A CURA DI MARIO MENIN - Festival della Missione · formare e inviare missionari al di là dei...

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“C’erano una volta gli Istituti missionari…” è il titolo di questo dossier, ideato per il “Festival della Mis- sione” (Brescia 12-15 oobre 2017). Con esso si vuole indicare la fine di una stagione della missione cri- stiana, quella eurocentrica, coloniale, che ha visto protagonisti gli Istituti missionari. Infai, sorti quando l’evangelizzazione era un’aività periferica – dall’Occidente “cristiano” verso paesi a maggioranza non cristiana –, essi si misurano oggi con la missione dappertuo – da ogni luogo verso ogni luogo. Questa trasformazione e globalizzazione della missione – da cosa da fare ai confini della Chiesa a principio capace di riformarla tua – genera incertezza e difficoltà negli Istituti missionari, proprio mentre devono fare i conti al loro interno con un drastico calo di vocazioni nei paesi di origine e con la sfida dell’interculturalità in comunità quasi sempre internazionali. Ne parlano una decina tra superiore e superiori generali di al- treanti Istituti. Tui ammeono la crisi in ao, ma la leggono come un segno dei tempi, un’opportunità di rinnovamento e di radicalizzazione dell’ad gentes. Senza tirare i remi in barca, adaandosi alle situa- zioni e mimetizzandosi tra le altre aività pastorali, gli Istituti missionari sono piuosto provocati a un sussulto di vitalità, guardando alle loro origini con fedeltà creativa. Soprauo in un tempo in cui a Roma papa Francesco sogna di smuovere missionariamente le acque di tua la Chiesa. Chi meglio degli Istituti missionari può aiutarlo a realizzare questo sogno, seppure in modo diverso dal passato? A CURA DI MARIO MENIN D OSSIER C’erano una volta gli Istituti missionari...

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“C’erano una volta gli Istituti missionari…” è il titolo di questo dossier, ideato per il “Festival della Mis-sione” (Brescia 12-15 ottobre 2017). Con esso si vuole indicare la fine di una stagione della missione cri-stiana, quella eurocentrica, coloniale, che ha visto protagonisti gli Istituti missionari. Infatti, sorti quandol’evangelizzazione era un’attività periferica – dall’Occidente “cristiano” verso paesi a maggioranza noncristiana –, essi si misurano oggi con la missione dappertutto – da ogni luogo verso ogni luogo. Questatrasformazione e globalizzazione della missione – da cosa da fare ai confini della Chiesa a principio capacedi riformarla tutta – genera incertezza e difficoltà negli Istituti missionari, proprio mentre devono fare iconti al loro interno con un drastico calo di vocazioni nei paesi di origine e con la sfida dell’interculturalitàin comunità quasi sempre internazionali. Ne parlano una decina tra superiore e superiori generali di al-trettanti Istituti. Tutti ammettono la crisi in atto, ma la leggono come un segno dei tempi, un’opportunitàdi rinnovamento e di radicalizzazione dell’ad gentes. Senza tirare i remi in barca, adattandosi alle situa-zioni e mimetizzandosi tra le altre attività pastorali, gli Istituti missionari sono piuttosto provocati a unsussulto di vitalità, guardando alle loro origini con fedeltà creativa. Soprattutto in un tempo in cui a Romapapa Francesco sogna di smuovere missionariamente le acque di tutta la Chiesa. Chi meglio degli Istitutimissionari può aiutarlo a realizzare questo sogno, seppure in modo diverso dal passato?

A C U R A D I M A R I O M E N I N

D O S S I E R

C’erano una voltagli Istituti missionari...

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Qual è lo stato attuale delle vocazioni Ma-ryknoll?Maryknoll si sono organizzati come Seminario

nazionale per le missioni estere, in seguito come Societàdi vita apostolica, sul modello delle Missioni Estere di Pa-rigi (MEP). Una differenza storica importante è rappre-sentata dal fatto che gli Stati Uniti sono sempre stati unanazione di immigrati da molti paesi diversi. L’appartenen-za ai Maryknoll non è mai stata limitata ai cittadini degliStati Uniti, ma la pratica prevalente era di accogliere vo-cazioni dagli Stati Uniti. Perciò, fin dall’inizio, oltre a co-loro che arrivavano da una lunga storia di vita familiarenegli Stati Uniti, le vocazioni sono venute da immigrati

di prima, seconda e successive generazioni dell’Irlanda,Italia, Polonia, Germania, Corea, ma anche del Vietnam edei paesi dell’America latina.La ricerca di vocazioni negli Stati Uniti è stata molto dif-ficile negli ultimi quarant’anni. In media ogni anno ab-biamo uno o due nuovi membri della Società che emet-tono la promessa perpetua. L’attuale apertura a candidatiprovenienti dalle Chiese dove prestiamo servizio noncredo produrrà una grande crescita nel numero dei can-didati. Penso però che essa rifletta l’attuale idea di mis-sione – non più geografica: da paesi “cattolici” verso pae-si dove sono maggioritarie altre religioni –, come la veravita della Chiesa da ogni luogo verso ogni luogo.

INTERVISTA ARAYMOND FINCHRaymond Finch, di Brooklyn (New York), dopo la laurea in Psicologia e Teologia,nel 1976 è stato ordinato presbitero. Ha lavorato in Perù, tra gli Aymara, e in Bolivia come direttore del Maryknoll Center for Mission in America latina, a Cochabamba. Già superiore della Regione latinoamericana dei Maryknoll, dal 2015 è superiore generale (lo era già stato dal 1996 al 2002).

MaryknollCostanti nel contesto

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LA RICERCA DI VOCAZIONI NEGLISTATI UNITI È STATA MOLTO DIFFICILENEGLI ULTIMI QUARANT’ANNI. IN MEDIA OGNI ANNO ABBIAMO UNO O DUE NUOVI MEMBRI DELLA SOCIETÀ CHE EMETTONO LA PROMESSA PERPETUA

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Come sono cambiati i Maryknoll dal Vaticano II ad oggi? I Maryknoll furono fondati all’inizio del XX secolo, quandola teologia missionaria era concentrata sulla fondazionedella Chiesa dove essa non era ancora presente, in paesicome la Cina, il Giappone e la Corea. Ciò comportava rea-lizzare infrastrutture e dar vita a comunità di fedeli. C’erala convinzione che i modelli culturali indigeni dovesseroessere rispettati e utilizzati il più possibile nell’organizza-zione e nell’architettura religiosa. L’enfasi era posta sullaformazione del clero locale, dei leader della Chiesa localee dei religiosi. Durante la seconda guerra mondiale, surichiesta di Propaganda Fide, i Maryknoll aprirono mis-sioni in America latina. Nel dopoguerra, le prime missioniin Africa. L’idea di missione era la stessa, lasciare le areedove la Chiesa era già presente, spostandosi nelle zonedove non vi erano infrastrutture, comunità, clero locale,pratica pubblica della fede cristiana, al fine di promuo-vere la fondazione e la crescita della Chiesa locale.Il Concilio Vaticano II ha segnato un mutamento di pa-radigma sia per la Chiesa, sia per la missione. Come hasottolineato papa Francesco, siamo ancora immersi inquesto cambiamento d’epoca, contrassegnato dal ri-spetto e dal riconoscimento delle altre Chiese cristiane,

delle altre fedi e culture, della “missione di Dio” primache della “missione della Chiesa”, e dall’importanza del-l’incontro con l’altro. Perciò è molto difficile dire comesaranno la Chiesa, la missione e i Maryknoll in futuro.È finita l’era degli Istituti specificamente missionari? È troppo presto per dire che l’era degli Istituti missionariè finita. Probabilmente è finita un’era, quella che va dalXVII secolo ad oggi, ma a partire dal Vaticano II la missio-ne è diventata la categoria più centrale per definirel’identità della Chiesa. Più che preoccuparci di anticiparela nuova era o indovinare la nuova forma della missione,è importante rispondere alle nuove interpellanze dellamissione. La necessità di promuovere e attivare la pienapartecipazione della Chiesa nella missione salvifica di Dioè più urgente che mai. I Maryknoll sono stati fondati performare e inviare missionari al di là dei confini della Chie-sa. Questi non coincidono più con i confini imperiali, tri-bali o nazionali, ormai presenti in tutte le parti del nostromondo globalizzato. Quali sono le sfide della missione oggi secondo imembri del suo Istituto nei vari continenti?Le sfide più impegnative sono: 1) la trasformazione mis-sionaria di tutte le comunità cristiane; 2) il dialogo inter-religioso in Asia e in parte dell’Africa, ma anche con igruppi indigeni dell’America latina; 3) l’accompagnamen-to dei sofferenti: rifugiati, vittime del traffico di esseri

I MISSIONARI DELLA “COLLINA DI MARIA”

IMaryknoll furono fondati da due preti statunitensi:James Anthony Walsh e Thomas Fredrick Price,

appassionati sostenitori dell’impegno missionario dellaChiesa. I due decisero di unire le forze fondando la Societàcattolica d’America per le missioni estere, i Maryknoll. Con l’aiuto di numerose donne, in seguito diventate le“Sorelle di Maryknoll”, la piccola comunità si stabilì aOssining (New York) nella tenuta di Sunset Hill,ribattezzata Maryknoll, ovvero “collina di Maria”. Benpresto si associò anche un gruppo di laici, dando vita ai“Fratelli di Maryknoll”. Il primo gruppo di missionari fuinviato nel sud della Cina nel 1918, seguirono rapidamenteil nord della Cina, il Giappone e la Corea. Oggi i Maryknoll sono 320, tra padri e fratelli, impegnati in18 paesi in Asia, Africa e America latina, oltre che negliStati Uniti. Al momento sono 10 i candidati nelle differentifasi di formazione. Il XIII Capitolo Generale ha autorizzatol’accettazione di candidati provenienti anche da Chieselocali in cui sono presenti, fuori dagli Stati Uniti.

umani, persone ai margini della società, gruppi vulnera-bili; 4) evangelizzare in una forma comprensibile al mon-do contemporaneo, mantenendo l’integrità e l’ortodos-sia dell’annuncio; 5) favorire idonee espressioni del Van-gelo in tutte le culture.La valorizzazione delle religioni locali ha cambiato ein che modo lo stile della missione?I Maryknoll hanno sempre cercato di conoscere la fededell’altro nei luoghi dove prestano servizio. A partire dalVaticano II, c’è stato uno sforzo di comprensione del-l’islam, del buddhismo e delle religioni indigene. L’obiet-tivo è dotarsi della capacità di scoprire la presenza di Diotra le persone che serviamo e costruire su questa pre-senza. La missione è una strada a doppio senso: scopria-mo che Dio è già presente e condividiamo la nostraesperienza di Dio.

A pag. 18:Ossining (Stato di New York, Usa), la casa madredei missionari di Maryknoll.

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P. H E I N Z K U L Ü K E

Il decreto sull’attività missionaria del Vaticano II harappresentato un’opportunità e una sfida per i verbiti.Sotto la guida di p. Johannes Schütte, già superiore

generale dell’Istituto, la commissione incaricata stese labozza finale del documento che sarebbe diventato Adgentes. La revisione del testo ebbe luogo nella nostra ca-sa di Nemi, vicino a Roma. Il decreto fu l’ultimo docu-mento approvato dal Concilio, con 2.934 voti a favore e5 contrari, il più alto numero di voti favorevoli rispetto aqualsiasi altro documento conciliare. Per l’attività mis-sionaria era cominciata una nuova era.

DA L L A C I N A A N U O V I I T I N E R A R I M I S S I O N A R I

Il Vaticano II inaugurò un “periodo di fermento” nella teo-logia e pratica missionaria, seguito a breve distanza daun “periodo di crisi”, grazie alla nuova posizione del Con-cilio sulla libertà religiosa, sul rispetto delle culture localie sulla possibilità di salvezza fuori della Chiesa, in cuil’idea stessa di missione fu messa in discussione. Quel“periodo di crisi” in qualche modo prosegue ancora oggi,ma coesiste con un “periodo di rinascita”, in cui la mis-sione ha assunto un carattere meno trionfalistico e si èallargata ad elementi come il dialogo, la giustizia, la ri-cerca della pace, la sensibilità ecologica, l’inculturazione,

il ministero tra i migranti e la riconciliazione. I verbiti han-no intrapreso questi nuovi itinerari missionari.La Cina fu la prima missione verbita. I nostri primi mis-sionari vi giunsero nel 1881, dopo aver studiato cinese aHong Kong per due anni. Il nostro impegno a Taiwan èiniziato nel 1959, in seguito all’espulsione dalla Cina con-tinentale. A Macao siamo arrivati nel 2007, su invito delvescovo locale, per aiutare a dar vita all’Università da luifondata.Joseph Freinademetz fu il primo missionario in Cina. Gra-zie alla sua profonda spiritualità, al suo impegno e durolavoro, rimase in Cina durante le persecuzioni e vi morì.È il santo che mostra il suo amore per la Cina. Oggi sono molte le sfide missionarie in Cina. Alcuni con-fratelli sono impegnati nelle Università, in parrocchia onelle case di formazione. Tutti stanno avendo buoni ri-sultati, pur agendo nel rispetto delle attuali norme im-poste dal governo.

L A M I S S I O N E I N T E R G E N T E S

Per anni, la Chiesa ha inteso la missione ad gentes in unaprospettiva secondo la quale l’Europa era al centro dellaverità e intendeva la missione come la sua diffusione nelresto del mondo. La priorità dell’ad gentes era l’annuncioverbale, come veicolo principale della missione cristiana,specialmente l’annuncio esplicito di Cristo, pur ricono-scendo l’importanza della testimonianza di vita e del dia-logo. In questo modello di missione, l’importanza dellealtre religioni era relativizzata, mentre trionfava l’imma-gine del missionario che stende il suo braccio verso i nonbattezzati. Il modello ad gentes era focalizzato sul per-ché, sul che cosa e sul chi della missione.

I VerbitiLa missione come dialogo profetico “ad gentes” e “inter gentes”

Heinz Kulüke, classe 1956, è nato a Spelle (Germania).Entrato nei Verbiti nel 1979, fu ordinato presbitero nel 1986.Dopo tre anni ad Agusan del Sur, Mindanao, nelle Filippine,ha conseguito il master in Filosofia all’Università Cattolicad'America di Washington (Usa). Nel 1994 ha conseguito ildottorato in Filosofia a Roma. Il XVII Capitolo Generale l’ha eletto superiore generale.

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La Conferenza dei vescovi asiatici (Fabc), invece, ha con-centrato il suo interesse sul come, sul metodo e sull’ap-proccio all’altro. Nei suoi documenti, essa sottolinea l’im-portanza della realtà (vita) dei popoli, delle rispettive cul-ture e religioni, nella recezione del Vangelo. Per questonoi verbiti abbiamo adottato l’approccio inter gentes, incui l’altro non è solo destinatario, oggetto di missione, daconvertire e condurre nella Chiesa. Il punto centrale del-l’inter gentes è la stessa missione di Gesù: portare il regnodi Dio in mezzo al suo popolo, appunto inter gentes.

