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ERGONEDITORIALE2 di Giancarlo TrentiniPASSATO PRESENTE FUTURO4 ESSERE MAGISTRATO IN TERRA DI CONFINE. Casi, storie, racconti, impressioni, vissuti

8 SCONFINARE LA SICUREZZA SUL LAVOROdi Giusi Vignola

12 CONTRIBUTO ASPIdi Dario De Santis

INTERVISTE POSSIBILI16 LE MACCHINE E LA LUNA (ai confini del pensiero)

A colloquio con il conte Giacomo LeopardiLA SPIA DEL PENSIERO a cura di Pier Luigi Amietta21 IL “CONFINE”: UN’’ILLUSIONE TRA CONFINAMENTO E SCONFINAMENTOARTE E CULTURA ORGANIZZATIVA25 VA IN SCENA IL LAVORO: “Settimo” al Piccolo teatro

di Eleonora Valé28 MÖBIUS ORGANIZATION

di Attilio Pagano32 UNO SGUARDO OLTRE IL CONFINE DELLA REALTÀ

di Valentina GessaDAL MONDO AL MONDO AZIENDALE34 HO PROVATO LA FELICITÀ MA NON MI HA RESO PIÙ FELICE…

di Gianni Marocci37 AI CONFINI DELL’APPRENDIMENTO

di Gabriella Vigo41 AL CONFINE TRA CAOS E COSMO

di Caterina CroceDAL DIRE AL FARE44 IMPRENDITRICI NELLA LINEA D’ OMBRA. Quando le donne lavorano senza tutela

di Ilaria BonoGIOCHI AL LAVORO a cura di Renata Borgato47 SCOPRIRE I MOLTEPLICI CONFINI

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EDITORIALE

Giancarlo Trentini

con il numero presente, Ergon compie un anno di vita. E, come si conviene, la ricorrenza èl’occasione per formulare auguri per un futuro sereno e colmo di opportunità, a voi tutti come allaRivista.Mi piace ricordare l’inizio spirituale della nostra avventura, quando vi abbiamo proposto di visitarequello che abbiamo chiamato “Villaggio della cultura organizzativa”. Un villaggio con numerose etipiche botteghe, spazi e laboratori dove riflettere, discorrere e ragionare intorno ai temi chemaggiormente interessano uomini e donne che – per scelta o per necessità – passano gran partedel loro tempo al lavoro.Dopo aver affrontato tre importanti dimensioni del vivere organizzativo (Responsabilità, Ascolto,Errore ), ecco che oggi affrontiamo un quarto, suggestivo tema: “Confini”.Ha scritto in proposito Giorgio Caproni (e lo ricorda Giancarlo Bagarotto nel suo prezioso contributo):

“Confine”, diceva il cartello.Cercai la dogana. Non c’era.Non vidi, dietro il cancello,ombra di terra straniera.

È con questi intendimenti (libera circolazione di idee, pensieri, vissuti) che ci siamo ritrovati perdiscutere come far sì che le pagine di Ergon possano venir aperte come finestre sui mondi

