e mol-to semplice. Non imponeva mai le sue ideee, allo stesso tempo, rispettava noi allievi equello che pensavamo.

- Quanti anni ha studiato con lui?- Ho studiato otto anni [1963-1970] con

David Oistrach.- Fui lei a decidere di andare a studiare con

lui?- Si, fui io a decidere.35

Ojstrakh alla Scala di Milano, 1951

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L’insegnamento del “maestro” Ojstrakhmerita altre riflessioni; molti degli allievi,noti in patria ed all’estero, sono ancoraoggi eccellenti strumentisti. Ognuno pos-siede la propria personalità musicale, deltutto diversa da quella degli altri. Ojstrakh,nella veste di maestro, era scrupolosamen-te attento, ma al tempo stesso sapeva ri-manere sempre amico dei suoi dotatissimiallievi. Sapeva dare il giusto valore ad ognidettaglio di originalità musicale che in es-si scorgeva, spingendoli ad evitare l’imi-tazione servile del maestro. Un aspettotecnico di Ojstrakh, rilevato da Accardo, èrelativo alla particolare accordatura del suoviolino:

Oistrach non aveva la fama del grande virtuo-so: era un uomo che faceva musica col suo vio-lino. Aveva una tecnica impeccabile, la manosinistra sempre intonata, una perfezione, direi,proverbiale.Andai ad assistere a tutte le prove diquei concerti napoletani, in quell’occasione suo-nò il concerto in La minore di Bach ed ilconcerto in La maggiore di Mozart. Ac-cordava il violino sempre un po’«crescente». Mispiegò poi che in questo modo riusciva a trova-re l’esatta intonazione con gli altri strumentidell’orchestra, soprattutto con l’oboe che, quan-do dà il LA, emette questa nota sempre «ca-lante».Oistrach aveva un vibrato «largo» che emozio-nava al primo ascolto, il suo non era il vibrato«stretto» degli Heifetz o dei Milstein. Il suonoche produceva pareva provenire direttamentedal cuore: aveva un fascino eccezionale. L’arco diOistrach «accompagnava» tutte le note congrande espressione e dava sempre ampio respi-ro alle frasi musicali, la tecnica non era maispericolata, Oistrach non amava il virtuosismospinto, me Io disse egli stesso in più d’una oc-casione.36

È ancora Accardo a chiarire un altroaspetto tecnico che emerge nelle frasi suc-cessive:

Una volta mi spiegò che la sua tecnica consi-steva nel dare molta «aria» alle corde di modoche potessero vibrare con la massima natura-lezza. La sua mano sinistra era sempre legge-rissima anche nei passaggi veloci. Oistrach miha svelato molti dei suoi segreti. So di doverglimoltissimo, così come credo sia grande la rico-noscenza di quanti lo hanno ascoltato e ne ser-bano un ricordo incancellabile.37

1935. Ojstrakh-Oborin-Knusevitskijin duo e trioL’attività didattica intrapresa da Ojstrakhnon limita quella concertistica. Nel 1935,

un anno dopo aver ottenuto la cattedraal Conservatorio di Mosca, Ojstrakh iniziaa lavorare col celebre pianista Lev Oborin(1907-1974)38, anche lui docente nellostesso Conservatorio. La collaborazionecon l’amico Oborin durerà praticamenteuna vita, sino alla scomparsa dello stessoOborin poco prima di Ojstrakh; l’alter-nanza di altri pianisti nelle numerose tour-née di Ojstrakh,Yamploski, Bauer, Rich-ter, Badura-Skoda ed altri, non impedi-scono ai due amici di collaborare in in-numerevoli tournée, in recital, in sala diincisione, davanti alle telecamere pariginee moscovite, e di fondare nel 1941 conun altro artista russo, l’altrettanto celebrevioloncellista Svjatoslav N. Knusevitskij(1908-1963),39 un prestigioso trio; la for-

Igor e David Ojstrakh, 1947

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mazione ha rivaleggiato per anni con unsecondo formidabile trio formato semprein Unione Sovietica da Gilels, Kogan eRostropovic. L’allargamento del repertoriocon la formazione del duo e del trio, dan-no ad Ojstrakh una versatilità creativa chegli permette di raggiungere la massimamaestria nel dominio dello strumento. Iltrio giocò un ruolo importante della di-vulgazione della musica da camera inUnione Sovietica.

1935-37. I concorsi e l’affermazioneinternazionaleA questo punto della carriera, l’UnioneSovietica punta su Ojstrakh come stru-mento di propaganda, facendolo parteci-pare a concorsi nazionali e internazionalisempre più prestigiosi. Nello stesso 1935Ojstrakh partecipa e vince il “Concorsonazionale per giovani esecutori” di Le-ningrado. Negli anni successivi Ojstrakhricorderà l’avvenimento: «volevo provare ame stesso d’essere riuscito a migliorare lostile e la preparazione musicale da quandoavevo lasciato gli studi di Odessa. Il risul-tato del concorso rispose positivamente aquell’interrogativo che da tempo mi tor-mentava».40

Nel giro di pochi mesi Ojstrakh, ottiene“solo” il secondo posto al Concorso“Wieniawski” di Varsavia.41 Tra il primopremio e Ojstrakh si intromette un “im-previsto”: partecipa al concorso la talen-tuosa sedicenne Ginette Neveu, un ge-nio, uno dei più grandi talenti violinisticidel xx secolo. La Neveu durante le fasidel concorso rimane colpita dalla fortepersonalità violinistica di Ojstrakh, scri-vendogli in seguito da Parigi poche masignificative righe: «Racconto a tutti deltuo magnifico talento».42

La consacrazione internazionale del gio-vane Ojstrakh (ventinove anni) è rag-

giunta con la sua partecipazione al Con-cours International “Eugène Ysaÿe” diBruxelles, la prima edizione dedicata alviolino.43 Il Concorso, voluto da EugeneYsaÿe (1858-1931) e concretizzato a seianni dalla sua morte, è subito consideratocome il più autorevole di tutti i tempi. Lagiuria di quell’edizione è formata dai no-mi più importanti delle diverse scuoleviolinistiche dell’epoca: Jacques Thibaud,Joseph Szigeti, Carl Flesch, Abram Jam-polski, Georg Kulenkampff, MathieuCrickboom, Désiré Devoe, Marcel Dar-rieux. È un concorso internazionale a tut-ti gli effetti: i 125 concorrenti provengonoda 19 paesi. I maggiori quotidiani dell’e-poca mandano a Bruxelles il loro corri-spondente per seguire l’evento.Tra i fa-voriti del concorso figura il russo-austria-co Riccardo Odnoposoff.Tra la fine dimarzo e l’inizio di aprile del 1937 si svol-gono tutte le fasi del concorso che pro-gressivamente assottigliano la rosa dei par-tecipanti. I sei premi sono vinti da cin-que russi, con Ojstrakh al primo posto eOdnoposoff al secondo. Il 15 aprile si esi-bisce nel “concert extraordinaire” conl’orchestra nazionale del Belgio diretta daDésiré Defauw.La popolarità di Ojstrakh raggiunge laconsacrazione internazionale con articolisulle più prestigiose testate giornalistiche.Chi lo ha sentito a Bruxelles rimane sen-za parole ma il suo rientro in patria, se-condo strategie politiche, non permetteal mondo occidentale di riascoltarlo permolto tempo.44

1938-40. Prime dedicheL’anno che segue segna l’inizio di unnuovo aspetto della vita artistica di Oj-strakh: l’allargamento del repertorio concommissioni, dediche e prime esecuzionidi nuovi lavori per violino soprattutto di

compositori russi. Nel 1938 Nikolaj Mja-skovskij scrive e dedica al trentenne Oj-strakh il Concerto per violino e orche-stra op. 44.45 Il Concerto, dopo la primaesecuzione del novembre 1938 e molteesecuzioni in patria e un’incisione in stu-dio (1939), sarà progressivamente messoda parte, in seguito al successo del più po-polare Concerto in re minore per violinoe orchestra di Aram Khacaturian, scrittonell’estate 1940 e dedicato anche questoad Ojstrakh. Le parole di Khacaturian edi Ojstrakh sono rivolte ai ricordi di quel-l’estate:

- Ero nella mia casa di campagna durante l’e-state del 1940 […]. Ojstrakh veniva spessoda Mosca a trovarmi e suonava quello che gliavevo appena composto. Continuavo a scrivereavendo nella mente la sua maestria, e ciò miprovocava enorme responsabilità. Quando ter-minai il Concerto glielo dedicai […] Lo suonòla prima volta in privato nella mia casa contanto entusiasmo che sembrava sprigionare scin-tille.- La nuova creazione di Khacaturian […] cat-turò me e tutti i presenti per originalità, fascinolirico e forza drammatica. Era nato un nuovocapolavoro […] difficilissimo sotto l’aspetto tec-nico.46

Quello di Khacaturian è un Concertovirtuosistico-cantabile scritto su misuraper Ojstrakh e adatto a mettere in evi-denza le qualità del sempre più celebreviolinista. Ojstrakh stesso, dopo aver col-laborato alla stesura della parte del violino,deciderà di scrivere una nuova cadenzaper il primo movimento in alternativa aquella ufficiale di Khacaturian. CosìKhacaturian ricorda le circostanze: «quan-do Ojstrakh eseguì privatamente in casamia il Concerto […] non suonò la Ca-denza: gli sembrava troppo lunga, e mi

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chiese di scriverne un’altra; e poiché iotemporeggiavo, ne scrisse lui una. Mi piac-que.Volli che fosse inclusa nella partiturainsieme alla mia».47

Le due cadenze saranno pubblicate en-trambe nell’edizione a stampa curata dal-lo stesso Ojstrakh.48 La prima esecuzioneda parte di Ojstrakh avvenne a Mosca il16 novembre 1940 col direttore AleksandrGauk.È ben noto che il successo o il “fiasco”di una composizione nuova dipendono,in gran parte, dalla prima esecuzione. Se lenuove composizioni sono interpretate daveri artisti, da grandi maestri, ciò può si-gnificare l’autentica consacrazione dell’o-pera. È anche successo, abbastanza spesso,che un’opera veramente importante abbiadovuto attendere per molto tempo pri-ma di imporsi convenientemente. Lo spi-rito di ricerca di Ojstrakh e la sua naturaartistica sempre inquieta lo spingevano ascoperte di questo tipo. Si deve a lui averscoperto, difeso e reso celebri in tutto ilmondo alcuni dei concerti russi del No-vecento.

Dal 1947 con Igor’ OjstrakhNel frattempo Ojstrakh suona spesso induo col figlio Igor’ Davidovic sin dal1947. Molte delle loro interpretazioni,fortunatamente conservate in disco, sonoun modello di perfezione e di straordina-ria intesa musicale. Il Duo Ojstrakh, indoppia combinazione di “due violini” edi “violino e viola”, non ha eguali nellastoria del concertismo moderno.Nel febbraio 1982 Masini intervista Igor’;tra le tante riflessioni nei confronti di suopadre, sono significativi quelli relativi alclima che si respirava in casa Ojstrakh po-co prima della guerra, dove il violino re-gnava incontrastato, gli anni di infanzia edi gioventù di Igor’, l’incancellabile ri-

cordo del suono di suo padre, i suoi annidi studio con la prima insegnante ValeriaMerenblum, i tre intensi mesi di studiocon Stoljarskij, il diploma (1949), la vitto-ria al concorso di Budapest (agosto 1949),all’International Henryk Wieniawski Vio-lin Competition di Poznan (1952), e l’in-gresso ufficiale nella classe di perfeziona-mento di suo padre (1949-1955), senzadimenticare - lo ribadisce Igor’ - tutti ipreziosi consigli di David rivolti ai pro-gressi violinistici del figlio. Uno degliaspetti più rilevanti della personalità arti-stica di David è quello relativo al reperto-rio, in particolare alla rinuncia di quelloper violino solo. Igor’ è molto chiaro aspiegare le circostanze di questo “allonta-namento”.

- A proposito di Paganini. Fra le tante leggen-de [che] circondano il nome di suo padre si di-ce che egli non abbia mai suonato in pubblico ipezzi per violino solo di Paganini e neppurequelli di Bach.

- Sono cose inspiegabili nella vita di un artistama sono cose che succedono.Anche Heifetz, cheè considerato uno dei più grandi virtuosi d’ognitempo, ha suonato pochissime volte i «solo» diPaganini. Eppure le posso dire che a casa hosentito infinite volte mio padre suonare i capric-ci, le variazioni sul Mosè ecc. I capricci, peresempio, glieli ho sentiti fare tutti; e con quale fa-cilità li suonava! Le citerò un episodio: mio pa-dre registrò prima della guerra il Capriccio n. 17in circostanze piuttosto singolari. Arrivò allostudio in una giornata di freddo polare, senzaguanti, con le dite completamente gelate. Ebbe-ne, dopo pochi minuti il pezzo era già registra-to, senza la benché minima imperfezione, senzabisogno di rifacimenti. Questa era la tecnica diDavid Oistrach. Sempre a proposito di Paga-nini, ricordo che mio padre eseguiva, tanti annifa, il Primo Concerto sia nella versione di Wil-helmj che in quella di Kreisler. Per quanto ri-guarda Bach, l’assenza dei «solo» di questo au-tore risale ad un incidente occorsogli nei primianni della sua carriera quando, durante un con-certo a Varsavia, nel 1935, mio padre ebbe unimprovviso quanto inspiegabile vuoto di memo-ria e dimentico quattro battute della Ciaccona.Da quel momento egli non volle più sapernedi eseguire le sonate e le partite in pubblico. Ep-pure come tutti sanno, la sua memoria era sem-plicemente leggendaria, il repertorio incredibil-mente vasto.49

Sull’assenza di Paganini nel repertorio diOjstrakh è interessante confrontare il pen-siero di Igor’ con quanto affermato da Sal-vatore Accardo in un articolo-ricordo suOjstrakh datato 1978. I fatti dovrebberorisalire ai primi anni Sessanta.

Quando gli chiesi perché non suonava mai Pa-ganini mi rispose ridendo: «Paganini lo lascio aiviolinisti come te... Io non ho quella tecnicadiabolica che occorre per suonare Paganini».Un giorno gli feci ascoltare le variazioni su

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God save the King: subito dopo prese il vio-lino e si divertì a ripetere il trillo con i pizzicati:si vedeva che non l’aveva mai suonato pri-ma..., ma gli riusciva benissimo anche così.Sembrava evitare quasi di proposito i brani ti-picamente virtuosistici, ma la sua grandezzaera tale da potersi permettere anche questo. Ilsuono del suo violino era lo specchio più since-ro della sua personalità: vederlo, parlargli e sen-tirlo suonare era la stessa cosa.50

1940-45. Il violino e la guerraL’impegno musicale di Ojstrakh, durantela guerra, non è da meno. Se prima, perfarsi conoscere e dietro ordini “superiori”,suonava nei più sperduti paesi di tuttal’URSS, l’impegno continua nei primaanni Quaranta, suonando in molte cittàdell’Unione Sovietica. In macchina, tre-no o aerei militari raggiunge le più sper-dute città esibendosi spesso per le truppeal fronte o in ospedali militari, come mol-ti suoi colleghi. È proprio con un aereomilitare che si reca nel febbraio 1943 asuonare nell’assediata Leningrado il Con-certo di Cajkovskij. Nel marzo 1943, ri-cevendo il “Premio Stalin”, la prima diuna lunga serie di onorificenze, dona ilpremio di 100.000 rubli al fondo specialeper l’Armata Rossa.51 L’attività concerti-stica non conosce soste, e in ogni grandecittà Ojstrakh entra in contatto con i piùimportanti strumentisti. Gli incontri del1945 di Ojstrakh con George Enescu(1881-1955) hanno portato i due artistia collaborare in diverse formazioni: Oj-strakh sempre al violino e il poliedricoEnescu al violino (Doppio Concerto diBach), pianoforte (Grieg) e direzioned’orchestra (Cajkovskij).52 Nel primo diquesti incontri, Ojstrakh gli donò una co-pia del Concerto di Khacaturian; Enescudopo solo dieci giorni di studio lo suonòa memoria.A Bucarest

il 19 marzo 1945 Enescu guidò i solisti, LevOborin e David Oistrakh, in un programmainteramente ispirato a Cajkovskij. Pochi giornidopo, il 1 aprile, diresse magnificamente la Set-tima Sinfonia di Shostkovich. Ma Enescunon suonò solo musicisti russi ma anche rome-ni, come l’oratorio di Paul Constantinescu Lapassione del signore, basato sulla ricostru-zione di antica musica da chiesa bizantina.Nell’Aprile del 1946 Enescu fu invitato asuonare a Mosca, dove suonò la Sonata diFranck con Oborin e accompagnò Oistrakh inuna sonata di Grieg. I critici musicali russi perla sua scrupolosa classicità lo criticarono nellasua interpretazione della Quarta Sinfonia diTchaikowsky ma lo applaudirono per l’esecu-zione del Doppio Concerto di Bach (conOistrakh sotto la direzione di Kondrashin).53

1944-48.Altre dediche e prime esecuzioniL’amicizia e collaborazione con l’amicoProkof ’ev porta a dei risultati concreti:dopo una lunghissima gestazione iniziatanel 1938, il compositore russo, grazie al-l’aiuto di Ojstrakh, del cui contributo siavvalse per la stesura della parte del violi-no, completa nel 1946 la Sonata n. 1 infa minore per violino e pianoforte op.8054 dedicandola allo stesso violinista. Laprima esecuzione con Oborin al piano-forte (Mosca 23 ottobre 1946), segna pro-fondamente Ojstrakh; il violinista si rendeconto di avere tra le mani un capolavorocameristico che negli anni successivi por-terà in giro per il mondo. La composizio-ne, dopo l’edizione a stampa, entrerà benpresto nel repertorio di molti violinisti inoccidente grazie alle esecuzioni pubbli-che di Ojstrakh. La gestazione della So-nata in quegli anni è però intersecata daun altro capolavoro. Prokof ’ev lavora nel1943 ad un’altra composizione cameri-stica la Sonata in re maggiore per flauto e

pianoforte op. 94. Il compositore lamen-tandosi con Ojstrakh dello scarso interes-se dei flautisti per questa nuova e difficilecomposizione (che sarà comunque ese-guita da Richter al piano, col flautista Ni-colaj Charkovskij in prima esecuzione al-la sala Beethoven del Bol’soj il 7 dicembre1943),55 ispirò Ojstrakh ad una trascri-zione. Dalle cronache dell’epoca riporta-te in diverse biografie risulta che l’ideapartì da Ojstrakh stesso e che Prokof ’ev simise subito a lavoro per una trascrizionedella sola parte del violino redatta in col-laborazione con David Ojstrakh. Insiemeaggiunsero alcuni accordi e resero piùbrillante la scrittura violinistica; Ojstrakhsuggerì al compositore la rielaborazionedi certi passaggi in modo tale da renderlipropriamente idonei, senza alterare la par-te pianistica. La composizione prese innome di Sonata n. 2 in re maggiore perviolino e pianoforte op. 94a. Ojstrakh eOborin diedero la prima esecuzione aMosca il 17 giugno 1944: di fatto pur es-sendo numerata come seconda, precededi poco la prima Sonata.56

Alcune errate informazioni su Ojstrakhriportano che il violinista russo fu il de-dicatario e primo interprete anche di unacomposizione di Dimitrij Kabalevskij(1904-1987), il Concerto in do maggioreop. 48. In realtà il Concerto scritto nel1948 non fu dedicato a Ojstrakh, e la pri-ma esecuzione (Mosca, 29 ottobre 1948)fu affidata al violinista Igor’ Bezradnij. Pe-rò Ojstrakh contribuì alla fama e popola-rità di questo “piccolo” Concerto conmolte esecuzioni pubbliche e registrazio-ni in studio con l’autore sul podio. IlConcerto, data la relativa facilità, è oggiuno dei più popolari tra gli studenti deiconservatori di musica di tutto il mondo.Risale al decennio precedente la collabo-razione tra i due artisti; Ojstrakh incide

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parte della colonna sonora con musiche diKabalevskij di un film di Grigori Roshaldel 1934 dal titolo Peterburgskaja noc (Lenotti bianche di San Pietroburgo).57

Ojstrakh curerà la prima esecuzione dialtre opere, come il Concerto (1948) dellituano Balys Dvarionas (1904-1972), ilConcertino per violino e piccola orche-stra (1955) del georgiano Otar Taktakisvi-li (1924-1989), e la Sonata di Mojsej Vajn-berg (n. 1919),58 pagine ormai scomparsedal repertorio del violinisti. Egli fu in altreparole un propagandista infaticabile delleopere di molti altri artisti russi e sovieticie di altri paesi dell’est europeo, come Ka-ren Khacaturian (Sonata op. 1), Sara Levi-na (Sonata, 1948) Jurij Levitin (Sonata op.43, 1958), Nikolaj Medtner (Sonata Epi-que n. 3 op. 57) Georgij Catoire (Elegie,due Sonate, op.15 e op. 20), Ernst Her-mann Meyer (Concerto, 1963-64), Niko-laj Rakov (Concerto n. 1, 1944), MojsejVajnberg (Moldavian Rapsody per violino earchi op. 47), Panco Vladigerov (Fantasyon “Khoro” op. 18), Aleksander Zarzycki(Mazurka op. 26).

1951. Bruxelles e l’OccidenteIl 1951 è una data fondamentale nella car-riera di Ojstrakh: quella del ritorno inOccidente dopo l’affermazione nel 1937al Concours “Ysaÿe”. Il violinista iniziala sua prima tournée internazionale nel-l’Europa occidentale. È invitato a far par-te della giuria dello stesso concorso cheaveva vinto anni prima. Il concorso nelfrattempo ha cambiato nome in Concours“Reine Élisabeth”, grazie al contributofinanziario della stessa regina del Belgio,che in gioventù si è dedicata al violinostudiando con Ysaÿe. Le lunghe fasi delconcorso vedono emergere la figura del-l’ucraino Leonid Borisovic Kogan (1924-1982), un altro giovane violinista conna-

zionale di Ojstrakh, e diverso da lui pertecnica e temperamento, che in pocotempo diventerà popolare in Unione So-vietica quanto Ojstrakh. La manifestazio-ne è chiusa con l’esibizione di alcuni giu-rati, Ojstrakh suona sotto la direzione diun altrettanto celebre violinista: JacquesThibaud. Per un tragico segno del destinoanche lui morirà, come la Neveu, in unincidente aereo.Le commissioni, dediche e prime esecu-zioni proseguono anche nei confronti delTrio Ojstrakh, con il Trio in la minoreop. 39 (1949) di Vissarion Sebalin, e con ilTrio in fa diesis minore (1952) di ArnoBadadjanian.La lunga tournée del 1951-54 in Europaorientale prevede fugaci apparizioni inItalia. Sono date storiche. La sera del 30giugno 1951 Ojstrakh si esibisce alla Sca-la di Milano accompagnato dal fedele pia-nista accompagnatore Vladimir Yampolskicon un programma di quattro brani checopre tre secoli di musica: la Sonata K6454di Mozart, la Sonata op. 108 di Brahms, laSonata Ballade op. 27 n. 3 per violino solodi Ysaÿe, e per concludere, in prima ese-cuzione a Milano, la Sonata n. 1 op. 80 di

Prokof ’ev. Una foto di Ojstrakh che posasorridente sotto la locandina del concertorimane un ricordo indelebile. Recital ana-loghi alla Fenice di Venezia, a Perugia e aFirenze prevedono lo stesso programma. Ilsuccesso di pubblico e critica è calorosoma, per “ordini superiori”, gli interpretisono riaccompagnati alla frontiera perchéla guerra fredda non è ancora finita. Nelfrattempo gli è conferito il titolo di “Ar-tista del Popolo” (1953).59

1955. La prima tournée in Italia e il debutto negli Stati Uniti La tournée nell’Europa orientale degli an-ni 1951-54 è seguita l’anno successivo daquella ufficiale nell’Europa occidentale.Ojstrakh, insieme ad altri due artisti, laballerina Galina Ulanova e l’ancora sco-nosciuto violoncellista Mstislav Rostro-povic, che di lì a poco avrebbero raggiun-to la stessa fama di Ojstrakh, compie nel1955 la prima lunga tournée in Italia. Il1955 è un momento propizio per diffon-dere una nuova composizione che era ri-masta per molto tempo nel cassetto. Sitratta di una composizione di DmitrijSostacovic, il Concerto n. 1 in la minoreop. 77 (ex 99), composto nel 1947-48 mamesso temporaneamente da parte per pro-blemi di censura;60 la prima esecuzione aLeningrado il 29 ottobre 1955 è direttada Evgenij Mravinskij. I problemi perSostacovic non sono finiti.

I suoi nemici fanno il possibile per mettere atacere ogni suo lavoro. Nessuna risonanza uf-ficiale ha, ad esempio, la prima esecuzione delPrimo concerto per violino, con David Oi-strach e la direzione di Mravinskij, nella salaGrande della Filarmonica di Leningrado, il29 ottobre 1955. Il celebre violinista s’indignaper questo assoluto silenzio della stampa edella radio; protesterà addirittura presso la «So-

David Ojstrakh

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vetskaja muzyka». Decide di portare l’opera intournée: negli Stati Uniti, nel dicembre del1955, con la direzione di Mitropulos, il Con-certo ha un successo grandioso, che spiana lavia a una seconda esecuzione a Mosca l’annosuccessivo.61

Ojstrakh non si ferma a Leningrado; au-torizzato dalle autorità, riparte per l’Oc-cidente con questa nuova opera “in vali-gia”. Il 1955 segna per Ojstrakh la primagrande tournée mondiale, con concertinon solo nelle più prestigiose sale da con-certo ma anche in spazi aperti: nel feb-braio a Tokio accorrono in circa sedici-mila per ascoltarlo; a Buenos Aires si esi-bisce in uno stadio davanti a circa cin-quantamila spettatori; ovunque sono suc-cessi senza precedenti.62 La consacrazioneinternazionale di Ojstrakh avviene a qua-rantasette anni, col suo debutto in unadelle più prestigiose sala da concerto delmondo, la Carnegie Hall.63 Il 20 novem-bre 1955 insieme al fidato Vladimir Yam-polski affronta il pubblico di New Yorkin un programma eterogeneo: Tartini-Kreisler (Sonata in sol minore, Il Trillo delDiavolo), Beethoven (Sonata op. 12 n. 1),Prokof ’ev (Sonata op. 80), Cajkovskij (Val-se-Scherzo op. 34), Medtner, Ysaÿe eKhacaturian.64 In quella stessa data, ma inorari e sale differenti, si esibivano a NewYork altri tre celebri violinisti di originerussa, ma ormai residenti in Occidente,Mischa Elman, Joseph Szigeti e NathanMilstein. «The Day of Violins» è il titolo diun quotidiano che descrisse gli avveni-menti: tre dei più famosi violinisti dellascuola russa di Auer e Stoljarskij si pre-sentavano al pubblico newyorkese nellostesso giorno e a poca distanza l’uno dal-l’altro.65 Ojstrakh dà dell’avvenimento ilseguente commento: «suonare per la pri-ma volta alla Carnegie Hall era di per sé

un impegno severissimo, figuratevi poi es-ser confrontato con un terzetto di violi-nisti come quello [...]».66

Il successo di Ojstrakh è senza preceden-ti. Il concerto è replicato tre giorni piùtardi, ancora alla Carnegie Hall.