L A M I S S I O N E C O M E “ D I A L O G O P R O F E T I C O ”

Nel contesto di comunità multiculturali e multireligiosee delle loro situazioni sociali, economiche e politiche, lamissione e il dialogo si muovono insieme. La missionenon richiede solamente il dialogo, ma è dialogo. E, comedialogo, è un incontro personale con l’altro. La missioneè e deve essere profetica, perché Dio è profetico nellastoria, con gli esseri umani e con la creazione. Il dialogoe la profezia sono dimensioni complementari della mis-sio Dei e dovrebbero essere la base di ogni forma di mis-sione cristiana. Bilanciando dialogo e profezia, i verbitihanno identificato quattro partner nel dialogo: coloro

PER ANNI, LA CHIESA HA INTESO LA MISSIONE AD GENTES IN UNAPROSPETTIVA SECONDO LA QUALEL’EUROPA ERA AL CENTRO DELLAVERITÀ E INTENDEVA LA MISSIONECOME LA SUA DIFFUSIONE NELRESTO DEL MONDO

che sono in ricerca e non appartengono ad alcuna co-munità di fede; i poveri e gli emarginati; le persone diculture e tradizioni religiose diverse; le persone di ideo-logie secolari differenti. L’orizzonte della missione cristiana è la missio Dei, chepone i fondamenti per il dialogo con la presenza e l’azio-ne di Dio nel mondo e in tutta la creazione. La Chiesa in-traprende percorsi diversi. I verbiti hanno optato per ildialogo profetico, secondo quattro tratti distintivi dellafamiglia religiosa, che rappresentano altrettante dimen-sioni caratteristiche: apostolato biblico; animazione mis-sionaria; giustizia, pace e salvaguardia del creato; comu-nicazione. Il nostro compito è testimoniare la pienezzadell’amore di Dio e la sua apertura alla diversità attraver-so il dialogo profetico, contrassegnato da queste quattrodimensioni. Siamo convinti che la missione diventi effi-cace se ogni ministero è esercitato secondo queste quat-tro caratteristiche.

L’ A N I M A Z I O N E V O C A Z I O N A L E E L E S U E S F I D E

In quanto comunità missionaria internazionale, riceviamovocazioni da ogni parte del mondo. L’Europa e l’Americadel Nord non sono più viste come paesi “che inviano”.

Varone di Riva del Garda (Trento), la casa deimissionari verbiti in una foto storica; San Joseph

Freinademetz (1852-1908), missionario verbita in Cina;Sant’Arnold Janssen (1837-1909), fondatore della

Società del Verbo Divino.

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Attualmente la maggioranza dei candidati viene dall’Asiae dall’Africa. Nel gennaio 2017 c’era un solo novizio dal-l’Europa, 13 dalle Americhe, 302 dell’Asia-Pacifico e 27dell’Africa-Madagascar. Se da un lato la nostra vita e mis-sione interculturali attraggono ancora i giovani dell’Asiae dell’Africa, dall’altro la sfida a volte consiste nel discer-nere le motivazioni reali (lo status, la pressione familiare,il potenziale percorso verso un’istruzione avanzata ecc.).Cerchiamo di aiutare i candidati a discernere la loro chia-mata al difficile cammino di crescere nella capacità di in-teragire con membri di altre culture e nella disponibilitàad essere inviati in aree di povertà o violenza.

Una sfida al discer-nimento vocazio-nale è Internet. Uncandidato può es-sere talmente con-nesso con la fami-glia e con la sua ca-sa da essere inca-pace di interagirep r o f o n d a m e n t e

con i membri della sua comunità e con la cultura che locirconda, rendendo difficile il genuino discernimento diuna vocazione interculturale. Nonostante sia fisicamentepresente in un’altra cultura o in una comunità multicul-turale, egli può rimanere isolato nel suo mondo attraver-so il cyberspazio, senza mai affrontare l’esperienza della

UNA SOCIETÀ MISSIONARIANEL SEGNODELL’INTERCULTURALITÀ

Nel mezzo del Kulturkampf – il tentativo del governo delcancelliere Otto von Bismarck di controllare la Chiesa

cattolica in Germania – p. Arnold Janssen fondò la Società delVerbo Divino (SVD) l’8 settembre 1875. La SVD, oggi è impegnataper una missione interculturale, cercando di vivere in un’armoniainterculturale sia all’interno dell’Istituto sia in missione concoloro che appartengono ad altre culture. I verbiti lavorano in 80paesi. Nel 2017, tra i 5.985 membri dell’Istituto: 49 sono vescovi,4.161 preti e 546 professi perpetui; poi ci sono 343 novizi e 886 traseminaristi e fratelli in fasi diverse della formazione. L’età media èdi 49 anni per i confratelli che hanno emesso i voti perpetui otemporanei, di 54 per coloro che hanno emesso i voti perpetui. Più di un terzo dei membri vive e lavora in paesi diversi rispetto alluogo di nascita. Globalmente, i membri provengono da 71differenti paesi. Per motivi di praticità e per un lavoro piùefficiente, L’Istituto è organizzato quattro zone: Africa eMadagascar (476), Asia (3.690), Europa (1.273), Americhe (546).

L’ATTRAZIONE VERSO LAVITA RELIGIOSA IN ALCUNE

PARTI DELL’ASIA E IN ALCUNIPAESI DELL’AFRICA

CONTINUA AD OFFRIRECANDIDATI ENTUSIASTI

conversione all’intercultura. A causa dell’attaccamentoa Internet, alcuni confratelli non desiderano essere de-stinati a luoghi in cui non c’è connessione o è scarsa.L’animazione vocazionale ha assunto forme diverse. Inalcune parti dell’Asia e dell’Africa, facciamo affidamentosulle scuole, compresi i “seminari minori”. L’attrazioneverso la vita religiosa e il presbiterato in alcune partidell’Asia (Indonesia, India, Vietnam, Filippine) e in alcunipaesi dell’Africa continua ad offrire candidati entusiasti. In Europa e nelle Americhe, la secolarizzazione ha resola vita religiosa meno attraente. Gli abusi sessuali sui mi-nori da parte del clero hanno contribuito a diminuire lostatus della vita religiosa e del ministero ordinato. Neconsegue che gli animatori vocazionali spesso si trovanodi fronte alla frustrante realtà che i loro tentativi portanopochi frutti. Eventi per i giovani, campi estivi ed altre ini-ziative vengono organizzati per attrarre vocazioni. Inter-net è usato su larga scala per sollecitare i giovani a dareun’occhiata al nostro modo di vivere. Nonostante ciò, levocazioni da questi paesi sono molto diminuite. Negli Usa abbiamo avuto più successo tra le minoranzee gli immigrati, cioè tra famiglie cattoliche tradizionaliche conservano un concetto positivo della vita religiosae del ministero ordinato. Alcuni paesi o ambienti culturaliche recentemente hanno avuto molte vocazioni (comel’India, le Filippine e la Polonia) hanno registrato ultima-mente una brusca frenata, a causa dell’incalzare della se-colarizzazione e dello sviluppo economico.

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Non avremo più gli stessi numeri di prima. Ciò comportadecisioni difficili circa la chiusura di grandi istituzioni o lamodifica del loro scopo.

E U R O PA E A M E R I C A “ T E R R E D I M I S S I O N E ”

Il vecchio modello eurocentrico di missione è crollato. InEuropa e nelle Americhe si affrontano sfide come l’im-migrazione, i rifugiati, le nuove povertà, il razzismo e ilnazionalismo, che indicano chiaramente la necessità diun impegno missionario in nuove forme. Non ci poniamopiù nella prospettiva di una separazione tra paesi “cheinviano” e paesi “che accolgono” missionari, ma riscon-triamo la necessità di un impegno missionario in tutti ipaesi e in tutte le culture. Ne consegue che la maggiorparte delle province in cui vi sono poche vocazioni localiora accoglie missionari da altre parti del mondo per spe-rimentare e iniziare nuove attività missionarie.Circa trent’anni fa, un incontro dei provinciali europei a Ro-scommon, in Irlanda, ha affermato: “In Europa, i verbiti nonconsiderano più la loro funzione missionaria esclusiva-mente come missione ad gentes negli altri continenti, per-

miti, simboli, modi di prendere decisioni, autorità ecc. Lasfida è convertirci all’intercultura. Il Capitolo ha perciò previsto che si proceda a fornireun’istruzione specifica in intercultura sia nella formazioneiniziale sia in quella permanente. È stata formata unacommissione stabile di confratelli esperti in antropologia,sociologia e scienze sociali denominata Comitato per lerisorse interculturali (Rci), che ha promosso seminari diformazione. Il focus indicato dall’attuale Direzione Generale è “l’op-zione per gli ultimi” e questo permea il nostro concretoimpegno con le persone. Abbiamo dato vita a “VIVAT-In-ternational”, un’organizzazione non governativa con sta-tus di osservatore alle Nazioni Unite, con lo scopo di so-stenere i diritti umani, la giustizia sociale e i mezzi di so-stentamento ecologici. La nostra idea di missione ritieneche l’antropologia e la missione debbano agire insiemeper trovare nuove vie per comprendere le altre culturee gli altri popoli. Oggi il mondo si trova di fronte alle trau-matiche esperienze dei migranti e rifugiati; i verbiti sonoimpegnati con queste persone, di conseguenza ogni pro-vincia ha in atto progetti per prendersi cura di loro. Dob-biamo affrontare molte sfide, ma speriamo di continuarea tenere viva l’eredità del fondatore.

P. H E I N Z K U L Ü K E , S V D

Oies, val Badia (Bolzano), Papa Benedetto XVI invisita alla casa natale di san Giuseppe Freinademetz.

A pag. 22: Steyl (Olanda), la tomba di sant’ArnoldJansenn nella cripta della chiesa di San Michele.

ché vi sono molte situazioni missionarie nell’Europa stessache richiedono i nostri servizi missionari”. L’idea di consi-derare l’Europa e l’America quali “terre di missione” è statapoi confermata dai Capitoli Generali. Di conseguenza, con-fratelli provenienti dall’Africa e dall’Asia sono stati destinatiall’Europa. Le aree che hanno abbondanti vocazioni invia-no missionari in quelle che hanno poche vocazioni.

A N T R O P O L O G I A E M I S S I O N E

Il tema dell’ultimo Capitolo Generale (2012), “Da ogni na-zione, popolo, lingua e nazione: condividere la vita e lamissione interculturali”, ci sfida ad approfondire la nostracompetenza interculturale. Perciò ci sforziamo di andarepiù in profondità rispetto a cibo, musica, feste, modo divestire, lingua ecc., che rappresentano solo l’esterno o lasuperficie di una cultura. È molto più facile condividereil cibo e il modo di vestire che scavare più a fondo negliaspetti interni di una cultura: credenze, valori, modelli,

CONDIVIDERE LA VITA DI OGNIPOPOLO E NAZIONE CI SFIDA AD APPROFONDIRE LA NOSTRACOMPETENZA INTERCULTURALEFORNENDO UN’ISTRUZIONE SPECIFICAGIÀ NELLA FORMAZIONE INIZIALE

MISSIO

NARIVERBITI.IT

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INTERVISTA AP. FERRUCCIO BRAMBILLASCAFerruccio Brambillasca, di Monza (MB), classe 1964, è missionario presbitero del Pime. Laureato in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale a Napoli, è stato formatore in Italia, a Ducenta, e in India, nel seminario di Pune.Dal 1998 ha lavorato in Giappone, dove è stato superiore regionale. Dal 2013 è superiore generale dell’Istituto.

Pime: nuovo stiledella missioneDialogo, ascolto e incontro con l’altro

Con le sue “Osservazioni sul metodo modernodi evangelizzazione”, P. Paolo Manna, ha anti-cipato il Vaticano II. Come si sono sviluppate

quelle “osservazioni” dopo il Concilio?P. Manna, durante un viaggio di 14 mesi nelle missionidell’Istituto, scrisse un diario di 86 pagine – in seguitopubblicato come Osservazioni sul metodo moderno dievangelizzazione – sui problemi incontrati dai missionari,proponendo alcune soluzioni. L’idea principale, che haindubbiamente anticipato il Vaticano II, è che tutta laChiesa deve sentirsi missionaria, poiché ad essa è statoaffidato il mandato di Cristo. Manna afferma che l’evan-

gelizzazione è solo agli inizi. Questo anche perché laChiesa e gli Istituti religiosi e missionari, prima di annun-ciare il Vangelo hanno annunciato se stessi, il loro “occi-dentalismo”, il loro “congregazionalismo” e le loro opere,correndo il rischio dell’autoreferenzialità. Inoltre, conti-nua Manna, il denaro e la poca attenzione alla formazio-ne del clero locale hanno allontanato la missione da Cri-sto e dalla Chiesa locale.Manna, tanti anni prima del Concilio, colse il nocciolodella questione missionaria, che non ha ancora trovatosoluzioni definitive. Il pericolo di annunciare una religio-ne occidentale senza Cristo; il rischio di svolgere la mis-

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sione anzitutto per noi stessi, per le nostre opere e i no-stri progetti, legando troppo la missione e i popoli a cuisiamo inviati ai nostri finanziamenti e aiuti; il desiderio diformare un clero locale a nostra immagine e somiglianza,educandolo ad imparare i nostri difetti più che le nostrequalità, ci richiamano ad una vera conversione, capacedi dare un nuovo volto alla missione. Viviamo un cambiamento epocale, che genera crisianche negli Istituti missionari. Come sta reagendo ilPime? Anche il nostro Istituto sente questa crisi attraverso duefattori: la mancanza di vocazioni europee; e la difficoltàdi una presenza qualificata in Europa (anche se siamopresenti solo in Italia). Se il primo è un dato di fatto a cuiè difficile far fronte, il secondo richiede da parte dell’Isti-tuto una seria riflessione sulla presenza in Italia, che almomento è solo di “conservazione”, nel senso che ge-stiamo case per le necessità istituzionali e per l’anima-zione missionaria. Ci stiamo chiedendo se non sia il casodi “trasformare” anche la circoscrizione italiana in mis-

DOBBIAMO AIUTARE LA CHIESA LOCALE NON

SOLO A GESTIRE LA MISSIONE, MA A FAR

NASCERE NEL CUORE,SOPRATTUTTO DEI

VESCOVI E DEL CLERO,LA “MISSIONE” CHE CI CHIEDE SEMPRE

DI USCIRE E ANDARE OLTRE

sione a cui destinare personale specifico – salvaguardan-do l’ad extra per gli italiani – per un rinnovamento dellanostra presenza. Lo sviluppo delle Chiese locali come ha trasformatola missione ad gentes?Nei paesi in cui lavoriamo, la Chiesa locale ha ormai unasua configurazione più o meno definita. Questo ha chie-sto e sta chiedendo all’Istituto, del tutto a servizio dellaChiesa locale, una seria trasformazione, ancora in atto.Abbiamo bisogno di una presenza “specifica” e “stimo-lante” – nel senso di provocatoria – per la Chiesa locale. “Specifica”, perché non dobbiamo continuare a farequello che abbiamo sempre fatto (anche perché moltecose le sta facendo la Chiesa locale, con tutte le sue qua-

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La valorizzazione delle religioni locali come ha cam-biato lo stile della missione? Noto una maggiore attenzione della Chiesa locale e degliIstituti missionari alla cultura e alle religioni tradizionali.Già il fatto di riconoscerle, studiarle, apprezzarle, cambialo stile di vita di noi missionari. Uno stile che diventa dia-logo sincero con i nostri interlocutori; ascolto di ciò chele altre religioni hanno da dirci e insegnarci; riconosci-mento di un anelito religioso già presente dove siamo

lità e difficoltà, con massima libertà), ma trovare vie nuo-ve per l’annuncio del Vangelo. Infatti il Vangelo, nono-stante la Chiesa locale sia presente ovunque, ha semprebisogno di essere proposto con rinnovato slancio ed en-tusiasmo. Dobbiamo quindi aiutare la Chiesa locale nonsolo a gestire la missione, ma a far nascere nel cuore, so-prattutto dei vescovi e del clero, la “missione” che cichiede sempre di uscire e andare oltre.“Stimolante”, nel senso che dobbiamo, soprattutto nelcampo della formazione, del dialogo interreligioso e inquello sociale, come attenzione alle classi più emarginatee povere, stimolare la Chiesa locale perché si prenda lesue responsabilità e dica una parola significativa e nonripetitiva di ciò che i missionari hanno fatto e continuanoa fare con grande dedizione.Si capirà allora che la missione ad gentes non è e nondev’essere, anche in futuro, vissuta in alternativa alla mis-sione della Chiesa locale, ma costruita con la Chiesa lo-cale perché questa ne diventi la protagonista (e qui ilcammino è ancora lungo).