Gentili lettrici e cari lettori,

Bottega della convivialità,a Milano, in Viale Coni Zugna

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dell’organizzazione. Per cambiare un po’ l’aria, così spesso “pesante”, soprattutto di questi tempi.Come, in fondo, migliorare la rivista, anche in considerazione delle osservazioni, delle critiche e deisuggerimenti che molti di voi hanno avuto la gentilezza di avanzare.Tutto questo per dire che il numero presente è proprio “di confine” tra passato e futuro. Potremmoanche definirlo: di transizione.“Confini”, dunque, che non separano ma – al contrario e forse paradossalmente – uniscono,favorendo la valorizzazione delle diversità.Come d’abitudine, preferisco lasciare a Lettori e Lettrici il piacere di sorprendersi nella lettura degliarticoli e dei contributi di questo numero. Sottolineando tuttavia un aspetto che mi sta particolarmentea cuore: sentiamo spesso parlare della necessità di dare spazio ai giovani. Se ne parla ormai datempo senza tuttavia che alle parole seguano i fatti. Per quel poco che possa valere, molte dellepagine di Ergon sono scritte e pensate da giovani, diretta e concreta testimonianza della possibilità disuperare il limite che tradizionalmente separa età diverse. Tale separazione segue solo unaconvenzione stereotipata. Li ringrazio, perché fanno del fardello dei miei anni un fagotto più leggero.Veniamo al futuro e alle scelte che abbiamo in animo di fare, con l’obiettivo di rendere Ergon semprepiù in sintonia con le attese di Lettrici e Lettori.Da ERGON a ERGON (con la N intenzionalmente inclinata). ERGON, quando ci si occuperà dellavoro nei suoi aspetti pratici, pragmatici e operativi; ma anche ERGO, per dare risposte ai molti“perché” e problemi dell’organizzazione. Risposte, ben s’intende, mai definitive ma, nei limiti delpossibile, stimolanti, innovative e coerenti con un pensiero organizzativo sempre più caratterizzato dacomplessità e dinamismo.Ospite d’onore continuerà ad essere uno specifico tema monografico, di volta in volta diverso: ilprossimo numero di Luglio, per esempio, ospita il tema delle REGOLE. Verrà tuttavia evidenziato ilraccordo privilegiato che ciascuna macro-tematica ha con una delle principali variabili organizzative:strategie, strutture, ruoli, persone e comportamenti, sistema premiante, meccanismi operativi. Temacentrale e variabile organizzativa verranno di volta in volta cucite con domande “giuste”, piuttosto checon risposte inconfutabili. Stiamo ragionando su come intrecciare i fili colorati del tessuto, che avràcome sovraimpressione l’immagine delle REGOLE.Questo primo anno di attività, ci ha visto navigare sotto costa. Si tratta ora di prendere il largo, manon potremmo avventurarci in alto mare senza l’aiuto e la collaborazione di tutti coloro che,affettuosamente, ci hanno letto e continuano a leggerci. Una rivista “diversa”, che concepiscel’organizzazione come qualcosa di vivo che si nutre di pensiero innovativo e di provocazioni creative,non è una rivista per molti. E ciò rende ancor più pesante (e pressante) il problema dei costi che ilcontinuare la navigazione comporta.Il mio invito è quindi quello di sostenerci, rinnovando l’abbonamento o sottoscrivendone di nuovi.Promuovendo e diffondendo ERGON, individuando e suggerendo forme di pubblicità tabellare, cosìda reperire le risorse economiche necessarie a sostenere il proseguimento della nostra avventura.Il viaggio, allora, procede. E, come dicono gli uomini di mare, “buon vento” a tutti.

Giancarlo Trentini Con l’usuale cordialità ,

Un titolo duplice e dinamico

Forme e contenuti

Perché una rivista "diversa"possa continuare a vivere

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Le mie esperienze di magistrato in una sede di confine, benché non prive di interesse, mi hannoconfermato le verità, tanto ovvie quanto banali, della saggezza popolare e cioè che tutto il mondo èpaese, ma, al tempo stesso vario (anche se non per questo bello, come sostiene il noto proverbio).Per esemplificare, a Trento e sopra tutto a Bolzano, i palazzi della giustizia non raffigurano la crisidella funzione con lo spettacolo di degrado offerto a chi ne frequenta altrove le strutture edilizie: gliuffici sono puliti, nei gabinetti c’è la carta igienica e i fascicoli dei processi non vengono accatastati sulpavimento.In alcune delle nostre zone di confine esistono dunque “diversità” positive, a mio avviso riconducibiliad una particolare cultura di rispetto dei beni comuni e a consuetudini, nel cui ambito gli interni

ESSEREMAGISTRATO IN TERRA DI CONFINECasi, storie, racconti, impressioni, vissuti

Incontrando Giancarlo Bagarotto

PASSATO PRESENTE E FUTURO

Raffaello,Il giudizio di Salomone,Roma, Palazzi Vaticani

FALSA INDICAZIONE“Confine”, diceva il cartello.Cercai la dogana. Non c’era.Non vidi, dietro il cancello,ombra di terra straniera.

