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Lottare contro i Cambiamenti Climatici Una nostra responsabilità nei confronti delle future generazioni Adottato dall’Ufficio Politico del PPE il 7 febbraio 2008 a Madrid

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Lottare contro i Cambiamenti Climatici Una nostra responsabilità nei confronti delle future generazioni

Adottato dall’Ufficio Politico del PPE il 7 febbraio 2008 a Madrid

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Indice

1. INTRODUZIONE ............................................................................................................... 3

2. COME STA CAMBIANDO IL CLIMA DELLA TERRA? …….............................................. 6

2.1. L’effetto serra e il riscaldamento globale ........................................................................................... 6

2.2. I sintomi del riscaldamento globale ....................................................................................................... 7

2.3. I “punti di non ritorno” che generano un “riscaldamento galoppante” ........................................................... 9

3. LE RIPERCUSSIONI ECONOMICHE DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI .......…………........10

3.1. I costi del cambiamento climatico .................................................................................................................... 10

3.2. Le opportunita’ legate alle azioni contro il cambiamento climatico..................................................................12

4. COMBATTERE I CAMBIAMENTI CLIMATICI IN EUROPA ................................................. 13

4.1. Promuovere l’efficienza ed il risparmio energetico ......................................................................................... 13

4.2. Decarbonizzare l’economia ..................................................................................................................... 14

4.2.1. Lo scambio dei permessi di emissione ......................................................................................... 15

4.2.2. Fonti di energia a bassa emissione di CO2 .......................................................................................16

Le energie rinnovabili ........ ……….............................................................................................16

L’energia nucleare ……………………………………………………………………………. 16

4.2.3. I combustibili fossili .................................................................................................................... 17

4.3. Altri gas serra ................................................................................................................................................... 17

4.4. La lotta contro la deforestazione .........................................................................................................................17

5. ADATTARSI AI CAMBIAMENTI CLIMATICI ....................................................................... 18

6. UNA SOLUZIONE GLOBALE PER UNA MINACCIA GLOBALE .................................... 19

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“L’unica battaglia perduta è quella che non si è mai combattuta” – Loyola de Palacio 1. Introduzione Oggi il riscaldamento globale è già una realtà. In tutto il mondo possiamo osservare le conseguenze del rapido surriscaldamento avvenuto in un breve periodo di tempo. Nel corso dell’ultimo secolo (1906 – 2005), la temperatura della superficie terrestre è aumentata in media di 0,74°C. Più di recente, l’aumento delle temperature globali è stato drammatico: 11 degli ultimi 12 anni (1995 – 2006) sono annoverati tra i 12 anni più caldi mai registrati dal 1850, incluso l’anno record del 1998. Se a ciò aggiungiamo il progressivo scioglimento dei ghiacciai, della banchisa e del ghiaccio terrestre, e stagioni di crescita sempre più lunghe nell’Emisfero Nord, non possiamo che aspettarci profondi cambiamenti nella biosfera. Nel 2007 la banchisa del mar Artico ha toccato il minimo storico: 2 milioni di chilometri quadrati in meno rispetto alla media degli ultimi 25 anni. Mentre il cambiamento climatico è un fenomeno globale che tocca specificatamente le popolazioni e le regioni più vulnerabili, il suo impatto negativo può e deve essere valutato in maniera globale. Sia la comunità internazionale, l’Unione europea, ogni stato membro, le nostre regioni e gli enti locali, che i nostri cittadini possono fare la differenza. Il PPE crede che anche dei piccoli cambiamenti nel nostro comportamento riguardo al consumo energetico possano essere amplificati ottenendo cambiamenti più ampi. L’impatto che abbiamo sul cambiamento climatico è intrinsecamente legato alle nostre scelte. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCC) ha concluso che le attività dell’uomo stanno alterando il nostro sistema climatico e continueranno a farlo anche in futuro. I dati scientifici dimostrano che gran parte del riscaldamento in atto è dovuto alle emissioni di gas serra indotte dall’uomo che, per svolgere le sue attività, consuma i combustibili fossili accumulati nel corso di milioni di anni sulla superficie del pianeta. Il contributo dell’uomo in termini di gas serra è enorme: si parla di 26 miliardi di tonnellate ogni anno, solo per quanto riguarda l’anidride carbonica. È inevitabile che una tale variazione nella concentrazione di gas serra nell’atmosfera relativamente bassa del nostro pianeta abbia un’influenza diretta sul clima. Si prospetta inoltre un ulteriore rialzo delle temperature dovuto all’inerzia termale degli oceani. Negli ultimi anni abbiamo rilevato un numero crescente di riscontri che rispecchiano le informazioni geologiche in nostro possesso relative al comportamento del sistema climatico della Terra nel corso della storia e che ci fanno intuire cosa possa accadere in futuro se continuiamo ad emettere ai ritmi attuali. Nei momenti di passaggio tra periodi più caldi e periodi più freddi verificatisi in passato, la biosfera terrestre ha sempre reagito mettendo in atto dei meccanismi di retroazione di vasta portata, i cosiddetti feedback positivi. Sfortunatamente però, già oggi possiamo constatare che alcuni di questi meccanismi hanno iniziato a mettersi in moto, come lo scioglimento della banchisa artica, l’acidificazione degli oceani o ancora il fondersi del permafrost in Siberia. Sebbene la questione dei cambiamenti climatici sia alquanto complessa e presenti ancora dei punti poco chiari soprattutto riguardo la futura evoluzione del clima terrestre, si ritiene che gli aumenti di temperatura colpiranno tutti i paesi del mondo con un effetto diretto sulle precipitazioni e l’innalzamento del livello dei mari. Come statuito dall’OCSE, il cambiamento climatico ci pone davanti ad impatti addizionali sui sistemi naturali e socio-economici che sono già soggetto di fluttuazioni climatiche naturali (come la scarsità idrica, periodi di aridità, incendi forestali o alluvioni), e che causano ampi disturbi nella capacità di una società di domare le risorse naturali. Le decisioni che sottostanno alla vulnerabilità delle nostre società nei confronti di simili impatti devono essere prese dai nostri governi nazionali e locali, dalla comunità internazionale, dal settore privato, dalle comunità locali e dagli stessi individui. Una sfida globale ha bisogno di una risposta globale.

