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anonimato = licenza di abuso Copwatching controllare i controllori DOSSIER a cura del Partito dei Carc PROCESSO CACCIA ALLO SBIRRO Per soffocare la protesta e la ribellione delle masse popolari italiane e immigrate le Autorità della classe dominante moltiplicano i soprusi, le violenze e le provocazioni degli “agenti pronti a tutto” che Kossiga indicava come strumento della “ricetta democratica”. Il processo che si tiene a Bologna a partire dal 31 gennaio 2012 contro tre membri del P.CARC e del SLL e un altro compagno, accu- sati di aver collaborato a rendere noti volti di agenti di polizia sul sito “Caccia allo sbirro” realizzato dal (n)PCI, è il tentativo di punire e scoraggiare ogni iniziativa di “vigilanza democratica” sull’operato delle forze dell’or- dine: dalla trasmissione via internet (cop- watching) di foto e filmati di agenti respon- sabili di abusi all’introduzione del codice identificativo per gli agenti in servizio. ESTENDERE IL CONTROLLO E LA VIGILANZA DEMOCRATICA Smascherare e denunciare gli agenti picchia- tori, provocatori e i loro mandanti, rendere noti i loro volti e nomi. Anonimato vuol dire licenza di picchiare, tor- turare, minacciare e orchestrare provocazio- ni, garanzia di impunità e magari anche di carriera. Per il codice identificativo degli agenti in ser- vizio di ordine pubblico e l’introduzione del reato di tortura nel nostro paese! Dieci, cento, mille siti contro gli abusi di poli- zia! La magistratura italiana pone sotto indagine un sito web di intimidazione della polizia Di Philip Willan Lunedì 4 maggio, 2009 - IDG News Service L’esistenza del sito, chiamato “Caccia allo sbirro”, è venuta fuori per la prima volta in marzo, a seguito di proteste di un’organizzazione sinda- cale che rappresenta ufficiali di polizia. Il sito pubblica foto di ufficia- li di polizia in borghese e in uniforme e invita i visitatori a dare una mani identificandoli per nome, grado, unità e area operativa. “La forza della polizia politica si basa sul fatto che i suoi agenti, gli infiltrati, le spie e i collaboratori sono sconosciuti alle masse popolari. Farli cono- scere è un modo pratico di rendere il loro sporco lavoro se non impos- sibile almeno difficile” dice il sito. Prima che le autorità giudiziarie fossero pronte ad agire il sito è stato messo fuori uso da hackers che si sono identificati come NETGODS H@cker Crew, che si dichiaravano essere “dalla parte della gente onesta e della polizia”. I visitatori del sito si sono trovati ridirezionati su MyBookFace, un sito assolutamen- te meno allarmante identificato come “un’alternativa di rete amichevo- le e sociale rispetto a MySpace e Face Book”. L’8 aprile la polizia ha perquisito le case di quattro persone sospettate di contribuire al sito “Caccia allo sbirro” e hanno sequestrato fotogra- fie e attrezzature per computer da recapiti di Milano e Napoli. I sospet- ti sono reputati appartenenti a due organizzazioni di estrema sinistra, l’Associazione Solidarietà Proletaria (ASP) e i Comitati d’Appoggio alla Resistenza Comunista [sic] (CARC), e di essere in contatto con un’altra organizzazione di estrema sinistra basata a Parigi, conosciuta come il Nuovo Partito Comunista. “Stiamo indagando su una serie di persone per violazione di legge sulla privacy, istigazione a delinquere e diffamazione” ha detto Morena Plazzi, il pubblico ministero di Bologna che coordina l’inchiesta. Istigazione a delinquere, la più grave delle accuse, comporta una sentenza massima di cinque anni di carcere, ha detto la Plazzi in un’intervista telefonica. “Siamo nella fase iniziale dell’indagine. La corte di Bologna si riunisce oggi per considerare la legittimità delle nostre perquisizione nelle pro- prietà occupate dai quattro sospetti. Ci si aspetta una decisione in pochi giorni” ha detto la Plazzi. Il pubblico ministero ha detto che i sospetti hanno usato server in Francia e negli USA per postare il loro materiale e hanno usato il pro- gramma TOR del Tor Project per rendere anonime le loro attività. “Stiamo portando avanti rogatorie internazionali (richiesta di assisten- za giudiziaria internazionale) per identificare chi è responsabile per la posta di materiale on line - ha detto la Plazzi. Se usano codificazione

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anonimato = licenza di abuso

Copwatchingcontrollare i controllori

DOSSIER a cura del Partito dei Carc

PROCESSO CACCIA ALLO SBIRRO

Per soffocare la protesta e la ribellione dellemasse popolari italiane e immigrate leAutorità della classe dominante moltiplicanoi soprusi, le violenze e le provocazioni degli“agenti pronti a tutto” che Kossiga indicavacome strumento della “ricetta democratica”.Il processo che si tiene a Bologna a partiredal 31 gennaio 2012 contro tre membri delP.CARC e del SLL e un altro compagno, accu-sati di aver collaborato a rendere noti volti diagenti di polizia sul sito “Caccia allo sbirro”realizzato dal (n)PCI, è il tentativo di puniree scoraggiare ogni iniziativa di “vigilanzademocratica” sull’operato delle forze dell’or-dine: dalla trasmissione via internet (cop-watching) di foto e filmati di agenti respon-sabili di abusi all’introduzione del codiceidentificativo per gli agenti in servizio.

ESTENDERE IL CONTROLLO E LA VIGILANZA DEMOCRATICA

Smascherare e denunciare gli agenti picchia-tori, provocatori e i loro mandanti, renderenoti i loro volti e nomi.

Anonimato vuol dire licenza di picchiare, tor-turare, minacciare e orchestrare provocazio-ni, garanzia di impunità e magari anche dicarriera.

Per il codice identificativo degli agenti in ser-vizio di ordine pubblico e l’introduzione delreato di tortura nel nostro paese!

Dieci, cento, mille siti contro gli abusi di poli-zia!

La magistratura italiana pone sotto indagine un sito web

di intimidazione della poliziaDi Philip Willan Lunedì 4 maggio, 2009 - IDG News Service

L’esistenza del sito, chiamato “Caccia allo sbirro”, è venuta fuori per laprima volta in marzo, a seguito di proteste di un’organizzazione sinda-cale che rappresenta ufficiali di polizia. Il sito pubblica foto di ufficia-li di polizia in borghese e in uniforme e invita i visitatori a dare unamani identificandoli per nome, grado, unità e area operativa. “La forzadella polizia politica si basa sul fatto che i suoi agenti, gli infiltrati, lespie e i collaboratori sono sconosciuti alle masse popolari. Farli cono-scere è un modo pratico di rendere il loro sporco lavoro se non impos-sibile almeno difficile” dice il sito. Prima che le autorità giudiziariefossero pronte ad agire il sito è stato messo fuori uso da hackers che sisono identificati come NETGODS H@cker Crew, che si dichiaravanoessere “dalla parte della gente onesta e della polizia”. I visitatori delsito si sono trovati ridirezionati su MyBookFace, un sito assolutamen-te meno allarmante identificato come “un’alternativa di rete amichevo-le e sociale rispetto a MySpace e Face Book”. L’8 aprile la polizia ha perquisito le case di quattro persone sospettatedi contribuire al sito “Caccia allo sbirro” e hanno sequestrato fotogra-fie e attrezzature per computer da recapiti di Milano e Napoli. I sospet-ti sono reputati appartenenti a due organizzazioni di estrema sinistra,l’Associazione Solidarietà Proletaria (ASP) e i Comitati d’Appoggioalla Resistenza Comunista [sic] (CARC), e di essere in contatto conun’altra organizzazione di estrema sinistra basata a Parigi, conosciutacome il Nuovo Partito Comunista. “Stiamo indagando su una serie dipersone per violazione di legge sulla privacy, istigazione a delinquere ediffamazione” ha detto Morena Plazzi, il pubblico ministero di Bolognache coordina l’inchiesta. Istigazione a delinquere, la più grave delleaccuse, comporta una sentenza massima di cinque anni di carcere, hadetto la Plazzi in un’intervista telefonica. “Siamo nella fase iniziale dell’indagine. La corte di Bologna si riunisceoggi per considerare la legittimità delle nostre perquisizione nelle pro-prietà occupate dai quattro sospetti. Ci si aspetta una decisione in pochigiorni” ha detto la Plazzi. Il pubblico ministero ha detto che i sospetti hanno usato server inFrancia e negli USA per postare il loro materiale e hanno usato il pro-gramma TOR del Tor Project per rendere anonime le loro attività. “Stiamo portando avanti rogatorie internazionali (richiesta di assisten-za giudiziaria internazionale) per identificare chi è responsabile per laposta di materiale on line - ha detto la Plazzi. Se usano codificazione

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può darsi che non siamo in grado di identificare chi èresponsabile delle spedizioni postali”. La Plazzi, che è specializzata in indagini antiterrorismo,ha detto che è paradossale che gli hackers si siamo dimo-strati più capaci delle autorità giudiziarie nel metterefuori uso il sito offensivo. Sebbene i CARC e il Nuovo Partito Comunista abbianofatto campagne per i prigionieri politici, inclusi quelli deiterroristi delle Brigate Rosse, non c’è prova che siano essistessi implicati nella violenza, ha detto Plazzi. “Il CARCnon si può definire un gruppo terrorista. Amano apparirenei media, ma è più un fatto di retorica che di azione - hadetto. L’anno scorso la Plazzi era responsabile di un’in-chiesta simile in una pagina Web postata su IndymediaItalia che identificava gli ufficiali di polizia che serviva-no l’area di Bologna. In quell’occasione lasciò perdere iltentativo di rimuovere la pagina, dato che era impossibilefarlo senza mettere fuori uso buona parte del sito webIndymedia Italia, e gli attacchi verbali erano più modera-ti di quelli di “Caccia allo sbirro”. “Abbiamo lasciato per-dere perchè le conseguenze sarebbero state sproporziona-te rispetto alla limitata gravità del caso. Un sito web anar-chico nella vicina città di Ferrara pure identifica poten-ziali obiettivi d’attacco tra la polizia, così come dirigentid’affari e politici, e ha portato all’apertura di un’indagineseparata all’inizio di questo mese. Una iniziativa menoostile, ratemycop.com, è stata posta fuori uso dal provideramricano GoDaddy dopo che la polizia aveva espressopreoccupazioni per la sicurezza. Plazzi sa che la gente cheha vere intenzioni violente probabilmente non posta leproprie informazioni su obiettivi potenziali in un blogaperto, ma dice che il sito “Caccia allo sbirro” ha comun-que provocato preoccupazioni tra la gente che lavora persostenere la legge. E’ un’iniziativa che preoccupa, conattacchi verbali profondamente insultanti. Non è nè giustanè corretta - ha detto. Lunedì il sito è tornato a un nuovorecapito, invitando i visitatori “a denunciare gli schiavidel regime” e “attaccando quelli che sono responsabili delmassacro delle masse popolari in Iraq, Afghanistan,Libano e Palestina, i torturatori di Guantanamo e AbuGhraib, e i picchiatori dei lavoratori”.

Nel gennaio 2011 Ornella De Zordo (consiglieracomunale della lista “Per un’altra città”), di fronteall’attacco portatole dal consigliere PdL Cellai peraver firmato l’appello “Estendere e rafforzare lavigilanza democratica ”, rispose:“Rifirmerei l'appello, perfettamente in linea conogni democrazia evoluta”.“La responsabilità penale è personale, per questoin ogni democrazia matura è necessario poter indi-viduare chi compie azioni violente al di fuori dellalegge, anche se appartenente alle forze dell'ordine.Firmare un appello in tal senso sul sito vigilanzademocratica non è che indice di civiltà anche per-ché segnare «i caschi dei poliziotti con elementiidentificativi in ordine alla qualifica dell'operatorenonché, attraverso un apposito codice alfanumeri-co, alla identità dello stesso agente [...] perché,l'anonimato, causato dal necessario impiego ditale strumento di protezione - evidente ostacoloall'identificazione del soggetto - debba nei limitedel possibile, essere evitato in modo da assicurare,in termini apprezzabili sotto molteplici profili, unamaggiore “trasparenza”» è un concetto pienamen-te il linea con le Costituzioni evolute.Non a caso, a dirlo nel virgolettato, è PippoMicalizio, superispettore della Polizia di Stato,nella sua relazione all'allora capo della PoliziaGianni De Gennaro sui fatti del G8 di Genova. Queste indicazioni, provenienti da un “servitoredello Stato” come Micalizio, fanno riflettere sul-l'uso strumentale e politico compiuto da esponen-ti del Pdl locale sulla mia firma in calce ad undocumento avanzato nel campo della democrazia efirmato tra gli altri da costituzionalisti, esperti didiritto, studiosi dei fenomeni di ordine pubblico eda persone singole che in questi anni dominati dalberlusconismo hanno potuto constatare con manouna regressione delle politiche governative nel set-tore dell'ordine pubblico”.

APPELLO A SOSTENERE CHI E’ INQUISITO PERCHE’ DIFENDE LE

LIBERTA’ DEMOCRATICHE

ESTENDERE E RAFFORZARE LA VIGILANZA DEMOCRATICA

REALIZZARE LA COSTITUZIONE

SMASCHERARE E DENUCIARE I PICCHIATORI, I PROVOCATORI

E I LORO MANDANTI, RENDERE NOTI I LORO VOLTI E NOMI

SBARRARE LA STRADA ALLA DERIVA REAZIONARIA

INVIA LA TUA ADESIONE [email protected]

http://cacciaallosbirro.awardspace.info/

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Boomerang24.10.2011

Il sito francese Copwatch ha "schedato" centinaia diagenti delle forze dell'ordine sospettati di comportamen-to incivile.

A fronte degli atti, delle violazioni, degli abusi e dei reaticompiuti dalle forze dell'ordine non è la prima volta chesemplici cittadini si organizzano per denunciare i com-portamenti violenti dei tutori dell'ordine pubblico. Il sitofrancese che “osserva i poliziotti” fornisce un databaseche include 450 agenti del Nord e della regione metropo-litana di Parigi, Île-de-France. Video, foto e per alcunianche i dialoghi registrati, frasi rivolte in pubblico allepersone interpellate oppure ai colleghi, tipo “non soppor-to le minoranze etniche” oppure “non farti problemi adare una lezione in cella”, e altro. Il gruppo che ha fon-dato il sito rifiuta di essere considerato anti-polizia, ritie-ne il sito uno strumento di tutela e un'impresa “citoyen-ne”: fornire testimonianze che riguardano il comporta-mento scorretto, ingiurioso e aggressivo degli agenti dipolizia o dei gendarmi come forma di prevenzione. Un mezzo che ostacola possibili derive autoritarie exenofobe e contrasta la violenza che usualmenteaccompagna insulti e minacce quando si casca nelle loromani o sotto i loro colpi.La pratica “copwatch” è partita dagli Stati Uniti nel 1991con Rodney King, il cittadino afroamericano massacratodi botte da quattro poliziotti (bianchi) che si vede nellatestimonianza video di un passante. In seguito, in moltecittà americane, sono nate delle “brigate video” per sor-vegliare i quartieri e vigilare con scopo dissuasivo e unadichiarata volontà di colpire l'impunità degli agenti dipolizia. In realtà è difficile affermare che il gigantesco repertorio(oltre 212.000 poliziotti) sia un mezzo efficace per impe-dire la violenza dei poliziotti americani, certo è che lacosa inquieta molto il primo poliziotto di Francia, ilministro dell'Interno Claude Guéant, per il quale il sitoCopwatch è “scandaloso e insopportabile”.Di conseguenza, il 7 ottobre si è rivolto alla Giustizia perimporre il divieto di accesso, tramite gli operatori inter-net, ai contenuti in rete. La scorsa settimana il verdetto del Tribunale di Parigi haordinato l'oscuramento totale del sito.Una sorte identica a quella toccata in questi giorni ad unaltro sito (lagueuledelemploi.net) lanciato dopo la diffu-sione televisiva su France2 di un documentario d'inchie-sta sugli agghiaccianti metodi di assunzione. Il motivodella decisione è stato che il sito forniva gli indirizzi deireclutatori messi in causa nel film. Nel caso di Copwatchla decisione si rivela controproducente, infatti il sito chedenuncia gli abusi delle forze dell'ordine ha scatenatoun'ondata di solidarità ed è stato “clonato” in altre deci-ne di siti.Fonte: www.globalproject.info/it/tags/francia/geo

“Il caso Copwatch dimostra che il bloccodei siti, anche se promosso in nome di scopilegittimi come la lotta alla pedofilia e algioco d'azzardo, è in pratica uno strumen-to di censura politica di Internet”.

Jérémie Zimmermann portavoce dell'organizzazione per i dirittionline La Quadrature du Net.

