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Malattia e scrittura Saperi medici, malattie e cure nelle letterature iberiche a cura di Silvia Monti Cierre Grafica © Paola Bellomi

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Malattia e scritturaSaperi medici, malattie e cure nelle letterature iberiche

a cura di Silvia Monti

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Questo volume si pubblica con il patrocinio dell’Università degli Studi di Verona e grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona nell’ambito del progetto di ricerca «Salute, malattia e luoghi di cura nella tradizione letteraria».

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Malattia e scritturaSaperi medici, malattie e cure

nelle letterature iberiche

a cura di

Silvia Monti

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Stampato in Italia - Printed in Italy

Cierre Grafica - Caselle di Sommacampagna (Verona) - www.cierrenet.it

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Indice

Introduzione 7

I. Scrittura e medicina. Medici scrittori

MarialuiSa FraSSine

La malattia d’amore ne La Celestina tra medicina e letteratura 25

Silvia Monti

Malattie, medicine e medici dalla Celestina alla Lozana Andaluza 65

Maria Grazia ProFeti Malattie e medici nel teatro dei secoli d’oro 108

Felice GaMbin

Il gesuita e il medico: le annotazioni alla traduzione italiana dell’Examen de ingenios para las ciencias di Juan Huarte de San Juan 147

andrea zinato Medicina e diaspora sefardita: Jacob Uziel, medico e poeta, nella Venezia del Seicento 185

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Malattia e Scrittura6

II. Letteratura come malattia. Letteratura come cura

Walter Pantaleo

La polisemia della cecità in Antonio Buero Vallejo 225

Paola belloMi El gran ceremonial di Fernando Arrabal: il teatro come luogo di perversione e di cura 259

andrea MaSotti

La malattia e il male senza uscita in «Literatura + enfermedad = enfermedad» di Roberto Bolaño 291

ivan caburlon

La letteratura come malattia e cura in Enrique Vila-Matas 327

carloS PalacioS blanco

Julio Ramón Ribeyro: una vida entre volutas de humo 347

María cecilia Graña

Enfermedad y muerte en el poema largo: Algo sobre la muerte del mayor Sabines de Jaime Sabines 391

Indice dei nomi 419

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El gran ceremonial di Fernando Arrabal:il teatro come luogo di perversione e di cura

Arrabal est jeune,il est fragile physiquement et nerveusement...

Samuel Beckett

Il teatro di Fernando Arrabal (Melilla, 1932) offre numerosi spunti di riflessione sul rapporto malattia-letteratura. Molti dei personaggi che si presentano sulla scena di opere come Pic-nic, El triciclo, El laberinto, Fando y Lis, Guernica, Ceremonia por un negro asesinado, El Arquitecto y el Emperador de Asiria soffrono patologie fisiche e psicologiche più o meno conclamate, che si manifestano in derive comportamentali «malate», in particola-re, le deviazioni sessuali di tipo sadomasochistico.

I protagonisti dei drammi arrabaliani si presentano come individui adulti che agiscono e si esprimono molto spesso con un atteggiamento ed un linguaggio infantili. All’infantilismo, uniscono però dei comportamenti violenti tipici dell’individuo adulto alienato (schizofrenico e psicotico), caratteristiche queste che hanno inserito il teatro di Arrabal nel solco del teatro della crudeltà. Le scene di castrazione, smembramento, menomazione (sensoriale, motoria e intellettiva), tortura (fisica e psicologica)

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si ripetono con frequenza in questo teatro che unisce la dimen-sione sacra dei sacrifici pagani ai rituali cattolici svuotati della loro profondità mistica. I personaggi arrabaliani possono allora essere interpretati come una metafora della situazione culturale e politica della Spagna franchista, dove gli adulti-bambini che si muovono in scena rappresentano il popolo iberico in un conte-sto chiuso come quello della dittatura, che preferisce aver a che fare con individui sentimentalmente e psicologicamente imma-turi. Ma la follia è anche la scintilla della creatività, la rottura di un ordine inaccettabile perché autoritario. Il comportamento deviato, nel teatro di Fernando Arrabal, assume un valore posi-tivo nel momento in cui si pone come strumento di libertà. La malattia diventa, così, cura.

Fernando Arrabal ha fatto della sua opera uno strumento d’indagine personale e, insieme, collettiva. I traumi infantili che segnano la biografia di questo autore trovano espressione e, for-se, una cura sul palcoscenico.1 Come molti personaggi sadiani, anche le figure a cui Arrabal dà vita e parola si potrebbero de-

1 Arrabal viene cresciuto, insieme al fratello e alla sorella, dalla madre, Car-men Terán, in seguito alla scomparsa del padre, un ufficiale dell’esercito repubbli-cano che, al termine della Guerra civile spagnola, era stato catturato e condannato a morte, pena poi commutata in ergastolo da scontare in un ospedale per malati mentali; da qui l’uomo fuggirà (o verrà fatto sparire) a piedi, in pigiama, verso la campagna castigliana coperta di neve. Di lui Arrabal perderà per sempre le tracce, nonostante i molti tentativi fatti per rintracciarlo o per avere notizie certe sulla sua morte. Dal momento dell’incarcerazione, Arrabal sviluppa una sua mitologia per-sonale in cui il padre diviene una figura venerata e amata profondamente, mentre la madre coprirà il duplice ruolo di figura idolatrata e odiata. L’educazione cat-tolica e gli atteggiamenti sadici e masochisti di una zia che abitava con la famiglia aggiungeranno quegli ingredienti che si ritrovano, filtrati dalla finzione letteraria, nelle strutture cerimoniali tipiche della produzione artistica di questo autore. Per una biografia dettagliata di Arrabal, cfr. F. Torres monreal, Apuntes para la vida de Fernando Arrabal, in F. arraBal, Teatro completo, a cura di F. Torres Monreal, Madrid, Espasa, 1997, 2 voll., vol. 2, pp. 2105-2160.

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finire come dei «prigionieri del desiderio»,2 ossia delle vittime delle proprie pulsioni emotive, sempre eccessive, spesso origine di perversioni crudeli e insensate, che in alcuni casi trovano pace solo nella loro concreta realizzazione, terminando con l’estremo sacrificio, la morte. Gli impulsi sessuali, sia che vengano repres-si sia che vengano liberati, costituiscono un punto di equilibrio su cui si bilanciano i comportamenti dei personaggi; il sesso è, nelle opere di Arrabal, una costante che evoca allo stesso tempo immagini di un sentimento amoroso generoso e spontaneo e di una passione sadica e masochista, intrisa di violenza gratuita e assurda. Ciò è particolarmente evidente nella produzione teatrale che va dal 1952, anno della stesura di Pic-Nic, il primo dramma che ricorda le sperimentazioni del teatro dell’assurdo, al 1964, in cui Arrabal porta a termine El arquitecto y el emperador de Asiria, opera-simbolo dell’estetica panica che, nel 1962, l’autore spagno-lo aveva contribuito ad elaborare, insieme all’argentino Alejandro Jodorowsky e al franco-polacco Roland Topor.3 Il teatro panico cerca di contribuire alla liberazione dell’essere umano, liberarlo dalle sue ossessioni, che spesso sono il risultato di imposizioni esterne a sé. Lo spettacolo ideato da Arrabal risponde alla for-mula teatrale teorizzata da Jodorowky, in cui la rappresentazione viene intesa come un atto di «psicomagia», al termine del quale lo spettatore-adepto non può che uscire profondamente rinnovato. L’uomo panico, o l’«ex attore» come lo definisce l’artista cileno,

no actúa en una representación y ha eliminado totalmente el personaje. En lo efímero, este hombre pánico intenta alcanzar a la persona que está siendo. [...] El pánico piensa que en la vida cotidiana todos los augus-tos caminan disfrazados interpretando un personaje y que la misión del teatro es hacer que el hombre deje de interpretar un personaje frente a

2 Cfr. L. moreau arraBal, El Marqués de Sade: ¿clásico del siglo XX?, in «Pri-mer Acto», 92, 1968, pp. 46-49: 49.

3 Cfr. F. arraBal, Théâtre panique. L’Architecte et l’Empereur d’Assyrie, Paris, Bourgois, 1967.

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otros personajes, que acabe eliminándolo para acercarse poco a poco a la persona. Es el camino inverso de las antiguas escuelas teatrales; en vez de ir de la persona al personaje – como creían hacerlo dichas escuelas – el pánico intenta llegar desde el personaje que es (por la educación anti-pánica implantada por los augustos) a la persona que lleva encerrada dentro de sí mismo. Este otro que despierta en la euforia pánica no es un fantoche hecho de definiciones y de mentiras, sino un ser con limi-taciones menores. La euforia de lo efímero conduce a la totalidad, a la liberación de las fuerzas superiores, al estado de gracia. En resumen: el hombre pánico no se esconde detrás de sus personajes, sino que intenta encontrar su modo de expresión real. En vez de ser un exhibicionista mentiroso, es un poeta en estado de transe. (Entendemos por poeta no al escritor de sobremesa, sino al atleta creador). [...] Promoví en los espectadores-actores la práctica de un acto teatral radical que consistía en interpretar su propio drama, en explorar su propio enigma íntimo. Fue para mí el comienzo de un teatro sagrado y casi terapéutico.4

Agli stessi anni delle teorizzazioni paniche, e più precisa-mente al 1963, risale El gran ceremonial,5 un’opera che mette in

4 A. Jodorwsky, Psicomagia: una terapia pánica, Barcelona, Seix Barral, 1995, disponibile alla pagina http://rie.cl/psicomagia/2_el_acto_teatral.php?p=2. Data consultazione 01/2012.

