A lot of stories - Via Padova si Racconta

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Autore: Giorgio Fontana

Innanzitutto una via Padova fatta di persone normali (italiani e stranieri): gente che lavora e che vive il quartiere con un’intensità particolare. Senza dimenticare le numerose iniziative locali (penso solo alla Casa del Sole, una scuola d’avanguardia ad altissimo contenuto di stranieri). Queste dimensioni di intimità e solidarietà della zona - piuttosto rara nella Mila-no contemporanea - sono state sottovalutate o ignorate dalla cronaca, ma restano il cuore pulsante della via.

Gli scontri sono iniziati quando un ragazzo sudamericano ha accoltellato un ragazzo egizia-no attorno alle 17.40, vicino al civico 80 della via, in una rissa scoppiata per futili motivi. Il ragazzo egiziano è morto abbastanza rapidamente, mentre si aspettava l’ambulanza. A questo punto diversi nordafricani nella strada hanno reagito con una sorta di “caccia al su-damericano”, che è ulteriormente degenerata: vetrine di negozi infrante, auto ribaltate, ecc.Via Padova è quanto di più diverso da una periferia abbandonata e monotona, e inoltre giace molto più vicina al centro rispetto alle banlieu. Inoltre la causa dello scontro è sta-ta - appunto - una rissa per “futili motivi”: insomma, non si è trattata di una guerra fra etnie programmata a freddo. Quello che però non va sottovalutato, senz’altro, è il senso di esclusione ed emarginazione che provano diversi stranieri di fronte al clima sociale e politico italiano.

La soluzione al “problema” è innanzitutto capire che il problema non è la mera presenza di migranti nel quartiere ma la necessità di interventi attivi nel tessuto sociale: di creare luoghi di incontro e scambio fra tutti, italiani e stranieri, ed evitare che questo sia lasciato solo alla buona volontà e iniziativa dei singoli. Finché si continua a prendere via Padova come un luogo “eccezionale”, il problema rimarrà intatto.Si può e si deve ricordare che la presenza dei migranti in tutta Italia è un dato di fatto (oltre che un motore ormai fondamentale della nostra economia). Ovviamente la questione è com-plessa e certe sue derive vanno tenute sempre presenti: ma strumentalizzarle rimane sempre il male peggiore. La sfida di via Padova è semplicemente quella di ripensare sia la società italiana (che è piena di stranieri la cui stragrande maggioranza fa o desidera vite identiche alle nostre) sia la sua identità (che non è, se mai lo è stata, un patrimonio da difendere con-tro qualunque contaminazione).

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Autore: Casa della Carità di Milano

Via Padova a Milano è un quartiere pieno di storia e di memorie. È contraddistinto da una vivace capacità commerciale e dalla radicata presenza di tante associazioni della so-cietà civile. Ma negli ultimi due decenni via Padova è stata stravolta. Sviluppo urbanistico senza strategia, vendita disordinata degli appartamenti, ricettività senza programmazione e degenerazione speculativa sono alcuni degli elementi che hanno creato un forte disagio ambientale.

Nel quartiere si sono insediati anche molti immigrati di tante e differenti nazionalità. La maggioranza di loro è impegnata in un serio percorso di miglioramento delle proprie condi-zioni di vita. Sono regolari, lavorano, fanno figli, crescono la cosiddetta seconda generazio-ne. Altri, invece, sono arrivi recenti, soprattutto giovani, che si accatastano in mono o bilo-cali, cercano di sbarcare il lunario, spesso sono sfruttati, alcuni diventano attori di illegalità.Tutti questi fattori hanno cambiato la natura di questa via e trasformato i suoi dintorni. I residenti, cittadini e commercianti, hanno assistito impotenti a questa degenerazione del contesto. Nei mutamenti e nelle contraddizioni sono germogliate sacche di delinquenza, con lo spaccio di stupefacenti che si è imposto come attività predominante. Il degrado e l’ab-bandono acuiscono ulteriormente la sensazione di paura e fanno esplodere la pur legittima domanda di sicurezza da parte di cittadini esasperati. Sbiadisce così la vivacità delle tante esperienze positive che hanno fatto, e fanno, la storia di via Padova. Perché, nonostante tutto, via Padova è ricca di risorse culturali. La comunità parrocchiale capace di promuovere aggregazione, il centro islamico dialogante e propositi-vo, l’esperienza delle bande musicali, i laboratori artistici, il mondo delle associazioni che sviluppa azioni di prossimità, un centro scolastico di grande tradizione e all’avanguardia nei processi di integrazione sono alcuni esempi, forse sconosciuti e poco visibili, della composita e animata vita del quartiere.

