senza confini novembre 2010

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giornale della parrocchia di loreto

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I NONNI E I BAMBOCCIONI

Lo scorso dodici settembre, nel piazzale antistante la chiesadi San Giovanni Battista in Loreto, si è svolta l’ormai con-sueta festa dedicata ai nostri nonni.Una festa animata da adulti, giovani, adolescenti, in un’al-leanza tra generazioni, coese nel dedicare una giornata ainostri nonni. Una giornata bellissima, baciata da un caldosole di �ne estate, con tanta musica e tante belle testimo-nianze ed allietata dal gruppo il “TEATRO POCO STA-BILE” che ha messo in scena, per l’occasione, lo spetta-colo dal titolo “Vecchi ma vispi”.Ma in una società dove il denaro, la produzione, il prodottointerno lordo (P.I.L.) e la performance fanno legge e de-terminano il bene e il male di tanti uomini, ha ancora signi-�cato fare una festa ai nonni? E che valore e responsabi-lità hanno gli anziani nella nostra comunità?Una delle cose che più mi rattristano di quest’epoca sonole tensioni sociali con il solo �ne di creare divisione tra ilmondo giovanile e gli anziani. Anche perchè nei palazzidel potere, nei ruoli di respon-sabilità, non ci sono giovani.E’ pur vero che quandol’esperienza è indispensabile,ricorrere ad una persona pureavanti con l’età è giusto e le-gittimo, pur tuttavia la sceltasolo di “seniores” non puòessere la regola. Purtroppo inItalia, la gerontocrazia non èuna novità, anzi la società ten-de a giusti�carla con il lamen-tarsi dei giovani, �no a chia-marli “bamboccioni”, perso-ne ormai attempate che vivo-no in una sorta di prolunga-mento senza �ne della loro adolescenza.Inoltre il mancato impiego “de�nitivo”, obbliga i giovani asubire anni di precariato vero e proprio, con quell’incer-tezza che crea angoscia personale e inquietudine genera-zionale.C’è la sensazione che ci sono due società distinte, da unaparte una società fatta da anziani e dall’altra una societàfatta da giovani. Occorre per proseguire questo mio ra-gionamento liberarsi di questa catalogazione e diventareveri, scendere di più sul piano umano. A volte mi chiedocome sia possibile diventare tanto chiusi quando si è an-ziani, chiusi d’aperture, nel senso che si rimane piantatinel proprio credo, inchiodati alle proprie idee. Oggi le per-sone anziane, per la maggior parte, non sanno usare il com-puter, internet, non sanno usare il cellulare, non sanno cosasia un lettore dvd, un i-phone, una video chiamata. Oggiprobabilmente, chi ha vissuto più di sessant’anni, è taglia-to fuori dalle dinamiche delle nuove generazioni.I nostri nonni, quando erano loro i giovani, andavano dailoro vecchi e li squadravano con immensa referenza e

devozione perchè si riconoscevano tra loro. Oggi questasottomissione e questo rispetto non esiste più, perchè oggisono appunto fuori dalle dinamiche delle nuove generazio-ni e non si riconoscono più tra loro.I nostri anziani non sono a�atto nostri, sono anziani e ba-sta. Forse è proprio per questo che tanti nonni si rifugianoancora di più nel proprio passato e nelle proprie case, in-vece che aprirsi al futuro.Un’altra particolarità che mi colpisce dei nonni, è che nonsi arrabbiano mai con i propri nipoti. Non si possono ar-rabbiare i nonni, perché loro hanno già percorso una vitadensa di lavoro, pensieri, apprensioni e magari anche laguerra. E tutto l’amore represso, lo riversano sui �gli deiloro �gli; si, perchè loro erano costretti sempre fuori alavorare e non vedevano mai i propri �gli. I nonni ai qualise dici loro che gli vuoi bene, si mettono a piangere, per-ché non sanno per quante volte lo potranno ancora senti-re, perché il peso degli anni è sempre più gravoso. I giova-ni che non fanno trasparire le emozioni, perché se piangisei emotivo e rischi di essere preso in giro dai coetanei. Igiovani che diventano adulti sempre più tardi e gli anziani

che invece quando eranogiovani loro, a quattordicianni, erano già adulti. I gio-vani a cui ventiquattro orenon bastano, perché per di-vertirsi non c’è mai tempo.Gli anziani che invece ditempo ne hanno sempre inavanzo, perché sono statiabituati �n da quando eranogiovani, a mettere da partequello che avanzava. Gli an-ziani, amano, credono, so-gnano; con la fragilità delloro corpo, ci ricordano ciòche conta nella vita: l’esse-

re è più del fare, e l’amore deve essere il motore dellenostre azioni.Gli anziani aiutano a guardare le vicende terrene con piùsaggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e ma-turi, sono in grado di elargire ai giovani consigli e insegna-menti preziosi, una visione più piena e completa della vita.La nostra festa dei nonni è e deve essere sempre di più unponte che unisce generazioni così diverse, ed è solo cono-scendosi e portando ognuno le sue diversità che possiamocontinuare a crescere.Ecco perchè forse ai nostri nonni occorre dedicare piùtempo, nel chiedere e nell’ascoltare i loro consigli, nel-l’aiutarli ad accedere alle nuove tecnologie; ed ai nostrigiovani dargli la possibilità di costruire il loro futuro, par-tendo dai nostri nonni perchè con la loro vita ci dimostra-no che pur con tutti i loro limiti e le di�coltà della loroepoca, loro ci sono riusciti.

Luciano Naticchi

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Questione di fede

La nostra parrocchia è la strada. Noi (preti) sia-mo bravi con i giovani del catechismo, con i ragazzi deldopocresima ma i giovani della strada chi li frequenta?Chi li vede? Quando siamo stati nominati parroci ci chiede-vamo: la mia parrocchia quante anime fa, quante perso-ne frequentano la chiesa, cosa possiede? Già si faceva ilcalcolo. Ma dopo gli anni in parrocchia io dico a meprete: la mia parrocchia vera è la strada, le scalette dellaCichinina, la pizzeria di Mauro, il club dietro Perseo, ….Sono convinto che è sulla strada che dobbiamo scom-mettere, è là che si gioca tutta la storia, la salvezza. Hosmesso di pensare che comunicare signi�ca mettersi lìdavanti a tutti (a Loreto anche dall’alto) e io prete hosempre ragione. Cristo lo vedo anche nel volto di quel ragazzo chenon frequenta la Chiesa, ma se gli chiedi un aiuto è sem-pre generoso, disponibile e si dà da fare (vedi il caso“dai grandi cuori ad un piccolo cuore”). Sempre di piùmi convinco, che comunicare dentro le chiese non basta,bisogna uscire fuori; comunicare fuori il Vangelo, il Van-gelo dell’abbassamento, su cui Dio si sente amato. Dovestanno i giovani, lì dobbiamo andare, non dobbiamo at-tendere che loro vengono da noi. Questo è il nostro male.Credo che una Chiesa vera, proprio con loro si devemettere a braccetto. Sennò la nostra gente che cerca lasperanza, ed io sono convinto che a volte anche Cristo,chi l’accoglie? Spero di non esagerare a dire che i giovani d’og-gi si sono staccati dalle sacrestie perché tra noi e loro ècresciuta l’erba. E quando cresce l’erba è un brutto se-gno. Dobbiamo amarli, dobbiamo sentirli nostri i giova-ni: loro non sono numeri. I giovani sono giovani e vanno

amati perché sono giovani! La Chiesa non è più giovane,la nostra Chiesa (non parlo solo delle nostre parrocchie)si è chiusa troppo, ha bisogno dello Spirito Santo feriale,di tutti i giorni, dove Cristo ci “butta fuori”, fuori per rac-contare il suo amore e il perdono. Noi uomini di Chiesadobbiamo spogliarci dei nostri perbenismi, io per primo,e credere fermamente che la Chiesa va avanti perché cisono persone che vogliono amare Gesù vivo e pieno difascino. Bisogna, credo, togliere Gesù trattato come re-liquia del passato, che se ne stà tranquillo nel tabernaco-lo. La Chiesa per me, ha bisogno di una certezza: “daquesto vi riconosceranno che vi amiate gli uni gli altri”. Ilguaio è che noi ci fermiamo troppo vicino alle cose epoco vicino alla persona. La Chiesa Italiana per i prossimi dieci anni si èimpegnata di portare avanti come programma pastorale“l’emergenza educativa”. Un ospedale (che è capace dichiedere duecentoventimila euro per un intervento di unabambina) e la Chiesa che si è fermata nelle sacrestie sisono chieste perché si e arrivati a parlare addirittura del-l’EMERGENZA. Coraggio!!!! Cerchiamo insieme di lavorare nelmodo che i giovani d’oggi riescano a recuperare i verivalori della vita che forse hanno smarrito. Occorre sicu-ramente trovare le vie inedite per far conoscere loro la�gura di Gesù, a�nché ne percepiscono il perenne fa-scino. Bisogna che insieme preti, genitori, educatori cer-chino le vie che permettono ad abituare i giovani all’edu-cazione del cuore e a rinunciare alle passioni tristi,riscoprendo il segreto ed il fascino della giovinezza. Che la visita pastorale del nostro Vescovo cheoggi iniziamo sia un acquedotto che porti acqua di spe-ranza nel cuore di ogni nostra famiglia.