G. Caproni

Che cosa ha significato, per Lei, esseremagistrato in una sede di confine?

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vengono vissuti diversamente da come lo sono presso le popolazioni di origine mediterranea.Inoltre, in Alto Adige la delinquenza non rappresenta un fenomeno pervasivo come in molte zone delpaese e la litigiosità è meno virulenta, anche da prima che le spese processuali fossero portate alivelli tali da costituire un ostacolo spesso insuperabile alla tutela giurisdizionale dei diritti.Ma in prossimità ai confini, proprio come in ogni altra parte dello Stato, gli organi giudiziari sonoesposti al rischio di sbagliare e in molti casi la loro attività può risultare controvertibile se verificata conriferimento a delle categorie fondamentali come vero o falso, giusto o ingiusto, utile o dannoso.

Certamente. Per esemplificare, posso riferirmi a dei casi, molto risalenti. Si tratta di vicende dei primianni Sessanta, che, essendo agli inizi della carriera, mi colpirono, perché rivelavano come il rapportofra le sentenze dei giudici e le categorie del vero e del giusto potesse assumere aspetti strani esconcertanti.Il primo riguarda la morte di un contadino, celibe, senza figli, affetto da disturbi psichici, che, in basealla speciale legislazione vigente nella Provincia di Bolzano, in quanto primogenito, aveva ereditato ilmaso, ossia l’azienda agricola di famiglia, e ci viveva col fratello, che lavorava per lui comebracciante.Il cadavere, con la testa quasi completamente staccata dal corpo, rinvenuto ai piedi di un ripidopendio, in cima al quale, sul terreno innevato, era visibile una pozza di sangue, presentava una scenacompatibile solo con un’ipotesi di omicidio, tanto più che non vi era, nelle vicinanze, traccia di arnesida taglio.Dato che il fatto era accaduto in una zona isolata, nella quale la presenza di estranei sarebbe statasubito notata, i sospetti erano caduti sul fratello, che avrebbe ereditato il maso, ma tutto il paese siera schierato al suo fianco e il parroco e alcuni compaesani avevano deposto in suo favore.Le indagini dei Carabinieri, da me seguite come Pretore del luogo, si erano concluse senzaraccogliere delle prove nei suoi confronti e quindi sarebbe stato normale attendersi che l’istruttoriavenisse chiusa prendendo atto che il delitto era stato commesso ad opera di ignoti. Ma la conclusionefu un’altra.In base ad una perizia medico legale quanto meno singolare, il giudice competente concluse che siera trattato del suicidio di un incapace: una pronuncia incredibile, che in pratica non cambiava nulla,ma era spiegabile solo con l’intento di non offendere la suscettibilità dei paesani.La vicenda, di per sé pregiudizievole, fa tuttavia venire in mente altri casi, più recenti, in cui lesuscettibilità localistiche possono aver avuto un peso per la condanna di persone giudicate colpevolie condannate solo perché nessun altro poteva essere sospettato di aver commesso il delitto.

E’ così. Presumibili interferenze di persone autorevoli possono deviare la giustizia dal suo cammino, avolte con esiti paradossali e incredibili, come penso sia accaduto in un processo davanti alla Corted’Assise, nel quale facevo parte del collegio giudicante in veste di relatore.Un commerciante noto e stimato anche per il suo zelo religioso aveva incontrato un militare in liberauscita, si era appartato con lui, nell’angolo buio di una piazza in ore tarde poco frequentata, a fare delsesso orale, era stato rapinato al termine del rapporto, ma alle sue grida di aiuto erano intervenuti iCarabinieri.Dalle indagini era emerso il contesto in cui erano avvenuti i fatti e quindi il rapinatore, oltre che per larapina, era stato incriminato anche per atti osceni in luogo pubblico in concorso col rapinato, che erastato coinvolto nel giudizio non solo come parte lesa ma anche coimputato per quest’ultimo delitto.

