A prova d’arte - Aracne editrice · Glossario 77 Bibliografia 83. Ombrellino da lutto, Francia,...

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A prova d’arte IL TESSILE DARTE DAL PASSATO AL PRESENTE

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A prova d’arteil tessile d’arte dal passato al presente

La moda passa, lo stile restaCoco Chanel

Maria Daniela Lunghi

Magici intrecciMerletti meccanici italiani

A cura di Alessandra Caputo

Prefazione di Doretta Davanzo Poli

Copyright © MMXII

ARACNE editrice int.le S.r.l.

[email protected]

via Quarto Negroni, 1500040 Ariccia (RM)

(06) 93781065

isbn 978–88–548–7593–7

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I edizione: novembre 2014

NOTA DEL CURATORE

Q uesto libro è il frutto di un’amicizia nata un po’ per caso, come a volte accade nella vita, e di una piacevole e fruttuosa collaborazione che considero un privilegio.

Sulle caratteristiche dei merletti meccanici e le vicende che hanno accompagnato il loro irrompere sulla sce-na mondiale si sono soffermate varie studiose, inglesi e francesi soprattutto, i cui testi rappresentano un in-

dubbio punto di riferimento per quanti vogliano approfondire l’argomento; in Italia, invece, se ne è parlato molto poco.

Daniela Lunghi, studiosa di rango, comincia ad occuparsene nell’ambito della sua attività come Conservatore delle Civiche Col-lezioni tessili dei Musei di Genova: li studia, li colleziona, nel tempo approfondisce l’argomento; un suo breve saggio compare in un catalogo delle collezioni pubblicato nel 2006, in occasione della mostra “Gioielli di filo”. Ora, finalmente, la sua appassio-nata competenza e la sua dedizione sfociano in un’opera che analizza sistematicamente questo tipo di manufatti, soffermandosi sull’affascinante evolversi delle tecnologie ma con l’occhio attento alla storia recente, alle nuove produzioni e al loro impatto nella moda, dove una volta di più il made in Italy ha modo di esprimersi come sinonimo di bellezza, creatività, buon gusto.

Alessandra Caputo

a Giacomo

Indice 9

INDICE

Prefazione 11

Introduzione 13

Capitolo 1

Dalle mani alle macchine: i merletti meccanici e le nuove tecnologie 15

Capitolo 2

La produzione dei pizzi meccanici in Italia 41

Capitolo 3

I merletti meccanici e la moda italiana 73

Conclusioni 75

Glossario 77

Bibliografia 83

Ombrellino da lutto, Francia, fine secolo XIX – pizzo meccanico Leavers tipo Chantilly in seta.Genova, Civiche Collezioni Tessili, inv. T. 462.

Prefazione 11

PREFAZIONE

S ono stata acerrima nemica dei merletti meccanici e chimici, nei primi anni del mio innamoramento e studio dei merletti manufatti, perché li concepivo in antagonismo e soprattutto causa del decadimento del fatto a mano. Inoltre nel progredire della conoscenza specialistica li vedevo proprio brutti, un po’ “vorrei ma non posso”, senz’anima, così che li scartavo con sufficienza e fastidio.

Poi ho capito che sono un’altra cosa. E ho cominciato, se non ad apprezzarli, a prenderli in considerazione.

Come per i tessuti con l’invenzione del telaio Jacquard e le successive straordinarie conquiste industriali, come per la sartoria con l’ideazione della macchina da cucire, così per i pizzi bisognava adoperare un altro metro nel giudizio sulla qualità, che, quando il prodotto si abbinava ad un design stilisticamente innovativo, poteva essere addirittura molto positivo.

Le vicende dei merletti meccanici si possono far risalire al secolo XVIII: ho trovato l’utilizzo di tulles meccanici ricamati ad imitazione di merletto lungo i bordi di marsine e sottomarsine veneziane del secondo Settecento. Infatti con i macchinari per la realizzazione di calze (giunti a Venezia fin dal 1671) si era riusciti a produrre i primi metraggi di tulle semplice, poi perfe-zionato con il brevetto, nel 1810, della macchina di John Heathcoat, che fabbricava una rete a maglie esagonali, che veniva poi ricamata a piccoli motivi o su cui si applicavano elementi a fuselli.

La successiva applicazione del sistema di tessitura Jacquard alle “bobbin net machines”, alla “Pusher machine”, alla “Lea-vers machine”, permise l’imitazione di tutti i merletti; infine l’intuizione di Robert Neubauer, sviluppata nel 1880 in Sassonia, di ricamare su seta poi dissolvibile in bagni chimici, portò addirittura alla riproduzione dei più virtuosistici merletti storici ad ago veneziani.