Ojstraxh e Fritz KreislerIl giorno del mio secondo concerto sedevano inprima fila Fritz Kreisler, Zino Francescatti,Nathan Milstein, Mischa Elman, Joseph Szi-geti, Isaac Stern,Tossy Spivakovsky,WilliamPrimrose, Paul Robeson, Elisabeth Schwarz-kopf e Pierre Monteux. Non nascondo che eropreoccupatissimo, soprattutto per la presenza diKreisler. Quando, alla fine del concerto, lo vidialzarsi ed applaudirmi, credetti di sognare.Ven-ne anche in camerino per farmi le sue congra-tulazioni: «Do you speak english?», furono lesue prime parole. Quando gli spiegai che cono-scevo il tedesco rispose sorridendo: «Non è unabrutta lingua; dopotutto i tedeschi hanno dato almondo un paio di buoni compositori». Gli rac-contai che a Mosca avevamo appena festeggia-to il suo ottantacinquesimo compleanno, conun concerto al conservatorio dedicato esclusiva-mente a sue composizioni, eseguite dagli allie-vi della mia classe di violino. Avevo portatocon me il manifesto che annunciava il concerto.Kreisler raccontò molti dei suoi ricordi degli an-ni passati in Russia.Aveva conosciuto Rach-maninov, Koussevitski, Savonov e tanti altrimusicisti. Mi parlò anche di Odessa: «Certoche ci sono stato; è una città bellissima. Ricordoche volli suonare per il pubblico di Odessa qual-cosa di nuovo e fu così che composi il mio val-zer S[c]hön Rosmarin». L’immagine diKreisler, l’uomo e l’artista che ho più ammira-to, vivrà in me per sempre».67

Il debutto è seguito da altri concerti. Oj-strakh crede molto nella potenziale famadel Concerto di Sostacovic e lo esegue in“prima” americana con Mitropoulos.Sempre a New York lo incide su disco. Si

reca pochi giorni dopo a Filadelfia a suo-nare ed incidere con Ormandy e la Phila-delphia Orchestra il Concerto K6 219 diMozart e il Concerto di Cajkovskij per laColumbia-CBS. Quest’ultima incisione instudio è stata ristampata innumerevoli vol-te e a distanza di 55 anni è ancora in cata-logo. Il pubblico statunitense ascolta Oj-strakh nei giorni successivi anche nei Con-certi di Mozart,Brahms e Prokof ’ev (n. 1).Da questo momento le scritture di Oj-strakh sono sempre più fitte. L’attività con-certistica è affiancata da quella discografi-ca; l’una aumenterà l’altra, entrambe au-menteranno la fama di Ojstrakh. Moltedelle incisioni effettuate in Unione So-vietica sono nuovamente incise con le or-chestre europee e americane. Le nuoveincisioni dei grandi capolavori della let-teratura violinistica sono accostate a com-posizioni di autori russi noti e meno no-ti, o semplicemente non ancora accessi-bili al mondo occidentale: Glazunov, Ca-toire,Taneev,68 Kabalevskij, Badadjanian,Glière, Glinka, Levina, Levitin, Medtner,Mjaskovskij, Rakov,Taktakisvili,Vajnberg,Vladigerov, Zarzycki. Ojstrakh apprezzamolto questo repertorio e le strategie dis-cografiche dell’epoca affiancano capola-vori di fama consolidata a composizionifino a quell’epoca sconosciute. La sceltaè dettata anche dalla propaganda che “ob-bliga” gli interpreti russi a diffondere lamusica russa.

Riflessioni e ricordi di amici e colleghiGli incontri con i colleghi “occidentali”,dalla fine degli anni Cinquanta agli anniSessanta sono sempre più fitti. Ojstrakhstringe amicizie con molti violinisti, conaltri strumentisti e direttori d’orchestra.È il caso di Pablo Casals: Ojstrakh, insiemea molti altri interpreti, prende parte al

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Dopo aver deciso assieme di cambiare illuogo dell’appuntamento, prosegue Stern:

Avevamo previsto un incontro di mezz’ora.Circa un’ora e mezzo più tardi si alzò, andò altelefono, compose un numero e disse: «ParlaOjstrach. Non tornerò per il pranzo». Quellamezz’ora durò cinque ore. Parlavamo in russo;lui non conosceva l’inglese e io non mi ritrova-vo con il suo tedesco pesantemente colorato diyiddish. Parlammo di tutto: della vita nei nostririspettivi paesi, di politica, del vivere nella mu-sica, di vari solisti. I suoi erano ampi interessi edera un uomo passionale ed aperto. Prima dilasciarci si era formata una nuova e forte ami-cizia, che è durata per vent’anni. Le nostre vi-te da allora sembrarono essere inestricabilmentecollegate.70

Il frutto della loro amicizia è manifestatopoi in una serie di registrazioni in studiodi concerti di Vivaldi per due violini ef-fettuate a Philadelphia con Eugene Or-mandy (novembre 1955).

Quando Oistrach venne in America nel no-vembre 1955, io stavo facendo delle registra-zioni per la Columbia. […] Lui stesso era sta-to invitato dalla stessa casa a per incidere ilConcerto di Ciaikovski e il Concerto in lamaggiore di Mozart sempre con Ormandy e[l’orchestra di] Filadelfia. Ci incontrammo na-turalmente negli studi della Columbia ed io,essendo l’unico fra gli americani cha conosceva ilrusso, mi adattai di buon grado a fare da inter-prete fra Oistrach, i tecnici e il direttore d’or-chestra. Stavo in sala regia e traducevo per Da-vid tutto quello che veniva detto in inglese e,naturalmente, tutto ciò che lui diceva in russo;un’esperienza per me nuova e davvero moltodivertente.71

Avevo appena tenuto un concerto, quando nelmio camerino entrò il violinista russo DavidOjstrach, uno dei più grandi del xx secolo. Erauna figura massiccia, con il corpo tarchiato simileal mio, salvo il fatto che era quindici centimetripiù alto di me, che sono attorno al metro e ses-santacinque.Assieme a lui c’erano due uominidell’ambasciata russa. Mi salutò con calore edisse: «Perché non viene con me a Bruxellesper il concerto?».A Bruxelles si teneva il concorso internaziona-le di musica Regina Elisabetta. Gli risposi chemi sarebbe piaciuto, ma che non volevo far par-te della giuria, sarei venuto solo per ascoltare.Quando gli dissi che sarei arrivato a Bruxellespochi giorni dopo, lui suggerì di incontrarci al-l’ambasciata russa.69

suo festival di Prades sui Pirenei per mol-te estati.Toccanti ed emozionanti sono le rifles-sioni che amici, colleghi e conoscenti diOjstrakh hanno rilasciato nei confrontidel violinista.Nella autobiografia di Isaac Stern (1999),il racconto di una straordinaria carrieraartistica e un percorso umano segnato daincontri memorabili, alcune pagine sonodedicate agli iniziali incontri e ai ricordipersonali con Ojstrakh. Il primo incontrotra i due artisti avvenne nel 1951 ad An-versa, in prossimità della prima tournéedi un artista statunitense dopo la fine del-la Seconda Guerra Mondiale nell’alloraUnione Sovietica.

Ojstrakh, Knusevitskij e Oborin

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strach, la sua umiltà davanti alla musica ed ilrispetto per i compositori.75

Il lato trasgressivo del violinista ingleseNigel Kennedy domina una conversazio-ne con Masini del 1990-91; il tono cam-bia quando il discorso cade su Ojstrakh ela serietà di Kennedy ha il sopravvento.Le sue brevi ma intense riflessioni sonoilluminanti per comprendere quanto unviolinista del passato possa essere ancoraattuale. L’intervistatore chiede a Kennedyle sue impressioni sulle incisioni di Oj-strakh:

Mi piacciono moltissimo le sue interpretazionigiovanili, ma qualche volta è talmente rilas-sato che si avverte una certa mancanza di ten-sione.Aveva un suono bellissimo, ed esercitavaun’influenza senz’altro positiva sui giovani.Continuava poi a sperimentare soluzioni tec-niche ed interpretative, fino agli ultimi giorni divita. Non possedeva però quella capacità dianalisi armonica - cioè alternarsi di tensione edi rilassamento - per la quale altri violinistisi distinguono.76

Gli Stradivari di OjstrakhI violini che Ojstrakh ha suonato e pos-seduto personalmente meritano un capi-tolo a parte. I violini utilizzati a più ri-prese da Ojstrakh dalla fine degli anniQuaranta, quasi tutti Stradivari, sono sta-ti diversi, molti dei quali di proprietà del-lo stato sovietico: lo Youssoupov (1690),l’Ammiraglio Kayserinov (1699), il SergeïShakovsky (1707), l’ex-Poliakin (1712), ilMalakov (1713).Altri violini da lui posse-duti sono stati l’URSS (1717), il ContessaFontana o semplicemente Fontana (1702)acquisito a Parigi nel 1953. La vendita diquesto strumento ha permesso ad Oj-strakh di acquistare quello che sarebbediventato il suo preferito: lo StradivariMarsick77 del 1705 acquistato nello stu-

stica. Ricordo come fosse ora il giorno in cuiandai a prenderlo all’aeroporto di Napoli; nonpotrò mai scordare il suo gesto di saluto dalontano, mentre scendeva dalla scaletta del-l’aereo, con l’astuccio del violino sollevato equel suo sorriso aperto, pieno di umanità.73

Due concise domande di Masini, raccol-te da una intervista del 1988 a ItzhakPerlman, chiariscono il pensiero del vio-linista israelo-americano nei confronti diOjstrakh:

- Che cosa pensa di David Ojstrach? - È stato l’idolo della mia gioventù: quandoavevo quindici anni non avevo altre orecchieche per lui.- Lo ha ascoltato?- Si alla Carnegie Hall in un recital con lapianista Frida Bauer.74

Al 1991 risale un’intervista effettuata aMilano da Masini a Anne-Sophie Mutter.Estrapolando dal discorso le riflessioni suOjstrakh camerista, così si esprime la vio-linista tedesca.

- Ci sono dei violinisti che per Lei rappresen-tano un punto di riferimento? - Certamente. Le donne mi interesano in mo-do particolare: ho una grande ammirazioneper Erica Morini, Ginette Neveu… e natu-ralmente per David Oistrach.- Come mai Oistrach?- Lo ascoltai da bambina, quando avevo seianni, e mi fece una grandissima impressione.Fu dopo quell’ascolto che presi fermamente ladecisione di diventare una violinista.- Lo ascoltò in Germania?- No, a Basilea, in Svizzera. Ricordo ancorache il programma era interamente dedicato al-le Sonate di Brahms e la pianista che colla-borava con lui era Frida Bauer.Mi ha sempre colpito l’onestà di David Oi-

Appassionanti sono le riflessioni di Sternsulla personalità e sullo stile di Ojstrakh:fu il più gentile degli esseri umani, e un gi-gante del violino. Suonava con un perfetto ebellissimo controllo, sia nei tempi veloci, sianei lunghi adagio.Un improvvisa scarica di forza virile e la gen-tile carezza di una leggera sfumatura, il suonoscorrevole e dolce prodotto da tutti i punti del-l’archetto, a tutti i livelli sonori, mai forzando,mai brutto. E sempre quell’intonazione me-ravigliosamente pura, sempre accurata armo-nicamente. Quelli erano i suoi segni distintivicome violinista.E come persona: ci si sarebbe potuti aspettareche la sua vita in Unione Sovietica lo ama-reggiasse, eppure non l’ho mai sentito pro-nunciare una sola parola contro un collega, néraccontare dicerie e pettegolezzi sui fallimenti ele debolezze di nessuno. Fu davvero un uomod’oro.72

Gli anni Cinquanta segnano il primo in-contro tra Ojstrakh e il giovane Accar-do. Queste sono le parole dello stesso Ac-cardo che rievoca tale avvenimento.

Pur non avendo studiato con lui, ho imparatomolte cose da Oistrach. Ci incontrammo per laprima volta a Bruxelles, dopo un suo concerto,disse che mi conosceva attraverso i miei primidischi di cui era entusiasta.Ero allora molto giovane, avevo 18 anni, enon riuscivo a capacitarmi di essermi guada-gnato la stima d’un così grande artista. Piùtardi ci ritrovammo a Napoli dove era venutoper dei concerti, passammo due settimane as-sieme: fu per me un periodo indimenticabile.Ogni giorno dedicavamo molte ore a far musi-ca insieme e ad interminabili conversazioni.Lo assediavo in continuazione con mille e mil-le domande, Oistrach di buon grado rispon-deva sempre a tutto: i suoi consigli hanno con-tribuito non poco alla mia maturazione arti-

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dio parigino del liutaio Etienne Vatelotnel 1962, e riconoscibile dalle due evi-denti “marezzature” parallele alla direzio-ne delle fibre che solcano la parte destradella tavola armonica. Nel 1955, durantela prima tournée negli Stati Uniti, Oj-strakh comprò un Guadagnini.78 Posse-deva inoltre una viola Andrea Guarne-ri.79

Anni Sessanta e Settanta.Nuovi partner pianisticiTra le tante onorificenze per meriti ar-tistici nel 1960 Ojstrakh riceve, fra i pri-mi musicisti, il “Premio Lenin”.80 Nel1962 inizia a presentarsi al pubblico investe di violinista e concertatore, attivitàche intensificherà negli anni successivi,esibendosi poi solo come direttore. Dal1965 inizia ad accompagnare grandi soli-sti come Rostropovich.Negli anni Sessanta, tra una tournée el’altra, intensifica la sua attività nella Ger-mania orientale;81 a Berlino il 13 otto-bre 1963 Ojstrakh si presenta di fronte alpubblico della Deutsche Staatsoper Berlincon il Concerto op. 35 di Cajkovskij. Èsolo una fra le centinaia di esecuzioni diquesto concerto, ma a rendere più pre-ziosa la serata è la presenza della televi-sione tedesca che riprende il concerto. Ilconcerto-live, restaurato in vista del cen-tenario della nascita di Ojstrakh, è statotrasmesso dalle televisioni tedesche; la to-tale sintonia tra il violinista, il trenta-duenne direttore Gennadij Rozdestven-skij e la Staatskapelle Berlin è manifesta-ta anche nel bis: il secondo movimentodal Concerto n. 1 (BWV 1041) di Bach.Nei concerti di musica da camera e insala di incisione, Ojstrakh si avvale dellacollaborazione pianistica di artisti di fi-ducia, oltre ai già citati Oborin e Yam-polski (anni Quaranta-Cinquanta), com-

paiono Vsevolod Petrusanskij (1965),82

Frida Bauer (anni Sessanta-Settanta). Maaltri artisti di fama ben maggiore colla-borano con Ojstrakh: Julius Katchen (an-ni Sessanta) partner in alcuni recital nel-l’est europeo, e Paul Badura-Skoda (anniSettanta) col quale Ojstrakh “ritorna” afine carriera al classicismo viennese conun ampio gruppo di sonate e variazionidi Mozart (Salisburgo e Vienna 1972, im-mortalate anche in video), ma anche aSchubert e Beethoven nel suo ultimo re-cital del maggio 1974 al Musikverein diVienna.83

1966. Ojstrakh e Kogan Per smentire illazioni di rivalità, nel 1966si riuniscono membri delle due più fa-mose famiglie violinistiche russe, Ojstrakhe Kogan, per “far musica” assieme.84 Leo-nid e Pavel Kogan da una parte e David eIgor’ Ojstrakh dall’altra suonano insiemeil Concerto in si minore per quattro vio-lini, orchestra d’archi e basso continuoop. 3 n. 10 (RV 580) di Antonio Vivaldi;l’orchestra da camera del ConservatorioCajkovskij di Mosca è diretta in quel-l’occasione dal violista Mikhail Terian.85

La brillante esecuzione, conforme allaprassi esecutiva degli anni Sessanta, è sta-ta immortalata dalle telecamere della te-levisione di stato, ed è dal 2007 un pre-zioso video pubblicato dalla VAI di NewYork.86

1967-68. Nuove dediche e prime esecuzioniOjstrakh tiene a battesimo altre compo-sizioni per violino scritte apposta per luidai massimi compositori sovietici. Conl’obiettivo di festeggiare con un regalo isessant’anni di Ojstrakh, Dmitrij Sosta-covic compone un nuovo brano, il Con-certo n. 2 in do diesis minore per violino

e orchestra op. 129.87 Completato il 18maggio 1967, la prima esecuzione del 26settembre 1967 alla sala grande del Con-servatorio “P. Cajkovskij” di Mosca è di-retta da Kiril Kondrasin.88 La première delConcerto è un avvenimento in UnioneSovietica; la televisione di stato filma ilconcerto e lo trasmette in televisione; adistanza di circa quarant’anni questo pre-zioso reperto video in un limpido biancoe nero è disponibile al pubblico. È im-pressionante vedere Ojstrakh suonare inprima esecuzione un’opera a memoria,con una varietà di timbri e di suoni dalasciare il pubblico di allora e di adessoin religioso silenzio. In realtà il “regalo” diSostacovic a Ojstrakh arriva un anno pri-ma dei sessanta, per errore dello stessocompositore. Ojstrakh racconta che Sosta-covic gli mandò la partitura del Concer-to n. 2 come regalo per il suo sessantesi-mo compleanno, «ma aveva sbagliato iconti; e lo ricevetti per il mio cinquanta-novesimo compleanno».89 «Se lei lo suo-nasse - gli scriveva il compositore - la miagioia sarebbe talmente grande che nonla si potrebbe descrivere neppure in unafiaba».90

Sostacovic “rimedia” all’errore l’anno suc-cessivo con un altro capolavoro cameri-stico, la Sonata per violino e pianoforteop. 134 (1968) scritta ancora una voltaper Ojstrakh. Per evitare dubbi e frain-tendimenti, questa volta Sostacovic soprail frontespizio aggiunge la dedica che èriportata anche nella edizione a stampaper il mercato occidentale: «For the 60th

birthday of David Oistrakh».91

Due sono le prime esecuzioni ufficiali:nella prima esecuzione privata per i socidell’Unione dei compositori dell’urss, Oj-strakh è accompagnato da Mojsej Vajn-berg (Mosca, 8 gennaio 1969); nella primaesecuzione pubblica, Ojstrakh si avvale

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della collaborazione di Richter (sala gran-de del Conservatorio di Mosca, 3 mag-gio 1969). Questa è l’ultima composizio-ne per violino di Sostacovic: un proget-tato terzo concerto da dedicare a Kogannon si è realizzato per la morte del com-positore (1975).

1968. Un concerto per i sessant’anni di OjstrakhL’atmosfera che si creò nella sala grandedel Conservatorio Cajkovskij di Moscala sera del 27 settembre 1968, giorno uf-ficiale per festeggiare pubblicamente ilcompleanno di Ojstrakh (30 settembre)è ancora vivo nei ricordi degli spettatori.Il programma diviso in due parti era com-pletamente dedicato a Cajkovskij, uno de-gli autori preferiti da Ojstrakh e dalle au-torità moscovite. Nella prima parte Oj-strakh, in veste di direttore, interpreta laSinfonia n. 6 Patetica con una viva parte-cipazione dell’orchestra. Nella secondaparte, lasciata la bacchetta all’amico Gen-nadij Rozdestvenskij, Ojstrakh suona ilConcerto in re maggiore op. 35. Il suc-cesso travolgente delle due esecuzioni èancora percepibile: la casa discografica distato ha pubblicato in due LP la registra-zione dell’evento compresa di applausi.Ma non è tutto; nel 1994, a distanza di26 anni, la EMI distribuisce la registra-zione video del Concerto per violino in-

cludendo anche il bis, il Capriccio n. 23Labirinto armonico di Pietro Antonio Lo-catelli, in una versione con accompagna-mento di archi curata dallo stessoRozdestvenskij. Il 1968 prevede una tap-pa anche a Torino, il 25 ottobre Ojstrakhsi esibisce in un concerto che la RAI ri-prende in video. Il programma lo vedenella duplice veste di concertatore e vio-linista con l’Orchestra sinfonica della Rai(Concerto Brandeburghese n. 4 di Bach eConcerto K6 218 di Mozart) e di diretto-re (Sinfonia n. 10 di Sostacovic). In quel-l’occasione Ojstrakh utilizza il Marsick, ilsuo Stradivari preferito.

Svjatoslav Richter e Mstislav RostropovicSintetizzare in poche righe gli eccezio-nali incontri artistici di Ojstrakh della finedegli anni Sessanta e i primi degli anniSettanta è un affronto alla critica musica-le: meriterebbero ben più ampio spazioin questo scritto, soprattutto quando ci siriferisce agli amici Richter e Rostropovic.Nell’estate del 1967 inizia la collabora-zione col celebre pianista russo. Con luiappare per la prima volta in Francia al Fe-stival di Tours (1967), e all’Opéra di Pari-gi (dicembre 1968, la registrazione live èstata pubblicata dopo molti anni su cd: LeChant du Monde). La collaborazione vedeanche Ojstrakh sul podio e Richter al

pianoforte per il Concerto op. 16 di Griegcon due live del Concerto disponibili sucd. Frammenti di una esecuzione pubbli-ca sono stati immortalati anche dalla tele-visione (Bergen 1968). Gli incontri tra idue artisti proseguono con regolarità tra il1968 e il 1972 a Lione, Londra, Lenin-grado, Mosca, Parigi, Salisburgo,Vienna,New York e Filadelfia; alcuni dei loro re-cital sono oggi disponibili in pubblicazio-ni su cd e su dvd.92 I due artisti, che suo-nano insieme Bartók, Beethoven Brahms,Franck, Schubert, Prokof ’ev, Sostacovic,autorizzano la pubblicazione dei loro re-cital, ma evitano di entrare in sala di re-gistrazione, con una sola eccezione: il“Triplo” di Beethoven a Berlino (1969).Con la scomparsa di Ojstrakh, Richteraspetterà alcuni anni prima di scegliere dicollaborare con un altro violinista, che sa-rà uno dei migliori allievi di Ojstrakh:Oleg Kagan (1946-1990). Nel 1982 Svja-toslav Richter rilascia una lunga intervistaa Masini. Una domanda su Ojstrakh svelaun ricordo incancellabile di un amico ecollega.

- Lei ha suonato molte volte con David Oi-strach. Che ricordo ha di lui? - Un uomo di straordinaria modestia. Forse lapersona più schiva e modesta che io abbia maiconosciuto. Un’artista, come tutti sanno, gran-dissimo: il suono del suo violino era il più bel-lo e il più forte che si potesse ascoltare. Pur-troppo la nostra collaborazione musicale iniziòsolo negli ultimi anni della sua vita. Mi rin-cresce molto che il destino non ci abbia permes-so di lavorare di più assieme.93

Anche con un altro amico, Rostropovic,Ojstrakh si esibisce dalla metà degli anniSessanta in Russia e in Europa (live Lon-dra 1965). La Russian Disc ha pubblicatoun cd-live con musiche di Schumann

Ojstrakh, Rostropovic, Britten e Sostacovic

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(Concerto op. 129) e Sˇostacovicˇ (Con-certo n. 1 op. 107) dirette da Ojstrakh enaturalmente Rostropovicˇ al violoncel-lo. La collaborazione li porta a realizzareun’incisione in studio del Concerto op.102 di Brahms con la collaborazione diGeorge Szell e la sua Cleveland Orchestra(maggio 1969). Di lì a pochi mesi i due siincontreranno in studio a Berlino perun’altra incisione.A distanza di tanti anni,Rostropovicˇ rilascia una dichiarazionesu Ojstrakh velata di risvolti politici:

Eravamo tutti degli strumenti nelle mani delgoverno. All’estero facevamo propaganda allasocietà sovietica, che produceva bravi musicisti.Oistrakh non era un’eccezione poiché era unmagnifico violinista e una persona incantevole.Era perfetto per la propaganda da tutti i puntidi vista. Inoltre bisogna tenere presente che eraun ebreo. L’Unione Sovietica non avrebbe po-tuto chiede di meglio poiché voleva dimostrareche non c’era alcun antisemitismo.94

1969. Lispia!Una performance “toccante”, per climaespressivo e totale sintonia con orchestra epubblico, è stata quella registrata dalle te-levisioni tedesche il 28 gennaio 1969 conla Gewandhauser Orchester Leipzig, alKongress-Saal di Lipsia dell’allora Ger-mania orientale. Ojstrakh, con la bacchet-ta o con il violino, è sempre concentratosulla musica. La scaletta dei brani eseguitiè ormai impostata sul modello che Oj-strakh propone con maggiore frequenzada quando ha intrapreso l’attività diretto-riale: un brano introduttivo per orchestradi breve durata, di solito un’ouverture; unconcerto per violino di epoca barocca oclassica che Ojstrakh concerta nei “tutti”con l’arco; un bis per violino solo, quasisempre Locatelli (eccezionalmente Paga-nini, mai Bach), a volte per il bis è prevista

la ripetizione dell’ultimo movimento delconcerto; la seconda parte è dedicata aduna sinfonia di repertorio. Il programmain quell’occasione era:Weber, Oberon Ou-verture; Mozart, Concerto K6 218 (con ca-denze di Ferdinand David); Locatelli, Ca-priccio n. 23 Labirinto armonico; Brahms,Sinfonia n. 2. Le televisioni tedesche, per ilcentenario della nascita di Ojstrakh(2008), hanno restaurato e riproposto que-sto prezioso concerto. Un resoconto det-tagliato di quella serata si può trovare inun capitolo di un denso saggio di Inge-borg Stiehler, dal titolo David Oistrach Be-gegnungen.95 La musicologa di Lipsia, cheha avuto la fortuna di seguire Ojstrakhnelle ultime tournée tedesche, è attenta escrupolosa nel confezionare un saggio suOjstrakh con una ricostruzione biograficaricca di molte citazioni e foto d’archivio,concentrandosi su un tema preciso: met-tere in relazione Ojstrakh con le dueGermanie, i due paesi che, secondoStiehler, hanno più amato il violinista.