E vi saranno senz’altro casi, episodi,ricordi utili a rivivere le dimensioni

razionali e affettive che l’hanno coinvoltanello svolgimento della sua attività di

Magistrato, così tangenziale allecategorie del “vero”, del “giusto” e del

“falso”.

Pare poi possibile che – ieri come oggi –la Giustizia (con la G maiuscola…) sia

intralciata, nel proprio articolarsi,dall’influenza del potere e di coloro che a

tale potere si appellano per conseguireobiettivi che con il “giusto” e il “vero” poco

hanno a che fare.

Duccio di Buoninsegna,Incredulità di San Tommaso,

Siena, Museo dell'Opera Metropolitana

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Per non rivelare, neppure dopo un mezzo secolo, il segreto della camera di consiglio, mi limito a direche la Corte d’Assise, come è noto composta in maggioranza da giudici popolari, condannò il militareal minimo della pena per la rapina, ma lo assolse insieme al commerciante dall’accusa di atti osceni.Nella stesura della sentenza, motivai la pronuncia assolutoria con puntuale riferimento alleconsiderazioni prevalse nell’ambito del collegio, secondo cui la pratiche di sesso orale nonoffendevano il comune sentimento del pudore in quanto diffuse e socialmente accettate nell’ambitodella comunità.All’epoca, in materia di buon costume, la giurisprudenza era assai severa.In quegli stessi giorni, per lostesso reato, una condanna a sei mesi di reclusione era stata inflitta a due giovani, di sesso diverso,che, da una finestra, erano stati sorpresi, baciarsi appassionatamente all’interno di una baita in altamontagna.Mi aspettavo quindi che una sentenza, ancor più scandalosa per il precedente costituito dalla suamotivazione che per il suo contenuto assolutorio, sarebbe stata tempestivamente impugnata dalProcuratore Generale e annullata dalla Corte di Assise d’Appello.Ma, come venni a sapere per puro caso a distanza di tempo, mi sbagliavo di grosso, perché nessunappello era stato interposto e la sentenza era passata in giudicato, con vivo apprezzamento da partedi chi riteneva giusto non compromettere, per un momento di debolezza, la reputazione di unapersona dabbene.

Di sentenze misericordiose, se ne sono sempre pronunciate e si continuerà sempre a pronunciarne,mentre sono meno risalenti i casi di eccesso di zelo e di audacie interpretative, che travolgono ilprincipio di legalità, proprio di ogni Stato di Diritto, rendendo sempre più incerti i confini fra lecito eillecito.Vi è poi da dire che certe tendenze non riguardano solo il nostro paese, in quanto nell’odierno mondoglobalizzato le conoscenze passano attraverso i confini più facilmente delle merci e delle persone e laloro diffusione non può che avviare un processo tendente ad una progressiva attenuazione dellediversità legate ai luoghi.Ciò comporta il progressivo passaggio da una conflittualità di tipo bellico, correlata ai confinigeopolitici degli Stati, a conflittualità di tipo sociale, politico ed economico, che contrappongono istituti,enti e funzioni all’interno dei singoli Stati o i potentati economici in ambito internazionale.Sempre per fare un esempio, oggi gli attriti fra funzioni normative e funzioni giurisdizionali stannorendendo sempre più “caldi” in tutto l’Occidente i rispettivi confini, profilando una crisi di principifondanti come quello di legalità, che costituisce uno dei cardini del moderno Stato di diritto.Trattandosi, ovviamente, di fenomeni destinati a svilupparsi solo in tempi lunghi, continueranno alungo a coesistere conflittualità di vario genere, ma il rimescolamento, se non l’armonizzazione, dileggi e costumi si svilupperà in ogni luogo della terra ad onta, se non proprio come effetto, dei conflitti.