Il beato Paolo Manna (1872-1952); Eluru (India), tre missionaridel Pime ricevono il mandato missionario.

A pag. 24: Manila (Filippine), p. Giuseppe Carrara, missionariodel PIME nella località di General Mariano Alvarez, diocesi diImus, periferia della capitale.

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mandati ad annunciare il Vangelo; desiderio di incontro,senza il quale non c’è annuncio che possa toccare la per-sona a cui annunciamo Cristo.Questo nuovo stile di vita non deve essere solo di alcunispecialisti del dialogo o appassionati di altre religioni, madeve essere insegnato e vissuto fin dalle comunità for-mative, altrimenti corriamo il rischio di formare alla “mis-sione a senso unico”, senza ascolto e dialogo con l’altro,indispensabile compagno nella ricerca di Dio.Qual è il ruolo del laico nel Pime?Su questo tema siamo a una svolta epocale. Attualmentenell’Istituto abbiamo una ventina di missionari fratelli laiciad vitam, che lavorano in diverse parti del mondo concompiti specifici. Guardando alla nostra storia, abbiamoavuto figure eccezionali di fratelli, che dovremmo risco-prire. Infatti, nel 2017 inaugureremo un anno dedicatoalla vocazione laicale ad vitam nel Pime, per evidenziarla

interreligioso (soprattutto con l’islam e il buddhismo), ildialogo e l’incontro con la cultura (Cina, Giappone e Thai-landia) e il dialogo e l’incontro con le minoranze (tribali,fuori-casta, emarginati). In Asia prima di qualsiasi annun-cio, c’è bisogno di questo dialogo-incontro. In Africa una grossa sfida è il dialogo con l’islam e le re-ligioni tradizionali. Inoltre, il vero progresso verso uno svi-luppo sociale armonico, vista la sofferenza di buona par-te della popolazione. Ma la Chiesa stessa in Africa è unasfida, nel senso che va accompagnata e aiutata ad esseresempre più vicina alla gente.In America latina, soprattutto in Brasile, la sfida maggioreè il lavoro in Amazzonia e nelle periferie delle grandi città.Sebbene l’Istituto sia presente in queste due realtà, ab-biamo il dovere di pensare a un programma, magari in-tercongregazionale, perché il lavoro non diventi spora-dico e basato solamente sull’iniziativa di alcuni coraggiosi

UNA CHIESA LOCALE “IN USCITA” GIÀ A METÀ OTTOCENTO

Il Pime è stato fondato nel 1850 da mons. Angelo Ramazzotti, vescovo di Pavia e patriarca diVenezia, che ha radunato i primi missionari (preti diocesani) per formarli alla missione ad

gentes, come espressione della missionarietà dei vescovi lombardi. È una società di vita apostolica, che esprime la missionarietà della Chiesa locale, non solo inItalia. Il carisma è ben rappresentato dai quattro valori fondamentali dell’Istituto: “ad gentes, adextra, ad vitam ed insieme”. Sono i pilastri irrinunciabili dell’Istituto, per il bene della missione. Attualmente il Pime è presente in 18 paesi. I membri sono circa 500, tra presbiteri e fratelli(laici). I candidati al presbiterato sono 89 (settembre 2016): 55 dall’Asia (in modo particolareIndia), 24 dall’Africa, 5 dall’America del Sud e 5 dall’Europa (tutti italiani).

nell’Istituto e testimoniarla all’esterno. Oltre alla figuradei fratelli ad vitam, c’è l’Associazione laici Pime (Alp) cheprepara laici – anche coppie – a partire per un periodo(di almeno due anni). Quali sono le sfide della missione oggi?Per quanto riguarda l’Asia, un continente che l’Istitutoguarda sempre con molta attenzione, la sfida è il dialogo

pionieri. C’è poi la sfida della violenza – penso soprattut-to al Messico –, che ci invita ad essere segni di pace e disperanza nella società latinoamericana.In Oceania siamo presenti solo in Papua Nuova Guinea– la nostra prima missione e ancora oggi una delle piùdifficili a causa del forte isolamento in cui vive il missio-nario –, dove la sfida principale mi sembra la formazionedel clero locale – ancora ridotto – e dei laici. Pur essendoun paese “cristiano”, la Chiesa in Papua ha bisogno di“agenti missionari” preparati che si muovano nelle varieisole per formare cristiani testimoni del Vangelo di frontea tradizioni e costumi non sempre allineati all’insegna-mento di Gesù.Infine, in Italia e negli Stati Uniti, la sfida è quella di risco-prire la gioia della fede che diventa annuncio per una so-cietà rinnovata, che ancora può dare molto al cristiane-simo, anche in termini di vocazioni.

NEI PAESI IN CUI LAVORIAMO, LA CHIESALOCALE HA ORMAI UNA SUA

CONFIGURAZIONE PIÙ O MENO DEFINITA.QUESTO HA CHIESTO ALL’ISTITUTO,

DEL TUTTO A SERVIZIO DELLA CHIESALOCALE, UNA SERIA TRASFORMAZIONE,

ANCORA IN ATTO

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p. Mario Vergara, martirizzato insieme al suocatechista Isidoro Ngei Ko Lat il 25 maggio 1950 aShadaw (Myanmar), beatificati il 24 maggio 2014.

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Quando siamo state fondate, condividevamo lavisione di missione dell’epoca: lasciare la terradi origine per annunciare il Vangelo dove non

era ancora conosciuto. Così la missionaria contribuiva al-la diffusione del regno di Dio salvando le anime attraver-so l’aggregazione ecclesiale. La dimensione sociale del-l’apostolato era vista come un “appoggio” all’annuncio:testimonianza dell’amore gratuito e universale di Dio,pre-evangelizzazione che apriva i cuori dei non cristianialla fede in Gesù.

U N N U O V O I N I Z I O M U LT I C O L O R E

Le prime vocazioni non italiane (dall’India prima, poi dalBangladesh, dal Brasile…) chiedevano di “essere missio-narie come voi”: annunciare il Vangelo a chi non lo co-nosce e fare del bene a tutti, a partire dai più poveri enei luoghi più difficili.L’aumento di membri non europei, i cambiamenti delmondo e della Chiesa hanno fatto diventare la nostra fa-miglia “multicolore”. Questo si rispecchia anche nellaconcezione dell’evangelizzazione. Stiamo vivendo unafase di ricerca, che ci spinge a purificare le nostre idee eposizioni per andare insieme “al cuore della missione”,partendo dal “cuore del Vangelo” (EG 34) e dalla scintillaispirante del nostro carisma: la passione perché il regnodi Dio venga per tutta l’umanità. Il punto fermo, che cidà gioia, luce e forza, è che la missione definisce quelloche noi siamo (discepole e testimoni di Gesù, l’apostolo

Rosilla Velamparambil, 68 anni, originaria dell’India(Stato del Kerala), ha emesso la sua prima professionereligiosa nel 1967. Ha studiato Teologia presso l’IstitutoRegina Mundi di Roma, dove ha frequentato anche corsiper formatori. È stata superiora provinciale dellaProvincia Vijayawada e dal 2000 consigliera generale,quindi superiora generale dal 2006.

Missionariedell’ImmacolataLa missione come relazione,accoglienza e dono

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del Padre, seminatore del Regno e seme di vita) prima epiù di che quello che noi facciamo (pastorale, dialogo,attività di promozione umana…), che va adattato ai tem-pi e contesti per mostrare in modo limpido ed efficace ilVangelo.

L A M I S S I O N E C O M E “ A P E R T U R A ” E “ D I S TAC C O ”

Oggi abbiamo bisogno di “apertura” alle nuove esigenzedell’evangelizzazione e di “distacco” dalle posizioni e dal-le attività “avviate”, che altri possono portare avanti, al-trimenti corriamo il rischio di “adagiarci” proprio mentre

coglienza e dono di vita. L’evangelizzazione, poi, la vedosempre più corale: Istituti missionari e Chiese locali cer-cano di pensare e fare insieme, unendosi in rete e agen-do nello stesso tempo a livello locale e globale. Per noi, la recente presenza in Algeria (2009) è veramen-te un segno del nuovo volto della missione: tre piccolecomunità inserite in un ambiente totalmente musulma-no, dove la cura del dialogo nelle relazioni di ogni giorno,la vicinanza umana e l’aiuto in risposta ai bisogni più ur-genti della gente sono elementi distintivi, testimonianzaprofetica dei valori evangelici e della possibilità di viverein pace.

dovremmo avere il coraggio di ricominciare di nuovo do-ve c’è più bisogno. Anche la diminuzione delle vocazionici invita a identificare con più chiarezza quali sono le no-stre priorità, ridimensionando presenze e attività in mo-do da liberare persone e mezzi per le frontiere della mis-sione ad gentes. Apertura al nuovo significa anche avere il coraggio di cer-care strade nuove nella pastorale, nella carità, obbeden-do alla meravigliosa creatività dello Spirito, perché nonpossiamo più fare “come si è sempre fatto”. Ci ispira Ge-sù, seminatore della Parola che continua infaticabile ilsuo cammino evangelizzatore su tutti i campi del mondo“andando in altre città e villaggi’ (cfr. Mc 1,38).

I L V O LT O D E L L A M I S S I O N E S TA C A M B I A N D O

A mio avviso, la missione sta assumendo un volto più te-stimoniale, umano e corale. Si dà più importanza al-l’aspetto spirituale che al fare, perché tutto, vita e opere,testimoni il Vangelo dell’amore misericordioso di Dio Pa-dre che non ha confini. Per questo, più che grandi attivitàsociali, stiamo scegliendo presenze più piccole, semplici,agili, significative. Siamo inviate ad gentes, a servizio diuna missione che non è nostra ma di Dio, che si realizzafacendosi vicine, incarnandosi tra la gente. In questo sen-so, la missione oggi è dialogo, relazione, inter gentes, ac-

L E S F I D E O G G I

Abbiamo preso la decisione di aprire le destinazioni al-l’Italia in seguito ai cambiamenti socio-culturali e religiosidel paese. Ciò che rappresenta una sfida in questo con-testo è l’aumento della secolarizzazione, con l’invito daparte della Chiesa a una nuova evangelizzazione. Siamotestimoni di un cambiamento profondo che riguardal’Europa, con l’immigrazione di masse di persone da altricontinenti. Ci sono sfide che toccano la Congregazione in quantotale: avere presenze più piccole, flessibili e interculturali,inserite fra la gente; approfondire la teologia della mis-sione nei diversi contesti; essere segno profetico attra-verso il nostro stile di vita e la solidarietà con i poveri;pensare e lavorare insieme per portare a compimento lamissione oggi. E poi ci sono sfide più specifiche che ciinterpellano là dove siamo.L’Asia è il continente che sessant’anni fa, ha accolto le no-stre prime missionarie, ed è quello che ci sfida maggior-

Da sinistra: celebrazione del 50mo di professione religiosa di sr. Gianna Rosolin e del 25mo di sr. Sundari Nagothu; GuineaBissau, sr. Francisca Andrade, sr. Renata Napolano, sr. OdeteChrist, sr. Maristella De Marchi, prime Mdi ad arrivare nel paese(1980); Milano, Madre Teresa di Calcutta incontra le Mdi (1973).

A pag. 27: Sr. Paola Locatelli con gli alunni di una scuola in Bangladesh.

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LA RICCHEZZA DEL NOSTROCARISMA SI ESPRIME IN DIVERSEFORME DI VITA E DI MISSIONE.QUELLA DEI LAICI È UNA REALTÀCHE NEL CORSO DEGLI ANNI È CRESCIUTA E SI È SVILUPPATANELLE DIVERSE PARTI DEL MONDODOVE SIAMO PRESENTI

mente a lasciare alcune realtà per andare altrove, seguen-do Gesù sui sentieri del mondo. Condividiamo le preoc-cupazioni delle Chiese locali dell’India e del Bangladesh,che considerano come principali elementi della missionela presenza e la testimonianza, a volte unica evangelizza-zione possibile; l’impegno per lo sviluppo sociale e la pro-mozione umana, soprattutto quella che riguarda la con-dizione sociale di emarginazione della donna. In una me-tropoli come Hong Kong, immenso e frenetico centro fi-nanziario, l’evangelizzazione e l’apertura verso la Cinacontinentale sono le sfide che incontriamo e a cui voglia-mo rivolgerci, in comunione con la Chiesa locale. In Oceania una delle sfide è il salto generazionale. Intrent’anni si è passati da un mondo tribale alla comunitàvirtuale di internet. Sono passaggi troppo rapidi, difficilida gestire. Poi la sfida rappresentata dall’Aids, che con-tinua a mietere vittime. La droga sta dilagando e sta di-ventando un rifugio per i giovani che non trovano lavoroe affollano le città. Uno dei settori chiave, che ci sfida eci coinvolge è quello dell’istruzione.In Africa, continente che vive situazioni di sofferenza, mi-seria e guerra, lavoriamo insieme alla Chiesa locale perl’evangelizzazione e la promozione umana, cercando discoprire i semi del Verbo presenti nelle diverse culture eproclamando i valori del Vangelo che parlano alla pro-fondità del cuore umano, offrendo così un contributo es-

senziale alla trasformazione della mentalità e all’educa-zione per far crescere una cultura di dialogo e di pace. In America, continente dei contrasti stridenti, abbiamocomunità in Brasile Sud e in Amazzonia. Affrontiamo lesfide della crescente globalizzazione, dell’esclusione edevastazione che minaccia l’ambiente, i poveri e le po-polazioni indigene presenti sul territorio. La solidarietà,la costruzione di relazioni e la proclamazione del Vangelosono le sfide chiave della nostra presenza missionaria. Cisono, poi, altre sfide in particolare quelle che si incon-trano nelle zone di frontiera dove ci sono problemi socialidrammatici. Basti pensare ai popoli indigeni, ai minatori,agli immigrati, ai disoccupati, alle vittime della tratta diesseri umani, alle vittime della prostituzione e della dro-ga. La vera sfida per no, è unire le forze per risponderemeglio a queste situazioni.