5 El gran ceremonial si inserisce nella stagione panica della produzione arti-stica di Fernando Arrabal. Dal punto di vista tematico, l’opera viene preceduta dal dramma Los dos verdugos (1956) e dai romanzi Baal Babilonia (1958) e La piedra de la locura (1961), dove l’asse fondamentale ruota attorno allo scontro tra la figura della Madre e quella del Figlio. Francisco Torres Monreal segnala inoltre che, nel dattiloscritto della prima stesura, il titolo del dramma era Les enfances de Fando, con un chiaro riferimento al precedente Fando y Lis (1955-1956). Il finale de El gran ceremonial si allaccia infatti all’inizio di Fando y Lis, dove troviamo i due innamorati in viaggio alla ricerca di Tar/Art. Rispetto alla prima stesura, an-che i nomi dei personaggi vengono modificati: Fando diventa Cavanosa, Lis-Lys, El Amigo viene identificato invece come El Amante; inoltre molte parti di dialogo subiscono dei tagli, rendendo le battute più snelle e incisive, mentre vengono ampliati gli interventi di tipo surrealista. Cfr. F. Torres monreal, Introducción, in F. arraBal, Teatro pánico, Madrid, Cátedra, 1986, pp. 9-84: 61. Per la redazione dell’edizione critica de El gran ceremonial, Torres Monreal si è basato sulla secon-da versione dattiloscritta in spagnolo, inserendo in nota le varianti della prima versione spagnola e del testo in francese. Cfr. F. arraBal, El gran ceremonial, in

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scena il dramma di Cavanosa, un personaggio «malato» in sen-so etimologico – male hab˘tus – inteso come colui che si trova in una situazione di infermità fisica e psicologica resa evidente dalla propria condotta.6 Cavanosa è un perverso, ossessiona-to dal sesso, con un profondo senso di inadeguatezza e pieno di frustrazioni: ogni notte cerca di colmare l’atavica mancan-za d’amore di cui soffre, adescando nel parco giovani donne che, impietosite per le deformità dell’uomo e sedotte dai suoi modi stravaganti, accettano di seguirlo nel suo appartamento, dove vengono sottoposte a violenze verbali e fisiche, in tentativi sempre frustrati di godimento sessuale che conducono all’inevi-tabile uccisione delle vittime. Attorno a Cavanosa si realizza la cerimonia che dà il titolo all’opera e che può essere analizzata a tre livelli: teatrale, mitico e psichico.

1. la dimensione TeaTrale

Il dramma, composto da un prologo e due atti, si apre con Cavanosa seduto su una panchina in un parco, di notte, che in-voca la madre.7 Si sente il suono delle sirene della polizia. La lu-

id., Teatro pánico, cit., pp. 85-180. L’opera venne messa in scena per la prima volta nel marzo del 1966 a Parigi presso il Théâtre des Mathurinus da Georges Vitaly. Cfr. A. Chesneau, Décors et décorum. Enquête sur les objets dans le théâtre d’Arrabal, Québec, Naaman, 1984, pp. 68-77.Le citazioni da El gran ceremonial sono tratte dall’edizione del teatro completo di Arrabal curata da Torres Monreal e vengono segnate all’interno del testo tra parentesi tonde. Cfr. F. arraBal, El gran ceremonial, in id., Teatro completo, cit., vol. 1, pp. 573-649.

6 Il Dizionario etimologico della lingua italiana, a cura di M. Cortelazzo e P. Zolli, Bologna (Zanichelli, 1999), indica come più accreditata la derivazione del so-stantivo «malato» dal latino «male hab̆ tus», nel senso di «che è in cattivo stato».

7 Francisco Torres Monreal (Introducción, in F. arraBal, Teatro pánico, cit., pp. 57-58) schematizza il dramma come segue:

Prólogo:Cuadro I (parque, primeras horas de la noche): Cavanosa – Sil.

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ce aumenta ed entra Sil, che prende posto accanto a Cavanosa. Il primo quadro del prologo si chiude con l’uscita di scena della donna, che riappare all’apertura del secondo quadro, nella stes-sa situazione iniziale: sono trascorse due ore (come si apprende dalla didascalia), Cavanosa è ancora seduto sulla panchina e Sil gli si avvicina. L’azione si interrompe con l’uscita di scena di Sil e dell’Amante, mentre Cavanosa, nel buio completo, invoca nuovamente la madre. Si odono le sirene della polizia. Il terzo e ultimo quadro del prologo vede il ritorno di Sil, trascorsa un’ora dalla sua partenza, che si inginocchia ai piedi di Cavanosa. Il si-pario si chiude con il dialogo dei due personaggi che pianificano il successivo incontro, mentre in sottofondo rimangono costanti le sirene. Il prologo ci introduce in uno spazio aperto orizzon-tale, il parco, delimitato non da una recinzione reale, bensì dal suono delle sirene che, ciclicamente, «illuminano» la scena, co-me i fari notturni nel cortile di un carcere. Il recinto sonoro viene usato da Arrabal come si trattasse di un muro che ridi-mensiona l’estensione del parco ad un luogo più circoscritto.

Il primo atto introduce lo spettatore in una nuova situazione: sono trascorsi alcuni minuti (come detto nella didascalia) e le luci si accendono sull’abitazione apparentemente vuota di Ca-vanosa, in cui sono visibili alcune bambole nude e a grandezza

Cuadro II (parque, 2 horas más tarde): Cavanosa – Sil – Amante (este último a mitad del cuadro).Cuadro III (parque, una hora más tarde): Cavanosa – Sil.Acto primero:Habitación de Cavanosa [...].Cuadro único: A: Cavanosa – La Madre. B: Cavanosa – Sil.Acto segundo:Cuadro I-A (habitación de Cavanosa, unos minutos más tarde): Cavanosa – El Amante – Sil – Voz de la Madre.Cuadro I-B: Los anteriores más la Madre.Cuadro II (a la noche siguiente, de nuevo en el parque): Cavanosa – Lys.Cuadro III (en el parque, una hora más tarde): Cavanosa – Lys (más tarde, en réplica final, la Madre).

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naturale e un letto. L’abitazione è accessibile da due porte e si apre all’esterno con un balcone. L’azione riprende con l’ingres-so di Cavanosa, il quale, accendendo le luci, scopre l’inaspettata quanto sgradita presenza della Madre nella stanza. L’atto si svi-luppa interamente e senza interruzioni tra le quattro mura della camera, in cui si assiste allo scambio di battute tra Cavanosa, la Madre e, in un secondo momento, Sil. Il sipario cala nel climax dell’azione, mentre Cavanosa sta soffocando con le proprie ma-ni Sil, che, come estrema prova d’amore, ha volontariamente accettato di essere uccisa da lui. In questo atto, Arrabal porta lo spettatore dentro l’antro del mostro, in uno spazio chiuso e domestico, in una posizione perpendicolare rispetto alla super-ficie orizzontale del parco; la verticalizzazione acutizza il senso di vertigine per chi assiste, così come il disagio viene aumentato dal restringimento claustrofobico che provoca il passaggio da un ambiente esterno, idealmente senza limiti, ad un ambiente interno, ingabbiato dalle pareti. Arrabal intensifica inoltre l’ef-fetto portando lo spettatore da uno spazio vuoto come lo era l’ambientazione nel parco, metonimizzata dalla panchina, ad uno spazio pieno, sovraccarico di oggetti: oltre al letto, nella camera sono collocate «varias muñecas desnudas de tamaño na-tural» (596), un comodino, un copriletto, una frusta, due piccoli feretri, una bambola giocattolo senza testa, un coltello a serra-manico, una poltrona, una lampada, uno specchio, un pettine, una cassettiera, una collana, un collare chiodato, un fazzoletto, una parrucca, degli orecchini, una corda, una canna, una coro-na di spine, abiti maschili e femminili, un armadio, una lunga catena, una carrozzina, un cadavere di donna, delle manette. Oggetti comuni, quindi, come il letto o la cassettiera, ma anche oggetti simbolici, come la corona di spine, ed oggetti della per-versione, come la frusta e le manette.