1969.Tre russi e un austriaco per BeethovenTra le molte incisioni in studio e i meto-di di lavoro adottati da Ojstrakh in talicircostanze, è sembrato utile prenderneuna come esempio. Il tema della registra-zione in studio, a differenza dell’esecuzio-ne pubblica, è un aspetto interessante percomprendere meglio la personalità di unartista che deve scendere a dei compro-messi con altri colleghi. La registrazionepresa in esame coincide con un incontro,già all’epoca definito “storico”, avvenuto aBerlino nel settembre 1969.96 In manierastrategica, in vista del giubileo dedicatoal duecentesimo anniversario della nasci-ta di Beethoven, i vertici della Emi deci-dono di riunire tre artisti russi, Richter,Ojstrakh e Rostropovic, (ciascuno dei

quali aveva già collaborato con gli altridue, separatamente), per un’incisione delConcerto “Triplo” op. 56 di Beethoven.Tra gli obiettivi da raggiungere dovevaesserci anche quello di affiancare, ai trecelebri interpreti, due nomi altrettantoprestigiosi: Karajan e i suoi Berliner Phil-harmoniker. È Peter Andry97 (dipendentedella EMI) in una fedele e suggestiva cro-naca a ripercorrere le tappe di quegli in-contri, a svelare i dati ufficiali e i retro-scena di una sessione di registrazione fi-nalizzata a una pubblicazione tra le piùstraordinarie che la discografia abbia maiconosciuto. Non era facile all’epoca, so-prattutto per questioni politiche (visti,permessi, autorizzazioni ecc.), esclusivediscografiche di ogni artista e coincidenzedi date, riunire quattro artisti all’apice del-le loro carriere artistiche, spesso in tournéeognuna indipendente dall’altra. Oggi sipuò dare per scontato che quattro tem-peramenti diversi si riuniscono e registra-no in studio, ma all’epoca i quattro do-vevano prima di tutto accettare il pro-gramma (Beethoven naturalmente) e l’in-tesa professionale dei colleghi, e standoalle interviste rilasciate a distanza di an-ni, non tutto è filato liscio in quelle ses-sioni di registrazioni. Il “terzetto” di solisti,poi, era stato ottenuto “scardinando” duedelle più celebri formazioni russe, diverseper carattere e temperamento: Rostropo-vic collaborava da anni in trio con Gilels eKogan (la formazione è stata attiva disco-graficamente dal 1950 al 1958), Ojstrakhha collaborato con Oborin e Knusevit-skij fino allo scioglimento del trio nel1963 avvenuta per la morte del violon-cellista, Richter era artisticamente indi-pendente e Karajan aveva già collaboratocon loro ma separatamente l’uno dall’al-tro. Dopo aver illustrato i primi dubbi eproblemi a prima vista insormontabili,

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Andry riporta il fedele e dettagliato reso-conto del periodo immediatamente pre-cedente alla registrazione, tutti i proble-mi che una registrazione e pubblicazio-ne prevede.A prima vista i problemi che comportava unsimile impegno sembravano disperatamente dif-ficili e probabilmente insormontabili. Innanzitutto avrebbe potuto dirigere Herbert von Ka-rajan? Fortunatamente si seppe che il maestrosarebbe stato libero nel settembre 1969.Con il direttore confermato, la questione se-guente fu quella di come trovare una data co-

mune per lui, i solisti e l’orchestra. Un compi-to non facile. C’era un altro ostacolo: la Filar-monica di Berlino, della quale Karajan è di-rettore artistico, era sotto contratto esclusivo conun’altra compagnia e soltanto con il suo per-messo l’orchestra avrebbe potuto fare la regi-strazione per la EMI. Quindi si sarebbe dovutoottenere l’autorizzazione dall’urss per i tre ar-tisti sovietici per poter incidere per noi.98

Nell’elencare molti altri imprevisti tecnici,dubbi e perplessità che si sovrapponevanouno all’altro, e dopo aver descritto gli osta-

coli maggiori legati ai permessi artisticiper gli artisti che erano rilasciati dai dueMinisteri russi della Cultura e del Com-mercio estero (Mezhkniga),Andry passa aproblemi più squisitamente artistici:nessuno dei solisti aveva eseguito assieme il la-voro in precedenza; in fondo alla mia mentec’era quindi un timore determinato: che la fu-sione di quattro delle più grandi personalitàmusicali oggi esistenti potesse portare qualchedifficoltà! I miei dubbi furono presto dissipati:Karajan ha la personalità e la guida musicaleper creare subito un incontro fra le più altementi musicali. Ci si meravigliava sempre piùdella facilità e della bellezza del timbro cheognuno produceva; presto il lavoro progredivapienamente […].99

Dopo aver descritto qualche inconve-niente tecnico della registrazione, distur-bata da inspiegabili rumori di fondo (lafalciatrice elettrica del giardiniere!),Andrydescrive il metodo di studio dei due “ar-chi” del gruppo di solisti:

Oistrakh e Rostropovich si applicavano connon minor vigore ed entusiasmo al compitospesso sfibrante di scegliere e discutere qualidelle «riprese» avrebbe potuto includersi nelnastro finale. Entrambi gli artisti hanno la ca-ratteristica veramente russa di applicare unaenergia inesauribile ad ogni compito finche nonabbiano raggiunto ciò che ritengono essere per-fetto. Karajan ci ha guidato per tutte le sedutecon buon umore e serenità. Ma non ha maiperso di vista la meta: ottenere la coesione e ri-creare la vera struttura del lavoro.100

Andry sostiene che «nessuno dei solistiaveva eseguito assieme il lavoro in prece-denza». Questa collaborazione, dopo la re-gistrazione, avrà la sua conclusione con

David Ojstrakh accorda il violino

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un’esibizione pubblica a Mosca con lostesso programma, sotto la direzione diKyril Kondrasin (Sala grande del Conser-vatorio Cajkovskij di Mosca 1970). Unfatto è venuto alla luce solo in tempi piùrecenti: di quello straordinario concertoè stata effettuata la registrazione video. LaEMI Classics nel 1995 ha pubblicato in-tegralmente quell’esecuzione. È difficileconfrontare e prendere posizione pro ocontro la freschezza di un’esecuzione inpubblico rispetto alla perfezione di unaregistrazione in studio dello stesso brano,ma la critica ha trovato delle differenzetra le due esecuzioni.Nel 1969 Ojstrakh riceve la prestigiosalaurea honoris causa dall’Università di

Cambridge. Nella nuova tournée negliStati Uniti, suona il Concerto di Brahms il9 gennaio 1970 a New York. L’eminentecritico Harold C. Schonberg così com-menta l’evento sul New York Times:

la sua interpretazione del Concerto diBrahms fu semplicemente splendida. La suaconcezione si è leggermente alterata negli annipiù recenti e oggi è arrivato alla più alta matu-rità […]. La sua esecuzione ha l’estrema pu-rezza di suono. Chi era presente al concertoha udito una delle più grandi interpretazionidella parte solista.101

A quel concerto assistette anche Accar-do, che così commenta quell’evento:

lo ascoltai eseguire il Concerto di Brahms al-la Philharmonic Hall di New York - una saladalla pessima acustica - con l’Orchestra Filar-monica di New York che, com’è noto, è dotata diuna potenza di suono eccezionale. Ebbene, ilviolino di Oistrach emergeva sempre ed era chia-ramente ascoltabile anche nel pieno dei «fortis-simo» dell’orchestra. Riusciva a produrre quelgran volume di suono senza mai «premere»l’arco sulle corde.102

Ojstrakh e la direzione d’orchestraAlla ricerca di nuove esperienze, Ojstrakhaveva già dal 1962 alternato il violino e laviola alla bacchetta di direttore d’orche-stra.Con gli anni successivi intensifica que-sta attività e gli autori più ricorrenti neiprogrammi sinfonici da lui concertati sonoBach, Bartók, Beethoven, Berlioz, Brahms,Bruch, Corelli, Cajkovskij, Dvorák, Grieg,Haendel, Haydn, Mahler, Marcello, Men-delssohn, Pergolesi, Prokof ’ev, Schubert,Schumann, Sostacovic, Strauss,Vivaldi,Wa-gner e Weber. Suo complice in quest’e-sperienza è, in molti casi, il figlio Igor’;David lo accompagna come direttore nel

repertorio più noto, in concerto e in salad’incisione. Ma Ojstrakh sente una parti-colare affinità con Mozart; è con questocompositore che ritorna con i BerlinerPhilharmoniker poco dopo il celebre in-contro dell’anno precedente. Si tratta diincidere l’integrale delle composizioni perviolino, viola e orchestra del compositoresalisburghese.La EMI affida a Ojstrakh il progetto, le cuisessioni di registrazione si svolgono a Ber-lino tra il marzo del 1970 e il settembredel 1972. Ojstrakh al violino, alla viola ealla direzione dei Berliner è affiancato dal fi-glio Igor’per la Sinfonia Concertante (K6 364)e il raro Concertone (K6 190); il progetto pre-vede l’inclusione di movimenti singoli diMozart sino a quel momento mai incisi daOjstrakh:Adagio (K6 261),Rondò (K6 269)e Rondò (K6 373).

Titoli, premi, riconoscimenti e Ojstrakh revisorePer i suoi meriti d’artista, l’Unione So-vietica attribuì ad Ojstrakh le massimeonorificenze, e le più prestigiose universi-tà e accademie di musica del mondo gliconferirono i più eminenti titoli honoriscausa; fra queste si possono ricordare: Ox-ford University, London Royal Academyof Music,Accademia Santa Cecilia di Ro-ma, Usa Academy of Arts and Sciences.103

Tra le attività di Ojstrakh che la criticanon ha messo sufficientemente in luce c’èanche quella di revisore. Se si può esserericonoscenti nei confronti di Ojstrakh pertutte le sue attività, i violinisti dalla gene-razione successiva alla sua sono ancora piùgrati per le revisioni di molti brani cheOjstrakh ha pubblicato per diverse caseeditrici. Spezzare il fraseggio originale delcompositore con una arcata e trovare altempo stesso la giusta diteggiatura è il di-lemma di molti strumentisti ad arco; qua-I violini di Ojstrakh

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li criteri adottare per rimanere il più pos-sibile fedeli alla volontà del compositore?La risposta non è facile, ma leggendo unbrano musicale con le arcate e diteggia-ture di Ojstrakh, si arriva alla conclusioneche lui aveva spesso ragione, perché avevala capacità di far respirare il violino con lamusica, e i suoi interventi sono semprecoerenti con il brano in esame; si potràdiscutere e preferire altre soluzioni pro-poste da interpreti più vicini all’autografo,ma dall’Ojstrakh revisore traspare la vo-lontà di non prevaricare mai il composi-tore con soluzioni arbitrarie o trasgressive.Tra i diversi brani revisionati da Ojstrakhsi possono ricordare: i due Concerti e laSonata di Sostacovic, il Concerto n. 1 eil “Doppio” di Bach, i Concerti K6 216 eK6 218 di Mozart, il Concerto di Tchai-kovsky, la Sonata-Duo op. 162 di Schu-bert, le 10 Sonate di Beethoven, il Con-certo di Glazunov, il Concerto diKhacaturian, il Concerto n. 1 e le dueSonate di Prokof ’ev. La Peters, l’Interna-tional Music Company, la G. Enle Verlag ela casa editrice di stato dell’urss sono soloalcune case che hanno avuto il privilegiodi collaborare con Ojstrakh. La presenzadelle “revisioni Ojstrakh” nei attuali ca-taloghi dopo tanti anni dimostra che lalezione Ojstrakh continua.

1972.Ancora concertiRicostruire la cronologia dei recital di Oj-strakh è un’impresa praticamente impos-sibile. Ed è riduttivo segnalare solo quellipiù significativi; ogni esecuzione pubblicadi Ojstrakh, sempre lontano dalla routineconcertistica, segna un avvenimento unicoed irripetibile.Nel 1972 insieme alla pianista Frida Bauer,con la quale aveva intensificato la propriacollaborazione sin dalla metà degli anniSessanta, si presenta nella sala grande del

Conservatorio Cajkovskij di Mosca per unrecital immortalato dalla televisione e com-mercializzato in tempi recenti. Il program-ma prevede due brani di Debussy, la Sona-te pour violon et piano en sol (1916-17) e unatrascrizione celebre di La fille aux cheveux delin; Dvorák, Mazurek in mi minore op. 49;Schubert-Liszt-Ojstrakh, Valse-Caprice n. 6da Soirées de Vienne; Sibelius, Nocturne op.51 n. 3.Anche se i brani di Dvorák e Sibe-lius sono assenti dal repertorio abituale diOjstrakh, le parole non sono sufficienti perdescrivere con quanto amore il violinistascava in ogni partitura col suo arco, ancoraperfettamente sotto controllo, e cura la bel-lezza del suono.La pubblicazione parziale del video nonpermette di sapere quali sono stati gli altribrani della serata.104

1973-74. EpilogoL’impegno artistico di Ojstrakh su tutti ifronti negli ultimi anni finì per logorarlo atal punto da costargli la vita. Ma lui nonaveva intenzione di fermarsi neppure conil cuore malato e i problemi di obesità.Nel 1960 e 1964 iniziano i primi proble-mi, ma rinuncia ai consigli dei medici.An-che se disdice alcuni tournée per curarsi,riprende poco dopo tutte le sue attività.Il suo ruolo di direttore d’orchestra avreb-be dovuto avere come logica conseguenzaquello di direttore d’opera: e infatti unprogetto per l’Evgenij Onegin di Cajkovskijè messo in cantiere per un’esecuzione adEdimburgo e Salisburgo ma questo impe-gno salta ancora una volta per problemidi salute. Alcuni degli ultimi impegni(1974) lo vedono a Parigi, a Salisburgo

Igoe e David Ojstrakh

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con Badura-Skoda (Mozart, Schubert), aStoccolma, Kiev e Mosca.105 Nell’ultimaed interrotta tournée è impegnato in unciclo di concerti in veste di direttore nel-l’integrale delle Sinfonie di Brahms; laConcertgebouw di Amsterdam lo invitaper una serie di concerti. Il progetto si in-terrompe il 24 ottobre 1974 dopo l’ese-cuzione della Sinfonia n. 2 di Brahms, perla morte di Ojstrakh a sessantasei anni. Pursofferente da anni, era sempre stato sordoai consigli dei medici. Più volte costretto adisdire gli impegni per essere curato in sa-natorio, tornava alla frenetica attività con-certistica di sempre.

Dopo OjstrakhAppunti per una discografiaL’immensa discografia di David Ojstrakh,che copre quarant’anni esatti dal 1934 al1974, è un tema dibattuto e in costanteevoluzione, perché alle registrazioni instudio e a quelle live autorizzate si sonoaggiunti nel corso degli anni molti altrilive. Se si confronta quella curata da Creigh-ton (1971),106 da Jusefovic (1977),107 daMasini (1978),108 da Molkhou (1997),109

da Geffen (1998-2007),110 e da Cantù-Bellora (2009), il lettore noterà integra-zioni e aggiornamenti ma anche dubbi edivergenze sia sui brani realmente incisio live, sia sui numeri di catalogo delle va-rie case discografiche. Le ricerche di in-formazioni, soprattutto negli archivi dellacasa discografica di stato dell’Unione So-vietica - Russia, sono state spesso incom-plete, frammentarie e difficili da verificare.Bruno Monsaingeon, che ha curato ecommercializzato diversi video di Oj-strakh, ha trovato negli archivi russi moltiinediti, sia audio sia video. Una etichettaindipendente, la Russian Revelation, nel-l’ultimo decennio ha pubblicato per laprima volta molti inediti di Ojstrakh, ma

la “crisi del disco” ha fatto chiudere i bat-tenti a questa e ad altre case discografi-che. La fortuna discografica di Ojstrakhperò non è mai diminuita.Anche se l’in-dustria immette con regolarità sul mer-cato registrazioni di nuovi giovani artistiche arrivano e “bruciano” tutte le tappeincidendo molto, il valore per la lezione diOjstrakh continua. Inedite pubblicazionidi registrazioni live (scoperte negli archi-vi delle radio europee), e ristampe di vec-chie incisioni continuano ad essere messesul mercato. David Ojstrakh ha rappre-sentato uno dei vertici musicali del no-stro tempo. La modernità del suo stile, laprofondità della sua cavata inconfondibilee inimitabile, lo rendono uno dei violi-nisti più ammirati.Amico e difensore deicompositori russi, e al tempo stesso, gran-de interprete dei barocchi, classici, e ro-mantici, Ojstrakh continua e continueràancora ad essere un punto di riferimentoper molti.

* L’autore desidera ringraziare, per la collabo-razione e il supporto nel reperimento di mate-riali bibliografici, Giada Guassardo, PhilippeBorer (Société Suisse de Pédagogie Mu-sicale) e Tatiana Berford (Novgorod StateUniversity “Yaroslav the Wise”,VelikyNovgorod, Russia).

1 Citato in UMBERTO MASINI, Sviatoslav Rich-ter [intervista a ], «Musica», VI/26 (Ottobre1982), pp. 255-263: 258.

2 Il lettore noterà una divergenza linguisticadel lemma «David Ojstrakh» nel testo enelle citazioni. Nel compilare l’articolo si èpreferito mantenere la lezione «David Oj-strakh», uniformandola alla traslitterazioneadottata dal lemma omonimo contenutonel Dizionario Enciclopedico Universaledella Musica e dei Musicisti, diretto da Al-berto Basso, Torino, UTET, 1988, Le bio-

grafie, V, p. 441. Lo stesso termine, pre-sente nelle citazioni e nella bibliografia, èconforme ai diversi testi originali. Criterisimili sono stati adottati per tutti i nomidei musicisti russi citati in questo saggio.

3 VIKTOR JUSEFOWITSCH, David Oistrach Ge-spräche mit Igor Oistrach, trad. ted. a cu-ra di Juri Elperin, Stuttgard, Deutsche Ver-lags-Anstalt, 1977, 19862; si fa notareche il testo originale in russo è stato pub-blicato nel 1979, due anni dopo la pub-blicazione della traduzione in tedesco, con-temporaneamente alla sua versione in in-glese (VIKTOR JUSEFOVIC, David Oistrakh:Conversations with Igor Oistrakh, a curadi Nicholas de Pfeiffer, London, Cassell,1979).

4 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, pp. 6-7.

5 Usando le parole di Rostropovic: gli artistisovietici, tra cui Ojstrakh, erano «[…] tut-ti degli strumenti nelle mani del governo».Cfr. note successive.

6 Molte delle inesattezze biografiche di Oj-strakh che circolano attualmente, soprat-tutto del periodo giovanile e di studio, so-no state controllate sul saggio di Jusefovicche è sembrata la fonte più autorevole.

7 UMBERTO MASINI, David Oistrach e lo spiri-to di Odessa, «Musica», II/6-7 (Giugno1978), pp. 68-73: 69.

8 Citato in MASINI, David Oistrach, p. 69. 9 Per approfondire l’iter scolastico di Oj-

strakh cfr. La formazione a Odessa conStolyarsky, in ALBERTO CANTÙ, David Oi-strakh, lo splendore della coerenza, , Va-rese, Zecchini, 2009, pp. 46-54; BORIS

SCHWARZ, David Oistrakh, in Great Mastersof the Violin, London, Hale, 1983, pp.459-468; JULIAN HAYLOCK, Great ViolinistDavid Oistrakh, «The Strad», CXX/1436(December 2009), pp. 44-45.

10 Citato in MASINI, David Oistrach, p. 69. 11 Ibid., pp. 69-70.12 NATHAN MILSTEIN - SOLOMON VOLKOV, Musica

e politica, David Oistrach e altri sovietici,in Dalla Russia all’Occidente, Memoriemusicali ed altri ricordi di Nathan Milsteintrad. ital. a cura di Annamaria Gallo, Mi-lano, Nuove Edizioni, 1997, pp. 245-276:251-252].

13 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, p. 18.

14 Ibid., p. 25.15 Ibid., p. 19.16 HENRY ROTH, David Oistrakh, in Violin Vir-

tuosos, From Paganini to the 21st Century,

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California Classics Books, Los Angeles1997, p. 141; JUSEFOWITSCH, David Oi-strach Gespräche mit Igor Oistrach, pp.19-20.

17 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, p. 23.

18 MASINI, David Oistrach, p. 70.19 PËTR IL’IC CAJKOVSKIJ, Concerto in D major

Opus 35 for violin and piano, violin partedit. by David Oistrakh and K. Mostras,International Music Company, New York1956.

20 MASINI, David Oistrach, p. 70.21 Sergei Prokof’ev, citato in ibid., p. 70.22 Forse i due musicisti collaborarono anche

alla registrazione in studio del Concerto n.1 sotto la direzione dello stesso composi-tore, ma le informazioni a riguardo sonocontroverse e la critica, consultando fontiarchivistiche, non è riuscita a stabilire concertezza l’autenticità di questa registra-zione.

23 MASINI, David Oistrach, p. 70.24 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gespräche

mit Igor Oistrach, pp. 24-25.25 Ibid., p. 24; cfr. anche la voce «Ojstrakh»,

in Dizionario Enciclopedico Universale del-la Musica e dei Musicisti, diretto da Al-berto Basso, Torino, UTET, 1988, Le Bio-grafie, V, p. 441.

26 MASINI, Igor Oistrach [intervista a], in «Mu-sica», VI/25 (Giugno 1982), pp. 152-154:152.

27 CANTÙ, David Oistrakh, lo splendore dellacoerenza, p. 34.

28 Cfr. MICHELE SELVINI, Non accompagnatel’accompagnatore, in David Ojstrach,«Symphonia», 54 (Settembre 1995), pp.16-22: 16. Le citazioni di Ojstrakh con-tenute nell’articolo di Selvini sono tratteda YAKOV SOROKER, David Oistrakh, Jerusa-lem, Lexicon, 1982.

29 SELVINI, Non accompagnate l’accompa-gnatore, p. 16.

30 Tra parentesi è indicata la provenienza,quando non indicata si intende di nazio-nalità russa.

31 Cfr. CANTÙ, David Oistrakh, lo splendoredella coerenza, p. 88; Gli allievi di DavidOistrach, a cura di Michele Selvini, p. 23.

32 SALVATORE ACCARDO, Ricordo di David Oi-strach, «Musica», II/ 6-7 (Giugno 1978)pp. 72-73: 72.

33 GIDON KREMER, Kindheitssplitter, München,Piper Verlag, 1993; GIDON KREMER, Ober-töne, Berlin, Ullstein Buchverlage, 1999,pp. 217-220. Si veda inoltre il capitolo

dedicato ad Ojstrakh all’interno del sag-gio in forma di intervista a Kremer, inWOLF-EBERHARD VON LEWINSKI, Unterrichtbei David Oistrach, in Gidon Kremer In-terviews-Tatsachen Meinungen, Mainz,Schott, 1982, pp. 17-26.

34 Cfr. BRUNO MONSAINGEON, David OistrakhArtist of the People?, dvd Warner MusicVision-NVC Arts 3984-23030-2, pubbl.1994, rist. dvd Medici Arts - 3073178;l’intervista filmata è confluita con qual-che lieve modifica nell’articolo: BRUNO

MONSAINGEON, David Oistrakh, 1908-2008,100 anni dalla nascita, «Archi magazine»,III/13 (Settembre-Ottobre 2008), pp. 38-46: 44.

35 UMBERTO MASINI, Gidon Kremer, l’arte delviolino, «Musica», X/41 (Giugno 1986),pp. 16-18: 17.

36 ACCARDO, Ricordo di David Oistrach, p. 73. 37 Ibid.38 Vincitore della prima edizione del Concor-

so internazionale “Chopin” di Varsavia nel1927.

39 Con la scomparsa del violoncellista nel1963, il trio rinuncia a trovare un sosti-tuto al violoncello e si scioglie.

40 MASINI, David Oistrach, pp. 70-71.41 Per un resoconto dettagliato di quella edi-

zione del concorso cfr. JUSEFOWITSCH, DavidOistrach Gespräche mit Igor Oistrach, pp.27-31.

42 MASINI, David Oistrach, p. 71.43 Il Concorso è stato intitolato a Ysaÿe nel

1937; dopo una lunga pausa, ha preso innome di “Concours Reine Élisabeth” nel1951 ed alterna il pianoforte, il violino,la composizione e il canto.

44 Per approfondire la cronaca del concorso,cfr. JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprä-che mit Igor Oistrach, pp. 31-38.

45 Revisione e diteggiature di David Oistrakh,Edwin F. Kalmus, New York.

46 Khacaturian e Ojstrakh citati in RINO MAIO-NE, Il Concerto per violino e orchestra (daJ.S. Bach a Philip Glass), Foggia, Giosa,2006, pp. 158-159.

47 MAIONE, Il Concerto per violino e orche-stra, p. 159.

48 ARAM KHACIATURIAN, Concerto, edit. by Da-vid Oistrakh, International Music Company;si noti come, che per una strategia di mer-cato, molte musiche dei compositori so-vietici sono pubblicate in doppia edizio-ne, quella di stato dell’Unione Sovietica euna casa editrice occidentale, filiale o con-sociata con quella russa.

49 MASINI, Igor Oistrach [intervista a], p. 154.50 ACCARDO, Ricordo di David Oistrach, 73.51 ROTH, David Oistrakh, p. 151.52 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gespräche

mit Igor Oistrach, pp. 195-197.53 SALVATORE COSTANTINO, George Enescu, vita

e musica, Bologna, Clueb, 2008, p. 62.54 La composizione vera e propria fu abban-

donata e ripresa più volte. 55 SVIATOSLAV RICHTER, Così ricordo Prokofiev,

«Musica», XII/52 (Ottobre-Novembre1988), pp. 26-40: 37-38.

56 Per approfondire la collaborazione tra Oj-strakh e Prokof’ev cfr. JUSEFOWITSCH, Da-vid Oistrach Gespräche mit Igor Oistrach,pp. 162-168.

57 Ibid., p. 184.58 Ibid., p. 39.59 ROTH, David Oistrakh, p. 151.60 «Nell’estate [del 1947] a Komarovo inizia

a lavorare al Concerto per violino. […] IlConcerto per violino e orchestra op. 77 èfinito nella primavera del 1948, ma pur-troppo il dedicatario David Oistrach lo po-trà suonare in pubblico solo nel 1955»(FRANCO PULCINI, Sostakovic, Torino, EDT,1988, pp. 59-60). I edizione Muzgiz1956; dopo aver pubblicato la composi-zione come op. 99 in tempi più recenti lacritica ha ripristinato la vecchia numera-zione delle opere attribuendo al Concertol’opera 77.

61 PULCINI, Sostakovic, p. 73.62 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gespräche

mit Igor Oistrach, p. 50.63 Per un resoconto dei concerti a New York

cfr. Ibid., pp. 50-55; e inoltre ALBRECHT

ROESELER, Der Glücksbringer, David Oi-strach, in Große Geiger unseres Jahrhun-derts, München, Piper, 1987, 19962, pp.170-189: 181-182.

64 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, p. 51; cfr. anche CANTÙ,David Oistrakh, lo splendore della coeren-za, p. 67.

65 MASINI, David Oistrach, pp. 71-72.66 Ibid., p. 72.67 Ibid.68 Ojstrakh crede molto nella Suite de Con-

cert op. 28 (1909) di Sergej Taneev: cfr.JOACHIM W. HARTNACK, David Oistrach, inGroße Geiger unserer Zeit, München, Rüt-ten & Loening, 1967, pp. 204-211: 208-209.

69 ISAAC STERN - CHAIM POTOK, I miei primi 79anni, trad. ital. a cura di Andrea Antonini,Milano, Garzanti, 2001, p. 132.

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70 Ibid.71 UMBERTO MASINI - MICHELE SELVINI, Intervista

con Isaac Stern, «Musica», IX/36 (Marzo1985), pp. 6-10: 8.

72 STERN-POTOK, I miei primi 79 anni, p. 253.73 ACCARDO, Ricordo di David Oistrach, pp.

72-73. Sui primi incontri tra Accardo eOjstrakh cfr. LUCA SANZÒ, Intervista a Sal-vatore Accardo, «A Tutto Arco», III/ 5(2010), pp. 2-9: 7-8.

74 UMBERTO MASINI, Un virtuoso a New York[intervista a Itzhak Perlman], «Musica»,XIII/54 (Febbraio-Marzo 1989), pp. 16-22.

75 UMBERTO MASINI, Anne-Sophie Mutter, fa-scino, classe e talento [intervista a], «Mu-sica», XV/67 (Aprile-Maggio 1991), pp.43-45.

76 UMBERTO MASINI, Da Vivaldi al rock senzapregiudizi [intervista con Nigel Kennedy],«Musica», XV/66 (Febbraio-Marzo 1991),pp. 44-47: 46.

77 Quasi tutti gli strumenti di Stradivari, dal-la seconda metà dell’Ottocento, hanno unsoprannome dato spesso dal più illustrepossessore. Il soprannome “Marsick”, de-riva dal celebre violinista franco-belga Mar-tin Marsick (1848-1924). Molti video efoto ufficiali di Ojstrakh lo ritraggono conquesto strumento.

78 MASINI, Igor Oistrach [intervista a], p. 153.79 Per un’indagine degli strumenti utilizzati

da Ojstrakh cfr. il capitolo Der Geiger, inJUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, pp. 76-95: 79-83.

80 ROTH, David Oistrakh, in Violin Virtuosos,From Paganini to the 21st Century, p. 151.

81 La cronologia dei molti concerti effettuatida Ojstrakh a Berlino e nella Germaniadell’Est è pubblicato in INGEBORG STIEH-LER, David Oistrach Begegnungen, Leip-zig, Peters, 1989, 20042, pp. 162-168.

82 Cfr. il dvd VAI Video Artists International,dvd video 4474, pubbl. 2008 su licenzaGosteleradiofond; il dvd riprende parte diun recital tenuto nella sala grande del Con-servatorio di Mosca con musiche di Schu-bert, Beethoven, Debussy e Brahms.

83 Cfr. cd Genuin Musik Production, GEN85050;Live Vienna maggio 1974, con musiche diMozart, Beethoven e Schubert.

84 JUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, p. 206.

85 Collaboratore di Ojstrakh e docente di vio-la nello stesso Conservatorio.

86 VAI Video Artists International, dvd video4474, pubbl. 2008 su licenza Gostelera-diofond.

87 Per approfondire la genesi del Concerto n.2 cfr. il capitolo Dmitri Schostakowitsch, inJUSEFOWITSCH, David Oistrach Gesprächemit Igor Oistrach, pp. 168-179. Si notiche il saggio riporta anche in traduzionetedesca la trascrizione di una conversa-zione telefonica tra Sostakovic e Ojstrakhriferita alla imminente prima esecuzionedi questa composizione.

88 Prima edizione: Sowetskij Kompozitor1970.

89 Ojstrakh in LOTHAR SEEHAUS, Dmitrij Sosta-kovic, Wilhelmshaven Florian Noetzel Ver-lag 1986; citato in MAIONE, Il Concerto perViolino e Orchestra, p. 281.

90 Sostakovic in SEEHAUS, Dmitrij Sostakovic,p. 281.

91 DMITRIJ SOSTAKOVIC, Sonata Op. 134, Violinand Piano, Anglo-Soviet Music press LTD.,1969, p. 1.

92 La parziale registrazione video del concer-to newyorkese del 18 marzo 1970 all’AliceTully Hall (Beethoven, Sonata n. 6,Brahms, Sonata n. 3, e un bis beethove-niano) è diventato il dvd VAI 4369.

93 MASINI, Sviatoslav Richter [intervista a], p.258.

94 Rostropovic in MONSAINGEON, David OistrakhArtist of the People?; la conversazione èstata parzialmente trascritta e pubblicatain MONSAINGEON, David Oistrakh, 1908-2008, 100 anni dalla nascita, p. 42.

95 INGEBORG STIEHLER, Erstmals als Dirigentin Leipzig, in David Oistrach Begegnun-gen, pp. 63-69.

96 Registrazione presso la Jesus Christus Kir-che di Berlino, 15-17 settembre.

97 PETER ANDRY, Tre russi per Beethoven, no-te di copertina, lp EMI La voce del padro-ne, 3 C065-02042, [pubbl.] 1970.

98 Ibid. 99 Ibid.100 Ibid. 101 Citato nelle note di copertina in ibid.102 ACCARDO, Ricordo di David Oistrach, p. 73.103 ROTH, David Oistrakh, in Violin Virtuosos,

From Paganini to the 21st Century, p. 151.104 Dvd VAI Video Artists International, dvd

video 4473, pubbl. 2008 su licenza Go-steleradiofond.

105 CANTÙ, David Oistrakh, lo splendore dellacoerenza, pp. 171-172.

106 JAMES CREIGHTON, Discopaedia of the violin1889-1971, University of Toronto Press, To-ronto 1974, pp. 540-558; il 1974 è l’annodi pubblicazione del saggio ma Creighton siferma alle registrazioni del 1971.