Infatti. Un altro genere di confine, quello fra identità e ceti sociali, oggi è già e in futuro sempre piùmutevole, come nel caso relativo ai milioni di posti di lavoro impiegatizio di medio e basso livello, cheverranno destinati a sparire in seguito alla diffusione dell’informatica in ogni angolo del mondo.Ci sono poi i confini a macchia di leopardo relativi ai costumi che differenziano gruppi umanicompresenti sullo stesso territorio, e spesso evidenziano tensioni, non necessariamente riconducibilia diversità di etnie e tradizioni, come nei casi, talvolta enfatizzati, dei così detti conflittiintergenerazionali.

Sembra dunque che anche nel pianetagiustizia i “confini” possano assumere

tonalità e caratteristiche diverse,venendosi a collocare ora sul crinale

della “negatività” e ora su quello della“positività”.

Così stando le cose, pare che il confinetra lecito e illecito rischi di sfumarsi e che

quindi l’emissione del giudizio venga apresentarsi come atto per certi versi

discutibile.

F. Hodler,L'eletto (1893-94),

Berna, Kunstmuseum

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E le tensioni, quando non si risolvono in vicende belliche, sfociano talvolta in vere e proprie battagliegiudiziarie, il che, in un certo senso, è fisiologico, proprio perché la giustizia è stata istituita “al fine dievitare che i cittadini ricorrano alle armi” per risolvere le loro controversie.Meno fisiologici sono invece i contrasti che emergono nel pianeta giustizia ai confini fra legiurisdizioni e al loro interno, sopra tutto quando hanno l’effetto di rendere incerto un confine chedovrebbe esser certo e cioè quello fra ciò che è conforme al diritto e ciò che è antigiuridico.Ma, nonostante le tensioni e i conflitti che si manifestano lungo i loro tracciati geografici oconcettuali, i confini rappresentano un topos ideale per gli incontri fra genti diverse, gli scambi dimerci e di conoscenze, le ibridazioni di costumi e di idee, spesso fonte di progresso e di crescitaeconomica e civile.

I confini più pericolosi sono interni alla nostra mente, come quello fra la veglia e jl sonno delpensiero, che è rappresentato nella incisione di Goya raffigurante un uomo dormiente col capo chinosovrastato da un cartiglio con la scritta: “Il sonno della ragione produce mostri”.Sono confini che vengono violati allorché si perseguono degli obiettivi senza ben rifletteresull’effettiva possibilità di realizzarli e senza considerare l’eventualità che le iniziative intrapresesiano causa di effetti non voluti, nella massima parte dei casi, di segno opposto rispetto ai propositienunciati.E così accade che le leggi antiproibizioniste, introdotte a tutela della salute e della moralità pubblica,alimentino la delinquenza e la corruzione e che il proliferare delle norme giuridiche, ispiratodall’intento di governare la comunità, produca invece incertezza del diritto, disordine civile eregresso economico.

F. Goya,Il sonno della ragione genera mostri (1797).Foglio n. 43 di una serie di 80 incisionichiamata "I Capricci".

Potremmo allora dirci d’accordo che, inassenza della passione e della correlatadimensione affettiva, sarebbe forse meglioche la ragione (lasciata a se stessa inun’inquietante solitudine) continui asonnecchiare. I “mostri” verrebberocomunque a generarsi.

Ecco, forse a volte ci dimentichiamoproprio di quelli che ha chiamato “tracciaticoncettuali”…