Francia: rapporto Human Rights Watch denuncia abusi della polizia

26 Gennaio 2012

(ASCA-AFP) - Parigi, 26 gen - Un rapporto diHuman Rights Watch (Hrw), una delle più impor-tanti organizzazioni che si occupano della difesadei diritti umani, mette sotto accusa la polizia fran-cese. Il resoconto parla di controlli arbitrari e diabusi corporali ai danni degli inquisiti, in molticasi dovuti a discriminazione razziale. “E' scioccan-te che ragazzi neri o arabi vengano arbitrariamen-te spinti contro un muro e malmenati dalla poliziasenza aver commesso alcun illecito”, ha dichiaratoJudith Sunderland, ricercatrice di Hrw perl'Europa occidentale. “Ma ciò è la norma per chivive in certi sobborghi francesi”', ha aggiunto.L'organizzazione denuncia un uso sistematicodella forza da parte dei poliziotti: schiaffi, calci,ricorso ad armi elettroshock. Mentre spesso larichiesta dell'accusato sul motivo della perquisizio-ne viene interpretata come “insulto a pubblico uffi-ciale”. Il rapporto di Hrw si è avvalso delle testimo-nianze di diverse vittime di soprusi, come quella diun ragazzo di Lille definito più volte “sporcoarabo”'. “Questo linguaggio neanche ci colpiscepiù. E' la norma”', ha dichiarato il giovane.Un portavoce delle forze dell'ordine ha liquidato ilrapporto dell'organizzazione come una descrizione“caricaturale” del corpo di polizia.

http://mirror.chezmanu.eu/copwatchnord-idf.org/

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Dichiarazione congiunta degli imputati nel processo

“caccia allo sbirro”

Bologna, 08.06.2011Con questa dichiarazione noi imputati intendiamo espor-re la nostra posizione in merito al procedimento orche-strato dal PM Morena Plazzi nell’aprile 2009 e per ilquale il GUP Gamberini, il 22 dicembre 2010, dopomezz’ora scarsa di dibattimento ha sentenziato il rinvio aprocesso. Nel procedimento orchestrato dal PM Morena Plazzi ireati ipotizzati non trovano alcun riscontro e negli Attinon esistono elementi concreti di prova contro di noi. E’ un procedimento giuridicamente inconsistente e l’ana-lisi dello stesso, se ci si atterrà agli elementi presenti neldossier, non potrà che portare alla nostra piena assoluzio-ne. Innanzitutto l’accusa di “istigazione a delinquere” èinconsistente: il comunicato del (n)PCI, riportato in mol-teplici copie negli Atti, non contiene infatti elementi persostenere questo capo di imputazione. Inoltre, dato nonsecondario, non esiste prova alcuna che dimostri né chesiamo stati noi a creare il sito, né che siamo stati noi ainserirvi le foto!Il procedimento orchestrato dal PM Morena Plazzi è unprocedimento prettamente politico, d’attacco alle libertàdemocratiche di informazione e di conoscenza sull’ope-rato delle Forze dell’Ordine e sul rispetto delle leggi e deidiritti fondamentali delle persone. E’ un procedimento che viola i diritti politici conquistaticon la Resistenza Partigiana e che mira a intimidire edare una lezione esemplare a quanti, come noi, sostengo-no che sia giusto sviluppare un’azione di informazione edi controllo sull’operato delle Forze dell’Ordine e su chile dirige, al fine di ostacolare possibili manovre eversivedell’ordine democratico, abusi, torture e veri e propriomicidi di Stato (vedi casi Cucchi e Aldrovandi solo percitarne alcuni). Manovre eversive e insabbiamenti che vengono denun-ciati da una parte della stessa magistratura: come adesempio nel caso dei PM Enrico Zucca e PatriziaPetruzziello che indagarono sul G8 di Genova e sui fattidi Bolzaneto (vedi articolo di Gianluca Di Feo pubblica-to da L’Espresso il 18 maggio 2011 “G8, la polizia tentòdi insabbiare”), mentre si va palesando anche all’internodi quei settori delle forze dell’ordine che non si prestanoai lavori sporchi loro commissionati, una sempre mag-giore amarezza e contrarietà verso “promozioni” che nonpossono non minare la fiducia dei cittadini nei confrontidi chi sarebbe tenuto a tutelarli (vedi dichiarazione diRoberto Traverso Segretario Generale Provinciale Silp-Cgil Genova a proposito della recentissima nomina a 1°Dirigente Superiore (Questore) di Spartaco Mortola con-dannato a 3 anni e 8 mesi in appello per le violenze allascuola Diaz e a 1 anno e 2 mesi per induzione alla falsatestimonianza).

Organizzazioni autorevolmente riconosciute a livellointernazionale come Amnesty International disegnanouno scenario allarmante per lo stato della difesa dei dirit-ti civili e della giustizia nel nostro Paese, segnalandol’aumento delle denunce di maltrattamenti e gravi abusida parte di agenti delle forze di polizia o di sicurezza edesprimendo grave preoccupazione circa la mancanza diindipendenza e imparzialità nelle indagini che spessohanno portato all’impunità dei perpetratori di tali reati. Impunità favorita anche dall’assenza nel nostro codicepenale del “reato di tortura” e dalla mancanza assoluta disegni identificativi sulle divise dei poliziotti che allunga-no notevolmente i tempi del riconoscimento a favoredella prescrizione dei gravi crimini da questi commessi.Per andare poi nel particolare dell’area politica di appar-tenenza di D’Arcangeli, Romano e Cinque ci sono statitentativi di infiltrazione ad opera della DIGOS diModena e di Napoli attraverso l’utilizzo degli spioniCancello e Foglia, atti in questo caso, come in quello dimoltissime altrerealtà di lotta (com-presa l’area ecologi-sta) a screditare e asabotare l’organiz-zazione di quantiintendono affermareil sacrosanto dirittoa lavorare per costruire un sistema economico e socialealternativo o diverso che ponga al centro la tutela dellavoro, della persona e dell’habitat naturale.In questo contesto, pur sottolineando di non esser noi gliautori del sito “Caccia allo sbirro”, ribadiamo l’assolutalegittimità a denunciare pubblicamente attraverso filma-ti, foto e comunicati i mandanti e gli esecutori di gravicrimini interni agli apparati dello Stato. Esercitare un’azione di informazione e controllo sul-l’operato delle Forze dell’Ordine non solo non costitui-sce reato, ma costituisce l’applicazione pratica di queidiritti e principi sanciti dalla Costituzione italiana. E,cosa più importante, rappresenta un modo per contribui-re positivamente a salvaguardare il nostro paese dallepulsioni eversive e autoritarie di una parte della classedirigente e della polizia politica. Numerosi sono gli intellettuali, gli esponenti politici, gliartisti, i professori universitari, i componenti dell’asso-ciazionismo e persino i poliziotti o ex poliziotti (vediPaolo Francesco Oreste e Gioacchino Genchi) che sisono schierati a favore di quella che noi definiamo “vigi-lanza democratica” contro questo tentativo di criminaliz-zazione e intossicazione (depositiamo la petizione pro-mossa in merito che in poco tempo ha raccolto oltre 2000firme). In un momento in cui il nostro paese sta vivendouna fase estremamente delicata e quel che resta dei dirit-ti democratici è sottoposto ad un duro attacco, inquisire ecriminalizzare coloro che sostengono la giustezza diinformare e controllare l’operato della Forze dell’Ordinevuol dire cercare di spianare la strada a quella componen-te della classe politica che vuol instaurare un regime

Il PM Morena Plazzi

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autoritario nel nostro paese.Il concetto espresso nell’udienza preliminare il 22 dicem-bre 2010 dall’avv. dello Stato Mario Zito in rappresentan-za dei Ministeri dell'Interno e della Difesa, costituitisi inparte civile in questo procedimento, “il monopolio dellaforza è dello Stato, chi scheda e fa banche dati degliagenti di polizia ostacola questo monopolio e quindi varepresso” non ha ragione d’essere se non si intende loStato come regime. Questo è la reale questione in ballo in questo processo.Lei signor giudice è chiamato a pronunciarsi su un nodooggi centrale: schierarsi a difesa della Costituzione edella democrazia o contro di essa a favore di chi vuolfarne carta straccia e instaurare un regime autoritario efascista.Concludiamo questa dichiarazione denunciando l’usostrumentale del termine “terrorismo” che è stato fatto findall’inizio di questo procedimento, per adottare misureproprie di procedimenti per “associazione sovversiva” e“banda armata”: dalla campagna mediatica messa incampo fin dall’inizio, all’ingente ed eccessivo schiera-mento di forze impiegato nelle perquisizioni del 2009, lapresenza di agenti incappucciati, le modalità con cui sonoavvenute le perquisizioni stesse che avevano il chiaroobiettivo di intimidire familiari e coniugi. Denunciamo inoltre il tentativo di intimidazione fatto aFabrizio Di Mauro, il quale, a qualche giorno dalle per-quisizioni, ha trovato nella propria casella postale unvolantino di matrice fascista contenente delle minacce, incui si faceva esplicito riferimento al sito caccia allo sbir-ro. Questo volantino lo abbiamo depositato agli atti loscorso anno e lo depositiamo nuovamente. Chi ha datol’indirizzo del compagno a questo gruppo fascista? Si trattava veramente di un gruppo fascista o era un’azio-ne di intimidazione messa in campo da delle componentidelle forze dell’ordine?Denunciamo infine il danno economico e politico fattodal PM Plazzi agli imputati con la mancata restituzionead oggi della maggior parte del materiale sequestratodurante le perquisizioni. Non esiste altra motivazione, senon quella di creare problemi economici e politici ai sot-toscritti, che giustifichi la decisione di mantenere in statodi sequestro, per oltre due anni e a processo ormai avvia-to, la quasi totalità della strumentazione informatica efotografica requisita nell’aprile 2009. Quando ci saràfinalmente restituito questo materiale? Fino a quandodurerà questo tentativo anticostituzionale di arrecarcidanni economici e politici? Chiediamo alla Corte di pren-dere posizione in merito e ordinare la restituzione delleapparecchiature ancora sotto sequestro.Alla luce di tutto ciò chiediamo la nostra completa asso-luzione e il risarcimento sia dei danni materiali che mora-li arrecateci con il sequestro del materiale informatico efotografico, con la montatura mediatica posta in essere apartire dall’aprile 2009 e con le perquisizioni delle nostreabitazioni.

Gli imputati

USA, giudicare un poliziotto non è reato

lunedì 10 maggio 2010

Aveva postato online alcune informazioni personalirelative a un agente poco cortese. Condannato, si eraappellato al Primo Emendamento. E l'ha spuntataSono passati poco più di due anni da quando il sito sta-tunitense RateMyCop scatenava il caos nei vari distrettidi polizia a stelle e strisce. Centinaia di migliaia di agen-ti, messi in fila online da comuni cittadini, in attesa dicapire se il loro (reale) operato sia stato impeccabile oparticolarmente sgradevole.Un database al centro della bufera, in bilico tra legittimatrasparenza e violazione del diritto alla riservatezza. Perciascuno dei poliziotti inseriti viene in genere inseritonome, cognome, luogo di competenza e numero di tes-serino. Ma - rassicurava lo stesso RateMyCop - noninformazioni personali come indirizzo e numero di tele-fono. Dati che, una volta rivelati online, avrebberoanche potuto mettere a repentaglio la sicurezza degliagenti meno graditi.Ma era successo qualcosa, pochi mesi dopo il lancio uffi-ciale di RateMyCop. Un utente anonimo aveva postatoonline l'indirizzo e il numero di telefono di un agenteparticolarmente scortese. Una rivelazione proibita dallalegge dello stato della Florida, da cui lo stesso utenteaveva fatto postato la sua comunicazione online. Da punire, chiunque riveli informazioni riservate su unqualsivoglia pubblico ufficiale.L'utente - successivamente identificato con il nome diRobert Brayshaw - era stato quindi arrestato. Tempodopo, il caso era però caduto, a causa di non meglio pre-cisati motivi legati alle procedure legali. Ma Brayshaw aveva deciso di non mollare, cercando diottenere giustizia con una causa nei confronti delleautorità della Florida.A detta dell'uomo, erano infatti stati calpestati i suoidiritti relativi al Primo Emendamento dellaCostituzione statunitense. Una visione abbracciata direcente da una corte federale della Florida, che ha sotto-lineato come le informazioni pubblicate dall'uomo deb-bano ricadere sotto il diritto alla libera espressione.Pubblicare un indirizzo non costituirebbe in sé un attoillecito, una seria minaccia o un pesante insulto. Solo inquesti casi non può infatti essere invocata la liberaespressione a mezzo online.

http://www.ratemycop.com/

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Sono passati dieci anni da quando a Genova fu praticatala tortura. I giudici hanno potuto solo evocarla ma nonporla a fondamento delle loro sentenze di condanna. Il motivo è banale: la tortura non è un crimine per lalegge italiana. Molti dei torturatori della Diaz e di Bolzaneto non solonon sono stati rimossi dai loro incarichi ma sono statiaddirittura promossi.D’altronde la tortura non è proibita. Da quei giorni diluglio 2001 a oggi sono accaduti molti fatti. Abbiamopotuto purtroppo constatare come le pratiche di poliziasconfinino nella tortura. Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi sono stati pestatisino alla morte. Paradigmatica, nella sua drammaticità, èla vicenda del giovane Carlo Saturno, umiliato, vessato,malmenato nel carcere minorile di Lecce, suicidatosi poinel carcere per adulti di Bari. Il processo leccese per leviolenze da lui subite, processo nel quale aveva avuto ilcoraggio di costituirsi parte civile, si è prescritto. Se la tortura fosse stato reato il processo avrebbe potutoproseguire, essendo un crimine contro l’umanità non pre-scrittibile. I reati che vengono contestati ai torturatorihanno invece tempi di prescrizione molto brevi. Nei giorni scorsi è finito male un altro processo, quello acarico dell’italo-cileno Omar Venturelli. Le torture chegli inflissero i fascisti di Pinochet sono state dimostratenelle aule di giustizia, ma i giudici non hanno potuto con-testarle ai criminali essendo il delitto non previsto nelcodice penale italiano. Gli altri reati opponibili – percos-se, abusi vari, lesioni – hanno pene limitate e tempi rapi-di di prescrizione. Eppure, come ricorda Luigi Ferrajolila tortura è l’unico reato che per espresso obbligo costi-tuzionale dovrebbe essere codificato. Infatti solo una volta si parla di punizione, all’art.13, pro-prio per quei funzionari dello Stato che maltrattano per-sone in loro custodia.Il rapporto tra il custodito e il custode è il rapporto impa-ri del singolo con lo Stato. Un rapporto che richiede tute-le, garanzie, protezioni. Un rapporto che pone limiti al

potere dello Stato.Dopo Genova ilParlamento italianoha trattato varievolte il tema dellatortura. Nella terradi Cesare Beccariae Umberto Verri, èaccaduto che laleghista CarolinaLussana, l’annodopo i fatti diGenova, mentre si

La vergogna di

non punire la tortura

discuteva del disegno di legge sulla tortura, fece appro-vare un emendamento tragico e ridicolo in base al qualeper essere puniti bisognava torturare almeno due volte.Negli anni di governo del centrosinistra la proposta dilegge non ha mai fatto significativi passi in avanti. Nel2008, tornato Berlusconi al governo, la proposta fu boc-ciata al Senato con cinque voti contrari. Poi il governo hasolennemente dichiarato alle Nazioni Unite, per voce delsottosegretario Vincenzo Scotti, che non vi è utilità giuri-dica del crimine di tortura nel nostro ordinamento.Qualche settimana fa, su iniziativa della radicale RitaBernardini, è stato approvato alla Camera un ordine delgiorno che ne prevede l’introduzione nel codice penale.Nulla da allora è accaduto. La definizione di tortura noncambia da Paese a Paese. È unica e universale ed è quel-la presente nella Convenzione Onu del 1984. Per essercitortura è necessario che vi sia inflizione di sofferenze psi-cologiche o fisiche da parte di un pubblico ufficiale conl’intenzione di umiliare o estorcere informazioni.Genova 2001 è un esempio scolastico di tortura. A diecianni da un episodio criminale di quella portata rinnovia-mo l’appello al Parlamento affinché produca uno scattodi civiltà. Esistono già proposte pendenti dirette a codifi-care la tortura. Le si discuta. Si costringano gli avvocati-deputati del premier a direche la tortura non deve essere un reato. Si ricordino, però,che il loro datore di lavoro nel lontano 1994, per difen-dersi da Mani Pulite, ne chiese formalmente l’introduzio-ne nel nostro ordinamento.

Patrizio Gonnella (presidente di Antigone)Fonte: Il manifesto del 19-07-2011

Sentenza vergognosa: De Gennaro e Mortola assolti

per il G8 di Genova 22 novembre 2011

La Cassazione ha assolto “perchè i fatti non sussistono”l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l'ex capodella Digos di Genova Spartaco Mortola. L'accusa era diistigazione alla falsa testimonianza in uno dei filoni pro-cessuali del G8 di Genova (per le “false molotov” dell'as-salto alla scuola Diaz).La VI sezione penale della Corte, presieduta da AdolfoDi Virginio, ha annullato senza rinvio la sentenza dellaCorte d’Appello di Genova del 17 giugno 2010 che avevacondannato De Gennaro a un anno e quattro mesi direclusione e Mortola a un anno e due mesi. I due eranostati invece assolti in primo grado. L’accusa era quelladi aver istigato l’ex questore di Genova, FrancescoColucci, a ritrattare la sua testimonianza al processosulla sanguinosa irruzione della polizia alla scuola Diaz-Pertini, avvenuta la sera del 21 luglio 2001. Colucci staaffrontando un processo separato, con rito ordinario,per questa stessa vicenda.Per l’avvocato di parte civile Laura Tartarini, la richie-sta di assoluzione è “abbastanza surreale”.