Tutte realtà che si sono sentite chiamate in causa dalla tragedia di sabato scorso e dai di-sordini scaturiti dopo la morte violenta di un ragazzo. È questa la via Padova che ora vuole prendere voce, chiede di non perdere la speranza, reagisce ai proclami strumentali lanciati solo per accaparrarsi il consenso. È questa la società civile che ora vuole capire come uscire dal disagio, fare proposte di un’urbanizzazione diversa, reclamare legalità. Sono questi i cit-tadini che ora vogliono spazi di aggregazione, moltiplicare le esperienze educative, mettere in sinergia le realtà del territorio, promuovere cultura. La politica deve ascoltare senza entrare nella logica dello scontro di parte. C’è bisogno di progetti veri e di una programmazione che tenga realisticamente conto di come uscire da questa situazione di abbandono. Lo si può fare abbassando le tensioni e facendo vincere le ragioni del dialogo. Il bene comune chiede di stare insieme e prenderci ognuno le proprie responsabilità.

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Autore: Lalla Dini

Tutto è iniziato leggendo un articolo apparso su Repubblica. L’articolo annunciava che do-menica 22 maggio era organizzata una visita guidata al quartiere di Via Padova e la cosa particolare che ha attirato la mia attenzione era il fatto che le guide sarebbero state cittadini stranieri.La cosa mi ha stuzzicato per diversi motivi fra cui il desiderio di vedere un quar-tiere che non conosco ma soprattutto di vederlo attraverso gli occhi di chi è arrivato da altri mondi e vive la realtà di questo quartiere molto spesso utilizzato come spauracchio della paura del diverso/straniero. Così mi sono iscritta al giro del quartiere. L’appuntamento era fissato per le 14.30 sul ponte del naviglio Martesana accanto a Villa Pallavicini.Ecco la prima scoperta: la villa è solo una delle diverse ville che nel tempo passato erano residenze estive dei milanesi benestanti perché questa zona era in aperta campagna. La prima guida, di origine brasiliana, ci racconta brevemente la storia della Martesana e nella sua voce si sente chiaramente la tensione e l’ansia di dover parlare a persone sconosciute. Questa ten-sione si scioglierà poco alla volta sia in lei che nelle altre guide.

Il Naviglio della Martesana, realizzato tra il 1457 e il 1497, nasce dall’Adda ed arriva fino a Milano. È lungo 34,7 km, largo 9-10 metri e con una profondità media di 75 cm.Il Naviglio della Martesana fu luogo preferito da Leonardo da Vinci, infatti, durante i suoi periodi di permanenza presso Ludovico il Moro, il Naviglio Martesana divenne suo oggetto di studio per il complesso sistema degli argini e delle chiuse. Seguiamo ora la guida di ori-gine africana che con il suo maxi girasole in mano ci conduce verso la Chiesa Rossa di Cre-scenzago. L’impressione che si riceve avvicinandosi alla chiesa è di non essere più a Milano ma in un piccolo borgo. Crescenzago fino ai primi anni del 1900 era in realtà un comune autonomo che poi fu annesso al comune di Milano (1923). La chiesa di Santa Maria Rossa, in stile romanico, deve il suo particolare nome quasi sicuramente al fatto che sia stata co-struita con il prevalere di mattoni a vista sia all’esterno che all’interno. I Canonici Latera-nensi, attorno al 1140, costruirono la chiesa sui resti di un’antica cappella. All’interno della chiesa vi sono diversi affreschi; il più importante fra questi è un trittico del Bergognone il cui originale è ora conservato presso l’Arcivescovado di Milano.

