a cura di: Antonella Anghinoni e Silvia Franceschini

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a cura di: Antonella Anghinoni e Silvia Franceschini © Silvia Franceschini 2015 LA VEDOVA DI NAIN

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Antonella Anghinoni e Silvia Franceschini

© Silvia Franceschini 2015

LA VEDOVA DI NAIN

2002, Corinne Peters, La vedova di Nain

Donne nel Vangelo di Luca

• È sorprendente il numero di donne descritte in Luca e l’enfasi posta sulla loro presenza nella narrazione: 42 passi, di cui 23 si trovano solo in questo vangelo, 10 donne poi sono menzionate per nome, 10 donne innominate che svolgono un ruolo e 2 gruppi

• A differenza di Marco (16,7) in Luca nessuna donna riceve il mandato di apostolo. Qui le donne possono essere chiamate una comunità d’ascolto. Inoltre vi è anche una tendenza a difendere, rassicurare e lodare le donne

• La tecnica stilistica chiamata appaiamento è molto evidente: la versione di un racconto o insegnamento si riferisce a un uomo e l’altro a una donna, rafforzando il messaggio e incoraggiando sia le donne sia gli uomini a identificarsi con i personaggi. L’appaiamento si verifica più spesso nei discorsi di Gesù, per esempio: l’uomo che pianta il granello di senape e la donna che prende il lievito (13,18-21); l’uomo che cerca la pecora perduta e la donna che cerca la moneta perduta (15,4-10). Alcune guarigioni sono appaiate: l’unico figlio della vedova e l’unica figlia di Giairo (7,12; 8,42); le guarigioni di sabato della donna curva e dell’uomo idropico (13,10-17; 14,1-6). Esistono due liste dei nomi dei seguaci di Gesù: uno degli apostoli (6,12-19) e una delle donne (8,1-3)

• Infine, Luca si riferisce alle vedove più spesso degli altri vangeli (2,37; 4,25-26; 7,12; 18,3.5; 20,47; 21,2-3)

XIV sec., Gesù e il figlio della

vedova di Nain, Cripta

dell’Annunziata, Jelsi

Alla porta della città…

11 In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12 Quando fu vicino alla porta della città, ecco,

veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14 Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, alzati!». 15 Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16

Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17 Questa fama di lui si

diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

(Luca 7,11-17)

Ed avvenne in seguito (che) andò in (una) città chiamata Nain ed andavano insieme a lui i suoi discepoli e molta folla. Come poi si avvicinò alla porta della città ed ecco veniva condotto via (un) morto figlio unigenito di sua madre ed lei era vedova e numerosa folla della città era con lei. Ed avendo visto lei il Signore

si commosse per lei e le disse: non piangere! Ed essendosi avvicinato toccò la bara, allora i portanti stettero e disse: Giovinetto, a te dico, alzati/risorgi! E si sedette il morto e cominciò a parlare, e lo diede a sua madre. Prese allora la

paura tutti e glorificavano Dio dicendo: un profeta grande è sorto fra noi, e: Dio ha visitato il suo popolo. E questa parola riguardo lui uscì in tutta la Giudea e

tutta la regione circostante.

Miniatura Tedesca, Hitda Codex,

La vedova di Nain

Accadde a Nain

• Nain, il cui nome in ebraico Na’im significa “bella” / “amabile”/ “deliziosa”, per la sua favorevole posizione era, ai tempi di Gesù, una città prospera e di una certa importanza. Posta ai confini della Galilea, a poche ore da Nazaret (10 km circa a sud-est), si trovava presso le sorgenti del fiume Cison che discendono dal monte Tabor e scorrono nella valle di Esdrelon. Da quella posizione elevata il panorama è ampio e maestoso: da un lato le montagne di Nazaret, dall’altro quelle del Carmelo, e in fondo il monte Tabor

• Nain è poco lontano da Sunem dove il profeta Eliseo ha risuscitato un ragazzo (2Re 4,18-37), così come aveva fatto anche Elia a Zarepta di Sidone (Libano) dopo aver invocato l’Onnipotente (1Re 17,17-24)