PAOLO CECCHINELLIDiplomato in violino e laureato in architettura,ha conseguito il titolo di Dottore di Ricercapresso la Facoltà di Architettura di Genova. Èdocente di violino in una scuola media statalead indirizzo musicale e collabora alla didatticapresso il D.S.A. (Dipartimento di Scienze del-l’Architettura). Come architetto ha lavorato peril Comune di Genova e per il comitato organiz-zativo del Concorso Internazionale di violino“Premio Paganini”, curando la mostra NicolòPaganini 1782-1840, Documenti e Testimo-nianze che è stata esposta in Italia ed all’este-ro. Ha pubblicato articoli su riviste specializ-zate, è coautore di diversi saggi in ambito in-terdisciplinare e ha collaborato agli ultimi nu-meri dei «Quaderni del Civico Istituto di StudiPaganiniani». Nel 2007 ha curato diversi lem-mi per l’Enciclopedia dell’Architettura in quat-tro volumi (Federico Motta editore). Dal 2009 èdocente di violino presso i corsi estivi di stru-mento a Cervo-Imperia.

107 Jusefovic tende ad escludere i live nonautorizzati da Ojstrakh.

108 L’articolo di Masini - MASINI, David Oi-strach, pp. 68-73 - è completato da: Dis-cografia di David Oistrach, pp. 74-78.

109 Cfr. JEAN-MICHEL MOLKHOU, Oistrakh on re-cord, «The Strad», CVIII/1291 (Novem-ber 1997), pp. 1267-1282.

110 PAUL GEFFEN, David Fiodorovich OistrakhDiscographie,su http://www.oistrakh.com/discographie_geffen.html (sito internetdatato 1998, aggiornato al 2007, e con-sultato nel giugno 2010).

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Dal 25 settembre al 10 ottobre, con un eventostraordinario, la Fondazione “Antonio Stradivari –La Triennale” ed il Comune di Cremona promuo-vono un interessante itinerario articolato fra mostre,concerti ed incontri, alla scoperta di Carlo Ber-gonzi. Punto di partenza per queste ricerche il Mu-seo Civico Ala Ponzone, dove, nella Sala del Cin-quecento, saranno esposti 22 strumenti dell’ulti-mo Maestro della scuola classica cremonese, quasi lametà degli esemplari oggi conosciuti.Attraverso questi capolavori è dunque possibile ri-leggerne l’intera carriera, fino al passaggio di te-stimone al figlio e unico allievo, Michele Angelo.Carlo Bergonzi, invece, non proveniva da una fa-

miglia di liutai. Poco si sa degli anni giovanili, tan-to più che i suoi strumenti oggi noti sono ricon-ducibili ad un periodo relativamente breve, circavent’anni, in età matura. È probabile che egli abbiafrequentato diverse botteghe.Non esiste prova diretta della collaborazione conVincenzo Rugeri, ma fonti d’archivio documen-tano relazioni tra le due famiglie, soprattutto tra il1705 e il 1710. Inoltre comparando i rispettivi vio-lini si possono osservare evidenti analogie nellostile e nella pratica artigianale. È dunque possibileche il suo primo maestro sia stato proprio Vincen-zo Rugeri.Fino al 1730 il suo lavoro è influenzato anche dal-lo stile dei Guarneri e degli Stradivari ed è possibileabbia lavorato a lungo proprio per conto di questi.Lo scarso numero di etichette originali rende pe-raltro difficile datare con precisione le sue opere.Tuttavia le similarità con alcuni strumenti uscitidalla bottega di Stradivari suggerisce una crono-logia parallela.Almeno sei violini di questo periodo sono costruitiusando il tipo di acero locale detto “Oppio” e pre-sentano effe di modello stradivariano piazzate piut-tosto vicine al bordo nella zona delle “CC”.La vista frontale del riccio si presenta con un pro-filo molto regolare e simmetrico, con giri della vo-luta dallo sviluppo in forma di cilindri, una carat-teristica che manterrà anche in seguito.Entro il 1730, all’età di 47 anni, Bergonzi ha rea-lizzato un numero insolitamente modesto di stru-menti. Questa limitata produzione difficilmenteavrebbe potuto permettergli di mantenere la suanumerosa famiglia, ed è quindi possibile che ab-bia parallelamente svolto anche attività diverse. Il1730 pare, invece, rappresentare un anno decisivoper Carlo e per il suo lavoro, che diventa notevol-mente più intenso.Si contano almeno 18 violini e un violoncello co-struiti nei cinque anni successivi. Contemporanea-mente, la sua mano pare visibile in alcune operedella bottega Stradivari, un’affinità già colta dagliHill e condivisa, oggi, dai principali esperti ben-ché non documentata.

Carlo BergonziAlla scoperta di un grande Maestro

Alessandro Bardelli

Copertina del catalogodella mostra

Fondazione Antonio Stradivari Cremona - La TriennaleConsorzio Liutai Antonio Stradivari Cremona

Carlo BergonziAlla scoperta di un grande MaestroA Cremonese Master Unveiled

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Sommando queste realizzazioni indipendenti e lacollaborazione con Stradivari si stima, finalmente,un’attività consistente o comunque coerente con latipica produttività di un liutaio professionista cre-monese dell’epoca.In questo periodo Carlo Bergonzi consolida il pro-prio stile. Molti dei suoi strumenti presentano fon-di in un pezzo unico di acero di eccezionale qua-lità. I violini hanno formato compatto, con un dia-pason leggermente lungo. I bordi sono ampi, le ef-fe aperte, con palette larghe e squadrate. Presumi-bilmente, in origine questi strumenti avevano fascealte, di misura costante. La vernice spazia da uncaldo bruno ad un più brillante rosso, su un mor-bido fondo arancio dorato.Particolarmente interessanti anche le sperimenta-zioni sul posizionamento dei fori armonici, forsecon l’intenzione di provare differenti lunghezzedella corda vibrante.Alla fine degli anni ’30 anche il figlio Michele An-gelo entra in bottega. Di fatto, gli strumenti di que-sto periodo mostrano una molteplicità di sviluppistilistici di transizione, in cui sono presenti anchetracce della sua mano.Nel 1745 o ’46 la relazione tra i Bergonzi e gliStradivari, ormai consolidata, frutta un accordo po-sitivo per entrambi: Paolo, il figlio minore di An-tonio Stradivari, affitta a Carlo e Michele Angelo lacasa e la bottega di piazza San Domenico inclusi -pare - gli strumenti ancora invenduti o incomple-ti, gli attrezzi e le forme. Ma la morte coglie Carloquasi subito. Michele Angelo, rimasto troppo prestoprivo della guida del suo maestro, non è in grado disostenere la posizione che gli si è offerta.La qualità del suo lavoro non eguaglia quella delpadre, e anche se egli è, di fatto, l’ultimo liutaioeducato nella grande tradizione cremonese, i suoistrumenti rivelano gusto e capacità manuali nonpienamente formati e non reggono il paragonecon il lavoro dei colleghi che lo avevano precedu-to.La sua morte nel 1758, giunta a soli 37 anni di età,interrompe così una tradizione che aveva avutoinizio più di due secoli prima.

È il tramonto della scuola classica, un periodo fi-nora mai sufficientemente studiato. Basti in pro-posito ricordare che soltanto un violino di CarloBergonzi appartiene ad un museo, e negli ultimidecenni non è neppure stato visibile al pubblico.A differenza di quanto avvenuto con i liutai dellealtre famiglie, non è mai stata allestita un’esposi-zione specificamente dedicata a questo grande co-struttore, ed è significativo che i suoi strumenti sia-no stati raramente esposti in manifestazioni di li-vello internazionale.Doppiamente encomiabile è, dunque, l’impegnodi ricerca della Fondazione Stradivari, capace tantodi accendere i riflettori su un protagonista miste-rioso e affascinante della scuola classica quanto dicoinvolgere i maggiori esperti internazionali, ondeintersecare competenze diverse e, attraverso nuovestrategie di ricerca talora mai applicate alla liuteria,acquisire dati sui capolavori storici così da orga-nizzare un corpus di informazioni tecnico-scienti-fiche il più completo possibile sulla famiglia Ber-gonzi ed i loro strumenti.La mostra è curata da Christopher Reuning e co-ordinata da Virginia Villa.Il Comitato Scientifico è presieduto ChristopherReuning e Charles Beare e vede la partecipazionedi Peter Beare, John Becker, Eric Blot, Bruce Carl-son, Carlo Chiesa, Silvio Levaggi, Andreas Post,Duane Rosengard e James Warren.Particolarmente importante è, infine, la proposta,mercoledì 29 e giovedì 30 settembre, di un Con-vegno con interventi di alcuni tra i più rinomatistudiosi di liuteria, molti dei quali hanno dedicatoallo studio dell’opera di Bergonzi una particolareattenzione. Si tratta, pertanto, di un momento distudio di altissimo livello, coronamento di un’o-pera di preparazione durata diversi anni. Ma è pu-re un’occasione per guardare al futuro, nell’auspicioche gli insegnamenti di questo abilissimo Maestropossano avere vasta e benefica ricaduta sul mondodella liuteria contemporanea.

Programma dettagliato ed informazioni: www.fondazio-nestradivari.it

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Carlo Bergonzi ed i suoi violini saranno i prota-gonisti di “Liuteria in Festival”, la rassegna che, dal25 settembre al 10 ottobre, porta a Cremona con-certi e spettacoli nei luoghi più prestigiosi e negliangoli suggestivi del territorio, rinnovando un in-vito alla scoperta di una città millenaria capace diesaltare le armonie di un magico incontro tra lastoria, i luoghi e la musica.Se gli strumenti di questo liutaio sono rarissimi,ancor più insolita è la possibilità di ascoltarne lavoce. Sono, dunque, assolutamente straordinarie leaudizioni con esemplari originali che sabato 25settembre e domenica 10 ottobre vedranno saliresul palco della Sala San Domenico del Museo Ci-vico rispettivamente Anna Tifu ed il Quartettod’Archi della Scala. Ma grandi protagonisti sarannoanche i talenti della nuova generazione di inter-preti:“Virtuoso!” vedrà esibirsi i musicisti più pro-mettenti selezionati tra i vincitori ed i laureati deimaggiori Concorsi Internazionali per Strumenti

ad Arco. Dai Miyata, Mayu Kishima e Chun-WenHuang, grazie a straordinaria personalità musica-le, talento e abilità tecnica, hanno sbalordito e con-quistato giurie, spettatori e la stampa internazio-nale specializzata. I loro recital in sala San Dome-nico sono un’occasione forse irripetibile per ascol-tare i grandi protagonisti del concertismo interna-zionale di domani. E per rendere ancora più unicala loro esibizione, i violinisti suoneranno strumen-ti originali di Carlo Bergonzi.C’è questo ed altro ancora nel calendario della ker-messe: le “Matinée al Museo”, il Convegno “Musicin action in Europe: le città della musica” ed ilWorkshop sul turismo musicale, le funambolicheescursioni musicali tra rock e barocco del quartet-to “Archimia”, il debutto dell’orchestra della Scuo-la Internazionale di Liuteria “Stradivari” e dell’I-stituto Superiore di Studi Musicali “Monteverdi”,la rassegna itinerante “Città in Musica”, promossain collaborazione con ASCOM e con l’associazio-ne “Le Botteghe del Centro”.Per due settimane, dunque, l’eco dei suoni si dif-

fonderà tra le sale da concerto, le chiese e lepiazze contrappuntando un viaggio mu-

sicale che, con crescente successo,ogni anno conquista il favore di

un pubblico locale ed inter-nazionale attento a questo

itinerario sensibile, dovel’originalità dei program-mi si unisce al piaceredella scoperta ed al fa-scino di luoghi straordi-nari.Cremona riesce così atrasformarsi, in questo

esordio autunnale, in ungrande caleidoscopio dove

colori, note ed emozioni sicombinano in forme insolitee ogni volta nuove, ma sempreassai rappresentative del fascinosingolare e discreto, pervasivoe coinvolgente della città.

Liuteria in festival25 settembre - 10 ottobre 2010 - Cremona

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Enzo Porta

L’Europa nel 1945 esce stremata dalla IIGuerra mondiale. Essa è mutilata ad Est,ha perduto il primato politico, industria-le e scientifico, che passa ai due paesiemersi dal conflitto quali superpotenze.Essa vede altresì crollare uno a uno i suoiimperi coloniali, senza distinzioni tra vin-ti e vincitori.Il genocidio attuato dai nazisti verso ilpopolo ebraico e verso milioni di prigio-nieri di guerra slavi, ha aperto nella tra-gica vicenda umana il nuovo capitolodella strage di massa, attuata con criteridi produttività industriale, con la relativacontabilità del massacro, e la relativa ba-nalizzazione dell’orrore, divenuto ormaiparte del vivere quotidiano. Il conflittotermina col sinistro e micidiale fungoatomico di Hiroshima, che segna la pos-sibilità reale della scomparsa del genereumano. Nel 1945 si è ancora ben lontanida una così estrema possibilità, anche se ladivisione del mondo in due blocchi èquasi immediata. In un panorama di ro-vine l’Europa tenta di riacquistare l’an-tica supremazia culturale. Nel paese cheha dato alla musica occidentale più diqualunque altro, la Germania, si rico-struiscono oltre alle industrie, alle scuolee alle città, i teatri, e così avviene ovun-que anche se più lentamente. Il Teatro al-la Scala sventrato da un bombardamentorisorge uguale a prima, l’Opéra di Parigiriprende l’attività, e così pure le altre isti-tuzioni musicali europee. Rientrano gliesuli, e idee e partiture, messe al bandodal nazismo e dal fascismo come idee emusiche degenerate, possono ancora cir-colare.In Italia la spinta rinnovatrice di Mali-

piero, Casella, Dallapiccola e Petrassi, fre-nata da vent’anni di chiusura ad ognicontatto dall’esterno in una opprimenteatmosfera di autarchia culturale, ripren-de con vigore e inaugura una fase dinuova e feconda vitalità, che porterà inprimo piano molti compositori italiani.Molti di loro solo nel 1945 possono co-noscere la produzione della seconda scuo-la di Vienna e della scuola neoclassica. Nederiva una presa di coscienza di un ritar-do storico considerevole. Camillo Togni,Luigi Dallapiccola, Riccardo Nielsen,Mario Peragallo, sono tra i primi ad adot-tare il sistema dodecafonico; altri lo ri-fiutano, si accostano ad altri modelli otentano vie del tutto personali. Comun-que si può scrivere ancora liberamente,in un pulsare frenetico di nuova vita mu-sicale.

La Scuola di DarmstadtDarmstadt, cittadina tedesca circondatadal verde dei boschi, diventa uno dei cen-tri musicali più importanti della nuovamusica per i suoi corsi estivi che richia-mano numerosi compositori da ogni par-te del mondo. In un primo tempo i Fe-rienkurse non hanno la connotazioneprecisa che assumeranno in seguito: vi la-vora Hindemith fino al 1948 e vi inse-gnano pure Wolfgang Fortner e BorisBlacher. Essi compiono un’opera meri-toria di rivalutazione della musica con-temporanea dopo i roghi del nazismo.In quello stesso anno l’impostazione ge-nerale cambia, e nasce una Scuola nellascia di Webern, auspici Messiaen e Lei-bowitz. I nuovi compositori guardano al-le scarne ed astratte partiture weberniane,piuttosto che a Schoenberg o a Berg,quale esempio di serialità destinata a sfo-ciare in un cambiamento radicale. Le po-sizioni di Webern sono le meno compro-

messe con i valori formali del passato.Ciò che viene maggiormente rimprove-rato a Schoenberg è il fatto di non aversaputo o voluto trarre le conseguenzedalle sue stesse scoperte, di aver messo vi-no nuovo in otri vecchi, intendendo conciò l’utilizzazione delle vecchie formeche erano sorte e si erano sviluppate peraltri significati.Il gruppo di Darmstadt trova una sua ef-fimera unità, pur nelle diverse posizioni enei diversi talenti individuali, per rifon-dare il linguaggio in senso universalistico,secondo una logica seriale ferrea: in talmodo il gruppo ritiene anche di reagireagli oscuri eventi bellici che avevano evi-denziato un tale offuscamento del pen-siero dell’uomo. Si tenta di inglobare nel-la musica il massimo possibile di razio-nalità, appoggiandosi decisamente allanuova scienza: non si può pensare infattiche il compositore sia insensibile al mon-do culturale che lo circonda, e ciò è tan-to più vero nel nostro secolo in cui ilflusso delle informazioni è continuo. Lafisica relativistica, la teoria dell’indeter-minazione, dell’informazione, lo sviluppodella psicologia analitica, dell’antropologiastrutturalistica, della nuova logica e dellanuova matematica trasformano profon-damente il mondo. L’aspetto scientificoapplicato alla musica ha in Pierre Bou-lez l’alfiere più audace, attivo e preparato:possiamo ben seguire attraverso i suoiscritti la parabola di coloro che furonoben presto chiamati postweberniani.La base comune fu la serializzazione ditutti i parametri (altezza, intensità, tim-bro, ritmo, modi di attacco del suono),secondo le leggi seriali; attuata per la pri-ma volta da Olivier Messiaen, si concre-tizzò in un culto del numero “12” chedivenne a volte maniacale e che portòben presto il movimento a scindersi o

Il Postwebernismo.I Ferienkurse di Darmstadt

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meglio ad esplodere in differenziate posi-zioni individuali. Ciò condusse in pochianni a un rapido esaurimento della spintaoriginaria.La conseguenza di una così acuta radica-lizzazione fu un ermetismo musicale dif-fuso che conduce all’impossibilità dellapercezione, di cui avevamo avuto qual-che avvisaglia in alcuni momenti di qual-che composizione schoenberghiana.A parte Boulez, che continuerà per anninella sua costruzione, accogliendo ancheelementi estranei minutamente program-mati, senza deflettere fino ad oggi da que-ste posizioni, altri musicisti quali Karl-heinz Stockhausen, Henri Pousseur, Jan-nis Xenakis, Franco Evangelisti, LuigiNono, Luciano Berio, Bruno Maderna,

Franco Donatoni, Nicolò Castiglioni,Giacomo Manzoni, partiti dal postwe-bernismo approdano a soluzioni perso-nali in una diversificazione a volte moltoacuta delle loro posizioni, aperti e reat-tivi a tutto quanto sta sconvolgendo ogniantica o recente certezza.In altra sede vedremo lo sviluppo dell’e-lettronica, l’impatto del caso sulla musicaattraverso la musica di Cage, che è consi-derata dai più decisiva, per aver dapprimainnescato una confusa e indiscriminatareazione antidogmatica e per aver poi de-terminato il crollo di un edificio basato suun’acquisizione parziale e a volte vellei-taria della scienza alla musica.Tale con-cezione scientista tuttavia permane a lun-go. I principi di Darmstadt vengono di-vulgati a livello europeo dalle riviste spe-cializzate e dagli scritti o dalle opere deimusicisti che ancora vi si riconoscono.L’autonomia poetica che urge in ognicreatore di musica è la determinante pri-ma del declino di Darmstadt, acceleratoda incessanti spinte centrifughe e dal ma-nierismo di tante composizioni.Tuttavia il tentativo di rifondare il lin-guaggio attuato negli anni ’50 è l’ultimofino ad oggi compiuto per mantenere lamusica in una posizione eurocentrica conl’elaborazione di un sistema universal-mente valido. La frattura tra esso, il neo-classicismo e le scuole nazionali è insa-nabile.Considerando i portati e le nuove tecni-che del postwebernismo, i musicologicompiono la presa d’atto di una straor-dinaria trasformazione del linguaggiostrumentale, che viene accuratamente stu-diata e catalogata. Ma ciò che è accadutoin quegli anni non finisce mai di stupirelo strumentista che consideri tale trasfor-mazione con senso storico-critico. Le in-fluenze si fondono, si assommano, si scon-

trano: la seconda Scuola di Vienna, il Post-webernismo, la musica elettronica, con-creta e aleatoria producono un nuovoviolinismo che vorremmo ora definirepiù precisamente. I modi di attacco ca-ratteristici della seconda Scuola di Viennasubiscono un’enfatizzazione che avrebbecertamente sconcertato anche i tre Vien-nesi. L’effetto ponticello e l’effetto tastie-ra sono impiegati con una frequenza cen-tuplicata, il giuoco dell’arco fuori dalpunto di contatto normale richiede unasorta di virtuosismo nuovo del bracciodestro, poiché l’alternarsi di queste dueposizioni dell’arco è richiesto con unarapidità mai neanche immaginata in pre-cedenza.Al ponticello e alla tastiera è as-sociato il legno dell’arco con altri modid’attacco: legno tratto, legno ponticello,legno tastiera, legno sui suoni armonici,legno dal ponticello alla tastiera e vice-versa, legno battuto, legno crine. Il suonodiventa sempre più spesso rauco e fi-schiante. Si sviluppa una prassi esecutivain cui il suono inteso come tale è soffo-cato, il grido originario espressionista, laprotesta e la ribellione contro il mondo,sono sommersi da acque limacciose dacui escono suoni indistinti, volutamentenon caratterizzati dal punto di vista stru-mentale. Una proliferazione estrema del“flautando” viennese tra ponticello e ta-stiera e l’impiego dell’arco sul ponticellomedesimo, sulla cordiera, sullo spaziocompreso tra il ponticello e la cordiera esul capotasto, completano il quadro delbraccio destro. La mano sinistra è impe-gnata in difficoltà intervallari tanto spin-te da non far meravigliare più di nulla lostudioso: la velocità di certi passi checomprendono difficili salti, svela sia laconsuetudine di taluni autori con il ge-neratore di frequenze, sia una sorta di cul-to della materia che non tiene più in al-

Bruno Maderna

Nicolò Castiglioni

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cun conto il fattore umano.Mi sembra questo l’elemento caratteriz-zante di tanti postweberniani dal punto divista strumentale. Il puntillismo (suonicome costellazioni) non aveva annullato lapercezione dell’intervallo, anche se l’ave-va stimolata al massimo sia a causa del ti-po di intervalli usati, sia per la loro dis-posizione distanziata nello spazio. L’esa-sperazione di tale tecnica rende semprepiù problematica la percezione stessa. LaGruppentechnik, in cui scariche velocis-sime di suoni sorgono e spariscono ad-densandosi come nebulose nell’universosonoro, costringono l’ascoltatore all’im-possibilità di percepire gli intervalli, e glinegano quindi la memorizzazione di unalinea significante. Troviamo esempi deidue aspetti qui ricordati in For Grilly diDonatoni, in Serenata seconda di Maderna,in Sincronie di Berio, in Tropi di Casti-glioni.Non c’è chi non veda il peso che ne de-riva per l’esecutore. Per eseguire corret-tamente passi come questi egli deve de-dicare un tempo lunghissimo, necessarioper l’apprendimento, la memorizzazionee l’automatizzazione di rapporti tra suoniche rifiutano per la loro stessa strutturasia l’una sia l’altra, privi come sono diogni semanticità, collocati in un conte-sto generale con un’altra funzione, emancanti come sono di un minimo ag-gancio con l’eredità strumentale del pas-sato.Per il contemporaneo influsso dell’aleaappare un singolare culto della materiache il musicista spesso non ordina più, li-mitandosi a registrarne le misteriose ca-pacità di aggregazione, in una stupefa-cente inversione dei ruoli, in un automa-tico brulichio di atti riflessi in cui la vitadei suoni è una parvenza avulsa dalla vo-lontà e dalla coscienza.

La fine dell’interprete?Le musiche donatoniane, e quelle che daesse derivano per diretta filiazione, pre-sentano una difficoltà supplementare, do-vuta a una disumanizzazione che, nelleintenzioni, dovrebbe rendere superfluoogni intervento interpretativo, il quale so-pravvive solo come simulacro, come at-teggiamento generico indotto dal mate-riale stesso. In tale finzione, che non tieneconto dell’umana realtà, si ha la sensazio-ne di una musica nata per partenogenesi,sorta per generazione spontanea, priva,oltre che di ogni volontà di comunica-zione, anche di identità, di un quadro diriferimento che manca in molti musicistidella scuola postweberniana. Una verificadella sua significatività e del suo linguag-gio non è stata mai compiuta; il musicistapostweberniano ortodosso finisce per im-personare alla perfezione il “mostrum”evocato da Stravinskij nella sua polemicacon Vienna, malgrado l’altissimo magi-stero tecnico, malgrado l’abbondanza e lanovità dei materiali.La partecipazione all’impegno politico-sociale, sentita e praticata da alcuni, siidentifica con il tentativo di non perdereogni contatto con una realtà sfuggente,col desiderio di rimanervi inseriti in mo-do positivo, e infine con la reazione dal-l’interno al Pensiero Negativo, che ha inTheodor W.Adorno il suo massimo espo-nente.Adorno non vede scampo alcuno e con-danna il musicista a essere lo specchio diun mondo alienato e alienante. Per l’in-terprete il vero problema è quello di noninterpretare nel senso tradizionale del ter-mine, di far risuonare questa musica, difarsi tramite meccanico di un materialemusicale che vive una sua vita occulta.Se qualcosa d’altro ne esce, ciò deve esse-re la conseguenza di un atteggiamento

oggettivo. La maggior parte degli autoripostweberniani esige un contatto severa-mente gelido col materiale, e un’assenzadi partecipazione emotiva del tutto irre-lata, che si riconnette forse alla stretta pa-rentela, vera o supposta, con la scienza.Riteniamo molto improbabile un’esecu-zione di tal fatta, che resta tuttavia unideale parametro di cui l’esecutore deve

Luigi Dallapiccola

Luciano Berio

Pierre Boulez

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tener conto quale indicazione di una li-nea di tendenza. Noi pensiamo, al con-trario, che la vita occulta del materialedebba e possa essere colta in tutte le sueassociazioni semantiche, in tutta la suaemotività repressa che tante volte bella-mente serpeggia tra le righe di tantecomposizioni postweberniane, non cu-randosi delle premesse teoriche.Il percorso del postwebernismo non siarresta con la crisi aleatoria, né con quel-la materica, né con la reazione intimisticae neotonale. Continua come filone isola-to fino a oggi, in un accentuarsi dellacomplicazione delle relazioni reciprochetra le strutture e le microstrutture che siintrecciano, si frammentano, si integranoe si contrastano determinando la massimaconcentrazione possibile del pensiero.L’eredità bouleziana agisce su un musi-cista di oggi, Brian Ferneyough, come sipuò notare ad esempio in Intermedio allaciaccona. Salta all’occhio l’estrema “nume-rizzazione” compiuta dall’autore, che evi-ta accuratamente ogni già visto, già detto,già saputo.Anche l’opera di Emanuel Nunes, allievodi Stockhausen, è un esempio della vita-lità del postwebernismo, così come l’atti-vità creativa di Giacomo Manzoni e diFranco Donatoni. Questi ultimi hannocreato una Scuola che, sensibile alle tra-sformazioni e alle tensioni dei tempi,conserva in sé molto dell’originaria spin-ta che diede vita al postwebernismo. Co-me opere esemplari di autori che hannoportato alle logiche conseguenze l’otticapostweberniana citiamo qui Canto occultoper violino solo di Julio Estrada, Due pez-zi per violino solo di Gilberto Cappelli eDifferences per violino solo di KlaussMahnkopf.La severità postweberniana dei piani dilavoro e l’implacabilità della realizzazione

singolarmente contrattano con le musi-che galanti e piacevoli che oggi emergo-no partendo da un supposto completofallimento dell’avanguardia. Non condi-vidiamo tale condanna senza appello. Sitratta a nostro avviso di un’eclissi genera-ta dallo scientismo esasperato e dal pre-potere dell’ideologia, che poco a pocohanno rallentato, impedito, con la loroingombrante presenza, la costruzione elo sviluppo di valori linguistici, di cui era-no state poste tutte le premesse; valorinuovi, sì, ma in qualche modo correlati aciò che l’uomo chiede alla musica dasempre, al di là e al di sopra di valori po-litico-ideologici transeunti: un momentodi illuminazione della mente e di parte-cipazione della sfera emozionale ad unmessaggio umanamente coinvolgente.L’attuale sviluppo della tecnologia, uni-tamente al vigoroso impulso che moltiautori hanno impresso al rinnovato spe-rimentalismo, ripropongono in terminipiù che mai pressanti i problemi che l’ir-ripetibile stagione di Darmstadt ha la-sciato aperti.

