A gennaio Siena diventa la capitale del vino Un …», dagli anni '60 a oggi? « meno visibile a...

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Corriere Fiorentino Martedì 27 Dicembre 2016 FI 13 A gennaio Siena diventa la capitale del vino E l’Università ospita una cittadella del gusto Due giorni e oltre 200 espositori. Il 21 e 22 gennaio Siena sarà la capitale italiana del vino con la seconda edizione di «Wine&Siena». Rispetto all’evento inaugurale, incentrato all’interno della sede di Banca Mps, la manifestazione si allarga a tutta la città e fa tappa nei punti nevralgici del centro: il Comune, la Fondazione Mps e l’Università. L’ateneo sarà la sede di una delle novità, la cittadella del gusto «Food&Siena». I produttori presenti sono selezionati tra i vincitori degli annuali Merano Wine Award. «È un appuntamento strategico per la città - ha affermato il sindaco Bruno Valentini - e crediamo che possa diventare un appuntamento fisso. Ma non solo. Siena ha il dovere di configurarsi come capitale del vino italiano». (Aldo Tani) Culture L’intervista Passato, presente e futuro della città con lo scrittore Valerio Aiolli «Mi mancano le diversità dei quattro quartieri. E ho un desiderio impossibile.... » Un tuffo nell’Arno, verde e con i pesci di Marco Vichi Valerio Aiolli è uno scrittore fiorentino, un grande scritto- re, ma soprattutto è un amico. Il suo ultimo romanzo è Lo stesso vento (Voland), una sto- ria intensa che attraversa i de- cenni e coinvolge personaggi diversi, legati tra loro soltanto da un oggetto che passa di ma- no in mano. Un libro bellissi- mo, magico, una scrittura ca- pace di rendere vive le emozio- ni. Un libro che consiglio a tut- ti. Incontro Valerio alla libreria Todo Modo di Firenze, e ci se- diamo a un tavolino. Prendia- mo un the circondati da mi- gliaia di libri, e per un attimo penso che vorrei averli letti tutti. Ciao Valerio, parliamo un po’ della nostra città. Cos’è che ti manca di più della Fi- renze della tua infanzia? «Non sento una forte nostal- gia per la Firenze di quando ero bambino, o ragazzo. La percepivo come una città trop- po grande per essere acco- gliente e troppo piccola per darmi il brivido pericoloso ma eccitante dell’anonimato vero, quello delle metropoli. Mi sa- rebbe piaciuto essere nato a Parigi, o a Londra. Anche la parlata in vernacolo mi susci- tava un certo distacco, il so- spetto di un compiacimento che non mi apparteneva fino in fondo. Però a pensarci bene una cosa che mi colpiva molto in quegli anni, e che poi piano piano si è persa e che mi manca (nel bene e nel male), era la forte specificità dei quattro quar- tieri del centro. Sono nato in una Fi- renze ancora un po’ pratoliniana, dove i ragaz- zi di Santa Croce avevano un gergo, dei giochi, dei modi di provocarsi e di sostenersi com- pletamente diversi da quelli di San Frediano, San Giovanni, Santa Maria Novella. Le botte- ghe erano diverse, l’atmosfera che si respirava nei cinema era diversa, era diverso l’atteggia- mento delle persone. C’erano confini invisibili, e c’era da im- parare a tenerne conto. Quelle piccole città nella città, seppu- re a volte mi incutevano timo- re, davano al centro un colore cangiante e una forza mutevole che ora non ritrovo più. Questo sì, mi manca». Ricordi un aneddoto per- sonale che caratterizza bene quell’epoca? «La prima volta in cui sono andato al cinema con gli ami- ci, senza i genitori. Verso i do- dici anni conobbi un gruppo di ragazzi di Santa Croce, co- minciai a frequentarli. Anda- vano al cinema da soli, un giorno sì e un giorno no, nelle sale di terza visione: io con i miei mi ero fermato alla prima o alla seconda, dove si stava comodi e tutti si comportava- no “bene”. Una volta mi unii a loro. Il ci- nema era l’Alfieri, il film un we- stern. Esisteva già l’Universale, di cui molto si è parlato, ma io l’avrei scoperto solo più tardi. L’Alfieri era più o meno la stessa cosa. Sedie di legno duro, gente che si alzava durante la proiezione, commenti a voce alta, richia- mi, fischi. All’intervallo, com- parve l’omino con la cassetta dei gelati appesa al collo. Era più grande di lui, faceva fatica a portarla in giro dove lo chia- mavano. Ma, due volte su tre, dopo avergli fatto fare tutto il corridoio in leggera salita, la richiesta urlata a squarciagola era qualcosa come: “Che ce l’hai la minestra di pane?”