don Cristoforo

“Tutto l’amore che daisarà sempre tuoe l’amore che non daisarà per te perso per sempre”

(Anonimo)

“Se non puoi essere una via maesta,sii un sentiero,se non puoi essere il sole,sii una stella,sii sempre il meglio di ciò che sei”

(Martin Luter King)

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Carissimi,appro�tto dello spazio che don Cristoforo mi o�re sulvostro giornale parrocchiale per farvi giungere il mio sa-luto fraterno e cordiale.Nei mesi di ottobre e novembre sarò in visita pastoralenella vostra zona, avremo modo di conoscerci meglio edi stringere relazioni illuminate dalla fede. Avremo anchel’opportunità di parlare del cammino alla sequela di Gesùche la comunità, guidata dalla saggezza pastorale e dallozelo del vostro parroco, sta facendo.Ritengo che già don Cristoforo vi abbia fatto conoscerela mia preghiera, da recitare in preparazione della visitadel vescovo. Vi esorto a recitarla ogni giorno perché dalnostro incontro nascano propositi per una vita semprepiù coerente con l’insegnamento di nostro Signore GesùCristo.Mi piace ricordarvi un passaggio del testo: Fa’ che ilvescovo che Tu hai chiamato a guidare questa Chiesa, eche viene a visitarci, ci aiuti a conoscere Te e a scoprirela grandezza della nostra vocazione.In queste parole trovate la motivazione della mia visita.Non vengo come maestro delle scienze umane né comepersonaggio pubblico, ma comediscepolo di Gesù, successoredegli Apostoli, per aiutarvi a co-noscere sempre meglio GesùCristo, il Figlio di Dio morto e ri-sorto per la nostra salvezza ter-rena ed eterna. Vengo per solle-citarvi a comprendere sempremeglio la grande chiamata ad es-sere �gli di Dio e a vivere secon-do il comandamento nuovo cheGesù ha lasciato agli apostoli pri-ma della sua morte in croce: “che vi amiate gli uni gli altri,come io vi ho amati” (Gv 15,12).Con questi sentimenti mi preparo a venire da voi e �nd’ora prego per la vostra comunità e per ciascuno divoi.Un pensiero particolare rivolgo alle persone malate, allequali chiedo di donarmi ogni giorno la loro so�erenza.La deporrò ogni mattina sull’altare della celebrazione dellaMessa e la o�rirò insieme al pane e al vino perché siaunita all’o�erta di Gesù e torni in benedizioni per tutta lacomunità diocesana.In attesa d’incontrarvi vi saluto e, invocando la media-zione di sant’Ubaldo, di san Francesco e dei santi dellanostra terra, invoco su tutti voi la benedizione del Padre,del Figlio e dello Spirito Santo.Gubbio, 29 settembre 2010+ Mario CeccobelliVescovo di Gubbio

SOLIDARIETA’

Una parola che si sente spesso, si usa altrettanto, si con-suma a volte senza capirne l’essenza del suo signi�catopiù profondo. Siamo, troppo spesso facilmente, solidalicon le popolazioni del terzo mondo, solidali con isenzatetto del terremoto, solidali con gli operai licenziati,solidali con le vittime della ma�a.Ma qual’è il vero senso di questa parola? Un rapportodi fratellanza e di reciproco sostegno che collega e tieneuniti i singoli componenti di una collettività nel sentimen-to di questa loro appartenenza ad una stessa società conla coscienza di avere comuni interessi, valori, �nalità.In questo ultimo periodo abbiamo potuto sperimentarela consistenza tangibile di questa che può sembrare unadi�cile de�nizione.L’occasione si è presentata sotto forma di una situazionedelicata: una famiglia che si trova ad a�rontare una pro-va di�cile a livello umano e purtroppo anche a livelloeconomico. Scatta quasi immediata, grazie al semplicepassaparola, una “gara di solidarietà” (anche questa lo-cuzione verbale assai abusata) che ha avuto senza dub-

bio un valore che va al di là delsemplice gesto altruistico, maha raggiunto sul piano etico emorale una valenza superlativa.Le donazioni di tipo economi-co, venute dagli ambiti più sva-riati, anche da chi non avevanemmeno idea di chi fosse ilsoggetto destinatario, sono sta-te accompagnate sempre dauna compartecipazione all’an-sia, al dolore, alla so�erenza dei

diretti protagonisti di questa storia.Dal pensionato all’imprenditore, dalla casalinga al pro-prietario d’azienda, ognuno ha contribuito come meglioha ritenuto opportuno, ma se diversa è la somma di de-naro donata, identico è stato il sentimento di vicinanza,di a�etto e non certo da ultimo di speranza.Se questa società, fondata su leggi che fanno riferimentoal capitalismo più spietato, mostra tutti i suoi limiti quan-do sancisce il valore di una vita in termini di migliaia didollari o euro o qualunque altra moneta, si riscatta nelmomento in cui diventa un unico cuore gon�o di calore eumanità.Sono queste le cattedrali che vogliamo costruire, questigli insegnamenti di cui i nostri �gli hanno bisogno, questii valori con la lettera maiuscola per cui vale la pena divivere, questa la comunità di cui far parte con onore.Grazie a tutti!!!

Maria Grazia Mancini

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IL MIO “DON CAMILLO” POLACCO

Il mio don Camillo è un prete polacco e si chiamaCristoforo; non ha un Peppone con cui arrabbiarsi ognigiorno e non ha bisogno di fare a pugni contro chi negaDio, ma ha la stessa pulizia d’animo e la stessa semplici-tà nel presentarlo che permette anche a lui di testimonia-re il Cristo con la simpatia e la gioia propri del personag-gio di Guareschi.La sua chiesa è dovunque, in mezzo alla gente ed è quel-la del sorriso e della libertà di essere cristiani, è quellache vive in mezzo al suo popolo e non ha paura di pren-dere le distanze da tutte le situazioni che non rispecchianole uniche grandi ed assolute verità che sono quelle delCristo e del suo Vangelo.Le sue celebrazioni sono coinvolgenti e le sue omeliesono semplici, comprensibili a tutti espesso ispirate: ognuno dei presentisente che parla con il cuore ed al cuo-re di ciascuno di noi.Il suo prendere posizione netta senzatentennamenti, né compromessi sullerealtà, in contraddizione con la dottri-na di Cristo e al tempo stesso, la suaprofonda fede nel Gesù misericordio-so, a�ascinano le genti e fanno perce-pire un Creatore, non solamente chiu-so nel tabernacolo e nel buio delle cat-tedrali, ma vivo e operante in mezzo alsuo “gregge”. L’empatia che riesce acreare con i ragazzi, la comprensione che dimostra neiconfronti degli adulti e l’amore che porta nelle case deglianziani, fanno di lui quello che ogni sacerdote dovrebbeessere: un pastore in cammino, testimone di una chiesache cammina tra la gente.Spesso oltre che a don Camillo assomiglia un po’ a donChisciotte che lotta contro i mulini a vento della nostraindi�erenza, dei nostri egoismi e delle nostre piccole e/ograndi ipocrisie, ma anche qui con il suo “fare” donCristoforo non ha mai un euro, tutto quello che racimola,a prezzo spesso di lunghi viaggi e sacri�ci, immediata-mente viene donato con estrema gioia per soddisfare leesigenze di chi ha bisogno.Il nostro don è la povera vecchia che mette nel tesorodel tempio i suoi unici due denari e non il ricco che sicrede giusto davanti a Dio per aver donato il super�uodel super�uo.Il suo esempio è così evidente che anche chi, almeno aparole, è lontano da Cristo e soprattutto è lontano dallachiesa, non può fare a meno di ammirare la sua coerenzatra il “dire” ed il “fare”; e sinceramente apprezza questoprete, a volte scomodo, anche per le stesse istituzioni.

Certo anche lui non è immune da difetti, nessuno lo è,ma sono così piccoli che nessuno li nota!!! (Spero diessere perdonato per questa piccola stupidaggine!!!).Credo fermamente che sarebbe garantito un raccolto cosìabbondante di amore, gioia, solidarietà che riempirebbei grandi della sua chiesa.