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Evidentemente non sono stati letti gli atti del procedi-mento. Se li avessero letti e avessero visto anche le inter-cettazioni, non sarebbero arrivato a una richiesta delgenere”. E il collega Emanuele Tambuscio ha aggiunto:“E’ inopportuno che si arrivi a un processo inCassazione con funzionari di così alto grado ancora incarica. Avrebbero dovuto essere sospesi”.Da registrare anche l’intervento di Enrico Zucca, procu-ratore generale della corte d’appello di Genova, già tito-lare dell’inchiesta Diaz e del filone sulla falsa testimo-nianza, che ha criticato la requisitoria di Iacoviello: “Ilprocuratore generale della Cassazione è andato oltre lesentenze di primo e secondo grado. Sul tema della rile-vanza della falsa testimonianza di De Gennaro, i giudicidi Genova erano stati concordi in entrambi i gradi digiudizio. Evidentemente il pg ha scoperto cose che glialtri giudici non avevano visto”. (...)

LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI?

L'epilogo del processo De Gennaro-Mortola non puòrincuorare nessuno: da questa vicenda esce sconfitta lacomplessiva credibilità delle istituzioni. Solo in Italiapuò accadere che funzionari di alto rango imputati econdannati in appello - in questo come negli altri pro-cessi scaturiti dal G8 di Genova - non rinuncino ai loroincarichi, come avviene nelle normali democrazie, atutela dei corpi di appartenenza e della serenità di giu-dizio dei magistrati. Ma l'Italia è un paese speciale dovel'etica pubblica ha poco corso e nessuno sente il doveredi rendere conto di qualcosa di fronte ai cittadini, tant'èche nessuno ha mai chiesto scusa per gli abusi, i falsi, leviolenze - accertati storicamente - alla Diaz, a Bolzaneto,nelle strade di Genova.Sulla vicenda specifica, forse un giorno capiremo, maga-ri grazie al processo principale, perché l'ex questoreColucci in tribunale cambiò versione sulla presenza allaDiaz del dottor Sgalla rispetto alle precedenti testimo-nianze. Intanto i fascicoli del processo d'appello per ifalsi e le violenze alla scuola Diaz (25 funzionari e diri-genti condannati in appello) sono fermi da un annomezzo in attesa di arrivare in Cassazione e le parti civiliper Bolzaneto non hanno ancora ricevuto alcun inden-nizzo nonostante quanto stabilito nelle sentenze diprimo e secondo grado.E' difficile, oggi in Italia, avere ancora fiducia nelle isti-tuzioni.

Enrica Bartesaghi e Lorenzo Guadagnucci - Comitatoverità e giustizia per Genova

Da registrare che questa sentenza di assoluzione avvie-ne subito dopo la nomina dell'avv. Paola Severino aMinistro della Giustizia. L'avv. Paola Severino, ha dife-so Gilberto Caldarozzi, ex vice capo dello SCO, tortura-tore alla scuola Diaz a Genova. In tutte le udienze deiprocessi sulle violenze alla Diaz ha contribuito ai depi-staggi, alle menzogne per coprire “la macelleria messi-cana”. Gli stessi depistaggi di cui era accusato ancheDe Gennaro. Sarà un caso?

Fonte: http://www.osservatoriorepressione.org

Estratti da un’intervista al sindaco di Milano

Giuliano Pisapia

Il presidente emerito della Corte costituzionaleValerio Onida ha presentato ricorso a Strasburgo per-ché l'Italia introduca il reato di tortura. Lei ritienenecessario questo strumento come deterrente controcerti abusi che da Genova in poi purtroppo abbiamodovuto registrare ancora nelle carceri o nelle caserme,o piuttosto la ritiene un'inutile azione di sfiducia con-tro le forze dell'ordine?

A parte che l'introduzione di questa fattispecie penale ci èimposta dagli obblighi internazionali, avrebbe secondome due finalità come si è dimostrato in altri Paesi. Da unlato come deterrente, perché come si è evidenziato con ifatti di Genova occorrono strumenti giuridici e penali perdifferenziare certi abusi meno gravi e con tempi brevi diprescrizione da episodi di vera e propria tortura. Ma d'al-tra parte sarebbe una maggiore garanzia per le stesseforze dell'ordine impegnate nell'eliminare il più possibilele «mele marce» che agiscono convinte dell'impunità.Non va visto assolutamente come un atto finalizzato aintimorire le forze dell'ordine ma proprio invece a salva-guardare quella maggioranza che fa il proprio doverenella legalità.

Amnesty International chiede strumenti di identifica-zione che diano maggiore trasparenza all'operatodella polizia, lei sarebbe d'accordo?

Innanzitutto bisogna evitare di mandare in situazioni dif-ficili persone non sufficientemente preparate o senzastrumenti adeguati per gestire l'ordine pubblico in manie-ra democratica. Faccio l'esempio della polemica che c'èqui a Milano sulla presenza dei militari a presidio di sitisensibili: sono gli stessi sindacati di polizia che chiedonodi non usare i militari nella gestione dell'ordine pubblicoperché non ne hanno la professionalità. Allora, oltre aduna maggiore preparazione e a migliori strumenti, credoche la possibilità di identificare chi commette un abuso -che non significa nome e cognome sulla divisa - sarebbenon solo una garanzia per il cittadino ma anche per tutticoloro che operano correttamente. Bisogna però far pas-sare il messaggio che ogni abuso, anche se piccolo, nonpuò trovare impunità perché così si apre la strada versol'uso indiscriminato della violenza. Di conseguenza c'è ilrischio che si alzi il livello della diffidenza e alla fineanche dello scontro. Abbiamo il dovere di costruire unrapporto solidaristico tra cittadini e forze dell'ordine.

Fonte:Il manifesto del 22.07.11«Lo Stato dovrebbe chiedere scusa per quella pagina,indegna di una democrazia»di Eleonora Martini

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Fin qui nessuno ha chiesto scusa per le violenze com-messe a Genova dalle forze dell’ordine, nemmeno diquelle confermate da una verità processuale.

Ancora non definitiva.

Certo, anche se esiste una verità storica ormai acqui-sita. Lei non crede che ci siano stati degli abusi daparte di alcuni suoi colleghi?

Ci sono stati dei comportamenti inaccettabili e noi dasubito abbiamo detto «chi ha sbagliato paghi fino infondo». Immediatamente dopo il G8 di Genova noi dellaSilp-Cgil chiedemmo ed ottenemmo un incontro colSocial Forum perché era chiaro che si stava consumandoil tentativo di alcune forze conservatrici del Paese dicreare un solco incolmabile tra la società civile e le forzedi polizia, e tra la polizia e la magistratura. Insieme riba-dimmo la nostra contrarietà all’uso della violenza comestrumento di lotta politica e la nostra volontà di otteneregiustizia.

E allora, le scuse sono superflue?

In questi dieci anni è stato riconosciuto il fatto che aGenova si è aperta una delle peggiori ferite nella storiarecente di questo Paese. Noi ne abbiamo preso coscienzasubito ma abbiamo rifiutato ogni generalizzazione, inac-cettabile perché la stragrande maggioranza dei poliziottilavora – e perfino a Genova ha lavorato – nel rispettodella legge e dei diritti dei cittadini. Chi ha sbagliatopaghi. Però c’è un aspetto ancora troppo poco approfon-dito e cioè con quali intenzioni politiche siamo andati aGenova.

Un indizio fu la presenza, durante il summit, dell’al-lora vice premier Gianfranco Fini nella sala operativadella questura.

Sì, ma soprattutto c’era il capo del governo che ancoraaveva l’incubo del ’94, cioè di una spallata di piazza –che all’epoca riguardava le pensioni – che costrinseBerlusconi a dimettersi. Per cui io ritengo che sia fonda-ta la tesi secondo la quale a Genova si voleva delegitti-mare la piazza e nell’autunno che si prospettava caldo sivoleva mandare un messaggio ai moderati dicendo «tene-tevi lontano dalla piazza». Un modello di gestione del-l’ordine pubblico che è tutto politico. Ma, seppureGenova rappresenti una delle peggiori cadute di credibi-lità di certe istituzioni, non è stato l’unico caso. Le ricor-do che il modello di ordine pubblico che è stato adottatonel successivo G8 di Firenze, che non è solo tecnico maè soprattutto politico, fu di segno opposto. Ed è quelloche noi vorremmo adottare sempre: fondato sulla preven-zione, sul rapporto con gli organizzatori delle manifesta-

zioni, sull’uso limitato e governato della forza – unaforza che si sappia moderare – e nessuna esibizionemuscolare. Ci vuole formazione, perché naturalmente cideve essere sempre il rispetto della legge, e un più stret-to rapporto tra società civile e forze di polizia.

Perché invece della sospensione o della rimozione dalservizio degli imputati o dei condannati come richie-dono i parametri internazionali, abbiamo assistito aconferme di cariche se non a promozioni? Non sareb-be stato un segnale importante per separare le cosid-dette «mele marce»?

La cosa è più complessa: se si è garantisti lo si deve esse-re a 360 gradi e non si possono confondere il rispettodelle leggi in senso stretto con aspetti di opportunità poli-tica. I governi che si sono succeduti in questi dieci annihanno scelto di non intervenire in nessuno modo primadella verità processuale definitiva. Non è una questionedi rispetto delle leggi, ma di scelta politica.

In alcuni casi i reati sono già andati in prescrizione, inaltri come per l’uccisione di Carlo Giuliani non c’èmai stato un dibattimento pubblico.

Quello della giustizia è uno dei problemi centrali delnostro Paese e non riguarda solo gli operatori di polizia.Guardarlo solo con la lente del G8 di Genova significadimenticare che in questo Paese chi ha responsabilità isti-tuzionali ben maggiori, a qualunque livello, spesso nonarriva a sentenza e a giudizio. Noi della Silp-Cgil abbia-mo fiducia nella magistratura e siamo certi che si arrive-rà a giustizia.

Ma come si fa a far pagare chi sbaglia se, differente-mente da ogni comune cittadino, è impossibile l’iden-tificazione degli agenti, soprattutto se in tenuta anti-sommossa. Lei sarebbe favorevole, per esempio,all’introduzione del codice alfanumerico sulla divisaper una maggiore trasparenza?

No, e le spiego perché. Bisogna sicuramente rendere piùcerte le procedure di identificazione successiva, attraver-so i corpi di appartenenza. Invece col codice alfanumeri-co si rischia, in un paese come l’Italia dove esistonoanche contesti particolarmente insidiosi e violenti, diaumentare il rischio del singolo operatore che a torto o aragione potrebbe essere individuato ed essere sottopostoa un attacco aggressivo o violento. E se si espone il sin-golo poliziotto a più rischi di quanto non si possa legitti-mamente chiedergli, si alza il livello dello scontro. Ma sedico no al codice di identificazione, dico anche no ai pro-iettili di gomma e all’uso del Cs, il gas contenuto neilacrimogeni, che è tossico per la salute di tutti, dei citta-dini e degli operatori.

Lei sarebbe favorevole all’introduzione del reato ditortura come prevede il diritto internazionale?C’è un’alternativa possibile a questa strada, che io consi-

Intervista a Claudio Giardullo, segretario

generale del Silp-Cgil

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dero solo formale, ideologica e di pancia. L’introduzionedel reato di tortura sarebbe solo un messaggio di sfiduciaalle forze di polizia che secondo tutte le statistiche godo-no da parte degli italiani di una fiducia seconda solo aquella del capo dello Stato. E allora non mi sembra asso-lutamente necessario introdurre un nuovo reato per evita-re che in singole e rare occasioni accadano purtroppocose che non dovrebbero accadere.

Ma anche se fosse in un’unica occasione, non sarebbeuno strumento utile anche per voi?

Non sarà certo il reato ad impedirla, quell’occasione. Iosono del parere che si debbano inasprire le norme solo sec’è un fenomeno sociale di una certa dimensione.Preferisco invece l’altra strada, che aiuti a superare leimposizioni politiche del singolo governo: quella dellatrasparenza, della formazione e del controllo anche daparte del Parlamento e non soltanto da parte dell’esecuti-vo. E, aggiungo, non capisco perché la polizia non debbaavere un codice etico e di deontologia professionale. Sidica con chiarezza quali comportamenti il cittadino si puòlegittimamente aspettare da un agente che stia in unapiazza, in un ufficio o in un carcere. Ci si dica con qualistrumenti dobbiamo operare; quali investimenti, qualeformazione, a quali valori si ispirano le forze dell’ordine.Anche questi sono dettami internazionali, eppure nelnostro Paese non ce n’è traccia. Questa è la strada daseguire, e non quella della minaccia, dell’aggravamentodelle norme che servono semplicemente a dare la sensa-zione di aver risolto il problema. Mentre poi, nella realtàquotidiana, la polizia democratica è senza strumenti.

Fonte:Il manifesto del 23.07.11«La mattanza del G8 fu una scelta politica»

Nonnismo e torture sulle reclute:i Nocs nella bufera

16 settembre 2011

Picchiare talmente forte e talmente a lungo una partedel corpo al punto di renderla insensibile e poter strap-pare la carne a morsi. Si chiama “anestesia” ed è la bru-tale pratica cui sarebbe stato sottoposto un agente deiNocs della caserma di Spinaceto, a Roma, che a dicem-bre scorso ha avuto il coraggio, dopo 108 giorni di pro-gnosi, di denunciare tutto.Le foto e i video che la vittima ha consegnato ai magi-strati mostrano l’agghiacciante brutalità delle sevizieche chi arriva per ultimo è costretto a subire prima diessere accettato dal gruppo. Una sorta di rito d’inizia-zione: se dimostri di essere degno del morso, alloraentri a far parte della schiera di eletti, altrimenti sonobotte, umiliazione ed emarginazione. In un’immagine sivede un ragazzo di schiena, senza pantaloni, tenutofermo da una decina di mani, e un uomo che gli mordeil gluteo destro. La vittima è una delle teste di cuoioarruolate da poco, l’aguzzino è il leader. Il suo vanto èriuscire a stringere così forte i denti da far toccare gliincisivi. Più che nonnismo vera e propria tortura.L’incubo comincia la sera, quando gli esterni tornano acasa e chi resta dentro diventa ostaggio di ufficiali fuoricontrollo che seminano il terrore a forza di soprusi, vio-lenze e minacce di morte. In molti rinunciano, mollano,non ce la fanno. Alcuni si ammazzano. Anche dopo iprimi tempi infatti, superate le prime prove estreme, leviolenze fisiche e psichiche continuano. Per mettersi neiguai basta davvero poco: uno sguardo al leader duranteil pranzo in mensa ed è la fine. A far male non sono peròsolo le botte. E’ il silenzio dei superiori, l’omertà diffusache spaventa, se possibile, ancora di più. Secondo latestimonianza dell’agente, i suoi superiori sapevanotutto ma avrebbero sempre lasciato correre.“Il problema più grande - spiega Salvatore Palidda,docente di Sociologia all’Università di Genova ed esper-to di polizia post moderna – è che i politici italiani, al99,9% non sa assolutamente come funziona un commis-sariato di polizia, una caserma dei carabinieri, un repar-to speciale o d’addestramento. Manca il controllo demo-cratico e questo è il risultato”.In effetti, del Nucleo operativo centrale di sicurezza,corpo di polizia addestrato per le operazioni ad altorischio, non si conosce nemmeno il numero esatto deisuoi membri. Si presume che siano non più di un centi-naio in tutta Italia, la maggior parte dei quali concentra-ti proprio nella caserma romana, ma per il resto è tuttoavvolto nella segretezza più assoluta. Non a caso laProcura di Roma ha impiegato diversi mesi prima man-dare a giudizio due agenti di Spinaceto, mentre il capodella Polizia Antonio Manganelli ha avviato un’inchiestainterna. Negli ambienti delle forze di polizia c’è sconcer-to e imbarazzo, i sindacati e le associazioni di categoriasi dicono “sorpresi” e chiedono che si faccia al più pre-sto chiarezza. Eppure, a sentire gli esperti, quanto si èvenuto a sapere su Spinaceto non è certo un segreto diPulcinella. “E’ arcinoto che nelle caserme di quasi tutti ipaesi democratici avvengono queste cose.