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Per questo, ogni decisione politica che mira a ridurre le emissioni di gas serra deve tener conto di questi punti critici. La maggior parte degli scienziati ritiene che, nell’eventualità di un innalzamento della temperatura superiore a 2°C, sarebbe impossibile tenere sotto controllo l’evoluzione del sistema climatico terrestre con una terribile ed inevitabile conseguenza: un surriscaldamento galoppante simile a quello verificatosi 55 milioni di anni fa, con delle ripercussioni catastrofiche per tutte le forme di vita del pianeta. L’azione politica volta a contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C è dunque una priorità assoluta, ma necessita di un grande impegno su scala mondiale. Secondo le previsioni dell’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCC) le emissioni continueranno a crescere in tutto il mondo a velocità allarmante. Il rapporto dell’IPCC indica inoltre che la quantità di CO2 emessa ogni anno dalla combustione di energie fossili è cresciuta del 12% rispetto agli anni Novanta e che il gas serra presente nell’atmosfera è al più alto livello mai registrato negli ultimi 10.000 anni. L’IPCC sostiene che il pianeta non è mai stato così caldo da almeno 1.300 anni. Inoltre, considerando che le emissioni climalteranti sono cresciute costantemente dall’epoca preindustriale (con un aumento del 70% tra il 1970 e il 2004), disponiamo oggi di sufficienti dati scientifici per affermare che le attuali politiche di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici e le connesse azioni di sviluppo sostenibile non sono sufficienti per fermare l’ulteriore incremento delle emissioni di gas serra nei prossimi decenni. Il PPE è convinto che dobbiamo intraprendere azioni decisive. Nel marzo 2007, l’Unione Europea ha stabilito dei chiari obiettivi di riduzione, manifestando così la propria volontà di combattere i cambiamenti climatici. Ma l’UE non è in grado di vincere da sola questa battaglia: può solo controllare parte del problema e dimostrare la propria disponibilità e volontà politica per il raggiungimento di una soluzione globale. Di fatto, nessun’altra regione al mondo è più adatta dell’Unione Europea per svolgere un ruolo trainante in quest’ambito e per stimolare gli altri attraverso le sue stesse azioni. Per il bene dell’umanità, è indispensabile sviluppare strategie più sostenibili per gestire le risorse del pianeta. Dobbiamo dunque iniziare fin da subito ad implementare le politiche, le tecnologie e ed i necessari rimpensamneti mentali necessari a limitare i danni causati dai cambiamenti climatici e a promuovere uno stile di vita più sostenibile. Nel processo di ristrutturazione del mercato energetico quest’ultimo obiettivo deve essere preso in considerazione. Ridurre le emissioni di gas serra significa allo stesso tempo, una maggiore indipendenza dalle importazioni di gas e petrolio. È necessario però, agire in modo equilibrato per garantire la sicurezza di approvvigionamento energetico, investire in soluzioni alternative che potenzino le nostre economie e allo stesso tempo soddisfino il crescente fabbisogno energetico del pianeta, senza portare i livelli di CO2 e di altri gas serra sopra la soglia di allerta. Dobbiamo inoltre tenere presente che la produzione di energia non deve intaccare l’approvvigionamento alimentare della popolazione mondiale. Un cambiamento nel nostro comportamento è richiesto urgentemente data che il cambiamento climatico è già parte della nostra realtà. Il cambiamneto climatico è causato soprattutto dall’uomo che può rallentare il processo climatico. Comunque, sarà impossibile fermarlo o evitarlo completamente. Oggi dobbiamo lavorare ad una strategia di lunga durata in modo tale da raggiungere un punto di svolta. Il cambiamento dei paradigmi deve ancorarsi nelle menti di tutti i responsabili e della popolazione, e ciò deve avere inizio fin dall’infanzia (a scuola ed in famiglia). Siamo tutti responsabili per quanto concerne il cambiamento climatico e tutti, uomini e donne, devono farsi carico di proteggere il clima. Ciò costituisce una responsabilità enorme per ogni singola persona nelle famiglie e nell’industria, nel tempo libero e a lavoro, e anche nelle nostre vite quotidiane. Il PPE, il più grande partito in seno alle istituzioni europee, ha già intrapreso passi significativi per un’azione concreta nell’ambito dell’efficienza energetica, della ricerca e dello sviluppo e della sicurezza dell’approvigionamento energetico. Le nostre proposte per un approvvigionamento energetico più sostenibile, efficace e sicuro sono contenute nel documento “Europe’s Energy Challenge” (“La sfida energetica dell’Europa”) presentato a marzo 2007. La sfida tuttavia è ardua, e trovare delle soluzioni per

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mantenere la Terra un luogo accogliente per le future generazioni è una responsabilità collettiva. Il potere di preservare la vita è nelle nostre mani. E non si tratta solo di una responsabilità politica ma anche morale.

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2. Come sta cambiando il clima della Terra?

2.1. L’effetto serra e il riscaldamento globale Se il nostro pianeta non fosse circondato dall’atmosfera, la temperatura della superficie terrestre sarebbe di -18°C invece dei 14,4°C (13,6°C 100 anni fa) che rendono la vita possibile. Il vapore acqueo e i gas serra come l’anidride carbonica e il metano assorbono parte delle radiazioni solari e impediscono che i raggi siano respinti nello spazio. La Terra mantiene dunque un equilibrio termico tra le radiazioni ricevute dal sole, le radiazioni emesse dal calore della superficie terrestre e l’atmosfera più fredda. Il nesso tra la concentrazione di gas serra nell’atmosfera e la temperatura sulla Terra è stato fatto per la prima volta da un chimico svedese, Arrhenius, verso la fine del XIX secolo. Ogni anno l’uomo immette nell’atmosfera enormi quantità di anidride carbonica, il principale gas a effetto serra (26 gigatonnellate nel 2002, circa 4 tonnellate per persona). Il consumo di combustibili fossili è la fonte primaria delle emissioni climalteranti. Circa il 50% della CO2 che produciamo rimane nell’atmosfera, mentre il 25% circa è assorbito dagli oceani e un altro 25% è assorbito dagli ecosistemi terrestri attraverso la fotosintesi. L’aumento delle temperature ed i cambiamenti climatici riducono la capacità di assorbimento degli ecosistemi. Oggi, i principali produttori di emissioni di anidride carbonica sono il settore industriale (~40%), delle costruzioni (~31%), dei trasporti (~22%) e dell’agricoltura (~4%). Se da un lato la quota prodotta dall’industria sta diminuendo, dall’altro le emissioni prodotte dal settore edile e dei trasporti crescono costantemente ogni anno del 2%. Le emissioni mondiali annue di CO2 sono raddoppiate dal 1970 ad oggi e continueranno in questa direzione se non iniziamo a decarbonizzare le nostre economie. Le attività umane hanno provocato l’aumento delle emissioni anche di altri gas serra, quali il metano (CH4), il protossido d’azoto (N2O) o i clorofluorocarburi (CFC). La temperatura terrestre è sempre stata soggetta ad oscillazioni, dovute a diversi fattori esterni (esposizione solare, gas serra, attività solare e vulcanica, aerosol, l’orbita terrestre) e continuerà ad esserlo. È impossibile contare tutti gli sbalzi di temperatura che l’atmosfera ha vissuto nel corso della sua esistenza lunga 4,5 miliardi di anni. Questi cambiamenti sono stati provocati da eruzioni vulcaniche o alterazioni delle radiazioni solari o da variazioni cicliche dell’orbita terrestre (cicli di Milankovich). I cambiamenti attualmente in corso tuttavia, non hanno niente a che fare con i modelli di origine naturale, ma sono perfettamente conformi ai modelli che includono i gas serra prodotti dall’uomo. I modelli sono chiari: se non avessimo introdotto quantità massicce di gas serra nell’atmosfera sin dall’avvio dell’industrializzazione, la Terra si sarebbe raffreddata nel corso della seconda metà del XX secolo. Il pianeta invece si è riscaldato di circa 0,8°C, con un aumento più marcato nell’Emisfero Nord (la terraferma si scalda più velocemente degli oceani). Le differenze tra i cambiamenti in corso, artificiali e prevedibili, ed i passati cambiamenti naturali sono sostanzialmente due: 1) i primi sono molto più veloci, verosimilmente la loro velocità è superiore a quella di ogni mutamento naturale avvenuto in un periodo di oltre 10.000 anni, e 2) vanno ad aggiungersi ad una serie di altri cambiamenti ambientali che l’uomo ha inflitto alla biodiversità del pianeta, a risorse idriche, suoli, oceani e ad altre risorse naturali e che includono tra l’altro la distruzione e la frammentazione degli habitat e la contaminazione chimica (inclusi pesticidi e inquinamento). Gli effetti combinati di questi cambiamenti sugli ecosistemi potrebbero risultare fatali per la natura e per l’umanità. I cambiamenti climatici influenzano direttamente le condizioni di vita della maggior parte della popolazione mondiale e degli ecosistemi. L’IPCC fa notare che gli impatti del cambiamento climatico ostacoleranno lo sviluppo e dannegieranno le condizioni di vita e gli stili di vita dell’uomo. Gli effetti si riverbereranno in maniera disproporzionata

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sui paesi in via di sviluppo e sui poveri di tutti i paesi, esacerbando in tal modo le ineguaglianze in tema di salute e di accesso ad un livello adeguato di cibo, acqua potabile e di altre risorse.

2.2. I sintomi del riscaldamento globale

Sin dal 1990, in Europa si è registrato un aumento della temperatura superiore alla media del resto del mondo: 0,95°C contro 0.74°C. Le temperature invernali sono cresciute maggiormente rispetto a quelle estive. Il riscaldamento ha colpito soprattutto il nord-ovest della Russia e la Penisola Iberica. Le previsioni indicano che la temperatura media mondiale crescerà tra 1,8-4,2°C e 2,0–6,3°C in Europa (se nessuna misura politica sarà attuata) entro la fine di questo secolo. L’IPCC ha raccolto e documentato i seri e numerosi impatti che i cambiamenti climatici in corso hanno sul nostro Pianeta: ritiro dei ghiacciai, stagioni di crescita più lunghe, riassetto della distribuzione delle specie, senza tralasciare le ripercussioni sulla salute umana a causa di ondate di calore senza precedenti. Il fenomeno del ritiro dei ghiacciai nelle Alpi sta toccando livelli mai visti negli ultimi 5000 anni. È alquanto probabile che il processo non si arresti e che entro il 2050 il 75% dei ghiacciai delle Alpi Svizzere sarà completamente scomparso. Per quanto riguarda l’Europa, i dati mostrano che quasi tutte le regioni saranno colpite dagli effetti futuri dei cambiamenti climatici, mettendo in seria difficoltà molti settori economici. In particolare, si prevede che i cambiamenti climatici aumenteranno drasticamente le differenze regionali in Europa in termini di risorse e patrimoni naturali. Tra gli effetti negativi si contano:

• aumento del rischio di alluvioni improvvise; • inondazioni del mare più frequenti; • aumento del processo di erosione (dovuto a tempeste e all’innalzamento del livello dei mari); • aumento del rischio di incendi nelle foreste (dovuto a ondate di calore); • scarsità d’acqua e siccità.