I L R U O L O D E L L A I C AT O

L’apertura a laici non è accidentale per noi, ma è partedel disegno di una delle fondatrici sin dall’inizio. La ric-chezza del nostro carisma si esprime in diverse forme divita e di missione. Quella dei laici che partecipano al ca-risma è una realtà che nel corso degli anni è cresciuta esi è sviluppata nelle diverse parti del mondo dove siamopresenti. Essi condividono il nostro carisma attraverso

L’ANNUNCIO DEL REGNODALL’EUROPAALL’OCEANIA

Le Missionarie dell’Immacolata sono state fondate a Milano, nel 1936, da Giuseppina Dones e

Giuseppina Rodolfi, su ispirazione del beato PaoloManna e con il sostegno di mons. Lorenzo Balconi. La loro finalità è “la viva passione per l’annuncio delregno di Dio a tutte le genti”.L’Istituto è presente nei cinque continenti: Europa(Italia e Regno Unito), Asia (India, Bangladesh e HongKong-Cina), America (Brasile), Africa (Camerun, GuineaBissau e Algeria), Oceania (Papua Nuova Guinea). Attualmente le suore sono 908: 140 italiane (5 professetemporanee, pt), 648 indiane (70 pt), 53 bangladeshi (2 pt), 45 brasiliane (2 pt), 3 cinesi (una pt), 3 camerunesi(2 pt), 1 guineana (pt), 15 papuane (7 pt). Le novizie sono 16.

l’attività pastorale e catechetica, l’animazione missiona-ria, la preparazione dei catecumeni, la pastorale famiglia-re, l’animazione delle comunità cristiane di base, la pa-storale carceraria ecc. In una parola, condividono con noiil desiderio di portare a tutti il Vangelo del Regno.Possiamo dire anche che oggi abbiamo acquisito nuovipartner nella missione ad gentes. Fino a poco tempo fatutto era in mano a noi religiose, oggi affidiamo i nostridestinatari anche a collaboratori laici. Per noi questo si-gnifica un compito e una sfida in più: oltre alla formazio-ne delle religiose della comunità dobbiamo formare alnostro spirito carismatico i collaboratori. Non per tutte èfacile accettare questa situazione di collaborazione quo-tidiana e responsabilità dei laici. Ecco la vera sfida!

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INTERVISTA ASR. LUIGINA COCCIALuigia Coccia, classe 1969, è comboniana dal 1998. Dopo tre anni in Camerun, è stata missionaria in Congo RD. Quindi ha conseguito la laurea in Psicologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Già segretaria generale dellaFormazione, nel 2014 è stata eletta Provinciale del Congo RD-Togo-Benin e nel 2016 superiora generale.

CombonianeOsare la mistica dell’incontro

Il suo Istituto ebbe un inizio incerto, nonostantela chiarezza del progetto del fondatore. Oggi inche acque naviga l’Istituto?

Nell’attuale cambiamento epocale, il progetto missiona-rio vive una profonda crisi, che è essenzialmente di valori.Uno dei mandati dell’ultimo Capitolo Generale (2016) èappunto quello di rivisitare la regola di vita, per riappro-priarci dello spirito delle origini. L’espansione, soprattuttoantropologica, della missione ci sfida a delineare megliola nostra identità e il nostro progetto, che sono insepa-rabili. Inoltre, siamo sfidate dalla crisi della vita religiosain generale, riguardo ai voti, alla vita fraterna in comunità,ai modelli di leadership. Ci sfida anche il fenomeno mi-gratorio: chiamate a vivere nelle vicende storiche di po-

poli e culture diverse, questo movimento da Sud a Nord,da Est a Ovest, ci fa sentire il bisogno di risituarci. Abi-tuate ad andare verso l’altro geograficamente, oggi ciconfrontiamo con popoli e culture che vengono a noi.In questa incertezza, ci dà speranza proiettare lo sguardosulle origini. Dal fondatore infatti abbiamo ereditato lacapacità di apertura a una costante rielaborazione del“Piano per la rigenerazione dell’Africa”. Dalla categoriadell’incertezza, che ha caratterizzato le nostre origini eun po’ tutta la nostra storia, vogliamo trarre un modusvivendi che ci abitui a non sentirci padrone di nulla, maserve di tutti. È un invito ad entrare e restare in un certo “caos” o “crisi”,affinché la missione sia fedele a Cristo piuttosto che a un

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progetto continuamente superato e riadattato. Alla fine,Dio crea dal caos, una categoria non estranea alle sueopere. Antonietta Potente, su Combonifem (2015) propone-va di rileggere la missione come “cammino di migra-zione, spostamento al ritmo della vita dei popoli…”.Che cosa significa?L’evangelizzazione è sempre stata questione di “incon-tro”, di scambio di doni, di cammino verso altre terre, la-sciandosi accogliere e ospitando. Ora la missione conti-nua più urgente che mai, come “dialogo e annuncio”,perché il rapporto tra evangelizzatori e destinatari si èmodificato. Non andiamo per fare proselitismo, per daresoltanto, ma siamo “ponti” fra culture e religioni. La stessa interculturalità vissuta all’interno dell’Istituto èuna prova del superamento del binomio evangelizzato-ri-destinatari: siamo donne che rispondono alla stessachiamata e incarnano lo stesso carisma, indipendente-mente dalle nostre provenienze. Andiamo dove la Chiesaci manda oppure dove più forte è il “grido” del povero.Da qui la recente maggior attenzione alla tratta, special-mente femminile, di esseri umani. Apprezzo la definizio-ne di Antonietta Potente e credo che per noi la categoriadello “spostamento” implichi un costante “riposiziona-mento” nelle Galilee attuali, dove incontrare la presenzadel Signore risorto e udire il grido dell’umanità in attesadi un Dio che ridona speranza.Con ciò non si può dire che il riferimento geografico-ter-ritoriale sia superato, soprattutto quando certe situazioniumane, carismaticamente comboniane, si concentranoin certe realtà geografiche piuttosto che in altre. Peresempio, la sfida globale dell’immigrazione c’interpella,anche se in maniera diversa secondo i contesti: un contosono gli immigrati in Europa e un altro i rifugiati delNord-Kivu (Congo RD), dove ho lavorato. Penso che civenga chiesto di farci carico della non facile tensione tramissione territoriale e antropologica. Trovo pericolosaqualsiasi assolutizzazione o polarizzazione in un senso onell’altro. La sfida maggiore è ridefinire i criteri, perchérichiede la saggezza del “padrone di casa che estrae dalsuo tesoro cose nuove e cose antiche”, come una mag-gior itineranza e provvisorietà delle nostre presenze ri-spetto al passato, ma con la stessa passione per le situa-zioni umane più drammatiche.

DAL FONDATORE ABBIAMO EREDITATOLA CAPACITÀ DI APERTURA A UNACOSTANTE RIELABORAZIONE DEL “PIANO PER LA RIGENERAZIONEDELL’AFRICA”

Perché avete scelto la mistica come tema dell’ultimoCapitolo Generale? È stata l’urgenza di dare spessore al dialogo, superandoil binomio evangelizzatori-evangelizzati, missione terri-toriale e antropologica. Ma anche il bisogno di riconci-liare maggiormente l’essere e il fare, il servizio comesemplice professionalità e il carisma-spiritualità. ComeIstituto, da anni sentiamo il bisogno di tradurre in termini“mistici” il variegato servizio offerto d’accordo col nostrocarisma. Non vogliamo ridurci all’offerta di servizi quali-ficati, alla stregua di Ong. Tutto ciò che facciamo è come

Dall’alto: suore comboniane durante unacelebrazione; una comboniana in Africa.

A pag. 30: Anata (Cisgiordania),comboniane impegnate in un asilo.

A pag. 32: Suore comboniane agli inizidella vita della congregazione, allora

denominata “Pie Madri della Nigrizia”.

A pag. 33: dall’alto, Cisgiordania, suorecomboniane in dialogo con donne arabe;

comboniane a fianco del monumento asan Daniele Comboni.

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una porta aperta per “incontrare” l’altro, per offrire noistesse e non solo le nostre conoscenze e capacità, perincontrare l’altro nella sua totalità e non solo come fra-tello o sorella che ha bisogno di aiuto. Poiché la dinamicadell’incontro è possibile solo quando poniamo l’io difronte a un tu, con tutto ciò che questo comporta (ascol-to, scoperta, apertura alla novità, disponibilità al cambia-mento, reciprocità), è nell’incontro che ognuna si trasfor-ma e diventa una missione. In questo ci sentiamo con-fermate da papa Francesco: siamo una missione, nonfacciamo missione. Come sta cambiando il volto della missione?Il Concilio ci ha fatto comprendere che la missione è ditutti i battezzati e in ogni luogo. Durante l’ultimo Capitolo

sorelle che ci hanno precedute. Andare verso, tra le genti,senza proselitismo, valorizzando la diversità, annuncian-do con la vita il Vangelo del regno di Dio. Per cercare disuperare quel senso di protagonismo, che ci insegue unpo’ sempre, l’Istituto si è prefisso di “imparare maggior-mente” l’arte dell’ascolto, al nostro interno, così variega-to, come pure accanto alle culture, alle Chiese e popola-zioni che ci accolgono. Stiamo lavorando più “in rete”, cisiamo aperte ad esperienze intercongregazionali; tuttoquesto riteniamo sia il valore dell’inter gentes, insito nellamissione ad gentes. Questi cambiamenti, in atto, suscitano timori e domandegravi: la missione ad gentes, come primo annuncio, è an-cora valida oppure non si dovrebbe più parlare di primo

PIE MADRI DELLA NIGRIZIADONNE PER L’AFRICA

L’intuizione di integrare la donna consacrata nell’apostolato in Africa, spinge DanieleComboni a fondare nel 1872 a Verona le Pie Madri della Nigrizia, primo nome delle

comboniane. Fin dai primi anni l’Istituto, nonostante i numeri esigui, è stato internazionale,con sorelle italiane, siriane, sudanesi. L’Istituto persegue l’evangelizzazione, “privilegiando i più poveri e abbandonati, particolarmente in Africa”. L’espansione geografica, oltre i confiniafricani, ebbe inizio nel 1925. Oggi le comboniane sono 1250 sorelle di 35 nazionalità, presenti in 29 paesi. Il 40 per cento è in Africa, altrettanto in Europa; il resto si trova tra Asia e America. L’età media è di 70 anni. Nel 2006 è iniziato un processo di internazionalizzazione delle comunità formative (6 postulati,3 noviziati), per favorire l’uscita dai propri riferimenti culturali e linguistici. In media fanno laprofessione 12 sorelle l’anno (attualmente 9 dall’Africa, 2 dall’America latina, una dall’Europa).

abbiamo riconfermato che per noi questa missione “inuscita”, propria di tutta la Chiesa, continua ad esserel’uscita dai propri confini geografici, culturali e linguistici,come esperienza insostituibile per una donna chiamataad essere “ponte” tra culture e religioni diverse per la “ri-generazione dei popoli”. Abbiamo anche definito l’intergentes come il modo di vivere la missione di tante sante

annuncio, in nome del dialogo o perché non esistono piùgruppi umani che ignorano Gesù? L’inter gentes compor-ta che la missione sia dappertutto e con tutti, comple-tamente sganciata dalla specificità dei carismi e dellestorie dei nostri Istituti? Per me resta valido cercare, sen-za irrigidirsi in affermazioni ideologiche, di promuoverela capacità di muoversi tra il già sperimentato e compre-so e il nuovo che stiamo già vivendo, che richiede ancoradiscernimento per essere focalizzato e fatto nostro allaluce del carisma comboniano. Quali sono le sfide della missione oggi? Intravediamo sempre più sfide globali, che richiedonointerventi e risposte particolari a seconda dei contesti.Migrazioni e tratta: fin dall’inizio le nostre sorelle hannoaccolto e accompagnato giovani schiave riscattate, of-frendo percorsi educativi, aiutandole a costruirsi un fu-