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Uno dei principali effetti delle norme di derivazione europea introdotte in Italia nel 1994 è statol’istituzione in tutte le organizzazioni di lavoro pubbliche e private (enti, imprese, aziende) di unServizio di Prevenzione e Protezione. La novità, introdotta nel 1994 con il Decreto Legislativo 626,abrogato e sostituito nel 2008 dal Decreto Legislativo 81, il cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”,tocca non soltanto le responsabilità che lo Stato assegna ai vertici delle organizzazioni di lavoro, maanche la struttura delle stesse organizzazioni.Se ci pensiamo, è una cosa forse non unica ma davvero notevole che, per legge, ogni datore di lavorodebba non tanto fare una cosa (in questo caso, la prevenzione dei rischi per salute e sicurezza deilavoratori), ma anche dotarsi della struttura organizzativa per farla.Tutto questo ha a che fare con i confini che l’organizzazione disegna tra sé e il suo ambiente e conquelli che disegna dentro di sé. E, soprattutto, porta a riflettere sul significato che l’esistenza deiconfini fornisce agli oggetti confinati (in questo caso, la struttura organizzativa per la prevenzione) esulla efficacia delle azioni che vi devono essere svolte.L’aggiunta all’organigramma aziendale della casella Servizio Prevenzione e Protezione (SPP) e delsuo Responsabile (RSPP) compie in quest’anno 2012 il diciottesimo compleanno. Con la maggioreetà, il Servizio di Prevenzione potrà rivendicare più a voce alta il suo diritto a uscire di casa, ovverodalla casella disegnata nell’organigramma, per interagire tra adulti con gli altri attori organizzativi.

PASSATO PRESENTE E FUTURO

SCONFINARE LA SICUREZZA SUL LAVOROGiusi Vignola

Una cosa davvero notevole

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Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza della normativa di derivazione europea (il 626/94 prima,l’81/08 fin’ora), l’avere costruito intorno alla funzione di prevenzione un confine (la strutturaorganizzativa del SPP) è stato vantaggioso. Il confine tra la prevenzione e le altre funzioni epreoccupazioni organizzative è stato storicamente segnato da norme, obblighi, produzione didocumenti, verifiche ecc. Nei primi anni di vita del 626/94, questo sistema di norme permise di farecrescere l’attenzione alla prevenzione dei rischi per salute e sicurezza. Ovviamente, non si può fareun discorso totalizzante e valido per tutte le situazioni. È comunque ragionevole sostenere che lamaggior parte delle organizzazioni che oggi dispongono di risorse conoscitive e organizzative per laprevenzione, se non ci fosse stato l’obbligo di istituire il Servizio (e tutti gli altri obblighi a essocollegati), probabilmente oggi sarebbe meno attrezzata per gestire i rischi e le eventuali conseguenzedannose.Ora, anche in queste organizzazioni, l’effetto positivo dovuto all’impianto normativo tende a esaurirsi:la identificazione tra il tema della prevenzione e gestione dei rischi da un lato e quello della strutturaorganizzativa (e normativa) di prevenzione dall’altro non gioca più un ruolo prevalente di custodia deltema tra gli altri temi dell’organizzazione, ma, al contrario, gioca un ruolo di confinamento edesclusione.La preoccupazione dell’adempimento di norme emanate dall’autorità statale contribuisce a rafforzareil confine che separa il Servizio di Prevenzione dalle altre strutture e funzioni organizzative.Occorre dire che la sicurezza nelle organizzazioni non viene dall’attività (e tantomeno dalla meraesistenza) di un Servizio di Prevenzione, ma viene dagli ordinari processi organizzativi.La identificazione dei pericoli, la valutazione dei rischi conseguenti all’interazione tra i pericoli e ilavoratori, e la programmazione delle misure (vedi articoli 28 e 33 del Decreto legislativo 81/08) nonpossono produrre alcun significativo miglioramento nelle condizioni di prevenzione e gestione deirischi se queste attività restano slegate dai processi organizzativi come, a esempio, la progettazionestrategica e la pianificazione delle attività, l’acquisto di macchine, attrezzature e sostanze, lavalutazione delle prestazioni, il sistema premiante ecc.Restando nello spunto giocoso del Servizio di Prevenzione che diventa maggiorenne, la crisi dimaturazione della prevenzione dei rischi all’età adulta comporta la rinuncia alle protezioni garantiteda norme e organigrammi e l’abbattimento dei confini e delle barriere tra chi si occupa dei rischi persalute e sicurezza e chi si occupa degli altri problemi e preoccupazioni organizzative. Come farlo? Ecome farlo mantenendosi (o posizionandosi) sul piano dei ineludibili adempimenti di legge? Lastrategia deve coinvolgere la direzione, perché da essa può venire il necessario impulso. Ma sarebbeingenuo credere che un simile riorientamento possa avvenire per effetto di una direttiva, per quantogiusta e sostenuta dalle più condivisibili intenzioni.Come per la generalità dei fenomeni comunicativi, il significato del messaggio di sicurezza non vieneveicolato soltanto da ciò che è detto (il testo della comunicazione), ma anche da come viene detto (ilsottotesto della comunicazione) e dalla coerenza con gli altri fattori contestuali (la pragmatica dellacomunicazione). Espressioni del tipo “Safety first” e “la sicurezza è il nostro primo obiettivo”prendono, dunque, significato non solo dal vocabolario condiviso, ma anche dagli altri fattori cheintervengono nella efficacia del loro intento comunicativo.Tra questi fattori, uno dei più determinanti è costituito dalle circostanze in cui tali espressioni vengonoutilizzate. Se queste circostanze fossero solo quelle in cui non si può non parlare di sicurezza (aesempio, i corsi di formazione dei lavoratori, dei preposti e dei dirigenti svolti in adempimento agliobblighi dettati dall’art. 37 del D. Lgs. 81/08), il sottotesto potrebbe significare che “se non fosse stato