L’analisi dell’andamento annuo delle precipitazioni in Europa per il periodo 1900-2000 fa emergere un quadro contrastante: il nord Europa è più umido del 10-40%, mentre il sud è più secco del 20%. I cambiamenti si sono fatti maggiormente sentire nel periodo invernale in gran parte d’Europa. Alluvioni e siccità sono ugualmente previste. Le proiezioni per l’Europa mostrano un aumento del 1-2% ogni dieci anni nelle precipitazioni annue in Europa del nord, mentre per il sud si parla di una diminuzione del 1% per lo stesso intervallo di tempo. I recenti cambiamenti e mutamenti climatici hanno iniziato ad estendere i loro effetti anche a sistemi naturali e umani che prima non erano colpiti. Oltre ai già noti impatti sull’agricoltura, le foreste e la salute umana, sono riscontrabili nuovi effetti negativi negli insediamenti delle regioni montane (aumento del rischio di piene glaciali dovute allo scioglimento dei ghiacciai), nella regione africana del Sahel (stagioni di crescita ridotte con effetti nocivi sui raccolti) e nelle zone costiere (aumento dei danni causati da inondazioni del mare). In questi ultimi anni abbiamo potuto assistere ad un numero crescente di fenomeni climatici estremi: ondate di calore e siccità hanno attraversato l’Europa meridionale e orientale causando incendi estesi, tempeste e inondazioni hanno provocato seri danni in Europa occidentale, mentre uragani molto più potenti hanno colpito il Pacifico. Mano a mano che l’atmosfera si scalda, accumula sempre più energia. Il verificarsi di eventi meteorologici estremi sarà quindi sempre più frequente in futuro e comporta un rischio sempre maggiore per le nostre società. Lo scioglimento della banchisa artica è già un fatto concreto e progredisce con una velocità che supera i calcoli della maggior parte degli scienziati. Questo è dovuto principalmente al meccanismo di feedback positivo che si innesca quando il ghiaccio, la cui funzione consiste nel riflettere i raggi del sole, viene

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gradualmente sostituito dal mare, che invece assorbe il calore, accelerando così a sua volta il riscaldamento della regione polare. Negli ultimi 10 anni, la scienza ha dato prove sempre più certe che il riscaldamento globale non è un fenomeno lineare. A mano a mano che la Terra si scalda, diversi fenomeni si verificano nella biosfera: la banchisa e il ghiaccio artico si stanno assottigliando sempre più, riflettendo sempre meno i raggi solari nello spazio (effetto albedo) e incrementando così il surriscaldamento, il permafrost con la sua enorme riserva di carbone si sta sciogliendo, i ghiacciai si ritirano, l’acqua degli oceani si scalda e assorbe meno anidride carbonica.

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2.3. I “punti di non ritorno” che generano un “riscalda mento galoppante” Nelle sue relazioni, l’IPCC tende ad illustrare i cambiamenti climatici come un fenomeno lineare. Se da un lato non si possono fare previsioni precise, le reazioni sembrano però piuttosto chiare. Tuttavia, sono molti gli elementi nella biosfera che potrebbero non seguire un comportamento o una transizione lineare nell’attuale contesto di innalzamento delle temperature dovute al riscaldamento antropico globale. Lo scioglimento della banchisa del mar Artico è considerato uno degli elementi che raggiungerà il suo “punto di non ritorno” già sotto i 2°C, soprattutto a seguito delle osservazioni fatte negli ultimi anni. Mano a mano che il ghiaccio si scioglie, l’albedo diminuirà costantemente, e l’acqua, assorbendo i raggi solari, riscalderà ancora di più il mare. Anche pochi gradi di riscaldamento globale causato dall’uomo possono innescare meccanismi di retroazione del ciclo del carbonio nella biosfera terrestre in grado di rilasciare le enormi quantità di carbonio presente nel suolo e negli oceani, che a loro volta aumenteranno la velocità del riscaldamento, generando un riscaldamento galoppante. La maggior parte degli esperti prevede che la retroazione del ciclo del carbonio contribuirà a portare la temperatura sopra i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali. Importanti dati geologici sulla passata evoluzione della Terra indicano che la biosfera ha sempre reagito con forza ai fenomeni di riscaldamento o raffreddamento indotti da cambiamenti naturali: il surriscaldamento causava un riscaldamento degli oceani che a loro volta rilasciavano CO2 e metano. Il Massimo Termico del Paleocene-Eocene (Paleocene-Eocene Thermal Maximum, PETM) verificatosi 55 milioni di anni fa ne è un esempio: l’aumento di 5-8°C delle temperature della superficie del mare è stato probabilmente causato dal rilascio di enormi quantità di idrati di metano in clatrati sopra o sotto il fondo del mare. Per gli oceani questo ha significato lo scioglimento di sedimenti carbonati con conseguente acidificazione e riduzione estrema dei livelli di ossigeno. Centinaia di migliaia di anni sono stati necessari per ripristinare le normali condizioni. Le più grandi riserve di carbonio sulla Terra sono presenti negli oceani (soprattutto sotto forma di idrati di metano), nel permafrost della Siberia sotto forma di torba e nelle foreste tropicali pluviali, in particolare nel bacino amazzonico. Innescare il rilascio del carbonio immagazzinato nelle profondità della terra o degli oceani potrebbe causare un ulteriore innalzamento delle temperature che non saremmo in grado di tenere sotto controllo. Proprio per questo il PPE pone l’accento sulla necessità di ampliare le ricerche in quest’ambito, con lo scopo di raccogliere nuove prove scientifiche che ci permettano di individuare le possibili conseguenze dello scatenarsi di questi fattori irreversibili. Ma soprattutto, il rischio di toccare questi punti di non ritorno nella biosfera terrestre ci ricorda l’importanza di mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C, rispetto ai livelli pre-industriali.

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3. Le ripercussioni economiche dei cambiamenti climatici

3.1. I costi del cambiamento climatico I cittadini hanno preso coscienza dell’importanza capitale dell’ambiente in cui vivono e di quanto sia vitale conservarlo e miglioralo. I cambiamenti climatici attaccheranno gli elementi che sono alla base della vita quotidiana dei popoli in tutto il mondo, come l’accesso all’acqua, la produzione alimentare, la salute e l’ambiente. Mano a mano che il mondo si surriscalda, centinai di milioni di persone dovranno fare i conti con fame, scarsità d’acqua e inondazioni costiere. Le conseguenze saranno pesanti per l’intero mondo globalizzato. Ecco perchè gli investimenti che verranno fatti nei prossimi 10-20 anni influenzeranno profondamente il clima nella seconda metà di questo secolo e del prossimo. Il PPE è dell’avviso che le nostre azioni nel presente e nel corso dei prossimi decenni possano creare grandi opportunità economiche e prosperità sociale. In termini più specifici e secondo i diversi parametri che possono essere stabiliti per le concentrazioni di gas serra, l’ultimo rapporto IPCC, tracciando lo scenario più estremo e costoso, indica che mantenere l’innalzamento globale della temperatura media intorno ai 2°C implica una diminuzione dello 0,12% della crescita media annua del PIL. Per fare un confronto, le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) indicano per quest’anno ed il prossimo una crescita globale annua del 4,9%. Queste cifre suggeriscono che i vantaggi economici che deriverebbero dalla riduzione delle emissioni (sotto forma di azioni volte alla prevenzione di impatti climatici quali alluvioni, siccità e migrazioni) potrebbero essere della stessa portata degli investimenti necessari. Con le parole dei membri dell’IPCC, “i primi pochi risultati analitici che emergono da indagini integrate su costi e benefici di una mitigazione indicano che, a grandi linee, il bilancio è alla pari, ma non permettono ancora di stabilire in modo univoco un percorso di riduzione o un livello di stabilizzazione in cui i profitti superino i costi”.1