Mauro Frenguellotti

SOGNA RAGAZZO SOGNA …Era giugno del duemilacinque: arrivavamo per la primavolta a Campitello con il gruppo del dopocresima. Oraagosto duemiladieci, ripulire quelle stanze, quei bagni,giocare di nuovo a calcio con i mattoni come porte ciha fatto un certo e�etto soprattutto perché li vedevamoda un’altra prospettiva: eravamo animatrici. Il nostroobbiettivo è stato da subito farli divertire insieme, senza

dimenticare i lavoridomestici che ognicampeggio implica.Nessuno si è sottrattoal proprio compito,anche se i maschi pen-savano che quelle fac-cende fossero da“femminucce”, maquando un ragazzo ciha chiesto: “ Possodare lo straccio?” ab-biamo capito che ave-vamo raggiunto il no-

stro intento. Noi ci ricordiamo ancora la nostra parte-cipazione al primo campeggio, perciò abbiamo cercatodi rendergli indimenticabile anche il loro “primo cam-peggio”, come vi abbiamo detto farli divertire insiemeera il nostro primo scopo per questo abbiamo organiz-zato, insieme agli altri animatori “più vecchi”, giochiall’aperto che hanno riscosso un grande successo eabbiamo intonato canti tra i quali è stato scelto l’inno di“Campitello 2010”: “SOGNA RAGAZZO SOGNA”,che per noi non è semplicemente una canzone ma unostimolo ad andare avanti senza arrendersi mai. Nono-stante i dubbi del pre-partenza anche noi ricorderemocon il sorriso questa esperienza, perché i ragazzi ci hannoaccolto nel loro gruppo con naturalezza e questo ci hapermesso di divertirci con loro. Un tale diceva: “L’ap-parenza inganna”, questo campeggio ne è stata la con-ferma. Ci eravamo preparate a trascorrere tre giornicon dei “diavoletti”, ci siamo ritrovate invece con degliangeli vivaci. Grazie ragazzi del ’96 e ’97, vi vogliamobene! Angelica Bartolini e Camilla Marionni

Fulvia Berettoni e Mariangela Girelli

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Angoli Parrocchiali

LORETO ...

La parrocchia di Loreto copre un vasto territorio, eppu-re tutti i suoi parrocchiani anche se distanti a volte diversichilometri si de�ni-scono “vicini dicasa”.E’ una cosa moltobella: questo sensodi appartenenza èil vero signi�catodella parrocchiaintesa come comu-nità.Questa “grandefamiglia”, a me pia-ce de�nirla così,pone sempre at-tenzione verso chiha bisogno. Ci si ritrova spesso insieme per dare unamano se qualcuno si trova in di�coltà, ma ci si ritrovaspesso anche per condividere momenti sereni con tantebelle iniziative intraprese in questi anni e che sono diven-tate appuntamenti �ssi da noi attesi con tanto entusia-smo.Alcuni riguardano proprio Loreto come la festa sulla cro-ce che abbiamo riposizionato due anni fa sul monte.Nonostante il tempo così così eravamo in tanti anchequest’anno a celebrare la messa così “in alto”, lontanodai rumori, più a contatto con la natura e più vicini alcielo! Una celebrazione intensa, molto sentita.Un’altra festa nata a Loreto è la festa dei bambini perSan Giovanni Battista cui la nostra chiesa è dedicata.Sicuramente i bambini si divertono con i vari giochi, conla consegna delle campane, con lo stare insieme, mameraviglioso è il momento dove in chiesa si fermano apregare, cantare e Don Cristoforo li benedice.Tutte le altre iniziative vengono da anni condivise conle parrocchie vicine, in �n dei conti noi siamo “senzacon�ni”! Tutto è segnato nel nostro calendario che ognianno puntualmente viene consegnato. Si inizia con ilcatechismo dei bimbi da ottobre a maggio. Circa cen-to bambini che ogni sabato si incontrano per prepa-rarsi a ricevere al meglio i sacramenti; dopo un’orettacon i rispettivi catechisti si ritrovano in chiesa per qual-che ri�essione, per provare i canti e per pregare insie-me. Viene fatta ogni anno un’uscita “la gita del cate-chismo” anche qui tutti vogliono partecipare sono quasisempre tre o quattro pulman.Sono i ragazzi dell’anno della cresima a guidare ed inter-pretare la via crucis. Lo fanno sempre con tanta serietà,momento molto toccante e molto partecipato. Poi ab-

biamo il carnevale, il concerto di Natale, il concorso deipresepi, il campeggio estivo, il nostro giornalino, il pelle-grinaggio a S. Ubaldo, la processione di maggio verso lachiesa della Madonna di Montecchi, i rosari delle zone,

la festa dei nonni con tanto di recita.Gli appuntamenti sono tanti e l’augurio piùgrande che ci possiamo fare è di continuarecosì anzi di migliorarci...tutti facciamo par-te di questa realtà tutti ne siamo protagoni-sti!

Manuela Fondacci

UNA STRANIERA A MOCAIANA

Forse penserete, come mai una straniera scrive diMocaiana? Straniera si, ma estranea no!!!A scrivere sulla geogra�a, sui monumenti o sulle asso-ciazioni è abbastanza facile. Sono stata felicemente sor-presa di trovare un sito, anzi più di uno su internet cheparlano proprio di Mocaiana e lì ho trovato che ha unapopolazione di circa 390 abitanti, una squadra di cicli-smo da non ignorare!Un’altra cosa di Mocaiana che a me piace ed ho trovatoil signi�cato del suo nome: viene da “moca”, come quelladel ca�è, perchè è il primo imbocco per Gubbio e lepersone che andavano in città si fermavano per riposareed a riprendere il respiro; ed è proprio su questo che

v o r r e iscrivere.se la gen-te si fer-mava aMocaianae r ap e r c h èsapeva-no chesarebbestata ac-colta be-

nevolmente dalla gente del posto e, secondo me, ancheoggi lo è. Faccio questa a�ermazione perchè l’ho vissu-ta in prima persona: quindi scrivo da un’esperienza vis-suta, un monumento non tanto materiale, ma palpabile.

Quello che noi facciamo è solouna goccia nell’oceano,ma se lo facessimo,l’oceano avrebbe una goccia in meno.

(M.T. di Calcutta)

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Angoli Parrocchiali

poco alle mega-feste delle grandi parrocchie; per noi rap-presenta un ricostruire la grande famiglia che un tempoqui abitava: i più vecchi tornano là dove sono nati e alungo vissuti, i più giovani portano i �gli perchè conosca-no la storia dei loro padri. E’ stato cosi’ bello avere conme quest’anno il mio nipotino durante la messa e la pro-cessione!Oltre alla chiesa parrocchiale nelle nostre campagne èsituata una piccola cappella dedicata alla Madonna: lachiesa di S. Maria, è qui che in mezzo ad una splendidanatura, la onoriamo ogni prima domenica di settembre.Dopo la celebrazione religiosa un momento convivialeallieta i presenti, non particolarmente numerosi, ma dicerto devoti.E’ sempre in questo luogo che, in una domenica pome-riggio di maggio, abbiamo deciso di ritrovarci per recita-re il rosario ed è stato veramente piacevole e coinvol-gente essere lì insieme a pregare. Sono semplici coseche tuttavia rappresentano momenti importanti, anche sedevo dire che per noi è già “più festa” la domenica in cuila S.Messa è celebrata nella nostra chiesa!