Emanuel Nunes

Karlheinz Stockhausen

ENZO PORTAEnzo Porta, violinista concertista con particolarespecializzazione nella didattica e letteraturadel Novecento, è autore di numerosi libri e testididattici e storici, tra cui I suoni armonici, Ri-cordi 1985; I movimenti fondamentali dellamano sinistra, Rugginenti 1995; Il violino nel-la storia, EDT 2000; P.A. Locatelli, 24 capric-ci. Esercizi preparatori di E. Porta, Schott2005.

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Distretto della musica ai nastri di partenzaArte, liuteria e turismo: un network per il rilancio del territorio

Cremona, 28 luglio 2010 - Il Cremonese terred’acqua, ma ancor prima culla della liuteria e dellamusica, nota in tutto il mondo.

Dal 1500 con Andrea Amati sino ad oggi, Cremo-na ha assunto a simbolo della propria peculiaritàculturale la musica, declinata nelle sue diverse for-me artistiche, forte dell’eredità della grande tradi-zione liutaria-organaria e del segno lasciato da im-portanti figure, tra cui Stradivari, Monteverdi ePonchielli.Un patrimonio che necessitava di una comune eforte identità, tradotta in azioni innovative e di retetra gli operatori del settore, per posizionarsi ade-guatamente sui mercati nazionali ed esteri a livellodi promozione territoriale e di ricezione turistica.L’obiettivo è chiaro: fare sistema fra tutti i soggettilocali, dai teatri ai ristoranti, hotel, botteghe stori-che e atelier dello shopping, locali di intratteni-mento, artigiani, esercizi commerciali, enti locali,utilizzando un filo conduttore, la musica appunto,che connette il “sistema Cremona”.Un brand comune, un marchio “a fuoco”, che at-traverso un marketing ed una comunicazione ade-guata permettono di identificare un territorio, contutte le sue potenzialità in termini di ricezione tu-ristica, offerta gastronomica, fruibilità ambientale,commerciale, artigianale e produttiva.Un percorso che, abbozzato negli anni precedenti,con la Provincia di Cremona quale ente promoto-re, con il coinvolgimento immediato di CCIAACremona, dei Comuni di Cremona, Crema e Ca-salmaggiore e delle Associazioni di Categoria, ancheattraverso la Governance del Turismo ha trovatooggi piena attuazione. Il progetto è stato, infatti,condiviso con Regione Lombardia la quale, nel-l’ambito dell’Accordo del Programma stipulato conle Camere di Commercio lombarde per promuo-vere la competitività, ha finanziato in parte alcuneazioni di sistema volte allo sviluppo della filiera tu-ristica della provincia di Cremona nell’ambito del“Distretto della Musica”. Si tratta certo di consoli-dare il trend positivo di presenze che si registranoin occasione degli eventi musicali più conosciuti

come il Festival Monteverdi, il Casalmaggiore In-ternational Festival, Cremarena a Crema, il Festivaldi mezz’estate a Cremona, e Mondomusica, conuna miriade di iniziative collaterali che coinvol-gono tutta la città, ma, soprattutto, di supportarequesti eventi dentro un “modello” innovativo con-diviso dal marketing territoriale.Tra gli strumenti impiegati, la predisposizione diun kit del Distretto per gli aderenti (espositori, ve-trofania, calendario eventi musicali, elenco delleistituzioni e dei luoghi della musica); il varo delnetwork della musica (bacheche informative an-che video, produzione di video, spot e materialecartaceo da condividere in rete e da caricare su“guide per cellulari”); arredo urbano in collabo-razione con i comuni interessati (chioschi multi-mediali-informativi, elementi di arredo come scul-ture o pannelli ); azioni di promozione e di mar-keting conseguenti, dalla comunicazione al lanciodell’iniziativa, dal marketing degli eventi al mar-keting del ricordo.Per raggiungere gli obiettivi del Distretto della Mu-sica, grande rilievo assume anche l’azione formati-va, dedicata a tutti gli operatori della filiera turisticaper divulgare, oltre alle opportunità offerte dal Di-stretto della musica, le buone prassi in materia diaccoglienza turistica con la contestuale realizzazio-ne di un “laboratorio del racconto”, in cui definiree approfondire le tematiche che devono diventarepatrimonio comune di tutti gli operatori.Il 2010 è l’“anno zero” del Workshop del turismomusicale, con una “azione pilota” in occasione del-le manifestazioni di “Liuteria in festival”, organiz-zato dalla Camera di Commercio di Cremona incollaborazione con Provincia, Comune di Cremo-na, Comune di Crema, Comune di Casalmaggioree le Associazioni di categoria, da tenersi all’internodella vetrina di Mondomusica, la più importantemanifestazione internazionale per gli strumentimusicali artigianali. L’Appuntamento a Teatro sarà de-dicato agli operatori (incontro su “domanda e of-ferta”) il 30 settembre 2010, anteprima di Mon-domusica, (presso il ridotto del Teatro A.Ponchiel-li di Cremona).

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I liutai cremonesi alla conquistadi Cina e Stati Uniti

Sono gli Stati Uniti e la Cina i due mercati chiavesui quali punta in particolare il Consorzio LiutaiAntonio Stradivari Cremona nella sua attività dipromozione del marchio CREMONA LIUTE-RIA®.Due mercati, per motivi diversi, certamente nonfacili, verso i quali presentarsi in forma aggregata -con un assetto organizzativo e manageriale difficil-mente replicabile all’interno delle oltre 70 singoleaziende consorziate, per la maggior parte ditte in-dividuali - significa potenziare i benefici legati allapromozione degli strumenti a marchio CREMO-NA LIUTERIA®.Sarà un road show articolato in più tappe in presti-giose sedi di operatori commerciali americani degliStati della California, Minnesota, Oregon, Illinois,Virginia e Massachussets e presentare gli strumentia marchio CREMONA LIUTERIA®.Un tour che si protrarrà dal mese di settembre 2010a marzo 2011, per concludersi con la presenza a

Kansas City all’appuntamento dell’ASTA (AmericanString Teacher Association), punto di riferimentostrategico per rafforzare il legame tra musicisti emaestri liutai.Un impegno rilevante con cui ci si propone di con-solidare una rete di nuovi canali di entrata deglistrumenti, contrastando così la ancora scarsa pre-senza di strumenti contemporanei cremonesi ne-gli USA, un mercato penalizzato anche dalle con-dizioni valutarie che, per molto tempo, hanno osta-colato le nostre esportazioni verso gli USA.Il tour sarà anche l’occasione per creare successiveoccasioni di incontro a Cremona con delegazionicommerciali e orchestre USA, per presentare ai sog-getti che svolgono un ruolo strategico di interme-diazione nell’acquisto gli strumenti cremonesi nelloro contesto di riferimento, puntando sullo strettolegame che intercorre fra i capolavori della liuteriaclassica e la liuteria contemporanea cremonese chene rappresenta l’evoluzione.

Gian DomenicoAuricchio *

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Il mercato del sud-est asiatico e in particolare quel-lo cinese rappresentano l’altro filone strategico diattività del Consorzio.Le missioni a Singapore e a Seoul hanno già con-sentito di presentare gli strumenti a marchio CRE-MONA LIUTERIA® e di incontrare nuovi dis-tributori di strumenti a marchio e di consolidarerelazioni stabili.Particolarmente proficuo si è rivelato il rapportocon il corrispondente cinese del Consorzio, con-tatto strategico per contrastare l’elevato livello dicomplessità burocratica, relazionale e culturale diun mercato contraddistinto dalla presenza di reti direlazioni molto strette e chiuse, dove le orchestree i conservatori rappresentano i principali acqui-renti di strumenti per conto degli allievi e dove imusicisti svolgono un ruolo strategico decisivo diintermediazione.In tal senso importantissime sono le collaborazioniavviate con i Conservatori di Pechino, di Shen-yang, di Shangai e Wuhan e con la prestigiosa Or-chestra di Ghuangou, seconda per importanza nel-l’intero paese.

Il fatto che il Ministero degli Affari esteri abbiascelto i liutai del Consorzio Liutai Antonio Stradi-vari Cremona come simbolo di eccellenza del saperfare italiano, invitandoli nelle ultime due settimanedi ottobre 2010, in contemporanea alla presenzadella Regione Lombardia, a dare dimostrazione dalvivo della loro maestria all’Expo di Shanghai è mo-tivo di grande orgoglio.Sarà un momento di grande visibilità, un’oppor-tunità straordinaria per valorizzare la nostra tradi-zione liutaria, simbolo di un patrimonio, culturaleed economico unico al mondo. Ma anche un mo-do per veicolare, attraverso la liuteria e il suo mar-chio, l’intero sistema economico cremonese, valo-rizzando le potenzialità di attrattiva turistica del“Distretto della musica” presso tutti quei visitatori –sono 40.000 ogni giorno ad accedere al padiglioneitaliano - che, fino a fine ottobre, avranno la possi-bilità di conoscere da vicino le eccellenze del “ma-de in Italy”.

*Presidente Consorzio Liutai Antonio Stradivari Cre-mona

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Se qualcuno costruisse un’automobile per usarlapoi lui stesso, temerebbe quasi sicuramente, duran-te e dopo la realizzazione, di poter essere la poten-ziale causa di qualche incidente o guasto dovuti auna qualche imprecisione o errore commesso infase di progettazione. Questa è la situazione, più omeno, di un’insegnante che si mette a scrivere unmetodo utilizzandolo successivamente con i pro-pri allievi.1 Di certo non può poi lamentarsi o par-lare male dell’autore… Ma procediamo con ordine: come dei tre stati del-la materia, cioè solido, liquido e gassoso, vorrei par-lare delle caratteristiche del metodo, del mio usopersonale e delle mie idee (forse un po’ campateper aria, appunto “gassose”) per un futuro, chissà...Cominciamo però dal “solido”: scritto non soloper gli allievi dell’indirizzo musicale, il metodo La-boratorio di Violino in tre volumi cerca un approcciodiretto, molto pratico che tiene anche conto deisettori “marginali” come la teoria, le forme musicalio addirittura la storia della musica (il terzo volumepropone una serie di brani per ogni periodo musi-cale). Un’attenzione particolare viene rivolta allacura e alla consapevolezza della postura attraversoesercizi ginnici. Si presenta come alternanza fraesercizi, studi, brani brevi e opere più lunghe. I bra-ni, scritti da compositori per la maggior parte co-nosciuti (nel primo volume viene proposta moltamusica popolare), si suonano spesso in due (a parteun secondo violino oppure altro strumento melo-dico, si propone una parte per il pianoforte o peruno strumento basso; per un accompagnamento

della chitarra si segnano le sigle degli accordi). Esi-stono anche brani con un organico più ricco chearriva fino a quattro voci diverse. L’obiettivo consi-ste nell’offrire all’insegnante, all’interno dello stessogrado di difficoltà, una scelta fra brani più com-plessi e più facili per poter fare progredire anchegli allievi con abilità minori (o quelli che studianopoco!). Un esempio: vol. 3, modulo 1, unità 1, le-zione 3 (pp. 10-13): si introduce il 6/8 con 5 esem-pi; un canone e un saltarello che sono brevi e faci-li (nn. 9 e 11), un canone più lungo e complesso (n.10), una canzone di maggio di Mozart, che risultasempre difficile (n. 12) – per fortuna questo nume-ro è presente come traccia sul cd! – e una Canzonesudamericana mediamente difficile per violino epianoforte.A proposito: i brani ritenuti più difficilie meno orecchiabili sono stati incisi sul cd allegato.Nota bene: gli alunni dovrebbero usarlo comeascolto di controllo, solo dopo aver studiato il brano,casomai prima della lezione alla quale devono pre-sentare il brano! Gli stili proposti sono tanti: dalla musica medievaleai brani di musica contemporanea, senza saltare lamusica “leggera” (cantautori, musiche da film, can-tanti e gruppi conosciuti, autori jazz); altrettanto igeneri: dalla musica popolare alle danze (si vede lamia predilezione per la musica tradizionale anglo-sassone), alle arie tratte dalle opere, ai temi da ope-re importanti, ai pezzi presi da sonate (anche usan-do la forma sonata), concerti e studi di Pracht,Wohlfahrt,Alard, Ries, Polo.Alcune chicche: Soundsof Silence di P. Simon accompagnato dalle cordevuote del principiante (vol. 1, n. 27), Chanson tristedi Tchaikovsky (vol. 2, n. 62), PreludulerP di Bach,che si può leggere cominciando dall’inizio e anchedalla fine (palindromo come la parola, insomma),creando un brano a due voci (vol. 3, n. 25), un“duetto sul tavolo” di Mozart che si legge metten-do i due esecutori ai due lati opposti del tavolo(vol. 3, n. 52).Qualche parola sulla presentazione grafica: comeper tutti i libri scolastici, ha una vesta “accattivante”,il che significa in questo caso colori diversi, scrittu-ra con diversi caratteri, inserimenti di settori speci-

La vita nel…Laboratorio di Violino

Ursula Schaa

I violinisti della classe 2D, SM Marconi,Casalecchio di Reno in concerto

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fici come “Attività” (gli allievi sono invitati a scrivereed inventare) e “Musica d’insieme”. Mi è sembratomolto utile iniziare il vol. 1 con una misura di pen-tagramma abbastanza grande che si riduce gradual-mente fino alla norma. Inoltre, rese utili dalla sud-divisione del metodo in moduli ed unità, le illu-strazioni! Ne sono molto orgogliosa considerandoche sono il frutto di un coinvolgimento fuori dalnormale della pittrice Elena Marsili. La mia illu-strazione preferita? Difficile da dire, ma forse le dueultime del vol. 3, modulo 4, unità 1 (p. 75, stile ArtNouveau) e unità 2 (p. 85, stile Mirò, nella quale lapittrice è stata aiutata anche un po’ da suo figlio…).Passiamo allo stato “liquido”: ma, alla fin fine, comelo uso ‘sto metodo? Prima di tutto, mi sento conti-nuamente in movimento. Sperimento e modificospesso… questo dipende naturalmente dalle prefe-renze dei brani (a titolo didattico, ma anche per-sonale, lo devo ammettere) che, nell’arco del tempo,possono cambiare. Partiamo dai ragionamenti, ulti-ma generazione…

Primo volumeMolto importante cominciare l’impostazione nonusando il libro. Quando l’alunno riesce a prenderein mano lo strumento e ad emettere un suono de-cente tirando l’arco (metà o già tutto, questo di-pende dalla sua capacità di estendere l’avambraccioin avanti) in modo accettabile, allora si può iniziarecon il primo modulo, prima unità. Normalmente siprocede abbastanza in fretta, meglio così, perchédopo quattro lezioni di corde vuote (ormai siamoanche arrivati alla seconda unità con il cambio dicorda) e passato l’entusiasmo iniziale, l’alunno ri-schia di annoiarsi. È giunto il momento di intro-durre la mano sinistra (modulo 2)! Parallelamente siavanza con lo studio delle figure ritmiche sulle cor-de vuote (modulo 1, unità 2). In generale non fac-cio studiare tutti i brani proposti. La scelta dipendedalla capacità dell’allievo di assimilare i contenutidel percorso, dal tempo a disposizione (basta giàqualche lezione persa per assenza o le vacanze perrimanere indietro rispetto agli altri compagni) e daltipo di percorso (che dipende in gran parte dal ca-

rattere dell’alunno): si può andare avanti veloce-mente per ritornare indietro in un secondo mo-mento, oppure procedere più lentamente assicu-randosi subito dei risultati raggiunti.Tengo moltoall’esecuzione (esercizi scritti) dell’attività proposta(cornice verde), per sottolineare la necessità di capi-re ed applicare i concetti della scrittura musicale.Faccio usare l’indice analitico nei momenti di di-menticanze (come funziona la scala maggiore? Guar-diamo nell’indice analitico la pagina dove viene spie-gata e leggiamo la cornice rossa…). Nei momenti dicrisi, cioè delle lezioni non preparate, uso l’appendi-ce “lettura a prima vista”.Anche per la lettura a pri-ma vista va spiegato che cosa è importante: altezza,durata delle note, alterazioni e tempo in chiave; sipresta attenzione alla dinamica e all’articolazionesolo a una seconda lettura. Si deve suonare lenta-mente! La velocità richiesta è il risultato e la conse-guenza di uno studio sistematico e approfondito.

Secondo volumeL’inizio, dato che non propone subito novità, puòessere anche saltato, per immettersi nella nuova car-reggiata al numero 6 con i primi veri bicordi. Gliabbellimenti, di cui riparleremo nel terzo volume, sipossono per adesso ridurre ad uno studio di velo-cizzazione per la mano sinistra. Importanti i nn. 14,17, 19 e il n. 21 per svegliare la creatività dei ra-gazzi. I nn. 24-27 sono dedicati ai timbri (tremolo,sordina, sul tasto, sul ponticello, pizzicato con la si-nistra): anche qui si può fare una scelta. I punti cru-ciali per la tecnica sono: la terzina (n. 28), primodito indietro (n. 31), quarto dito indietro (n. 38),terze (nn. 48-49), la scala minore melodica (nn. 58-

Allievi di 3ª media, SM Marconi,

Casalecchio di Reno

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60), terzo dito in avanti nell’Allegretto di Corelli(n. 73), le diverse articolazioni (n. 88), il picchettato(n. 91), scala cromatica (n. 100).

Terzo volumeRispetto al primo e al secondo volume, dove si al-ternano contenuti della mano destra e della sini-stra, nel terzo volume la tecnica si concentra semprenell’unità 1 di ogni modulo (si propongono prin-cipalmente le corde doppie, la mezza posizione, laterza posizione, gli accordi, il balzato e il vibrato);nell’unità 2 invece non ci sono più esercizi e studi,ma si trovano dei brani dal repertorio classico, cherichiedono l’applicazione della tecnica studiata pre-cedentemente. Di conseguenza mi sento libera diabbinare allo studio tecnico direttamente il branoche usa la stessa tecnica. Un esempio: la mezza po-sizione che viene introdotta nei nn. 31-35 compa-re anche nei due brani di Mozart (nn. 49-50). Puòessere utile far capire in questo modo agli allievi lanecessità di studiare anche certi esercizi difficili! Al-trettanto è il caso di far studiare le posizioni e so-prattutto i cambi di posizione direttamente attra-verso i brani. Nel terzo volume si trova un numeroparticolarmente elevato di brani di musica da cameraindicati per i ragazzi di quell’età considerando laloro voglia di suonare insieme: 29 duetti e 24 branicon organici vari (in parte anche già abbastanzalunghi e complessi) su 106 numeri. Naturalmentesono da prendere altresì come proposte per un con-certo o saggio (come tutti i brani di musica da ca-mera del resto) oppure per un eventuale esame(quello di terza media per esempio).

Per ultimo vorrei esporre qualche mia idea su altreforme d’insegnamento… forse un po’ fantasiose?Lo deciderà il gentile lettore…Partiamo da un concetto già abbastanza usato: datoche l’alunno ha bisogno di essere non solo motiva-to, ma anche di sentirsi ascoltato e preso sul serio, sa-rà lui a scegliere i brani che studierà. Questo può av-venire per un ripasso, ma anche per il compito del-le vacanze in generale. Per ricavarne un beneficioanche a livello didattico, la scelta può essere abbinataad altre ricerche: cercare un brano che abbia uncerto carattere, un certo andamento, un certo stile oche appartenga a un certo genere, con un certo or-ganico. Un altro obiettivo potrebbe essere una de-cisione presa da un gruppo che eseguirà insieme ilbrano prescelto. Un altro modo per selezionare unbrano sarebbe di fare scegliere un brano dall’allievotra alcuni indicati. Sarà lui a sperimentarli tutti pri-ma di prendere una decisione, migliorando così lasua lettura a prima vista, e infine a sceglierne uno.Un altro approccio invece prende le illustrazionicome punto di partenza. Dato che le illustrazioniseguono diversi tipi di logica, ecco alcune possibilitàper includerle nel processo d’apprendimento: le il-lustrazioni che spiegano un concetto (per es. la sca-la maggiore, vol. 1, p. 37) si possono trasportare di-rettamente sul violino; le illustrazioni che traduco-no in immagine uno o più brani dell’unità (per es.il gatto e il bosco, vol. 1, p. 59) vanno guardate e ab-binate al brano in questione traducendole in musi-ca (per es. il movimento della barcarola, vol. 2, p.61); nel terzo volume ci sono quattro illustrazioniper descrivere i quattro periodi musicali più signi-ficativi: Barocco, Classicismo, Romanticismo e Mo-derno/Contemporaneo. In base agli elementi espo-sti il docente può guidare l’alunno verso una defi-nizione stilistica (per es. il Classicismo con le sueforme classiche che porta alla sezione aurea chetrova espressione nella forma sonata).Tutto ciò sibasa su un concetto: l’immagine può aiutare a innescareun lavoro sull’espressività musicale.Un altro metodo da provare consiste nell’improvvi-sazione, anche sotto forma di piccole variazioni daapplicare ai brani. L’obiettivo è l’approfondimento di

Ignazio e Tommaso,2D, SM Marconi, siesibiscono con lamusica da camere

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un concetto tecnico oppure un uso ludico dellascrittura e della lettura. Si comincia dalle scale che sipossono eseguire con un altro ritmo, un’altra arti-colazione, un’altra dinamica. Quando l’allievo hapreso un po’ di confidenza, ci si può allargare adaltri esercizi, studi e brani.Finalmente è giunto il momento di sconsigliare difar studiare due brani! Sull’esperienza dei primi seianni, devo constatare che non conviene di far stu-diare l’Inno alla gioia di Beethoven nella versioneritmica originale (vol. 1, n. 107): nessun allievo guar-da bene il ritmo, ma tutti riproducono purtroppoautomaticamente il ritmo semplificato… stessa co-sa con Oh, Susanna di S.C. Foster (vol. 1, n. 111).Ogni tanto bisogna attrarre l’attenzione degli alun-ni con dei brani famosi, ma meglio fornire un bra-no accattivante poco conosciuto invece che far ri-petere sempre le stesse dieci canzoni in cima allaclassifica!

Per il resto, il tempo porta consiglio! Chissà come siconsidererà un metodo concepito in questa ma-niera fra dieci anni? Forse sarà già un fossile?

1 URSULA SCHAA, “Laboratorio di Violino”, metodo diviolino per la scuola secondaria di 1° grado, 3 volumi,ognuno con CD, Poseidonia Scuola, 2005:vol. 1 (2005) ISBN 88-482-0096-6, vol. 2 (2006) ISBN 88-482-0097-4, vol. 3 (2007) ISBN 978-88-482-0098-1

URSULA SCHAA Insegna attualmente violino sia in una scuola media ad in-dirizzo musicale a Bologna, sia il metodo Suzuki nellascuola CEMI a Bologna. Inoltre insegna al Conservatorio diFerrara come docente del corso “Amici per l’archetto”.Nel 2009 ha pubblicato Insegnare il Violino oggi (Edizio-ni Cremonabooks). È componente del Comitato Direttivo diESTA-Italia.

Fausto Cacciatoricons e r va z i one e r e s t au rocostruzione strumenti ad arco

Via Ettore Sacchi, 16 - 26100 Cremona - tel 346 [email protected]

C r e m o n a

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Al di là di altri aspetti, il colore e l’apparenza dellafinitura a vernice di un violino sono considerati unelemento fondamentale e di grande valenza este-tica, che concorre in qualche caso al riconosci-mento su base stilistica del costruttore e della scuo-la di appartenenza.Per comprendere pienamente quello che sta allabase del colore della vernice che ricopre uno stru-mento musicale dobbiamo tuttavia fare qualchepasso indietro, per occuparci di tutto ciò che stadietro alla natura del colore e della sua percezione.Sebbene all’origine di tutto vi siano fenomeni fisi-ci ben noti, sui quali torneremo più avanti, è ne-cessario innanzitutto ricordare che quella del co-lore è una percezione sensoriale assai poco univocaed oggettiva, condizionata da numerose variabili: lecaratteristiche dell’oggetto che si sta osservando, iltipo di luce incidente, le modalità di riflessione o ri-emissione della luce da parte del campione, la ri-sposta dei recettori dell’occhio umano e, non ultimi,quegli aspetti strettamente soggettivi legati all’ela-borazione dello stimolo ricevuto dal cervello.È noto come esistano aspetti patologici della per-cezione del colore che portano a non riuscire a ri-conoscere colori ben distinguibili da un altro os-servatore, o addirittura a scambiarli tra loro, comenel daltonismo.Insomma, il colore percepito non è una proprietàintrinseca di un corpo, ma un aspetto soggettivoche il nostro apparato visivo gli attribuisce.Un tentativo per mettere ordine nella materia sia dalpunto di vista teorico, sia da quello applicativo èstato fatto istituendo una scienza che si occupa ditutto questo, la colorimetria: essa si occupa dei co-lori, della loro origine, della loro percezione, di svi-luppare tecniche per rappresentarli e misurarli inmodo quantitativo e riproducibile; nella colorime-tria sono confluite varie discipline: tra queste, la fi-sica, l’ottica, la fisica ondulatoria e in particolaretutto quanto concerne l’interazione tra materia eradiazione; la chimica, la fisiologia umana e non ul-tima la matematica, per creare modelli che consen-tano rappresentazioni quantitative e sistemi di mi-sura dei colori.

Sebbene si tratti nel suo complesso di una discipli-na relativamente giovane e basata su un approccioteorico piuttosto complesso, è doveroso ricordaretra i primi contributi alla nascita della scienza deicolori quelli di Isaac Newton che, oltre a scoprireche la luce visibile bianca è costituita in realtà da uninsieme di radiazioni diverse, ideò un diagrammacircolare (cerchio di Newton) per illustrare grafica-mente le possibili combinazioni di colori, apparte-nenti allo spettro della luce visibile e ottenibili mi-scelando colori diversi, e la teoria dei colori ela-borata da Wolfgang Goethe.

Strumenti musicali,vernici e colore

Claudio Canevari

La luce visibile è costituita da radiazionielettromagnetiche di lunghezza d’onda compresatra 380 nm e 750 nm circa (1 nm = 10-9 m)

Il cerchio di Newton descrive sia i colori dellospettro visibile, sia colori non spettrali, nella zonacentrale, ottenuti attraverso combinazioni di quellispettrali.