In modo analogo e sulla base dei risultati di modelli economici formali, il rapporto Stern (pubblicato nel 2006) aveva previsto il serio impatto dei cambiamenti climatici sulla crescita economica se nessuna misura di mitigazione fosse stata messa in atto. Secondo il rapporto sarebbe necessario un investimento pari all’1% del PIL globale per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici 2; ciò permetterebbe di evitare il rischio di una recessione fino al 20% del PIL mondiale Ciononostante, i vantaggi di un’azione forte e tempestiva superano di gran lunga i costi di una mancata iniziativa. Infatti, secondo il rapporto Stern, “i costi necessari per stabilizzare il clima sono elevati ma non fuori portata; attendere oltre sarebbe pericoloso e molto più costoso ”3. Secondo un recente studio micro-economico di McKinsey intitolato “Una curva dei costi per la riduzione dei gas serra” (“A cost curve for Greenhouse Gas Reduction”) sarebbe tecnicamente possibile ottenere un abbattimento di 26,7 gigatoni, implementando esclusivamente misure che costano 40 euro a tonnellata (40EUR/t) considerando una situazione da 450ppm. In questo caso, la curva descritta dal McKinsey Group indica che il costo annuale globale si aggirerebbe intorno ai 500 miliardi di euro nel 2030 ossia il 0,6% del PIL previsto per lo stesso anno. Tuttavia, se le misure richieste per l’obiettivo di riduzione dovessero essere più dispendiose, il costo si eleverebbe a circa 1.100 miliardi di euro, ossia 1,4% del PIL globale. Queste opzioni a basso costo sono tuttavia frammentate in diversi settori e regioni in tutto il mondo (più della metà delle potenziali riduzioni il cui costo è pari o inferiore a 40EUR/t sono reperibili nelle economie in via di sviluppo), e si rivela quindi necessario un efficace sistema di riduzione globale. Infatti, sebbene le emissioni di gas serra in proporzione alla popolazione siano superiori nei paesi con

1 IPCC 4AR, Gruppo di lavoro III, SPM, Maggio 2007. 2 Per stabilizzare i livelli tra 500 e 550 ppm di CO2 equivalenti 3 “The Stern Review Report on the Economics of Climate Change”, 2006, Parte III, The Economics of Stabilisation, capitoli 7-11.

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economie sviluppate, questo studio ha sottolineato come i paesi in via di sviluppo abbiano a disposizione più della metà del potenziale totale di abbattimento, ad un costo non superiore a 40EUR/t 4. Per quanto riguarda specifici settori industriali, lo studio conclude che i settori manifatturiero e di produzione energetica rappresentano meno della metà del potenziale per la riduzione delle emissioni ad un costo relativamente basso (fino a 40EUR/t). Questo significa che, se vogliamo realizzare misure di abbattimento in funzione dei costi, dobbiamo allo stesso tempo trovare il modo di occuparci efficacemente delle opportunità offerte da altri settori quali i trasporti, l’edilizia la selvicoltura e l’agricoltura5. Per quanto riguarda misure specifiche, circa un quarto dell’abbattimento potenziale ad un costo che arriva fino a 40EUR/t include misure di potenziamento (soprattutto nei settori dell’edilizia e dei trasporti) per ridurre la domanda di energie e senza costi aggiuntivi. I costi potrebbero essere ancora ridotti se venissero fatti ulteriori progressi nell’efficacia o se venissero valutati i grandi cobenefici (derivanti ad esempio dalla riduzione dell’inquinamento atmosferico). I costi tuttavia lieviterebbero se le innovazioni nelle tecnologie a bassa emissione di carbonio avvenissero in modo più lento del previsto o se i decisori politici non riuscissero ad elaborare gli strumenti economici necessari per ridurre le emissioni, indipendentemente da dove, come e quando sia più conveniente per loro realizzarle. Investire nel controllo delle emissioni può portare comunque ad una lieve riduzione del PIL. Il quarto rapporto dell’IPCC conclude infatti, che le stime dei costi macroeconomici per l’attenuazione di emissioni multigas entro il 2030 sono comprese tra una riduzione del 3% della crescita del PIL globale e un lieve rialzo 6. Le uniche eccezioni sono rappresentate da misure volte ad esempio, a potenziare il rendimento energetico laddove il guadagno economico sia netto. D’altro canto, i costi regionali possono variare notevolmente dalle medie globali. È molto probabile che tutte le regioni siano colpite o da una diminuzione dei guadagni netti o da un aumento dei costi netti qualora le temperature si innalzino al di sopra dei 2-3°C. In termini di “costi sociali del carbonio” (SCC), valutazioni specializzate per l’anno 2005 convergono su un valore medio di 30 EUR/t di carbonio (ossia 8 EUR/t di anidride carbonica), ma la gamma al di fuori di questa media è molto più ampia. In quest’ottica è innanzitutto necessario definire la dimensione regionale costi-ricavi dei cambiamenti climatici e della politica sul clima e, in secondo luogo, sostenere le regioni che necessitano di eseguire investimenti massicci per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Su scala globale, dobbiamo rivedere l’aspetto legato all’equità sociale, nonché affrontare la questione di come il costo della lotta ai cambiamenti climatici debba essere ridistribuito nel mondo.

4 Le economie in via di sviluppo dispongono di tale potenziale per tre ragioni principali: una grande popolazione, la convenienza che deriva dall’abbattere le emissioni sul nascere, rispetto a ridurre emissioni che esistono da molto più tempo (soprattutto nei settori manifatturiero e di produzione energetica dei mercati sviluppati dove i costi sono elevati) ed il fatto che i paesi dell’area tropicale possiedono gran parte del potenziale per evitare le emissioni in selvicoltura per 40EUR/t o meno. 5 Le misure forestali ammontano a 6,7 gigatoni dei 26,7 gigatoni totali del potenziale di abbattimento ad un costo fino a 40EUR/t, mentre l’agricoltura e lo smaltimento dei rifiuti rappresentano oltre la metà degli 1,5 gigatoni degli abbattimenti possibili a parità di costi. I settori dei trasporti e dell’edilizia possono contribuire a ridurre di altri 6 gigatoni; il che rappresenta circa un quarto del totale dell’abbattimento potenziale ad un costo pari o inferiore. 6 Un approccio multigas e l’integrazione dell’impiego dei pozzi di carbonio di solito riduce sostanzialmente i costi, se comparato al solo abbattimento di CO2 (fonte: Quarto rapporto di valutazione IPCC)

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3.2 Le opportunità legate alla azioni contro il cambiamento climatico Infine, è importante sottolineare come una tale azione contro i cambiamenti climatici implichi anche la creazione di nuove attività ed opportunità legate all’apertura di nuovi mercati nell’ambito delle tecnologie energetiche e altri beni e servizi a bassa emissione di carbonio. La crescita di questi mercati può arrivare a generare centinaia di miliardi di dollari ogni anno, con un aumento direttamente proporzionale dei posti di lavoro. Il mondo non deve scegliere tra evitare i cambiamenti climatici e promuovere la crescita e lo sviluppo. I progressi compiuti nelle tecnologie energetiche e nella struttura delle economie ci permettono di dissociare lo sviluppo dall’emissione di gas serra. Contrastare i cambiamenti climatici è la giusta strategia di crescita a lungo termine e può essere messa in atto senza che interferisca con le aspirazioni di crescita dei paesi in via di sviluppo o già sviluppati. Per affrontare il cambiamento climatico la tecnologia è essenziale. La competitività dell’Europa dipendeerà dall’innovazione e dalle nuove tecnologie. Per questo motivo è importante rilevare la dimensione economica positiva, la ricerca e lo sviluppo, e le possibilità innovative per un industria che rispetta le riduzioni delle emissioni in quanto esistono nuove tecnologie che producono effetti di “spin-off”, e l’esportazione di nuove ed innovative tecnologie e degli incentivi che non nuoccoino al clima. Abbiamo bisogno di soluzioni realistiche e realizzabili, di mezzi politici appropriati e di risposte pratiche che tengano conto delle diverse opzioni tecnologiche e di ciò di cui abbiamo bisogno per ridurre i costi. C’è bisogno di una produzione industriale sostenibile attraverso l’uso e l’esportazione di queste tecnologie innovative, del ruolo delle PME e di misure di aggiustamento delle frontiere in accordo con le nuove politiche di competizione e le misure dell’organizzazione mondiale per il commercio (WTO) e di politiche di etichettatura per i prodotti. Negli anni a venire dovremo affrontare l’immensa sfida di combinare ad una significativa riduzione delle emissioni di gas serra, l’obiettivo di creare economie competitive e società prospere. A questo proposito, un accordo globale nel quadro delle Nazioni Unite è vitale per garantire una ripartizione degli sforzi a livello globale.