• Nessuna delle antiche relazioni di viaggio accenna a mura, per cui la porta della città deve essere intesa per il luogo dove la strada entra tra le case, come si dice ancora oggi in arabo: porta della valle, porta del passo, porta del vento, anche se di porte non ne esistono. La porta della città era il luogo ove si svolgevano gli incontri in occasioni di contratti etc. Una tavoletta di argilla ritrovata a Nuzu in Mesopotamia dice: La tavoletta è stata scritta dopo proclamazione alla porta

• È sera, le montagne sono avvolte da una nebbia leggera e la città appare come un miraggio con le sue mura, le porte, le case con le terrazze, le vie polverose che ne discendono

1875, James Tissot, Resurrezione del figlio della vedova di Nain, Tate

Modern Gallery, Londra

Un corteo funebre

• Gesù avanza circondato dai suoi discepoli e seguito da una moltitudine rumoreggiante, curiosa, avida di vedere e ascoltare il grande profeta con la speranza di essere testimone di qualche altro prodigio

• Poco prima, a Cafarnao, con poche parole e a distanza, aveva guarito il servo del centurione che aveva avuto fede in lui

• Egli era arrivato alle porte della città quando un triste spettacolo si presentò ai suoi occhi: un corteo funebre che esce dalla città. Secondo le usanze ebraiche i funerali si svolgevano di sera, quasi a sottolineare il passaggio dalla luce della vita alle tenebre della morte e i cimiteri erano posti fuori dell’abitato a circa 50 stadi (antica misura lineare greca pari a circa 185 metri) dalle mura

• Possiamo immaginare il susseguirsi della processione secondo il cerimoniale del tempo: prima i suonatori di flauto e gli uomini a piedi scalzi con la testa coperta dai mantelli, poi il morto sulla bara portata a spalla, e dietro la madre seguita dalle donne e dalle prefiche che emettono grida strazianti e lamentazioni in onore del defunto

• Il cadavere viene coperto da un lenzuolo, viene adagiato su un asse e alcuni uomini lo portano al cimitero che è sempre fuori del villaggio. La salma viene deposta sulla nuda terra, sulla quale una stele di pietra ne segnala la presenza. Sulle tombe ebraiche gli amici portano sassi, non fiori

Quando la Morte incontra la Vita• Questo episodio è carità pura. Non c’è sinagoga, non ci sono farisei, non c’è

spirito polemico, solo un abisso di sofferenza. Il vangelo non ne presenta di più terribili. Forse solo una donna può portare questo peso di disgrazia e di solitudine. Davanti a questa rappresentazione del nulla, Gesù è scosso fino alle viscere. Egli avanza già con i primi segni della potenza: lo scorta una folla numerosa. Questa truppa ne incontra un’altra ancora più numerosa, non c’è conflitto ma i due raggruppamenti sono come due armate nemiche, essi non hanno nulla in comune

• Le due moltitudini si incontrano. Quella che segue Gesù è una folla gioiosa e festante che ha in cuore la speranza della buona novella, nell’altra si contempla la morte nella sua realtà più straziante, quella di un figlio nel fiore degli anni strappato alla madre

• Gesù trascina la folla con la potenza delle sue parole verso la luce che conduce alla grazia, mentre l’altro conduce un fanciullo esanime verso il luogo delle tenebre e del silenzio.

• Sulla strada polverosa che circonda le mura di Nain, le due moltitudini stanno di fronte l’una all’altra, quasi compenetrandosi per scambiarsi il loro messaggio di vita e di morte

• La giovane madre appare come la personificazione del dolore: è vedova e ora ha perso anche l’unico figlio. La sua esistenza ora diventerà solo un deserto d’angoscia e di solitudine. Nella sua evidente rassegnazione non chiede nulla, sembra anch’essa morta con il figlio

1575, Nicola Naldini, La vedova di Nain, Getty Museum, Los Angeles

Dolore sospeso

• Gesù vede la madre, sente il suo pianto e si ferma pronunciando una parola che sembra impossibile per la situazione: non piangere! Il corteo interrompe il suo cammino e tutti rimangono attoniti e increduli nell’udire quelle parole. Come si può impedire a una madre di piangere la morte del figlio?