Il secondo atto è articolato, come il prologo, in tre quadri. In questo caso, però, l’azione si sviluppa dapprima nello spazio chiuso della stanza di Cavanosa e, nel secondo e terzo movimen-

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to, di nuovo nello spazio semi-aperto del parco. La complessità presente nel primo atto raggiunge il grado massimo nel primo quadro del secondo atto, dove lo spazio viene ulteriormente ri-empito non solo di altri oggetti (una sedia, un cuscino, un ber-retto, delle carte da gioco, ecc.), ma anche di persone. Nella stanza da letto si riuniscono Cavanosa, la Madre, Sil e l’Amante e il luogo diviene un terreno di scontro tra mondi molto distanti tra loro: alla fine l’ordine, rappresentato dall’Amante, viene get-tato fuori del recinto sacro della casa di Cavanosa e della Madre, dove invece Sil rimane come vittima sacrificale. Qui potrebbe chiudersi definitivamente il sipario, ma la cerimonia di Arrabal non si esaurisce nell’esecuzione della condanna. Ed infatti il se-condo e terzo quadro del secondo atto riportano lo spettatore ad assistere alla stessa situazione del prologo: la notte seguente, ritroviamo Cavanosa seduto sulla panchina nel parco, in attesa della prossima vittima che, puntualmente, arriva; si tratta di Lys, un’altra giovane donna che, come Sil,8 si innamora di Cavanosa ma, contrariamente a lei, riesce a far breccia nel cuore dell’uo-mo, rompendo così la sequela rituale e nello stesso tempo il le-game tra Cavanosa e la Madre. Nonostante ciò, il suono delle sirene della polizia, che si udiva anche nel primo atto, ricorda allo spettatore che lo spazio non è sgombro, il personaggio può tentare la fuga, ma, come un sorvegliato speciale, viene costan-temente monitorato e la speranza di riuscita è flebile.

2. la dimensione miTiCa

El gran ceremonial è un dramma che appartiene al periodo delle sperimentazioni paniche caratterizzate dai grandi rituali,

8 La somiglianza tra le due donne e il loro destino sembra essere suggerito fin dai loro nomi, che costituiscono un palindromo quasi perfetto: Sil-Lys. Cionono-stante, la sottile differenza grafica tra «i»/«y» si rivelerà in seguito essenziale.

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dove il cerimoniale si concretizza nelle azioni ripetute, nei ge-sti reiterati, che non fanno progredire né l’azione né la vita del personaggio, ma hanno la funzione di tenerlo incatenato alle sue ossessioni che, giunte all’esasperazione, sfociano in comporta-menti violenti e crudeli.9 I referenti a cui Arrabal guarda sono molteplici:10 i modelli rituali sono quelli legati alla sfera del sa-cro, della religione, ma anche alla dimensione sociale, alla quo-tidianità dell’individuo che replica, giorno dopo giorno, azioni, gesti, parole (tra i molti esempi possibili, mi limito a ricordare l’estenuante quanto insensato allenamento atletico a cui si sot-topone la coppia di poliziotti formata da Lasca e Tiosido in El cementerio de automóviles). Lo scopo della messa in scena di questi rituali è duplice: da una parte, Arrabal vuole sottolineare la meccanicità e la schizofrenia a cui la cristallizzazione delle nostre abitudini può portare; dall’altra parte, la reiterazione di gesti e azioni simbolici produce un maggior grado di adesione al modello (basti pensare ai riti religiosi, anche a quelli cattolici) ed, inoltre, costituisce il punto di accesso per aprire la via al sacro, come succede nel riferimento alla «danza roteante» dei Dervisci, di cui Arrabal si appropria nelle scene finali del suo film Iré como un caballo loco.

In El gran ceremonial lo spazio teatrale si fonde con lo spazio

9 Arrabal definisce con queste parole la sua concezione di cerimonia: «La tragédie et le guignol, la poésie et la vulgarité, la comédie et le mélodrame, l’amour et l’érotisme, le happening et la théorie des ensembles, le mauvais goût et le raffinement esthétique, le sacrilège et le sacré, la mise à mort et l’exaltation de la vie, le sordide et le sublime s’insèrent tout naturellement dans cette fête, cette cérémonie “panique”». F. arraBal, Le théâtre comme cérémonie «panique», in id., Théâtre panique. L’Architecte et l’Empereur d’Assyrie, cit., pp. 7-9: 8. Sulla cerimonia arrabaliana, cfr. Á. Berenguer, L’exil et la cérémonie. Le primer théâtre d’Arrabal, Paris, Union générale d’Editions, 1977; F. Torres monreal (a cura di), El teatro y lo sagrado: de M. Ghelderode a F. Arrabal, Murcia, Universidad de Murcia, 2000.

10 Cfr. F. Torres monreal, Introducción, in F. arraBal, Teatro completo, cit., vol. 1, pp. 47-53.

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rituale e non poteva essere altrimenti, visto che fin dal titolo la cerimonia appare come l’asse centrale del dramma. La dimen-sione sacra, mitica, viene suggerita a chi legge sin dal nome del protagonista: Cavanosa.11 Oltre ad essere in modo evidente l’anagramma di Casanova, il nome può avere anche un’interpre-tazione anagogica, come ha suggerito Fernando Cantalapiedra. Secondo la sua ipotesi, infatti, la polisemia del nome potrebbe rimandare sia alla tradizione cristiana che a quella classica. «Ca-va», infatti, rimanderebbe alla «cueva», al sepolcro di Gesù e alla caverna di Platone; «nosa» corrisponderebbe invece al pronome personale «nos» che ricorre nel Padre Nostro e, contemporane-amente, farebbe riferimento al concetto filosofico del «nous», la ragione, umana e divina. Nomen omen: la stanza di Cavanosa è essa stessa una metafora della caverna o del sepolcro, luogo di prigionia e di morte, immerso nell’oscurità che solo la tenue luce artificiale della lampada può tentare di fendere, ma ad in-termittenza; è sufficiente, infatti, azionare un interruttore per far cadere tutto di nuovo nel buio. Anche il «paradiso terrestre» che il parco potrebbe rappresentare non viene mai rischiarato dalla luce, nemmeno quella lunare; è un hortus conclusus ma, contra-riamente al giardino del Cantico dei cantici, gli incontri che lì avvengono sono destinati a generare unioni mortifere.

L’universo binario che Arrabal rappresenta in scena è in continuo e altalenante equilibrio tra gli opposti: spazio aperto/spazio chiuso, luce/oscurità, amore/morte. La cerimonia che Cavanosa mette in piedi a metà del primo atto (quindi nel cen-tro del dramma) si basa anch’essa su quest’alternanza: Sil viene spogliata, oggetto dopo oggetto, della sua identità femminile e

11 Lo spettatore di El gran ceremonial non ascolta mai il nome dei personaggi visto che nei dialoghi essi non appaiono; solo il lettore del testo scritto può avere accesso alle informazioni aggiuntive che l’interpretazione dei nomi può suggerire. Cfr. F. CanTalaPiedra erosTarBe, En una noche obscura o «El gran ceremonial», in id., El teatro español de 1960 a 1975: estudio socio-económico, Kassel, Reichen-berger, pp. 117- 159: 121-122.

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rivestita di una nuova essenza, questa volta maschile; la meta-morfosi avviene a più livelli, poiché non si tratta solo di un mu-tamento di genere, ma anche di referente simbolico: Cavanosa trasforma Sil da Vergine Maria a Cristo, le raccoglie i capelli e le fa indossare una parrucca maschile – «Sil parece un hombre» (615) si legge nella didascalia – poi una tunica con una corda alla cintura, un bastone, una corona di spine ed, infine, dei san-dali. La trasformazione è completa. Alla celebrazione del rituale corrisponde, significativamente, un mutamento del linguaggio: la cerimonia si esprime in un codice linguistico diverso dalla quotidianità poiché il mistero è racchiuso nella parola e può essere enunciato ed inteso solo dagli iniziati. Arrabal sceglie il registro poetico-surrealista per far parlare Cavanosa, l’offician-te, durante lo svolgersi della liturgia, in forte contrasto con il linguaggio violento ed offensivo che caratterizza il personaggio; se, infatti, Cavanosa ha abituato lo spettatore a frasi piene di rabbia e di violenza, nello svolgimento della cerimonia le sue parole sono ricche di metafore oniriche, in cui è evidente l’eco del linguaggio poetico-surrealista:

Siéntese aquí, que la vea, que sienta el mediodía perfecto, la noche ciega, la luz sin espinas. [...]Construiré copas de telas de arañas para su pubis y lirios de hierro para sus labios entreabiertos. [...]Déjeme que la coloque como quiera, que conserve el planeta distante y el ojo de pez que asoma tras la timidez de las manos. [...]Es usted la imagen de la dicha que dialoga con la hermosura de la montaña (614).Una inmensa mariposa aspira a su boca, a su flor tranquila. [...]Déjeme ver su lengua cómo surge de la espuma y del calambre, y que provoque mi calambre y mi espuma. [...]Lengua murmullo, lengua espada, lengua primavera, lengua de cielo raso dispuesta al abandono y a la violación (615).