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4. Combattere i cambiamenti climatici in Europa Il PPE vuole fare dell’Unione Europea il punto di riferimento nel settore delle tecnologie prive e a bassa emissione di carbonio. Siamo convinti che un investimento tempestivo e audace nelle più moderne ed efficienti tecnologie rappresenti un enorme vantaggio per il nostro clima, ponga le basi per una soluzione globale e sia estremamente utile anche dal punto di vista economico, poiché ridurrebbe la nostra dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Per questo riteniamo che la decarbonizzazione delle nostre economie sia una scommessa vinta per tutti, in quanto modernizza i nostri sistemi economici e ci rende più indipendenti dalle importazioni di combustibili fossili. Siamo lieti che il Trattato di Riforma dell'UE offra all'Unione Europea e ai suoi Stati membri migliori possibilità per proteggere l’ambiente. Queste opportunità devono essere sfruttate per elaborare un approccio comune e per intraprendere azioni congiunte al fine di raggiungere obiettivi comuni vincolanti. Lo scopo principale del PPE è fermare l'aumento medio della temperatura globale entro i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, per evitare un riscaldamento pericoloso a livello mondiale. Le ricerche mostrano che stabilizzare il livello di gas serra sui 450ppme (parti per milione di CO2 equivalenti) significa una possibilità su due di non oltrepassare la soglia dei 2°C. L’obiettivo dei 2°C è prioritario, nonché l’elemento chiave sulla cui base saranno stabiliti i tassi di emissione permessi in futuro. Il PPE chiede di realizzare l’ambiziosa promessa di ridurre del 30% le emissioni di gas serra entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990) secondo le decisioni adottate dal Consiglio Europeo nel mese di marzo 2007. Siamo consapevoli della portata di un tale traguardo, che richiede una migliore integrazione degli obiettivi del cambiamento climatico nelle vrilevanti aree politiche, un grande impegno in termini di efficienza energetica, promozione dell’uso di energia priva di carbonio oltre all’applicazione e al potenziamento del sistema di scambio di quote di emissioni in tutte le aree coinvolte. Ma siamo pronti ad accettare la sfida e riteniamo sia nostro dovere fare in modo che la Terra resti un luogo abitale per le generazioni future. È arrivato il momento di agire.

4.1. Promuovere l’efficienza ed il risparmio energetico L’efficienza energetica in settori come la produzione di elettricità, l’edilizia, i trasporti e la produzione di beni, è uno dei punti chiave per ridurre il consumo energetico. L’efficienza può essere aumentata elevando gli standard, attuando sistemi di prelievo fiscale ben bilanciati, e dall’applicazione del principio di efficienza del costo del ciclo vitale alle decisioni/scelte del consumatore. È indispensabile installare le più moderne tecnologie (come generatori energetici combinati) nei sistemi di produzione di energia elettrica, ambito in cui l’inefficienza di molti impianti di produzione attuali è una delle principali responsabili del riscaldamento globale. Il PPE accoglie con favore la proposta della Commissione di tagliare i consumi di energia primaria del 20% sul territorio dell’UE entro il 2020 ed incoraggia la creazione di un accordo quadro internazionale sull’efficienza energetica che favorisca meccanismi di risparmio energetico come un’illuminazione stradale efficiente o sistemi di raffreddamento o riscaldamento passivo negli edifici. Se l’Europa riuscisse a mantenere l’impegno preso, la sua bolletta energetica si ridurrebbe di 60-100 miliardi di euro ogni anno. Ciò impedirebbe inoltre l'emissione di 780 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, ossia il doppio sottoscritto dall’UE nel protocollo di Kyoto. In una prospettiva a lungo termine, i progressi nel campo dell'efficienza energetica ci permetterebbero quindi di ridurre la dipendenza dalle importazioni energetiche, di rafforzare la sicurezza di approvvigionamento e di potenziare sia la lotta contro i cambiamenti climatici, sia il livello generale di competitività dell’industria.

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Per quanto riguarda l’isolamento termico e degli edifici, gli Stati membri dovrebbero, se necessario, accordare dei vantaggi ai proprietari che migliorano l'efficienza energetica delle loro proprietà. Dovrebbero inoltre essere applicati standard più elevati per i sistemi di riscaldamento. Per gli edifici di nuova costruzione, una quota riservata all’energia rinnovabile (ad esempio per il riscaldamento dell'acqua) dovrebbe essere resa obbligatoria, e per gli edifici pubblici il costo del ciclo di vita dovrebbe determinare il calcolo dell’efficienza. Nel settore dei trasporti, l'efficienza delle automobili deve essere notevolmente potenziata. Per questo sosteniamo l’obiettivo dei 120gr CO2/km entro il 2012 ed esortiamo l’industria automobilistica europea a fare diventare l’efficienza nel consumo di carburanti un target importante nello sviluppo di nuovi modelli. Per quanto riguarda l’obiettivo dei 120gr CO2/km, è opportuno fare un'appropriata distinzione tra i diversi modelli di auto, per esempio attraverso il parametro del peso. Il futuro quadro regolamentare dovrà essere il più neutrale possibile dal punto di vista della competizione, tenendo in considerazione la diversità dell’industria automobilistica europea. Al fine di raggiungere significative riduzioni nelle emissioni di CO2 nel complesso del settore dei trasporti ogni singolo costruttore di automobili - ed ogni singolo modello di automobile - dovrà raggiungere sostanziali progressi. Anche il settore del trasporto aereo dovrà provvedere ad una consistente riduzione dei consumi, principalmente grazie al "Cielo unico europeo" e all’integrazione del trasporto aereo (nonché marittimo) nel sistema di scambio di quote di emissioni. L’UE dovrebbe inoltre potenziare la rete ferroviaria transeuropea per fornire un’alternativa al trasporto aereo, altrettanto veloce ma meno dispendiosa in termini di consumo energetico (rendendo ad esempio il sistema di trasporto pubblico più competitivo in termini di costi). Il consumo elettrico dei prodotti venduti sul territorio dell'UE dovrebbe essere chiaramente riportato in etichetta. Gli apparecchi che consumano energia anche quando sono spenti dovrebbero essere banditi dal mercato. Nuovi contatori elettrici nelle aziende e nelle abitazioni dovrebbero fornire tutte le informazioni rilevanti relative al consumo affinché l’utente sia maggiormente consapevole del proprio dispendio energetico. Per ridurre i consumi energetici sono necessari la consapevolezza, l'impegno e l’aggiustamento degli stili di vita di ogni singolo cittadino. Per questo il PPE invita l'Unione Europea e gli Stati membri a promuovere campagne di sensibilizzazione sulla questione dei cambiamenti climatici. Non dimentichiamo che anche i media svolgono un ruolo essenziale e non devono confondere il pubblico con informazioni fuorvianti o dati manipolati solo per rendere il dibattito più controverso.

4.2. Decarbonizzare l’economia Il rapporto che subordina i nostri sistemi economici al ricorso ai combustibili fossili non rappresenta solo un pericolo per il clima, ma anche per le nostre economie. Negli ultimi decenni la nostra dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas è aumentata, mentre il rialzo dei prezzi riflette una fame crescente per le energie fossili in tutto il mondo. Il passaggio ad energie prive di carbonio non va solo a beneficio del clima, ma ci permette di essere meno dipendenti dall'importazione di carburanti fossili da regioni politicamente instabili. Il ritorno degli investimenti in questo senso sarà duplice. Il PPE sottolinea come sia necessario approfondire ancora l’impegno nel settore della ricerca e dello sviluppo, e nel portare le nuove tecnologie dal laboratorio al mercato, affinché sia possibile applicare nuove tecnologie ‘disruptive’ che sostituiscano le precedenti, in tutti gli ambiti di produzione e impiego dell’energia. L’Unione Europea dovrebbe assumere la leadership del mercato delle più moderne tecnologie di efficienza energetica.