• Qualcuno ha compassione della vedova e le parla, nel silenzio echeggia un insolito comando, nessuno avrebbe osato rivolgerle un tale invito. Parenti e amici ormai rassegnati all’ineluttabile sentono che le lacrime sono l’unico sfogo per quell’immenso dolore

• A quelle parole la donna incredula alza gli occhi verso colui che ha parlato, uno sconosciuto staccatosi dalla folla che è venuto verso di lei. All’mprovviso lo vede accostarsi alla bara e toccarla. Il corteo della morte e quello della vita stanno ora di fronte: tutti sembrano attendere qualcosa. Lo stesso dolore è come sospeso. E davanti alla folla attonita il comando di Gesù al giovinetto ottiene il suo scopo: in lui lentamente ritorna la vita, si muove, e come risvegliato da un sonno profondo, si alza a sedere sulla lettiga

• La pietà verso la madre disperata, privata dell’unico scopo di vita che le era rimasto, ha compiuto il miracolo, e il dono sublime della carità ha permesso a Cristo di restituire il figlio alla madre

• La scena davanti alle mura di Nain si trasforma e la disperazione diventa tripudio: i flauti riprendono a suonare non per la morte ma per la vita, e le donne invece del pianto intonano canti di gioia

1569, Lucas Cranach,

Miracolo della vedova di Nain

Un gesto “impuro”

• Il gesto di toccare la bara provoca secondo l’Antico Testamento una grande impurità e l’impurità, insegnano i rabbini, è più contagiosa della santità.

… Chi avrà toccato il cadavere di qualsiasi persona, sarà impuro per sette giorni. Quando uno si sarà purificato con quell’acqua il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro. Chiunque

avrà toccato il cadavere di una persona che è morta e non si sarà purificato, avrà contaminato la Dimora del Signore e sarà eliminato da Israele. Siccome l’acqua di

purificazione non è stata spruzzata su di lui, egli è impuro; ha ancora addosso l’impurità. […] Chiunque sulla superficie di un campo avrà toccato un uomo ucciso

di spada o morto di morte naturale o un osso d’uomo o un sepolcro, sarà impuro per sette giorni. Per colui che sarà divenuto impuro si prenderà la cenere della

vittima bruciata per l’espiazione e vi si verserà sopra l’acqua corrente, in un vaso; poi un uomo puro prenderà issopo, lo intingerà nell’acqua e ne aspergerà la tenda, tutti gli arredi e tutte le persone che erano là e colui che ha toccato l’osso o l’ucciso o il morto o il sepolcro. L’uomo puro aspergerà l’impuro il terzo giorno e il settimo

giorno e lo purificherà il settimo giorno; poi colui che è stato impuro si laverà le vesti, farà un bagno con l’acqua e alla sera diventerà puro. Ma colui che, reso

impuro, non si purificherà, sarà eliminato dall’assemblea, perché ha contaminato il santuario del Signore e l’acqua della purificazione non è stata aspersa su di lui: è

impuro. Sarà per loro una legge perenne. Colui che avrà asperso l’acqua di purificazione si laverà le vesti; chi avrà toccato l’acqua di purificazione sarà impuro fino alla sera. Quanto l’impuro avrà toccato, sarà impuro; chi lo avrà

toccato sarà impuro fino alla sera». (Numeri 19,11-14.16-22)

XVII sec., Mario Minniti, La vedova di Nain, Messina, Museo Regionale

Un “puro” dono

• A Nain questa legge viene infranta: la purità di Gesù ha la meglio sull’impurità della morte, anzi per il Signore la morte non ha nulla di immondo. Lavarsi, prendere delle misure igieniche è senz’altro saggio e doveroso. Ma se la morte è una nascita, se segna l’entrata nel mondo di Dio e l’inizio della festa, del banchetto di nozze nella casa del Padre, essa non può essere causa di alcuna forma di impurità