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Il nonnismo – spiega Palidda - è pratica diffusa e, perdirla con Michel Foucault, fa parte delle istituzionisociali. Gli agenti che torturano hanno, a loro volta,subito torture”. Tra i fattori che maggiormente contri-buirebbero a scatenare tanta violenza ci sarebbe il fattodi vivere a lungo reclusi in spazi chiusi, asfittici come lecaserme, “un ambiente soffocante che serve a forgiareuomini superiori, piegati al culto della violenza, del nonguardare in faccia a nessuno, dell’essere pronti a tutto”.Ricorda il sociologo che all’epoca del movimento didemocratizzazione delle forze di polizia in Italia, per laprima volta, fu alzato il velo sui metodi di addestramen-to e si venne a sapere che tra le usanze più perverse c’eraquella di tenere gli agenti, prima di un intervento diordine pubblico, chiusi dentro le camionette per ore,magari sotto il sole. “Era inevitabile che, una volta libe-rati, questi si scatenavano come dei folli”.Pratiche estreme dovute al particolare momento storicovissuto dall’Italia all’epoca del terrorismo? “Purtroppono. Ci sono pochi dubbi, e molte testimonianze lo con-fermerebbero, che sia successo anche in occasione delG8 di Genova. E chissà quante altre volte”.

Fonte: http://blog.panorama.it//blog.panorama.it

«Non sono d’accordo con l’approccio di Giardullo, supe-rato dallo stesso capo di Dipartimento»«Sono in polizia dal ’76: alla Digos, a Bologna, e allacelere negli anni del terrorismo. Ne ho viste di sbavature,per carità, e la vicenda della Uno bianca fu decisamentepeggiore, eppure un’operazione come quella della Diaz aGenova, io non me la ricordo. Andare a menare dentrouna struttura, una casa dello studente, beh… no, non eramai successo».

L’ispettore di polizia Luigi Notari, membro della segreta-ria generale del Siulp, non è affatto d’accordo con il suoomologo del Silp-Cgil, Claudio Giardullo, intervistatodal manifesto il 23 luglio scorso, sulla lettura data ai fattidel 2001 e sulle misure da attuare oggi per contrastareeventuali nuove violazioni di legge.

«Con Claudio dai tempi in cui entrambi eravamo segreta-ri nazionali della componente Cgil del Siulp. Poi fu lapolitica a dividerci e quello fu l’errore».

Cosa contesta a Giardullo?Giardullo ha un approccio superato addirittura dalla stes-sa amministrazione di polizia che in questi anni ha orga-nizzato per gli agenti corsi di aggiornamento sulla gestio-ne dell’ordine pubblico, proprio per colmare quel vuotoche si era scoperto a Genova. Fu una pagina brutta, unacosa grave. Non era mai successo prima.

Come mai secondo lei il Silp ha una visione così diver-sa?

C’è, secondo me, una visione non partecipata della poli-tica. Questo tipo di problemi nella polizia – io li ho vis-suti con i poliziotti della Uno bianca a Bologna che ucci-sero 23 persone, una vicenda davanti alla quale impallidi-sce perfino Genova – scaturiscono da un fenomeno diisolamento del movimento democratico interno. La causasecondo me è il modello di rappresentanza politica, ilmaggioritario, e il conseguente dirigismo che ha portatoin questi corpi – che sono per natura soggetti alle gerar-chie – all’isolamento di chi spingeva per un modello par-tecipativo. Io partirei dunque proprio da questa separatez-za, dentro la quale qualsiasi opinione diventa isolata enon incisiva, e dalla nostra incapacità di ammetterla.Inoltre i fatti del 2001 sono avvenuti in un contesto dideriva securitaria cresciuta in questi anni. Parlare dironde e militari a gestire l’ordine pubblico toglie allapolizia professionalità e considerazione sociale.

E così è naufragato il movimento di democratizzazio-ne?

Più che altro è isolato. Per colpa di una certa politica dicentrosinistra, secondo me, che poi è la mia parte politi-ca, che ha accreditato una parte del sindacato e discapitodell’altra e lo ha diviso. Quando nel ’99 nacque il Silp eal governo c’era il centrosinistra, si pensava che non cifosse più bisogno di un movimento interno al corpo di

Intervista all’ispettore di poliziaLuigi Notari, membro

della segretaria generale del Siulp

polizia. Cofferati si era intestardito col sindacato unitarioe per questo nacque il Silp, molto accreditato come pro-gressista, ma secondo me molto lontano dal movimento.È sintomatico che tutti e tre i dirigenti dei sindacati sianodiventati politici del Pd.

Il sindacato perde la sua autonomia, in sostanza. Matornando allo stato attuale di democrazia internadella polizia, lei cose ne pensa del fatto che non cisiano mai state delle scuse formali per ciò che è suc-cesso a Genova.

Guardi, le scuse sono arrivate dalla polizia di Bolognaper i reati commessi dalla Uno bianca, e non è cambiatonulla. Secondo me le scuse che i poliziotti possono fare èlavorare perché queste cose non accadano più. Faccio unesempio attuale: in questo periodo ci stiamo confrontan-do col problema di chi vuole essere trasferito da un repar-to all’altro. Ebbene, abbiano notato che nei «repartimobili», addetti all’ordine pubblico, mandano sempreragazzi molto giovani. E le donne non sono previste. Sehai più di trent’anni e chiedi di essere trasferito nella tuacittà d’origine, lo puoi fare solo se trovi posto fuori dal«reparto mobile». La formazione per questi giovani c’è,ovviamente, ma la mentalità di un quarantenne è diversada quella di un venticinquenne. Si riempiono questestrutture di giovani maschi, oltretutto provenienti ormaitutti dall’esercito, ragazzi che dopo essere stati magari inAfghanistan vanno a fare ordine pubblico nelle strade ita-liane. Insomma, c’è una visione muscolare di questicorpi. I quali si formano di conseguenza con una menta-lità tutta muscolare. E c’è una disattenzione della politi-ca e della società che è letale.

Dunque, lei non crede che la «notte cilena» di Genovafu impartita da scelte politiche?

La politica di un governo di destra ha naturalmenteinfluito. Elementi di inquietudine, per la presenza di Finidentro una cabina di comando o altro, ci sono. Ma non

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possiamo non vedere che per anni il Dipartimento halavorato per dividere il sindacato di polizia. Perché io eGiardullo che lavoravamo nella stessa stanza nel ’99,adesso ci parliamo solo sul manifesto? All’interno dellapolizia c’era un movimento che puntava alla professiona-lità, alla qualità della vita dei poliziotti, alla presenza digenere, al rapporto con la magistratura. Come mai la poli-zia ha messo in campo furbescamente la divisione delmovimento sindacale?

Cosa pensa del fatto che nessuno degli imputati o deicondannati in appello sia stato rimosso?

Non mi piace, come non mi piace la mancata rimozionedi Ganzer, capo del reparto operativo dei carabinieri. Icorpi ormai sono autoreferenziali, rispondono solo a logi-che interne. Perché la politica è debole e non osa metterebocca. Se Violante sta zitto, se Berlusconi sta zitto, comepossiamo io o Giardullo rimuovere qualcuno? C’è unproblema culturale. Che si evidenzia in una sociologiache non si sofferma a sufficienza nello studio dei corpi dipolizia e una totale assenza del controllo politico sul-l’operato. Gli apparati vengono visti come dei totemintoccabili e la politica e l’opinione pubblica si fidanociecamente del totem, questo è il problema. Se il contri-buente non chiede che le risorse vengano spese per unapreparazione adeguata, se non si chiede una deontologiaprofessionale, se non c’è un investimento formativo dimassa, è chiaro che questi sono i risultati. Come la poli-tica riuscì a plasmare la polizia con la riforma dell’81, civorrebbe oggi un nuovo impulso politico che pretenda unnuovo modello di polizia.

È d’accordo con l’introduzione del reato di tortura?

Sono favorevolissimo, ci mancherebbe. Io ho conosciutoanche una lotta al terrorismo fatta con sistemi normali.Fermo restando che non se ne faccia un uso strumentale.Certo, può anche scappare un atto di forza, ma io combat-to la mentalità muscolare che permette certi abusi.

E sul codice alfanumerico che identifichi gli agenti?

Io credo che serva introdurre un metodo per accertare leresponsabilità. Ovviamente che sia riservato, in modo daevitare che chiunque possa risalire dal codice al nome ecognome dell’agente. È uno strumento che ho sempreletto a tutela dei poliziotti. Anche perché chi fa un attoanche forte ma in buona fede, dettato dalle necessità, nondeve aver paura di niente

Fonte:Il manifesto del 29 Luglio 2011 «Un’operazione come quella della Diaz a Genova, io nonme la ricordo»

Approdano in Parlamento le torture impiegate da alcunesquadre speciali del ministero dell’Interno, tra la fine finedegli anni ’70 e i primi anni ’80, per fronteggiare i grup-pi che praticavano la lotta armata. Su iniziativa della deputata radicale Rita Bernardini èstata depositata una interrogazione parlamentare rivoltaal ministero dell’Interno e della Giustizia. Il testo prendespunto dalle rivelazioni contenute nel libro di NicolaRao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai metodi speciali: comelo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata, nella qualesi riportano le ammissioni del funzionario dell’Ucigos(l’attuale polizia di prevenzione), conosciuto con l’etero-nimo di “professor De Tormentis”, che guidava una squa-dra di poliziotti provenienti dalla mobile napoletanaaddestrati a varie tecniche di tortura e violenze psico-fisi-che, tra le quali il waterboarding, l’annegamento conacqua e sale.In alcune interviste rilasciate al Secolo XIX nel 2007 e nellibro di Rao, l’ex commissario della Digos SalvatoreGenova (oggi questore), uno degli autori delle indaginicontro le Brigate rosse nei primi anni ’80, rivela l’esi-stenza di due gruppi – indicati col nome di alcuni cultmovie (“i cinque dell’ave maria” e “i vendicatori dellanotte”) – che intervenivano dopo i fermi di personesospette di appartenenza alle Br per estorcere informazio-ni ricorrendo a violenze e sevizie che seguivano una pro-cedura messa a punto dal “professor De Tormentis”.Genova racconta in questo modo il trattamento riservatoa Nazareno Mantovani, uno dei primi fermati durante leindagini per il rapimento del generale Nato Dozier: «Fuspogliato, disteso supino su un tavolo di legno e legatoalle quattro estremità, con la testa e la parte superiore deltronco che uscivano fuori. Le persone che lo circondava-no erano tutte incappucciate. Urlavano, minacciavano,annunciavano cose terribili [...] uno teneva la bocca delprigioniero aperta e gli chiudeva il naso, un altro gli tene-va la testa, mentre un terzo cominciò a versare in manie-ra sistematica, ritmica e controllata acqua e sale, attraver-so una cannula inserita in gola in maniera sapiente.Mezzo litro, si fermava qualche decina di secondi per darmodo a Mantovani di non soffocare e poi ricominciava[...] Mantovani non parlò. Dopo un’ora e mezzo di tratta-mento il professore decise di sospenderlo. Il sospetto bri-gatista era già svenuto due volte e c’era il rischio che cirimettesse la pelle». Alla fine dello spettacolo – riportaRao – un paio di uomini di Genova dissero al loro capoche se ne tornavano a casa. Non se la sentivano di assi-stere ad una cosa del genere.L’interrogazione della parlamentare del partito radicale siavvale anche dell’inchiesta pubblicata da Liberazionel’11 dicembre scorso riportandone ampi stralci, in parti-colare la testimonianza e soprattutto la dettagliata descri-zione del curriculum professionale, culturale e politicodel personaggio, di facile identificazione, che si cela die-

Le torture ai militanti Br arrivano in Parlamento

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tro il lugubre sopran-nome ripreso dal cele-bre Tractatus DeTormentis, scritto daun anonimo criminali-sta di scuola bologne-se sul finire del 1200(la datazione tuttaviaresta incerta secondoaltri studiosi), ultraci-tato dal Manzoni nellasua “Storia dellacolonna infame”, e nelquale si inquadra latortura all’interno diun sistema di minu-

ziose regole procedurali funzionali a dare corpo alla«regina delle prove»: la confessione del reo.Nel testo si chiede se il ministro di competenza «nonintenda verificare l’identità e il ruolo svolto all’epoca deifatti dal funzionario dell’Ucigos conosciuto come “pro-fessor De Tormentis”» ed ancora se non si ritenga oppor-tuno «promuovere, anche mediante la costituzione di unaspecifica commissione d’inchiesta», ogni utile approfon-dimento «sull’esistenza, i componenti e l’operato dei duegruppi addetti alla sevizie, ai quali fanno riferimento gliex funzionari della polizia di Stato citati nelle interviste».Rita Bernardini vuole anche sapere dal governo se inten-da «adottare con urgenza misure volte all’introduzionenell’ordinamento italiano del reato di tortura e di specifi-che sanzioni al riguardo, in attuazione di quanto ratifica-to in sede Onu» e se non vi sia l’intenzione di «assumereiniziative, anche normative, in favore di risarcimenti perle vittime di atti di tortura o violenza da parte di funzio-nari dello Stato, e per i loro familiari».L’obiettivo è quello di arrivare all’adozione urgente diprovvedimenti che contrastino ogni manifestazione diviolenza non giustificabile sui cittadini da parte di fun-zionari delle Forze di polizia nell’esercizio delle loro fun-zioni.

Paolo PersichettiLiberazione del 20.12.2011

L'unità, 8 novembre 1978

“Hanno visto in tanti”

“De Tormentis” ha sparso una quantità di indizi sudi sè da essere ormai facilmente identificabile; lavoce “fuori campo” presente nella stanza della tor-tura non è difficile da capire a chi appartenga. Nonpoteva essere certo un semplice poliziotto ad ordi-nare a “De Tormentis” di smettere. Nel cortile diCastro Pretorio oltre a Spinella e “De Tormentis”con la sua squadretta c’era una coorte di almeno 10poliziotti. Erano e sono in molti a sapere.Come scriveva Pasolini, io so. Io so i nomi dei tor-turatori, io so i nomi di chi tali abusi ha coperto,ma non ho le prove.

Enrico Triaca

Nel decimo anniversariodel G8 2001, che ebbeluogo a Genova dal 19 al21 luglio, AmnestyInternational constatacon disappunto che lecentinaia di vittime dellegravi violazioni dei dirit-ti umani compiute inquei giorni da funzionarie agenti delle forze dipolizia non hanno otte-nuto piena giustizia,anche a causa della man-canza del reato di torturanel codice penale e dimisure di identificazionedegli agenti durante leoperazioni di ordine pub-

blico, come l’uso di codici alfanumerici sulle uniformi. Ulteriore motivo di sconcerto è la mancanza di scusealle vittime da parte delle autorità italiane e di un’anali-si delle cause che provocarono violazioni gravi e mas-sicce, tra cui aggressioni indiscriminate verso manife-stanti pacifici e giornalisti; violenze ingiustificate nelraid della notte tra il 21 e il 22 luglio alla scuola Diaz;arresti arbitrari nel carcere provvisorio di Bolzaneto emaltrattamenti tra cui minacce di stupro e di morte,schiaffi, calci, pugni, privazione del cibo, dell’acqua,del sonno e posizioni forzate per tempi prolungati. Le sentenze di appello sulle violenze alla Diaz e aBolzaneto emanate nel 2010 e le decisioni emerse inaltri procedimenti riconoscono responsabilità di agentie funzionari delle forze di polizia per violenze fisiche epsicologiche, calunnie, falso. Ciononostante, il ricono-scimento giudiziale degli abusi non è stato accompa-gnato da sanzioni penali che ne riflettessero la gravità,a causa della mancanza del reato di tortura nel codicepenale e la prescrizione per i reati minori, conducendocosì, in molti casi, all’impunità. Diversi casi emersi nei 10 anni trascorsi da quegli even-ti hanno continuato a chiamare in causa le responsabili-tà delle forze di polizia, confermando l’urgenza dimisure legislative e istituzionali per la prevenzionedelle violazioni. La condanna in appello per omicidiocolposo degli agenti ritenuti responsabili della morte diFederico Aldrovandi durante un fermo nel 2005; la sen-tenza per omicidio volontario dell’agente di poliziastradale che nel 2007 esplose il colpo di pistola cheuccise Gabriele Sandri; i procedimenti in corso per lamorte di Aldo Bianzino, Giuseppe Uva e StefanoCucchi mentre si trovavano in stato di custodia; le accu-se di lesioni, aggressione, sequestro di persona e calun-nia agli agenti della polizia municipale che tennero instato di fermo Emmanuel Bonsu; sono fatti che dovreb-bero interrogare profondamente le istituzioni italiane eche confermano l’urgenza di misure legislative e istitu-

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zionali per la prevenzione degli abusi. Le forze di polizia sono attori chiave nella protezionedei diritti umani in ogni paese: hanno, tra le proprieresponsabilità, quelle di ricevere denunce su abusi deidiritti umani, svolgere le indagini e garantire il correttosvolgimento delle manifestazioni, proteggendo chi vipartecipa da minacce e violenze. Perché questo ruolo siariconosciuto nella sua importanza e svolto nella pienafiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei dirittiumani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimentodelle responsabilità e una complessiva trasparenza. Amnesty International chiede agli stati di assicurare chele forze di polizia operino nel rispetto degli standardinternazionali sull’uso della forza e delle armi, di preve-nire violazioni dei diritti umani e di assicurare indaginirapide e approfondite e procedimenti equi per l’accerta-mento delle responsabilità, quando emergano denuncedi violazioni. In Italia mancano tuttora importanti strumenti per la pre-venzione e la punizione degli abusi, quali organismi dimonitoraggio sul rispetto dei diritti umani e sui luoghi didetenzione, misure di identificazione degli agenti impe-gnati in operazioni di ordine pubblico e la previsione delreato di tortura nel codice penale.