La posizione che questo tipo di linguaggio occupa nel dram-ma non è solo simbolica, ma anche fisica: collocato al centro del

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dramma, il registro poetico-onirico si appropria di uno spazio che era appartenuto fino a quel momento al linguaggio con-venzionale che, nell’estetica arrabaliana, è il mezzo attraverso il quale gli organi di repressione esprimono il loro potere e appli-cano la loro strategia di controllo.

Il «grande cerimoniale» che Cavanosa riproduce notte dopo notte, vittima dopo vittima, è il corteggiamento amoroso, che prende il via nel parco e si conclude, sempre uguale, nella caver-na del mostro. La liturgia fallisce in ogni occasione, costringen-do Cavanosa a riprodurla quotidianamente, perché è il rituale ad essere sbagliato: Cavanosa vorrebbe innamorarsi per libe-rarsi dell’ingombrante figura della Madre, amata e odiata allo stesso tempo,12 ma nessuna donna riesce a fungere da talismano contro la divinità perché anziché affrontarla, riuscendo così a infrangere il tabù, si piega al suo volere. La Madre è insieme Ci-bele e Kali, colei che dona la vita e colei che esige sacrifici uma-ni. Viene vinta, al termine del dramma, da Lys, che non è solo la «donna giusta», ma è l’altra metà della mela platonica, il doppio di Cavanosa. Le opposizioni tra Sil e Lys non si esauriscono ov-viamente nella complementarità del nome, ma si rivelano ancor più nel linguaggio che le due donne usano: mentre la prima, nel desiderio di farsi accettare, non abbandona la logica della con-venzione verbale, adattandola all’uso violento che Cavanosa e la Madre fanno del linguaggio, Lys rivela il suo essere diversa dalle altre e, ancor più importante, il suo essere uguale a Cavanosa nel registro poetico-surrealista di alcune sue battute:

¡Qué bonito es hablar con un hombre! Me gusta mucho. La esperan-za circula como los siglos en las torres (642).

12 Sulla figura della Madre nei drammi di Arrabal la bibliografia è abbon-dante; mi permetto di rimandare a: P. Bellomi, Mitificación y desacralización. La figura de la madre en Los dos verdugos de Fernando Arrabal, in «ALEC. Anales de Literatura Española Contemporánea», 32.2, 2007, pp. 123-146 e alla bibliografia ivi citata.

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Titila dentro de mí un mar de espigas y tiemblan los prodigios. Una muchedumbre de cisnes minúsculos me roza los poros (643).13

Lys porta a compimento il cerimoniale perché non aspetta di ricevere la benedizione dall’officiante, come aveva fatto Sil accettando di essere spogliata e poi modellata ad immagine e somiglianza della volontà della Madre.14 Lys è una sacerdotessa, al pari di Cavanosa, condivide con lui il «Nous» e questa coin-cidenza spirituale permette di dar vita al «Nos», come sottoli-nea il soggetto plurale che Cavanosa usa al termine del dramma parlando dei loro progetti futuri: «Sí, vamos a recorrer países y más países, siempre cambiando de ciudad. Seremos los foraste-ros y la línea. El azul frenético sacudirá nuestro silencio y nos pondrá estrellas y piedrecitas por nuestros ojos cerrados» (647). I due celebranti portano a termine la funzione abbandonando, insieme, la caverna: in scena rimane, solitario, l’idolo, che ha perso la sua autorità e sacralità; il cordone ombelicale con la Madre è stato finalmente tagliato. Questo non significa però che gli eroi arrabaliani abbiano vinto il sistema che ha prodotto la loro alienazione, come ci ricordano le sirene della polizia che si odono mentre il sipario scende. Lo spazio chiuso della realtà in cui si muovono i personaggi non concede una speranza di liberazione immediata; ciononostante, il viaggio invocato dalle parole di Cavanosa e intrapreso dalla coppia lascia pensare che

13 Anche Sil, nel prologo, ricorre al linguaggio poetico-surrealista, ma vi ri-nuncia per adattarsi al linguaggio repressivo di Cavanosa e della Madre; proprio per questo Sil fallisce il suo tentativo: non è accettando il sistema che si ottiene la libertà che Cavanosa va cercando.

14 È Lys a chiedere di indossare le catene, esprimendo così un desiderio suo, non di Cavanosa:lys: ¿Me deja ponerme la cadena?Cavanosa: Es para la muñeca.lys: Sólo un momento, por ver qué pasa.Cavanosa: Bueno [...].lys: ¡Qué bien queda! (648).

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una possibilità di salvezza ci sia. E ciò viene suggerito dall’esclu-sione in scena delle figure umane al calare del sipario: lo spazio vuoto è riempito solo dal suono delle sirene, mentre l’uomo è in cammino, alla ricerca del suo destino e della libertà.

3. la dimensione PsiCologiCa. la raPPresenTazione della Perversione e il TeaTro Come Cura

In tutta la sua produzione teatrale, Arrabal ricorre alla di-mensione mitica per tradurre in scena una dimensione soggetti-va che ha reso la sua opera così coerente ed originale. È lo stesso autore che, raccogliendo la proposta del critico Alain Schifres, definisce El gran ceremonial come una «pièce psychologique».15 I temi ricorrenti che appaiono nella prima fase creativa li ri-troviamo, declinati in maniere diverse, anche nelle sue opere più recenti:16 uno su tutti, l’amore intriso di sadomasochismo, tenero e allo stesso tempo violento, puro e profondamente im-morale.

Cavanosa è un individuo malato, che, in assenza della figu-ra paterna, cerca gratificazione e il riconoscimento di sé nel-la Madre. Come spesso accade nella sua opera, Arrabal parte dalla sua storia personale per costruire un alterego che, una volta dotato di vita, oltrepassa le somiglianze con il creatore e acquisisce un’identità propria. Ne El gran ceremonial i punti

15 In un’intervista con Arrabal, Alain Schifres commenta: «Il reste que vostre personnage [Cavanosa] a des raisons très précises, très cliniques de souffrir: il a telle difformité, tels rapports avec sa mère, il a eu telle enfance, etc., en un mot, il est expliqué. C’est du théâtre plus psychologique que “poétique”»; Arrabal gli risponde esclamando: «Alors je suis très fier. Quel malheur si je n’avais jamais écrit une “pièce psychologique”!». A. sChiFres, Entretiens avec Arrabal, Paris, Pierre Belfond, 1969, p. 128.

16 Per una rassegna dei temi più ricorrenti nell’opera di Arrabal, cfr. F. Torres monreal, Apuntes para la vida de Fernando Arrabal, in F. arraBal, Teatro comple-to, cit., vol. 2, pp. 2103-2160.

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di coincidenza tra autore e personaggio sono molti: entram-bi sono personalità ipersensibili, che hanno perso il padre e sono stati cresciuti dalla madre, amata ed odiata con la stessa intensità, entrambi hanno sofferto per le deformazioni fisiche del loro corpo (reali, nel caso di Cavanosa, presunte nel caso di Arrabal, che per lungo tempo è stato ossessionato dall’idea di avere una testa sproporzionata).17 Ma se i punti di contatto tra biografia e opera sono numerosi e manifesti, altrettanto vale per le distanze. Arrabal riversa le sofferenze e le paure di cui è popolato il suo universo psichico sul palco, dotando Cavanosa dei più biechi attributi: Arrabal, come un novello Dr. Jeckyll, lascia a Mr. Hyde il carico dell’abiezione. Cavanosa è il ritratto dell’uomo panico che Arrabal aveva illustrato nel manifesto del movimento fondato nel 1962 da lui, Topor e Jodorowsky, in cui si legge:

Fantasmas del hombre pánico:- Paranoia (y no esquizofrenia)- Megalomanía y modestia- Desesperanza, pero no angustia- Enfermedades y deformaciones- Celos, fetichismo, necrofilia, etc.- Susceptibilidad

17 Sono le parole stesse di Arrabal a confermare le somiglianze tra la sua bio-grafia e il protagonista de El gran ceremonial quando afferma: «Je l’adorais [ma mère]. J’étais d’une jalousie féroce. Parfois au jardin public, nous nous asseyions par terre et les hommes contemplaient ses jambes. Alors je les cachais avec mon pull-over. [...] Je me plaçais toujours entre ma mère et les hommes, j’étais disposé à me battre pour elle contre n’importe qui. Au moment de la rupture [avec ma mère] dont je vous parlais, j’ai commencé à croire à la démocratie». Nonostante la rottura con la madre e una certa disponibilità economica, Arrabal non se ne va di casa, giustificando la sua incapacità a lasciare il nido familiare come un gesto dovuto alla memoria di suo padre: «Je pense que, si je ne suis pas parti de chez moi, ce fut par refus de soumission, en hommage à mon père, je n’ai pas voulu fuir. De même, j’essaye de combattre mes obsessions». sChiFres, Entretiens avec Arrabal, cit., pp. 21-22.