• A volte Gesù cede all’insistenza di chi lo prega e compie un miracolo, altre volte lo compie perché è quasi costretto a farlo dalla grande fede delle persone bisognose, qui agisce in modo completamente gratuito e incondizionato, non presuppone nemmeno la fede. Si comporta così perché la risurrezione è un puro dono suo. La sua parola provoca un capovolgimento della situazione: il giovinetto che era adagiato nella bara, avvolto in bende (simbolo dei legacci della morte), si pone a sedere, la posizione del vincitore. La assumerà , nel giorno di pasqua, l’angelo che farà rotolare via la pietra del sepolcro, vi si porrà a sedere sopra (Mt 28,2). Di fronte alla vittoria di Cristo sulla morte il pianto si tramuta in canto di festa

• Luca inoltre vuole anche richiamare l’attenzione delle sue comunità su chi è rimasto solo. Nella chiesa primitiva c’erano molte vedove che piangevano perché erano state abbandonate e nessuno si prendeva cura di loro (Gc 1,27). Luca dice ai cristiani: è necessario farle smettere di piangere; bisogna restituire i figli che hanno perso. Ogni membro della comunità deve considerarle come madri da amare, rispettare, accudire. Nessuna vedova deve sentirsi senza figli

fine XVIII sec., Pierre Bouillon, La vedova di Nain

Lacrime di gioia

• La madre le cui lacrime di dolore si sono trasformate in lacrime di gioia, stringe il figlio tra le braccia, gli scioglie le bende con mani tremanti, lo accarezza, lo bacia, lo solleva come per strapparlo al suo giaciglio di morte. Poi cerca Gesù e con il figlio si prostra davanti a lui glorificando il suo nome

• È veramente un Dio di bontà e di carità quello che scosso alle viscere, come dice il testo greco, dal dolore di una madre, le rende la sua creatura ridonando un senso alla sua vita

• Sembra in quel momento che la madre risusciti insieme al figlio, generandolo questa volta non con il sangue, ma con lo spirito. Questa vedova ebbe la grazia di essere due volte madre: la prima generandolo col suo sangue, la seconda ottenendo con le lacrime di farlo rivivere a una vita più felice

• Con questo figlio le sono resi un’infinità di beni che sono la pace, l’avvenire, l’amore, il rapporto, la dignità dell’essere, la sua perseveranza e il senso della vita. Con Gesù ancora una volta la vita ha la meglio sulla sofferenza e su quelle discipline che tentano di mettere almeno ordine sul limite degli abissi

• Operando il miracolo di Nain, Gesù ha messo in evidenza il valore del ruolo della donna nei riguardi dei figli: quello di generarli alla vita del corpo, e quello di partorirli una seconda volta alla vita dell’anima. In che modo quella madre ora avrà educato il figlio che riportava a casa vivo dopo averlo pianto per morto? Gesù glielo aveva affidato perché potesse educarlo alla verità e indirizzarlo sulla via della saggezza (vedi Prov 23,15-26)

1927, Harold Copping, Gesù e

la vedova di Nain

Gesù “kyrios”

• Questa è la prima volta che Luca chiama Gesù “Kyrios” (7,13), dando al termine tutto il significato veterotestamentario. Kyrios traduce il tetragramma sacro JHWH, Luca lo usa 103 volte nel Vangelo e 107 negli Atti

• Il termine Kyrios è un elemento significativo: la scena non è più quella del profeta Elia, ma del Kyrios che ne ebbe compassione, non Gesù. Solo Luca per 20 volte usa nel suo Vangelo come soggetto di racconto il Kyrios (in Mt 1 volta e in Mc 1 volta). Si tratta del titolo solenne pasquale dato al Cristo

• Nell’AT questo titolo era riservato a Dio, applicandolo a Gesù Luca lancia un messaggio teologico chiaro ai cristiani delle sue comunità: Gesù non è uno dei tanti profeti che hanno parlato e agito in nome di Dio, egli è il Dio della vita presente in mezzo agli uomini che si trovano in balia della morte

• Il verbo greco splagchnizein (si commosse), indica un sentimento così intenso che gli evangelisti lo riservano per indicare le emozioni di Dio e di Gesù. Il Signore non è estraneo ai dolori dell’uomo, ma nessuno li sperimenta in modo profondo quanto lui. Egli comprende ciò che l’uomo prova quando la morte rompe i legami affettivi, segna un distacco drammatico dalle persone care, provoca solitudine, smarrimento e disperazione