Le modalità della percezione da parte dell’occhioumano del colore associato allo stimolo da parte diradiazioni luminose di diversa lunghezza d’onda,sia monocromatiche sia miscelate, si basano sullaparticolare struttura delle cellule fotorecettrici pre-

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senti nella retina: i coni, in particolare, quelli ad-detti alla visione diurna, sono suddivisi in tre tipi,con diverse sensibilità secondo la lunghezza d’onda.La teoria del tristimolo, enunciata ben prima chefosse scoperta la differenziazione dei coni, ne è unadiretta conseguenza: ogni colore può essere rappre-sentato da tre componenti cromatiche fondamentali,tali che ciascuna di esse non possa essere ottenuta dauna miscela delle altre due.Dal punto di vista quantitativo, questo concettopuò essere espresso rappresentando i colori comevettori in opportuni spazi vettoriali di riferimento:1

ogni colore, in quanto vettore, è caratterizzato dal-le sue componenti, che possono essere scelte in ba-se a vari criteri, dando origine a vari tipi di spazicromatici.Ad esempio, è possibile definire un colo-re in base alla sua tinta (cioè alla radiazione domi-nante tra quelle che provocano la percezione diquel colore), alla sua saturazione (cioè alla purezzadel colore) o alla sua brillantezza (cioè alla sua lu-minosità); queste tre caratteristiche possono essereespresse da valori numerici, dando origine alla rap-presentazione dei colori nello spazio HSB, acronimodei termini inglesi che definiscono la tinta (Hue), lasaturazione (Saturation), la brillantezza (Brightness).I colori possono essere definiti quantitativamenteanche per mezzo di altri spazi cromatici che fannoricorso a differenti terne di valori per le compo-nenti fondamentali.Sulla base di questo principio, gli innumerevoli co-lori distinguibili dall’occhio umano possono esseredefiniti attraverso procedimenti che hanno comefondamento la sintesi addittiva (ottenuti dalla so-vrapposizione della radiazione di diverse sorgenti: adesempio, i fosfòri di uno schermo televisivo a colo-ri) o sottrattiva (le radiazioni incidenti su un corpovengono assorbite in modo selettivo, e la luce cheriemerge dal corpo è privata delle componenti as-sorbite).Quest’ultimo caso è quello che ci interessa mag-giormente, essendo alla base del colore che si os-serva quando un corpo viene illuminato da unasorgente di luce visibile.Le sostanze che ci appaiono colorate - e fra queste

i coloranti e i pigmenti usati in liuteria - sono ingrado di assorbire selettivamente alcune compo-nenti della luce incidente; questa sensibilità alla lu-ce deriva dal fatto che le sostanze colorate hannocaratteristiche chimico-fisiche tali da consentire, alloro interno, spostamenti temporanei di elettronida un orbitale all’altro, cioè transizioni elettroni-che, causate dall’energia che la luce porta con sé:che contengano, cioè, atomi o gruppi cromofori.La percezione del colore di un oggetto è quindideterminata dalla radiazione incidente che vieneriemessa, privata delle componenti assorbite dai co-loranti che l’oggetto contiene.Va da sé che la qualità dell’illuminazione e la sua ap-parenza cromatica, che dipendono dalle caratteri-stiche spettrali della sorgente luminosa, influenzanonotevolmente il colore che viene percepito, anchese il sistema visivo umano possiede entro certi limitiun buon potere di autobilanciamento dei colori,che rende la sensibilità cromatica (e quindi la resa diun colore osservato) abbastanza costante in relazio-ne a varie sorgenti illuminanti; un procedimentoidealmente simile al bilanciamento automatico deicolori attuato via software dalle moderne fotoca-mere digitali.L’apparenza cromatica di una sorgente luminosaviene espressa spesso per mezzo della temperatura dicolore; la luce bianca di una lampada a incande-scenza ha una temperatura di colore dell’ordine dei2500-3000 K e un’apparenza cromatica più spo-stata verso la zona spettrale del rosso, a lunghezzed’onda maggiori, mentre la luce diurna ha unatemperatura di colore maggiore di 5000 K e la dis-tribuzione delle sue componenti è più spostata ver-so la regione dello spettro a lunghezze d’onda infe-riori. Per quanto elastico sia il nostro sistema visivo,il colore di un corpo viene quindi percepito in mo-do diverso secondo l’illuminazione; un caso limite èil fenomeno del metamerismo, che può far appariredue oggetti colorati cromaticamente identici o di-stinti, secondo la fonte di illuminazione o secon-do diversi osservatori.Sempre per un motivo legato alla struttura del no-stro sistema visivo, si è in grado di apprezzare a pie-

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no il maggior numero possibile di sfumature di co-lore, solo se la quantità di luce è sufficiente ad atti-vare la visione per mezzo dei coni; i bastoncelli, lecellule fotorecettrici per la visione scotopica, incondizioni di bassa illuminazione, sono molto piùsensibili dei coni, ma non consentono una reale vi-sione a colori. Questo giustifica il noto detto po-polare secondo il quale al buio tutti i gatti sono grigi.I fenomeni che avvengono quando la luce incide suuna superficie colorata sono riconducibili quindiall’assorbimento selettivo di una parte della radia-zione; inoltre la radiazione va soggetta a varie mo-dalità di diffusione (scattering): la luce incidente vie-ne deflessa in modo disordinato ed apparentemen-te casuale in tutte le direzioni, per effetto della col-lisione con le particelle di colorante. Le cose sicomplicano quando si ha una finitura trasparenteparzialmente riflettente, più o meno colorata, edancora di più quando la finitura è sovrapposta aduno strato a sua volta in grado di diffondere la luceche attraversa quello trasparente.La radiazione luminosa che emerge, e che in se-guito arriva all’osservatore determinando la perce-zione di un colore, è quindi il risultato di una buo-na quantità di fenomeni concomitanti di assorbi-mento, riflessione, diffusione e, nel caso di mate-riali trasparenti, rifrazione.

La colorazione finale di una vernice può essere do-vuta a qualità intrinseche dei materiali che la costi-tuiscono (ad esempio, la gommalacca è una resina diper sé colorata), o può essere dovuta a sostanze co-loranti utilizzate secondo varie modalità.Un dato di fatto riguardante vernici, coloranti, pig-menti è che, almeno fino alla metà del XIX secolo,le sostanze impiegate per ottenere un qualunquetipo di colorazione erano esclusivamente di originenaturale ottenute, direttamente o attraverso proce-dimenti relativamente semplici dal punto di vistachimico, da materie prime vegetali, animali, mine-rali. Nella maggior parte l’ideale estetico degli stru-menti musicali a corde ha sempre implicato piùche altro l’uso di colori in una ristretta gamma checomprende varie gradazioni di giallo, rosso, bruno;

questo limita necessariamente la scelta delle sostan-ze coloranti impiegate nel trattamento del legno amateriali gialli, rossi e bruni, con l’uso eventuale dipiccole quantità di altri colori, in genere per smor-zare sfumature troppo accese.I metodi riportati dalle fonti storiche o tramandatidalla tradizione sono riconducibili a tre tipologiefondamentali.I coloranti come il sangue di drago (la secrezione re-sinosa rossa prodotta da vari tipi di piante tra lequali la Dracaena cinnabari che cresce nell’isola diSocotra) contengono principi coloranti solubili, ta-li da essere disciolti facilmente in un solvente e mi-scibili con i componenti di una vernice. Possonoinoltre essere utilizzati pigmenti insolubili dispersinella vernice, di origine minerale come il cinabro ol’orpimento,2 o di altra provenienza come le lac-che, pigmenti ottenuti insolubilizzando e stabiliz-

Dracaena cinnabari: dalla sua secrezione resinosasi ottiene il sangue di drago

Sangue di drago

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zando coloranti di natura animale o vegetale in for-ma di composti di coordinazione: ne sono esempi lalacca di robbia, dalla radice di Rubia tinctorum o lalacca di grana, dall’insetto Kermes vermilio. Infine, lacolorazione può essere applicata per mezzo di unostrato preparatorio oppure al legno stesso, prima distendere la vernice vera e propria.Nel caso delle vernici per strumenti musicali, e inparticolare per strumenti ad arco, tra le qualità piùapprezzate vi sono la trasparenza, che consente diapprezzare le caratteristiche dei legni sotto lo stratodi finitura e l’andamento di elementi decorativiquali i filetti, e la lucentezza, data dal potere riflet-tente della superficie, legata in buona misura all’u-niformità delle superficie ed alla sua eventuale lu-cidatura a specchio.Anche la trasparenza è legata a vari fattori: tantoall’indice di rifrazione dei materiali che insiemecompongono la vernice, quanto alle dimensionidelle particelle dei pigmenti ed alla loro concen-trazione.Questo problema è particolarmente evidente nelcaso di vernici a olio, che solitamente vengono co-lorate disperdendo in esse pigmenti insolubili ma-cinati fino a ridurli in particelle molto fini, dell’or-dine di qualche µm. La concentrazione di pigmen-to è di solito estremamente bassa; già Simone Sac-coni, che cita i risultati di alcuni tra le prime inda-gini scientifiche svolte su strumenti ad arco, fa no-tare come l’osservazione al microscopio di cam-pioni di vernice evidenzi la presenza di pigmentisotto forma di particelle distribuite in modo rado eirregolare. La presenza di una concentrazione ec-cessiva di pigmento fa perdere la trasparenza: le par-ticelle di pigmento, disperse nel film di vernice tra-sparente, diffondono in tutte le direzioni la radia-zione luminosa incidente a tal punto da impedirle diattraversarne lo spessore.Un ruolo fondamentale è svolto infine dal coloreassunto dalla superficie del legno, anche il sempliceinscurimento dovuto all’ossidazione superficiale,ma soprattutto dalle proprietà ottiche di riflettivitàe rifrangenza delle eventuali preparazioni prelimi-nari alla verniciatura, colorate o meno. Un attento

uso di queste ultime può dare effetti sorprendentisul risultato finale.Tra le poche notizie testuali riguardanti la praticatuttora molto diffusa di applicare sul legno di unostrumento musicale una qualsiasi preparazione co-lorata prima di stendere una vernice trasparente, èdoveroso citare quella riportata da Watin in L’artdu peintre, doreur et vernisseur (Parigi, 1773). In unaprima serie di indicazioni su come applicare la ver-nici su vari tipi di oggetti,Watin descrive quantoviene fatto su violini e strumenti musicali:

Violons et instrumentsLes uns appliquent simplement plusieurs couches de vernis,indiqué page 230, qui est rouge de nature, a cause de lalaque ; d’autres le teignent un peu : il faut l’emploier au-près du feu.[Alcuni applicano semplicemente più strati di vernice, in-dicata a pagina 230, che è rossa di natura a causa dellagommalacca; altri la colorano un po’: bisogna usarla davantial fuoco.]

Egli si riferisce alla nota ricetta di vernice ad al-cool «pour les violons et autres instrumens de mu-sique», riportata a pagina 230; più avanti, con l’in-tento dichiarato di rimediare ad alcune dimenti-canze presenti nei capitoli precedenti,Watin preci-sa che si può mettere sul legno una preparazione acolla colorata, dopodiché si applica la vernice:

La seconde concerne l’emploi du Vernis sur les instru-ments, page 280, ou nous avons dit qu’on appliquoit toutsimplement les Vernis, ou qu’on les teignit un peu. Il fautajouter qu’on peut encore y mettre un encollage teint, pardessus lequel on couche le vernis. Cette teinture se fait, sion la desire rouge, en faisant bouillir de l’eau de roucouavec un peu d’alun ; ou, si on le veut jaune, en y substi-tuant du saffran avec de l’alun. D’autres mélangent lesdeux teintes pour en faire une mixte. L’encollage coloré decette teinture ne masque point le veines du bois.[La seconda riguarda l’applicazione della vernice su stru-menti, pagina 280, dove abbiamo detto che si applicasemplicemente la vernice, o che li si colora leggermente.Bisogna aggiungere che si può anche applicare una pre-

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parazione a colla colorata, sul quale si stende la vernice.Questa tintura, se la si desidera rossa, si fa facendo bolli-re dell’acqua di rocou3 con un po’ di allume; se la sivuole gialla, sostituendovi zafferano assieme ad allume.Al-tri miscelano le due tinte per farne una mista. La prepa-razione colorata con questa tintura non maschera affatto lavenatura del legno.]

In generale, su pochi argomenti le fonti scritte “diprima mano” sono così scarse come quelle riguar-danti le modalità d’uso di coloranti e pigmenti inliuteria. Come al solito è però possibile ricorrereanche a fonti indirette, riguardanti in generale lapreparazione e la stesura delle vernici in varie epo-che storiche, ma soprattutto alla tradizione artigia-nale che ha fatto arrivare fino a noi tecniche e ma-teriali. Ma una parola decisiva potrà venire solo dal-l’applicazione su ampia scala di indagini scientifichefinalizzate alla caratterizzazione dei materiali e dalconfronto statistico dei risultati ottenuti.

Bibliografia

– ISAAC NEWTON, Scritti di Ottica, a cura di Alberto Pala,Torino, UTET, 1978.

– JEAN FÉLIX WATIN, L’art du peintre, doreur et vernisseur,Parigi, Grange-Durand, 1773.

– SIMONE F. SACCONI, I segreti di Stradivari, Cremona, Li-breria del Convegno, 1972.

– GIOVANNI GIANNONE, Coloranti vegetali e animali dell’e-banisteria e della liuteria antica. Atti del Seminarioper la didattica del restauro liutario, Premeno, 14-19settembre 1981, Milano, Scuola di liuteria, 1982, pp.145-198.

– SERGIO PALAZZI, Colorimetria, la scienza del colore nel-l’arte e nella tecnica, Firenze, Nardini1995.

– ESZTER FONTANA, FRIEDEMANN HELLWIG, KLAUS MARTIUS,Historische Lacke und Beizen auf Musikinstrumenten indeutschsprachigen Quellen bis 1900, Norimberga, Ver-lag des Germanisches Nationalmuseums, 1999.

– LEONARDO BORGIOLI, FRANCESCO MACINA, Coloranti vegetaliper il legno, Manuale tecnico, Firenze, Phase, 2001.

– ANTONELLA CASOLI, MARIA ELENA DARECCHIO, LARA SAR-RITZU, I coloranti nell’arte, Padova, il Prato, 2010

– FRANÇOIS PEREGO, Dictionnaire des matériaux du peintre,Parigi, Bellin, 2005.

– FRIEDRICH MEYER, La tradition allemande au XIXe siécle:recettes anciennes et reconstitution sperimentale. Ac-tes de la journée d’étude Les vernis de violon, Parigi,Cité de la Musique, 2006.

1 Uno spazio vettoriale a “n” dimensioni è unastruttura algebrica, necessaria per definire oggettidetti vettori e che generalizza concetti come quellodi piano cartesiano. Un vettore, che gode dispecifiche proprietà algebriche, è definito da uninsieme di componenti.

2 Cinabro o vermiglione: HgS (solfuro di mercurio).Orpimento: As2S3 (solfuro di arsenico).

3 Rocou o annatto: colorante estratto dai semi di Bixaorellana, pianta arbustiva del Sud America

CLAUDIO CANEVARIHa seguito parallelamente studi ad indirizzo sia scientifi-co sia musicale. Dal 1984 si è dedicato allo studio e allaricerca su aspetti scientifico-tecnologici del restauro edella conservazione di strumenti musicali storici, colla-borando alla parte tecnologica e diagnostica di importan-ti interventi di restauro. Ha tenuto conferenze e lezioni invarie sedi, ha partecipato a convegni e dibattiti sul temadella conservazione e del restauro di strumenti musicali esu problemi didattico-organizzativi nelle scuole di liute-ria e restauro liutario. È docente di Elementi di chimica,Acustica musicale e Tecniche per la diagnostica e la do-cumentazione del restauro presso la Civica Scuola di Liu-teria di Milano dal 1978, anno in cui venne istituita.

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L’autrice, nell’introduzione, spiega come deve es-sere lo spazio per l’attività, come lavorare con ilgruppo per la corretta postura, per la tenuta dellostrumento, per l’impostazione dell’arco e della ma-no sinistra, il tutto affrontato collettivamente.Molte melodie sono canoni, vocali all’inizio, conaccompagnamento pizzicato, strumentali verso lafine del volume.Si tratta di un lavoro prezioso per chi lavora con igruppi, il volume è composto dal libro per l’inse-gnante, con suggerimenti metodologici, consiglipratici e giochi per lavorare con la classe e di partisingole per violino, viola, violoncello e contrab-basso.

Katharina Rundfeldt, Streicherklassen-Grunschu-le, Frankfurt, Peters, 2006, euro 22.80 la partitura.Libro per l’insegnante, parti staccate per violino,viola, violoncello e contrabbasso.

Questo volume è dedicato alle lezioni collettivecon l’intera famiglia degli archi, per le scuole pri-marie o per gruppi principianti delle scuole dimusica.Si tratta di una serie di brani in progressione, all’u-nisono per quanto riguarda la parte strumentale,con l’utilizzo delle corde vuote pizzicate, come ac-compagnamento di facili canzoncine all’inizio epoi con l’arco, con una ritmica via via sempre piùcomplessa e la parte della melodia da cantare o dafar eseguire all’insegnante. Le melodie sono quelledella tradizione popolare tedesca che conosciamotramite il metodo di E. Sassmanshaus.Dal brano 26, le melodie progrediscono strumen-talmente con l’utilizzo della mano destra, con l’ar-monico all’ottava, e poi l’utilizzo di tutte le dita,con ritmiche più complesse via via fino all’esecu-zione strumentale della melodia di “Fra’ Martino”,all’inizio del volume presentata come accompa-gnamento del canto della stessa. I brani in totalesono 64.

Recensioni

Barbara Bertoldi

Atti del 35° Congresso Internazionale ESTAProceedings of the 35th International ESTA ConferenceCremona 27.4 – 2.5.2007a cura di / edited by Ennio Francescato

336 pagine / italiano e inglese20,00 euro

Per informazioni e prenotazioni

Edizioni Cremonabooks s.r.l.Corso Garibaldi 215 - 26100 Cremona, Italiatel. +39 0372 31743 - fax +39 0372 537269www.cremonabooks.com - [email protected]

ISBN 88-8359-106-8

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Stewart Pollens, Stradivari, Cambridge, CambridgeUniversity Press, 2010.

L’autore di questa recentissima monografia su Stra-divari è un noto restauratore americano. Formato-si come liutaio e costruttore di strumenti a tastiera,Stewart Pollens ha lavorato dal 1976 fino al 2006presso il Metropolitan Museum of Art di New Yorkcon la funzione di conservare e restaurare gli oltrecinquemila strumenti di ogni genere e provenienzaposseduti dall’istituzione americana. Oltre a ciò hacompiuto ricerche e prodotto contributi su alcuni

degli esemplari più interessanti di tale collezione.Al suo attivo Pollens ha inoltre alcuni lavori di am-pio respiro tra i quali si possono citare The EarlyPianoforte (Cambridge, 1995); François-Xavier Tour-te, Bow Maker (con Henryk Kaston, New York,2001); un pregevole intervento in Giuseppe Guarneridel Gesù (London, 1998) e alcuni articoli che hannofatto molto discutere la comunità internazionaledei liutai ed esperti sull’autenticità del celebre vio-lino “Messiah”, di cui Pollens ha messo in dubbiol’attribuzione a Stradivari. Ma il lavoro che più ditutti gli ha dato notorietà nella liuteria è The ViolinForms of Antonio Stradivari (London, 1992), in cuisono pubblicate le fedeli riproduzioni fotografichedi tutte le forme stradivariane attualmente conser-vate a Cremona e a Parigi, oltre a un ampio studiodelle stesse. Negli ultimi tempi Pollens ha creatouna società negli Stati Uniti attraverso cui offreconsulenza a coloro che intendono acquistare ovendere strumenti classici di grande pregio.Ci siamo dilungati sulle note biografiche dell’au-tore perché ciò aiuterà il lettore a inquadrare megliola monografia che stiamo presentando. Pollens, in-fatti, non è un restauratore nel senso ordinario cheil termine assume nella liuteria e tra gli esecutori,cioè come colui che ripara e sistema uno strumen-to per il suo uso nella viva pratica musicale, bensì èun restauratore nel senso più ampio del termine,cioè un tecnico che opera sulla scorta di un ap-proccio scientifico al restauro e che interpreta lapropria disciplina come volta alla conoscenza, ma-nutenzione e conservazione museale del manufatto.La specifica competenza di Pollens rende questanuova monografia su Stradivari un lavoro moltoimportante nel contesto della pur già ampia biblio-grafia stradivariana.Vediamo di comprenderne imotivi.La letteratura su Stradivari è praticamente stermi-nata, ma i libri che hanno profondamente incisosulla materia, e la cui conoscenza è del tutto ne-cessaria per chi si voglia occupare del liutaio cre-monese, sono in verità pochi: tra questi bisogna ci-tare la celebre monografia degli Hill pubblicata aLondra nel 1902 (tradotta in italiano solo nel 2006),

Antonio Moccia

Stewart PollensStradivari

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il “manuale di stile” stradivariano per eccellenza, e Isegreti di Stradivari (Cremona, 1979) di Simone Fer-nando Sacconi che è un vero e proprio “manuale diliuteria”.A questi due titoli va ora ad aggiungersi loStradivari di Pollens, il cui interesse specifico si puòsostanzialmente individuare in tre punti. In primoluogo, la monografia offre il panorama più aggior-nato sulle ricerche biografiche compiute negli ulti-mi decenni da altri autori (in particolare CarloChiesa e Duane Rosengard). In secondo luogo, nelvolume vi è una nuova e ampia ricognizione deicimeli stradivariani (sia quelli conservati presso ilMuseo stradivariano di Cremona, sia i reperti delMusée de la Musique di Parigi) compiuta sulla ba-se dell’esperienza e competenza specifica dell’au-tore, una nuova lettura che si va ad affiancare a quel-la offerta da Sacconi nel suo libro. Infine Pollensdedica ampio spazio alla lettura e all’analisi deglistrumenti e reperti stradivariani non riconducibiliagli usuali strumenti ad arco: ci riferiamo quindialle pochette, alle viole da gamba e d’amore, ai liu-ti, alle mandole e mandolini, alle chitarre e all’arpa.Dalla ricognizione che l’autore compie ne esceun’immagine del laboratorio stradivariano più am-pia e articolata, anche se a nostro avviso, l’impor-tanza di tale produzione non fu mai preponderantein termini quantitativi rispetto al resto.La parte biografica è condensata nel primo capito-lo della monografia e, come abbiamo già detto, es-sa accoglie le novità emerse negli ultimi anni. Seda una parte l’autore si astiene dal formulare unsuo punto di vista sull’annosa questione della data dinascita, in merito ad altre ipotesi formulate in pas-sato su temi piuttosto importanti Pollens prendeposizioni abbastanza nette: ad esempio, esclude cheStradivari non sia nato a Cremona, ritiene che nonabbia compiuto l’apprendistato presso Nicolò Ama-ti, rivisita le descrizioni del seccadour della casa diPiazza San Domenico. Ma, soprattutto, Pollens sidiscosta nettamente dagli Hill nel valutare quanti-tativamente la produzione stradivariana, ridimen-sionando sia le stime degli esperti inglesi (oltre ilmigliaio di esemplari), sia il numero di strumentiandati distrutti o persi fino ad oggi. Secondo il re-

stauratore americano, infatti, gli strumenti costruitida Stradivari non sono molti di più dei 600 so-pravvissuti fino ad oggi e ciò gli offre il destro perprendere le distanze da chi ha ipotizzato che Stra-divari si limitasse soprattutto a progettare i suoi stru-menti, per poi appaltarne la completa realizzazionead altri e per smentire chi ha addirittura ipotizzatoche Stradivari non sia altro che un’invenzione dicommercianti ottocenteschi senza scrupoli.Ridimensionare la quantità di strumenti prodottida Stradivari permette inoltre a Pollens di ipotizza-re che Stradivari si sia fatto aiutare nel lavoro solodai figli, un’ipotesi plausibile a patto però di tra-scurare che già Nicolò Amati (e dopo di lui, tanti al-tri liutai italiani) si avvalse di collaboratori esterni al-la famiglia. Secondo Pollens, infatti, in bottega sa-rebbero stati attivi solo Francesco e Omobono Stra-divari, oltre un figlio morto nel 1727 poco più cheventenne, tal Giovanni Battista Martino (la cui fi-gura viene sbrigata in poche righe, poiché non vi èalcun documento o strumento che lo leghi alla liu-teria), e un tal “Alesandro” Stradivari la cui parentelacon Antonio non è ben chiara (forse un fratellomaggiore). Il primo a parlare di Alesandro Stradiva-ri è stato Arnaldo Baruzzi che nel 1962 notò il suonome, citato a poca distanza da quello di Antonio, inuno stato delle anime del 1678 della parrocchia diSant’Agata. Pollens associa la testimonianza archivi-stica a un reperto del Museo stradivariano (n. 422,un modello per la costruzione di un mandolino)su cui si legge “Als. Ant.o Stradivari/à S.t Dom.o

Cremona” e scioglie la prima abbreviazione in “Ale-sandro”. Chi scrive, pur non riuscendo a offrire unalettura diversa dell’abbreviazione (che peraltro an-drebbe completata con un’altra lettera in apice didifficile interpretazione) è più incline a ritenerequella iscrizione come ottocentesca sulla scorta diquanto scritto da Marco D’Agostino (La scrittura diAntonio Stradivari, Cremona 20051 e 20092) e del-la presenza (circostanza piuttosto curiosa) dell’in-dirizzo della bottega sul reperto. Come per Gio-vanni Battista Martino, riteniamo che anche nel ca-so di Alessandro le tracce siano troppo flebili perpoter annoverare un novello Stradivari tra i liutai.

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Nei capitoli che vanno dal secondo al quarto Pol-lens offre la sua rilettura dei reperti stradivariani ri-conducibili a violini, viole e violoncelli. Sono i ca-pitoli più densi del libro, pregni di argomentazionimolto articolate, dettagliate e accuratamente dimo-strate. La trattazione fa appello alle ampie cono-scenze organologiche, fisiche, chimiche e storichedell’autore.Tra le conclusioni più interessanti con-tenute in questi capitoli ci piace evidenziarne al-cune. Secondo Pollens, Stradivari era dotato di unacuto senso del disegno, oltre che di una manualitàstraordinaria, ciò a smentire coloro che hanno ipo-tizzato nel lavoro del cremonese l’applicazione diinsospettabili conoscenze matematiche o l’impie-go di particolari proporzioni che non siano quellepiù semplici: ciò a testimonianza di una cultura ar-tigiana solida, ma non stravagante rispetto al conte-sto storico. Infatti le forme stradivariane sembranonascere grazie a leggere modifiche di forme preesi-stenti e non da progettazioni riformulate ex-novo.Interessante è anche l’argomentazione con la qualePollens dimostra che Stradivari inclinava i manicidei suoi strumenti (a 86° nei violini) rispetto allacassa e che essi fossero già lunghi pressoché quantoquelli moderni, a sfatare il “dogma moderno” (cosìlo definisce lo stesso Pollens) che il manico baroccofosse sempre più corto rispetto al moderno e inne-stato perpendicolarmente alla cassa. La sostituzionedei manici originali fu imposta da un repertoriomusicale che diventava col tempo vieppiù esigente,e che richiedeva manici quindi più sottili verso lazona del piede (cioè la parte più vicina alla cassa) etastiere più facilmente percorribili dalle dita.L’autore argomenta le sue tesi, abbiamo detto, se-guendo un metodo molto rigoroso e attento allefonti che consulta, ma talvolta, soprattutto quandotocca il tema della conservazione dei reperti stradi-variani, sembra utilizzare dette fonti in modo unpo’ troppo fiducioso.Vogliamo citare due esempi.Nel secondo capitolo Pollens traccia una storia piut-tosto ben argomentata della collezione dei repertistradivariani, seconda solo a quella che ne fece nel1988 Elia Santoro (Giuseppe Fiorini e i cimeli stradi-variani, Cremona). Rispetto al lavoro del giornalista

cremonese però, qui possiamo leggere un primosondaggio di come la consistenza della collezionepossa essere variata nel tempo. Non mi soffermosulle argomentazioni riguardanti il numero di formeattualmente possedute dal museo cremonese, poichéPollens non ha avuto accesso alla donazione Cera-ni (una circostanza del tutto biasimevole dato lospessore e la serietà della monografia di cui stiamotrattando): da foto d’epoca (recuperate da Santoro)sembra che nel Museo fossero in mostra ben 25forme, mentre lo stesso Fiorini scrive a Camelli(l’allora conservatore del Museo) a proposito di 20forme. Ora le forme effettivamente possedute dalMuseo sono solo 17. Purtroppo tutti gli inventariconsultati e citati da Pollens sono approssimativi,per cui non è possibile sciogliere le perplessità ge-nerate da queste discordanze numeriche.Invece l’affermazione di Pollens che dopo il 1881sarebbe andato perso un set di modelli per violad’amore datati 1716 non ci sembra condivisibile.Vediamo il perché. Nella prima edizione del Grove’sDictionary (1877-89) il musicologo E.J. Payne pub-blicò una lista sommaria dei pezzi della collezionestradivariana.Al punto 13 di tale lista viene elenca-to un corredo di «models for a viola d’amore oftwelve strings, 1716» che secondo Pollens sarebbeandato perso.Attualmente nella collezione vi è uncorredo per viola d’amore a dodici corde datatoperò 1727 e che non figura nell’elenco di Payne.Perché allora non pensare a un semplice refuso(1716 per 1727) e invece sostenere drasticamenteche quel corredo sarebbe andato perso? Non rite-niamo infatti che la correttezza della lista stilata daPayne sia indiscutibile: bisogna ricordare che il mu-sicologo inglese visionò i reperti nell’ambito del-l’Esposizione di Milano del 1881, ma non sappiamose poté effettivamente maneggiarli e studiarli ade-guatamente o se si dovette limitare ad osservali at-traverso i vetri di una teca. Inoltre, se si scorrono levoci della lista di Payne ci si imbatte in sviste piut-tosto evidenti: ad esempio, la terza voce recita «mo-dels for the viola da gamba ordered by the Contes-sa Cristina Visconti on February 23, 1684». La de-scrizione più che un refuso sembra un vero e pro-

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prio errore: il corredo cui ci si riferisce è quellodei modelli predisposti per la viola da gamba or-dinata dalla contessa “Sola de Bergno” (verosimil-mente Sole di Bergamo, nn. 250-267) e datati perl’appunto 23 febbraio 1684. Che si sia in presenza diun errore (di Payne? di chi ha compilato i materia-li illustrativi della mostra milanese? Impossibile dir-lo) ci sembra indicato dalla circostanza che, ancoraadesso due dei tre reperti riconducibili alla musici-sta di origine anglo-tedesca Cristina Visconti e mo-glie del violinista cremonese Gasparo Visconti, han-no una numerazione di catalogo (sono i nn. 256 e258) che li ingloba nel set della viola da gamba de-stinata alla contessa Sole.Pollens fa un’affermazione simile e dello stesso te-nore a proposito della forma servita a Stradivari percostruire la viola tenore Medicea.Tale forma pre-senta attualmente due iscrizioni, una autografa po-sta nella parte superiore, un’altra di mano diversanella parte inferiore (si veda l’immagine qui pub-blicata a p. 7). Secondo Pollens la seconda sarebbestata apposta sulla forma dopo il 1902, poiché essanon compare in una fotografia di tale oggetto pub-blicata in quell’anno dagli Hill nella prima edizionedella loro monografia.Anche in questo caso ci sen-tiamo di prendere le distanze dall’affermazione delrestauratore americano, perché la foto in questioneè dichiaratamente e manifestamente ritoccata. Infattila didascalia che accompagna la foto recita «Theinscription written on the mould by the master hasbeen touched over in the reproduction in order torender it more legible» (p. 194 della ristampa Dover1963; nella lussuossa edizione francese del 1907 è ap. 202; non siamo riusciti a consultare la prima edi-zione). Se si osserva infatti la foto, ci si accorge cheper rendere più leggibile l’iscrizione nella parte su-periore il fotolitografo (o chi per esso) fu costrettoa cancellare la scritta autografa (nel 1902 i compu-ter erano ancora di là da venire), per sostituirla conuna riscrittura che imita molto approssimativamentela mano stradivariana. In pratica siamo in presenza diquello che oggi viene chiamato un fotomontag-gio, quindi una fonte di per sé non affidabile. Nonsarebbe più semplice ipotizzare che gli Hill abbiano

chiesto al fotolitografo di eliminare la scritta nonautografa in quanto non necessaria alla compren-sione del reperto?Nei capitoli che vanno dal quinto al decimo, Pollenssi occupa con larghezza di argomentazioni e osser-vazioni dei “figli” minori del laboratorio stradiva-riano. Di grande interesse sono i lunghi capitoli de-dicati alle viole da gamba e d’amore e agli stru-menti a pizzico (chitarre, liuti, mandole e mandoli-ni), i cui corredi l’autore analizza sulla scorta di trat-tati antichi, di strumenti e prassi musicali coeve.Questi capitoli hanno anche il merito di riequili-brare la visione della bottega stradivariana, eviden-ziando e analizzando gli sforzi progettuali del gran-de cremonese nel realizzare strumenti tanto bellinel disegno quanto sonori nella resa acustica.L’ultimo capitolo è dedicato alle tecniche e ai ma-teriali di costruzione impiegati nel laboratorio stra-divariano.Vi si dà conto delle ricerche di Sacconi edelle osservazioni portate negli ultimi anni alla ri-costruzione del metodo fatta del celebre restauratoreitalo-americano, in particolare quelle di Roger Har-grave. Chiudono la monografia tre appendici, l’ul-tima delle quali è dedicata alla questione sollevata daPollens sull’autenticità del “Messiah”.Ci auguriamo che, diversamente a quanto accadutoalla monografia degli Hill, questo prezioso lavoropossa essere reso disponibile al lettore italiano intempi molto brevi.