Esimio, spettabile, gentile, caro, egregio dottorManganelli? Non so come iniziare questa lettera, laseconda che le invio. La chiamerò perciò signorManganelli e spero che non se ne dispiaccia. Le scrivoperché mi sento a disagio. Avverto una crescente separa-zione tra la Polizia e i cittadini che trovo insensata e chenon appartiene alla cultura di questo Paese e tanto menoal corpo dello Stato che lei dirige e rappresenta. In GranBretagna, si sono dimessi Paul Stephenson capo diScotland Yard e il suo vice, John Yates, per essere sospet-tati di aver ricevuto dei favori dal gruppo editoriale chefa capo a Rupert Murdoch. Si sono dimessi per sospetti,non per un giudizio di un tribunale del Regno. In quelPaese l'etica per i funzionari pubblici è più importantedelle sentenze. In questi giorni si celebra il decennale delG8 di Genova e la "macelleria messicana" della scuolaDiaz. Lei è al corrente che per quei fatti Spartaco Mortolafu condannato in appello a tre anni e otto mesi per i falsidei verbali di arresto della scuola Diaz e a un anno e duemesi per l'induzione alla falsa testimonianza del questoredi Genova. I cittadini italiani si sarebbero aspettati alme-no una sospensione dal servizio, invece Mortola è statopromosso a questore di Genova. Non è il solo tra i con-dannati dai tribunali della Repubblica per il G8 ad averfatto carriera. Alessandro Perugini che colpì con un cal-cio in faccia un ragazzo inerme a terra in una scena chefece il giro del mondo è oggi dirigente della polizia adAlessandria. L'elenco è lungo e glielo risparmio.Io non ritengo giusto, e credo con me moltissimi italiani,

che chi è stato condannato (anche se non ancora inCassazione) continui a rimanere in servizio e sia purepromosso. Migliaia di poliziotti rischiano ogni giorno lavita, e spesso la perdono, per proteggere i cittadini, nonmeritano di essere associati a chi ha macchiato la divisa eil corpo a cui appartengono durante il G8. Io, francamen-te, lo troverei intollerabile.Il cittadino non deve avere il minimo dubbio verso chi èdeputato a proteggerlo, anzi deve avere nei suoi confron-ti la massima fiducia e disponibilità. Le faccio due propo-ste, che spero vorrà sostenere. La prima è l'introduzionedi un identificativo per ogni poliziotto, come avviene inmolti altri Paesi come gli Stati Uniti. La seconda è unaserie di incontri aperti ai cittadini con la Polizia nellevarie città nei quali ogni problema relativo alla sicurezzasia discusso e affrontato. La Polizia è dei cittadini, nondel Potere, ed è con i cittadini che deve confrontarsi.Confido, come sempre, in una sua risposta. Distinti saluti.

Beppe Grillo

Caro Beppe Grillo,rispondo volentieri alla Sua lettera e mi piace partire pro-prio da un punto che Lei stesso ha sottolineato.“Migliaia di poliziotti rischiano ogni giorno la vita, espesso la perdono, per proteggere i cittadini”. E' proprio così. Questa è la Polizia, un Corpo democrati-co, da trent'anni smilitarizzato e con rappresentanze sin-dacali riconducibili alle varie aree di pensiero del nostroPaese. I lavoratori di polizia compiono ogni giorno, inogni parte d’Italia, veri e propri atti di eroismo che con-fermano l'amore e la vicinanza per il prossimo; purtropponon sempre la comunicazione mediatica ne dà il giustorisalto.Condivido, ovviamente, che questi poliziotti, come Leiscrive, “non meritano di essere associati a chi ha mac-chiato la divisa e il Corpo a cui appartengono durante ilG8”.Bene. Noi però siamo tenuti a seguire le regole dell'ordi-namento giuridicoche vige nel nostroPaese. Intanto, “chiha macchiato la divi-sa”, violando lalegge, lo deve direuna sentenza penaledefiniva, cioè quelladella Cassazione,che a distanza didieci anni non èancora arrivata. Ionon mi nascondodietro un dito. Al dilà delle responsabili-tà di chi è arrivato aGenova per fareguerriglia e per deva-

Lettera di Beppe Grillo ad Antonio Manganelli

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stare, colpevolmente cancellate con un colpo di spugnaanche dai ricordi del decennale, vi sono certamenteresponsabilità riconducibili ad appartenenti alla Polizia.Ci penso continuamente e sono ben consapevole (mi rife-risco ad esempio a chi ha introdotto nella Scuola Diazfalse prove) che tutto ciò ha minato il necessario rappor-to di fiducia tra il cittadino e chi è chiamato a tutelarlo.La nostra legge dice però che un procedimento discipli-nare a carico di un operatore di polizia non si può avvia-re se esiste a suo carico un procedimento penale e, qualo-ra fosse stato avviato, deve essere immediatamentesospeso in attesa delle definizione del procedimentopenale. A qualcuno non piace questa legge? Questo èquello che la norma prevede e impone a ciascuno di noi.La legge dice, inoltre, che fino alla sentenza passata ingiudicato, cioè quella della Cassazione, l'innocenza èsempre presunta. Non ci piace neanche questa legge?Spesso però la invochiamo quando qualcuno è “giustizia-to” prima che sia esaurito il processo in ogni suo grado esia pronunciato il giudizio inappellabile di condanna.Attualmente esistono poliziotti imputati ma non condan-nati in via definitiva. Essi, dunque, devono ritenersi, perlegge, non per mia volontà, innocenti fin quando laCassazione non metterà la parola fine, dopo un numerointerminabile di anni, nel corso dei quali la graticolamediatica ha rappresentato comunque un’ “anticipazionedi pena”, inaccettabile per chi dovesse risultare “non col-pevole” all'esito del giudizio definitivo.Hanno “fatto carriera”? Quando la loro anzianità di ser-vizio lo ha imposto, sono stati valutati negli ordinari scru-tini di avanzamento, assieme ai colleghi, per la comples-siva attività svolta nei venti-trent’anni di servizio che cia-scuno aveva. Qualcuno ha avuto l'avanzamento della pro-pria qualifica, qualcuno no, secondo le ordinarie proce-dure. Nessuno è diventato “questore di Genova”, tuttisono stati valutati non quali “condannati” perché, comeho detto, non lo sono.Accolgo con molto interesse l’invito a discutere le propo-ste contenute nella Sua lettera al più presto, come le hoanticipato telefonicamente, perché trovo davvero priori-taria l'esigenza di ripristinare il corretto rapporto tra citta-dino e poliziotto, laddove questo risultasse incrinato, perqualsiasi ragione. Colgo l'occasione per inviarLe un cordiale saluto.

Antonio ManganelliLuglio 2011

Nicola Izzo, vice di Manganellicarriera e impunità garantite

(…) Il momento topico del suo agire fu il 1 maggio del1999 nei confronti del movimento antagonista e del cen-tro sociale Askatasuna. Il periodo storico era quello dellaguerra nei Balcani: il governo era di centro sinistra conMassimo D'Alema agli esteri. Lo spezzone antagonistacontestò i partiti attivi nell'attacco al Kossovo e ne scatu-rirono cospicui disordini di piazza tra gli autonomi, leforze dell'ordine e il servizio d'ordine della Cgil. Al ter-mine del corteo intorno alle 14.00 circa, la polizia feceirruzione al centro sociale Askatasuna dove si stavatenendo la tradizionale grigliata con i compagni/e, fami-glie del quartiere e vari partecipanti, fermando 116 perso-

ne, trattenendolefino alle 23.00 inquestura. Durantel'irruzione distrus-sero ogni parte dei4 piani del centrosociale, devastan-do, oltraggiando episciando su qual-siasi cosa gli capi-tasse a tiro, dallalibreria ai bagni.

Non contenti, vergarono scritte sui muri inneggianti alduce e varie forme d'insulti. Una tavola di legno che raf-figurava Tonino Miccichè, compagno ucciso negli anni70, fu trafitta da un punteruolo. L’accusa per tutti fu diresistenza a pubblico ufficiale e solo grazie alla presenzadi una decina di compagni sul tetto e alla mobilitazioneimmediata di solidarietà il centro sociale non fu sgombe-rato. In seguito i 116 indagati fecero un esposto nel qualedenunciarono le forze dell'ordine per le violenze subite esoprattutto alcuni fecero nomi e cognomi degli aguzziniche ordinarono i pestaggi mirati. Al comando sedevanol'oggi questore di Novara Giovanni Sarlo, e l’attuale vicecapo della Polizia Nicola Izzo. Il procedimento vennearchiviato e nessun appartenente alle forze dell'ordine èmai stato condannato per quella che fu una vera e propriarappresaglia, precedendo di due anni quello che avvennea Napoli nel Global Forum del 2001 e al G8 di Genova.(…) la carriera del questore proseguì arrivando nel 2000a dirigere la Questura di Napoli

Global Forum 17 marzo 2001.II giorno della prova generale della repressione del lugliosuccessivo, al G8 di Genova. Un corteo di quel nascentemovimento noglobal contestava l'apertura del GlobalForum di Napoli. Il corteo formato da alcune migliaia dimanifestanti tentò in piazza del Municipio di sfondare laprima "zona rossa" conosciuta. La propose proprio ilmastino, ponendo per la prima volta una zona invalica-bile in una pubblica piazza. Nel tentativo di forzare ilblocco delle forze dell'ordine avvennero degli scontriall'interno di una piazza, sommersa da lacrimogeni, che si

Nicola Izzo

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rivelò una vera e pro-pria trappola senzaalcuna via di fugaper far defluire ilcorteo come di solitoavviene. Izzo predi-spose lo schema e loosservò in direttadall'elicottero chesorvolava tutto iltempo la piazza.Dopo il corteoavvennero caccieall’uomo per tuttaNapoli, con l'impie-go dei famosi falchi,agenti in borghese inmotocicletta, chepestarono selvaggia-mente gruppi e sin-goli che defluivano.

Il peggio però doveva ancora venire: arrivò a sera, dinotte nelle sale di pronto soccorso degli ospedali,dov'erano ricoverati tanti dei feriti nella caccia all'uomodella giornata. Erano stati 200, i feriti. E un centinaio, lastessa polizia andò a prenderli nei letti, nelle brandinedelle corsie ospedaliere per tradurli nel designato «centrodi raccolta» dei «fermati» perché «individuati tra i vio-lenti» cui l’autorità pubblica addossò, sul momento, laresponsabilità degli scontri. Quel centro era la caserma Raniero. Il problema è che laQuestura stessa mise agli atti, in quella primavera del2002, che operare i fermi negli ospedali e tradurre i fer-mati alla Raniero fu un’operazione frutto di un ordine. Di una disposizione della Questura stessa. Sulla quale,d'altra parte, non si è mai ottenuto l’indicazione d'unresponsabile ultimo. Tanto meno in sede giudiziaria.Resta, al di là anzi al di qua dell'ambito penale - e di ogniformalità - che la Questura c’era. Nicola Izzo sei anni fa fu difeso a spada tratta, anchequando appoggiò incredibili presidi sotto la Questura daparte dei poliziotti “in rivolta”, anche con minacce pub-bliche di morte ai pm.

Per tutto quello che concerne gli episodi citati, Izzo èsempre scampato alle inchieste perché sempre archiviate,c'è da dire. Ma la sua carriera prosegue evidentemente peril Ministero dell’Interno, tutto fa curriculum per un uomodi Stato che diventa direttore interregionale per Lazio,Abruzzo e Sardegna, poi per Lombardia ed EmiliaRomagna; nel 2005 prefetto di Lodi.

Capo della segreteria generale del Dipartimento diPubblica Sicurezza dall'agosto del 2007 ossia poco dopola nomina di Manganelli come successore (da questi sug-gerito e già suo vice) di Gianni De Gennaro.

Dal 2008 è vicecapo della Polizia, evidentemente, comeabbiamo visto per i macellai di Genova, gli uomini distato da premiare sono questi (..).

Fonte: http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabe-nicomuni/item/1837-nicola-izzo-limpronta-del-mastino-sulla-valle-di-susa

VII Reparto Mobile di Bolognauna lunga storia

di pestaggi e soprusi

Riflessioni sul corteo contro Maroni e sulle polemichetra VII Reparto Mobile e Questura

Dopo aver assistito sulle pagine del Resto del Carlino aldibattito che ha visto contrapposti il VII Reparto Mobiledi Bologna e la Questura, adesso pensiamo che i protago-nisti di quella giornata di lotta debbano prendere parola.Per quanto ci riguarda un corteo composto da studenti,attivisti e semplici cittadini, che portavano solo dei peri-colosissimi canotti e materassini, è stato brutalmentecaricato dalle forze dell'ordine.La carica, teniamo a precisare assolutamente sproposita-ta, è stata effettuata non per scongiurare qualche gravepericolo per la pubblica incolumità, ma solamente perimpedire che studenti dell’Università di Bologna e unsignificativo pezzo di città che ripudia razzismo e xeno-fobia potesse prendere parola e dimostrare tutto il propriodissenso verso la presenza in città, e specificatamente inun’aula universitaria, del ministro leghista RobertoMaroni.Lo stesso ministro dei respingimenti e dei migrantilasciati morire in mezzo al mare, del pacchetto sicurezzache istituzionalizza le ronde, esponente di un partito chefa dell'odio per il diverso la propria bandiera. Come stu-denti quello che è avvenuto il 28 settembre ci sembraancora più grave. L’Alma Mater Studiorum fa salire incattedra, il tutto con riconoscimento di ben 8 crediti for-mativi, il ministro Maroni senza la possibilità di contrad-dittori o repliche di ogni genere e sorta. Addirittura duepericolosi studenti che provano ad entrare nell'aula diSanta Lucia dotati di un semplice cartello vengono bloc-cati, identificati e allontanati.L’attuale Amministrazione universitaria ancora una voltablinda le sue aule pur di non far esprimere i propri stu-denti. Naturalmente notiamo “con piacere” che da partedel rettore Calzolari e di suoi lacchè Monari, Depolo ecompagnia cantante, su questo aspetto c'è sempre unacerta coerenza. Ricordiamo per esempio, uno fra tanti, lastudentessa mandata al pronto soccorso con diversi puntidi sutura in testa solo per aver cercato di entrare nel “suo”rettorato poco dopo lo sgombero di Bartleby.A questo punto ci chiediamo se non avrebbe più sensosostituire la figura del “Prorettore con delega agli studen-ti” ad un forse più utile “Prorettore al contenimento deibisogni e dei desideri degli studenti con particolare dele-ga ai rapporti verso la Questura”.Pensiamo che ancora una volta il silenzio assordantedell'Università e dei suoi vertici su quanto avvenuto il 28settembre in via Santo Stefano sia vergognoso e per que-sto forse sia necessario un attento dibattito e una lungaanalisi. In merito alla polemica tra Reparto Mobile eQuestura diciamo solo che quando è troppo è troppo. Il28 settembre un corteo pacifico (sì signori pacifico!) esenza alcun strumento atto ad offendere, ma solamentedotato di cartelli, materassini e canotti è stato brutalmen-te e unilateralmente caricato e picchiato da diverseSquadre del VII Reparto Mobile. In tutte le foto e in tutti

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i video presenti anche nei siti internet dei maggiori quo-tidiani mainstreem di questa città si vede chiaramentecome la carica parta a causa di un ormai ben noto sogget-to appartenente al suddetto Reparto Mobile che si accani-sce contro uno studente munito di un pericolosissimomegafono. Non pago di tutto questo il solito soggetto, acarica già ultimata e in una situazione assolutamente tran-quilla, si è nuovamente scagliato contro lo stesso studen-te cercando di colpirlo al volto con inequivocabile inten-to punitivo.Questa è la verità su quella giornata. Il resto sono solospeculazioni fini a se stesse fatte da soggetti in cercaforse di un po' di visibilità. O peggio ancora da chi sa cheil 28 settembre il VII Reparto Mobile di Bologna ha inmaniera premeditata caricato un corteo pacifico e stafacendo di tutto perché di questo non si parli.Ma a noi tutto questo non interessa e soprattutto non cispaventa, perché comunque continueremo ad invadere lestrade e le piazze di questa città ogni qual volta ce ne saràbisogno. Con la gioia e la determinazione di sempre.Ricordandoci e ricordando a tutti che il dissenso e lapresa di parola pubblica sono elementi fondamentali diqualsiasi paese che voglia definirsi democratico. In chiu-sura un paio di cose.Alla questura diciamo soltanto che si potrà iniziare a par-lare di sicurezza nelle piazze quando soggetti più volteindicati come attori primi di veri e propri attacchi puniti-vi nei confronti di singoli manifestanti verranno rimossidal loro incarico.All’attuale Amministrazione universitaria ci permettiamoil lusso di non dire più niente...speriamo solo che se nevadano il prima possibile e se la smettano di fare danni.Che riposino in pace...amen.