• Questa reazione e questo desiderio sono dettati dall’amore, ma non sono illuminati dalla fede. La vittoria che il Signore ha riportato sulla morte non consiste nel ritardare di qualche anno l’uscita da questo mondo, ma nell’entrare definitivamente nella vita del Padre

1915, William Hole, Il figlio

della vedova di Nain

Gesù ed Elia

• Le analogie fra questo avvenimento e la storia della vedova di Zarepta (1Re 17,8-24) sono notevoli. In entrambi gli episodi il profeta incontra la vedova alle porte della città, il morto è il figlio unico e ciò rende ancora più penosa la condizione della vedova

• Elia si lamenta con Dio per la sorte toccata a colei che lo ospita, in Luca la compassione di Gesù riflette quella di Dio. Le parole del profeta che consegna il figlio risuscitato alla madre sono le stesse e il guaritore è acclamato come uno che agisce e parla a nome di Dio

• Questo è uno dei tanti episodi lucani in cui Gesù assume lo stesso ruolo del profeta Elia: nella proclamazione iniziale della sua missione 4,26 Gesù medesimo cita il miracolo di Elia e della vedova di Zarepta, facendo capire che la sua missione sarebbe stata simile a quella dell’antico profeta

• Come Elia Gesù digiuna 40 giorni nel deserto (Lc 4,2; 1Re 19,8). La moltiplicazione dei pani (Lc 9,10-17) si può paragonare al rinnovarsi miracoloso delle provviste di cibo per opera di Elia (1Re 17,1-16). Per 3 volte Gesù rifiuta l’identificazione con l’antico profeta (Lc 7,27; 9,54)

• Presentando Gesù come un nuovo Elia, ma comunque diverso da lui, Luca indica in lui un profeta che è in linea con quelli del passato e tuttavia inaugura una nuova era di salvezza

1630, Bernardo Strozzi, Elia e la vedova di Zarepta, Kunsthistorisches

Museum, Vienna

La morte non è più l’ultima parola

• La commozione di Gesù nasce dallo sguardo posato su di lei. Vedere è lasciare entrare l’altro dentro di sé, perché l’occhio è l’organo del cuore, e la sua azione è quella più profonda. Vedere è amare e l’occhio si posa solo dove muove il cuore. In questo senso vedere è la caratteristica del Signore che crea, salva e ama l’umanità

• Gesù che vede si commuove, il verbo è il medesimo che usano i profeti quando parlano della misericordia di Dio (Is 49,15; Ger 31,20; Os 11,8). Nel definire la misericordia l’AT usa due espressioni ciascuna con una sfumatura semantica diversa: il termine Hesed che significa tenerezza, bontà, amore che si dona, grazia e fedeltà

• La misericordia di Dio si fonda sull’alleanza con la quale Dio si è impegnato verso Israele in un rapporto di amore e fedeltà. Spesso ricorre il binomio: hesed e emet (fedeltà). L’osservanza delle dieci parole richiesta dall’alleanza di Dio è la condizione perché Dio si manifesti come misericordia al suo popolo (Dt 5,6-10). Questo termine quindi pone in evidenza i caratteri della fedeltà verso se stesso e del proprio amore, e in un certo senso sono caratteri maschili

• Il secondo vocabolo è Rachamim, già presente nella radice Rechem=utero, che esprime l’amore della madre

• Un altro termine rilevante nell’episodio è eghertheti: risorgi. Egheiro è il verbo caratteristico della risurrezione pasquale, la traduzione: alzati, è povera, perché nel greco si rimanda al risorgere. Quindi l’idea che si ha ormai chiara in Luca è che nell’interno della storia dell’uomo la morte non è più l’ultima parola, perché c’è una voce che può proclamare la risurrezione e dare una nuova vita

Corinne Peters, La vedova di Nain

Perché piangi?

… Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e

andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano

insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon

Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai

morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi,

dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del

giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!»

– che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto

il Signore!» e ciò che le aveva detto … (Gv 20,1-18)

1511, Tiziano, Noli me tangere, Londra,National Gallery