ANTONIO MOCCIANato a Cagliari nel 1965, si è diplomato in Violoncello aPiacenza e laureato in Musicologia a Cremona, la cittàdove attualmente vive. Lavora come redattore in una notacasa editrice musicale milanese. Ha curato nuove edizio-ni di musiche del passato (Martucci, G.B. degli Antonii).Appassionato di storia della liuteria, ha curato l’edizioneitaliana di una importante monografia su Antonio Stradivarie ha pubblicato studi e monografie di argomento liutario.

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Anna Nardelli

In questo momento di crisi che coinvolgein maniera drammatica anche il mondodella cultura, della musica e dell’educa-zione, buone notizie giungono da San Vi-to al Tagliamento, in provincia di Porde-none. In questa graziosa cittadina, infatti,una nuova realtà si è costituita e si appre-sta a diventare un punto di riferimentoper violinisti, studenti e insegnanti di que-sto strumento: l’Accademia ViolinisticaZinaida Gilels. L’iniziativa ha assunto unaconnotazione precisa nel 2008, dopo annidi progetti e successi portati a compi-mento dai tre fondatori, la cui stretta col-laborazione e sintonia di vedute ha per-messo tutto questo: Caterina Carlini, Do-menico Mason e Oscar Pauletto.

L’Accademia nella sua forma attuale per-mette a giovani e dotati studenti di violi-no di compiere un percorso di studio eperfezionamento al di fuori del conser-vatorio, seguiti con passione dai docentisummenzionati.Ognuno di loro ha un ruolo definito inquesto percorso, creando una sinergia da-gli eccellenti risultati.Caterina Carlini, il cui curriculum anno-vera l’esser stata per quasi vent’anni l’u-nica assistente italiana di Pavel Vernikov edi Zinaida Gilels (celebre didatta ameri-cana, cui il nome dell’Accademia rendeomaggio) e docente di violino e didatticaviolinistica al Conservatorio “G.Verdi” diMilano, si dedica al perfezionamento vio-linistico individuale.Oscar Pauletto, anch’egli perfezionatosipresso l’Accademia di Portogruaro con ilmaestro Vernikov, si occupa della musica

da camera, indispensabile complementonella formazione del giovane musicista.Domenico Mason invece, docente e or-ganizzatore per diversi anni alla Scuola diPortogruaro dopo aver seguito i corsi diVernikov e Mauricio Fuks presso l’India-na University, è il preparatore e direttoredell’Orchestra giovanile Zinaida Gilels,composta dagli allievi della scuola.L’orchestra è il fiore all’occhiello di questoprogetto, che si esibisce regolarmente indiverse rassegne concertistiche e festivalsinternazionali, con programmi che com-prendono il repertorio per orchestra dacamera, nonché l’accompagnamento deipropri stessi solisti, riscuotendo ampiosuccesso di pubblico e di critica.Ciliegina sulla torta alle lezioni seguiteregolarmente durante l’anno, sono i cam-pus estivi (ben tre: a Cividale, Cison diValmarino e San Vito e aperti anche ad

È nata una stella:l’Accademia ViolinisticaZinaida Gilels

Orchestra giovanile Zinaida Gilels

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esterni) che permettono agli allievi di la-vorare in maniera estesa e di rafforzare ilbellissimo clima di amicizia e comunitàche è la vera forza di questa scuola.Ma chi sono gli allievi dell’Accademia Zi-naida Gilels? Attualmente la scuola contauna ventina allievi di età compresa fra gli8 e i 19 anni, provenienti per lo più daTriveneto e Lombardia, giunti a questopercorso dopo alcuni anni di formazionecon altri docenti o con gli stessi docentidella scuola.E dopo tanto impegno di studenti e pro-fessori, il successo: i giovani allievi dellascuola si distinguono regolarmente inconcorsi nazionali e internazionali; le ul-time partecipazioni hanno visto inanella-re tre primi premi assoluti nelle diversecategorie ai concorsi di Legnago e Mac-cagno.In particolare merita una menzione spe-ciale la ormai già affermata Laura Borto-lotto, di soli 15 anni, recentemente insi-

gnita dell’onoreficenza di Alfiere delleRepubblica dal Presidente Napolitano, invirtù di un lungo curriculum di successidegni di un affermato professionista.Vogliamo ricordare qui anche Paolo Ta-gliamento, di 13 anni, che incanta il pub-blico con il suo suono e la sua disarman-te freschezza, valore aggiunto di una mu-sicalità ben più matura di quella che l’etàanagrafica gli concederebbe.Il lavoro dell’Accademia, però, non si fer-ma qui. Da un interesse specifico di Ca-terina Carlini, instancabile studiosa e ri-cercatrice di nuove idee per la didatticae la metodologia violinistica, nella prima-vera di quest’anno ha preso vita il primoMaster Internazionale di Didattica Violi-nistica.Patrocinato dalla Siem, e valido anche co-me corso di aggiornamento riconosciutodal Ministero, il corso ha visto la parteci-pazione di una ventina di corsisti, docen-ti di vario ordine e grado - dalle medie aindirizzo musicale al conservatorio, allescuole private - nonché allievi di conser-vatorio aspiranti insegnanti.

Il progetto, strutturato in quattro workshopdi due giorni ciascuno, ha dato voce aEnzo Porta, grande ricercatore e sosteni-tore della didattica italiana, autore fra l’al-tro di diversi libri sulla tecnica violinisti-ca, che ha compiuto un excursus suigrandi della didattica.Un taglio trasversale ha dato invece An-nibale Rebaudengo, pianista e docente alConservatorio di Milano, che è interve-nuto su tecniche di studio, memorizza-zione e improvvisazione. Con grandecompetenza e simpatia il prof. Rebau-dengo ha delineato l’importanza dell’im-provvisazione musicale quale catalizzatoredi musicalità e talento, in una società chechiede al musicista moderno notevoliqualità tecniche, ma anche flessibilità epoliedricità.Il terzo workshop ha visto la partecipa-zione di uno special guest dal Regno Uni-to: Simon Fischer. Il docente, per la primavolta in Italia, è rinomato a livello mon-diale per la pubblicazione di un volumeche a pochi anni dalla pubblicazione è giàun classico della didattica, Basics. Il suo la-

Simon Fischer in alcunimomenti di lezione

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voro di ricerca è stato illustrato sia conlezioni frontali sia impartendo delle le-zioni in pubblico ai piccoli allievi di SanVito.A conclusione del master infine, la stessaCarlini ha dedicato gli ultimi due giornidel corso ad un’analisi approfondita dellemetodologie più innovative, sofferman-

dosi in particolare sui materiali di PaulRolland, l’insigne didatta americano pur-troppo ancora non sufficientemente stu-diato e valorizzato in Italia.Il corso ha riscosso notevole entusiasmo esoddisfazione da parte di partecipanti edocenti e, data l’unicità di un progetto delgenere in Italia, spesso in ritardo nell’ag-

ANNA NARDELLIDiplomatasi in violino presso il Conservatorio“C. Monteverdi” di Bolzano sotto la guida diCarlo Lazari, ha seguito numerosi corsi di per-fezionamento ed è stata inoltre membro del-l’Orchestra Giovanile Italiana e dell’Accademiadel Teatro alla Scala di Milano. Parallelamenteall’attività di musicista ha insegnato in diversiistituti musicali della sua città d’origine, Tren-to. Da alcuni anni vive a Venezia, dove si dedi-ca all’insegnamento con particolare interesseper la fascia d’età della scuola primaria. Per-seguendo questo scopo, ha seguito diversi cor-si e workshop con Kato Havas, Sheila Nelson eGeza Szilvay, presso l’East Helsinki School ofMusic.

giornarmento degli insegnanti, non siesclude la possibilità di un secondo corsoin futuro.Un grazie quindi all’Accademia ed un inbocca al lupo per il suo lavoro!

Caterina Carlini e Zinaida Gilels

IL CORSODI DODICI LEZIONI

Secondo il Nuovo approccio al violinodi KATÓ HAVAS

con esercizi relativi agli equilibri fondamentaliNuova edizione aggiornata da Kató Havas

Traduzione di Monica Cuneo

IN LIBRERIA

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La trasformazione legislativa in atto nelle scuole su-periori italiane coinvolge anche la Scuola Interna-zionale di Liuteria, con esiti non ancora del tuttodefiniti. In attesa di valutare i risultati del processo,vogliamo illustrare un segmento particolarmentesignificativo del percorso formativo che già oggicaratterizza la Scuola: la “prova strutturata”.Si tratta di un progetto che viene svolto nella se-conda parte del terzo anno, ha la durata di circaquattro mesi e prevede ricerche, misure, esami edanalisi svolte dagli allievi sotto la guida dei docentidi disegno, tecnologia, laboratorio, lingua italiana,lingua straniera, pratica musicale. Oggetto di stu-dio è uno strumento, generalmente ad arco, che gliallievi devono possedere o che qualcuno ha loroaffidato per un possibile intervento di straordina-ria manutenzione.Viene così simulato il caso pro-fessionale di un musicista che affida il suo violinonelle mani di un liutaio e lo studente viene re-sponsabilizzato circa il mantenimento delle condi-zioni iniziali di conservazione.L’impostazione didattica della “prova strutturata” si

fonda sulla convinzione che nel mondo globaliz-zato le competenze e conoscenze necessarie percostruire ed intervenire correttamente sugli stru-menti del quartetto classico, devono includere anchecompetenze e conoscenze in ambito linguistico,scientifico, musicale, cioè saperi e tecniche non spe-cificamente liutarie, ma indispensabili per conosce-re a fondo lo strumento, le sue caratteristiche, il suostato di salute.È a partire da queste considerazioni che i docentidella classe terza hanno messo a punto la sequenzadi indagini ed il metodo di lavoro, con l’obiettivo difar acquisire agli allievi le basi affinché in futuropossano affrontare lo studio, la progettazione e l’e-secuzione di un corretto intervento di manuten-zione e restauro su uno strumento ad arco.Agli allievi è richiesto di procurarsi uno strumento“interessante” o per lo meno degno di essere stu-diato. La ricerca comporta in molti casi la necessitàdi contattare liutai professionisti ai quali gli studen-ti illustrano il programma di lavoro, anche attraver-so elaborati prodotti in anni precedenti. Questa at-

Didattica e professionel’esperienza dalla Scuola Internazionale di Liuteria di Cremona

Flavio Smerieri

Fotografie delvioloncello P. Bailly

1903. (realizzate dagli allievi

Nathy Arun e Ivan Delgado Bastos)

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tività stimola gli studenti ad entrare in relazionecon il loro futuro ambito professionale e ad attivarelogiche di collaborazione e scambio culturale, a pre-sentarsi in modo adeguato e convincente, ad ac-crescere il senso di appartenenza all’istituzione sco-lastica.Individuato lo strumento, i docenti provvedononell’ambito delle loro lezioni a sviluppare le tema-tiche e ad illustrare le tecniche necessarie per rac-cogliere tutte le informazioni possibili sul suo statodi conservazione e sulle sue caratteristiche: seguonoil lavoro svolto dagli allievi, forniscono loro indi-cazioni e suggerimenti, valutano la qualità degli ela-borati prodotti e le conoscenze acquisite attraversoverifiche continue dei lavori. I docenti di laborato-rio inoltre coordinano, insieme ai tecnici, la pro-duzione delle immagini fotografiche, delle radio-grafie e delle endoscopie.Gli allievi effettuano le attività di analisi, documen-tazione e ricerca sotto la guida dei docenti, ma conpiena libertà di sviluppare ambiti o argomenti per iquali si sentono particolarmente portati o per i qua-li hanno maturato, prima di iscriversi alla ScuolaInternazionale di Liuteria, significative esperienze.Studenti particolarmente versati o competenti nelsettore storico-letterario, scientifico o musicale han-no la possibilità di approfondire conoscenze e me-todologie che possono poi diventare patrimoniocomune. Per favorire questo tipo di situazioni e perl’attuazione di specifici progetti presentati dagli stu-denti, la Scuola contatta istituzioni, enti e profes-sionisti esterni. Procedure di questo tipo sono stateattivate per consentire ad allievi di rilevare stru-menti conservati in musei italiani ed esteri, ma mol-teplici sono le possibilità di approfondimento: dalladendrocronologia all’analisi modale, dalla chimicadelle vernici al rilievo tridimensionale, all’analisiscientifica del suono.Agli allievi inoltre viene chiesto di organizzarsi pre-feribilmente in piccoli gruppi per lo studio di ognistrumento: è necessario infatti abituarli al confron-to, alla collaborazione, al lavoro in équipe, in unalogica di arricchimento reciproco che eviti di li-mitare il campo all’esperienza personale.

Ogni gruppo consegna, alla fine del quadrimestre,una copia cartacea e una digitale del lavoro svolto elo illustra verbalmente alla commissione di valuta-zione composta da tutti i docenti che hanno parte-cipato al progetto. Sono quindi necessarie compe-tenze di base, come saper stendere una relazionescritta, saper utilizzare alcuni software, conoscere lalingua inglese. A queste vengono aggiunte, attra-verso la “prova strutturata”, la competenza nel ri-lievo delle forme e dello stato di conservazione diuno strumento, la conoscenza della tecnica foto-grafica, endoscopica e radiografica, le competenzenella valutazione del suono, nella registrazione deidati scientifici e nella redazione dei riferimenti bi-bliografici.Nel dettaglio, il programma di lavoro si articola neiseguenti punti:

1. Scheda di rilievoe relazione illustrativa sulle condizioni in cui si tro-va lo strumento al momento della consegna. Sullascheda va indicata graficamente la presenza di ele-menti visibili ad occhio nudo che alterino lo statodi conservazione ottimale dello strumento. Nellarelazione vanno descritti tali elementi, indicandonele possibili cause.

Endoscopia delvioloncello P. Bailly1903. (realizzate dagli allieviNathy Arun e Ivan Delgado Bastos)

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2. Biografia dell’autore dello strumento per individuare il contesto formativo e professio-nale del liutaio, gli eventuali maestri, i contatti conl’ambiente musicale, i modelli stilistici di riferi-mento. Si tratta di effettuare ricerche su testi e su ar-ticoli di riviste, ma anche, se l’autore è vivente, dicontattarlo e di intervistarlo. La ricerca in Internetriguarda invece soprattutto le immagini di stru-menti dello stesso autore, indirizzando la ricercaverso i siti delle case d’asta.

3.Analisi stilisticaSi tratta qui di scoprire elementi stilistici originalidell’autore e possibili rimandi alla produzione dialtri autori, ma anche di rispondere ad una ipoteti-ca domanda: che cosa osserva un liutaio, membro diuna giuria in un concorso di liuteria, per valutare laqualità di uno strumento? Una serie di incontricon maestri liutai vincitori di concorsi o compo-nenti di giuria in concorsi di liuteria permette dicomprendere meglio con quali parametri si valuta laqualità di uno strumento.

4. Schede organometrichedelle dimensioni, degli spessori, delle quinte e sestedello strumento, e relazione illustrativa. Le schededigitali vengono fornite agli allievi con il disegnodelle classiche viste in proiezioni ortogonali dellostrumento, allo scopo di individuare le misure ca-ratteristiche dello strumento che vengono con-frontate e descritte nella relazione illustrativa. Il di-segno delle quinte e delle seste avviene mediantedime realizzate nel laboratorio di liuteria, poi di-gitalizzate e inserite sulle immagini digitali dellostrumento.

5. RadiografieIl processo di preparazione, realizzazione e sviluppodelle lastre viene realizzato alla presenza degli al-lievi, che annotano i dati necessari alla redazionedel certificato radiografico. Il responsabile del la-boratorio analizza e commenta le lastre sviluppate egli allievi riportano nella relazione illustrativa le im-magini digitalizzate e i risultati ottenuti.

6. Endoscopia, Fotografia a luce bianca e con lampada di WoodQuesti esami vengono realizzati alla presenza degliallievi, che redigono un report. L’insegnante di La-boratorio analizza e commenta le immagini digita-lizzate, che gli allievi riportano nella relazione il-lustrativa insieme ai risultati.

7. Scheda del suono dello strumentoSe lo strumento è montato, se ne analizzano le ca-ratteristiche sonore con montature definite in col-laborazione tra il docente di Studio dello strumen-to e il docente di Laboratorio.Viene compilata unascheda sonora con i giudizi della valutazione sog-gettiva.Anche in questo caso si tratta di risponderead una ipotetica domanda: che cosa valuta un mu-sicista, per esprimere un giudizio sulla qualità diuno strumento? Alcuni incontri con musicisti com-ponenti di giuria in concorsi di liuteria permette-ranno di meglio comprendere i parametri di valu-tazione del suono di uno strumento ad arco.

8. Interventi di manutenzione o di recuperoSi tratta di semplici indicazioni per una correttamanutenzione dello strumento o per rimettere infunzione lo strumento nel caso possa essere suona-to. Nell’attuale assetto della scuola di liuteria, questiaspetti vengono trattati negli anni successivi al ter-zo.

9. Bibliografia e sitografiaCon gli estremi di pubblicazioni e siti risultati utili.

10. Summary and abstract In lingua inglese per ogni capitolo.

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Violin and Bow Makers of Australia è l’uscita piùrecente e completa su questo argomento, un libroche si pone a metà strada tra il saggio storico e ildizionario enciclopedico e che ben riesce a co-niugare entrambe le finalità. L’autore, Alan Cog-gins, pubblica la fatica di sette anni di ricerche, ri-percorrendo la storia e lo sviluppo dell’arte liutariain questa lontana terra australe, con un volo ra-dente sulla realtà, anche attuale, di questa profes-sione.Una storia sicuramente recente - l’arrivo dei primiEuropei risale al 1788 - ma che vede la musicautilizzata sin dall’inizio in diverse occasioni, comeparate militari, cerimonie ufficiali o religiose, maanche per l’intrattenimento e le danze nelle caseprivate o nei locali pubblici. Insieme alla musicaarrivarono gli strumenti e da qui la necessità diliutai o perlomeno riparatori.L’iscrizione all’interno di un violino ci informache un tale Patrick Murphy era già attivo comeriparatore a Sidney nel 1817.L’insediamento delle prime botteghe di liuteria av-viene stabilmente intorno alla metà del XIX se-

colo, affondando però le radici nelle scuole europeeattive all’epoca, per poi svilupparsi, in maniera au-tonoma, sino al giorno d’oggi. Il testo ripercorreabilmente le vicende di questi liutai, intrecciando-le con gli eventi storici (la colonizzazione dei vastiterritori, la nascita delle prime orchestre sinfonichee le due guerre mondiali).Dedica poi un capitolo all’influenza e all’apportostilistico di Arthur Edward Smith, sin dai suoi ini-zi in Inghilterra (considerato ora come uno deipiù importanti liutai australiani), e dei seguaci chelui riuscì a formare.Per noi europei, abituati a confrontarci sempre conle nostre tradizioni (alcune volte anche pesanti daportare), risulta essere una vera scoperta, anzi unariscoperta questa terra lontana con la sua realtà liu-taria. I modelli di questi liutai sono totalmente mu-tuati dalla tradizione classica italiana, ma con in-terpretazioni, in alcuni casi, veramente originali.In generale lo stile si divide in due filoni: uno dichiara impronta tedesca (in minoranza), in con-trapposizione ai seguaci della scuola tradizionaleinglese (la maggioranza). Solo in rare occasioni sipossono vedere gli stili italiano e francese, ma solosu strumenti di recente fabbricazione, segno evi-dente della globalizzazione e della recente facilitànegli spostamenti.In generale vengono censiti più di 500 liutai, pres-soché tutti coloro che, professionalmente o meno,hanno operato in Australia, per la maggior partetotalmente sconosciuti nel mercato occidentale.Per ogni autore vengono riportati i dati biografici,la sua formazione e la trascrizione delle sue eti-chette.Naturalmente il volume è corredato dalle immaginidi alcuni strumenti, completi delle principali misuredimensionali che aiutano a comprendere il valoredi questi artigiani che, avendo operato lontano daitradizionali centri di produzione, si sono svilup-pati secondo canoni diversi ma non per questomeno interessanti.

Alan Coggins, Violin and Bow Makers of Australia,WriteLight Pty, 2009, 311 pp.

Claudio Amighetti

Violin and Bow Makers of Australia

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Il 38° Congresso InternazionaleESTA di Bruges (Belgio)

Dal 30 aprile al 4 maggio 2010 si è svolto il 38°Congresso Internazionale ESTA a Bruges (Belgio),splendida città delle Fiandre che conserva la mirabilefisionomia architettonica ereditata dal suo gloriosopassato, tanto da essere detta anche la “Venezia delNord”. È stato infatti un vero piacere passeggiareper le strette vie del centro, ammirando le tipichecase fiamminghe rinascimentali con i caratteristicifrontoni a gradoni, o sostare nella Piazza del Mer-cato sotto la stupenda slanciata torre del “Beffroi”, ogodere di un attimo di silenzio di altri tempi visi-tando l’antichissimo Beghinaggio (casa delle be-ghine) situato tra ameni verdissimi parchi e placidicanali.Questa città a misura d’uomo, le cui distanze sonofacilmente percorribili a piedi, ha ospitato il Con-

gresso Internazionale ESTA in diverse sedi sparpa-gliate nel centro, favorendo così ancora di più lafruizione di tanti siti carichi di storia all’interno delsuo tessuto urbano e delle intense atmosfere offer-te da essi al visitatore.In questo ambiente così accogliente sul piano turi-stico, si è svolto nondimeno un Congresso moltoricco di contenuti sui temi attinenti gli strumenti adarco e la relativa didattica, con un programma assaiarticolato di concerti, conferenze, masterclass eworkshop.I concerti serali sono stati di primissimo livello.Nella Sala del Teatro Municipale ha suonato il ce-lebre Quartetto Talich di Praga, affascinando il pub-blico con l’interpretazione del Quartetto KV387 diMozart, del Quartetto op. 13 di Mendelssohn-Barr-

Ennio Francescato

Lo Stadhuis di Bruges,il più antico Municipiodel Belgio, si specchia

su un canale

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toholdy, e soprattutto con una magistrale resa delQuartetto “Sonata a Kreutzer” di Janàcek.Al Palazzodei Concerti invece il famosissimo violinista belgaSigiswald Kuijken, uno dei più noti esponenti sto-rici dell’interpretazione della musica antica secondoi canoni della filologia musicale, si è presentato conil suo ensemble La Petite Bande, apprezzato in tut-to il mondo per le paradigmatiche registrazioni dis-cografiche. Il programma ha alternato brani di au-tori italiani (Vivaldi) e tedeschi (Bach, Biber e Bux-tehude), tra i quali è stata inserita una pregevoleSonata di Carolus Hacquart, compositore barocco dinotevoli qualità, nato nella città fiamminga. L’a-spetto più affascinante di questo concerto è stataperò l’esibizione come solista al “violoncello di spal-la” da parte dello stesso Sigiswald Kuijken: egli èinfatti convinto, sulla base dei documenti storicidisponibili, che questo strumento, della taglia di unaviola molto grande ma accordato nel registro delvioloncello, suonato “in spalla” come la viola, grazieanche al supporto di una cintura di cuoio, sia statofino alle prime decadi del Settecento il vero desti-natario di molte composizioni poi entrate tradizio-nalmente a far parte della letteratura del violoncel-lo suonato “in gamba” (cioè il violoncello odier-no). Per quanto questa tesi di Kuijken possa esserediscutibile, la sua interpretazione ben centrata sulpiano virtuosistico del noto Concerto in do minoreper violoncello e archi di Vivaldi è risultata molto con-vincente.Nel terzo concerto serale alla Sala Ryland, il va-lente Trio Arthur Grumiaux con pianoforte (unaformazione tra le migliori in Belgio) si è fatto ap-prezzare nell’esecuzione del Trio “Arciduca” di Bee-thoven e del Trio n. 2 di Mendelssohn-Bartoholdy.Delle numerose e assai interessanti conferenze cilimiteremo qui a riferire delle più notevoli. Emo-zionante è stato il ricordo da parte della Vicepresi-dente di ESTA-Italia, Satu Jalas, del celebre violini-sta belga Arthur Grumiaux, con il quale ebbe mododi studiare in gioventù per ben cinque anni, affron-tando assieme tutto il più importante repertorioviolinistico. Molte sono state le peculiarità della di-dattica del maestro belga menzionate dalla Jalas, tra

cui la rigorosa aderenza ai testi dei compositori,l’attenzione all’equilibrio tra mano sinistra e arco, lasottolineatura della necessità di un controllo minu-zioso della velocità e della suddivisione dell’arcata, lacura di un vibrato costantemente rapportato aglialtri parametri dell’esecuzione, l’impegno nel for-giare linee di fraseggio sempre di ampio respiro.Assieme a Satu Jalas è intervenuto anche il liutaiocostruttore di archi Pierre Patigny, che ha sottoli-neato l’importanza attribuita da Grumiaux all’ar-chetto nella produzione del suono: il grande vir-tuoso, proprietario di alcuni dei violini dei più gran-di liutai della storia (Stradivari, Amati, Guarnieri,ecc.), era sempre alla ricerca dell’arco migliore inrelazione anche ai brani da interpretare, e possede-va una collezione di oltre cinquanta archetti di pri-missimo livello, che alternava di continuo a secon-da delle esigenze del momento. Un altro momentoassai significativo del Congresso è stata la lezionedel violinista statunitense Peter Rolland sulla di-dattica di suo padre Paul, fondamentale innovatore

Le Hallen, antica sededel mercato, sovrastatadalla torre Beffroi

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dell’insegnamento degli strumenti ad arco, prema-turamente scomparso nel 1978. Sono piuttosto co-nosciuti i video di Paul Rolland Teaching of Action inString Playing e i testi ad essi collegati, ma la testi-monianza diretta del figlio ha dato ulteriori ele-menti per una più approfondita comprensione del-l’approccio del grande didatta. Peter Rolland si èquindi soffermato sulla tradizione presente negliStati Uniti di un repertorio violinistico folklorico(“American fiddle”), che ha proprie melodie, sche-mi ritmici, ornamentazioni e addirittura deviazionidi intonazione, trasmessi oralmente e portati a ver-tici di assoluta virtuosità nelle frequenti competi-zioni organizzate fra esecutori. A titolo esemplifi-cativo Peter Rolland, assieme al figlio Matt, ha suo-nato dal vivo un florilegio di brani tratti da questorepertorio. Il musicologo Peter François (Belgio)ha illustrato la figura del grandissimo virtuoso divioloncello belga Adrien François Servais, vissutonella prima metà dell’Ottocento e grande innova-tore nella tecnica del suo strumento (a lui è attri-buita l’adozione del puntale): questa conferenza hatrovato un perfetto complemento nell’esecuzione,da parte della giovane ma assai dotata violoncellistageorgiana Ketevan Roinishvili, della accattivantecomposizione Souvenir de Saint Petersbourg di Servais,accompagnata dall’Orchestra del Conservatorio diBruges. Il violista viennese Thomas Riebl ha dedi-cato il suo intervento alle tematiche del rilassa-mento, del controllo della postura, della respirazio-ne e dell’approccio mentale nelle esibizioni sul pal-coscenico, argomenti molto importanti nella didat-tica e anche nella vita concertistica di tutti i musi-cisti, fornendo moltissimi consigli estremamenteutili. Il violinista e didatta Ben Ramirez, docenteall’Accademia di Colonia (Germania), ha analizza-to alla luce di un gran numero di brevi sequenze vi-deoregistrate il comportamento sul palcoscenico dialcuni famosi solisti (fra cui Oistrakh e la Mutter)prima dell’inizio delle loro interpretazioni, con-frontandolo con quello di alcuni studenti di per-fezionamento e giungendo alla conclusione che ciòche differenzia i grandissimi artisti è la capacità divivere intensamente la dimensione ritmica ed emo-

zionale dei brani da interpretare, fin da prima dientrare sul palcoscenico e durante tutti i prelimina-ri all’esecuzione.Michel-Etienne Van Neste, segretario generale delConcorso Internazionale “Regina Elisabetta delBelgio” ha ripercorso la storia di questa rinomatacompetizione e, al termine del suo intervento, si èsvolta un’interessantissima tavola rotonda sull’im-portanza dei concorsi per la vita dei musicisti e suivantaggi e difficoltà della partecipazione a tali ma-nifestazioni.Due masterclass sono state dedicate all’interpreta-zione filologica della musica antica e hanno vistocome docenti due dei massimi esponenti di questacorrente interpretativa: il violinista Sigiswlad Kuij-ken e il violoncellista Roel Dieltens, che hannofornito copiose indicazioni sulla loro prospettivanell’affrontare il repertorio dei secoli passati e han-no dimostrato, con accorti suggerimenti agli allievicoinvolti, come un appropriato approccio basato suprecise conoscenze musicologiche possa dare nuo-va vitalità a tante composizioni di autori lontani danoi nel tempo.Tim Kliphuis (Paesi Bassi), partendodallo slogan “jazz is not on paper”, ha coinvolto tut-ti i presenti in un vivacissimo workshop di im-provvisazione jazz per strumentisti ad arco di for-mazione classica. Cristina Bellu, docente al Con-servatorio di Mulhouse (Francia) ha presentato unospettacolo musicale-teatrale molto bello e coinvol-gente, sia per i giovani protagonisti sia per il pub-blico, realizzato con i giovanissimi allievi violon-cellisti in età di scuola primaria della sua classe as-sieme al laboratorio di teatro dell’Istituto scolasticodi appartenenza.Nel 2011 il Congresso Internazionale ESTA avràluogo dall’1 al 5 giugno a Falun (Svezia).