Che cosa nasce dai confini:prima la custodia, poi l'esclusione

Che cosa dà significatoagli slogan di sicurezza

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per l’obbligo di legge, queste espressioni le avremmo lasciate ai manifesti appesi qua e là”.La comunicazione globale è fatta da quello che viene detto (e dove, e quando, e da chi), e anche daquello che non viene detto (dove, quando e da chi).La sicurezza è uno degli argomenti che si trovano più esposti agli effetti distorcenti della incoerenzatra il detto e il non detto. I motivi di questa sua particolare delicatezza sono molti. A esempio, lasicurezza è un concetto difficilmente definibile in positivo. Esso sfugge a una unica e semplicedefinizione di che cosa essa sia. Più facile accorgersi di essa quando non c’è o fallisce (comequando si verificano incidenti o infortuni). Un altro motivo è che la sicurezza è una preoccupazioneinevitabilmente non originaria della decisione produttiva: non si decide di produrre per farlo insicurezza. Si decide di produrre per soddisfare un bisogno o per fare più soldi. Chiaramente sidovrebbe, poi, scegliere come attuare in sicurezza la decisione di produrre (e, talvolta, lo si fa).Un altro motivo è che, per effetto delle norme che stanno per diventare maggiorenni, viene stabilitauna serie di circostanze in cui ci si deve occupare di sicurezza. E, a lungo andare, queste circostanzevengono a costituire una normale “specificità” che si affianca alla normale “normalità” dellepreoccupazioni e dei processi organizzativi.Se la specificità del Servizio di Prevenzione viene normalizzata e istituzionalizzata, di fatto sistabiliscono confini tra le sue funzioni e le altre presenti nell’organizzazione. Confini che consentono,talvolta, di conseguire obiettivi parziali (a esempio, l'adempimento di alcuni obblighi), ma al contempoimpediscono di raggiungere migliori prestazioni globali (a esempio, il miglioramento continuo dellecondizioni di sicurezza). Si pensi al rapporto tra contenimento dei costi (che influisce direttamentesull’efficienza di esercizio) e la soddisfazione dei clienti (che influisce sull’efficacia). Una disfunzioneben nota agli analisti d’organizzazione è quella che viene generata dall’assegnazione a ciascunafunzione dell’organizzazione di un proprio obiettivo di riduzione dei costi, senza commisurarne glieffetti sul risultato globale di efficacia.Analogamente, credere che la sicurezza sia l’obiettivo della struttura funzionale Servizio diPrevenzione e Protezione rappresenta una forma di miopia organizzativa. La sicurezza è un risultatoorganizzativo da costruire nelle occasioni in cui ci si deve occupare di sicurezza, e anche quelle in cuici si occupa di ogni altro aspetto dell’azione organizzativa. Verrebbe da dire che è più sicural’organizzazione che non richiede il presidio della prevenzione e gestione dei rischi da parte del RSPPperché questi aspetti sono già presenti nelle attenzioni e nei criteri di ciascun decisore.Ma per arrivare a questo risultato il percorso da fare in quasi tutte le nostre organizzazioni di lavoro èancora lungo. Come favorire, dunque, lo sconfinamento della sicurezza dai limiti strutturali,organizzativi e, in ultima analisi, culturali creati da una applicazione meramente formale delle normedi legge?Vediamo 2 prospettive di lavoro.