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- Mitología (todo lo que se ama)- Mitomanía18

Cavanosa è un personaggio parafilico ossessivo-compulsivo: come si trattasse di un Casanova deviato, ogni notte va al parco per attrarre e catturare la propria vittima, che, una volta con-dotta nel luogo della tortura, verrà sottoposta a violenze verbali e fisiche; allo stesso tempo, il personaggio si lascia umiliare e ridurre all’impotenza (fisica e simbolica) dalla figura materna. Cavanosa prova piacere nel suo duplice ruolo, di torturatore e di torturato, cerca l’umiliazione, perché questa gli permette di giustificare le pulsioni crudeli e violente che prova verso la Madre, ma che scarica sulle altre donne o sui manichini, che altro non sono se non dei simulacri.19 Le didascalie sottolineano i continui ed ingiustificati cambiamenti d’umore: il prologo si apre con Cavanosa «triste», che passa nelle battute successive da una «timidez excesiva, casi caricaturesca» a «violento» (575), per poi affermare: «(Sin ninguna emoción) Soy un asesino. Aca-bo de matar a mi madre» (576). Gli esempi potrebbero conti-nuare, tutti simili, fino al termine del dramma.

Cavanosa è un «anormale», come afferma lo stesso Arrabal, è un perverso, è l’individuo i cui eccessi causano l’emarginazione dalla società, una società che è, a sua volta, malata, irrigidita da convenzioni vuote e alienanti, che tendono ad omologare l’individuo per tenerlo sotto la propria ala protettiva o per me-

18 F. arraBal, El hombre pánico, in id., El cementerio de automóviles, Ciugre-na, Los dos verdugos, Madrid, Taurus, 1965, pp. 27-37: 36.

19 I manichini di Arrabal ricordano la definizione di «automa» di Deleuze e Guattari quando scrivono: «Niente bocca. Niente lingua. Niente denti. Niente laringe. Niente esofago. Niente stomaco. Niente ventre. Niente ano. Gli automi si arrestano e lasciano venir su la massa inorganizzata che articolavano. Il corpo pieno senza organi è l’improduttivo, lo sterile, l’ingenerato, l’inconsumabile». G. deleuze, F. guaTTari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino, Einaudi, 1975, pp. 9-10.

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glio controllarlo.20 Cavanosa è un fuori casta, un ricercato, per i (presunti?) delitti commessi ma, forse, la colpa reale che gli viene imputata e per cui deve essere perseguitato e punito è il desiderio di libertà che il suo comportamento trasgressivo de-nuncia.

Volendo tentare di dare un’interpretazione più ampia alla caratterizzazione che Arrabal fa di questo personaggio, si po-trebbe stabilire un parallelismo tra la tubercolosi, malattia di cui ha sofferto l’autore e che l’ha profondamente segnato, e le per-versioni sessuali di Cavanosa.21 Rifacendomi alle osservazioni di Susan Sontag nel suo testo ormai classico Malattia come metafo-ra, ricordo che la tubercolosi ha catalizzato, per molto tempo, le ansie e le paure della società occidentale, tanto da diventare un motivo non solo letterario, ma anche esistenziale: basti pensare ai letterati romantici come Keats, fisicamente emaciati e soffe-renti come i protagonisti delle loro poesie. Scrive Sontag:

Si credeva un tempo – e si continua a credere – che la tbc produca pe-riodi di euforia, di grande appetito, di desiderio sessuale esacerbato. [...] La tbc veniva ritenuta un afrodisiaco, che conferisse straordinari poteri di seduzione. [...] Ma è tipico della tbc che molti dei suoi sin-tomi siano ingannevoli.22

20 Afferma Arrabal: «[Cavanosa] s’exprime comme tout le monde et, bru-squement, il parle d’une manière anormale. Mais cette manière “anormale” évo-que la manière “normale” de parler des gens, des autres, c’est-a-dire justement les êtres normaux qui en son ni “différents”, ni obsédés. Cavanosa est un personnage dostoïevskien. C’est-a-dire qu’il joue le jeu des gens normaux, mais sans jamais se mettre dans leur peau, en “gardant ses distances” ironiquement et douloureuse-ment». sChiFres, Entretiens avec Arrabal, cit., p. 125.

21 Arrabal, in numerose interviste, parla dell’esperienza nel sanatorio, che ri-produce anche nel suo film ¡Viva la muerte! (Francia/Tunisia, 1971, 87’), dove il regista-autore inserisce una sequenza in cui Fando, il piccolo protagonista malato di tbc, viene sottoposto ad un intervento chirurgico, con l’asportazione di parte dei tessuti polmonari.

22 S. sonTag, Malattia come metafora, Torino, Einaudi, 1992, pp. 13-14.

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L’analisi di Sontag trova riscontro anche nelle parole usate da Arrabal per descrivere il suo stato durante la malattia; lo scritto-re, infatti, offre una visione piuttosto romantica della sofferen-za, nella quale la malattia è associata per analogia al peccato e al castigo e la guarigione corrisponde al sacrificio estremo della morte volontaria:

Par exemple, vers 17 ans, j’ai traversé une époque de grande dépres-sion. C’était au moment de toutes les ruptures, de tous les drames intimes [...]. J’ai décidé de me tuer. Je ne savais pas alors que j’étais tu-berculeux, car, en Espagne, on ne pratiquait pas la tomographie. Mais j’avais des difficultés avec mes poumons et j’ai pensé qu’il suffisait de beaucoup pécher une journée entière pour que ce fût un suicide. J’ai tout prévu, j’ai beaucoup péché toute une journée, presque jusqu’au sang. Ensuite, j’ai été me confesser de tous ces péchés et j’ai cru que j’allais mourir le soir même.23

Ricordando il suo ricovero in ospedale a Bouffémont, durato un anno e mezzo, Arrabal associa quel periodo ad un momento positivo, dove era accudito ed era lasciato libero di creare:

J’ai été opéré. On est très bien en sana, on peut lire, écrire. On ne se sent pas malade et les gens meurent le sourire aux lèvres. Ce séjour m’a été très utile. [...] Si un jour je n’ai plus de quoi manger, je redevien-drai tuberculeux, j’irai dans un sana. Je serai bien. [...] J’ai fini Fando et Lis, j’ai écrit Le labyrinthe, Les deux bourreaux, et d’autres textes encore. [...] J’avais entassé une pile d’un mètre de manuscrits.24

La tubercolosi per Arrabal coincide quindi con un momento di grandissima produttività artistica e forse non è un caso che le tre opere nominate siano ricche di scene violente ed eccessive, un riflesso dello stato di febbrile eccitazione causata dalla malat-

23 sChiFres, Entretiens avec Arrabal, cit., p. 28.24 Ibid., p. 37.

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tia in cui si trovava l’autore. Scrive Sontag: «Con la tbc una per-sona viene “consumata”, bruciata. [...] La tbc è una malattia del tempo: accelera la vita, le dà risalto, la spiritualizza».25 Arrabal riversa la pulsione creatrice che lo esorta incessantemente a scri-vere nella carica trasgressiva della sua opera, dove l’esaltazione della vita e dell’amore deve convivere con la sacralizzazione del-la violenza e della morte. L’autore rielabora la sofferenza causa-ta dalla malattia dando vita a personaggi dalla natura ambigua, «malati di passione».26 Sontag nota ancora che i tubercolotici vengono curati, oltre che con il «cambiamento d’aria», anche con la «terapia del sesso», ossia ai malati vengono prescritti frequenti rapporti sessuali a fini terapeutici, poiché si credeva che la malattia fosse causata da un sentimento appassionato ir-refrenabile che provocava gli attacchi.27 Inoltre i tubercolotici sono persone dotate di un’eccessiva passionalità che consuma le forze fino a ridurre i malati ad una deficienza di vitalità che Son-tag associa all’impotenza fisica28 e, in seconda battuta, all’iso-lamento a cui la comunità costringe l’individuo sofferente.29 Il ritratto del tubercolotico tratteggiato dalla studiosa statunitense si adatta non tanto alla figura di Arrabal, quanto a quella del suo alterego drammatico.