8 ottobre 2009Bartleby_onda anomala bologna

http://www.globalproject.info/it/in_movimento/28-set-tembre-chi-cera-quel...

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Schiaffi e pugni a nomadi condannati cinque poliziotti

Gli agenti, dopo una rissa fuori da una sexy disco, sierano giustificati parlando di una rapina. Le registrazionidelle telecamere li hanno smentiti. Il giudice li ritiene col-pevoli di abuso d’ufficio, rissa, calunnia, falso ideologicocommesso da pubblico ufficiale in atti pubblici, e, soloper uno, anche lesioni personaliNon vi fu nessuna rapina. La rissa che coinvolse cinquepoliziotti e tre nomadi, all'uscita da una sexy discoteca aCasalecchio, nell’ottobre del 2008, fu scatenata da alcu-ne offese rivolte dagli agenti a due dei tre nomadi. Il giu-dice per l’udienza preliminare ha condannato i cinqueuomini del VII Reparto Mobile di Bologna, con ritoabbreviato, a pene tra un anno e otto mesi e un anno,quattro mesi e 10 giorni (tutte sospese con la condiziona-le). Gli agenti sono colpevoli di abuso d’ufficio (inizial-mente si era ipotizzato l’arresto illegale) “per l'abiettomotivo di ritorsione dei colpi ricevuti”; rissa, calunnia,

falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in attipubblici, e, solo per un agente, anche le lesioni persona-li. Condannati a otto mesi per rissa anche due nomadicon cui era scattata la zuffa. Per i cinque agenti la senten-za del Gup prevede il pagamento in solido di 10.000 eurodi provvisionale ciascuno a tre nomadi, due dei qualisono quelli condannati per rissa. Previsto anche il paga-mento in solido dei danni al Ministero dell’Interno, chesi era costituito parte civile, nella misura di 10.000 euro.Mentre per i due nomadi condannati c’è anche il paga-mento dei danni per mille euro ciascuno a tre dei cinqueagenti.La rissa scoppiò dopo una festa organizzata dal VIIReparto Mobile nella discoteca sexy, dissero gli agenti, ascopo benefico. A fine serata, uno dei partecipanti allacena - raccontarono i poliziotti - uscì per caricare in mac-china una borsa con pentole e coltelli utilizzati per lacena e fu aggredito per una rapina della borsa nel par-cheggio. Dopo - sempre in base al rapporto di allora -intervennero alcuni colleghi e, dopo una violenta collut-tazione, arrestarono i tre nomadi. Ma un filmato registra-to da una telecamera di sicurezza di una tabaccheria vici-na mostrò che non c'era stata rapina.Il poliziotto condannato anche per lesioni personaliavrebbe colpito con schiaffi ed un violento pugno uno deinomadi che si era rifiutato di firmare il verbale di seque-stro e di identificazione in questura. Secondo l'accusa,senza averne la delega dal pm, due agenti si erano poifatti mostrare dai gestori della tabaccheria le immaginiriprese dal sistema di videosorveglianza e quindi in treerano tornati e per farsi consegnare dai tabaccai (“senzaredigere alcun verbale di acquisizione e/o sequestro”) uncd e un dvd con le immagini, omettendo di depositarli“senza ritardo” al pubblico ministero, e depositando poiil materiale alla sezione di pg della polizia (delegata allaindagini) solo il 17 ottobre, dopo aver saputo dell'indagi-ne aperta dal pm.

25 marzo 2011http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/03/25/news/condannati_cinque_p...

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Tpo: “A Bankitalia la polizia voleva fare male”

14 ott. – “Ci sono state due cariche a lato, a freddo e conl’intenzione chiarissima di far male”. E’ la denuncia delTpo che oggi nel corso di una conferenza stampa è torna-to su quanto accaduto mercoledì davanti alla sede diBankitalia di Bologna. Secondo la denuncia degli attivi-sti del centro sociale e di quelli del collettivo Sadir la rea-zione delle forze dell’ordine, e precisamente del VIIReparto Mobile della Polizia, sarebbe stata spropositata.Soprattutto, gli attivisti denunciano che durante la secon-da carica, alcuni agenti avrebbero usato i manganelli inmaniera impropria, dall’alto verso il basso, come dimo-

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stra una foto scattata in piazza Cavour e mostrata duran-te la conferenza stampa. A questo proposito gli attivistichiedono a chiunque abbia fotografie e video dei tafferu-gli di farsi avanti per allegare materiale alla querela cheMartina Fabbri, la ragazza 23enne che durante la carica èstata colpita alla bocca riportando la frattura di quattrodenti. Proprio la giovane, presente alla conferenza stam-pa dice: “Non ero davanti ma dopo tre o quattro file dipersone. E’ arrivata una carica che non ci aspettavamo,non ho avuto il tempo di fare niente, stavo per girarmi escappare quando mi è arrivato un colpo sulla spalla esulla bocca”. Martina è la protagonista del video che tro-vate qua sotto, realizzato dal Tpo, che ha un titolo evoca-tivo: “Non ci toglierete il sorriso”.Alla conferenza stampa del Tpo, era presente anche l’av-vocato Patrizio Del Bello, assistente del legale SimoneSabattini che segue la vicenda di Martina. Proprio l’avvo-cato Del Bello ha messo in fila gli episodi simili avvenu-ti nel corso degli ultimi anni che hanno avuto come pro-tagonisti proprio gli uomini del VII Reparto, il reparto dipoliziotti bolognesi “famoso per la maglietta ‘A Genovac’ero anch’io’ e la foto del poliziotto che schiaccia unmanifestante sotto il ginocchio”. L’elenco degli episodi èlungo: dagli incidenti davanti al Motor Show dello scor-so dicembre a quelli fuori dalla stazione dello stessoperiodo, la “testa spaccata” ancora ad una ragazza davan-ti al Cie nel 2007, le manganellate all’ingresso del retto-rato nel 2008 ed una “lesione abbastanza grave” ai dannisempre di una ragazza. Poi ancora, gli scontri per caccia-re Giuliano Ferrara da piazza Maggiore, nel 2008: anchein questo caso una ragazza, “già risarcita - riferisce DelBello - a seguito di una lesione alla cornea”. Un bilancioche parla “sempre di ragazze poco più che ventenni sot-tolinea Del Bello - che, ai margini delle manifestazioni,vengono colpite su denti, naso o occhi”: forse c’è qualcu-no “che pensa di ‘educare’ queste ragazze, invitandole arestare a casa?”.

14 ottobre 2011http://radio.rcdc.it/archives/tpo-a-bankitalia-la-polizia-voleva-fare-ma...

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G8 Genova: Cassazione conferma condanne per 4 agenti

La Corte di Cassazione ha confermato la pena a 4 anni direclusione ciascuno inflitta dalla Corte d’appello diGenova per quattro poliziotti accusati di aver arrestatoillegalmente due studenti spagnoli durante le manifesta-zioni del G8 di Genova nel luglio 2001. In primo gradoerano stati tutti assolti e in secondo grado, nel luglio2010, la sentenza era stata ribaltata. I poliziotti sonoAntonio Cecere, Luciano Beretti, Marco Neri e SimoneVolpini. Le accuse a loro carico erano quelle di falsoideologico in atti pubblici, calunnia e abuso d’ufficio masu questi ultimi due reati era stata dichiarata la prescrizio-

ne. L’inchiesta che li ha portati sul banco degli imputatiriguardava gli scontri avvenuti il 20 luglio 2001 in piaz-za Manin dove manifestavano diverse associazioni reli-giose e di pacifisti. I poliziotti, in forza al VII RepartoMobile di Bologna, furono inviati in piazza dove alcuniblack bloc si sarebbero infiltrati. Fra gli arrestati vi furo-no i due spagnoli che, secondo il pm, sarebbero statiaccusati ingiustamente di aver lanciato una bottigliaincendiaria l’uno e di essersi scagliato contro gli agentiimpugnando una sbarra di ferro il secondo. Ad appellarsicontro la sentenza di primo grado erano stati il pmFrancesco Albini Cardona che aveva chiesto 4 anni e leparti civili, gli avvocati Emanuele Tambuscio e LauraTartarini.

19 dicembre 2011http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/12/19/AO46MLXB-cassazione_confer...

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Processo per il pestaggio a Paolo Scaronii poliziotti non ricordano nulla

Quattordici i testimoni, otto ore di udienza e una pausa dimezz’ora: uno dopo l’altro i funzionari della polizia cheil 24 settembre 2005 erano in servizio in stazione hannocercato di ricordare quel che avvenne. Ricordi non certi,scontri che si verificarono ma nessuno li ha descritti,scontri che non compaiono nelle riprese effettuate da dueispettori della Digos e da due funzionari della Scientifica.Le immagini di un gruppo di poliziotti che circonda qual-cuno a terra non ci sono. L’unico ricordo di una scenasimile, anche se non sa se si trattasse di Paolo Scaroni, èquello di un tifoso bresciano che, inseguito nel corso diuna carica, prese una manganellata sulla schiena.«Arrivato al primo binario vidi uno a terra circondato dapoliziotti che lo picchiavano. Non ho visto la testa, nonso dire chi fosse». Poi si guardò alle spalle ma quando sigirò verso il binario non vide più nessuno: «Paolo mi siavvicinò e mi disse in dialetto “me ne hanno date tante”,poi salì sul treno». Scese poco dopo sorretto da dueamici: di lì a poco nella sua mente sarebbe calato il buiocausato da una frattura della scatola cranica per i colpiinferti dai manganelli impugnati al contrario. Ricordi nonprecisi, solo il responsabile del servizio d’ordine ha rela-zionato con dovizia di particolari. Ha ricordato ogni fase,ogni ordine e ha spiegato perchè, mentre discuteva conun gruppo di tifosi sulla liberazione di alcuni arrestati,disse ai suoi di far salire a forza tutti sul treno. Seguironocariche e scontri, lanci di sassi e bottiglie e un repartovenne spostato all’altezza della scalinata (quello diBologna raggiunto poi da un gruppo di Padova in aiuto aicolleghi in difficoltà) dalla quale stava salendo PaoloScaroni. Un processo in cui si sono sovrapposte le versio-ni sulla stessa circostanza e il pm Beatrice Zanotti haricordato a un funzionario che le informazioni non veri-tiere contenute nelle relazioni di servizio sono cosa diver-sa dalla testimonianza in aula. Un ammonimento resonecessario perchè nel complesso processo che vedeimputati otto poliziotti della Celere di Bologna, accusatidi aver usato i manganelli al rovescio e di aver pestato un

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tifoso, è che la polizia «forzò» i bresciani a salire sultreno perchè, si sostenne, alcuni di loro occupavano ibinari impedendo al treno di partire. Una situazione che èstata smentita dai macchinisti: «I binari erano liberi,davanti non c’era nessuno. Non so se ci fossero problemiin coda o lateralmente, ma non c’erano tifosi sui binari.Tant’è che sentii odore di fumo, non capivo cosa fosse espensi la motrice». Erano i lacrimogeni: il primo lanciatosenza che fosse stato dato l’ordine, poi altri due e questoscatenò la reazione dei tifosi. Il resto furono cariche dialleggerimento e poi lanci di sassi. E a confermare chealcuni colleghi del reparto mobile usavano i manganellial contrario è stato un altro funzionario di polizia, ma diBrescia: «L’ho visto fare anche altre volte». Un processonel quale tutti i dirigenti hanno ammesso che vi furonoscontri, ma non hanno descritto nessuna azione particola-re: «Era difficile riprendere in quelle condizioni», hannospiegato gli operatori. Ci sono però due frammenti di dia-logo sulle cassette digitali originali e non riversati sulnastro Vhs che fu in un primo momento consegnato allaprocura. Due momenti: in uno si sente l’urlo (probabil-mente dell’operatore), un «noooooo» al quale non seguo-no riprese. Nel secondo si sente dire che il questore liavrebbe incarnati e poi «scolta, ti prova a guardar subitole immagini de quel…», ma poi il video si interrompe. Gli imputati, tranne uno, ieri c’erano, le difese (CalabriaCilento d’Hauteville, Cherubino, Rosciani e Pacifico) diRulli e Barbirato hanno obiettato che i due agenti figura-vano essere autisti, che non potevano essere sui binari eche non erano stati sentiti in fase di indagine. Ma fino adoggi (come ha sottolineato il presidente del collegioMarzio Guidorizzi) erano tutti contumaci e non hannomai chiesto di essere sentiti. Il pm ha chiesto il loro inter-rogatorio e in una delle prossime udienze ognuno spie-gherà il proprio ruolo. Nessun funzionario vide poliziottipicchiare qualcuno, nessuno vide tifosi a terra o poliziot-ti circondati da tifosi. Solo un ispettore della Digos hadetto di aver visto un tifoso che nel corso degli scontrisbatteva la testa contro un vagone: «Un rumore pazzesco,lo vidi chiaramente battere contro il vagone, tenersi latesta tra le mani e poi salire sul treno». Ma non si sa chifosse.

14 gennaio 2012fonte: www.osservatoriorepressione.org

Manganellata a studentessa, carabiniere a processo

Bologna, 29 ottobre 2011 - Bologna, 29 ottobre 2011 - IlPM Morena Plazzi ha disposto la citazione diretta a giu-dizio di un carabiniere di 32 anni con l'accusa di lesionivolontarie perchè, secondo l’accusa, colpì con una man-ganellata una studentessa in via Zamboni.Quel giorno, nell’aprile del 2009, gli studenti di Bartlebyprotestavano davanti al rettorato. Ci furono momenti diconcitazione con spintoni fra carabinieri e manifestanti ein quel frangente il carabiniere avrebbe dato una manga-nellata in testa a una studentessa, che oggi ha 21 anni, diSenigallia. La ragazza era girata di spalle e riportò untrauma cranico guaribile in 40 giorni.Il PM prima di disporre il processo ha acquisito agli attiil manuale d’uso del manganello “Tonfa” (quello con ilmanico) usato quel giorno dal militare dell’Arma.

Il Resto del Carlino

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Manganellate all’indignata: i PM aprono un’inchiesta

per identificare il poliziotto

L’ipotesi d’accusa è quella di lesioni volontarie.L’episodio avvenuto il 12 ottobre davanti alla sede dellaBanca d’Italia di BolognaLa Procura di Bologna ha aperto un fascicolo controignoti per il reato di lesioni volontarie, per gli scontri del12 ottobre scorso fra polizia e indignati davanti alla sededella Banca d’Italia di Bologna, in merito al colpo dimanganello ricevuto in pieno volto da Martina, studen-tessa di Lettere, in seguito alla carica della polizia versola folla di studenti e precari.La Procura ha messo, dunque, al vaglio il comportamen-to della polizia in quei momenti concitati davanti aBankitalia, delegando le indagini alla Digos di Bologna,che sta visionando le immagini e i video di quella matti-nata per individuare il poliziotto autore del gesto. Laragazza non ha ancora sporto denuncia, ma il pm MorenaPlazzi ha aperto d’ufficio il fascicolo, seppure controignoti, vista la rottura di quattro denti inferiori sin dallagengiva, che comportano quindi lesioni permanenti nellamasticazione. In più la giovane riportò anche il rischioper alcuni denti superiori e il labbro tumefatto.“Non avevo mai visto una violenza del genere per azionidi questo tipo, era un gesto simbolico il nostro”, dichiaròMartina alcuni giorni dopo gli scontri. “E’ stata un’ag-gressione fisica e totalmente ingiustificata” aveva accu-sato Patrizio Del Bello, collaboratore dell’avvocatoSimone Sabbatini che segue il caso della ragazza, pun-

La Procura di Bologna indaga sui poliziotti del VII Reparto Mobile

come sui manifestanti “legge uguale per tutti” o solo fumo negli occhi?