. L’omino scuoteva il capo e ri- partiva verso qualche altra chiamata. Tutti ridevano a squarciagola. Io ero sbalordi- to. Era come essere capitato in un paese straniero. Mi sentivo respinto e attratto da quel- l’energia un po’ bestiale. Il film lo dimenticai quasi subito, quel ribollio scatenato ce l’ho ancora dentro». Quali sono le differenze fondamentali tra quella Fi- renze e quella di oggi? «Mi capita di muovermi in bicicletta, da Sant’Ambrogio al Duomo, dai Lungarni alle Ca- scine. Ripenso a quel film di Wenders, Il cielo sopra Berli- no, dove un angelo passava tra la gente carpendone brandelli di pensieri. Nel mio percorso si alternerebbero decine di lin- gue diverse: quelle dei turisti, fino ai Lungarni; quelle dei su- damericani e degli africani, al- le Cascine. Fiorentini, una mi- noranza. Studenti universitari (un po’ chiusi nel loro polo), pochissimi. L’opposto di ciò che avrei trovato facendo lo stesso percorso quando ero ra- gazzo. Al di là di questo, che è sotto gli occhi di tutti, per me però l’essenza di Firenze, an- cor più del suo patrimonio ar- tistico, è l’impasto di “egoismo altruistico” dei suoi abitanti. Curo la mia bottega per guada- gnarci, ma anche perché la strada in cui abito ne benefici. Costruisco un palazzo enorme e meraviglioso per celebrare il potere della mia famiglia, ma anche perché tutta la comuni- tà ne tragga orgoglio. Rimetto in sesto la mia attività artigia- nale dopo l’alluvione per con- tinuare a lavorare, ma anche per mostrare al mondo che noi ce la facciamo da soli». Secondo te si è perso que- sto «spirito che si fa mate- ria», dagli anni ’60 a oggi? «È meno visibile a occhio nudo. La pressione economica della globalizzazione ha spac- cato il modello esistente, spro- vincializzando un po’ la città ma rendendola forse meno re- attiva. Anche se negli ultimi anni vedo giovani che vivono a Firenze (non necessariamente nati qui, a volte giunti da lon- tano) che si muovono e fanno cose interessanti. O almeno ci provano, il che non è poco. So- no imprenditori, editori, scrit- tori, musicisti, artisti che me- ritano attenzione e sostegno pubblico». Sono d’accordo con te. E adesso parliamo un po’ della Firenze che verrà… Come la vedi? Sia come pensi che di- venterà, sia come speri che diventi. «Mi piacerebbe che ci fosse un investimento sulle perife- rie, in modo da farle diventare parte integrante del tessuto urbano. Locali dove si possa fare musica, librerie dove si possa passare del tempo, gal- lerie dove si espongano artisti nuovi o affermati, insedia- menti (biblioteche, musei) pensati da architetti capaci di intercettare la contemporanei- tà e renderla attraente. Vorrei che i quartieri fuori dalla cer- chia dei viali acquisissero una loro autonomia, un loro ma- gnetismo. Temo che se non saremo capaci di farlo ci ritro- veremo con un meraviglioso centro storico devitalizzato: patrimonio dell’Unesco, ma non più patrimonio di chi a Fi- renze ci vive, e in fondo nean- che di chi lo viene a vedere». Entriamo nella fantasia… Hai la lampada di Aladino e puoi esprimere un solo desi- derio per Firenze, anche im- possibile da realizzare… «L’Arno. L’Arno pulito, ver- de e non più marrone, balnea- bile. Pieno di pesci, non di to- pi. E una parte delle Cascine trasformata in una specie di retrospiaggia verde dove rin- frescarsi dopo qualche ora di sole e di bagni nel fiume». 2. Continua. La prima pun- tata uscita il 9/12 © RIPRODUZIONE RISERVATA Dice lui Lo scrittore fiorentino Valerio Aiolli all’interno della libreria Todo Modo (foto: Giulio Garosi/Sestini) In pillole Lo scrittore Valerio Aiolli è nato a Firenze nel 1961 Ha esordito nel 1995 con la raccolta di racconti «Male ai piedi» (Cesati), finalista al Premio Assisi per inediti «Io e mio fratello» del 1999 (Edizioni e/o) è il suo primo romanzo con cui vince il Premio Fiesole per narratori under 40 ed è ammesso alla Selezione Premio Strega Tra i suoi libri: «Fuori tempo» (Rizzoli), «Ali di sabbia» (Alet) e di recente «Lo stesso vento» (Voland) In Santa Croce I ragazzi avevano un gergo, dei giochi, dei modi di provocarsi diversi dagli altri Al cinema Alfieri All’omino con la cassetta dei gelati chiesero: hai la minestra di pane? E giù tutti a ridere... Le passeggiate Mi muovo in bici e ripenso al film di Wenders con l’angelo tra i pensieri della gente Firenzemia