L’INTUIZIONE DI INTEGRARE LA DONNACONSACRATA NELL’APOSTOLATO

IN AFRICA, SPINGE DANIELE COMBONI A FONDARE NEL 1872 A VERONA

LE PIE MADRI DELLA NIGRIZIA, PRIMONOME DELLE COMBONIANE

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turo di donne libere. Una sfida purtroppo ancora moltoattuale e globale. Collaborazione: la missione non è piùdi grandi donne che realizzano da sole grandi progettimissionari, ma di chi è capace di unire forze, tessere retidi incontro per resistere insieme in un tempo di profon-de trasformazioni. Innescare processi di riconciliazione e di pace: dobbiamoessere ponti che favoriscono la comunicazione e accor-cino le distanze; promuovere atteggiamenti di tolleranzae riconciliazione. Rafforzare la dimensione carismatica:Karl Rahner diceva che il cristiano del futuro sarà un mi-stico o non sarà affatto. Comboni, mistico della croce, fucapace di contemplare la forza di Dio che lo inviava inAfrica. Come le “donne del Vangelo”, le combonianeascoltano l’invito di Cristo ad andare, anche quando laChiesa istituzionale non ne vede la necessità. Senza fortimotivazioni spirituali, sarà più difficile l’andare in questicambiamenti epocali. La diminuzione dei membri: è unsegno dei tempi; come interpretarlo? Come un segno diperdita di eloquenza? Il senso d’insicurezza che speri-mentiamo in relazione alla nostra identità ci frena nellaproposta vocazionale: dobbiamo aspettare di risolvere ildilemma dell’identità prima di fare la proposta oppuredobbiamo proporci coraggiosamente anche nell’incer-tezza? La chiarezza non si conquista restando in un’at-tesa passiva, ma osando il cammino con persone nuove. Alcune sfide. In Africa: favorire uno stile di maggior col-laborazione con una Chiesa locale giovane e forte; man-tenere presenze caratterizzate dall’interculturalità per fa-

vorire l’integrazione delle differenze e la dimensione mis-sionaria della Chiesa; fare proposte vocazionali chiare,verificando soprattutto le sue esigenze ad extra; osarenuove attività carismaticamente significative, uscendodal guscio sicuro di presenze centenarie nelle quali ab-biamo già dato il meglio; continuare a integrare presenzenelle grandi periferie con altre più vicine a gruppi umaniisolati e dimenticati; rafforzare l’impegno di “Giustizia, pa-ce e integrità del creato” (Jpic). Nelle Americhe: favorireuna presenza catalizzatrice di riconoscimento e d’incon-tro tra le varie culture, per esempio negli Usa, dove comeChiesa c’è una storia marcata dal razzismo. In Europa:nonostante il numero elevato di sorelle anziane e la forteesigenza di assistenza, continuare a valorizzare una pre-senza di animazione missionaria; rafforzare maggiormen-te l’impegno di lobbying per rompere il silenzio su siste-mi politici ed economici mondiali radicati sullo sfrutta-mento dei paesi del Sud. In Asia: la nostra presenza si li-mita al Medio Oriente, con una sola comunità in Sri Lan-ka che ci provoca al nuovo.L’Asia ci sfida e interroga, for-se molto di più di altri conti-nenti. Qual è il ruolo del laicato?Comboni voleva una comu-nità ministeriale: preti, suoree laici insieme. Così appari-vano le prime presenzecomboniane in Africa. Poiquesta articolazione si è per-sa. Ma stiamo recuperando,gradualmente. Si stanno svi-luppando realtà nuove, doveemerge un’identità propriadel laicato, dentro il carismacomboniano. La diminuzio-ne dei numeri può far cadere nella trappola di vedere unlaicato sostitutivo delle missionarie comboniane. Non sitratta di continuare a fare con i laici quello che facevamo,ma di crescere come famiglia. Non vogliamo fare di piùattraverso i laici, ma fare insieme qualcosa di diverso.Stanno affiorando varie esperienze: in Africa c’è un lai-cato fiorente, che gravita attorno alle nostre presenze,ma i laici cercano sempre più un proprio apostolato, unproprio tempo, una propria modalità di preghiera e di ri-spondere alla sfida di evangelizzare “rigenerando” l’uma-nità. In Europa resta forte la presenza dei volontari, chesi nutrono della spiritualità comboniana, attraverso breviesperienze di vita o di servizio presso presenze combo-niane in altri continenti. In Italia: da due anni è iniziata a Padova una comunitàmista: attualmente due sorelle comboniane fanno vitacomune con due famiglie desiderose di incarnare in ma-niera più profonda la spiritualità e il carisma di Comboni.Siamo in ricerca.

IN EUROPA RESTAFORTE LA PRESENZADEI VOLONTARI, CHE SI NUTRONODELLA SPIRITUALITÀCOMBONIANA,ATTRAVERSO BREVIESPERIENZE DI VITAO DI SERVIZIOPRESSO PRESENZECOMBONIANE INALTRI CONTINENTI

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P. T. TA D E S S E G E B R E S I L A S I E

P. Tesfaye Tadesse Gebresilasie è nato il 22 settembre1969 ad Harar (Etiopia). Già assistente generale, responsabiledella formazione di base e delle province e delegazionidell’Africa anglofona (eccetto Eritrea) e Mozambico, è ilprimo africano a ricoprire l’incarico di superiore generale deimissionari comboniani.

I CombonianiOltre il modello eurocentrico

L’Istituto è internazionale fin dagli inizi. La scissio-ne in due (ramo italiano e tedesco) è stata unfatto doloroso, vissuto come una “profonda fe-

rita” da molti comboniani del tempo. La coscienza dellacomune appartenenza al fondatore e la consapevolezzadella missione come ragion d’essere dell’Istituto, grazieanche all’impulso del Vaticano II, sono diventate “ragionigenerative” per ricostruire l’unità. Questo processo di ri-conciliazione è un evento fondante della nostra identitàinternazionale e multiculturale: siamo un Istituto fondato

sulla riconciliazione e sull’accoglienza reciproca, la cuimissione è creare comunità riconciliate. Il perdono, il dia-logo, la riconciliazione, l’accoglienza dell’altro fanno partedella nostra identità. La sfida oggi è costruire un Istitutopiù interculturale, dove le varie anime culturali possanodialogare, interagire e arricchirsi a vicenda, nella coscien-za dell’unico fondatore e nella passione per la missione.

C R I S I D E G L I I S T I T U T I M I S S I O N A R I

In Europa gli Istituti missionari attraversano un momentodi difficoltà. Le cause sono molteplici, socio-culturali ereligiose (ma anche teologiche: i motivi dell’evangelizza-zione, la figura di Cristo come unico mediatore di salvez-za e la necessità della Chiesa). Ma non possiamo “tirare iremi in barca” e votarci all’irrilevanza. Il missionario ap-passionato di Cristo e della missione fa sempre brecciain ambienti, come quelli europei, alla ricerca di senso: la

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gente ha fame di risposte alle questioni più profondedell’esistenza e chi può affascinare di più di chi sa “par-lare al cuore” perché ha trovato il senso della vita? Per un Istituto missionario è vitale ripensarsi e ripensarela propria presenza in Europa. Per esempio, attraversol’attenzione agli immigrati, adattando anche le struttureall’accoglienza: in molte delle nostre comunità in Europaabbiamo aperto le porte agli immigrati (in Italia, a Paler-mo, per esempio, a Castel Volturno e a Roma. C’è biso-gno di inventare (riconfigurare) la nostra presenza mis-sionaria. Abbiamo aperto comunità in periferie di cittàeuropee, dove la povertà e il disagio sociale sono mag-giori. In conclusione, c’è certamente crisi negli Istitutimissionari in Europa, ma, se vista con gli occhi della fede,essa è come un invito a interpretare i segni dei tempi,un’opportunità per cambiare e rinnovarci.

L’ E P O C A D E G L I I S T I T U T I M I S S I O N A R I N O N È F I N I TA

È cambiato il modo di fare missione, ma non è la fine de-gli Istituti missionari. L’Europa da continente che inviamissionari è diventato un continente da evangelizzare el’Africa – come, del resto, l’Asia e l’America latina – dacontinente che riceve missionari a continente che invia;ciò che era considerato periferia è diventato centro e vi-ceversa. Nella Chiesa africana c’è un forte dinamismo sianell’evangelizzazione e nell’animazione missionaria sianelle vocazioni religiose e diocesane. Il processo dinamico di “uscita” è congenito nella vitadella Chiesa: un continuo “andare oltre” senza arrestarsisui risultati ottenuti (se non lo facciamo noi, ce lo ricordalo Spirito). La missione del Vangelo è movimento, annun-cio, dinamismo, uscita, non ristagno, compiacimento,mantenimento delle posizioni. Lo stile della missione è cambiato. Se volessimo riassu-merlo in una parola: la missione è collaborazione. Non èpiù pensabile come attività di una persona singola, diuna sola comunità o di un solo Istituto. Richiede sinergiadi forze: laici, altri Istituti, organismi internazionali e dellasocietà civile, Chiesa locale, movimenti ecclesiali. Lavo-rare in rete è una necessità perché il volto odierno della

missione s’identifica con la capacità di comunione e col-laborazione. Questo era il sogno di Comboni, che pen-sava la missione africana come un’opera “cattolica, nonspagnola, francese, tedesca o italiana”, cui tutte le forzedella Chiesa dovevano offrire il loro contributo.

L E S F I D E E I PA R A D I G M I D E L L A M I S S I O N E

Il criterio pastorale del “si è sempre fatto così” dev’essereabbandonato, come ci ricorda papa Francesco. Il nostroultimo Capitolo Generale (2015), ci invita a conciliare fe-deltà al carisma, audacia e realismo. Per questo dobbia-mo ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile, i metodi difare missione. Lavorare in rete, collaborare, è già un cri-terio. Inoltre, non possiamo continuare con il modellomissionario eurocentrico. Le persone con le quali ci rap-portiamo non sono solo destinatarie del nostro messag-gio, ma fratelli e sorelle con cui camminiamo insieme perla costruzione di un mondo più giusto e fraterno.La nostra missione è “missione in contesto”, a fianco deipoveri: con i popoli afro-discendenti e indios dell’Ame-rica latina, con i popoli pastori nell’Africa dell’Est, i pigmei,nel dialogo interreligioso in Asia e con i musulmani e lereligioni tradizionali africane, nelle periferie povere dellecittà in Africa e in America latina, con i migranti in Europae negli Usa, facendo della testimonianza del Vangelo edell’impegno per la giustizia, la pace e l’integrità del crea-to la dimensioni essenziali del nostro ministero.

P. T E S FAY E TA D E S S E G E B R E S I L A S I E , M S C J

I FIGLI DI COMBONINON SOLOPER L’AFRICA

La finalità dell’Istituto fondato da Daniele Comboni nel1867 è l’evangelizzazione dell’Africa. Trasformatosi in

congregazione religiosa nel 1885, nel 1923, a causa di accesinazionalismi, si divise in due: uno in prevalenza di linguaitaliana, l’altro di lingua tedesca; la riunificazione avvennenel 1979 con l’attuale nome: Missionari Comboniani delCuore di Gesù. Il carisma è quello dell’evangelizzazione – nel senso piùampio del termine, come testimonianza e promozioneumana – a quei popoli o gruppi umani non ancora o nonsufficientemente evangelizzati; oggi, non solo in Africa. I comboniani sono 1560 (di cui 21 vescovi) di 46 nazionalitàe operano in 41 paesi in Africa, America, Asia ed Europa. I giovani in formazione: 226 postulanti; 103 novizi; 140scolastici; 16 fratelli; per un tortale di 491 candidati.

Città del Vaticano, Papa Francesco incontra la neoeletta direzionegenerale dei missionari comboniani (2015).

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INTERVISTA AP. STEFANO CAMERLENGOStefano Camerlengo, classe 1956, ha compiuto gli studi teologici a Torino e Roma,presso la Pontificia Università Gregoriana, ed è stato ordinato presbitero nel 1984a Wamba, Congo RD. In questo paese, ha lavorato a più riprese in attivitàpastorali, formative e come superiore regionale. Nel 2005 è stato eletto vicariogenerale, quindi nel 2011 superiore generale.

Missionaridella ConsolataPer una missione condivisaa livello continentale

Come sta cambiando il suo Istituto?L’Istituto sta cambiando e dovrà cambiare ulte-riormente. Dobbiamo rimanere fedeli al carisma,

che ci dice ciò che siamo, modellandolo però su una re-altà in continuo cambiamento e su una missione vissutaoggi da confratelli che provengono da più di trenta paesi,con culture diverse da quella in cui siamo nati. Dobbia-mo rimanere “famiglia”, come ci voleva il fondatore, macostruirla su un modello interculturale. È difficile, ma cidà credibilità e forza di testimonianza. Stiamo anche im-parando ad aprirci a spazi nuovi. Nati per l’Africa, svilup-patici anche in America latina, di recente l’Istituto ha fat-to una scelta decisa per l’Asia, aprendosi a Corea (1988),Mongolia (2003) e Taiwan (2014).In Europa da anni si parla di crisi degli Istituti mis-sionari. Capita pure al suo Istituto? Sì. L’età media delle nostre presenze in Europa è alta,specie in Italia e Portogallo, dove risiede il maggior nu-mero di missionari europei. Diventa difficile gestire operenate con uno scopo preciso (prevalentemente seminari),ma che oggi divenute pesi ingombranti, poco adatti aduna missione più leggera, fatta in comunione e in rete

con la Chiesa locale e altri agenti della missione. La Di-rezione Generale passata ha preso decisioni a volte im-popolari perché toccano valori affettivi del patrimonio,ma che non è più il tempo di portare avanti se non di-ventano rispondenti ad un preciso Progetto missionario.Credo che nel prossimo sessennio si continuerà su que-sta strada per ottimizzare il rapporto esistente tra la mis-sione, i missionari e le strutture.È finita l’epoca degli Istituti missionari? E quali sa-rebbero le alternative? Promuovere una missione condivisa. Oggi la complessitàdelle situazioni e la complementarietà delle competenzehanno reso difficile un’azione missionaria significativa daparte di un solo Istituto. È il tempo dell’interdisciplina-rietà. Gli incontri per una riflessione congiunta e gli spazidi collaborazione fra congregazioni religiose hanno pro-dotto frutti abbondanti. Ora serve progettare insieme ini-ziative di evangelizzazione per rispondere alle sfide delmondo d’oggi. In questo senso, la missione ad gentes ead extra comincia da Gerusalemme, come direbbel’evangelista Luca (24,47), da una conversione dal di den-tro della vita consacrata, che rompe i cerchi chiusi, molte

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volte monopolizzati da strutture di potere, e si apre, conla forza dello Spirito, alla condivisione, al dialogo, all’altro.Ciò esige di ripensare nuove forme di governo, processidi formazione iniziale più integrata, progetti condivisi dimissione e interazioni di presenza e servizi che cooperinoa superare ogni particolarismo, mantenendo, al contem-po, l’originalità della nostra proposta. Il nostro tempo ècaratterizzato da gravi sfide e rapidi cambiamenti, ma èanche carico di nuove promesse di futuro.Quali sono le nuove sfide e i nuovi paradigmi dellamissione oggi?Rispondere in poche battute è impossibile. Potrei forseaccennare al metodo che il nostro Istituto ha scelto per

capire, affrontare e vivere la missione alla luce delle nuo-ve sfide e dei nuovi paradigmi della missione. Negli ultimisei anni ogni continente (Africa, Americhe, Asia ed Euro-pa) ha preparato un Progetto missionario continentaleche, alla luce della realtà attuale, definisce obiettivi e cri-teri per poter vivere in modo contestualizzato ed aggior-nato la nostra missione. Il Progetto deve anzitutto chia-rire l’ad gentes specifico del continente e dare indicazioni

concrete, fattibili e verificabili affinché questa missionepossa essere portata avanti in linea col carisma, l’econo-mia dell’Istituto sia orientata a questa missione e la for-mazione, di base e continua, prepari effettivamente ilmissionario a vivere e testimoniare in modo autentico egioioso la propria missione. Ogni continente può poi tro-vare, in armonia col resto dell’Istituto, una struttura giu-ridica più adeguata al proprio contesto missionario.Quali bussole orientano il suo Istituto per uscire dallacrisi? L’ultimo Capitolo Generale ha scelto la “bussola evange-lica” per ri-orientare e dare linfa nuova all’Istituto; in altreparole: convertirsi. Per noi la conversione deve essere la

I MESSAGGERI DELLA CONSOLAZIONEFONDATI DA GIUSEPPE ALLAMANO

I Missionari della Consolata sono stati fondati dal beato Giuseppe Allamano, prete delladiocesi di Torino, nel 1901. Sono “consacrati per la missione ad gentes”, apostoli dei noncristiani e messaggeri della consolazione di Gesù Cristo al mondo. Oggi sono presenti inuna trentina di paesi, in quattro continenti. L’Istituto, nonostante il calo delle vocazioni, rimane stabile intorno al migliaio di membri;sta invece cambiando la composizione geografica: nel 2015, per la prima volta, il numerodegli africani ha superato il 50 per cento del totale. Nei tre noviziati, due in Africa (Kenya e Tanzania) e uno in Sud America (Argentina), ci sonouna quarantina di novizi, che continueranno la formazione nei seminari internazionali. In questi ultimi anni la presenza dei fratelli coadiutori è diminuita drasticamente; resisteun piccolo numero di giovani fratelli in Africa.