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tando il dito verso il VII Reparto Mobile della Polizia diBologna, che “è stato protagonista di alcuni episodi simi-li”. Ricordando alcuni casi, come quello dell’anno scorsoal Motor Show, dove una ragazza perse un dente e “primaancora una giovane studentessa, in Stazione, subì uncolpo che le procurò una lussazione all’anca. E sempreprocedendo a ritroso, ricordo la manifestazione del Cpt,dove un’altra giovane ricevette una grave ferita allatesta”. E Del Bello si chiede se “c’è qualcuno nel VIIReparto Mobile che sfugge al controllo dei capi?”.Intanto, però, proprio in merito alla vicenda della giova-ne ragazza, citata da Del Bello, che riportò una ferita allatesta il 6 aprile del 2009, inizierà il processò per il cara-biniere del battaglione autore di quel gesto, sempre perlesioni volontarie e con l’aggravante dell’uso di arma. Lagiovane, all’epoca ventiduenne, che protestava davanti alrettorato ricevette una manganellata in testa, riportandoun trauma cranico e una prognosi di quaranta giorni. Leindagini condotte dal PM Plazzi tramite la polizia giudi-ziaria, hanno individuato il carabiniere, che è stato citatoa giudizio nell’ottobre del 2012. In quella situazione nonci fu, infatti, alcun disposizione per caricare da parte delresponsabile del servizio, e in un momento di spinte econfusione, partì il colpo verso la giovane, che era dischiena, con un tonfa.Sugli scontri davanti a Bankitalia e per la successiva irru-zione nella sede dell’Unep della Corte d’appello di alcu-ni giorni fa continuano le indagini sul fronte opposto. Cisono, infatti, quattro indagati per i tafferugli, tra questianche Gianmarco De Pieri, leader storico del centrosociale Tpo.Per De Pieri l’accusa è di istigazione a delinquere finaliz-zata all’invasione di edificio pubblico. Gli altri reati ipo-tizzati a seconda dei casi sono resistenza, lesioni e mani-festazione non autorizzata. Per due dei quattro indagati cisono anche le accuse di danneggiamento e rapina per l’ir-ruzione all’Unep. L’accusa di rapina scaturisce dal fattoche a un dipendente sono stati strappati di mano docu-menti e fascicoli.

Il Fatto Quotidiano del 29 ottobre 2011

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Indignati bolognesi vs Bankitalia: 4 indagati, anche leader Tpo

Spuntano 4 nomi nel registro degli indagati per i tafferu-gli di mercoledì scorso durante la manifestazione degliIndignati contro la Banca d’Italia di Bologna e per la suc-cessiva irruzione nella sede dell'Unep della Corte d'ap-pello. A loro carico, a vario titolo, una lunga sequela diaccuse: dall'istigazione a delinquere finalizzata all'inva-sione di edificio pubblico a lesioni e manifestazione nonautorizzata fino alla contestazione per danneggiamento erapina.Tra le persone finite all’attenzione della Procura anche illeader storico del centro sociale Tpo. L’iscrizione deinomi nel registro degli indagati è arrivata dopo che ègiunto in procura il primo rapporto della Digos, a cuidovrebbero seguirne altri quando saranno visionati altrifilmati degli incidenti.

Tra le accuse anche quella di rapina. Per il leader del Tpo l’accusa è di istigazione a delinque-re finalizzata all'invasione di edificio pubblico. Gli altrireati ipotizzati a seconda dei casi sono resistenza, lesionie manifestazione non autorizzata. Per due dei quattroindagati ci sono anche le accuse di danneggiamento erapina per l’irruzione all’Unep. L'accusa di rapina scatu-risce dal fatto che a un dipendente sono stati strappati dimano documenti e fascicoli. Per ora non è ancora giuntain procura la denuncia preannunciata dalla manifestanteche era rimasta ferita negli scontri. “La procura procede-rà - ha detto il procuratore aggiunto Valter Giovannini,portavoce della procura - con serenità, celerità e determi-nazione.”

18/10/2011http://www.bolognatoday.it/cronaca/indignati-banca-ita-lia-indagati-tpo.html

Gli agenti del VII Mobile di Bolognaminimizzano: una goliardata

per ricordare il G8

Le chiamano ricordini, souvenir. Come se dopo lamattanza di Genova, ci volessero anche le magliettecon la foto di gruppo degli agenti del VII RepartoMobile di Bologna, per ricordarsi che loro c’erano.«Non è una vendetta contro gli antiglobalizzatori,non è una ripicca, è solo una maglietta», si giustificaNando Nicoli, segretario regionale del sindacato Siapa Bologna, uno di quelli che al G8 c’era e che ha volu-to mettere la sua faccia e la sua divisa sulla t-shirt.«Loro ci fotografavano e ci mettevano su Internet.Noi li abbiamo fotografati e ce li siamo messi sullemagliette», dice un altro agente - «Il nome no, megliodi no» - anche lui in quel tranquillo week-end dipaura. Ma non ci sono solo le magliette. Ci sono i pensieriniraccolti in un giornalino fatto in caserma alla buona,che gira di mano in mano tra gli agenti. Dove gli anti-globalizzatori sono definiti «zecche». Oppure«parassiti». Contro cui usare «il manganello chescandisce il ritmo di marcia». Contro cui va beneanche l’irruzione notturna alla scuola Diaz diBolzaneto: «Così capiranno, ora, che le cose sonocambiate». E invece non è cambiato niente. Certe cose le hannosempre pensate, magari non tutti. Talvolta le hannoanche scritte. Come si può leggere su un numerodella rivista Polizia del sindacato Siap di tanti mesifa, quando il G8 a Genova era lontano e CarloGiuliani vivo. Dove Pietro Gragnanin, segretarioregionale Veneto del sindacato racconta dei giovanidei centri sociali: «Un branco di autonomi adunatiattorno ad un autoveicolo con bardature carnevale-sche, dal quale provenivano musiche di dubbia fattu-ra e qualità. Il personaggio più fine era tatuato comeun mafioso cinese, sporco come un tombino, vestitocome uno spaventapasseri».

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In Questura a Bologna fanno sapere che la cosa non liriguarda, perché il Reparto Celere dipende diretta-mente dal ministero. Il comandante della casermabolognese, Adriano Camuzzi minimizza: «Sono solomagliette, non è vero come è stato detto che su unac’è un dimostrante a terra attorniato dagli agenti.Non alimentiamo polemiche dove non ci sono». E poidifende i suoi uomini: «A Genova hanno fatto il lorodovere, adesso si sentono messi alla gogna. Sono solomagliette ricordo. Non vedo perché dovrei farle riti-rare...». I più imbarazzati sono quelli del Siap. In un comuni-cato dicono che il sindacato non c’entra niente: «Sitratta di singoli poliziotti che sulle magliette acquista-te al vertice del G8 a Genova, hanno fatto riprodurresulle stesse, foto a loro piacimento». L’equivoconasce perché uno dei settanta agenti con la t-shirt èproprio il loro segretario regionale bolognese NandoVicoli. Che rivendica: «Confermo di essermi fattostampare la maglietta. Smentisco che c’entri il sinda-cato». Alla tipografia di via Marsala il titolare Fausto Salireiricorda gli agenti con la maglietta bianca: «Hannochiesto che ci stampassi sopra la data del G8, poi ilnome di Genova e bello in grande: io c’ero». E anco-ra: «Alcuni avevano una foto scattata mentre erano indivisa e in posa a Genova, altri mi hanno portato laprima pagina del Secolo XIX. Certo che ho capito cheerano poliziotti, anche se non erano in divisa ho capi-to subito...». Sessanta, settanta magliette commissionate. Alcuneanche di taglia small, per i bambini. Uno scandalo,per una pattuglia di deputati bolognesi del centrosi-nistra che ha presentato un’interrogazione parlamen-tare. Una cosa normale, per Nando Nicoli: «Abbiamorinunciato alle ferie per essere a Genova. Abbiamofatto il nostro dovere e nessuno ci ha difeso. Non vedoperché aver fatto una banalissima maglietta, abbiaprovocato tutto questo trambusto. Noi non siamocome gli estremisti». Sarà anche vero che c’è una bella differenza tra esse-re poliziotto o antiglobalizzatore. Però non basta lamaglietta, per capirlo. Adesso che le hanno fatte tutti,che anche i poliziotti hanno la loro c’è il rischio di nondistinguerli più. Nando Nicoli replica: «Siamo ama-reggiati e molto delusi per tutto questo. Ogni situa-zione, anche la più innocente, viene strumentalizzataa nostro danno. Io non ci vedo niente di male in quel-lo che abbiamo fatto. E’ solo un ricordino, è solo unamaglietta per non dimenticare». Gli agenti che escono alla spicciolata dalla caserma aun passo dalla stazione non hanno voglia di parlare.Dicono di non sapere nulla delle t-shirt, dello sfogoaffidato a quelle fotocopie che si passano l’un l’altro.Eppure se a Genova sono andati in 270, uno su quat-tro ha la sua bella maglietta. E uno è magari questoragazzone che scappa via veloce, e dice appena: «Io aGenova c’ero. E non ho paura a dirlo».

La Stampa, 3 Agosto 2001

Dalla sentenza di condanna del Tribunale di Genovanei confronti di Antonio Cecere, Luciano Beretti,Marco Neri e Simone Volpini:

(...) come si evince dal complesso delle risultanzedibattimentali, nel primo pomeriggio del 20 luglio2001 (segnatamente alle ore 14,56, cifr. pag 11 rela-tivo brogliaccio comunicazioni radio) un sostanzio-so contingente di circa 100 uomini - impegnati nelservizio di ordine pubblico nelle giornate conclusi-ve del vertice G8, interessate da imponenti e tumul-tuose manifestazioni di piazza - venivano inviatidalla Centrale Operativa nella circoscrizione citta-dina di Marassi, ove facinorosi appartenenti al c.d"blocco nero” avevano preso d'assalto la localeCasa Circondariale e danneggiato le autovetture insosta. Si trattava invero di due distinti contingenti -il Reparto Mobile di Firenze ed il Reparto Mobile diBologna (cui appartengono tutti gli imputati)-entrambi coordinati dal 1° Dirigente dott. SalvatorePagliazzo Bonanno.Al comando del contingente di Bologna era statoassegnato i1 Vice Questore Aggiunto della Polizia diStato Cinti Luca.

Il VII Reparto Mobile di Bologna al G8 di Genova e gli uomini

che ne erano al comando

Estratti dall’articolo de il manifesto

G8 Genova - «Facciamo dei prigionieri»19.07.2007

Sono le 11 di mattina quando le prime azioni del«blocco nero» toccano il confine tra il resto dellacittà e la zona gialla, in particolare nella zona norddella città. Prima le adiacenze del carcere diMarassi e poi piazza Manin, dove sono riuniti dallamattina i pacifisti della Rete Lilliput. A est dellacittà, nello stadio Carlini, il corteo delle tute bian-che si sta preparando a partire.(..)(..) Anche il dirigente Salvatore PagliazzoBonanno, con i reparti Mobili di Firenze e Bologna,viene spedito a piazza Manin. Ci va per inseguire iblack bloc, ma finirà per lanciare la carica contropacifisti dalle mani alzate dipinte di bianco. Allafine i feriti saranno sessanta, due gli arrestatirecentemente prosciolti da ogni accusa. Gli agentiche li hanno fermati sono ora sotto processo percalunnia.Radio: operativo. Pagliazzo Bonanno: Confermosono stati sparati anche lacrimogeni. R:Attenzione, cerchiamo di fare dei fermati cerchia-mo di portare via delle persone, cerchiamo di faredei prigionieri. \ Avanzate e fate dei fermati, ripe-to avanzate e fate dei fermati, date ricevuto. P-B:Ricevuto. \ Sono tutti qua con le mani alzate. Imanifestanti quelli facinorosi si sono allontanatipurtroppo. R: I feriti sono nostri? P-B: No sono deidimostranti.

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Estratti dall’omonimo articolo pubblicato il 10 maggio2002 su Diario: Anno VII – numero 18

(..) I funzionari (cioè dai commissari ai vicequestori) sonoin agitazione. È la stessa Anfp che il 10 luglio dello scor-so anno ha indirizzato al capo della polizia Gianni DeGennaro una durissima lettera in cui si denuncia che «inpoco più di un anno di nuova gestione circa l’80 per centodei funzionari è stato avvicendato e ben otto divisioni sudieci hanno cambiato dirigente». E ancora: «È sintomati-co poi che, in una serie di importanti occasioni, si sianoripetuti gravi turbamenti dell’ordine pubblico con esitimai registrati nelle due precedenti gestioni. Una concausacerta dei disordini è stata anche l’irrazionale sottovalu-tazione dei rischi e la mancata predisposizione di misure,mezzi e uomini idonei e sufficienti a fronteggiarli», scriveil sindacato di Aliquò, che pure dopo il G8 di Genova sischierò nettamente con il governo e contro i manifestanti.Si punta tutto, insomma, per esempio sulla Squadramobile, senza però far sì che le informazioni raccolte tro-vino «in alcun modo supporto in un efficiente servizio diintelligence, evidentemente ritenuto inutile». Aliquò critica i magistrati napoletani, soprattutto perchénell’ordinanza usano «categorie logiche offensive eingiuste che fanno dei poliziotti inquisiti una sorta diassociazione a delinquere, anziché delle singole personeaccusate di reati». Però afferma anche che la manifes-tazione del 17 marzo non è stata gestita, come era oppor-tuno che fosse, assieme alla Digos, l’ufficio competenteper le manifestazioni politiche, e «al di là di eventualireati commessi, perfino le perquisizioni», aggiungeAliquò, «andavano condotte in un altro modo: gli agentidella Mobile sono abituati a far fare le flessioni agli spac-ciatori fermati per verificare se sono in possesso di ovulicon sostanze stupefacenti; ma a Napoli la situazione eracompletamente diversa. In questi anni», continua, «i capidella polizia, da Ferdinando Masone a Giovanni DeGennaro, hanno privilegiato nelle promozioni e nelleassegnazioni degli incarichi coloro che provenivano dalcircuito delle Squadre mobili, spesso giovani e brillantifunzionari rampanti privi però di grosse esperienze.Tranne una breve parentesi con Ansoino Andreassi, laDigos è stata abbandonata a se stessa: perfino nel pool chesta indagando sull’uccisione del professor Marco Biagigli uomini di quell’ufficio svolgono soltanto un ruoloresiduale». Lo sfogo del rappresentante dei funzionarinon si ferma qui: «Ci troviamo di fronte a problemi dimetodo che vanno dal reclutamento alla formazione, finoall’avanzamento di carriera. Nella precedente legislaturaè stato modificato il concorso per funzionari direttivi ementre prima si assumevano 2.900 laureati esterni all’am-ministrazione, oggi sono soltanto 1.900, a cui si affian-cano però 1.300 unità interne prive di cultura universi-taria. Anche l’addestramento lascia a desiderare: funzio-nano quelli per le Squadre mobili, anche se poi gli uomi-ni deputati all’ordine e al soccorso pubblico vengonospesso impiegati in tutt’altre attività; invece da una deci-na d’anni non organizza un corso la Polgai, la scuola dipolizia giudiziaria, amministrativa, investigativa. Non siparla più di Digos e nemmeno di Dia (la Direzione inves-

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tigativa antimafia, ndr), si invoca invece la polizia diprossimità: in uniforme, presente in ogni quartiere,pronta – si pensa – a entrare in azione in flagranza direato; di fatto un controllo militare del territorio che,privo come sarà di strumenti necessari per la conoscenzae la prevenzione, abbasserà il livello di attenzione sullacriminalità». A proposito di formazione Rita Parisi, fun-zionaria bolognese del Siulp, racconta che «alla scuola dipolizia di Spoleto fanno marciare anche i tecnici infor-matici e i periti chimici, l’anno scorso li anno pure man-dati d’ufficio alla messa di Pasqua. Le scuole sono inmano a ex militari, e l’impronta è quella». (..)

Le cronache sulle violenze poliziesche spesso riportanofoto di Mussolini nei portafogli, cellulari che trillano con«Faccetta nera», manifestanti apostrofati con «sporcocomunista» e così via. Molti si preoccupano, ma secondogli esperti il problema ideologico è limitato e non spiegamolto. «Non è che la polizia possa diventare di destra daun momento all’altro, come se ci fosse un GrandeFratello», sostiene Salvatore Palidda, sociologodell’Università di Genova e studioso dell’argomento (hascritto per esempio Polizia postmoderna. Etnografia delnuovo controllo sociale, Feltrinelli, 2000). «C’è unprocesso in corso da anni, dalla riforma dell’81, quelladella smilitarizzazione, dell’ingresso delle donne, dellasindacalizzazione. Una riforma spinta dalla componentedemocratica della polizia, che poi è stata trascurata dallaCgil e dalla sinistra di partito. Risultato, ora ci sono 25sindacati di polizia, che puntano soltanto alla cogestionetotale delle carriere, dei trasferimenti, delle indennità,con dirigenti che arrivano a posti di responsabilità per“meriti” sindacali e non professionali». Un «tradimento»confermato da molti poliziotti progressisti, oggi divisi fraSiulp (confederale a maggioranza Cisl) e Silp (Cgil). Algoverno il centrosinistra si è occupato solo dei vertici,lamentano molti, ma ha lasciato la rappresentanza dellabase ad AN, che ha portato in Parlamento poliziotti ecarabinieri di ogni grado. Negli anni Settanta moltipoliziotti votavano PCI per spinta ideale, oggi i sindacatiagiscono per lo più con logiche corporative e non c’èspazio per denunce deontologiche. Dei circa 110 milapoliziotti italiani, oltre la metà è iscritta a un sindacato.Tredici sigle hanno una vera rappresentatività perché, dasole o federate tra loro, superano la soglia del 5 per centodegli iscritti totali (quindi circa 3.500 adesioni). Un’altradozzina sono al di sotto della soglia. Il meccanismo portaa una vera e propria gara per accaparrarsi gli iscritti, dovela rincorsa di benefici economici e professionali valemolto di più degli scrupoli «democratici». Il Siulp contacirca 28 mila iscritti, il Sap (vicino ad AN) 19 mila. Aparte il Silp-Cgil e il Coisp (indipendente), quasi tutte lealtre sigle autonome gravitano a destra. (..)