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Corriere Fiorentino Martedì 27 Dicembre 2016 FI13

A gennaio Siena diventa la capitale del vinoE l’Università ospita una cittadella del gustoDue giorni e oltre 200 espositori. Il 21 e 22 gennaio Siena sarà la capitale italiana del vino con la seconda edizione di «Wine&Siena». Rispetto all’evento inaugurale, incentrato all’interno della sede di Banca Mps, la manifestazione si allarga a tutta la città e fa tappa nei punti nevralgici del centro: il Comune, la Fondazione Mps e l’Università. L’ateneo sarà la sede di una delle

novità, la cittadella del gusto «Food&Siena». I produttori presenti sono selezionati tra i vincitori degli annuali Merano Wine Award. «È un appuntamento strategico per la città - ha affermato il sindaco Bruno Valentini - e crediamo che possa diventare un appuntamento fisso. Ma non solo. Siena ha il dovere di configurarsi come capitale del vino italiano». (Aldo Tani)

Culture

L’intervista Passato, presente e futuro della città con lo scrittore Valerio Aiolli«Mi mancano le diversità dei quattro quartieri. E ho un desiderio impossibile....»

Un tuffo nell’Arno,verde e con i pesci

di Marco Vichi

Valerio Aiolli è uno scrittorefiorentino, un grande scritto-re, ma soprattutto è un amico.Il suo ultimo romanzo è Lostesso vento (Voland), una sto-ria intensa che attraversa i de-cenni e coinvolge personaggidiversi, legati tra loro soltantoda un oggetto che passa di ma-no in mano. Un libro bellissi-mo, magico, una scrittura ca-pace di rendere vive le emozio-ni. Un libro che consiglio a tut-ti. Incontro Valerio alla libreriaTodo Modo di Firenze, e ci se-diamo a un tavolino. Prendia-mo un the circondati da mi-gliaia di libri, e per un attimopenso che vorrei averli lettitutti.

Ciao Valerio, parliamo unpo’ della nostra città. Cos’èche ti manca di più della Fi-renze della tua infanzia?

«Non sento una forte nostal-gia per la Firenze di quandoero bambino, o ragazzo. Lapercepivo come una città trop-po grande per essere acco-gliente e troppo piccola perdarmi il brivido pericoloso maeccitante dell’anonimato vero,quello delle metropoli. Mi sa-rebbe piaciuto essere nato aParigi, o a Londra. Anche laparlata in vernacolo mi susci-tava un certo distacco, il so-spetto di un compiacimentoche non mi apparteneva fino infondo. Però a pensarci beneuna cosa che mi colpiva molto

in quegli anni, e chepoi piano piano siè persa e che mimanca (nel benee nel male), era laforte specificitàdei quattro quar-tieri del centro.Sono nato in una Fi-renze ancora un po’pratoliniana, dove i ragaz-zi di Santa Croce avevano ungergo, dei giochi, dei modi diprovocarsi e di sostenersi com-pletamente diversi da quelli diSan Frediano, San Giovanni,Santa Maria Novella. Le botte-ghe erano diverse, l’atmosferache si respirava nei cinema eradiversa, era diverso l’atteggia-mento delle persone. C’eranoconfini invisibili, e c’era da im-parare a tenerne conto. Quellepiccole città nella città, seppu-re a volte mi incutevano timo-re, davano al centro un colorecangiante e una forza mutevoleche ora non ritrovo più. Questosì, mi manca».

Ricordi un aneddoto per-sonale che caratterizza benequell’epoca?

«La prima volta in cui sonoandato al cinema con gli ami-ci, senza i genitori. Verso i do-dici anni conobbi un gruppodi ragazzi di Santa Croce, co-minciai a frequentarli. Anda-vano al cinema da soli, ungiorno sì e un giorno no, nellesale di terza visione: io con imiei mi ero fermato alla primao alla seconda, dove si stavacomodi e tutti si comportava-

no “bene”. Una voltami unii a loro. Il ci-

nema era l’Alfieri,i l f i lm un we-stern. Esistevagià l’Universale,di cui molto si è

p a r l a to , m a i ol’avrei scoperto solo

più tardi. L’Alfieri erapiù o meno la stessa cosa.

Sedie di legno duro, gente chesi alzava durante la proiezione,commenti a voce alta, richia-mi, fischi. All’intervallo, com-parve l’omino con la cassettadei gelati appesa al collo. Erapiù grande di lui, faceva faticaa portarla in giro dove lo chia-mavano. Ma, due volte su tre,dopo avergli fatto fare tutto ilcorridoio in leggera salita, larichiesta urlata a squarciagolaera qualcosa come: “Che cel’hai la minestra di pane?”.L’omino scuoteva il capo e ri-partiva verso qualche altrachiamata. Tutti ridevano asquarciagola. Io ero sbalordi-to. Era come essere capitato inun paese straniero. Mi sentivorespinto e attratto da quel-l’energia un po’ bestiale. Il filmlo dimenticai quasi subito,quel ribollio scatenato ce l’hoancora dentro».