PROMUOVERE UNA MISSIONE CONDIVISA.OGGI LA COMPLESSITÀ DELLE SITUAZIONI

E LA COMPLEMENTARIETÀ DELLECOMPETENZE HANNO RESO DIFFICILE

UN’AZIONE MISSIONARIA SIGNIFICATIVADA PARTE DI UN SOLO ISTITUTO

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riscoperta dell’essenza del carisma: essere per i “non cri-stiani”. Alcuni contestano questa espressione, ma se ciperdiamo dietro alle parole, rischiamo di perdere la no-stra identità e la ragione per cui siamo stati fondati. Solorecuperando questo nucleo del carisma, che ha ispiratoe guidato i nostri primi missionari, troveremo il nostroposto nella Chiesa tutta missionaria di papa Francesco.In questi ultimi anni ci siamo illusi che il nostro ruolo nel-la Chiesa locale fosse quello di “formatori e maestri” dimissione, suscitatori di spirito missionario, senza renderciconto che avevamo perso quella missione che preten-devamo insegnare. Se torneremo ad essere, nelle formenuove che i tempi richiedono, missionari appassionati diprimo annuncio, ovunque siamo, anche in Europa e inItalia, non correremo il rischio di sparire in una Chiesatutta missionaria.

Mozambico, missionari della Consolata al loroarrivo nel paese (1925).

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S R . S I M O N A B R A M B I L L A

Simona Brambilla, brianzola, 52 anni, è al suo secondomandato come superiora generale. Precedentemente è stataconsigliera generale. Si è laureata in Psicologia presso laPontificia Università Gregoriana di Roma, con una tesi suEvangelizzare il cuore. L’evangelizzazione inculturata tra imacua scirima del Mozambico, frutto dell’esperienza vissutain Mozambico.

Missionariedella ConsolataSuonare la missione di Diocome fragili canne bucate

Smarrire la propria identità, impaurendosi davanti al-la riduzione numerica, all’aumento dell’età media,all’idea che “tutto è missione” e che “la missione è

dappertutto” è oggi un pericolo effettivo per l’Istituto.

F R A G I L I TÀ E M I S S I O N E

La riduzione numerica è una benedizione, una grazia. As-sieme a una rinnovata e più profonda coscienza dellanostra fragilità, essa ci sta aiutando a comprendere chela missione non è nostra, è di Dio. Egli ama passare at-traverso fragili canne bucate, come noi siamo, per suo-nare la sua melodia, come fa un musicista con un flauto.Questa “piccolezza” benedetta ci ha aiutato, specie negliultimi due Capitoli Generali, a ri-focalizzarci sulla nostraspecificità. Se è vero che tutta la Chiesa è missionaria eche in qualche modo tutta la sua attività è (o dovrebbeessere) missione, è altrettanto vero che noi, come Mis-sionarie della Consolata, non siamo venute al mondo perabbracciate “tutta” la missione della Chiesa, ma per vi-vere la prima evangelizzazione, la missione ai non cristia-

ni, nel segno della consolazione. Questo è il nostro spe-cifico. È alla luce della nostra identità carismatica che sia-mo chiamate a ristrutturarci, a lasciare posti e attività chenon corrispondono all’ad gentes e rilanciarci, con tuttele nostre energie, non importa quante siano, verso i noncristiani. Con realismo e coraggio.

L A M I S S I O N E C O M E M I E T I T U R A E S E M I N A

Per noi è fondamentale anche oggi il motivo per cui sia-mo state fondate: l’evangelizzazione dei non cristiani.Consapevoli che l’evangelizzazione non avviene mai asenso unico, ma si configura come uno scambio di doni:evangelizziamo e siamo evangelizzate dal cammino cheDio ha già percorso con le persone che incontriamo. Lamissione è incontro e scambio. Non si tratta solo di se-minare, ma in primo luogo di mietere l’esperienza di Diopropria di un popolo. La missionaria è anzitutto una rac-coglitrice, una mietitrice del buon frutto che Dio ha giàfatto crescere nell’animo di un popolo o di una persona.Quindi, è anche seminatrice del kerigma. In questa inte-razione tra semina e mietitura avviene il dialogo, l’incon-tro, l’evangelizzazione. L’ascolto vero, profondo, empati-co, è imprescindibile nella missione. Il primo atto missio-nario ha il sapore della ricettività, dell’accoglienza, del-l’attenzione a identificare e raccogliere il frutto che Dioha già coltivato nell’altro. Da qui può partire il dialogoautentico, che è evangelizzatore.

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PER NOI È FONDAMENTALE ANCHEOGGI IL MOTIVO PER CUI SIAMO STATEFONDATE: L’EVANGELIZZAZIONE DEI NON CRISTIANI

L E S F I D E AT T UA L I

Per noi la sfida più urgente rimane la prima evangelizza-zione, specie nei contesti in cui la Chiesa non esiste an-cora o, se c’è, è allo stadio germinale. Mi riferisco princi-palmente all’Asia, che dei quattro continenti ove siamopresenti ha la percentuale maggiore di non cristiani. Maanche in alcune zone d’Africa e America esistono con-testi non cristiani che meritano attenzione. Penso al dia-logo con l’islam, con altre fedi, le cosiddette religioni tra-dizionali africane e quelle dei popoli originari. Anche inEuropa esistono i non cristiani. Credo però che occorrafare una distinzione. Una cosa è la presenza di situazionio fasce umane non cristiane in un contesto in cui laChiesa esiste e ha un suo cammino già tracciato; altracosa è la presenza di vaste popolazioni non cristiane incontesti in cui la Chiesa non esiste o è in germe. La Chie-sa è per sua natura missionaria, per cui il primo compitodella Chiesa è (o dovrebbe essere) l’annuncio del Van-gelo. Ora, in zone e contesti in cui la Chiesa esiste, ha unatradizione e un solido cammino, è compito suo curare laprima evangelizzazione delle fasce umane non cristiane.

Ma in un contesto in cui la Chiesa non esiste o è agli iniziè prettamente per i missionari e le missionarie ad gentes.

I L R U O L O D E L L A I C AT O

Abbiamo una relazione fraterna/sororale con i Laici Mis-sionari della Consolata, presenti in Africa, America ed Eu-ropa. Non appartengono al nostro Istituto, sono un mo-vimento autonomo di persone e comunità laicali checondividono il carisma. Li riconosciamo come soggettocarismatico alla pari con le Missionarie e i Missionari dellaConsolata, costituendo così tre espressioni dell’ad gentes

MISSIONARIECON CARATTEREFORTEMENTE MARIANO

Il fondatore Giuseppe Allamano era un prete diocesanodi Torino, innamorato della missione. Non potendo

essere missionario a causa della salute, su ispirazione dellaVergine Consolata, del cui santuario torinese fu rettoreper 46 anni, fondò prima i missionari e poi le missionariedella Consolata. Allamano ha sempre affermato che lafondatrice dell’Istituto è la Consolata, l’istituto ha quindiun carattere fortemente mariano. Il carisma ha il suonucleo nell’evangelizzazione dei non cristiani nel segnodella Consolazione. Attualmente le missionarie sono presenti in Africa (Kenya,Tanzania, Mozambico, Etiopia, Djibouti, Liberia, GuineaBissau), America (Brasile, Colombia, Venezuela, Argentina,Bolivia, Stati Uniti), Asia (Mongolia e una sorella in unacomunità intercongregazionale in Afghanistan), Europa(Italia, Spagna, Portogallo). La Congregazione è compostada 583 sorelle, provenienti da 16 diverse nazioni di trecontinenti. Le novizie sono 15, le prenovizie 38.

nel segno della consolazione. Coltiviamo con i Laici Mis-sionari della Consolata la reciprocità, lo scambio, la co-munione, la collaborazione.

R I N A S C E R E : A Z I O N E D E L R I N N O VA M E N T O

Il Capitolo, concluso il 7 giugno scorso, è stato un’espe-rienza di forte convergenza e comunione nello Spirito,nell’approfondimento della nostra identità specifica, chegenera i criteri della ristrutturazione e del suo rilancio. Iltema “Rinascere” è un verbo pieno di vita, sfida, fascino.Infatti, la ristrutturazione non avrebbe senso senza unprocesso di ri-nascita, ri-formazione, ri-disegnamentodel cuore di ciascuna di noi per convertirci sempre più aDio, che ci chiama e coinvolge nel movimento incessan-te della sua missione, rigenerandoci oggi dall’alto (cfr. Gv3,3-8) all’identità di figlie nel Figlio Missionario del Padre,Gesù di Nazareth, unico inviato nel quale, e solo nel qua-le, anche noi siamo inviate.

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Arvaiheer (Mongolia), chiesa della nuova parrocchiadedicata a Maria Madre di Misericordia

affidata alle suore missionarie della Consolata.

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S R . G I O R DA N A B E R TAC C H I N I

Oggi c’è più bisogno che mai di evangelizzare, an-che in luoghi di antica tradizione cristiana. Ma icambiamenti in atto dentro la Chiesa, in parti-

colare la riscoperta della sua natura missionaria, obbli-gano il nostro Istituto a ripensarsi, insieme ad altri sog-getti missionari (preti e laici Fidei donum ecc.). Il progettomissionario originario resta valido e continua a suscitareentusiasmo nelle sorelle di tutte le età, ma sono poche,in proporzione, quelle concretamente impegnate adgentes.

C R I S I D ’ I D E N T I TÀ ?

In Italia, oltre alle tre le sorelle a tempo pieno nell’ani-mazione missionaria e vocazionale, facciamo fatica apensare nuovi ambiti e nuovi tipi di presenza, malgradoquanto affermato nell’ultimo Capitolo Generale. Questadifficoltà vale anche per gli altri paesi dove siamo pre-senti prevalentemente per l’animazione missionaria evocazionale (Brasile, Messico, Stati Uniti). Non siamo difronte ad una crisi d’identità, bensì alla difficoltà, dopoanni di missione, di reinserirci in una realtà, come quellaitaliana, in continua evoluzione. C’è da dire poi che nonsempre la Chiesa locale è capace di accoglierci rispet-tando il nostro carisma. In Italia, poi, i servizi generali e lacura delle sorelle malate assorbono molte energie. Ciònonostante, è ammirevole l’impegno di tante sorelle inattività apostoliche. Oggi è difficile trasmettere in modoadeguato il nostro carisma nella realtà attuale.

Giordana Bertacchini, originaria di Correggio (RE), nel 1976è entrata nelle Missionarie di Maria/Saveriane. Dopo la primaprofessione, ha completato gli studi di Medicina ed è quindipartita per la missione in Ciad. Nel 2008 è stata eletta vicariagenerale e dal 2014 è direttrice generale dell’Istituto.

Le missionariedi Maria/SaverianeTutto per la missione

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L A M I S S I O N E C O M E “ C A M M I N O ” E “ S P O S TA M E N T O ”

Penso che la missione oggi sia soprattutto “cammino” e“spostamento”, in altre parole itineranza, dinamismo, leg-gerezza, in contrapposizione a stanzialità, pesantezza,routine. Ciò significa vivere con la gente, libere da tantiorpelli che appesantiscono il nostro servizio. Le nostrepresenze sono generalmente semplici, dotate di struttureleggere. Questo favorisce il contatto personale, quotidia-no, con la gente. Dovrebbe anche permetterci elasticitàe disponibilità a “spostarci”, uscire, ma questo non sem-pre avviene, perché alla lunga ci si affeziona a luoghi, per-sone, sicurezze. Infatti, benché consapevoli di essere co-me Paolo che, mosso dallo Spirito, va sempre oltre, giu-stifichiamo la permanenza delle nostre presenze e il tipodi servizio svolto. La questione non è se il servizio sia va-lido, ma se sia in sintonia con il carisma e le necessità glo-bali dell’evangelizzazione. Difficilmente lasciamo un postoper scelta, è spesso la realtà che ci obbliga a levar le ten-de. In alcuni casi, lo spostamento è facilitato dalla Chiesalocale, nella persona del vescovo, che riesce a cogliere lapeculiarità del nostro carisma. È il caso della Thailandia.

I L V O LT O D E L L A M I S S I O N E O G G I

Oggi la missione non è più legata esclusivamente alla ca-tegoria geografica. Ciò nonostante, il criterio geograficoresta valido. Ovunque siamo interpellate dalla multicul-

LA SFIDA UNIVERSALE È MANTENERE VIVALA PASSIONE PER GESÙ CRISTO E PER L’ALTRO/A, CON UN IMPEGNOPERSONALE E COMUNITARIO DIFORMAZIONE CONTINUA, LOTTANDOCONTRO L’INDIVIDUALISMO EL’AUTOREFERENZIALITÀ

Sr. Lucia Pulici, uccisa in Burundi il 7 settembre 2014.

A pag. 40: Sr. Bernardetta Boggian (terza da destra),uccisa in Burundi il 7 settembre 2014.

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turalità, ma la nostra missione è andare ai più lontani. Pe-rò si nota ancora una conduzione “all’italiana” delle co-munità e dello stile missionario. Devono crescere la fidu-cia reciproca, l’umiltà di imparare dall’altro e di relativiz-zare ciò che non è Vangelo. Deve venir meno l’etnocen-trismo e lo spirito di rivendicazione. La missione ad gen-tes in comunità interculturali richiede fede solida, perso-nalità integrata, salute sufficiente, capacità di adattamen-to e, per noi religiose, una vita comunitaria di qualità, in-dispensabile per annunciare il Vangelo in modo credibile. Se queste condizioni non sono soddisfatte, resteremoimmobili nelle postazioni che ci danno sicurezza, oppure,dopo qualche anno, chiederemo di ritornare nei paesi diorigine. È importante sottolineare per noi missionarie re-ligiose questo aspetto della missione vissuta insieme. Va presa in considerazione anche la missione inter gen-tes. Infatti, tutte le società sono sempre più multiculturalie multireligiose, anche a causa del fenomeno migratorio.Sono molti i fedeli di altre fedi presenti nei paesi di anticatradizione cristiana. Inoltre, l’invecchiamento delle sorellenon permette facilmente nuove destinazioni ad gentes.Si tratta di aprire gli occhi e il cuore sugli ambiti privile-giati di primo annuncio per non ripiegarci su servizi chealtre congregazioni possono svolgere. Noi possiamo con-tribuire con la nostra esperienza missionaria, con la co-noscenza delle culture, delle lingue.