Manuela Ramacci

FESTA DI MOCAIANA

Com’è consuetudine da secoli anche quest’annoa Mocaiana si è svolta la festa della “Madonna dellaneve”. Questa ricorrenza anticamente si celebrava il cin-que Agosto, poi negli ultimi anni del 1800 a seguito diuna riorganizzazione diocesana si armonizzarono tutte lefeste parrocchiali del territorio e quella celebrata aMocaiana fu portata all’ultima domenica di agosto.Quest’anno la festa si doveva svolgere in tono minore inquanto presso la scuola elementare erano previsti ilavori di manutenzione straordinaria per la messa a nor-ma antisismica di tutta la struttura, quindi d’accordo conl’impresa aggiudicataria il tutto si sarebbe svolto sullapiattaforma grande, sulla palestra e nel complesso dellascuola media. Invece i lavori della scuola non sono par-titi a causa della momentanea indisponibilità dei�naziamenti. Il Comune nella prima decade di agosto vi-

sto lo slittamento dei lavori ha autorizzato la pro loco adutilizzare gli spazi di sua proprietà e quindi si è messa inmoto la macchina organizzativa che ha proposto unaedizione 2010 diversa dalle solite. Non avendo più il tem-po per organizzare il torneo di calcetto, grazie a MauroFrenguellotti e i suoi giovani abbiamo organizzato unaserata di calcio per i ragazzi della nostra realtà territoria-le. Una modi�ca storica nel programma della festa è ve-nuta dalla gara ciclistica 42° G.P. Mocaiana memorial“Giuseppe Procacci” che si è svolta la penultima dome-nica di agosto aprendo così la settimana deifesteggiamenti. Tale scelta ha modi�cato una abitudineconsolidata sin dagli anni ‘50 ed ha consentito di far “vi-vere” la festa a tutti, soprattutto a coloro che erano im-pegnati appunto nell’ organizzazione della corsa.Il programma del mese di agosto ha visto come di abitu-dine la prima domenica la “battitura storica” e la secon-da domenica la festa al monte di Monteleto. Ifesteggiamenti veri e propri sono iniziati domenica 22agosto con la gara ciclistica, la gara di calcetto riservataai giovani e una bellissima esibizione dei gruppi musicalidel nostro territorio che in futuro meritano senz’altrouna maggiore visibilità.Il lunedì si è svolto il consueto torneo di calcetto parteci-pato dalla famiglia dei Santantoniari, dalla sezione A.I.A.“Carlo Angeletti” di Gubbio e dalla Pro Loco Mocaianaper ricordare il carissimo amico “Tore”. Il martedì spet-tacolo di barzellette e di magia con il mago Marvik eDaniela.Il mercoledì s�lata di moda e cocomerata. Il giovedì bal-lo in piazza con Marco e Claudia. Il venerdì gara dibriscola, inaugurazione della mostra fotogra�ca “Il No-stro Passato” e ballo in piazza con Fabio Carlini. Il sa-bato Ballo in piazza con l’orchestra Oscar Live Band espettacolo pirotecnico ammirato e apprezzato dal nu-meroso pubblico presente. La domenica in�ne giochigon�abili per i bambini, festa dell’aria con l’esibizionedegli aquiloni poi una interessante e partecipata gimkanaequestre e festa in piazza con l’orchestra Michelissimo.Durante tutta la settimana la sagra ha proposto dei piattisquisiti e la simpatia e giovinezza del bar ha o�erto del-l’ottima birra e tante altre bibite, i più piccoli sono statiimpegnati con i premio della pesca. Partecipata è stataanche la parte religiosa con il triduo, le Sante Messe delladomenica e soprattutto con la processione che senz’altroè il momento più importante di tutta la festa sancito dal-l’emozionante canto �nale dei numerosi fedeli. La festadi questo anno oltre ad aver goduto di condizioni atmo-sferiche ottime, ha puntato a valorizzare le peculiarità delnostro territorio.In questo articolo non vogliamo polemizzare con nessu-no e quindi non trattiamo l’argomento C.V.A. di cui la

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UN AIUTO AL “MIO AMICO ETIOPE”

Di solito si usa lo slogan “regalare un sorriso”. Ma quelloche ha fatto la parrocchia è stato molto di più. Da quan-do nel 1988 è iniziata la missione (sembra una parolaantica, ma di questo si tratta) in Etiopia ad Addis Abeba,la vita di molti bambini del posto è migliorata notevol-mente, e le cifre parlano chiaro: sessantadue adozioni adistanza nel 1988, duemilacentosessantotto nel 2000 �noalle cinquemila del 2010. Il progetto “adottiamoli” ha pun-tato sulla concretezza: poche parole e molti fatti, con unintervento direttamente sul territorio, a contatto con chiha bisogno, con la realtà e le problematiche di tutti i gior-ni. I fatti sono questi: prevenzione dalle malattie, scuolad’igiene, un pasto al giorno, assistenza sanitaria,scolarizzazione, corsi di artigianato e mestieri. Il vecchioadagio di Confucio che spinge a fornire la canna e non ilpesce a chi ne ha bisogno è stato, per così dire,rimasterizzato da padre Bernardo Coccia in “il più belregalo che si può fare ad un uomo in di�coltà è di per-mettergli di guadagnarsi il pane con il proprio lavoro”. Inquesti anni sono stati realizzati scuole, asili e struttureospedaliere, serbatoi d’acqua e pozzi. Sono arrivati viamare e cielo container con coperte, materiale scolasticoed igienico, vestiario, medicinali, grazie al cento per cen-to di quanto gli viene donato dall’Italia. Hanno presovita laboratori di sartoria per le donne, un mulino per ilgrano e il forno per il pane, laboratori da carpentieri emeccanici per gli uomini sempre grazie alle donazioni ita-liane. Quindi, scriviamo queste poche righe sia per rin-graziare tutti quanti in questi anni hanno contribuito, condonazioni, supporto, aiuto di ogni tipo sia per stimolaretutti a dare una mano per il futuro. Perché la collabora-zione, l’umanità e la solidarietà delle persone può mi-

gliorare quello che per noi è il fu-turo mentre per molti bambini,bambine, uomini e donne del-l’Africa è solo un’ipotesi. A�n-ché il sorriso possa allargarsi an-cora di più.Grazie di cuore a tutti i ragazziche quest’anno hanno ricevuto ilSacramento della Cresima ed allefamiglie della vostra parrocchiaper quanto ci avete donato, nel-l’ambito del progetto, portatoavanti dagli stessi ragazzi, chia-mato “un piccolo aiuto al mio ami-co etiope”.Chiunque voglia contribuire, sia

nostra parrocchia, il nostro territorio e la pro loco hannoenormemente bisogno. Speriamo e siamo convinti chequest’anno sia l’anno buono altrimenti non solo Mocaianama tutto la nostra area geogra�ca di cuiMocaiana rappresenta l’elemento centrale non avrannoun punto di socializzazione e di crescita su cui poter farea�damento.

Pro Loco Mocaiana

L’U.N.I.T.A.L.S.I.

Sono appena tornato dal pellegrinaggio in Terra Santaorganizzato dall’U.N.I.T.A.L.S.I. e debbo dire, comedisse Monsignor Beschi: “Andare in pellegrinaggio nonè andare in unluogo, ma an-dare ad un in-contro”. Que-sto è quelloche è successoa me nella Ter-ra di Gesù,ripercorrendola sua storia,m e d i t a n d oogni giorno la SUA PAROLA e incontrandolo nell’Eu-caristia.Quando siamo andati alla “Casa Hogar di Betlemme”,centro di accoglienza per bambini disabili abbandonati,dove l’UNITALSI ha già iniziato i lavori di ampliamentoper costruire una “grande mangiatoia” dove poter acco-gliere tanti altri Gesù Bambino.Questo centro è gestito da giovani suore missionarie delVerbo Incarnato, in questo luogo ho abbracciato GesùBambino quando mi hanno messo in collo un bambinodisabile di tre anni abbandonato dai genitori.L’UNITALSI è un’associazione disessantasettemila soci, presente in diciannoveregioni ed ha come principale attività l’orga-nizzazione dei pellegrinaggi nei santuari inter-nazionali, promuove la solidarietà attraverso ilservizio agli ammalati ed ai disabili durante ipellegrinaggi. Promuove progetti che traggo-no la propria ragione d’essere dallo spirito edai valori morali che derivano dall’esperienzadel pellegrinaggio. Si tratta di attività quali: casefamiglia, progetti di associazionismo sociale edi protezione civile. Il nostro benessere nondipende solo da fattori economici, ma anchedalle relazioni sociali, SOLO L’AMORECREA.