Di tutto questo scrive la storica dei tessili Maria Daniela Lunghi, in dettaglio riportando i risultati dei suoi sempre appassio-nanti approfondimenti.

Il massimo del successo commerciale di tali pizzi si riscontra tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: dagli enormi scialli triangolari in finto Chantilly nero e bianco, dalle lunghe mantiglie in finta blonda bianca o nera, ai finti Valenciennes e Malines: tutti quasi perfetti! Ma poi ecco nel periodo della Belle Époque, proprio a cavallo tra i due secoli, la moda liberty preferisce le imitazioni sontuose del barocco punto Venezia tagliato a fogliame a alto rilievo e perfino del punto rosa.

Il declino viene determinato dall’essenzialità rigorosa dello stile déco, che preferisce gli à jours, il punto gigliuccio, il deli-cato ricamo en plumetis, il ton sur ton.

12 Prefazione

L’alta moda degli anni Cinquanta ritorna a dare ossigeno alle produzioni industriali, con raffinatissimi modelli valorizzati dall’utilizzo geniale di merletti meccanici, anche di nuovo design.

Di recente si è tanto scritto e parlato del ritorno del merletto nella moda, riaccendendo le speranze delle tantissime merlettaie ancora attive: ma si è trattato ancora una volta di merletti chimici, come nel caso di una delle maggiori firme del made in Italy che ha riproposto tunichette materiche in finto merletto barocco veneziano. Anche oggi ci sono industrie che realizzano capolavori trinati meccanicamente e chimicamente in concorrenza con quelli fatti a mano, spesso addirittura più costosi.

In conclusione, non ho più alcuna prevenzione nei confronti delle “copie d’arte”, ma vorrei tanto che il mercato (come quello colto e ricco di fine Ottocento) sapesse almeno riconoscere la differenza tra le due tipologie di prodotti, per poi scegliere con competenza e consapevolezza.

Doretta Davanzo Poli

Telaio per la produzione di merletti meccanici – Caudry, Musee de la dentelle

Introduzione 13

INTRODUZIONE

“Uno stesso vocabolo comprende il lavoro della mano e quello della macchina, al punto che per differenziarli si attribuì loro per lungo tempo gli aggettivi di ‘vero’ e di ‘falso’. Vero, quello che nel corso dei secoli nacque dalle agili mani delle merletta-ie di tutta Europa e costituì l’inestimabile parure dei Grandi di questo mondo. Falso, quello che, al prezzo di un’ingegnosità meccanica sbalorditiva, segnò dei suoi progressi l’industria del XIX secolo e fornì sempre creazioni inattese alla moda e alla biancheria. Duello crudele che, nel secolo scorso, segnò la fine del lavoro di umili donne per cui il merletto costituiva un pezzo di pane. Duello inesorabile che segnò anche la nascita di un’industria, significando il pane per altri… e soprattutto, la possibilità per un maggior numero di persone di accedere all’uso di quei pizzi a lungo riservati ad un piccolo mondo di privilegiati… I nuovi merletti industriali che utilizzano materiali nuovi, il colore, l’innovazione, non si accontentano più di imitare i loro antenati, guadagnandosi così una loro nuova nobiltà.”

(C. Fauque, “La dentelle – Une industrie de l’arabesque”, Paris 1995)

I l merletto meccanico costituisce un capitolo a parte nella storia della tessitura.

Nato alla fine del XVIII secolo con l’intento di imitare i costosissimi merletti fatti a mano, sia ad ago che a fuselli, è in seguito diventato qualcosa d’altro.

Per tutto il XIX secolo si susseguono, senza soluzione di continuità, invenzioni di nuove macchine, opera di geni della meccanica.

L’intento è quello di riprodurre i merletti fatti a mano rendendo questi tessili, sino ad allora destinati ad una ristretta élite della società, accessibili ad una fascia assai più ampia di clientela.

In seguito si comincia a capire che il merletto meccanico costituisce una realtà a sé, con propri sviluppi e precise caratteri-stiche, compresa la preziosità.

I merletti meccanici sia del tardo Ottocento che del Novecento, e soprattutto quelli di oggi, assumono una dimensione pro-pria. Non si tratta più solo di copie, ma di oggetti con una bellezza intrinseca ormai indipendente dai merletti fatti a mano.

14 Introduzione

Non solo: all’inizio del XX secolo le poche manifatture di merletti fatti a mano rimaste eseguono disegni ormai stereotipati, quasi sempre copie di antichi modelli in cui di nuovo e creativo c’è ben poco1.

I produttori di merletti meccanici, per seguire la moda e le leggi del mercato, sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni sia tecniche che di disegno; usano filati diversi; introducono il colore; creano pizzi appetibili per gli stilisti e consentono, in ultima analisi, il perpetuarsi del gusto del merletto nella moda.