Quali sono le differenzefondamentali tra quella Fi-renze e quella di oggi?

«Mi capita di muovermi inbicicletta, da Sant’Ambrogio alDuomo, dai Lungarni alle Ca-scine. Ripenso a quel film diWenders, Il cielo sopra Berli-

no, dove un angelo passava trala gente carpendone brandellidi pensieri. Nel mio percorsosi alternerebbero decine di lin-gue diverse: quelle dei turisti,fino ai Lungarni; quelle dei su-damericani e degli africani, al-le Cascine. Fiorentini, una mi-noranza. Studenti universitari(un po’ chiusi nel loro polo),pochissimi. L’opposto di ciò che avrei trovato facendo lostesso percorso quando ero ra-gazzo. Al di là di questo, che èsotto gli occhi di tutti, per meperò l’essenza di Firenze, an-cor più del suo patrimonio ar-tistico, è l’impasto di “egoismoaltruistico” dei suoi abitanti.Curo la mia bottega per guada-gnarci, ma anche perché la strada in cui abito ne benefici.Costruisco un palazzo enormee meraviglioso per celebrare ilpotere della mia famiglia, maanche perché tutta la comuni-tà ne tragga orgoglio. Rimettoin sesto la mia attività artigia-nale dopo l’alluvione per con-tinuare a lavorare, ma ancheper mostrare al mondo chenoi ce la facciamo da soli».

Secondo te si è perso que-sto «spirito che si fa mate-ria», dagli anni ’60 a oggi?

«È meno visibile a occhionudo. La pressione economicadella globalizzazione ha spac-cato il modello esistente, spro-vincializzando un po’ la cittàma rendendola forse meno re-attiva. Anche se negli ultimi anni vedo giovani che vivono aFirenze (non necessariamentenati qui, a volte giunti da lon-tano) che si muovono e fannocose interessanti. O almeno ciprovano, il che non è poco. So-no imprenditori, editori, scrit-tori, musicisti, artisti che me-ritano attenzione e sostegnopubblico».

Sono d’accordo con te. Eadesso parliamo un po’ dellaFirenze che verrà… Come lavedi? Sia come pensi che di-venterà, sia come speri chediventi.

«Mi piacerebbe che ci fosseun investimento sulle perife-rie, in modo da farle diventareparte integrante del tessutourbano. Locali dove si possafare musica, librerie dove sipossa passare del tempo, gal-lerie dove si espongano artistinuovi o affermati, insedia-menti (biblioteche, musei)pensati da architetti capaci diintercettare la contemporanei-tà e renderla attraente. Vorreiche i quartieri fuori dalla cer-chia dei viali acquisissero unaloro autonomia, un loro ma-gnetismo. Temo che se nonsaremo capaci di farlo ci ritro-veremo con un meravigliosocentro storico devitalizzato:patrimonio dell’Unesco, manon più patrimonio di chi a Fi-renze ci vive, e in fondo nean-che di chi lo viene a vedere».

Entriamo nella fantasia…Hai la lampada di Aladino epuoi esprimere un solo desi-derio per Firenze, anche im-possibile da realizzare…

«L’Arno. L’Arno pulito, ver-de e non più marrone, balnea-bile. Pieno di pesci, non di to-pi. E una parte delle Cascinetrasformata in una specie diretrospiaggia verde dove rin-frescarsi dopo qualche ora disole e di bagni nel fiume».

2. Continua. La prima pun-tata uscita il 9/12

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dice lui

Lo scrittore fiorentino Valerio Aiolli all’interno della libreria Todo Modo(foto: Giulio Garosi/Sestini)

In pillole

Lo scrittore Valerio Aiolliè nato a Firenze nel 1961

Ha esordito nel 1995 con la raccolta di racconti «Male ai piedi» (Cesati), finalista al Premio Assisi per inediti

«Io e mio fratello» del 1999 (Edizioni e/o) è il suo primo romanzo con cui vince il Premio Fiesole per narratori under 40 ed è ammesso alla Selezione Premio Strega

Tra i suoi libri: «Fuori tempo» (Rizzoli), «Ali di sabbia» (Alet) e di recente «Lo stesso vento» (Voland)

In Santa CroceI ragazzi avevano un gergo, dei giochi, dei modi di provocarsi diversi dagli altri

Al cinema AlfieriAll’omino con la cassetta dei gelati chiesero: hai la minestra di pane?E giù tutti a ridere...

Le passeggiateMi muovo in bici e ripenso al film di Wenders con l’angelotra i pensieri della gente

Firenzemia