Luigi Minelli

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UN MESE DI “VACANZA”IN CONGO

Questo anno tra luglio ed agosto ho deciso, invece diabbronzarmi al mare, di impallidirmi in Africa!!Sono stato infatti per ben trentuno giorni in Congo, dovec’è stata una emergenza sanitaria e non c’è stato tempoper divertirsi, anzi è stato un periodo di lavoro massa-crante, soprattutto i primi quindici giorni. Ho infatti ri-sposto all’appello di un’organizzazione umanitaria checercava chirurghi: si chiama MEDICI SENZA FRON-TIERE (MSF), probabilmente è conosciuta da tutti o datanti.Ma vo-glio rias-sumereb r e v e -m e n t ecosa èMSF: èuna or-ganizza-z i o n enon go-vernati-va, apolitica, assolutamente privata, che si regge esclu-sivamente su donazioni di materiali e o�erte in denarodi PRIVATI CITTADINI da tutto il mondo e che operain tutto il mondo, Cina compresa e non risponde del suooperato a nessun governo occidentale o ras locale maesclusivamente ad un Consiglio Direttivo (o InternationalBoard) che decide di intervenire in una area del mondo,povera, per uno speci�co obbiettivo (es. studiare e cu-rare la tubercolosi in una regione o una campagna di vac-cinazioni) o intervenire in caso di calamità naturali (es.terremoto di Haiti) o tante altre “missioni” (cosi si chia-mano gli interventi) che possono durare anche mesi od

anni, ovviamentecon il consensodel governo loca-le. Nelle varie na-zioni ci sono u�ciper il reclutamen-to del personale,che sottolineo, ègente assoluta-mente preparataed e�ciente nelsuo settore sia che

si tratti di un economo, elettricista o chirurgo e tutti sonosullo stesso: piano tutti sono importanti. In questo mo-

con aiuti in materiale che in denaro,potrà rivolgersi aCostantini Matteo ([email protected]. 328/8925661), oppure visitare il sito internethttp://www.centromissionarioriccione.it/Etiopia.htmlE’ possibile anche e�ettuare donazioni pressoBanca Po-polare Valconca Agenzia Riccione Paese IBAN: IT47057 9224 101 C C093 0001 246 intestato a “Raccolta

CentroMissio-n a r i oComboni-ONLUS)oppuredestina-re il cin-que permille inoccasio-ne dellaprossi-

ma dichiarazione dei redditi indicando il codice �scale91009180406.

Matteo Costantiniper Padre Bernardo Coccia ed il “Centro Romagna”

“Il bambino è la forma più perfetta di essere umano”

(V. Nabokov)

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mento mediamente lavorano nel mondo per MSF circaduemila persone e sono, in parte volontari, ma anchegente che è assunta con contratto regolare, con contri-buti pagati, ferie, etc… soprattutto per chi decide perlunghe permanenze.Sottolineo un dato che fa ri�ettere sulla e�cienza e se-rietà di MSF, un dato economico: di tutti i denari raccoltiil rapporto tra spese sostenute per l’autosostentamentoed il valore impegnato per leMissioni è di venti a ottanta, cioè su cento euro (o centomilioni), venti servono per dare da mangiare agli opera-tori, viaggi aerei, rimborso spese, acquisto macchine,etc…, mentre ottanta servono per comperare antibioti-ci, vaccini, cure e cibo per perle persone che vengono tratta-te.Rapporto venti a ottanta: nonsi sbaglia probabilmente pen-sare che per altre organizzazionicarrozzoni tipo UNICEF oFAO il rapporto si può tranquil-lamente invertire o peggio…..Altro dato rilevante: è assolu-tamente vietato parlare ofraternizzare con gente in divi-sa militare sia locale che del-l’ONU o fare critiche politiche:bisogna solo dedicarsi all’ob-biettivo medico umanitario della missione per non esserestrumentalizzati od aggrediti da parte avversa: non si fapolitica, ma si porta cura e conforto a gente meno fortu-nata di noi. Per tutto questo MSF è stato insignito delpremio NOBEL.Ora veniamo alla mia esperienza. Ai primi di luglio in unazona molto povera del Congo è esplosa un’autocisternadi benzina ed ha fatto centinaia di morti e decine di feritiche sono stati concentrati nell’ospedale di Uvira una cit-tà sul lago Tanganica, dove io sono andato perche MSFOlanda ha deciso di intervenire per curare, operare enutrire una quarantina di persone sopravvissute, pagan-do l’ospedale per avere supporto del personale locale edelle strutture, sala operatoria etc Quando io sono arri-vato circa trenta persone di MSF (compresi infermieri,addettti alla logistica, economo, traduttori etc) vivevanoin una casa presa in a�tto e da dove ogni giorno si anda-va in ospedale esclusivamente con le macchine MSF perproblemi di sicurezza.Il primo contatto con l’ospedale è stato traumatico: cir-ca trentacinque pazienti ustionati e feriti erano ammassa-ti nel reparto di chirurgia e nel corridoio tra le due �le diletti, con una puzza bestiale per le infezioni sopravvenu-te, la mancanza di igiene, l’a�ollamento, la diarrea che

sporcava le medicazioni: il primo impulso è stato quellodi fuggire e tornare a casa. Ma si poteva? Dopo quattrogiorni di confusione e disorientamento, io come chirurgoho avuto il compito di coordinare e dirigere le operazio-ni. Con me lavorava un anestesista americano di NewOrleans e un internista vietnamita canadese di Montrealesperto di malattie tropicali, coadiuvati da due chirurghilocali e nel giro di una settimana abbiamo migliorato lasituazione occupando una altra ala dell’ospedale, costru-ito una tenda ospedale ventilata con quattro posti diterapia intensiva, facendo letti nuovi di legno con bian-cheria pulita, con la zanzariera, con grandi taniche diacqua per lavarsi le mani dopo ogni visita e facendo la-

vare le mani ai parentidei ricoverati. In salaoperatoria apparente-mente una bella costru-zione in muratura all’ini-zio mancava quasi tuttopoi giorno dopo giornoarrivavano attrezzature,guanti, vestaglie sterili,etc… (tutto fornito daMSF) ma si lavoravacon un caldo massacran-te anche perché biso-gnava proteggersi constivali, maschera con oc-

chiali di plastica, grembiule di plastica, oltre alle solitedivise da intervento chirurgico. Purtroppo in sala opera-toria spesso mancava l’acqua e bisognava lavarsiattingendo da un bidone di plastica con un mestolo e lì lanostra logistica non ha potuto intervenire e non non hocapito perché!! In questa situazione abbiamo operato,fatto trapianti di pelle, amputazioni, e tante medicazioni,tante trasfusioni di sangue senza esami di laboratorio,senza raggi, senza elettrocardiogramma e tutte quelle cosecui siamo abituati.E con l’aiuto di Dio, le nostre fatiche, i medicinali arriva-ti, le pappe nutritive e tutto quello che MSF ha fornito,salvo quattro morti, tutti sono guariti o sulla via di guari-gione.Io sono stato sostituito da un chirurgo messicano che hacontinuato l’opera ma in condizioni già più umane e conmeno gente mano a mano, che dimettevamo la genteguarita, e con la macchina organizzativa ormai ben fun-zionante. Ho conosciuto tanti professionisti e tanta gentedi varie nazionalità con uno spessore culturale e una pre-parazione scienti�ca veramente eccezionali .Queste esperienze segnano e sono contento di aver par-tecipato a questa missione umanitaria.

Luigi dott. Ragni

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I BAMBINI SONOBAMBINI OVUNQUE

Sono convinta che il tempo che ci viene dato non debbaessere sprecato. Mi piace viaggiare, scoprire altre cultu-re, così quest’estate ho deciso di partire un mese per ilNicaragua: volevo stare tra la gente per vedere, cono-scere, aiutare e vivere!Mia zia Sr. Ester mi propose diversi paesi, manel Nicaragua, paese dell’America centrale,c’era la possibilità di prestare aiuto in unascuola, io sono un’insegnante per cui ho pen-sato che fosse una buona occasione per ve-dere un’altra realtà educativa e per spenderele mie competenze.Ho portato con me tanta curiosità e desideriodi essere utile, ho trovato una realtàparagonabile a quella dei racconti dei mieinonni e tanta felicità!Il viaggio aereo e’ stato lunghissimo, ma an-che comodissimo, invece e’ stata un’impresa arrivare nelpaesino, Rio Blanco, dove si trova la scuola. Le stradenon sono asfaltate, ma piene di buche e lavori in corso.Quanta polvere entrava dai �nestrini! Il pullman era af-follatissimo, c’era chi aveva galline in mano e chi si ag-grappava al tettino perchè non c’era abbastanza posto!Tante persone si muovono con i pullman, ma questi nonsono in buono stato e non ci sono tante corse. Glispostamenti sono di�cili. Nei giorni successivi mi sonotrovata in mezzo alla foresta di notte, senza cellulare, siera rotto il pulman e nessuno aveva la macchina per ve-nirci a prendere. Eravamo andate nel paese vicino peracquistare al mercato più conveniente, quindi eravamopiene di buste che nonpotevamo proprio lascia-re.Non c’era altro da fare senon aspettare! In Italianon si “aspetta” più, è di-ventata una parola pro-prio scomoda! Noi Italia-ni siamo frenetici e siamoabituati a volere una cosaed a ottenerla immedia-tamente, senza sacri�ci.La presenza dell’elettrici-tà e dei mezzi tecnologicici ha permesso di acce-lerare i ritmi di vita e ri-

sparmiare lavoro, così che il tempo guadagnato lo pos-siamo impegnare per svolgere altre attività. Tutto ci scorrein modo talmente veloce che sono pochi gli attimi chededichiamo a goderci questo tempo in più!Una nicaraguense un giorno mi disse: “Voi vivete per la-vorare, e noi lavoriamo per vivere.” Quanto era vero!Non conoscere il sacri�cio porta ad apprezzare pocociò che si possiede, ma è bene non dare tutto per scon-