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4.2.1. Scambio dei permessi di emissione Il sistema di scambio di quote di emissioni dell’Unione Europea (UE ETS) rientra nel Programma Europeo per il Cambiamento Climatico (European Climate Change Program – ECCP), attualmente già attivo per promuovere, con sempre maggior vigore, lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili. Si tratta di uno strumento chiave per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni che l’Europa si è fissata. Tuttavia, ciò non è sufficiente per risolvere il problema. Tenuto conto del livello di globalizzazione delle nostre economie, il supporto e il contributo dei paesi al di fuori dell'UE è altrettanto urgente e importante. Siamo pertanto convinti che il sistema di scambio di quote di emissioni debba essere rafforzato dopo il 2012. Tre anni di esperienza ci hanno fatto capire che il sistema di scambio dell'UE è un mercato ancora immaturo e fragile. La volatilità del mercato dell'energia elettrica esercita una forte pressione sui prezzi, ma sta attualmente subendo a sua volta l'influsso della volatilità del mercato del carbone. Ne consegue che il sistema di scambio di quote ha portato ad una massiccia ridistribuzione dei profitti dall’industria ad alto consumo di energia, agli impianti di generazione di energia. Inoltre, il cosiddetto "principio di grandfathering", ossia il rilascio di quote a titolo gratuito sulla base dei livelli storici di emissione e senza tener conto di eventuali progressi per migliorare l’efficienza, non rappresenta un reale incentivo a ridurre al minimo le emissioni. Il sistema di scambio di quote di emissioni messo a punto dall'Unione Europea non deve basarsi unicamente su una rigida distribuzione di permessi di emissione a singoli impianti, ma deve essere affiancato da misure strutturali e globali volte a diminuire le emissioni di gas serra nell'atmosfera. Imporre un prezzo di mercato sull’anidride carbonica è una buona idea, ma solo se supera i confini nazionali e viene applicata ad un reale meccanismo globale di mercato. Un sistema mondiale industriale, fondato sull’efficienza energetica e sulla quantità di emissioni per tonnellata di produzione, può garantire che lo scambio di quote di emissioni non alteri la concorrenza o vada a vantaggio di chi inquina. In termini generali, l'obiettivo è di fornire validi incentivi per investire nelle tecnologie a bassa emissione di carbonio, limitare l’impatto sulla competitività delle industrie ad alto consumo di energia presenti sui mercati globali e creare una piattaforma di riferimento per attuare sistemi analoghi in altri grandi paesi produttori di emissioni, dopo il 2012. Il PPE è convinto che un sistema serio di riduzione delle emissioni organizzato su regole di mercato debba essere introdotto ove possibile. Un sistema potenziato di scambio di quote di emissioni può diventare il principale contributo verso una significativa riduzione dei gas serra poiché “internalizza” i costi esterni e innescando un meccanismo di mercato che permetta la riduzione delle emissioni laddove i costi economici sono più bassi. La concessione gratuita di quote di emissioni dovrebbe essere gradualmente ridotta per consentire la creazione di un mercato efficiente. È necessario coinvolgere nel sistema quanti più settori possibile a livello globale (chimico, dell’alluminio, delle miniere di carbone, trasporti aerei e marittimi) per garantire parità di condizioni. Le industrie piccole che inquinano meno dovrebbero avere la possibilità di optare se fare parte o meno del sistema di scambio di permessi di emissioni per sfruttarne al meglio i benefici e per supportare gli investimenti per l’efficienza del gas serra. Il sistema di scambio di emissioni dell'UE (EU ETS) potrebbe divenire la base per una soluzione di portata mondiale nel contesto che verrà a crearsi dopo i negoziati del 2012. L'implementazione su scala planetaria di un sistema funzionante ed efficace di scambio di quote eviterebbe le fughe di carbonio (le cosiddette “carbon leakage”) e rappresenterebbe un’equa soluzione in cui tutti gli attori della scena mondiale (i paesi industrializzati, le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo), contribuirebbero secondo le loro capacità per una risoluzione globale.

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4.2.2. Le fonti di energia a basso emissione di CO2

Le energie rinnovabili Le energie rinnovabili costituiscono un enorme potenziale non ancora pienamente sfruttato dalla maggior parte degli Stati membri dell'Unione Europea. Se vogliamo impegnarci seriamente per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, allora sarà necessario utilizzare su una più ampia scala l'energia idrica, delle onde, solare, eolica, geotermica e delle biomasse. Le energie rinnovabili dovrebbero occupare almeno il 20% del totale delle fonti energetiche impiegate all’interno dell’UE entro il 2020, ma l’intenzione è di espandere ulteriormente tale quota. Il raggiungimento dell’obiettivo del 20% dipende in larga misura dal prezzo del petrolio, dallo sviluppo tecnologico, dal prezzo per tonnellata di CO2, e dalla riuscita implementazione di misure tese a migliorare l’efficienza energetica.Oltre a questo obiettivo comune, la Commissione dovrebbe dare agli Stati membri l'opportunità di stabilire dei traguardi specifici per settore, in particolar modo per quanto riguarda la produzione di elettricità, il riscaldamento e il raffreddamento, i trasporti, in conformità con la Roadmap delle energie rinnovabili (Renewable Energy Roadmap). La quota di energia rinnovabile può essere incrementata da piccole unità di energia elettrica prodotta da fonti come vento e sole, ma anche grazie a progetti più ampi (ad esempio tramite impianti solari termodinamici nell’Europa meridionale o in Nord Africa, o impianti di produzione di energia eolica dislocati negli oceani). Un incremento delle quote di energie rinnovabili renderà necessari investimenti anche nelle reti elettriche. Anche in futuro, ogni Stato membro potrà continuare a scegliere autonomamente il proprio mix energetico sulla base delle differenze geografiche, economiche, regionali, climatiche e strutturali. Allo stesso modo però, ogni Stato membro dovrà adempiere ai propri obblighi per ridurre le emissioni di CO2 e aumentare gradualmente la quota di fonti energetiche prive o a basse emissioni di carbonio, secondo i parametri stabiliti nel regime di ripartizione degli oneri. Gli incentivi per soddisfare gli obiettivi dovranno essere efficienti in termini di costi. Ogni Stato membro dovrebbe essere in grado di scegliere le misure più appropriate per promuovere le energie rinnovabili. Lo scopo è garantire che le politiche nazionali siano in linea con gli obiettivi a livello comunitario e contemporaneamente tener conto delle specificità locali. Gli stati membri dovrebbero vigilare nel caso ci fossero delle barriere amministrative nell’utilizzo di sistemi di energie rinnovabili come le regole di pianificazione territoriale sfavorevole, le procedure per richiedere i permessi troppo complicate o le responsabilità non chiare tra le autorità. La rimozione di simili ostacoli dovrebbe costituire una priorità. Il PPE è a favore dell’introduzione della soglia minima del 10% per i biocarburanti, ma sottolinea anche la necessità di applicare riferimenti chiari e un sistema di certificazioni per garantire la sostenibilità, soprattutto per quanto riguarda i biocarburanti importati. Inoltre, è necessario effettuare un’analisi “field-to-wheel” sulle emissioni di biocarburanti per valutare le emissioni reali di CO2. È necessario creare il prima possibile un mercato per i biocarburanti da biomasse di seconda generazione: la loro efficacia è superiore e pone meno questioni etiche. Dovremmo evitare che l’utilizzo di biocarburanti di prima e seconda generazione e le biomasse causino problemi alla produzione di alimentari e alla deforestazione in altre parti del mondo. L’energia Nucleare Le centrali di energia nucleare contribuiscono ad un approvvigionamento stabile di base di elettricità, producono energia relativamente economica senza nessuna emissione di CO2. Senza energia nucleare, avremmo rilasciato nell’atmosfera miliardi di tonnellate di CO2 in più. La quota attuale dell’energia nucleare nella produzione di elettricità è del 30%. Il settore della produzione di energia nucleare impiega circa 400.000 tecnici specializzati e contribuisce ad evitare emissioni di CO2 nell’atmosfera per oltre 720 milioni di tonnellate, un ammontare confrontabile con il totale annuo delle emissioni di CO2