Oggi la produzione dei merletti meccanici si è specializzata in settori diversi ognuno dei quali utilizza macchine particolari ed una grande creatività, che prevede le più ingegnose innovazioni tecnologiche per realizzare opere sempre nuove e sempre più belle.

Di questo vogliamo parlare: non di mere copie o di imitazioni, ma di prodotti raffinati ed artistici in continua evoluzione.

Point de Flandre: a sinistra la realizzazione a mano, a destra lo stesso motivo realizzato a macchina

(fonte: “Identifyng Handmade and Machine Lace” – Jeremy Farrel 2007)

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1 Eccezion fatta per alcuni coraggiosi tentativi di rinnovamento: si pensi per esempio alla Scuola di Vienna e, in Italia, alla nascita del merletto d’arte. Cfr. ad es. L. Winkler, “Austria Spitze. Eine Kloppelspitze des Wiener Jugendstils”, Gammelby 2004, pp. 19 ss. e M. Rizzini, “Complessi intrecci. I merletti di Cantù tra Settecento e Novecento” in “Merletti a Cantù. Cultura e tradizione di una comunità tra i secoli XVIII e XX”, a cura del Comitato per la Promozione del merletto, Cantù 1994.

Dalle mani alle macchine: i merletti meccanici e le nuove tecnologie 15

Capitolo 1

DALLE MANI ALLE MACCHINE:

I MERLETTI MECCANICI E LE NUOVE TECNOLOGIE

1. I primi passi

L’inizio della produzione dei merletti meccanici coincide con l’epoca della Rivoluzione Industriale che si svilup-pa in Inghilterra nel corso del XVIII secolo e che, come è noto, ha un importante impatto sull’industria tessile nel suo complesso grazie all’invenzione di macchine di nuova concezione in grado di filare e di tessere.

Negli anni intorno al 1760 le uniche macchine che producono un tessuto traforato sono le vecchie Stocking Frame, o telai da calza: inventate già nel 1589 da William Lee di Cambridge, producevano calzetteria in lana,

seta e cotone. La tecnica, dunque, è quella dell’intreccio tipico del lavoro a maglia: l’effetto di traforo risulta minimo ed è ottenuto con una lenta manipolazione manuale dei punti.

Negli stessi anni in Inghilterra la produzione di pizzi fatti a mano è in declino: per le occasioni ufficiali, la Corte preferisce i merletti a fuselli fiamminghi come i Malines, i Bruxelles e i Valenciennes, e i merletti ad ago francesi quali gli Argentan e gli Alençon2.

Anche in Francia i pizzi, rispetto alle sontuose sete lionesi, si stanno alleggerendo: dopo i motivi sontuosi del periodo pre-cedente i disegni si riducono a piccoli motivi ripetitivi, in genere floreali, su un vasto fondo di tulle non operato; successi-vamente, al tempo di Maria Antonietta, anche questi merletti vengono sostituiti da ruches di garza e volants di mussola. La Rivoluzione Francese dà poi il colpo di grazia con la distruzione fisica delle manifatture, alcune delle quali vengono date alle fiamme con le merlettaie dentro.

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2 Cfr. P. Earnshaw, “Lace machines and machine laces”, 1995, p. 5.

16 Magici intrecci. Merletti meccanici italiani

Stocking frame, Loughborough, fine XIX secolo

All’epoca resistevano ancora in quella località piccole manifatture domestiche (Fonte: www.inloughborough.com)

La stagnazione del pizzo fatto a mano e la passione per gli esperimenti che caratterizza la Rivoluzione Industriale lasciano dunque spazio a nuove soluzioni e favoriscono l’apertura di un mercato monopolizzato, sino ad allora, dai pizzi fatti a mano, con la prospettiva di grandi profitti commerciali per un prodotto destinato non più solo all’aristocrazia ma ad un’ampia fetta della borghesia.

Dalle mani alle macchine: i merletti meccanici e le nuove tecnologie 17

Si cerca di imitare innanzi tutto la rete di fondo: i prototipi dei primi merletti meccanici riproducono il fondo a fuselli dei merletti spagnoli, dei pizzi fiamminghi e dei pizzi del Devon, noto come droschel3.

Nel giro di dieci anni si arriva a produrre a macchina una rete semplice (single press point net) di seta lucida a maglie esago-nali di un millimetro di diametro, elegante ma molto fragile: basta una minima tensione per ingarbugliare i fili…

Il problema viene superato con uno speciale procedimento di finissaggio inventato dai francesi, che non perdono tempo a copiare quelle macchine.