tato: c’è anche qual-cuno per cui non lo è.Sono entrata nellacasa di un bambinodisabile che da pocoera riuscito ad ottene-re una sedia a rotellegrazie alle o�erte del-la gente (contributi ita-liani). Nelle campagnemolte famiglie vivonocome questo ragazzi-no, senza elettricità, incase costruite con ta-

vole di legno, con il tetto di foglie di banano, senza pavi-mento, a volte nemmeno letti, tavoli e sedie. Fortunata-mente ora il bambino possiede un’altra casa, ha un tettoin zinco, così nel periodo delle piogge l’acqua non pene-tra ed evita di stare in mezzo al fango, ma molte personesono nella sua condizione precedente.Nella città le case sono in muratura, ma non hanno moltedelle “nostre” comodità: in pochi hanno il congelatore ela lavatrice non esiste.. Io pulivo tutto a mano in un lava-bo, ma ho visto alcune donne e dei bambini lavare i lorovestiti al �ume, come faceva la nonna.A scuola ci sono classi con cinquanta bambini e non tuttiriescono a seguire le spiegazioni alla lavagna. Non pos-

siedono i libri, hanno solo quaderni, una matita e,chi se li può permettere, i colori.Io aiutavo chi aveva più di�coltà: gli alunni che sialzavano un’ora prima degli altri per giungere a piedia scuola, arrivavano dalla campagna assonnati estanchissimi, spesso coloro che avevano carenzeeconomiche non avevano il materiale scolastico esi creava corrispondenza tra i poveri e gli “ultimi”della sezione.I bambini dicevano che quando mi arrabbiavo par-lavo in inglese, dimenticando che la loro lingua fos-se lo spagnolo, li sgridavo in italiano. Mi guardava-no con occhi incuriositi, poi facevano delle espres-sioni bu�e tra loro e scoppiavamo tutti in una granderisata! Il paese e la cultura saranno diverse, ma ibambini sono bambini ovunque!Un mese è breve. Pretendevo di aiutare, ma in un

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mese è di�cile dare un contributo. Ci vorrebbero anniper entrare in un’altra cultura e poter essere utile. Hoscoperto e ho potuto conoscere molte cose sia di mesia del Nicaragua e dei nicaraguensi. Spero di ricordar-mi gli insegnamenti di questa esperienza, il piacere di vi-vere tra la gente, dare del tempo a tutti, noi stessi com-presi, appro�ttare delle opportunità che ci sono o�erte enon dare tutto per scontato, ma apprezzare ciò che siha.Non si possono paragonare le nostre vite alle loro, sonoculture e paesi diversi, la medaglia ha due facce e cosìciascun paese.Rimarrò nella nostra Gubbio con l’intento di aiutare chi èvicino a me e chi è più distante, come quel ragazzinodisabile o come tutti i bambini che ho visto a scuola, nonme la sento di partire anni e anni.C’è la possibilità di pagare l’istruzione a quei bambini,ciascuno di noi potrebbe “adottare” il loro percorso distudi, quella che per me può essere una rinuncia puòessere una grande fortuna per altri!

Mara Berettoni

ESTATE IN MALAWI

Aver passato tre settimane a Balaka, in Malawi, è statauna delle esperienze più belle della mia vita! Sono anda-ta con una mia cara amica d’infanzia, Anna, che comeme studia medicina a Pavia.Il contatto con un professo-re di chirurgia pediatricadella sua università, che sireca tutti gli anni a Balaka,ci ha permesso di fare que-sto tipo di esperienza. Eglifa parte di “projectMalawi”, un programma �-nanziato da Intesa San Pa-olo e Fondazione Cariploche si occupa della costru-zione e gestione di ospedaliin varie località del Malawi,tra cui anche Balaka, con lo scopo di contribuire allosviluppo economico, sociale e sanitario di uno dei quin-dici paesi più poveri del mondo, dove l’aspettativa me-dia di vita è tra le più basse dell’Africa. Quando Anna miha chiamata per dirmi che sarebbe partita, mi sono la-sciata coinvolgere dal suo entusiasmo e ho deciso di fareanch io il biglietto! Essendo un ospedale di tipopediatrico, ad attirarmi è stato certamente anche il mioeventuale futuro interesse per la pediatria: come lasciar-si sfuggire un’occasione simile?! Il progetto a Balaka, èlegato ad una cooperativa, “andiamo youth cooperative

tunità di rendersi sempre più autonomi e indipendenti,contribuendo cosi allo sviluppo sociale ed economicodel paese oltre che al raggiungimento di una qualità divita accettabile. Siamo state ospitate, come tutti i medicifacenti parte dell’associazione e che un po’ a turno sitrovano a dover passare diverse settimane in Malawi,presso la “Voluntary House” di Padre Mario! Ci siamotrovate veramente bene, il posto era accogliente e ospi-tale e avere per la prima volta un’esperienza di vita incomunità è stato davvero come stare un po’ in una gran-de famiglia! A partire da Padre Mario e dalle ragazzeche lavorano nella missione �no a tutte le persone cheabbiamo incontrato, tutti erano molto gentili e disponibilie c’era un clima di tale fratellanza e calore che era im-possibile non sentirsi davvero bene e a proprio agio! Di-verse partenze e arrivi si sono sovrapposti durante le tresettimane che siamo state lì, e una sera eravamo più ditrenta a cena; ognuno aveva le proprie cose da fare aseconda dello scopo per il quale era venuto (chi aggiu-

stare pozzi, chi costruire unascuola, …) ed era bello la seratrovarsi a raccontare la giorna-ta e condividere quei momentidi pace e di gioia che avevamonel cuore! Si era creato dav-vero un bel gruppo, e tutti in-sieme abbiamo fatto una gita didue giorni al lago Malawi, l’uni-ca località un po’ turistica: ve-dere il tramonto in barca è sta-to uno dei momenti più emo-zionanti! Tornando al nostro im-pegno in ospedale , la prima

settimana è stata un po’ poco pratica, in quanto il pro-fessore di Anna che aveva in programma di venire pro-prio in quel periodo, si è dovuto occupare più di que-stioni burocratiche. Attualmente è stata costruita solo laparte adibita alla neonatologia, nella quale ci sono anchesei posti letto per i bambini �no a cinque anni di età,mentre a �anco è ancora in costruzione la nuova clinicapediatrica, con tanto di sala operatoria; c’erano quindi ilavori da seguire e oltre a ciò c’era la necessità di faredei sopralluoghi negli ospedali gestiti dal progetto, al �nedi risolvere eventuali problemi e vedere come si svolge-

trust”, messa in piedi nel 1978 da Padre Mario Paci�ci,sostenuto dai Padri Monfortani di Bergamo e don Ce-sare Castelli, la quale va ad abbracciare diversi settori,in particolare l’istruzione, la sanità e l’agricoltura, conl’obiettivo principale di creare nei giovani malawaiani chene fanno parte un senso di responsabilità e di onestà.Solo insegnandogli a mettere in atto le loro capacità eabilità nei diversi campi, gli si può dare davvero l’oppor-

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vano le cose. Abbiamo quindi visitato tre ospedali in ungiorno con diverse ore di macchina ed è stato comunqueinteressante conoscere queste piccole ma abbastanza ef-�cienti realtà ospedaliere! La seconda settimana il pro-fessore è partito ed è arrivato un altro dottore in pensio-ne, sempre facente parte di ”projectmalawi”, ex prima-rio di pediatria a Padova, e con lui abbiamo cominciatoa visitare i bambini e a vedere un po’ di casi clinici! Cer-to ci siamo rese subito conto di come noi lì fossimo fon-damentalmente inutili, e quanto avremmo voluto saperfare di più per poter insegnare loro qualcosa ed esserepiù d’aiuto! Il Malawi ha infatti solo centocinquanta me-dici per una popolazione di quattordici milioni di abitantie per questo la maggior parte sono “clinical o�cer”, una�gura a metà tra il medico e l’infermiere; per quanto pos-sano essere preparati , il mag-gior contributo che si può dareè proprio impartire loro un’edu-cazione di base nello svolgereanche le più semplici operazionimediche. L’obiettivo è far sì chela gestione dell’ ospedale possaessere la stessa anche quando ildottore torna in Italia e non ri-mane più nessuno a dirgli che ènecessario lavarsi le mani pri-ma e dopo aver visitato un pa-ziente o che bisogna riordinare il farmaco quando staper �nire. È di�cile, molto di�cile cambiare una menta-lità impregnata di fatalismo, dove il nome al bambino vienemesso dopo un mese , perché la probabilità che muoia èmolto alta, e dove purtroppo c’è ancora una forte cre-denza in una �gura come lo stregone. Ogni volta che undottore viene cerca di portare qualcosa di innovativo,una nuova tecnica o strumento che possono impararead usare; questa volta il dottore voleva cercare di spie-gare loro come agire in caso di disidratazione, e le misu-re precise da attuare per reintegrare i liquidi nel piccolopaziente: io e Anna abbiamo avuto così il modesto com-pito di preparare una lezioncina in inglese a riguardoa�nchè loro potessero capirla e metterla in atto! Capiresembrava avessero capito chissà se poi lo metteranno inpratica!? Lì i motivi di ricovero più frequenti sono mala-ria, polmoniti, disidratazione per l’appunto e altreinfezioni:è stato sbalorditivo come nel giro di un giornocon un semplice antibiotico stessero già benissimo, a con-fronto dell’uso spropositato che se ne fa in Italia e dellaloro conseguente scarsa e�cacia! L’AIDS è allo stessotempo molto di�uso, il quindici per cento delle madri èsiero positiva, e tutte le mattine c’erano �le interminabilidi persone che aspettavano la terapia ,nel centro “dream”della comunità di Sant’Egidio, sempre facente parte di “