L E S F I D E

La sfida universale è mantenere viva la passione per GesùCristo e per l’altro/a, con un impegno personale e comu-nitario di formazione continua, lottando contro l’indivi-dualismo e l’autoreferenzialità. Altre sfide interne: l’influsso del relativismo, l’invecchia-mento e il venir meno delle forze, la fragilità nel perse-verare (soprattutto tra le giovani), la ricerca disuccesso/realizzazione personale che necessita una ve-rifica delle motivazioni profonde delle candidate, la ten-tazione di costruirsi il “nido”, la difficoltà di attuare ciòche emerge dai discernimenti e di collaborare tra sorelle,la mancanza di mentalità progettuale a medio e lungotermine. Abbiamo capacità di analisi, ma difficoltà di sce-gliere linee operative coerenti. Non sempre la collabora-zione con i preti (locali o missionari) è facile. Inoltre,

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quando c’è un problema nella famiglia naturale, tendia-mo sempre più a farcene carico, passando lunghi periodifuori comunità. Nel campo della prima formazione, i pic-coli numeri ci obbligano a una formazione ad personam. Ci sentiamo sfidate anche dalle migrazioni esasperate edalla condizione dei giovani. Proviamo smarrimento difronte alla velocità e quantità di informazioni che rice-viamo in tempo reale. Sembra importante formarci adun uso intelligente dei Social Media, per non sottrarretempo prezioso all’incontro reale con le persone.Alcune sfide in Africa: cogliere in profondità la culturadella gente, una formazione di base carente, l’autofinan-ziamento, la spinta verso le “opere”, la diffusione del-l’islam fondamentalista, la vastità dei territori e le perife-rie geografiche, la Chiesa locale poco missionaria. Sfide

to, la mancanza di persone idonee all’animazione e allagestione delle comunità; sentiamo il bisogno di aiutarele sorelle anziane e malate a vivere con spirito missiona-rio questa tappa della vita, riconoscendo il primato del-l’essere sul fare. Queste difficoltà sono un invito a viverela prossimità e la vicinanza con la gente, senza pretese.

I L R U O L O D E L L A I C AT O

Il ruolo dei Laici (uomini e donne) delle Missionarie diMaria ha ancora bisogno di chiarirsi e consolidarsi. In ge-nerale essi hanno un bel senso di appartenenza e amoreal carisma dei fondatori. Il loro coinvolgimento è vario econdizionato da vari fattori: età, impegni familiari, forma-zione, paese in cui sono presenti. Numericamente ci su-

UNA PICCOLA CONGREGAZIONECON DUE FONDATORI

La storia delle Missionarie di Maria è recente, sono state fondate a Parma nel 1945 dapadre Giacomo Spagnolo e madre Celestina Bottego. Oltre che in Italia, sono presenti

in Africa (Congo RD, Camerun, Ciad), America (Brasile, Messico, Usa), Asia (Giappone eThailandia). La provenienza: 28 sorelle sono originarie del Brasile, una del Ciad, 13 del CongoRD, 6 del Giappone, 150 dell’Italia e 20 del Messico. Le novizie sono 7 (5 congolesi, unagiapponese e una italiana). Nell’ultimo triennio tre professe di voti temporanei e una di votiperpetui hanno lasciato l’Istituto.

perano. Il loro contributo di riflessione è importante e losollecitiamo. Con i vari gruppi sparsi nel mondo c’è cor-dialità e accoglienza reciproca. Il loro impegno si esplicitanella preghiera, nell’animazione missionaria, nel servizioagli immigrati, nell’animazione vocazionale e nel soste-gno economico ad alcune missioni, nella collaborazionecon nostre iniziative. Qualche gruppo comincia a orga-nizzarsi più autonomamente, in ciascuno di essi. è pre-sente una sorella di riferimento, per quanto riguarda laformazione e la spiritualità. Da qualche tempo in Italia iLaici hanno reso più ufficiale la loro appartenenza attra-verso una formula di impegno e uno Statuto approvatodalla nostra Direzione Generale. Tre laiche sono partitein missione, individualmente, per un tempo limitato, inuna nostra comunità. Sono i primi passi e ci auguriamodi crescere insieme in una collaborazione sempre piùconsapevole del comune servizio al Regno nel rispettodell’autonomia e delle competenze di ciascuno.

S R . G I O R DA N A B E R TAC C H I N I , M M X

NON SIAMO DI FRONTE AD UNA CRISID’IDENTITÀ, BENSÌ ALLA DIFFICOLTÀ,

DOPO ANNI DI MISSIONE, DI REINSERIRCIIN UNA REALTÀ, COME QUELLA ITALIANA,

IN CONTINUA EVOLUZIONE

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in America: la proliferazione delle sette, la migrazione ela tratta, le periferie geografiche, l’ingiustizia e la violenza,la poca sensibilità per la missione ad gentes. Negli Usa:l’integrazione tra i popoli (latinos, neri e bianchi). Sfide inAsia: culture e religioni forti, strutturate, organizzate, l’ac-cettazione e la comprensione del mistero umano e divi-no, l’apprendimento delle lingue, un lungo periodo di in-serimento, la necessità di competenze. Sfide in Europa(Italia): scoprire l’ad gentes e rispondervi adeguatamente,privilegiando le periferie, l’immigrazione e la tratta, la per-dita dei valori (tanti modi di dire no alla vita per il propriobenessere), l’indifferenza religiosa e nello stesso tempola nostalgia di Dio. Ci confrontiamo con l’invecchiamen-

p. Giacomo Spagnolo, cofondatore delle missionarie saverianecon madre Celestina Bottego, in partenza per il Giappone.

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I SaverianiRiscoprire l’ad gentes smarrito

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INTERVISTA AP. MARIO CARMELO MULA Mario Carmelo Mula, classe 1947, originario della Sardegna, è stato ordinatopresbitero nel 1973. La sua prima destinazione missionaria è stata la Spagna, quindila Colombia e, di nuovo, la Spagna. Attualmente è vicario generale dei MissionariSaveriani. In precedenza è stato superiore regionale della Regione Saveriana dellaColombia e della Delegazione Saveriana della Spagna.

Il suo Istituto, nato come Seminario emiliano perle missioni estere, oggi è internazionale. Come af-fronta la crisi della missione ad gentes?

Il progetto missionario è chiaro, ma si è diluito in tantifronti secondari, buoni, ma non corrispondenti al cari-sma. Perciò il XVI Capitolo Generale (2013) ha invitato a“ripartire dal primo annuncio”. L’Istituto dovrà perciò di-scernere quali fronti tenere, in quanto corrispondenti al-l’ad gentes, e quali lasciare. La missione ad gentes, infatti,resta urgente, perché, come dice papa Francesco, “c’èancora moltissima gente che non conosce Gesù Cristo”.La missione oggi non si declina tra evangelizzatori edestinatari, ma come “cammino” e “spostamento”.Che cosa significa questo per i Saveriani?Penso che tutti i missionari debbano sentire cum Eccle-sia, ma soprattutto noi, figli di un fondatore che è stato

anche vescovo di una Chiesa locale, senza però mai con-fondere la fedeltà a quest’ultima (e ai servizi pastorali daessa richiestici) con quella al carisma dell’Istituto. Pur in-seriti in una Chiesa locale, oggi noi siamo chiamati a ri-scoprire, forse in maniera diversa e più radicale di allora,la nostra specificità. Soprattutto in un tempo in cui tuttala Chiesa è chiamata alla “scelta” e “trasformazione mis-sionaria”. Nella Chiesa locale, noi dovremmo essere più“liberi” di andare e stare nelle nuove “periferie materialied esistenziali”, per “annunciare Cristo”. Da qui il bisognodi un costante discernimento personale e comunitario.Siamo pronti ad abbandonare i luoghi rassicuranti dellacristianità? A sopportare la fatica e la frustrazione di staredentro una cultura che non fa della fede cristiana il suoriferimento condiviso? Ad affrontare la solitudine di staresu una “strada deserta”, come Filippo sulla strada di Gaza

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(At 8,26-40), abbandonando un tipo di missione, di lin-guaggio comprensibile solo a noi, per aspettare che qual-cuno passi? L’icona biblica di Filippo che sale sul carro esiede accanto all’etiope contiene una serie di atteggia-menti tipici del missionario ad gentes: stare volentieri inquesto tempo, apparentemente deserto; non farsi pren-dere dalle nostalgie dei tempi passati; lasciarsi sorpren-dere da tutti, guardandoli con simpatia; cogliere le ansiee i desideri che le persone esprimono con le modalità piùdiverse; coltivare un silenzio accogliente dell’altro, senzacominciare a spiegare le cose prima di salire sul carro.A questo noi aggiungiamo lo stile comunitario di faremissione, che non dovrebbe mortificare lo slancio indi-viduale, ma rendere più credibile il progetto missionario.Quali sono le sfide della missione oggi?In questo cambiamento d’epoca, le sfide sono in primoluogo interne all’Istituto: siamo chiamati a lasciare posi-zioni non più strategiche per l’annuncio, individuandonedi nuove. Altre sfide sono contestuali. Le vivremo comeopportunità nella misura in cui sapremo abbandonarestrategie autoreferenziali, accogliendo dinamiche che cirimettano in “cammino” come “migranti”, che ci rendanocapaci di “spostamento” al ritmo della vita umana, cul-turale e religiosa dei popoli cui siamo inviati.In Asia, dove il cristianesimo è nato, la sfida, culturale ereligiosa, è sentire che “Cristo è asiatico”, di casa. Comeannunciare e testimoniare la “compassione” di Cristo pertutta l’umanità? Credo che le “Beatitudini” siano unabuona piattaforma per l’incontro col mondo asiatico.Due mi sembrano le sfide in Africa: innestare più e me-glio i valori evangelici nel giardino dei valori locali; giocare

lificata animazione e formazione missionaria ad gentes.In Europa non dobbiamo arrenderci al pessimismo perla secolarizzazione o post-secolarizzazione, con una re-ligiosità fai-da-te. In questo contesto, due mi sembranoi fronti aperti: quello dei non credenti, cui è giusto offrireuna testimonianza gioiosa di Cristo, che dà senso all’esi-stenza; quello dei sempre più numerosi credenti di altrefedi, che rischiano di entrare in contatto con un cristia-nesimo “falsato” dalla contro testimonianza di molti cri-stiani. Dobbiamo chiederci: dove e come possiamo vi-vere l’ad gentes in Europa? Il suo Istituto ha un’eccellente tradizione culturale.E oggi? Le nuove frontiere della missione sono il dialogo tra le cul-ture e le religioni. Lo stesso annuncio del Vangelo avvieneproprio attraverso l’incontro, l’ascolto, la conoscenza el’apprezzamento dell’altro, lasciandosi coinvolgere in unprogetto condiviso che valorizza l’umanità e la dignità diciascuno, inclusa la trascendenza. Per cui non si può la-sciare la responsabilità culturale all’iniziativa personale, maformarvi i nuovi Saveriani. Specie in un tempo in cui anchele grandi tradizioni sono sfidate dalla realtà liquida e fram-mentata della rivoluzione digitale, che esige l’apprendi-mento di nuovi linguaggi e l’inserimento in nuove agoràculturali. È la cyber-mission. Speriamo molto nei nostriCentri di studio continentali, che devono essere sempredi più cenacoli di ricerca e stimolo per tutti i confratelli.

un ruolo di “catalizzatori” dell’incontro fra Sud e Nord delmondo, di fronte ai flussi migratori, che sconvolgono irapporti tra Europa e Africa.In America latina, dopo la Conferenza di Aparecida(2007), in primo piano c’è la “missione continentale”,l’impegno per la ri-evangelizzazione del continente, in-sieme a quella “oltre le frontiere”. Noi missionari siamointerpellati soprattutto dalla seconda, sostenendol’apertura delle Chiese latinoamericane con una più qua-

L’ISTITUTO MISSIONARIO FONDATO DA UN VESCOVO

Guido Maria Conforti, vescovo di Ravenna e poi diParma, ha dato vita all’Istituto per le Missioni Estere

nel 1895, una Congregazione rivolta alla missione ad gentes, all’interno della missione globale della Chiesa.La prima missione dell’Istituto è stata la Cina, poi, conl’espulsione da parte del regime maoista di tutti imissionari occidentali, i Saveriani si sono sparsi neiquattro continenti (in Africa e America, oltre che in Asiaed Europa) e ora sono presenti in 20 paesi. I membri dellaCongregazione sono 707, in maggioranza italiani (392), maormai provenienti da 15 diversi paesi. I postulanti sono 32,i novizi 22 e gli studenti professi di filosofia-teologia 87 (il50 per cento africani).

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Parma, mons. Conforti con mons. Celso Costantini, delegatoapostolico in Cina, in visita alla comunità saveriana (1927); Parma,una sala del “Museo d’arte cinese ed etnografico” dei saveriani.

A pag. 43: Shinmeizan (Giappone), Centro di spiritualità e di dialogointerreligioso dei saveriani.

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Se penso all’esperienza concreta oggi, credo chenon si possa dare nulla per scontato. Non bastaappoggiarsi su ciò che è stato vissuto come rela-

zioni d’amicizia, fedeltà e fraternità. Poiché la distruzione,le guerre e l’estrema violenza di questi anni hanno ri-messo in discussione molte cose. Penso alle due cittàsimbolo, Aleppo in Siria e Mosul in Iraq, dove le nostrecomunità sono presenti dagli anni ‘50 (Mosul è statachiusa nel 2014 con l’evacuazione di tutti i cristiani).Chiunque siano i responsabili della tragedia senza fine diquesti popoli (e sarebbe bene interrogarsi su questo), èun fatto che la relazione tra cristiani e musulmani è stataferita, sconvolta profondamente. I cristiani in certi casi sisono sentiti traditi, dopo decenni di vita insieme. E moltisono stati cacciati dalla propria terra, torturati e uccisiperché cristiani. In Europa sono gli attentati ad aver ri-svegliato bruscamente e dolorosamente il problema.