Anche se una delle caratteristiche della modernità, è la diffusione delle idee slegata dal movimentodelle persone, in alcune nicchie della società, il legame tra idee e persone resta ancora forte. Questenicchie sociali sono le organizzazioni in cui la struttura per funzioni ha prodotto i fenomeni dellaburocratizzazione e della miopia organizzativa. In queste realtà, perché un’idea e una visione delmondo si diffondano oltre i confini che separano le funzioni strutturate (nel nostro presente discorso, ilServizio di Prevenzione e Protezione), è necessario che le persone che hanno quell’idea e quellavisione vengano spostate da una struttura organizzativa a un’altra.Occupandoci di sicurezza da molti anni, possiamo fornire una testimonianza del fatto che dalla

RSPP e carriere

Sicurezzae coerenza tra detto e non detto

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istituzione dei Servizi di Prevenzione e Protezione, nella maggior parte dei casi, i cambiamenti diincarico, sono avvenuti dalle funzioni produttive e tecniche al Servizio di Prevenzione e raramente,molto raramente, nella direzione opposta. In questi 18 anni, il Servizio di Prevenzione è divenutoun’area di fine carriera piuttosto che di passaggio e crescita delle professionalità dei manager. Unastrategia di sviluppo della sicurezza dovrebbe comprendere processi di mobilità intraorganizzativa dalServizio di Prevenzione alla altre funzioni di line e di staff.

Nei giorni in cui esce questo numero di ERGON, l’attenzione dei mass media e degli operatorieconomici si concentra sull’art. 18. Ma forse non sull’art. 18 che più meriterebbe questa attenzione.L’art. 18 di cui parlano giornali e televisioni è quello della legge 300 del 1970 (lo “Statuto deilavoratori”), che influisce sulla vita lavorativa di una minoranza dei lavoratori. C’è un altro articolo 18,quello del D. Lgs. 81/08 (il cosiddetto “Testo unico sulla sicurezza”), che, invece, influisce sulla vitalavorativa di tutti. Questo art. 18 detta gli obblighi dei datori di lavoro e dei dirigenti in materia di salutee sicurezza sul lavoro. Nella nostra esperienza, abbiamo verificato che il confine che isola il Serviziodi Prevenzione dalle altre funzioni può essere abbattuto anche favorendo una comprensionecondivisa tra i dirigenti di una lettura organizzativa (non meramente normativa e sanzionatoria) diquesto articolo 18. In sintesi, ecco la nostra proposta operativa: con la formazione dei dirigenti(obbligatoria ai sensi dell’art. 37 del D. Lgs. 81/08), si esamina lettera per lettera l’articolo 18 percostruire un documento di consenso su quali comandi vadano assegnati a:- il solo datore di lavoro o un dirigente delegato alla sicurezza;- un numero ristretto di dirigenti in ragione della loro collocazione funzionale e accesso alleinformazioni pertinenti (deleghe funzionali per la sicurezza in tutta l’organizzazione);- ogni dirigente in quanto tale (nessuna necessità di delega di sicurezza o deleghe funzionali per lasicurezza nel proprio ambito di responsabilità).Questo documento di consenso, definendo chi fa che cosa, costituisce la base di ogni eventualesistema organizzativo di gestione e, chiarendo in particolare il contributo alla sicurezza delle funzionidi staff, può contribuire al superamento dei confini che impediscono l’affermarsi di una concezionesistemica della sicurezza.

Lettura organizzativa dell’art. 18