Nel grande cerimoniale dell’amore, il novello Cavanosa-Ca-sanova conquista con facilità le sue amanti, nonostante il carat-

25 sonTag, Malattia come metafora, cit., p. 14.26 Scrive Sontag: «La più impressionante somiglianza tra i miti del cancro e

quelli della tbc è che entrambe le malattie sono, o erano, viste come malattie della passione. Nella tbc la febbre era un segno di incendio interiore: il tubercolotico è una persona “consumata” dall’ardore, quello stesso ardore che porta alla dis-soluzione del corpo. L’uso di metafore tratte dalla tbc per descrivere l’amore [...] anticipa di molto il movimento romantico. A partire dai romantici, l’immagine venne invece capovolta e si cominciò a vedere nella tbc una variante della malattia d’amore». Ibid., p. 21.

27 Cfr. ibid., p. 22.28 Ibid., p. 31.29 Ibid., p. 37.

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tere irascibile e scontroso e l’aspetto fisico deforme (Cavanosa è gobbo e zoppo), anzi è proprio questa sua alterità che crea il legame amoroso. Nel caso di Sil, dopo essere stata insultata gratuitamente e in ripetute occasioni, si rivolge a Cavanosa con queste parole: «¡Qué contenta estoy! Me temía que se hubiera marchado. (Silencio). ¿Está enfadado? La culpa es mía. Le he traído estas flores» (582). La donna non solo torna felicemen-te dal suo aguzzino, ma si addossa la colpa di azioni che non ha commesso, anzi, di cui è stata vittima, ed inoltre, per otte-nere il perdono del suo amato, sente il bisogno di offrirgli un dono simbolico (i fiori). Nonostante Sil riconosca l’anormalità di Cavanosa – alla domanda: «¿Soy un monstruo o un hombre normal?», Sil risponde: «No es normal. [...] Usted es deforme» (594) – non può fare a meno di apprezzare la sua diversità – «Creo que usted es un ser único» (584) – e, incalzata dall’uomo, conferma la sua ammirazione ricorrendo al linguaggio poetico-surrealista:

Cavanosa: Precise: ¿soy un monstruo... o si prefiere un enfermo, un deforme o no?sil: Sí, lo es.Cavanosa: No me refiero a monstruosidades espirituales sino físicas, «visibles». (Silencio). Responda.sil: Sí, lo es. [...]Cavanosa: ¿Qué es lo que más le atrae de mí: mi aspecto físico o mis «cualidades espirituales»? [...]sil: El conjunto de ambas cosas.Cavanosa: La llevo a mi casa.sil: ¡Qué feliz soy! Espero el bulto de armonía que palpite en mi boca y el peso del corazón en mi tiniebla (594).

Dinamiche molto simili si ripropongono negli incontri con Lys; nonostante le venga chiesto di compiere un omicidio, non può far a meno di rimanere accanto a Cavanosa, «a sus pies, como un perro» (645); non solo: la donna sente il bisogno di

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offrire un dono (una frusta) al suo aguzzino, cercando così di espiare una colpa inesistente e di meritare il perdono del carne-fice, sacrificando se stessa:

lys: No, he ido a buscar un regalo para usted. (De debajo de la falda se saca un látigo). Este látigo es para usted. Tenga, se lo regalo.Cavanosa: ¿Para qué?lys: Para que me azote. [...] He sido mala, me lo merezco (645-646).

Così come la tubercolosi era stata ritenuta un afrodisiaco che dava al malato straordinari poteri di seduzione, anche le manife-ste deformità fisiche del sadiano Casanova di Arrabal lo rendo-no, agli occhi di Lys, un uomo attraente e irresistibile:

Cavanosa: Dicen que no soy como los demás, que soy grotesco y monstruoso.lys: ¿Por eso de que quiere matar a su madre?Cavanosa: No, por mi aspecto físico.lys: Pero si es usted muy simpático. Y muy guapo. Más guapo que mi madre y más guapo que yo, desde luego (643).

Sil e Lys dimostrano, nel loro attaccamento per Cavanosa, di subire il fascino ambiguo della promessa di un amore intriso di dolore che l’uomo offre loro; Cavanosa esercita un potere am-maliatore sulle sue vittime, che riesce ad attirare dentro la sua ragnatela, dove vengono immobilizzate e avvolte nel bozzolo-sudario. La mente perversa dell’uomo riduce le menti sensibili delle vittime al suo volere, senza troppe difficoltà e senza incon-trare grosse resistenze, forse perché le stesse donne hanno a lo-ro volta una componente masochista, che fa sì che riconoscano Cavanosa non come una minaccia, ma come un essere divino. Ma Lys e Sil non sono le uniche a soffrire le conseguenze della perversione di Cavanosa. È egli stesso vittima della sua malattia, che gli causa un incontenibile desiderio sessuale tanto da co-stringerlo a cercare nei manichini dei surrogati della donna ide-

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ale, su cui sfogare le proprie pulsioni.30 Come fa notare il perso-naggio della Madre, il disturbo del figlio subisce un progressivo peggioramento; infatti, Cavanosa non riesce più a contenere il suo desiderio sfogandosi sui semplici simulacri di plastica; come un vero omicida seriale, la sua perversione non può che evol-vere, alla ricerca di nuovi stimoli che riescano a soddisfare una frenesia crescente e inappagabile, che necessita del possesso di corpi in carne ed ossa:31

la madre: Todo comenzó, no lo dudes, con las muñecas. Nunca debí habértelo consentido. Al principio eran muñecas normales, y, luego, cada vez te hacían falta mayores, hasta que sólo aceptabas las que tenían el tamaño de una mujer. Sólo ésas (597).

L’impotenza del malato di tubercolosi si traduce in Cavanosa nelle ridotte dimensioni dei suoi attributi maschili, come am-mette egli stesso – «Quiero confesarle una cosa: mi sexo es muy pequeño» (579) – sottolineando così la frustrazione continua che patisce il personaggio nel vedere il proprio desiderio frena-to dalla mancanza di virilità; ma l’impotenza di Cavanosa non è solo di tipo sessuale, è anche metaforica: l’incapacità di agire, di portare a termine il suo progetto di liberazione lo induce a neu-tralizzare anche gli altri, immobilizzando le donne che cattura fino a ridurle a dei corpi inerti, senza vita. Finché Cavanosa non

30 Nella didascalia che apre il primo atto si legge: «Habitación de Cavanosa. Varias muñecas desnudas de tamaño natural. Una cama. [...] Entra Cavanosa, se dirige a una de las muñecas, la besa apasionadamente mientras la acaricia. Va a la cama y echa un edredón para esconder algo que no se distingue dada la oscuridad» (596). Si scoprirà poi che Cavanosa sta nascondendo il cadavere di una donna, la vittima precedente a Sil.

31 Come nota a margine, si potrebbe aggiungere che i manichini sono una metafora moderna della mercificazione di cui il corpo umano è stato oggetto nella società consumistica, dove il sesso viene esposto in vetrina, sulle copertine delle riviste, sui cartelloni pubblicitari, «trasformato in discorso», usando le parole di Michel Foucault, anestetizzando così la sua carica trasgressiva. Cfr. B.-H. levy, Foucault: no al sexo rey, in «Triunfo», 752, 1977, pp. 46-51.

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ucciderà simbolicamente la Madre, non potrà mutare il corso degli eventi, rimanendo schiavo nello spazio chiuso in cui la ge-nitrice l’ha imprigionato. Cavanosa conquista la libertà quando abbandona la caverna, sconfiggendo la paura che l’ombra terro-rifica della Madre incute, e inizia con Lys il viaggio alla ricerca del proprio destino. È il «cambiamento d’aria» più che la «tera-pia del sesso» a funzionare con Cavanosa, che solo mutando lo spazio vitale può nutrire una speranza di guarigione.32

Cavanosa è un «prigioniero del desiderio» e il deside-rio, scrivevano Deleuze e Guattari, è «sconvolgente» perché è «nella sua essenza rivoluzionario, [...] è rivoluzione da sé e involontariamente».33 Ed è per questo che viene represso dalle strutture (mentali, politiche, culturali, economiche, ecc.), per poter essere ridotto sotto controllo. Come correttamente faceva notare Michel Foucault in un’intervista, non sono solo le strut-ture di potere che strumentalizzano il «discorso autentico» che riguarda le relazioni sociali. Anche i movimenti di liberazione, che hanno fatto del sesso la loro bandiera progressista, hanno in realtà usato le stesse tecniche repressive dei conformisti poiché hanno basato il loro discorso non su un’alternativa, bensì sulla classica opposizione «noi/loro», «buoni/cattivi», come se la re-altà fosse riducibile ad uno sterile dualismo e non contemplas-se invece uno spettro di scelte molto più ampio.34 È necessario «fallire le parole», utilizzando un’espressione di Artaud,35 ossia far traballare il senso comune del discorso affinché questo torni

32 Arrabal fa intraprendere a Cavanosa la stessa via dell’esilio da lui imboccata nel 1954 poiché questa rappresenta l’unica speranza di libertà: «Il a fallu choisir: ou rester en Espagne en dissimulant des croyances contre les quelles s’exerçait une atroce répression, ou préferer l’héroïsme du martyr ou enfin l’exil». sChiFres, Entretiens avec Arrabal, cit., p. 58.