ENNIO FRANCESCATOVioloncellista e docente presso il Conservatorio Statale diMusica di Udine e alla Facoltà di Scienze della Forma-zione dell’Università degli Studi di Udine, è autore di nu-merosi libri e articoli sulla didattica dello strumento adarco, tra cui La rappresentazione mentale della musica el’istruzione strumentale in età precoce (Firenze, L’Autore Li-bri, 1998). È Segretario di ESTA-Italia.

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AudizioniMuseoal

Gli Archi del Palazzo Comunale di CremonaU N O S T R U M E N T O A L M E S E

Museo “Ala Ponzone” - Sala San Domenico -via Ugolani Dati, 4 Cremona

informazioniBookshop Museo tel. 0372 803622 [email protected]

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organizzato da

12 Settembre 2010Antonio Stradivari

Violoncello 1700Stauffer ex Cristianipresentazione dello strumento

Antonio Mocciaaudizione

Fabio Mureddu

24 Ottobre 2010Antonio Stradivari

Violino 1715Il Cremonese

presentazione dello strumentoAndrea Mosconi

audizioneFrancesca Dego

14 Novembre 2010Antonio Stradivari

Violino 1727Vesuvius

presentazione dello strumentoFausto Cacciatori

audizioneAlberto Campagnano

12 Dicembre 2010Giuseppe Guarneri del Gesù

Violino 1734Stauffer

presentazione dello strumentoClaudio Amighetti

audizioneLucia Luque

P R O G R A M M A

LE AUDIZIONI SI TENGONO IN SALA SAN DOMENICO (ORE 11,00) - INGRESSO 5 EUROE’ COMPRESA LA VISITA AL MUSEO CIVICO

conduceRoberto Codazzi

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è un’opera da violino di Jean Pierre Marie Persoit,montata in ebano e argento, e di 60 grammi di pe-so; da una quotazione iniziale di $20,000-30,000,l’arco è stato pagato $50,000 (€38.000).Altrettanto bene è andato il settore degli strumenti,con pezzi di levatura eccezionale. Inizio con unaviola (441 mm) di Gasparo Bertolotti da Salò (for-se il più importante costruttore di viole che sia maiesistito), costruita a Brescia nel 1575 circa, dunquenel suo primo periodo di attività nella città dellaleonessa.L’esemplare per un breve periodo fu di proprietà diLèon Barzin, prima viola alla New York Philarmo-nic Orchestra, il quale lo vendette poi al suo allie-vo David Kates, che in seguito gli succedette anchenell’incarico. Questi tenne il posto di prima violaper più di 43 anni, sempre suonando questo stru-mento. Per dimostrare la rarità di questo oggetto,basti pensare che al mondo esistono solamente unadozzina di viole di Gasparo da Salò e che eranopiù di 30 anni che una di queste non passava inun’asta.Lo strumento, accompagnato da un certificato di A.Schmid e da un esame dendrocronologico che at-testava la datazione della tavola al 1572, partiva dauna stima di $250,000-350,000; in battuta ha tota-lizzato $542,500 (€410.000, oltre al record del-l’autore, ha segnato anche il più alto prezzo maipagato per uno strumento del XVI secolo).Un violino di Carlo Giuseppe Testore, il caposti-pite di questa dinastia, costruito a Milano nel 1701circa, da una valutazione sul catalogo di $60,000-80,000, è stato aggiudicato per $218,500(€165.000).Infine è stato presentato un violino di GiovanniBattista Guadagnini, costruito nel 1753 circa a Mi-lano, con un certificato di W.E. Hill & Sons. Lostrumento, pubblicato anche su The Guadagnini Fa-mily of Violin Makers (Chicago, 1949) di E.N. Do-ring, fu di proprietà di Viola Mitchell, una bambinaprodigio che ebbe la fortuna di studiare con Eugè-ne Ysaÿe,William Primrose, Josef Gingold e Na-than Milstein, sviluppando poi una carriera solisti-ca internazionale.

Per il mercato degli strumenti ad arco l’estate ap-pena trascorsa è stata di segno positivo. Le case d’a-sta hanno continuato il loro lavoro di reperimentodegli esemplari e gli operatori hanno compiuto pa-recchi acquisti. Iniziamo dalle sedute primaveriliamericane anticipate nel precedente articolo.La prima a presentarsi è stata Skinner a Boston, il 25aprile scorso. Il lotto più interessante è risultato unviolino di Pietro II Guarneri, costruito a Venezianel 1734, ma con la testa probabilmente non origi-nale. Garantita dai certificati di W.E. Hill & Sons e diR.S. William, da una valutazione sul catalogo di$30,000-50,000, l’opera è stata aggiudicata per$165,900 (diritti d’asta compresi e pari, rispetto alcambio del giorno, a €125.000, nuovo record del-l’autore).Qualche giorno dopo, il 28 aprile, si è presentata aNew York la casa Christie’s con un catalogo di esi-gue dimensioni (159 lotti), ma di alta qualità, sicu-ramente il migliore del semestre.Il settore degli archi era ben rappresentato con mol-te opere di Dominique Peccatte. Inizio con unesemplare da violoncello, montato in ebano e ar-gento e del peso di 79 grammi; accompagnata da uncertificato di P. Childs, l’opera è stata battuta per$50,000 (€38.000).Un altro arco da violino di questo autore era mon-tato in ebano e argento, con un peso di 60 grammi;da una quotazione di $30,000-50,000, l’esemplare siè piazzato a $74,500 (€56.000).Sempre di Dominique Peccatte, un’opera da violi-no, montata in ebano e argento, era costruita sumodello self-rehairing. Aveva un peso di 62 gram-mi, nonostante una fasciatura leggera, ed era pub-blicata sull’opera di E.Vatelot, Les Archets Français(Parigi, 1977); da una stima degli esperti di $10,000-15,000, l’arco è arrivato a $56,250 (€42.000). Unesemplare da violino di François Peccatte (fratello diDominique), montato in ebano e argento, con unpeso di 59,5 grammi e anch’esso pubblicato sullamedesima opera di E.Vatelot, da una valutazionedi $15,000-25,000 ha raggiunto i $47,500(€36.000, record dell’autore).L’ultimo lotto da segnalare per il settore degli archi

Claudio Amighetti

Le aste internazionali degli strumenti ad arco

Le quotazioni degli strumenti

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Viola di Gasparo Bertolotti da Salò, Brescia 1575c.(Christie’s)

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Da una quotazione di $350,000-450,000, l’esem-plare è stato battuto per $542,500 (€410.000).Il 30 aprile è stato il turno della casa Tarisio, semprea New York.Anche in questo caso vi sono stati al-cuni lotti interessanti. Il primo da segnalare è unarco da violoncello di Nicolas Leonard Tourte(membro della più famosa dinastia di archettai),montato in ebano e argento, con un peso di 75,5grammi. Garantito da un certificato di Salchow &Sons, che sanciva la non originalità del bottone, l’e-semplare era stato stimato dagli esperti $8,000-12,000, mentre in battuta si è piazzato a $48,000(€36.000, record dell’autore).Un altro bellissimo arco da violino di Alfred Jo-seph Lamy, datato intorno al 1890 circa, era mon-tato in tartaruga e oro, con un peso di 60,5 grammi.Accompagnato da un certificato di P. Guillaume eda una valutazione di $30,000-50,000, l’esemplare èarrivato a $54,000 (€40.000, record dell’autore).Tra gli strumenti si sono segnalati due violini.Il primo era il Maria Milanollo, un controversoesemplare di Francesco Rugeri costruito a Cremo-na nel 1680 circa. Controverso in quanto per mol-ti anni l’opera fu ascritta ai fratelli Antonio e Giro-lamo Amati; a supporto di questa antica attribuzio-ne vi erano due certificati (R.Wurlitzer e K.War-ren) e la pubblicazione di una monografia di Al-bert Berr intitolata appunto Antonius Und Hierony-mus Amati, Cremona (Bad Wiessee, 1950).Gli operatori hanno mostrato di dare maggior cre-dito alla nuova attribuzione, in quanto il violino haraggiunto solo $240,000 (€180.000), cifra sicura-mente più consona ad un Rugeri che ad un Ama-ti. Infine è stato battuto un violino di Nicolò Ama-ti (figlio di Girolamo) del 1650 circa, garantito daun certificato della J&A Beare. Nonostante avesse latesta non originale, lo strumento è stato pagato$329,600 (€250.000).Dall’1 al 3 giugno si è svolta la sessione di aste diGuy Laurent a Vichy, con più di 1.500 lotti, princi-palmente archi. Proprio tra questo genere di opere,sono stati presentati i pezzi più interessanti; il primoera un eccezionale esemplare da violino di Domi-nique Peccatte, montato in tartaruga ed oro, con

Violino di Domenico Montagnana, Venezia 1723(Brompton’s)

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un peso di 56,5 grammi senza fasciatura. Fatta ec-cezione per piccole problematiche legate all’inten-so uso, l’opera si presentava in buone condizioni.Da una quotazione iniziale di €45.000-50.000,l’arco ha totalizzato €109.250 (record dell’autore).Un altro lotto interessante era un esemplare da vio-loncello di Nicolas Maire del peso di 72,5 grammi,senza fasciatura. Da una stima di €15.000-20.000,l’opera è stata aggiudicata per €62.100 (record del-l’autore).Il 14 giugno ha aperto i battenti la casa Brompton’sdi Londra. Un unico lotto da segnalare: un impor-tante violino di Domenico Montagnana, costruitoa Venezia nel 1723 e garantito da certificati di W.E.Hill & Sons e di E. Herrmann.Lo strumento era un bell’esempio del lavoro delliutaio veneziano, in uno stato di conservazionemolto buono e per molti anni compagno di JosefRoisman, membro del Quartetto di Budapest. Dauna valutazione sul catalogo di £250,000-400,000,l’esemplare è stato acquistato da Jamie Laredo, fa-moso violinista americano, per £510,000(€610.000, record dell’autore).Il 25 giugno è ritornata la casa Tarisio, con la ven-dita Moennig, la famosa casa di Philadelphia dicommercio e restauro di strumenti che ha recente-mente chiuso i battenti. Un catalogo enorme (ben623 lotti), che comprendeva ogni cosa potesse ave-re attinenza con il mondo liutario.Dai libri a fotografie autografate dei principali ese-cutori del XX secolo (una stampa autografata diJoseph Joachim del 1904 si è piazzata a $5,100), alocandine di concerti (l’ultima esibizione di Nico-lò Paganini del 1833 è arrivata a $3,300), a legname,corde, teste e parti di arco (un nasetto da violoncelloin tartaruga ed oro di Joseph Henry ha raggiunto$14,400). Infine anche archi e strumenti; tra questisegnalo un arco da violino di Jean Pierre MariePersoit, montato in ebano e argento, con un peso di58 grammi, che è stato pagato $48,000 (€39.000).Gli ultimi appuntamenti dell’estate sono stati un’a-

David Kates

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CLAUDIO AMIGHETTIDa più di 30 anni insegna restauro e stilistica presso laScuola Internazionale di Liuteria a Cremona. Ha scrittolibri (ben 12 volumi solo sulle quotazioni degli strumentiad arco), è perito per le valutazioni di varie orchestre ita-liane e ha svolto lavori di catalogazione per molte collezionidi strumenti. Ha fatto parte di comitati per l’organizza-zione di mostre di liuteria e ha tenuto conferenze e semi-nari in molte parti del mondo.

sta della casa Brompton’s il 13 settembre (interessantiun violoncello di William Forster del 1789, per£15,000-20,000, e un violino di Charles Gaillarddel 1855, per £10,000-15,000) e una della casaGardiner il 17 settembre, delle quali non posso re-lazionare, non disponendo ancora dei risultati diqueste sedute. Le prossime vendite del settore sonoconcentrate nei primi giorni di ottobre a Londra.Aprirà la tornata il 4 ottobre ancora la casa Gardiner(una spinetta inglese di Thomas Haxby del 1769),poi Sotheby’s il 5 ottobre, seguiranno il 6 la casaBrompton’s (un violoncello di David Tecchler del1707 e un violino di Andrea Guarneri del 1673) ela casa Bonhams (un violino di Giuseppe Gaglianodel 1780 circa); il 7 ottobre poi vi sarà un nuovo ar-rivo, la casa d’aste Atrium che svolgerà la sua primaseduta di vendita per gli strumenti musicali.Il 12 ottobre sarà il turno di Tarisio con una vendi-ta a Londra ed a seguire il 13 e 14 ottobre al di làdell’Atlantico, con un importante violino di Anto-nio Stradivari, il Molitor del 1697, di proprietà diElmar Oliveira, ed un violino di Nicolò Amati del1655. Con queste premesse, prevedo una vendem-mia autunnale corposa e frizzante.

Violino di Domenico Montagnana, Venezia 1723(Brompton’s)

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Playday SMIM di Milano (Barbara Bertoldi)A Baranzate, in provincia di Milano, il 20 marzo2010 si è svolto un magnifico Playday SMIM, or-ganizzato dalla Scuola Media “G. Rodari”: unagiornata di “Musica a 360°”, questo anche il titolodell’evento, in cui ben 140 ragazzi provenienti dal-le scuole medie SMIM della regione hanno vis-suto una giornata piena di musica, laboratori diliuteria, di danze, concerto aperitivo, laboratorioper provare gli strumenti ad arco, di scrittura crea-tiva...Tutto ottimamente organizzato e curato ne-gli spazi e nei tempi da genitori e insegnati, non so-lo di strumenti ad arco o di musica.Lo spazio era quello della Parrocchia di Baranzate,dove i giovani strumentisti, ma anche i bambinidelle scuole elementari e in generale i bimbi delquartiere hanno trovato il clima ideale alla gior-nata di studio e di “svago” musicale.A fine pomeriggio sul palco si sono avvicendatetutte le sezioni che avevano preparato un breve re-pertorio, ed infine le due grandi orchestre che ave-vano lavorato in giornata per provare assieme.Ricordiamo qui i nomi degli insegnanti che hannoideato e curato questa splendida giornata: Elena Pic-co, Estella Noris, Maurizio Azzariello, Claudio Fri-gerio,Alberto Gramolini, Chiara Paruzzi, Gianmar-co Solarolo, Gianpietro Marazza e Adriana Tataru.

Playday di Firenze (Daniele del Lungo)Il Playday di Firenze è stata la prima manifestazio-ne che da oltre dieci anni invita gli insegnanti apreparare e a portare i propri allievi a suonare in-sieme a tanti ragazzi provenienti da tutta l’Italia.Dobbiamo ringraziare la prof.ssa Janet Zadow, idea-trice dell’iniziativa che ormai ha conquistato consuccesso anche altre città d’Italia.L’edizione 2010 è stata la prima ad ottenere il Pa-trocinio del Comune di Firenze e quello della Pro-vincia di Firenze, e per la prima volta all’evento èstata associata anche un’iniziativa di beneficienzaa favore dell’Ospedale Pediatrico “Meyer” di Fi-renze, coinvolgendo 155 partecipanti: 84 giovanis-simi diretti da Satu Jalas alle prese con CaribbeanSuite di Colledge, 51 giovani diretti da Daniele DelLungo impegnati nella Capriol Suite di Warlock,più di 20 insegnanti preparatori presenti alla ma-nifestazione.Secondo una tradizione che va consolidandosi ne-gli ultimi anni, ha preso parte al Playday un grup-po ospite, l’Orchestra Giovanile “Zinaida Gilels”di Pordenone, valentemente preparata dai MaestriCaterina Carlini, Oscar Pauletto e Domenico Ma-son, loro direttore. Oltre al consueto spazio all´in-terno del Playday, l’Orchestra “Gilels” ha tenutoun applauditissimo concerto la sera precedente nel

“Playday” e “Incontro di Cremona” 2010

Barbara Bertoldi,Daniele del Lungo,Ennio Francescato,

Luca Sanzò

I partecipanti alla XVRassegna dei GiovaniStudenti di Strumenti

ad Arco

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“Palagio di Parte Guelfa” a Firenze, evidenziandoun livello di preparazione altissimo, sia dell´orche-stra sia dei giovani solisti Laura Bortolotto e PaoloTagliamento.

Playday di Trento (Barbara Bertoldi)Lo scorso 28 febbraio si è svolto presso il TeatroDemattè di Ravina, Trento, il II Playday per or-chestre ad arco già costituite. Sul palco della bellasala Demattè si sono avvicendate in una giornata diprove generali ben 6 formazioni di giovani e gio-vanissimi strumentisti ad arco.Un grande ensemble di 34 violoncellisti, dai 7 ai 13anni, provenienti da più scuole della città e regione,preparati precedentemente dai loro insegnanti equi riuniti per l’esecuzione finale in una serie dibrani dal carattere vivace e giocoso! Curatrici delprogetto le insegnanti Sara Coser, Barbara Bertol-di e Dora Cainelli.L’orchestra Arké, del progetto “Orchestra a scuola”,dei Minipolifonici di Trento, un’orchestra di 24elementi, tutti della stessa classe elementare, al loroIII anno di esperienza orchestrale fatta durante leore del normale curricolo scolastico, progetto cu-rato e qui presentato da Barbara Bertoldi ed Ale-xander Monteverde. Le orchestre Le semicrome eRiccioli sonori, entrambe della scuola di MusicaI Minipolifonici di Trento, che raccolgono studen-ti dalla quinta elementare alla prima superiore, or-chestre preparate rispettivamente da Barbara Za-nor e Barbara Bertoldi. E ancora una formazione

da Brescia, l’ensemble Archichiari, curato dallaprof.ssa Monica Zaccaria, che ha presentato unprogramma di musica popolare dai sapori caraibicie irlandesi.E per finire una grande orchestra, costituita da ra-gazzi di tutte le scuole musicali della regione, di etàcompresa tra i 15 e i 20 anni, che in giornata hannoprovato e alla fine eseguito la Simple Suite di PaulHolst sotto la guida del prof. Klaus Manfrini. Unagiornata, questa organizzata da ESTA, importanteper tutti gli studenti presenti, dai più giovani ai piùmaturi, una giornata d’incontri, confronti e soprat-tutto di tanta musica vissuta insieme.

Playday e “Incontri sul palcoscenico”di Roma (Luca Sanzò) La particolarità dei due eventi romani dell’ESTA,gli “Incontri sul palcoscenico” ed il Playday, è stataquella delle collaborazioni con importanti agentiesterni: il Conservatorio di Santa Cecilia e l’Uni-versità di Tor Vergata.Gli “Incontri sul palcoscenico” sono stati ospitatinella bellissima sala dei medaglioni, del Conserva-torio di Musica di Santa Cecilia, grazie alla con-cessione del direttore Edda Silvestri, sempre moltosensibile alle iniziative atte a diffondere la praticadell’esecuzione musicale per i giovani ed i giova-nissimi. Una decina di esecuzioni di ottimo livello,fatte da ragazzi violinisti, violisti e violoncellisti,provenienti dalle SMIM romane, da insegnanti pri-vati e dallo stesso Conservatorio di Santa Cecilia,che hanno suscitato gli applausi del folto pubblicoin sala. Le musiche eseguite hanno spaziato da Te-lemann, Bach,Vivaldi e Corelli, a Satie ed Elgar. Èstato molto commovente, per me che c’ero, assistereai rituali emotivi e logistici dei piccoli esecutoriche si preparavano a suonare, e poi toccare conmano la felicità dell’aver suonato.Il Playday, organizzato dai nostri soci insegnantiAdriano Ancarani, Simone Genuini, Chiara Pon-tecorvo e Silvia Pulcioni, si è svolto presso l’Audi-torium “Ennio Morricone” dell’Università di TorVergata, grazie alla concessione del preside dellafacoltà di lettere, il prof. Rino Lazzaro Caputo, e al-Il Playday di Cremona

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la collaborazione del prof Giorgio Sanguinetti edella dottoressa Carla Di Maria.Il Playday ha visto la partecipazione, oltre che del-l’orchestra costituita per l’occasione, anche dell’or-chestra Papillon e dell’orchestra da camera “S. Ga-nassi”, per un totale di circa 150 ragazzi entusiastiche a loro volta hanno entusiasmato il pubblicoche riempiva ogni ordine di posti dell’Auditorium.Le musiche hanno spaziato da Telemann a Schu-mann, da Lully a Joplin, da Hendel a Beethoven, fi-no a Bartók. Il direttore dell’intera kermesse è sta-to l’ottimo Simone Genuini.In sostanza i due eventi romani sono stati bellissimie mi sento di ringraziare, a nome dell’ESTA maanche a titolo personale, avendoli visti al lavoro dipreparazione e di gestione soprattutto del Playday,gli amici Adriano, Silvia, Chiara e Simone. Un rin-graziamento ancora più caldo va a tutti i parteci-panti, di tutte le età. Mille storie diverse, mille emo-zioni ma un solo amore comune.

Giornata di incontro dei soci e Rassegna di Cremona (Ennio Francescato)Domenica 23 maggio 2010 all’Auditorium dellaCamera di Commercio di Cremona si è svolta latradizionale giornata di incontro dei soci di ESTA-Italia. Tale giornata è stata aperta dall’Assembleadei soci, all’interno della quale è stato presentato ilnumero 5 del periodico «A Tutto Arco», pubblica-to in collaborazione con Cremonabooks. Il violi-nista Mauro Tortorelli, famoso virtuoso esibitosicome solista al Teatro alla Scala e in molte dellemaggiori sale da concerto, docente di violino alConservatorio di musica di Potenza, ha illustrato ilcd distribuito a tutti i soci assieme alla rivista, e dalui dedicato ai compositori-didatti del violino.Questi autori sono molto noti agli studenti di vio-lino per le loro opere didattiche dedicate allo stru-mento, mentre le loro composizioni per i concertisono per lo più cadute nell’oblio. Molte di questeopere sono tuttavia di assai pregevole fattura e me-

Il Playday di Milano

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riterebbero di essere riscoperte.Tortorelli ha pre-sentato, attraverso le partiture e le registrazioni au-dio del cd, un florilegio di brani di Sevchik, Mar-sick, Dworzak van Valden, D’Ambrosio e Fusella.Al termine dell’Assemblea, un ensemble costituitoda Luca Sanzò, Giuseppe Miglioli,Arianna Bloise,Maria Bocelli (viole), Ennio Francescato (violon-cello) e Matteo Pallavera (contrabbasso) ha esegui-to il Concerto Brandeburghese n. 6 BWV 1051, percelebrare i 25 anni dei Corsi di perfezionamento inviola dell’Accademia “Stauffer”, docente il Mae-stro Bruno Giuranna.Con emozione i due violisti solisti, entrambi ormainoti docenti di Conservatorio, hanno ricordato diaver partecipato da giovani al primo anno dei cor-si suddetti, suonando anche al concerto finale con-cluso allora proprio dall’esecuzione di tale sestoConcerto Brandeburghese, ed hanno sottolineato lapartecipazione odierna all’ensemble di due loro al-lieve, rappresentanti dunque di una seconda gene-razione tra i violisti che fanno riferimento allaScuola di Giuranna.Nel pomeriggio, come da tradizione, si è svolta la

Rassegna nazionale dei Giovani Studenti di Stru-menti ad Arco, giunta quest’anno alla XV edizione:sono saliti sul podio giovani solisti o gruppi ca-meristici formati da giovani, di età compresa tra i 6ed i 17 anni, segnalatisi negli “Incontri sul palco-scenico” organizzati da ESTA nei mesi di marzoed aprile in molte città italiane, e poi invitati allaRassegna dal Comitato Direttivo.Ecco i nomi dei giovanissimi musicisti che hannopartecipato alla giornata: Lorenzo Agnolotti, Ma-tilde Agosti, Margherita Bongini, Martino Broc-chieri, Lorenzo Cadorin, Giulia Chiapponi, Ma-ria Ciavatta, Stefano Crepaldi, Nicole Davis, Or-phèas Efstathiou, Guglielmo Ghidoli, VeronicaGiannotti, Sofia Gimelli, Bryan Ferretti Gutierrez,Emanuele Mazzarella, Lorenzo Meraviglia, AliceNotarangelo,Altea Ostuni, Clara Sette, Paolo Sbe-ghen, Francesca Temporin, Daniele Valabrega, Ele-na Zatta.Durante tutta la giornata i partecipanti hanno po-tuto visitare una mostra di liuteria di strumenti adarco di piccole dimensioni per bambini, allestita dalConsorzio Liutai Antonio Stradivari Cremona.

Il Playday di Trento

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cremonabooks&violins

in Piazza del Comune(Largo Boccaccino, 12/14)

a Cremona

tel. +39 0372 [email protected]

lunedì 15,30/19,30martedì/sabato 9,30/19,30

domenica 10,00/19,00

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Il Museo del Violino

David Ojstrakh, documenti, testimonianze e ricordi

Carlo Bergonzi. Alla scoperta di un grande Maestro

Liuteria in festival

Il Postwebernismo. I Ferienkurse di Darmstadt

Il 38° Congresso Internazionale ESTA di Bruges

La quotazione degli strumenti ad arco:le ultime aste

6Organo ufficiale di ESTA Italianumero 6 - anno IIIprezzo di copertina 8 €

Tariffa regime libero: Poste Italiane spa - sped. in a. p. 70% DCB (Cremona C.L.R.)

ISBN 88-8359-135-8