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dei 210 milioni di automobili nell’Unione europea. Tuttavia questo importante contributo è destinata a diminuire a causa della prevista chiusura di un gran numero di centrali. Il PPE ritiene che molti paesi l'impiego dell'energia nucleare sarà indispensabile anche in futuro, in quanto non saranno in grado di fare esclusivamente affidamento sulle energie rinnovabili per garantire l’approvvigionamento di base di elettricità. Il PPE ritiene che l’energia nucleare può contribuire a raggiungere i nostri obiettivi per ridurre i gas serra. Tuttavia domandiamo che ogni centrale nucleare rispetti i più alti standard di sicurezza possibili e che si dedichi una maggiore determinazione politica unita ad un più consistente investimento nella ricerca per perfezionare i sistemi di stoccaggio e riciclaggio delle scorie nucleari, prendendo spunto da soluzioni di successo già sperimentate ad esempio in Finlandia o Svezia. Il reattore di fusione nucleare attualmente in costruzione nell’ambito di un progetto internazionale rappresenta una grande speranza per il futuro, ma questa tecnologia non sarà ancora disponibile nei prossimi decenni. Considerando che il dibattito sul futuro utilizzo dell’energia nucleare è ancora aperto in molti paesi, il PPE supporta – in linea con il principio di sussidiarietà – l’idea che ogni stato membro possa decidere sulla composizione del proprio mix energetico, nel rispetto delle differenze geografiche, economiche, regionali e climatiche di ogni paese e a condizione che tutti i paesi rispettino i target di riduzioni delle emissioni.

4.2.3. Combustibili fossili In futuro dovremo utilizzare con più attenzione quelle che sono le nostre fonti di energia attuali e che rimarranno probabilmente tali anche nel prossimo futuro: carbone, petrolio e gas presenti sulla Terra da milioni di anni. Dovremo ricorrere sempre meno ai combustibili fossili e dovremo consumarli in modo più intelligente. Se da un lato le industrie di approvvigionamento energetico sono responsabili per oltre un quarto delle emissioni di gas serra, dall’altro dobbiamo pensare a sostituire le vecchie centrali elettriche con centrali più efficienti (ad esempio, impianti di cogenerazione) e rafforzare il nostro impegno per creare centrali a carbone a “zero emissioni” per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS). Il carbone rimarrà un’importante fonte energetica ed è nell’interesse dell'UE mettere in funzione il prima possibile le tecnologie CCS, a patto che vengano utilizzate solo applicazioni sicure per l’ambiente.

4.3. Altri gas serra Senza dubbio, l'anidride carbonica è il gas serra principale, ma nell’ambito della ricerca di una soluzione sostenibile, è importante non sottovalutare anche gli altri gas. In particolare, dobbiamo considerare le emissioni di metano, un gas serra molto potente nel breve periodo. Per questo è necessario sviluppare delle strategie per ridurre le emissioni di metano derivanti dalla coltivazione del riso e dal processo digestivo degli animali erbivori ruminanti. È necessario evitare la dispersione di gas naturale nel passaggio dal sito di produzione al consumatore finale. Una migliore gestione dei rifiuti (in particolar modo nelle discariche) e un uso migliore dei concimi azotati possono ridurre le emissioni di protossido d’azoto.

4.4 La lotta contro la deforestazione La deforestazione è responsabile per il 25% delle emissioni di gas serra, ed il passo con cui si procede nella deforestazione tropicale e negli impatti negativi sulla capacità di assorbimento globale dei depositi naturali di gas serra e sulla biodiversità è allarmante. Per questo motivo il PPE suggerisce che la riduzione – e nel lungo periodo l’arresto – della deforestazione e del degrado delle foreste, e la riforestazione sostenibile rappresentano un contributo efficiente dal punto di vista dei costi per la mitigazione delle emissioni di gas serra e per la conservazione della biodiversità, promuovendo il management sostenibile delle foreste e rafforzando la sicurezza delle risorse vitali. Inoltre il PPE è fortemente convinto che gli incentivi basati sulla performance al fine di evitare la deforestazione devono

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fare parte del futuro regime climatico, e che sarà di vitale importanza creare una partnership strategica con i paesi più colpiti dalla deforestazione tropicale e includere tali incentivi nella distribuzione degli aiuti per lo sviluppo da parte dei donatori europei ed internazionali. 5. Adattarsi ai cambiamenti climatici Gli effetti del cambiamento climatico si faranno sentire in tutta Europa. Anche se bloccassimo subito tutte le emissioni di gas serra, il riscaldamento terrestre non si arresterebbe, a causa dell'inerzia termale degli oceani. È necessario dunque intensificare e coordinare al meglio gli interventi di adattamento, a tutti i livelli e in tutte le politiche comunitarie, come indicato nella recente relazione della Commissione Europea, "L'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa". Tuttavia, gli interventi di adattamento sono solo uno strumento ulteriore per limitare gli effetti di un riscaldamento che si verificherà comunque e non possono essere dissociati da un’azione di mitigazione dei cambiamenti climatici pericolosi. Secondo il rapporto Stern, i costi per l’adattamento cresceranno in maniera vertiginosa nel caso in cui il riscaldamento superi i 2°C, limite oltre il quale gli scienziati parlano di “cambiamento climatico pericoloso”. Un’azione immediata permetterà quindi di ottenere notevoli benefici economici perché sarà possibile anticipare i danni potenziali e ridurre al minimo i rischi per gli ecosistemi, la salute umana, lo sviluppo economico, i beni e le infrastrutture. I delta dei fiumi e le città costiere dell’Europa richiedono un’attenzione particolare. Inoltre, l’adattamento rappresenta ugualmente nuove opportunità economiche, come nuovi posti di lavoro e nuovi mercati per prodotti e servizi innovativi. Attualmente, le imprese europee occupano il primo posto nel mercato mondiale delle strategie e tecnologie di adattamento. Dobbiamo mantenere questo vantaggio competitivo realizzando concretamente e tempestivamente misure di adattamento quali tecniche di costruzione "a prova di clima", una gestione agricola potenziata o nuovi prodotti efficaci in campo assicurativo. In quest’ambito, una stretta collaborazione con il settore privato è fondamentale. L’agricoltura europea dovrà far fronte a molte sfide legate ai cambiamenti climatici. Ondate di calore, siccità e parassiti incideranno sempre più sulle rese dei raccolti, la gestione del bestiame e la produzione alimentare, con un conseguente aumento dell’importanza delle tecniche di gestione delle attività agricole e di silvicoltura. Molte sono le misure che possono essere introdotte, tra cui un utilizzo efficacie delle risorse idriche, la promozione di pratiche di gestione forestale che favoriscano la resistenza ai cambiamenti climatici, le misure di gestione del suolo e la protezione dei prati permanenti e dei paesaggi multifunzionali. Inoltre, il rischio percepito di cattivi raccolti a causa dei cambiamenti climatici implica una sempre maggiore necessità di introdurre misure di mitigazione come assicurazioni sui raccolti e garanzie tecniche date dalla disponibilità e l’utilizzo delle migliori varietà di raccolto. È dunque necessario ridurre ogni pressione sugli ecosistemi terrestri, marini e di acqua dolce per impedirne l’ulteriore frammentazione, il degrado, l'eccessivo sfruttamento e l'inquinamento. L’accento va posto sulla necessità di salvaguardare e ripristinare la biodiversità ed i servizi ecosistemici nelle zone rurali in senso lato e nell’ambiente marino, rendere compatibili lo sviluppo regionale e territoriale con la biodiversità e ridurre gli effetti indesiderati delle specie esotiche invasive. Inoltre, analisi costi-benefici e valutazioni di impatto su diversi gruppi di persone dovrebbero gradualmente, ma sistematicamente, internalizzare i costi ambientali connessi al declino degli ecosistemi.

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6. Una soluzione globale per una minaccia globale Per il PPE le seguenti priorità sono importanti nella lotta contro la sfida posta dal cambiamento climatico:

• Mantenere la leadership internazionale del PPE sul cambiamento climatico e promuovere il dialogo sul cambiamento climatico con i partner internazionali;

• Decidere le priorità ed esercitare leadership nel dibattito sulla politica climatica post-2012;

• Rafforzare la cooperazione internazionale per raggiungere una decisione su un accordo post-

2012 entro la fine del 2009;

• Aumentare la ricerca e lo sviluppo nelle tecnologie che non favoriscono il cambiamento climatico, tenendo in considerazione il ruolo importante svolto dalla PMI in quest’area;

• Proseguire nell’implemetazione di politiche europee e concentrarsi sulla revisione dello schema

europeo per lo scambio di emissioni (ETS), inclusa la valutazione di piani di allocazione nazionali.