In Francia questa rete leggera viene chiamata “tulle” dal nome della piccola città di Tulle, non lontano da Limoges, dove si produce da tempo un filet rebrodé chiamato punto di Tulle. La prima macchina capace di riprodurlo compare nel 1768 e ben presto il termine tulle entra nel vocabolario per designare un tessile meccanico fine e trasparente.

Maria Antonietta possiede numerosi capi d’abbigliamento in tulle4.

Nel 1780 altri inventori inglesi creano una rete doppia che a differenza della precedente non si disfa più, la double press point net. I suoi effetti sulla moda si manifesteranno solo nel XIX secolo, quando il basso costo, la novità e la sua bellezza ne de-terminano il successo e la diffusione. Verrà apprezzata anche dalle case reali: alla corte del Belgio la Principessa Carlotta la sceglierà nel 1817 per il suo abito da sposa5.

Nel 1768 Hammond modifica il telaio da calza trasformandolo nella Pin Machine, che è in grado di imitare il fondo dei mer-letti di Bruxelles. Nel 1775 un meccanico chiamato Crane inventa la Warp Frame, con il suo telaio a ordito: in cima al telaio sono poste bobine di filo separate, una per ogni ago, e l’intreccio procede con queste spole che producono il tulle. Pochi anni dopo Dawson dota la macchina di un movimento rotatorio azionato da una barra.

La Warp Frame è la prima macchina in grado di produrre disegni ornamentali sulla rete di fondo, come piccoli trafori o pois. Si tratta anche in questo caso di tessuti intrecciati, solidi, che possono essere tagliati senza disfarsi. Le maglie risultano spa-ziate regolarmente, creando una piacevole trasparenza.

Nel 1808 arriva una macchina di nuova concezione: in luogo del costoso filo di seta si comincia ad adoperare il cotone e, anziché imitare la tecnica della maglia, si usano le tecniche della torsione e dell’incrocio tipiche del merletto a fuselli, in particolare del fondo a mezzo punto del Buckinghamshire e del Lille. Nasce così la Bobbinet, decisiva per l’evoluzione del merletto meccanico, dovuta al genio dell’inglese John Heathcoat. __________________________________________________

3 L’estrema leggerezza e delicatezza dei merletti a mano del XVIII secolo viene conseguita sostituendo le brides o barrette che collegavano le di-verse parti del disegno con fondi a rete. Tra questi il più pregiato e versatile è il droschel, con le caratteristiche maglie esagonali – le due verticali formate da una minuscola treccia – eseguite senza l’aiuto di spilli, che permette l’esecuzione di pezzi di grandi dimensioni a pièces rapportés. Cfr. L. Paulis, “Le Droschel”, in The Bullettin of Needle and Bobbin Club, vol. 7, n. 2, 1923.

4 M. Bruggeman, “L’Europe de la dentelle”, Bruges 1997, p. 195.

5 P. Earnshaw, cit., p. 6.

18 Magici intrecci. Merletti meccanici italiani

Diversamente dal telaio da calza della Stocking Frame, che usava solo un filo teso orizzontalmente, e dal telaio ad ordito della Warp Frame, che usava un insieme di fili multipli tesi in verticale, la Bobbinet utilizza una serie di orditi organizzati verti-calmente i cui fili passano da un cilindro inferiore ad uno superiore, dove si avvolge la rete, e una serie di fili di trama tenuta su sottili spolette circolari dello stesso numero dei fili dell’ordito: le bobine vengono spinte rapidamente ed incessantemente lungo le strette fessure a pettine che passano tra il dietro e il davanti della macchina attraverso gli spazi dell’ordito teso cre-ando l’impressione dell’intreccio tipico del merletto a fuselli.

I prodotti della Bobbinet sono piani, e per circa 30 anni l’unica decorazione possibile resta il ricamo a punto erba, a punto catenella o d’applicazione6.

Nel 1823 Heathcoat installa a Parigi un’officina dotata di macchine a vapore per fare il tulle, trasferita in seguito a Saint Quentin. Altre macchine vengono installate a Douai e a Calais, dove il pizzo meccanico diventa presto un’industria fiorente7.

Merletto di Bruxelles, XVII secolo, fondo droschel (Fonte:www.laceforstudy.org.uk)

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6 P. Earnshaw, cit., p. 6.7 C. Fauque, cit., pp. 31-32.

Dalle mani alle macchine: i merletti meccanici e le nuove tecnologie 19

Merletto meccanico fondo droschel (coll. dell’A.)

20 Magici intrecci. Merletti meccanici italiani

(Fonte: G. Middleton, “Imitation of handmade lace by machinery, Part II”, in The Bulletin of the needle and bobbin club, vol. 23, n. 1, 1939, p. 5)