33 deleuze, guaTTari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 129.34 Cfr. levy, Foucault: no al sexo rey, cit.35 L’espressione usata da Artaud è: «J’ai raté mes mots». Cfr. C. Pasi, La comuni-

cazione crudele. Da Baudelaire a Beckett, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, p. 121.

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alla sua essenza. Il primo passo verso il recupero dell’autenticità è il riconoscimento delle costruzioni culturali che diventano, an-che attraverso il linguaggio, delle costrizioni per l’individuo. E il messaggio di El gran ceremonial va proprio in questa direzione. La famiglia è tradizionalmente l’agente delegato alla rimozione, è lo strumento più efficace per governare l’individuo e «tenden-dogli lo specchio deformante dell’incesto [...] si riempie il desi-derio di vergogna, di stupore, lo si pone in una situazione senza via d’uscita».36 Il conflitto edipico che affiora costantemente in Arrabal si ritrova anche in quest’opera, dove il desiderio più grande è costituito dall’amore, detonatore di una carica di cam-biamento e liberazione molto più potente delle strutture ideo-logiche repressive,37 che cercano di arginarne gli effetti usando proprio la famiglia come organismo di controllo. La Madre, simbolo dell’ordine costituito, è presente tanto nel nucleo do-mestico di Cavanosa come in quello di Lys, ed in entrambi i casi si tratta di una figura materna oppressiva e violenta:

lys: Pues sabe, me he escapado de mi casa hace un rato. [...] Si mi madre se entera, la que va a armar. Me tiene siempre encerrada en mi cuarto por las noches, para que no me escape ata su pierna a mi tobillo con esta cuerda. [...] Dice que me voy a ir con hombres. Por eso nunca me deja salir. Por la mañana, cuando se despierta, como tiene miedo de que me haya escapado por la noche, me huele entre las piernas (641).

La Madre di Cavanosa non si limita a controllare i movimen-ti del figlio fuori e dentro la casa, ma cerca di tenerlo morbosa-mente legato a sé:

la madre: [...] ¿Qué buscas? ¿Qué quieres encontrar? Sólo conmigo

36 Ibid., p. 133.37 Dice la Madre a Cavanosa: «La pasión siempre te ha llevado a hacer los

actos más irriflexivos» (602).

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podrás ser feliz. Vuelve a mí como si nada hubiera ocurrido. [...] ¿Has perdido la virginidad? [...] No lo olvides, hijo mío, todo eso lo puedes evitar. Ya te he enseñado yo cómo. Y aquí estoy siempre dispuesta...Cavanosa: (Interrupiéndola). Tus manos, mamá... [...]la madre: ¿Ya no te basto? (598).

L’incesto, quindi, come la più efficace arma di controllo per-ché lega il desiderio al senso di colpa.38 Le pulsioni sadoma-sochiste di Cavanosa trovano una giustificazione nell’estetica di Arrabal e non una condanna poiché, come ha spiegato l’au-tore, «nous [les espagnoles] avons été élevés dans la douleur. [...] Nous étions nourris de sado-masochisme».39 L’associazione desiderio-dolore è inevitabile per Arrabal, che infatti ammette:

Le monde de l’amour, de la passion ardente invente à tout instant son infini. J’ai éprouvé l’intensité de l’amour à travers la souffrance, j’ai senti que si l’on voulait – peut-être moi-même – montrer son amour, il fallait y parvenir en se détournant tout à fait de la mort. Il fallait de la vie, donc une certaine violence.40

Sul piano drammatico, Arrabal traduce la libido in quello che Raquel García-Pascual chiama «desbordamiento emocional»,41 ossia la perdita del controllo dei propri sentimenti, la cui carica incontenibile finisce per destabilizzare il soggetto e, come effet-to secondario, anche le persone con cui l’individuo interagisce. In El gran ceremonial, il desiderio viene declinato in delirio, in-teso come

38 Afferma ancora Arrabal: «Toute autosatisfaction se transformait en un com-bat entre le supplice du “péché” et l’exaltation des sens. [...] La sexualité était bien sûr totalement réprimée en Espagne». sChiFres, Entretiens avec Arrabal, cit., p. 25.

39 Ibid., pp. 29-30.40 Ibid., p. 24.41 R. garCía-PasCual, Codificación semiótica del canon y el desvío: el género en

el teatro de Miguel Romero Esteo, in «Bulletin of Hispanic Studies», 86.5, 2009, pp. 641-657.

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il modo in cui le cose sono vissute e sono interpretate, un modo che non consente cambiamenti e non ammette modificazioni e correzioni, [in cui] non è possibile mutare il proprio punto di vista sulle persone e sulle situazioni: si è irrigiditi e immersi in un solo modo che è quello dell’autoriferimento e non è possibile nessuna svolta copernicana nel-la valutazione delle cose.42

Cavanosa è affetto da un delirio di tipo passionale, attribu-isce un peso sproporzionato al rapporto affettivo con la Ma-dre, tanto da sviluppare un atteggiamento masochista nei suoi confronti, mentre agisce con sadismo sui feticci da lui creati (le bambole e le donne adescate nel parco). Cavanosa teme di sentirsi respinto a causa delle sue deformità fisiche, come gli succedeva da piccolo;43 fino all’incontro con Lys, solo la Madre può garantirgli quell’«accettabilità assoluta» che il personaggio va cercando e, per non perdere la fonte della sua felicità, cerca in tutti i modi di non deluderla.44 Gli attacchi verbali rivolti da Cavanosa alle altre donne servono per riaffermare la superiorità della Madre rispetto a qualsiasi altra persona che dimostri atten-zione e affetto nei suoi confronti: l’equazione donna = prostitu-

42 E. Borgna, B. Callieri, Delirio, in «Enciclopedia Treccani.it», http://www.treccani.it/enciclopedia/delirio_%28Universo_del_Corpo%29/, data consulta-zione 11/2011.

43 La Madre dice a Cavanosa: «Hijo mío, ¿te acuerdas lo muy felices que éramos antes? Tú eras un niño dócil y yo te llevaba al parque por la noche cuan-do los demás niños se habían marchado, y así no te insultaban» (597). Poco più avanti, con crudeltà, torna a ricordare al figlio le sofferenze che le sue deformità gli hanno causato: «Sobre todo fue un error llevarte al colegio. Y no porque tus compañeros te insultaran, que al fin y al cabo era inevitable dada tu configuración física» (598).

44 Scrive Carlo Pasi a proposito del rapporto tra Antonin Artaud e Jacques Rivière, direttore della «Nouvelle Revue Française»: «Il sentirsi respinto va al di là del fatto di essere pubblicato o meno [...]. L’“accettabilità assoluta” per Artaud riguarda infatti il riconoscimento della peculiarità della propria persona in ciò che ha di più profondo, per cui la rivendicazione ad un’esistenza letteraria significa il poter manifestarsi nella sua verità davanti all’altro». Pasi, La comunicazione cru-dele. Da Baudelaire a Beckett, cit., pp. 91-92.

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ta – Cavanosa si rivolge spesso a Sil chiamandola «puta» – per-mette di continuare a considerare la genitrice come la divinità infallibile. Il piacere di umiliare le figure femminili diverse dalla Madre costituisce lo stadio che precede la fantasia più estrema: la loro uccisione. Cavanosa, prima di rendersi conto che è la Madre l’ostacolo da rimuovere, cerca la liberazione nella morte dei suoi surrogati:

sil: ¿Le gustaría insultarme?Cavanosa: Sí.sil: Entonces, insúlteme, insúlteme. [...] Se ríe de mí. ¿Me quiere hu-millar? [...] ¿Le gustaría que muriera?Cavanosa: Me gustaría matarla.sil: ¿Y me besaría antes de matarme? [...]Cavanosa: No, ni antes ni después; mi boca nunca tocará su boca, ni mi cuerpo su cuerpo (585).