Seguendo sempre il maxi girasole arriviamo al numero civico 275 dove c’è un palazzo so-pranominato “la Curt de l’America” (la corte/cortile dell’America). La Curt de l’America è una delle corti storiche di Crescenzago, centrale nel vecchio comune sia per posizione sia in quanto primo punto di accoglienza per quegli italiani che qui arrivavano per partire verso l’America sia per quelli che respinti ritornavano in patria. In questo senso la corte era il punto di incontro tra gli abitanti e Crescenzago, testimonianza della vita di un tempo, approdo e punto di partenza per la ricerca di qualcosa di meglio. Ieri e ancora oggi. Oggi questo vecchio palazzo è abitato prevalentemente da stranieri e il ragazzo egiziano, la no-stra guida che qui ha abitato, ce lo presenta con molto affetto.

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Autore: Gianni Biondillo

Ho traslocato. Via Padova. Nella casbah, ad Harlem, nel cuore multietnico di Milano, luogo di violenza, omicidi, guerriglia urbana, paura, insicurezza, dove non incroci un italiano sia di giorno che di notte, dove le nostre donne hanno paura a camminare, dove è un continuo frantumare le vetrine dei negozi, una via che è uno spaccio di stupefacenti a cielo aperto, dove c’è una infinita lotta aggressiva fra bande per il possesso del territorio. Almeno: così mi dicono i giornali, i politici locali (e localistici), i luoghi comuni. Io mica me ne sono accorto.Mi è sempre piaciuta questa parte di città. Via Padova è una traccia storica nel territorio, identificabile fin dalle mappe del catasto teresiano. Un rettilineo di circa quattro chilometri, un asse di penetrazione urbano, un raggio topografico che parte da piazzale Loreto e si di-sperde in quella che fu la campagna padana e ora è ancora città, per chilometri e chilometri. Proprio di fronte a casa mia passa un lacerto di pista ciclabile, una specie di illusione ottica che appare e scompare come tutte le piste ciclabili milanesi che nascono in posti improbabili e muoiono improbabilmente in modo repentino. Ma io lo vivo come un invito. Cavalco la bicicletta e ci do di pedale.

Loreto, piazzale, neppure piazza, spazio invivibile, snodo viario e autentico portale d’in-gresso alla città borghese. Toponimo cupo, dove tutti si chiedono dove abbiano appeso per i piedi il Duce e nessuno dove furono fucilati i partigiani antifascisti. Il piazzale pullula di una vita in movimento, di gente che va che viene, che si sotterra nei cunicoli della metro-politana oppure che attraversa temeraria l’asfalto sistematicamente intasato di autovetture. Me lo lascio alle spalle e mi inoltro nel quartiere. Passo davanti al mio panettiere egiziano, lo saluto. Poi il ristorante cinese sotto casa (ottimo, con un curioso doppio menù: quello che tutti conosciamo – involtini primavera, ravioli al vapore, etc. – e un altro con piatti mai sen-titi nominare. Ogni volta ne provo uno, stupendomi). Poi locali peruviani, chiese avventiste filippine, parrucchieri cinesi, kebaberie pakistane. “Ma chi ci va in quei posti?”, mi sono sentito chiedere da un esimio politico, securitario e starnazzante, di fronte a una telecamera di una televisione locale. “Io”, ho risposto candidamente. Il mio parrucchiere è turco, per dire, quello di mia moglie cinese.

C’è il sole, vado oltre. Passo in rassegna quartieri di case popolari degli anni Trenta, poi complessi edilizi costruiti negli anni del boom, più mi allontano e più la città si fa di edifici a me più contemporanei, in una sorta di attraversamento cronologico dell’edilizia socia-le meneghina. Ogni tanto appaiono bolle spaziotemporali: residui di borghi di campagna lombarda, arroccati sul tracciato del naviglio Martesana. Là dietro c’è la Casa della Carità di Don Colmegna, presidio solidale nella città indifferente. Via Padova si piega, sfrangia, muore sommersa dai cavalcavia di Cascina Gobba. Io decido di imboccare via Idro. Poco più avanti c’è il campo nomadi. Ci andai con mia figlia, qualche anno fa, a parlare con loro, a vedere se per davvero rubavano i bambini, loro che l’unica cosa che hanno in abbondanza sono proprio i figli. Quasi quasi mi fermo e prendo fiato. È gente ospitale, un caffè non me lo hanno mai negato.