project Malawi”, a �anco all’ospedale. Un’altra espe-rienza toccante è stata inoltre andare due volte all’orfa-notro�o, gestito da due suore italiane sempre di Bergamo,a vedere se i piccoli stavano bene; li abbiamo coccolatie imboccati, inutile dire che se fosse stato per noi ce lisaremmo portati tutti a casa! Che dire i bambini sonodavvero la risorsa più grande, sono tantissimi e sono sem-pre in giro per le strade; ti si avvicinano senza timore masolo con la speranzache tu abbia una caramella o dellescarpe da regalargli.. sono sporchi, hanno fame, e quan-do viene la sera sentono freddo con le loro magliettetutte bucate, ma hanno gli occhi che sorridono, sono laspontaneità fatta a persona e con un sorriso ti conquista-no e vanno ad occupare un posto nel tuo cuore. A noi inparticolar modo si era a�ezionato un gruppetto che vi-

veva nei pressi della missione etutte le mattine alle sei erano giàfuori dal cancello che ci chia-mavano; noi avevamo portatodegli album con dei pennarellie li facevamo disegnare, can-tare e un po’ giocare tutti i gior-ni! Venivano sempre in giro connoi e stando con loro abbiamotrovato la vera gioia di vivere!Mi sono sentita diversa,rigenerata, e semplicemente se-

rena.. stando nella missione, camminando per le stradedi Balaka.. le persone ti salutano anche se non ti cono-scono, ti senti accettato e ritrovi la semplicità delle cosein loro..ti trovi in una condizione così strana ma allo stes-so tempo normalissima e spontanea..li senti tuoi fratelli esorelle, ed è impossibile non sentirsi più vicini a Dio! Lamessa c’era tutti i giorni ma non era una messa normaleera piena di vita, d’amore e calore umano..i loro cantisono una vera preghiera e ho ancora in testa le loro voci!Potrebbe sembrare una frase banale dire che ci vuoledavvero poco per fare molto, ma io e Anna abbiamoiscritto un ragazzino, diventato nostro amico nel corsodelle tre settimane,all’ultimo anno di superiori con soliquindici euro, non avendo la famiglia la possibilità eco-nomica di farlo! Su proposta di Alessandro, un ragazzodi Bergamo che vive lì ormai da molti anni e fa partedella cooperativa, abbiamo poi preparato una piccolalezione di igiene e di prevenzione sanitaria in inglese perdei ragazzini di terza media; pensavamo non ci avrebbe-ro neanche ascoltato invece sono stati attentissimi e par-tecipi ed è stato davvero grati�cante!Che dire, i momenti sono stati tanti e tutti indimenticabili,abbiamo sicuramente portato a casa molto più di quan-to possiamo aver lasciato; e la gioia e l’amore ricevutisaranno sempre in noi nella vita di tutti i giorni!

Chiara Montanari

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Ricordi

BAGAGLIO RICORDI, SEMPRECON ME!!!!

Mmm…Che vi racconto?! Quando mi e‘ stato chiestodi scrivere qualcosaper il giornalino misono detta… e chescrivo?!! Sono or-mai due anni chevivo a York e tornoa casa solo per “ lefeste arconosciute”,come si usa dire danoi, quindi non mitrovo molto al den-tro delle vicende delc o m p r e n s o r i oMocaiana-Loreto,anche se devo dire che tra la mamma, mia sorella e lavaly “de bericchio” sono abbastanza al passo con i tem-pi!! Sono stata informata ad esempio che si e‘ appenasvolta la festa di Montecchi, che e‘ andata bene anchese il tempo era “bruttino”, e che a suonare c‘era il miticoe sempre verde Bianchini!!!E se devo proprio essere sincera nel momento in cui mivenivano date tutte queste informazioni ed anche di piu‘,mi e‘ salita un po‘ di nostalgia e mi sono venuti alla men-te innumerevoli ed esilaranti ricordi riguardanti le diverseedizioni nell‘ organizzare la famigerata “PESCA DELLAFESTA DI MONTECCHI!!!!!”Primo fra tutti e‘ l‘odore di cipolla proveniente dalla cu-cina che rendeva la preparazione della pesca “commuo-vente” ed a tratti dolorosa (quando gli occhi comincia-vano a piccare ed era necessario uscire per prenderearia!!), logicamente l‘agonia della preparazione del sugoveniva dimenticata quando la prima sforchettata di pen-ne giungeva allo stomaco!!! Al secondo posto tra i mieiricordi, quasi parimerito con la cipolla, non posso chemettere l‘Ada, mitica ed insostituibile “maestra” nell‘edu-care tutte noi novizie nell‘arduo mestiere di passare “allacatta” ed accumulare premi per la pesca ma soprattuttonell‘arte di disporre i premi sugli sca�ali per invogliare lagente nel comprare i biglietti. Non posso che dire grazieAda, per i tuoi innumerevoli consigli che logicamente ver-ranno tramandati di generazione in generazione!!!!!!Si guadagna il terzo posto Riccardo “de Tironzello”, conil quale c`e` sempre stato un rapporto abbastanza con-�ittuale nell`organizzazione della festa, mai d`accordo suniente, ma alla �ne grandi risate ed amici piu` di prima!!Ed in�ne come potrei lasciare fuori dalla lista le mie col-

leghe e soprattutto amiche “�e de bericchio” con le qualiho condiviso tutte le edizioni della festa ed anche moltodi piu`!! Ogni volta che torno per le sopracitate “festearconosciute” ci organizziamo per incontrarci e passaredel tempo insieme, e vi assicuro che certe volte dobbia-

mo smettere di ricordare per evitare disentirsi male dalle risate!!!Potrei continuare all‘in�nito nell‘elenca-re ricordi, sono tutti chiaramente stam-pati nella mia mente e di tanto in tantoria�orano piacevolmente per rassere-narmi quando la mancanza della fami-glia e degli amici si fa un po‘ sentire!Che altro dire...semplicemente che miauguro di poter partecipare presto aduna futura edizione della festa per in-grandire il bagaglio di bei ricordi edemozioni che viaggia e viaggera‘ sem-pre con me!!

Barbara Procacci

UN PERSONAGGIO SPECIALE

Appro�ttando dell’occasione che questo giornalino of-fre vorrei parlare di un personaggio molto noto nella no-stra parrocchia. Un personaggio abbastanza discusso acausa di un enorme difetto: è interista!!!Molto conosciuta è la sua passione per il calcio ed an-cora più grande per la sua amatissima squadra del cuo-re. Benchè nel tempo mi sia sempre impegnato a farglicambiare fede calcistica, ogni risultato è stato a dir poconegativo. Nonostante tutto questo c’è un grande meritoche gli si deve attribuire. E’ riuscito a far appassionaredecine di ragazzi allo sport del calcio. Non solo renden-dosi disponibile come allenatore in senso sportivo, masoprattutto insegnando a questi ragazzi che il calcio è ungioco fatto per divertirsi, fare amicizia, rispettarsi, impa-rare delle regole; insomma crescere insieme.Nel tempo ognuno dei bambini ha scoperto di essereportato o meno per questo gioco, alcuni hanno abban-donato gli allenamenti mentre altri stanno diventanto dav-vero bravi. Ma penso che tutti possano dire di essersidivertiti giocando, qualunque sia stato il risultato, tantepartite sono state vinte, alcune perse, ma nonostante tut-to questi ragazzi possono dire sicuramente di aver vissu-to bellissime esperienze, di avere conosciuto nuovi ami-ci, aver imparato che le regole sono importanti per ri-spettarsi, che crescere insieme volendosi bene è meravi-glioso e tutto questo lo dobbiamo anche a lui, questomisterioso personaggio: Mauro Frenguellotti, più cono-sciuto come “Mauro de Piccione”. Quindi a nome di tut-ti i ragazzi ed i genitori che hanno avuto a che fare con

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Storie

questo illustre personaggio sportivo, volevamo ringra-ziarlo per tutto quello che ha fatto e che fà per tutti inostri ragazzi. E dulcis in fundo: forza JUVENTUS!!