Una cerimonia sacrificale che la stessa Sil spiega all’Amante in questi termini: «Todas las noches mata a la mujer que seduce en una apoteosis de amor» (627). L’Amante, che nell’economia del dramma rappresenta una figura dell’ordine, non può che condannare gli atteggiamenti sadici e violenti di Cavanosa, qua-lificandoli come le azioni di un pazzo ed è con questo appella-tivo ripetuto che si rivolge a lui: «Está loco, loco, loco» (624), «Pobre loco» (626), «Es un loco» (627); a quest’ultima afferma-zione dell’Amante, Sil risponde: «Es libre» (627), svelando così il significato che Arrabal attribuisce al comportamento trasgres-sivo e deviato di Cavanosa. Il delirio che questo personaggio manifesta trova la sua cura non nella scomparsa dei sintomi, ma nella condivisione degli stessi con altri individui, ossia con Lys, la sua parte opposta e complementare: Lys è colei che fabbrica le bambole che Cavanosa nasconde in camera, è colei che con-feziona le fruste che Cavanosa utilizza con le sue vittime. Anche Lys è schiava di una madre-padrona, che la tiene chiusa in casa, legata per evitare che scappi, non ha un padre e, come Cavano-

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sa, vuole abbandonare il nido materno. Ed è proprio lei a far fare a Cavanosa la «svolta copernicana» di cui parlano Borgna e Callieri, ossia a guarirlo dal suo delirio:

lys: He pensado que podría irme definitivamente de mi casa y venir-me a vivir con usted [...].Cavanosa: Hace tiempo que lo tengo planeado, pero nunca me deci-do [...] Como ya no la veré más puedo confesarle algo: me gusta estar con usted.lys: Y a mí con usted.Cavanosa: Por eso es mejor que no vayamos juntos. [...] Porque luego querría matarla. [...] ¡La mataría «de amor»!lys: Entonces sería muy bonito.Cavanosa: Usted no es como las demás (646-648).

Analizzando i romanzi sadiani, Angela Carter nota che «la morte è sempre un castigo violento inflitto da un altro, oppure dalla Natura stessa. La morte, in Sade, è sempre l’improvvisa, violenta metamorfosi di ciò che è vivo in ciò che è inerte. [...] La reciprocità delle sensazioni non è possibile perché condividere significa essere derubati».45 Questo è valido per Cavanosa fino al suo incontro con Lys: nel momento in cui la ragazza riesce a inserirsi tra la Madre ed il figlio, rompe gli equilibri della coppia e libera, psicologicamente e fisicamente, Cavanosa dalle catene. A questo punto, Cavanosa può accettare di condividere le pro-prie emozioni con un altro essere umano.46 Le immagini statiche che caratterizzano quasi tutto il dramma (i manichini, l’edifi-cio, la circolarità delle azioni) traducono la paralisi psicologica in cui il personaggio si trova nel momento in cui conosce Lys.

45 A. CarTer, La donna sadiana, Milano, Feltrinelli, 1986, pp. 126-127.46 Scrive Torres Monreal: «A Cavanosa sólo podrá liberarlo quien establezca

con él un predicado de sinceridad en el contexto de una relación vital de identifi-cación. Debe ser éste un personaje que enlace con Cavanosa, no de modo racional sino a partir de lo concreto vivido» (corsivo dell’autore). Torres monreal, Intro-ducción, in F. arraBal, Teatro pánico, cit., p. 59.

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L’innamoramento permette la liberazione e viene tradotto con le immagini di movimento: Lys occupa nella carrozzina il posto che apparteneva prima ai manichini o alle vittime di Cavanosa; la carrozzina stessa, che fungeva simbolicamente da bara, di-venta ora un mezzo di trasporto con cui intraprendere insieme il viaggio; l’appartamento viene abbandonato per dirigersi ver-so uno spazio aperto, da esplorare; la ripetitività dei gesti, che costituiva uno dei sintomi della malattia di Cavanosa, viene così definitivamente interrotta. La guarigione è iniziata.

Cavanosa è un personaggio le cui deformità fisiche riflettono

le perversioni dell’anima. Le inclinazioni sadomasochiste che manifesta lo identificano come un personaggio affetto da una malattia mentale. In che misura è l’animo – corrotto e malva-gio – ad influenzare la condotta dell’individuo e in che misura è invece la malattia ad influire sulla personalità? Cavanosa è un personaggio sadico perché è la sua anima depravata a guidar-lo? O è la sua una malattia mentale e quindi le sue azioni non possono essere condannate come se fossero commesse da un individuo «normale»? Arrabal ci mette di fronte ad una serie di preconcetti sociali e culturali, secondo i quali il deforme o il malato sono da allontanare, da isolare, e l’alterità è percepita dalla comunità come un elemento di disturbo e di pericolo da neutralizzare. Le sovrastrutture che limitano l’individuo sono sia mentali che sociali: la figura della Madre rappresenta le pau-re, le difficoltà, i traumi che ogni persona patisce a livello indi-viduale, nella sfera privata; la figura dell’Amante è il simbolo dell’ordine sociale e della convenzione, che garantiscono la sta-bilità e l’inalterabilità del sistema; egli agisce seguendo la logica razionale, condannando pubblicamente il «pazzo», il malato di mente, che deve essere lasciato solo, rinchiuso e relegato nella sua stanza, distante dalla comunità, dove non possa interagire con gli altri e dove la sua vista e la sua condotta non provochino scandalo e disordine sociale. La strategia del controllo si eserci-

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ta sia attraverso le figure di vigilanza che attraverso l’alterazione delle figure di pensiero. Lo scontro verbale e fisico tra Cavanosa e la Madre o tra Cavanosa e l’Amante dimostra che la violenza non si esprime solo negli eccessi del protagonista, ma anzi «si tratta di dimostrare che il ragionamento è esso stesso violenza, che è dalla parte dei violenti, con tutto il suo rigore, con tutta la sua serenità, con tutta la sua calma».47 Il linguaggio poetico-surrealista che usano Cavanosa, Sil e Lys assume un’importanza fondamentale perché rompe la logica del ragionamento conven-zionale, offre una visione altra, onirica della realtà, incompren-sibile a coloro che difendono il sistema. Ciò che alle orecchie degli «integrati» sembra insensato, frutto di un pensiero folle, è invece ricco di significato: la poesia come costruzione di un mondo alternativo, la parola come spazio di libertà e di verità. Il pubblico entra in comunicazione con gli elementi di trasgres-sione e di rottura presenti nell’opera, e così facendo partecipa a quello che è contemporaneamente una funzione teatrale e una cerimonia di liberazione.

Scriveva il regista e drammaturgo Alberto Miralles:

El Arte de interpretar consiste en el genio necesario para transformar-se y el talento para exhibir esa transformación. Transformarse es ser otro, pero esa esquizofrenia controlada carece de interés público si no se exhibe. Exhibir la transformación es hacerla llegar a un público.48

Al termine della rappresentazione, Cavanosa esce di scena iniziando il percorso che, si intuisce, lo porterà alla guarigione; lo spettatore, uscendo dal teatro, porta con sé la carica sovversiva,

47 La citazione è tratta dalle riflessioni che Deleuze fa sul legame che unisce violenza, sessualità e linguaggio nelle opere di Sade e Masoch, parole che ben si adattano anche all’estetica di un autore come Arrabal. Cfr. G. deleuze, Il freddo e il crudele, Milano, SE, 1996, p. 20.

48 A. miralles, Prólogo, in id. (a cura di), 23 monólogos para ejercicios, Ma-drid, Julia García Verdugo, 1984, pp. 7-15: 8-9.

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catartica e taumaturgica della cerimonia poiché, come ha scritto Jodorwsky a proposito delle rappresentazioni «pánicas»,

más allá del lado desmedido, incluso escandaloso de tales experien-cias, ellas tienen un valor iniciático. Te obligan a pasar muy concre-tamente, aunque sea por un instante, más allá de la atracción y de la repulsión de los condicionamientos culturales, de los criterios de belleza y de fealdad.49

49 Jodorwsky, Psicomagia: una terapia pánica, cit., http://rie.cl/psicomagia/2_el_acto_teatral.php?p=5. Data consultazione 01/2012.

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Finito di stamparenel mese di novembre 2012

da Cierre graficaCaselle di Sommacampagna (Verona)

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Scrittura e malattia costituiscono un binomio costante e fecondo e il pro-getto di ricerca che ha dato origine a questo volume ce l’ha ricordato una volta di più. Nel caso della sofferenza dovuta a una condizione di infermità, la scrittura permette di oggettivare, di prendere le distanze da ciò che si è instaurato dentro di noi in forma di male fisico o di disagio psichico. Ma la scrittura sulla malattia può raccontarci anche la sofferenza dell’altro; si estende e si dirama in varie direzioni fino a comprendere i luoghi fisici della malattia, i luoghi di cura o le cure stesse e gli operatori della malattia. Di-venta scrittura scientifica che isola la malattia dal suo contesto – la persona ammalata – per trattarla in modo asettico, analizzarla, scomporla. Ed ecco allora che la letteratura si sforza di ricostruire il legame tra la malattia e la persona che ne soffre, di ridare un significato alla malattia come esperienza umana.

La riflessione sul linguaggio della malattia e della medicina è il filo rosso che lega i saggi di questa silloge, dedicata alla relazione tra malattie, cure e scrittura nelle letterature di area ispanofona. Gli interventi coprono un arco temporale e geografico molto esteso: i primi cinque si collocano in un periodo che va dalla fine del Quattrocento al Seicento, gli altri sei danno conto di alcuni aspetti del rapporto tra malattia e scrittura nella letteratura della seconda metà del Novecento e dei primi anni di questo secolo.

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