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Autore: Paolo Branca

È una lunga storia di tensioni, più o meno esplosive, quella di via Padova a Milano, con i primi attriti partiti a metà degli anni Sessanta. Paolo Branca, docente di lingua e lettera-tura araba, islamista, in quella zona della città è nato e ha vissuto per buona parte della giovinezza. Di via Padova ha visto tante facce, evoluzioni e involuzioni. A partire da una forte presenza di immigrati meridionali, a cavallo degli anni Settanta. «Amici, conoscenti, negozianti, molti venivano dal Sud e qualcuno, milanese, mostrava espressioni di disagio», ricorda. Già allora c’erano stati scontri, con sparatorie in largo Tel Aviv tra immigrati meri-dionali appartenenti a clan malavitosi. C’erano periodi in cui i contrasti sembravano sparire per poi riaffiorare improvvisamente. Ma ora il pericolo ghetto sembra essere tornato dietro l’angolo. E le esperienze delle altre capitali europee, dice Branca «non sono confortanti». Perché «le famose banlieu parigine o il londonistal (la comunità islamica di Londra) dimo-strano esattamente dove non si deve andare». Sbagliato accumulare in un’unica zona troppi immigrati, perché significa creare aree a rischio, «non tanto perché loro siano malvagi, ma perchè spesso vivono in situazioni di precarietà di lavoro, con problemi burocratici legati ai permessi di soggiorno, che sommandosi in un unico territorio aumentano i disagi e i possi-bili esiti negativi». Ma Branca richiama a responsabilità più ampie:«Ci sono coloro che speculano su questo. Vorrei sapere in via Padova quanti italiani hanno affittato due stanze, magari in nero, a 15 immigrati che dormono accatastati». Anche questo è un controllo che non andrebbe trascurato.

E se in momenti di disagio e di paura ciò che salta all’occhio sono le criticità l’invito adesso è quello di non trascurare quello che le associazioni hanno fatto: «In via Padova ce ne sono molte. Ci sono persino una moschea e una parrocchia che da anni collaborano, la Casa della cultura islamica e la parrocchia di San Giovanni Crisostomo. La scuola di fronte alla quale sono accaduti i fatti di sabato, poi, è la Casa del Sole, da anni esempio di integrazione con corsi di arabo, cinese, nata come struttura modello nel suo genere». Insomma è importante incentivare le buone pratiche che già esistono. E la paura? Per molti cittadini non è così scontato metterla da parte. «Un disagio certamen-te c’è», dice Branca citando la società liquida di Zygmunt Baumann, «una società dove le trasformazioni sono troppo rapide. Tanto veloci da non riuscire ad adattarsi, perchè quando il cambiamento viene digerito, già le cose sono mutate un’altra volta». Da qui il senso della minaccia e di non ritrovarsi senza la terra sotto i piedi. Ma l’unica possibilità, insiste l’isla-mista, è comprendere che questa convivenza di etnie diverse, entro limiti ragionevoli, può essere anche un fattore di arricchimento. Un risultato che si ottiene «lavorando sul terreno, con le persone, le associazioni, non ci si può limitare a discorsi teorici. Quando si arriva all’utilizzo delle forze dell’ordine significa che sono già state perse battaglie precedenti, oscure all’opinione pubblica». C’è poi la situazione dei ragazzi latino-americani «più esposti di altri, anche perché le madri lavorano 12 ore al giorno come i padri, a differenza delle donne arabe che sono casalinghe e si occupano dei figli». Ragazzi lasciati a loro stessi che si aggregano nelle bande, con in mano sempre una bottiglia di birra. È per questo che «la creazione di nuovi centri di ag-gregazione giovanile è auspicabile, ma anche quelli che già ci sono vanno potenziati». Per partire dalle esperienze positive che sul terriorio ci sono e ampliarle, «perché la società si salva con la società, non con interventi esterni».

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Indice

Introduzione 1Le storie 2Indice 12

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Alotofstories è un progetto che raccoglie le voci degli abitanti di Via Padova al fine di promuovere l’integrazione tra le diverse culture. Ad ogni pagina è destinato il racconto di una persona.Questo libro rappresenta il tentativo di combattere pregiudizi spesso dettati dall’ignoranza, mostrando che alla fine, nonstante l’eterogeneità degli autori è possibile trovare molti elementi che ci accomunano.

4,00 euro