Maurizio Fondacci “Bericchio”

“IO.. PRENDO TE ..COMEMIA SPOSA,…”“IO.. PRENDO TE..COME MIO SPOSO”Queste parole sono al centro della liturgia del matrimo-

nio, quale sacramento della Chiesa e, le pronunciano i

�danzati, inserendole nella seguente formula del consen-

so: “. . . prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e

nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e ono-

rarti tutti i giorni della mia vita”. Tra le varie promesse

spicca quella di essere fedele, nella salute, ma soprattutto,

nella malattia. Anche se è triste so�ermarci su questo

punto, è importante considerare tutti gli aspetti della no-

stra esistenza, a�nché il messaggio di speranza possa ar-

rivare forte e chiaro a tutti noi. Di seguito, riporto la testi-

monianza scritta da mia madre Andreina Letizia Brunetti,

pochi giorni fa, pensando con una certa soddisfazione che

a breve, avrebbe festeggiato il compimento del 50° anno

di matrimonio con Rodolfo Ridol�.

« Sin da piccola ho so�erto di una malattia al cuore con-

siderata incurabile per quei tempi, ma con l’aiuto di Dio

sono cresciuta. Ho conosciuto Rodolfo Ridol� anche se in

realtà ci conoscevamo da sempre, dalla nascita, si può

dire... siamo tutti e due di Monteleto, più o meno coetanei,

impossibile non frequentarsi!

Siamo cresciuti insieme. Ci

siamo �danzati e con tanta

gioia e un po’ d’incoscienza,

ci siamo sposati. Di comune

accordo abbiamo deciso di

sposarci nella nostra parroc-

chia, anche se la chiesa era

in restauro, così la cerimonia

è stata celebrata nel salone

accanto alla chiesa (per inten-

derci, dove oggi si tiene il rin-

fresco di Pasqua).

glie, è nata la bellissima e amatissima nipotina Ele-

na). Avremmo

voluto avere altri

�gli, ma i dottori

me lo hanno vie-

tato a causa del-

la mia malattia.

Con il tempo la

scienza ha fatto

dei grandi progressi: nel 1983, mi sono operata a Roma, ,

anche se ancora per problemi di cardiaci, si consigliava di

andare all’estero. Molti anni dopo, anche mio marito ha

dovuto a�rontare un’operazione al cuore, ma combatten-

do con coraggio, tra una di�coltà e l’altra, siamo andati

avanti. Ringrazio il buon Dio che ci ha sempre aiutati e ci

ha permesso di arrivare ai 50 anni di matrimonio. Sono

stata l’unica della mia famiglia a raggiungere questo tra-

guardo, purtroppo, né i miei genitori, né i miei due fratelli

hanno potuto. Ringraziando di nuovo il Signore, io e mio

marito auguriamo a tutte le giovani coppie di poter giunge-

re a questa meta. Si sa, la vita riserva tante gioie, ma

anche tanti dolori, non è facile per nessuno, ma se si lotta

in due si è più forti ...» Il messaggio di amore che scaturi-

sce da questa testimonianza è quello di non abbattersi mai

alle vicissitudini della vita. Se si ha fede, speranza, amore

e soprattutto, la voglia di combattere, la voglia e il piacere

di stare insieme, sempre e comunque, tutto è possibile.

Certo i miei genitori non hanno potuto festeggiare con

cene e rinfreschi, ma il vero scopo del matrimonio lo

hanno sicuramente raggiunto: stare insieme così tanti

anni, riuscendo a superare tutto anche i problemi più

gravi. Di sicuro sarebbe stato molto facile buttare tutto

all’aria al primo “intoppo”, ma non è così che si può

essere più felici. La vera gioia sta nel riuscire a guar-

darsi negli occhi e con un sincero dialogo, cercare di

trovare una soluzione alle di�coltà della vita. E lo spu-

mante? Per quello c’è sempre tempo, non bisogna at-

tendere le grandi occasioni, per dichiararsi il reciproco

amore. Oggi Andreina è inchiodata a letto, colpita da

una brutta ischemia, che la tiene in una fase di

semincoscienza. Coraggio mamma continua a lottare.Arnaldo Ridol�

Dopo due anni di matrimonio abbiamo avuto un

�glio, Arnaldo, (successivamente da Arnaldo e sua mo-

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LA FESTA DI SAN MARTINO

Questa festa ricorre il giorno 11 novembre. La tradizio-ne iconogra�ca vuole che il santo sia rappresentato conun abito da centurione in sella ad un cavallo bianco.Martino nacque in Pannonia, l’odierna Ungheria, nel316. Era �glio di un u�ciale romano e fu educato nellacittà di Pavia, dove passò la sua infanzia �no all’arruola-mento nella guardia imperialeall’età di quindici anni. A sculaMartino prese i primi contatticon i cristiani e, all’insaputa deigenitori, si fece catecumeno eprese a frequentare con assi-duità le assemblee cristiane. Lasua umiltà e la sua carità han-no dato vita ad alcune leggen-de tra cui quella in cui Martinoincontrò un povero al qualedonò metà del suo mantello.E’ la festa ispirata per tradizio-ne alla svinatura ed all’iniziodel ciclo invernale. Per San Martino, come dice un notoproverbio, “si spilla la botte e si assaggia il vino”. Spessoil Santo è associato al vino, tanto da essere noto per ilruolo di Santo protettore degli ubriaconi. La festa di SanMartino, segnando l’inizio del ciclo invernale, è comeuna specie di carnevale in anticipo: sono note tra le altrefeste dell’uva dei Colli Albani e quelle Trentine e dell’Al-to Adige; in alcuni paesi i giovani mascherati, la sera gi-rano per le vie della città e disegnano grandi corna sullafacciata delle case ove abitano quei mariti che l’opinionepubblica ritiene infelici.Altro elemento tipico delle feste d’inizio stagione, è datodalle questue: alla periferia di Venezia e Chioggia, peresempio, popolane povere si presentavano ai negozi osotto i balconi, porgendo il grembiule vuoto e cantando:“In sta casa ghe pe de tuto del salame e del parsuto delformaggio piasentin viva viva San Martin”.

CROSTATA CASTAGNE E CIOCCOLATO

(per la pasta frolla): 300 g. farina150 g. burro2 tuorli150 g. zuccheroun pizzico di salela buccia grattugiata di un limone

(Per il ripieno): 500 g. castagne macinatecacao amaro q.b.1 bustina zucchero a velo

mezza barretta di cioccolato fondente sbriciolata2 bustine di vanillina1 uovo200 ml. panna per dolci

Procedimento per la pasta frolla: fare la fontana con lafarina e lo zucchero, ponete al centro le uova, il limoneed il burro a temperatura ambiente, a pezzetti. Amalga-ma prima con una forchetta, poi con le mani �no ad otte-

nere una pasta morbida ecompatta. L’impasto nonva lavorato molto con lemani. Lasciare riposare pertrenta minuti in frigo.Procedimento per il ripie-no: mettete nel mixer le ca-stagne macinate (lesbollentate, togliete la buc-cia e le schiacciate, bastauna semplice forchetta se lofate quando sono ancoracalde) e il cacao, fate amal-gamare �nchè il compostonon diventa bello scuro poi

mettete il composto in un’insalatiera bella grande e ini-ziate ad aggiungere lo zucchero a velo, poi il cioccolatosbriciolato (se vi piace il sapore della cioccolata poteteanche mettere tutta la barretta), aggiungete la vanillina,fate una fontanella nel composto ed aggiungete l’uovo,in�ne mescolate poco alla volta la panna. Mettete il com-posto sulla frolla, decorate ed infornate a 180° per circaquaranta minuti.Buon appetito!!!! E vi assicuro che è divina … BUO-NISSIMA…

Sonia Brugnoni

Se non puoi essere una via mestra,sii un sentiero,se non puoi essere il sole,sii una stella,sii sempre il meglio di ciò che sei.

(Martin Luter King)

Le chiavi ingombrano e si possono smarriremeglio avere chi ti apre la porta,possibilmente con un sorriso.

(D. Basili)

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