Poi c’è l’immagine esterna. Dai primi anni Ottanta in poisolo gli ultras da stadio e alcune aree antagoniste moltolimitate hanno avuto a che fare con manganelli e lacrimo-geni. Fra i trentenni di oggi era più diffusa la simpatia perchi rischiava la pelle contro la mafia che non l’astio peril celerino. Oggi per molti non è più così. La frattura haun simbolo preciso, un posto, un giorno, un’ora: alle15.19 di venerdì 20 luglio 2001 un gruppo misto di uncentinaio di celerini di Bologna e Firenze, agli ordini delfunzionario Salvatore Pagliuzzo Bonanno, attacca con

Pubblica insicurezza

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lacrimogeni e manganelli un gruppo di manifestanti antiG8 riuniti in piazza Manin a Genova. Non è un corteo mauna piazza tematica (ampiamente annunciata e autorizza-ta dalla Questura, con regolare licenza dei vigili urbaniper i banchetti) su pace, non violenza, commercio equo esolidale. Ci sono la Rete di Lilliput, fondata da padre AlexZanotelli, la Comunità Giovanni XXIII di don OresteBenzi, il Ctm (commercio equo), Mani Tese, Wwf,Legambiente, la Rete contro G8. In prevalenza cattolici,molti alla loro prima esperienza in piazza. Filmati e fotodocumentano la violenza di quelle cariche contro personeinermi con le mani alzate dipinte di bianco. L’avvocatoEmanuele Tambuscio, del Genoa Legal Forum, rappre-senta 25 persone coinvolte in quell’azione, «ferite soprat-tutto alla testa e alle mani, per lo più donne, gente dimezza età, il più anziano ha 65 anni», spiega. I poliziottistavano inseguendo un gruppo di black bloc reduce dal-l’assalto al carcere di Marassi. Secondo le testimonianzeraccolte da Tambuscio, circa 150 «lillipuziani» si sonoschierati per impedire loro di imboccare via Assarotti,verso la zona rossa, dove c’erano altri manifestanti, così ineri hanno deviato in corso Solferino, sfasciando mac-chine e creando barricate dietro di loro. A quel punto ipoliziotti hanno lanciato i lacrimogeni e caricato i paci-fisti «senza alcun avviso», concordano le testimonianze.Molti manifestanti sono stati picchiati mentre stavano conle spalle al muro e con le mani alzate. Qualcuno, poi, hadetto all’avvocato Tambuscio: «Pensi che quando ho vistola polizia ero contento, pensavo avrebbero fermato i blackbloc». Fra i tanti casi genovesi, piazza Manin è simbolicoperché ha coinvolto persone che fino a quel momentodella polizia si fidavano pure. Hanno cambiato idea. (..)

(..) ADDESTRAMENTO CELERE. Giuseppe Boccuzzi èun agente del VII Reparto Mobile di Bologna e membrodella segreteria provinciale del Siulp. A Genova non cel’hanno mandato ma ha partecipato all’addestramento preG8 a Ponte Galeria, una specie di corso segreto di cui isindacati non riuscirono a sapere nulla. Qui furonointrodotti i nuovi manganelli tonfa e le marcette ritmate acolpi di manganello sugli scudi. «Il corso è nato sull’onda dell’emergenza G8, mi è sem-brato improvvisato», racconta Boccuzzi. «Ci insegnavanosoltanto a reprimere e non a prevenire, il movimento noglobal ci veniva presentato come il nemico, non c’è statanessuna formazione sulle varie componenti del movimen-to, nessuna distinzione fra gruppi violenti e pacifici. Cisiamo preparati ai grandi lanci di molotov, a camminaretra le fiamme, a scendere dai mezzi in corsa La violenza «inedita» esercitata a Napoli e Genova anchesu chi non aveva nulla a che fare con gli scontri è anche ilfrutto di un clima politico: secondo Boccuzzi, «qualcunoha lavorato sui poliziotti, in campagna elettorale ci hannopromesso mari e monti, c’è stato un matrimonio fra unaprecisa forza politica e una parte della polizia, rappresen-tata dai sindacati autonomi, e si è lasciato intendere unsenso di impunità per chi violava le regole. A Napoli nonc’era più un governo, si aspettava quello nuovo e intantocomandavano i burocrati dei ministeri. Si è lavorato sulleteste dei poliziotti, si è individuato nel movimento ilnemico per eccellenza. (..)

La celere agisce spesso sotto gli occhi delle telecamere,ma il sociologo Salvatore Palidda invita a guardare anche

altrove: «Negli ultimi due anni si registra una continuasequenza di episodi di violenza durante i controlli sullestrade, nelle Questure, nelle caserme dei carabinieri, nellecarceri, dove sono tornate in azione le “squadrette puni-tive” notturne. La destra cresce nel Paese e questo siriflette nei comportamenti violenti della polizia, quandoper esempio fa le “bonifiche” di certi quartieri e se laprende con immigrati, zingari, prostitute, tossicodipen-denti, tutta gente che non potrà mai denunciare nulla».Diverse associazioni impegnate su questi fronti confer-mano il fenomeno.

(..) I poliziotti che smascherano questi episodi spesso siritrovano contro i colleghi. A Bologna brucia ancora lastoria della Uno bianca, i 23 morti ammazzati per manodella banda composta da 5 poliziotti diretti da RobertoSavi, assistente capo della sala operativa della Questura,arrestato nell’ottobre 1994: «All’epoca denunciammo imetodi “ruvidi” della Squadra volante dove Roberto Saviprestava servizio, avevamo riscontrato abusi», raccontaGigio Notari, segretario provinciale del Siulp a Bologna.«Questo ci causò problemi con i colleghi, tanto più chequelle Volanti facevano un numero record di arresti.Furono perciò ritenute un modello di efficacia ed efficien-za e così Roberto Savi si ritrovò ad addestrare colleghi ditutta Italia. (..)

L’ultimo processo

La mattina del 20 luglio 2001 in piazza Manin un drap-pello della celere che inseguiva i black bloc irruppe inmezzo al presidio più innocuo di tutto il summit: ReteLilliput, cattolici veneti, molti dei quali pensionati.Senza un motivo, a freddo vennero pestati dagli agentidell’antisommossa. Tra questi, anche due ragazzi spa-gnoli che in un momento di calma si avvicinarono con lemani alzate a un gruppo di agenti per chiedere di poterpassare. Manganellati senza pietà. Il pm FrancescoCardona Albini dopo l’assoluzione di primo grado haottenuto, nel luglio del 2010, la condanna in appello perquattro poliziotti di Bologna responsabili di quell’enne-simo pestaggio. Per ognuno di loro la pena è stata diquattro anni per falso ideologico in atto pubblico nelverbale d’arresto. Scrivono i giudici dell’appello: «Èfalsa la circostanza secondo cui gli arresti dei due spa-gnoli sarebbero avvenuti in un contesto di scontri tramanifestanti e polizia. Dai filmati si vede benissimocome gli arrestati si siano diretti a mani nude contro iblindati della polizia». A sostegno della tesi dello scon-tro vi fu la deposizione, in aula, dell’ex comandante delReparto Mobile di Bologna, il vicequestore MassimoCinti, poi promosso al commissariato di Imola. Secondoi giudici la sua fu una falsa testimonianza e trasmiserogli atti alla procura perché lo indagasse. Il pm CardonaAlbini, a differenza di altri suoi colleghi, il fascicolo nonlo sopprime e così, proprio in questi giorni, per il vice-questore Cinti sta per arrivare la richiesta di rinvio a giu-dizio. Se il gip accetterà la tesi della procura il suo saràl’ultimo processo del G8.

4/2011da Micromega “Genova 2011, impunità di Stato”

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Avanti, con forza, coraggio e determinazione!

Difendiamo con mille iniziative le conquiste di civiltà eprogresso che i nostri padri hanno strappato durante laprima ondata della rivoluzione proletaria sotto la direzio-ne del Partito comunista italiano!

A Bologna tre membri del P.CARC, del SLL e un altrocompagno sono processati con l’accusa di “violazionedella legge sulla privacy, istigazione a delinquere e diffa-mazione” perché, secondo il PM Morena Plazzi, avreb-bero collaborato a rendere i noti volti di agenti di poliziasul sito Caccia allo sbirro realizzato dal (nuovo)Partitocomunista italiano. E’ un processo che mira a intimidire e scoraggiare la col-laborazione con Caccia allo sbirro e altri siti simili, lacreazione di siti (copwatching) che trasmettono foto e fil-mati di agenti responsabili di abusi, di infiltrati e spioni,di provocatori. Perché sono efficaci, colpiscono nel segno, scoraggianoalmeno in una certa misura i servitori dello Stato dall’es-sere “disposti a tutto”, a ogni manovra, arbitrio, violenzae delitto, come apertamente li incitava a essere Kossiga,predecessore e maestro di Napolitano. I siti di copwatching invece rafforzano tutte quelle orga-nizzazioni e associazioni che già in altri modi protestanocontro le violenze e gli arbitri delle forze dell’ordine: raf-forza i familiari e amici di persone uccise o ferite, raffor-za quanti chiedono che poliziotti e soldati portino ilnumero di matricola ben visibile e che il reato di torturavenga introdotto nel codice penale del nostro paese, raf-forza quelli che non si arrendono e si mobilitano per farluce sulle stragi di Stato: da Portella della Ginestra aPiazza Fontana, da Brescia a Ustica fino alle protezioni ealle complicità di cui si avvalgono i fascisti di CasaPound, Forza Nuova e affini.

Denunciare, smascherare e rendere noti volti e nomidegli “agenti provocatori pronti a tutto” e dei loro man-danti - è una prima elementare forma di vigilanza demo-cratica per ostacolare fino a rendere impossibile ai pic-chiatori dei manifestanti, ai torturatori della Diaz e diBolzaneto, agli aguzzini degli immigrati rinchiusi neiCIE, agli assassini di Carlo Giuliani, Stefano Cucchi eFederico Aldrovandi, ai rapitori di Abu Omar di conti-nuare impunemente a svolgere la loro opera protetti dal-l’anonimato, e magari fare anche carriera,- è un’operazione di democrazia e trasparenza, cheriguarda anche quella parte delle forze dell’ordine chenon vuole prestarsi al lavoro sporco contro le masse

popolari italiane e immigrate,- è una forma di autodifesa per chi si organizza e lottacontro la crisi, i suoi effetti e i suoi responsabili e percostruire un nuovo mondo possibile e necessario,- è uno strumento pratico per sbarrare la strada alla deri-va autoritaria nel nostro paese.

Questo dossier contiene articoli, documenti, dichiarazio-ni che fotografano (anche se, per forza di cose, in modonon esaustivo) la trama di arbitrio e illegalità crescentinel nostro paese, mostrano che gli abusi, le violenze, icrimini delle forze dell’ordine non sono opera di qualche“mela marcia”, ma il risultato di progetti eversivi o l’ef-fetto collaterale della deriva autoritaria promossi da unaparte (quella più reazionaria e criminale) della classedominante stessa, ma soprattutto informano su alcuneiniziative contro l’arbitrio e la prepotenza, l’illegalità e letendenze eversive delle Autorità, delle loro forze dell’or-dine e delle loro forze armate. Queste iniziative fannoparte della resistenza che le masse popolari oppongonoall’aggravarsi della nuova crisi generale del capitalismo,alle misure antipopolari, come i decreti del governoMonti, che i padroni e i loro Stati adottano. Queste inizia-tive contribuiscono a mobilitare e organizzare le massepopolari perché creino il nuovo ordine sociale e il nuovopotere che sostituiranno quello dei capitalisti, dei ban-chieri, degli speculatori, del Vaticano. I siti di copwatching e le altre iniziative di vigilanzademocratica contrastano la prepotenza che sempre piùspesso e su larga scala le forze dell’ordine dispieganocontro la masse popolari. Iniziative analoghe sono preseda associazioni e singoli esponenti di movimenti pro-gressisti in altri paesi imperialisti, in particolare negliUSA e in Francia. Infatti anche negli altri paesi imperia-listi le forze dell’ordine diventano sempre più brutali e siabbandonano ad azioni criminali. Ritornano alle praticheche le masse popolari mobilitate dal movimento comu-nista le avevano costrette a ridimensionare. Vi ritornano non a caso. Vi ritornano perché i padroni, icapitalisti, i banchieri, gli speculatori stanno sopprimen-do le conquiste di benessere economico e di sicurezzasociale che le masse popolari avevano imposto: i dirittidei lavoratori, i diritti politici, i diritti sindacali, i diritticivili, i diritti che tanto hanno migliorato la vita delledonne, dei bambini, degli anziani, degli ammalati. Man mano che i padroni distruggono queste conquiste diciviltà, di benessere e di progresso, parallelamente sele-zionano e addestrano le forze dell’ordine perché compia-no operazioni sporche contro i comunisti, gli oppositoripolitici e le masse popolari, in particolare quelle immi-grate. Le autorità del nostro paese non hanno neanche

http://www.abusesbirro.com/

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approvato gli accordi internazionali contro la tortura cheavrebbero impedito le assoluzioni di Genova. Negli USAla classe dominante sta decidendo di togliere la cittadi-nanza agli americani che si ribellano all’ordine costitui-to, per applicare anche contro di loro le leggi che giàapplicano agli stranieri, le leggi antiterrorismo che per-mettono alla polizia e alla forze armate di far sparire lepersone senza processo, senza intervento di tribunali e diavvocati, come in Europa si faceva nel Medioevo finoalla Rivoluzione Francese. Le leggi e i regolamenti cosiddetti antiterrorismo sonodiventati la chiave non solo per aggredire i paesi “indoci-li” (dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria), maanche per permettere ogni arbitrio anche nei paesi impe-rialisti, senza abolire ufficialmente le leggi che proteggo-no la popolazione dall’arbitrio delle Autorità. Questeleggi vengono abolite di fatto, come di fatto da noi igoverni Monti, Berlusconi e Prodi, a braccetto con il pre-sidente Napolitano e con la benedizione del Vaticanohanno abolito la Costituzione che pone il lavoro a fonda-mento dell’unità della società e del paese, che stabilisceil diritto al lavoro e a un salario dignitoso per ogni adul-to, che vieta al governo italiano di partecipare a guerre.Loro moltiplicano i disoccupati, hanno fatto del denaro edella ricchezza il fondamento della società e hanno lan-ciato il nostro paese nell’aggressione dei paesi oppressi icui governi non obbediscono alla comunità internaziona-le dei banchieri, degli speculatori e dei generali. Questo dossier è uno strumento di denuncia e informa-zione, di lotta, di formazione della coscienza che guida lemasse popolari alla lotta e alla vittoria. Che contribuiscaanche a promuovere la solidarietà con i compagni proces-sati perché si battono per difendere, attuare ed estenderele conquiste e i diritti democratici conquistati con laResistenza e sanciti (almeno formalmente) dallaCostituzione.

Il Piccolo Manuale di Difesa Legale è stato realizzatocon l’obiettivo di creare uno strumento attraverso cuiformare le compagne e i compagni per metterli nellacondizione di far fronte in maniera adeguata alle prin-cipali situazioni in cui si articola l’azione repressivasvolta dagli apparati dello Stato della borghesia impe-rialista nei confronti dei comunisti, delle avanguardiedi lotta e del movimento di resistenza. Il MAL è un opuscolo sintetico, chiaro, che cerca diandare “dritto al punto”: nei vari capitoli sono indicatele cose che la legge borghese permette di fare allecosiddette forze dell’ordine, quello che spesso viene daesse fatto violando le stesse leggi borghesi e come biso-gna comportarsi per far fronte alle varie situazioni. E’ utile per i giovani compagni che si trovano alleprime esperienze con la repressione, ma anche perquelli che hanno decenni di militanza alle spalle: alcu-ne recenti esperienze vissute da compagni giovani emeno giovani dimostrano infatti che la formazionedeve essere continua e che tutti abbiamo lacune da col-mare, anche in questo campo. Anzi, spesso il campodella lotta alla repressione è quello più insidioso e quin-di necessita di un particolare lavoro di studio e di veri-fica delle proprie concezioni e atteggiamenti. La lottarivoluzionaria non lascia spazio ad atteggiamentisuperficiali e approssimativi che si ritorcono contro icompagni stessi e il collettivo di appartenenza. E’ un opuscolo dinamico, che lega teoria e pratica, cheguida l’azione, né accademico né stantio, proprio comedeve essere la formazione di cui abbiamo bisogno peravanzare nel ruolo di agenti trasformatori della realtà.Auguriamo a tutti i compagni buono studio e buon uso!

La Direzione Nazionale del Partito dei CARC

Piccolo Manuale di Autodifesa Legale36 pag.-5euroPuoi ordinarlo a Rapporti Socialivia Tanaro 7 -20128 Milanotel./fax: 02.26.30.64.54

Lo Stato censura Copwach rinasce

https://copwatchnord-idf.eu.org/?q=node/114