Il vertice UE tenutosi durante il mese di marzo del 2007 è stata l’occasione per i governi europei di prendere tre decisioni di vasta portata: una promozione di efficienza energetica attraverso la riduzione del 20% del consumo energetico complessivo dell’UE, un taglio unilaterale del 20% delle emissioni di gas serra e l'assegnazione di una quota del 20% alle energie rinnovabili entro il 2020. È stato inoltre stabilito che l’impegno collettivo di riduzione delle emissioni dei paesi sviluppati si dovrebbe aggirare intorno al 30% entro il 2020 e salire al 60-80% entro il 2050, in rapporto ai livelli del 1990. Ci siamo impegnati per realizzare queste riduzioni, da soli o insieme, e, grazie alla nuova politica energetica per l'Europa (EPE) con i suoi obiettivi di sicurezza di approvvigionamento, efficacia e compatibilità ambientale, l’UE diventerà presto un'economia ad alta efficienza energetica e a bassa emissione di carbonio, come promesso. L’Unione Europea aveva già dimostrato di essere all’altezza del suo ruolo di leader nella riduzione delle emissioni di gas serra durante i negoziati di Kyoto. Infatti, il protocollo prevede il controllo solo di un quarto delle emissioni mondiali. E se pensiamo che i paesi in via di sviluppo producono la metà delle emissioni totali e che gli Stati Uniti d’America sono responsabili per un altro quarto, ciò significa che tre quarti delle emissioni di gas serra a livello mondiale non rientrano nei negoziati di riduzione. Senza contare che nei prossimi decenni la parte di emissioni prodotta dall'UE a 27 scenderà sotto il 10% delle emissioni globali ma, allo stesso tempo, il contributo dei paesi in via di sviluppo si eleverà a 50% del totale. La prospettiva di affrontare i punti deboli di Kyoto non è certo piacevole per l'Europa, ma è necessaria. In particolar modo, sulla scia dei negoziati post-Kyoto, sarà indispensabile creare un'economia del carbonio a livello internazionale, in cui il prezzo delle emissioni, dove prodotte, sia valido per ogni concorrente e in ogni mercato. In occasione del vertice del G8 di Heiligendamm (Germania), gli interventi ottimistici della Cancelliera Merkel e del Presidente della Commissione Europea Barroso hanno aumentato la speranza. L'obiettivo è un nuovo accordo internazionale che sancisca traguardi concreti di riduzione delle emissioni per restare entro i 2°C. Un tale accordo dovrebbe essere concluso entro il 2009 e il PPE esorta i diversi attori dell’Unione Europea e di tutto il mondo ad intensificare il loro impegno per raggiungere questo obiettivo.

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Per questo è necessario un approccio globale che non coinvolga solo i paesi industrializzati ma anche i paesi in via di sviluppo e i paesi meno sviluppati. Nessuno sarà al riparo dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Tutti i paesi devono attuare delle misure secondo il loro livello di sviluppo e le loro capacità, al fine di raggiungere obiettivi vincolanti globali in modo equo e sostenibile. In questo sistema, i paesi sviluppati dovranno realizzare le maggiori riduzioni, ma anche i paesi in via di sviluppo dovranno fare degli sforzi considerevoli per limitare le loro emissioni di gas serra. La lotta contro il cambiamento climatico sarà un successo solo se inseguiamo un approccio globale; il PPE chiede all’Unione europea di trovare soluzioni diplomatiche e politiche per convincere altri paesi – soprattutto gli Stati Uniti, Cina ed India – per intraprendere delle azioni in comune. In questo contesto, il trasferimento a livello mondiale di tecnologia e conoscenza appropriate assume una rilevanza particolare al fine di permettere ad aogni paese di prendere le misure adeguate. Dal momento che le sempre più numerose prove scientifiche raccolte hanno reso la questione più allarmante e urgente, l’Unione Europea deve una volta di più prendere in mano la situazione. La posizione forte e compatta dimostrata dall'UE lo scorso mese di marzo 2007 a proposito dei cambiamenti climatici costituisce una base eccellente per continuare a lavorare verso una soluzione globale. L’Unione Europea è responsabile solo del 14% circa delle emissioni di gas serra antropiche, pertanto solo una soluzione globale può permettere di ridurre il totale delle emissioni. Ma l'esempio pionieristico dell'UE fornirebbe la necessaria credibilità e lo stimolo per altri grandi paesi emettitori di contribuire ad una soluzione globale. Noi tutti abitiamo la Terra e abbiamo la responsabilità di mantenerla abitabile per le generazioni future. I negoziati internazionali devono tener contro degli accordi già esistenti (ad esempio Kyoto o il partenariato Asia-Pacifico) e devono abbandonare la retorica per lasciar spazio a trattative su impegni concreti. In una strategia di intervento mondiale, i paesi sviluppati devono impegnarsi a ridurre entro il 2020 le emissioni di gas serra del 30% rispetto al 1990, e ciò nell’ambito di un accordo internazionale post-2012. Dal momento che i paesi sviluppati sono in grado, dal punto di vista tecnologico e finanziario, di ridurre le loro emissioni, spetta a loro assumere la leadership nella lotta ai cambiamenti climatici. I sistemi di scambio di quote di emissione assicureranno il rendimento in termini di costi delle riduzioni delle emissioni. Riteniamo che il modello quadro delle Nazioni Unite per il periodo post-2012 dovrà concentrarsi sul risparmio energetico e l’eco-efficienza nonché sulle tecnologie a bassa emissione e il loro sviluppo. Questi suggerimenti sono ulteriormente approfonditi nel quarto rapporto di valutazione dell'IPCC, che raccomanda nuovi investimenti nelle infrastrutture energetiche nei paesi in via di sviluppo, oltre ad un miglioramento delle stesse infrastrutture nei paesi industrializzati, combinato a politiche per la promozione della sicurezza energetica. Nella maggior parte dei casi e secondo l'IPCC, queste misure creano l'opportunità concreta di ridurre le emissioni di gas serra. Per questo, il sostegno dei governi sottoforma di contributi, unito a misure come i crediti d’imposta, i sistemi di informazione rafforzata “consumer/buyer”, e la creazione di parametri di riferimento e di un mercato, sono elementi indispensabili per uno sviluppo effettivo, per l’innovazione e l’applicazione delle tecnologie, elementi indispensabili nel momento in cui prenderemo in considerazione le strategie post-Kyoto. Per ottenere il progresso tecnologico necessario, dobbiamo ampliare ulteriormente le attività di ricerca a livello internazionale, nonché la cooperazione tecnologica in particolar modo con i paesi terzi. Questo implica l’attuazione su larga scala di progetti dimostrativi delle tecnologie nei paesi in via di sviluppo che ricoprono un ruolo chiave. La cooperazione nell’ambito della ricerca internazionale ha tra l'altro il compito di monitorare e quantificare l’impatto regionale e locale dei cambiamenti climatici, oltre a sviluppare strategie di adattamento e di mitigazione adeguate. Quanto più cooperiamo su scala internazionale dando vita a degli accordi istituzionali validi, tanto più guadagneremo in termini di riduzione del riscaldamento globale.

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Le autorità pubbliche a tutti i livelli – regioni, città e comuni – hanno una responsabilità particolare per quanto riguarda la lotta contro le sfide poste dal cambiamento climatico. Il settore pubblico può e deve segnare il passo per uno sviluppo sostenibile. Ciò conta soprattutto in vista di un rafforzamento dei cicli economici locali e regionali. Il PPE è sempre stato un punto di riferimento politico nel momento di adottare e di sviluppare politiche ambientali. Con questo documento il PPE ratifica il suo impegno per le politiche ambientali sostenibili e sancisce un nuovo patto con i cittadini europei: il Patto per la preservazione ambientale (PPA). Con questo patto il PPE risveglia la coscienza “eco-logica” dei cittadini europei e rinnova il suo impegno come ha fatto in molte altre occasioni nel passato per continuare a sviluppare politiche che siano in linea – e che rispettino – l’essere umano in quanto centro delle politiche ambientali, e che siano a favore del benessere globale delle società.