I L S E N S O D E L L A N O S T R A M I S S I O N E C O N I M U S U L M A N I

Bisogna cercare più lontano e in profondità, ma anchepiù personalmente, che cosa contiene per noi questaconsacrazione a Dio per i nostri fratelli e sorelle musul-mani. Si tratta di ricollegare questa consacrazione al donodella vita, al prezzo del soffrire e morire non solo con loro,per loro, ma anche a causa loro, per ritrovare il vero sensodi questa nostra missione. Un giorno ci saranno nuovestrade d’amicizia, rese possibili anche da questa provad’amore fino all’ultimo. E come mi diceva un vescovo ira-cheno: “Non siamo eroi, la grazia del martirio la riceviamoda Dio, da uomini fragili come voi, come tutti”. Ecco, nonda eroi, che non siamo, ma per grazia. Per le sorelle chelo vivono in prima persona, un lavoro di riconciliazionecon la propria storia personale e quella del proprio paesee popolo è necessario in questi tempi di prova.

L A F R AT E R N I TÀ A U N A S V O LTA

Guardando l’insieme della vita religiosa nella Chiesa, con-statiamo una crisi generalizzata. Il cambiamento d’epoca,

Ferrari Maria Chiara de Jésus è responsabileinternazionale delle Piccole Sorelle di Charles deFoucauld, con sede alle Tre Fontane (Roma).

Piccole SorelleLa missione come amicizia

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descritto così bene da papa Francesco, la rende ancorapiù evidente. Sentiamo la crisi del modello, che cosenuove nascono, ma non conosciamo ancora il profilo diun nuovo modello. Anche la nostra Fraternita si trova auna svolta, nel senso che in certi continenti viviamo ladiminuzione, mancanza di vocazioni e invecchiamento(Europa e America in particolare), mentre c’è una crescitasoprattutto nel continente africano. Questo spostamen-to non è solo geografico, evidentemente. Si tratta di in-carnare il carisma tenendo conto del contesto africanod’oggi. La nostra forma di vita religiosa è messa in causadalla nostra stessa internazionalità e dalla sfida d’incul-

L A S F I DA E L E S F I D E D E L L A N O S T R A M I S S I O N E

Per tutti i continenti c’è la sfida di rimanere comunitàcontemplative nel cuore del mondo dei poveri. E ancorain tutti i continenti, eccetto l’America latina, si pone laquestione della presenza presso i musulmani con le ca-ratteristiche che segnano l’islam di oggi secondo i con-testi. Molto brevemente per continenti le sfide sono leseguenti. In Africa, in questi anni, la formazione delle giovani so-relle occupa molto spazio ed energie. Inoltre, è in attoun discernimento sulle possibilità di lavoro e su comeguadagnare la vita, in coerenza con lo stile della Frater-

COME LA VITA PERSONALE, COSÌ LA VITA DELLA COMUNITÀ

NON CI APPARTIENE E DARE LA VITA È SEMPRE ACCETTARE CHE IL CHICCO DI GRANO MUOIA. È UN PO’ COME UN

PASSAGGIO ATTRAVERSO IL FUOCO: SOLO LA PROVA ALLA FINE DÀ

CONSISTENZA ALL’INSIEME DELLA VITA

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nità. Una sfida esigente, poiché lavoro “povero” e “gua-dagnare la vita” non coincidono facilmente. In America latina si tratta di rimanere nelle periferie inun clima di crescente violenza, di non perdere la sensi-bilità né l’indignazione e il senso della giustizia. Mentre in America del Nord, le periferie sono segnatedall’arrivo dei rifugiati ed è urgente, nel clima attuale,preservare i valori dell’amore, dell’ascolto, del rispetto edell’accoglienza. In Asia e Oceania è soprattutto la testimonianza cristianain un contesto multiculturale e multi religioso, in cuil’islam oggi prende un posto rilevante. E anche come es-sere elementi di unità nella frattura/tensione creata dallamondializzazione, tra tradizione e modernità. Questa re-altà attraversa tutte le società asiatiche. In Europa le sfide sono multiple: l’appello prioritario deimigranti. Inoltre, la continuazione della presenza con glizingari, le vittime della prostituzione e/o della tratta, i

turare il carisma nei più vari contesti. Da un altro lato, larealtà dell’invecchiamento ci obbliga a rivedere la formain cui il carisma è stato vissuto in altri momenti della sto-ria della congregazione. Sentiamo sia l’attualità del no-stro carisma, sia la necessità della sua attualizzazionecontinua.

L A F O R Z A D I D I O N E L L A D E B O L E Z Z A

Nella nostra realtà oggi, di fronte all’invecchiamento ealla chiusura di comunità significative (in paesi come l’Af-ghanistan, per esempio), leggiamo questa frase della p.s.Magdeleine a una profondità diversa rispetto anche soloa dieci anni fa. Sperimentiamo spesso l’impotenza, la de-bolezza, la vulnerabilità, in forme diverse rispetto ai tempidella crescita e dell’espansione. Siamo completamentesolidali con tutti gli altri istituti che vivono questa tappa.Crediamo però che quello che ci è donato di vivere oggipuò essere un’occasione per rendere più autentica que-sta dimensione importante della nostra vita e del nostrocarisma. Come la vita personale, così la vita della comu-nità non ci appartiene e dare la vita è sempre accettareche il chicco di grano muoia. È un po’ come un passaggioattraverso il fuoco: solo la prova alla fine dà consistenzaall’insieme della vita. Una sorella mi ha detto: “Non capi-sco di che cosa dovremmo lamentarci quando guardia-mo chi abbiamo voluto seguire”.

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senzatetto sulla strada. L’evoluzione dell’islam interrogasempre più la nostra forma di presenza, di amicizia e fra-ternità. La grande precarietà del lavoro. E il vivere la mis-sione fino all’ultimo soffio di vita, anche nelle case di ri-poso quando è necessario.

I L “ S E S T O ” C O N T I N E N T E

Medio Oriente e Maghreb formano, per la Fraternità, co-me un “sesto continente”, che ha segnato le nostre ori-gini. Qui oggi le sfide sono immense. In Maghreb, è lapresenza dei migranti subsahariani. In Medio Oriente, lacondivisione quotidiana della tragedia delle guerre senza

fine. Per le due realtà, la relazione con i musulmani ècentrale nella nostra missione. Credo che alla base ci sia,come lo esprimono le stesse sorelle, il lavorare costan-temente su se stessi e in comunità per manifestare conla nostra vita la nonviolenza evangelica. E nello stessotempo perseverare negli anni in zone di guerra e di vio-lente tensioni, conflitti e fondamentalismi, continuandoad offrire e cercare l’amicizia, non può riposare solo sullenostre forze. È un dono di Dio, che si può solo ricevere.Le sorelle che vivono “in prima linea” oggi, in diversi pae-si, lo testimoniano con la loro umana fatica e debolezzae la loro incredibile forza e desiderio di vita.

V I V E R E “ C O N ” E “ C O M E ” L A G E N T E

Ci sentiamo confermate pienamente dalla visione di pa-pa Francesco per l’evangelizzazione, la missione, la Chie-sa. Anzitutto, per il suo desiderio di una Chiesa poveraper i poveri. Ci ha colpito la reazione di vicini e amici didiverse fraternità al momento della sua elezione. Ci di-cevano: “questo è un papa come voi”, rispettando le do-vute distanze.I nn. 197, 198 e 199 di Evangelii gaudium riflettono moltobene la nostra esperienza di vita con la povera gente. Edesprimono la ragione “teologica” del nostro cercare di vi-vere Nazareth condividendo con loro la vita: riceviamo il

FIGLIE DEL FORTE CARISMA DI CHARLES DE FOUCAULD

Le Piccole Sorelle nascono nel 1939 in Algeria, ispirandosi a Charles de Foucauld. La fondatrice, Magdeleine di Gesù, affida loro “la missione specifica di testimoniare

con tutta la loro vita il senso profondo di Betlemme e di Nazareth” (Costituzioni 7).Indicando anzitutto la dimensione di un’avventura spirituale segnata dalla fragilità edebolezza, che dovrebbe portare all’abbandono, alla semplicità, alla dolcezza e alla gioia. Ma anche la concretezza di stare “povere tra i poveri”. Un annuncio del Vangelo, cercandodi rimanere piccole e creare amicizia, senza niente da difendere, che ha permesso allefraternità fin dall’inizio di penetrare in ambienti difficili o ostili. Attualmente le Piccole Sorelle sono 1150, presenti in 62 paesi nei 5 continenti; le noviziesono 18; le candidate ai voti perpetui sono 27: 11 in Africa (Burkina, Camerun, Congo,Nigeria, Kenya, Ruanda); 4 in Asia (Vietnam, Giappone); 3 in Medio Oriente (Egitto, Libano,Siria); 9 in Europa: (Belgio, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Slovacchia).

LA NOSTRA FORMA DI VITA RELIGIOSAÈ MESSA IN CAUSA DALLA NOSTRA

STESSA INTERNAZIONALITÀ E DALLA SFIDA D’INCULTURARE

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Vangelo da loro, noi poveri peccatori che siamo. Voglia-mo vivere tra loro non per realizzare attività di promo-zione o d’assistenza, ma per essere attente alla presenzae maniera di agire di Dio: “Quello che lo Spirito mette inmoto non è un eccesso d’attivismo, ma prima di tuttoun’attenzione rivolta all’altro (considerandolo comeun’unica cosa con se stesso). Questa attenzione d’amoreè l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona.L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permettedi servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché èbello, al di là delle apparenze” (EG 199).

F E R R A R I M A R I A C H I A R A D E J É S U S , P S

Francia, il giorno dei voti perpetui delle Piccole SorelleJeanne e Marguerite (1947).

A pag. 46: Trentino (Italia), Piccole Sorelle al lavoronella raccolta delle mele.

A pag. 45: Algeria, il deserto nella zona dell’oasi di BeniAbbes.

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D I M A R I O M E N I N

Il cambiamento epocale in atto scuote dalle fondamenta ancheistituzioni religiose globali, come la Chiesa cattolica. Ne sonocondizionati pure gli Istituti missionari, in molti casi gli avam-

posti più sensibili della Chiesa. Fondati per lo più nel periodo colo-niale, quando vigeva il mito geografico delle “missioni estere”, oggi,in un Occidente sempre più ibrido e in una Chiesa sempre più mon-diale, post-europea, gli Istituti vivono una fase di “caos” interpreta-tivo circa la loro specificità. Dalle riflessioni qui raccolte, si evinceche stanno vivendo una svolta epocale. Il loro futuro dipende dallacapacità di rivisitare creativamente l’esperienza fondazionale, conesigenti scelte di vita, dolorose chiusure di strutture ingombranti euna presenza più specifica e stimolante nelle Chiese di origine. Scel-te gravose, visto che gli Istituti sono prevalentemente impegnati neiprocessi di internazionalizzazione e ristrutturazione interna, di for-mazione e qualificazione del personale, che assorbono le forze gio-vani e migliori nei “paesi di missione”, lasciando le briciole nei paesidi origine. Ciò nonostante si intravvedono segni di rinascita: cosenuove nascono.

I L “ C A O S ” C O M E G R A Z I A

Il primo segno è la maniera di affrontare il “caos” interpretativo. Lamaggioranza degli Istituti lo vive come un’opportunità, una grazia,un tempo di discernimento e conversione. Rotto lo specchio colo-nialistico delle “missioni estere”, gli Istituti sono chiamati alla viadell’umiltà e piccolezza per ritornare a “suonare” nel mondo la mis-sione di Dio (missio Dei), non da soli, ma coralmente, con le altrecongregazioni missionarie, con le Chiese locali e una molteplicitàdi nuovi soggetti, come i movimenti ecclesiali, che sono la nuovaala avanzante, anche se problematica, della missione. In una Chiesa,che si concepisce tutta missionaria e si identifica con la sua missio-ne, è giocoforza che gli Istituti smettano i panni dei “maestri” e “for-

matori” della missione per indossare quelli dei “discepoli”.

L A N U O VA F O R M A D E L L A M I S S I O N E

Il secondo segno è la nuova forma della missione inter gentes, chetraspare dagli Istituti, cioè la missione come strada a doppio senso,in cui l’altro non è solo destinatario, da convertire. I missionari e lemissionarie non vanno più a fare proselitismo ad gentes, a dare sol-tanto. Sono uomini e donne inter gentes, che testimoniano il regnodi Dio in mezzo a culture e religioni diverse, rispondendo alle nuovesfide della missione. Più che “fare missione”, essi “sono missione”,con il volto della relazione, dell’ascolto, del dialogo, dell’accoglienza,dell’incontro personale, dello scambio di doni, della condivisione,dell’amicizia. È la missione “con” l’altro. Lo stesso processo di con-versione all’interculturalità vissuto all’interno degli Istituti è oggiuna prova del superamento del binomio evangelizzatori-destinatari.Un’era è finita, quella della missione “senza” l’altro. Oggi l’altro entracostitutivamente nella missione. Questo gli Istituti possono elo-quentemente testimoniare e trasmettere alle Chiese di origine, dovespesso si elaborano progetti pastorali a prescindere dall’alterità.

L’ A D G E N T E S C O M E F O R Z A T R A I N A N T E

Il terzo segno è la riscoperta dell’ad gentes come forza trainante diogni azione e opera pastorale. È il “sogno missionario” di papa Fran-cesco, capace di riformare e rinnovare tutto. Gli Istituti non vogliono mancare a questo appuntamento epocale– della “trasformazione missionaria” di tutta la Chiesa –, seppurediminuiti nelle forze. Sarebbe paradossale che nel momento di mag-gior bisogno, le Chiese locali rischiassero di cercare la loro bussolamissionaria senza l’aiuto delle loro forze missionarie migliori. Perquesto gli Istituti sono sfidati anche in Italia (ed Europa) a “trasfor-mare” la loro presenza destinandovi personale specifico. Solo cosìgarantiranno una rinnovata vitalità in situazioni – come quella ita-liana (ed europea) – dove è in gioco la loro specificità e la loro so-pravvivenza. Non possono ridursi alla mera “conservazione” (caseper le necessità istituzionali e per l’assistenza degli anziani e malati).Sarebbe la loro morte.

N U O V I S O G G E T T I M I S S I O N A R I

Oggi non sono più gli Istituti missionari l’avanguardia della missio-ne, ma i movimenti ecclesiali, le nuove comunità, che danno più ri-lievo a nuove figure missionarie e a nuovi ministeri, ai laici e alledonne, e sembrano rispondere con più tempestività alle ansie pa-storali delle Chiese locali, anche su scala globale. Se da un lato questinuovi soggetti missionari – soprattutto laicali – rendono più sfuma-ta la figura tradizionale del missionario, dall’altro stimolano gli Isti-tuti a mettere a fuoco la loro specificità. Ciò esige di pensare nuoveforme e nuovi progetti condivisi di missione, interazioni di presenzee servizi, mantenendo l’originalità e la radicalità della proposta adgentes, ad vitam e ad extra, propria degli Istituti missionari.

Gli istitutimissionaria una svoltaepocale

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